Rassegna stampa 18 settembre

 

Giustizia: più di 200 ricorsi a Strasburgo su sovraffollamento

di Stefano Anastasia (Difensore civico Associazione Antigone)

 

Terra, 18 settembre 2009

 

Sono ormai più di duecento i detenuti che nelle ultime settimane ci hanno scritto per avere sostegno e assistenza nel ricorso alla Corte europea contro le condizioni di sovraffollamento in cui sono costretti. Molti altri se ne aggiungeranno nei prossimi giorni. Con scrupolo e attenzione stiamo valutando, caso per caso, quelli che hanno ragioni per confidare in un risarcimento (monetario e, soprattutto, simbolico) dai giudici di Strasburgo.

Come per la violazione del principio della ragionevole durata dei processi (da anni l’Italia ha l’infamante primato delle condanne per l’interminabile durata dei procedimenti giudiziari), anche sul sovraffollamento e sulle conseguenti condizioni inumane e degradanti di detenzione potremmo aspirare a una biasimevole leadership nel vecchio continente. Ce ne sarebbe di che per correre ai ripari, con qualche celerità e con misure efficaci a ridurre la precondizione di queste condanne: il famigerato sovraffollamento penitenziario.

Non abbiamo, però, a tutt’oggi ascoltato una qualche proposta credibile dal Governo e dal Ministro della giustizia, che - un po’ pateticamente - ha cercato nelle scorse settimane di chiamare in causa l’Europa per il contrasto all’immigrazione clandestina, dimenticando che la condizione di clandestinità, la sua rilevanza penale e la relativa incidenza nei tassi di detenzione degli stranieri non è mica un fenomeno naturale, ma dipende da scelte politiche, e in particolare da quelle del Governo di cui egli stesso fa parte. Per il resto, si continua a favoleggiare di un piano edilizio senza copertura, che - se lo fosse - darebbe un numero di posti-letto insufficiente a ospitare i detenuti attuali, figuriamoci quanti saranno in carcere nel 2012, quando - avveniristicamente - pensano di portarlo a compimento.

Nelle more e nel silenzio, l’Amministrazione penitenziaria arranca, cercando di far fronte all’emergenza con i mezzi che non ha. Ultima testimonianza ne è la circolare del 25 agosto scorso, con cui il Dipartimento, tra le altre cose, raccomanda ai Provveditori di individuare nei recinti penitenziari delle strutture "a gestione aperta", in cui i detenuti meno pericolosi possano essere lasciati un po’ più liberi per compensare - di fronte alla Corte di Strasburgo - l’esiguità degli spazi detentivi in cui verrebbero alloggiati. Siamo ormai al fondo del barile. Ma un’amministrazione pubblica orgogliosa del proprio ruolo non può più dignitosamente richiamare l’autorità politica a metterla nelle condizioni di assolvere nella legalità alle proprie funzioni istituzionali?

Giustizia: avvocati di Napoli protestano per condizioni carceri

 

www.radiocarcere.com, 18 settembre 2009

 

Gli Avvocati della Camera Penale di Napoli si asterranno dalle udienze penali dal 16 al 21 settembre. Ma voi direte: e che c’è di nuovo? Di nuovo c’è il motivo della protesta dei penalisti partenopei. Non la separazione delle carriere. Non le intercettazioni. Bensì le condizioni degradanti e disumane in cui versano le persone detenute nelle carceri italiane. Nel comunicato degli Avvocati di Napoli, che si trova sul sito www.ilcarcerepossibileonlus.it, si legge: "L’astensione è dovuta alla gravissima violazione dei diritti umani che si consuma ogni giorno negli istituti di pena."

Insomma un’ottima iniziativa. Un’iniziativa che però resta isolata e circoscritta in ambito regionale. Infatti l’organo di rappresentanza nazionale dei penalisti, ovvero l’Unione Nazionale delle Camere Penali, non ha mai indetto un solo giorno di astensione dalle udienze per protestare contro il degrado del nostro sistema carcerario. Si preferisce fare le barricate su temi "alti". Ma non si lotta su realtà concrete e illegittime come il carcere.

Una mancanza che contraddistingue sia gli avvocati che i magistrati. Infatti, la stessa critica può essere mossa anche ai magistrati e all’Associazione Nazionale dei Magistrati. Sì proprio a loro che, magari dopo aver scritto un ottimo provvedimento cautelare, si disinteressano poi del modo in cui quel provvedimento viene concretamente eseguito. È un’idea fissa di Radiocarcere: che Magistrati e Avvocati facciano una manifestazione nazionale per denunciare l’illegalità presente nelle carceri italiane.

Giustizia: Ferri (Csm); le pene alternative un rischio necessario

di Alessandro Corti

 

La Nazione, 18 settembre 2009

 

Il magistrato Cosimo Maria Ferri, membro del Csm, non nasconde i rischi connessi alle pene alternative. "Tuttavia - aggiunge - la Costituzione assegna alla pena anche una funzione rieducativa, sicché il compito delicato del magistrato di sorveglianza è di valutare se nel singolo caso la personalità del condannato consenta di mettere alla prova il suo comportamento nell’ambiente libero (pur con prescrizioni limitanti della libertà personale) al fine di favorirne il pieno reinserimento".

 

Insomma, dottor Ferri, i recenti fatti di sangue di Prato e Borgo S. Lorenzo sono casi isolati o sintomi di un cattivo funzionamento delle misure alternative.

"Nel complesso dall’entrata in vigore nel 1975, il sistema delle misure alternative ha tenuto molto bene: certamente ci sono stati anche casi eclatanti che devono tuttavia ritenersi isolati a fronte invece di innumerevoli altri casi in cui l’esecuzione della pena in forma alternativa al carcere ha consentito con pieno successo la risocializzazione del condannato".

 

Nell’attribuire la pena alternativa è evidente che il giudice applica la legge: non ritiene però che i certi casi, come quelli citati, ci sia stata una valutazione non troppo approfondita?

"Il rischio di un errore valutativo è indubbiamente insito nella natura stessa della funzione del magistrato di sorveglianza che è appunto quella di prevedere il comportamento futuro del condannato, una volta rimesso in libertà; tuttavia, conoscendo il metodo di lavoro della stragrande parte della magistratura di sorveglianza, posso affermare che tale rischio viene minimizzato mediante un’approfondita istruttoria dei fascicoli (ad esempio relazione dei servizi sociali, relazione degli operatori del carcere, informative di Ps) che consentono una valutazione adeguata della pericolosità sociale del condannato".

 

Il Csm si trova spesso a discutere su provvedimenti disciplinari nei confronti di giudici che hanno commesso questo tipo di errore?

"Vi sono stati casi (rarissimi) in cui il Csm è stato chiamato a pronunciarsi sulla correttezza deontologica dell’operato di quei magistrati che avevano concesso una misura alternativa nel corso della quale poi il condannato aveva reiterato una condotta delittuosa. In questi casi il Csm ha ritenuto di dover sanzionare in modo adeguato quei comportamenti in cui erano ravvisabili una superficialità e negligenza da parte del magistrato".

 

In conclusione secondo lei le pene alternative stanno svolgendo la funzione per la quale il legislatore le ha previste?

"Nel complesso il sistema delle misure alternative è riuscito a coniugare adeguatamente le esigenze di prevenzione sociale e di rieducazione del condannato. D’altronde proprio l’attuale problema del sovraffollamento carcerario rende ancora più urgente l’esigenza di garantire che l’esecuzione della pena non si trasformi in un trattamento disumanizzante ed inutilmente afflittivo e consenta al detenuto invece di rivedere criticamente le proprie scelte di vita devianti".

Giustizia: il lavoro in agricoltura per il "recupero" dei detenuti

 

Il Messaggero, 18 settembre 2009

 

Il lavoro agricolo rende più liberi, anche all’interno delle carceri, e può diventare occasione di riscatto nella vita, sia dentro, sia fuori le mura. Con questo spirito è nato il progetto "Agricoltura sociale e detenzione. Un percorso di futuro", presentato a Roma alla Festa nazionale dell’Altra Economia (promossa dall’assessorato al Bilancio della Regione Lazio in collaborazione con Aiab, Altromercato, Arci, Legambiente, Wwf, in programma a Roma fino al 20 settembre).

L’iniziativa, partita lo scorso dicembre, è stata realizzata da Aiab in collaborazione col dipartimento amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, Alpa, cooperativa Capodarco, Copa, garante detenuti Lazio, Inea, Rete fattorie sociali, Uila e con il finanziamento del Ministero del Lavoro. "Il problema delle carceri non va circoscritto ai soli addetti ai lavori, ma riguarda tutta la società. Per questo - ha detto Anna Ciaperoni, vicepresidente Aiab - abbiamo voluto occuparcene". Attualmente sono circa 50 gli istituti penitenziari che hanno un’attività agricola. A questi si devono aggiungere le aziende private che lavorano con le carceri. I detenuti occupati in attività agricola sono 372, il 2,8 per cento del totale, a cui si sommano i detenuti che lavorano con le aziende.

"Sono numeri modesti - ha detto Ciaperoni - a livello quantitativo, ma a livello qualitativo l’attività si è rivelata ad alta valenza educativa". "Oggi l’affollamento nelle carceri ha superato il livello di tollerabilità - ha detto Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti Regione Lazio -. In questo contesto la pena detentiva non è soltanto inutile, ma diventa dannosa per la società, perché i detenuti non compiono nessun percorso educativo. In questo ambito pensiamo che l’agricoltura , come il lavoro in genere, possa essere importante per recuperare le persone. Per rendere effettivi e incisivi questi progetti bisogna però investire in formazione e incentivare l’ingresso delle aziende nelle carceri, affinché i prodotti possano raggiungere il mercato e i detenuti possano lavorare realmente nella società".

Giustizia: la Uil protesta e chiede l'apertura di dibattito politico

 

Ansa, 18 settembre 2009

 

La Uil chiede l’apertura di un dibattito politico sulle condizioni del sistema penitenziario in Italia e ha organizzato una manifestazione per il 22 settembre prossimo a Roma, davanti a Montecitorio. Eugenio Sarno, segretario generale dell’organizzazione sindacale ha dichiarato che saranno sollecitati il ministro Alfano e l’intero governo "ad adottare misure e soluzioni urgenti per far fronte all’ingestibilità accertata della galassia penitenziaria. I 65mila detenuti, a fronte dei 43mila possibili, e il deficit organico, riconosciuto dallo stesso Alfano, di 5mila poliziotti penitenziari sono più che buone ragioni per essere in piazza a manifestare".

Considerata la necessità di far fronte ai limiti imposti dalla Questura in relazione al numero dei manifestanti la Uil Pa Penitenziari ha anche lanciato una campagna di adesioni virtuali per aderire alla protesta con una semplice telefonata oppure inviando una mail. Sarno Spiega che nel sito www.polpenuil.it saranno pubblicati gli elenchi aggiornati quotidianamente. Sarno ha spiegato che in circa tre mesi sono state portate a manifestare davanti ai grandi istituti penitenziari, oltre duemila persone. "Da Milano, Bologna, Napoli, Bari, Palermo e Cagliari si è levato unanime il coro di proteste della polizia penitenziaria che ha denunciato, e non smetterà di farlo, le afflittive, penalizzanti e insicure condizioni di lavoro e le indegne ed incivili condizioni della detenzione nei fatiscenti istituti penitenziari della Repubblica".

Giustizia: Giudice di pace nel caos, Csm chiede aiuto ad Alfano

di Luca Lippera

 

Il Messaggero, 18 settembre 2009

 

Alla fine se ne sono accorti anche nel palazzo. Dopo anni di denunce da parte dei cittadini, dei funzionari e dei giornali, il Consiglio Superiore della Magistratura si è reso conto che il caos del Giudice di Pace - una zattera nell’oceano in tempesta - deve finire una volta per tutte. Il plenum del Csm ha chiesto ieri che si intervenga per "assicurare la funzionalità dell’ufficio e per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini".

Il caos connesso ai ricorsi e alle cause per le multe, dunque, emerge in tutta la sua drammaticità. E il Csm ha approntato una delibera, approvata all’unanimità, in cui sollecita il Ministro Angelino Alfano, il presidente del Tribunale, quello della Corte d’Appello e il nuovo coordinatore del Giudice di Pace "a fronteggiare con adeguati mezzi l’emergenza in atto". La pratica, fanno sapere da Palazzo dei Marescialli, sede del Csm in piazza Indipendenza, "è originata da numerose proteste rilanciate anche da articoli di stampa".

Il ministro Alfano, già a primavera, aveva ricevuto dai vertici della Giustizia romana dettagliate relazioni sullo stato di salute pre-agonico degli uffici di via Teulada. Ma da via Arenula, fin qui, si è mosso poco o nulla. Anche il sistema telematico pensato per collegare il Giudice di Pace al Comune e alla Gerit è in ritardo.

Il Campidoglio e la concessionaria per la riscossione dei tributi hanno fatto la loro parte. È stata firmata un’intesa per far decollare il progetto. Ma sembra che proprio il Ministero continui a non fornire i mezzi, anche finanziari, che servono per far partire la rete informatica. Eppure si tratta di un punto centrale. Migliaia di Cartelle Esattoriali continuano ad essere spedite anche quando il cittadino ha vinto un ricorso perché non esiste un collegamento in tempo reale tra la sede di via Teulada, l’Ufficio contravvenzioni del Campidoglio e la Gerit stessa. Se ci fosse la rete (niente di spaziale nell’era di internet) tante liti verrebbero evitate e migliaia di romani non dovrebbero più consumare parte della vita in ricorsi senza alcun senso.

Gli stessi coordinatori del Giudice di Pace denunciano da mesi lo stato dell’arte. I magistrati onorari, i cancellieri e i segretari non fanno mistero che "ormai quello che accade in via Teulada è indegno di un luogo in cui si amministra la Giustizia". Eppure niente o quasi. Ora la speranza è che la mossa del Csm, un organismo presieduti, istituzionalmente, dal Presidente della Repubblica, possa smuovere le acque.

La pratica da cui parte la delibera che sollecita il ministro Alfano è stata istruita dall’Ottava Commissione consiliare sotto la presidenza del Consigliere Ciro Riviezzo e si è conclusa sotto la presidenza dell’Avvocato Celestina Tinelli. Nel corso delle audizioni effettuate sul Giudice di Pace, spiega una nota del Csm, sono risultate "carenze di personale amministrativo e insufficiente funzionalità dei programmi informatici a disposizione dell’ufficio".

Pur non avendo competenza diretta sulla organizzazione giudiziaria, il Consiglio Superiore della Magistratura - si sottolinea – "ha ritenuto che tali disfunzioni incidano direttamente sull’efficienza della giurisdizione, sui tempi del processo e sul diritto dei cittadini ad accedere al servizio giudiziario". La richiesta è pressante: "C’è l’urgenza di adottare misure adeguate a fronteggiare la situazione di emergenza in atto".

Palermo: carceri al collasso, detenuti saranno trasferiti a Noto

 

Ansa, 18 settembre 2009

 

L’amministrazione penitenziaria ha avviato un progetto per trasferire una parte dei detenuti delle carceri palermitane nel penitenziario di Noto (Siracusa). La decisione è stata presa dopo le proteste dei reclusi, avvenute nei giorni scorsi a causa del sovraffollamento delle carceri. L’Ucciardone ha una capienza di 522 posti, ma ospita 723 detenuti; al Pagliarelli, invece tutti i 1.210 posti disponibili sono occupati. La struttura di Noto, al contrario, ha 80 posti vuoti. "La Corte europea ha stabilito che la metratura minima per detenuto deve essere di 3 metri quadrati - ha detto Orazio Faramo, provveditore generale dell’amministrazione penitenziaria - Dobbiamo attenerci, perché rischiamo pesanti sanzioni". I trasferimenti dovrebbero iniziare tra due settimane.

La nuova sezione della casa di reclusione di Noto ha aperto il 22 luglio scorso. Il personale è composto di 30 unità di cui 2 nel ruolo di ispettore, 3 nel ruolo di sovrintendente e 25 nel ruolo di agenti assistenti che sarà attinto fino al 15 ottobre dalla Casa Circondariale di Agrigento. Dal 15 ottobre, invece, prenderà servizio il personale effettivo, attinto dalle mobilità a domanda, tratto dalle vigenti graduatorie del personale di polizia penitenziaria.

Milano: gli agenti; siamo su una polveriera pronta a esplodere

di Dario Crippa

 

Il Giorno, 18 settembre 2009

 

Al carcere di San Vittore di Milano va la palma del primo classificato: è quello in cui mancano più agenti (-298) ed è insieme quello in cui segnala il numero più alto di detenuti in esubero (660!). Non è però che negli altri diciannove carceri e case circondariali della Lombardia le cose vadano poi tanto meglio, come certificato da una recentissima indagine dei Radicali italiani. E neppure nel resto d’Italia.

"L’effetto indulto si è volatilizzato nel giro di appena sei mesi, e la Lombardia è la regione che soffre maggiormente il sovraffollamento" spiega Angelo Urso, segretario nazionale Uilpa Penitenziari. Il problema non sta però solo lì. Il problema è che l’intero sistema carcerario italiano sembra fare acqua da tutte le parti. "Manca personale, mancano fondi, non si fa più neppure la manutenzione ordinaria né straordinaria, non si fa la profilassi sanitaria, non si fa la derattizzazione nelle carceri - continua Urso -: il carcere si è trasformato in una discarica sociale che non piace a nessuno". Ecco allora la decisione della Uilpa Penitenziari.

Dopo una serie di manifestazioni itineranti nelle principali carceri italiane - l’ultima tappa ieri a Cagliari - si arriverà alla resa dei conti: una grande manifestazione nazionale il 22 settembre a Roma, in piazza Montecitorio. Dalla Lombardia è prevista la calata sulla capitale di almeno duecento agenti: già mobilitati due o tre pullman, che partiranno la sera prima dal carcere di Bollate.

Dalle 10 alle 13 del 22 settembre i manifestanti daranno vita a un sit-in di protesta in piazza Montecitorio. Il pacchetto delle rivendicazioni è corposo: le insicure, penalizzanti e afflittive condizioni di lavoro della polizia penitenziaria, costretta sistematicamente a straordinari e doppi turni; un’Amministrazione penitenziaria ritenuta "distante, immobile e silente"; "i troppi imboscati nei palazzi del potere"; le gravi carenze organiche del Corpo di polizia penitenziaria; l’insostenibile sovraffollamento e la fatiscenza delle strutture, che "determina condizioni detentive e di lavoro ai limiti dell’inciviltà e dell’illegalità" (oltre ventimila detenuti in più della reale capacità ricettiva, alle volte costretti a dormire addirittura per terra); i continui atti di violenza nei confronti degli agenti (800 sono stati feriti negli ultimi 18 mesi da detenuti spesso esasperati); il mancato pagamento dello straordinario e delle missioni.

Aggiunge Urso: "Chiederemo che il ministro alla Giustizia Angelino Alfano formalizzi il suo impegno. Bisogna ripianare una carenza di organico di cinquemila unità. Ci accontenteremmo che si rispettassero le piante organiche, peraltro insufficienti, stabilite nel 2001". Il sistema carcerario - ribadisce chi in quel mondo ci vive e lavora - è ormai al collasso, una sorta di polveriera pronta a esplodere. Non a caso la scorsa estate, uno dei periodi più difficili, si sono registrate tre evasioni, due delle quali proprio in Lombardia, a Voghera e a Monza.

"E il personale della polizia penitenziaria - fa notare il segretario generale della Uilpa - è andato a riprendere gli evasi di propria spontanea volontà, accollandosi anche ore su ore di indagini al di fuori del normale orario di lavoro. Questo sistema non può più reggere, non sono garantiti livelli di sicurezza accettabili. Ci troviamo a utilizzare mezzi di trasporto vecchi e usurati: veicoli che se fossero utilizzati da qualsiasi normale cittadino verrebbero immediatamente sequestrati. Le stesse officine in cui li portiamo ne sconsigliano la riparazione perché troppo sconveniente".

Ferrara: Sindacati Polizia penitenziaria si rivolgono al Prefetto

 

www.estense.com, 18 settembre 2009

 

Il prefetto Raimondo Provvidenza ha ricevuto ieri pomeriggio, alla presenza del direttore e del comandante del corpo provinciale di Polizia penitenziaria, una delegazione delle segreterie provinciali dei sindacati di polizia penitenziaria Cgil, Cisl-Fns, Fsa Cnpp, Osapp, Sappe, Siappe e Uil, preoccupati per i problemi che da tempo affliggono il personale in servizio nel carcere dell’Arginone, dove esiste anche una sezione per i collaboratori di giustizia.

Nel corso dell’incontro sono stati evidenziati in particolare i forti disagi causati dalla cronica carenza di organico, acuiti dalla perdurante situazione di sovraffollamento della struttura penitenziaria, dove convivono persone di culture ed etnie diverse. Gli agenti in servizio infatti sono attualmente 166 su un organico previsto di 232 e con una popolazione carceraria composta da circa 530 detenuti, di cui 293 stranieri, a fronte di 256 posti ottimali.

Secondo i responsabili dei sindacati, questa situazione si traduce in un eccessivo carico di lavoro per gli agenti, costretti a lavorare ben oltre il normale orario di lavoro anche per assolvere i frequenti e gravosi impegni connessi all’espletamento dei servizi con possibili, negative, conseguenze sulla sicurezza stessa del carcere. Il prefetto ha garantito il proprio interessamento e sostegno presso il Ministero di Giustizia.

Cagliari: Colonia penale Is Arenas; gli agenti sono allo stremo

 

La Nuova Sardegna, 18 settembre 2009

 

La Casa di reclusione di Is Arenas è a rischio implosione. La cronica carenza di personale in servizio, il costante aumento della popolazione carceraria e l’inadeguatezza delle strutture e dei servizi sono il mix di una situazione che si trascina da tempo e che, nonostante sia stata portata ripetutamente a conoscenza del ministero della Giustizia e delle sue dirette emanazioni istituzionali, va peggiorando sempre più.

La denuncia giunge dalla Fp-Cgil del Medio Campidano attraverso il segretario generale Caterina Cocco e il delegato Fp-Polizia penitenziaria della struttura carceraria, Sandro Atzeni: ancora una volta hanno segnalato al ministro Alfano e ai responsabili nazionali e regionali del dipartimento penitenziario in quali condizioni si trova la casa di reclusione di Is Arenas e in quali condizioni opera il personale interno di polizia penitenziaria, che non riesce neppure a godere delle ferie e dei recuperi.

La pianta organica è ancora quella del 2001 nonostante il servizio abbia subito sostanziali modifiche e non viene svolto non più su tre ma su quattro settori. Il personale, anziché essere aumentato in virtù dei diversi carichi di lavoro, è addirittura diminuito. Per dirla tutta - secondo quanto riferiscono i due rappresentanti della Fp-Cgil - un solo agente vigila su 150 detenuti della diramazione centrale, "determinando un evidente indebolimento della sicurezza di chi opera all’interno dell’istituto".

Il sovraffollamento è superiore a prima dell’indulto: oggi sono circa duecento i detenuti, prevalentemente extracomunitari (75 per cento) e tossicodipendenti (25 per cento), da gestire con personale e strutture inadeguati. Il carcere, con le due diramazioni aperte, è agibile per centoventisei detenuti, con soglia di tollerabilità di centosessantotto. Oggi a Is Arenas ce ne sono oltre duecento. Le celle, realizzate per poter ospitare cinque-sei reclusi, ne ospitano mediamente il doppio.

Pisa: i detenuti avviati al lavoro, grazie alla fattoria Don Bosco

 

Il Tirreno, 18 settembre 2009

 

Una parte della fattoria "Don Bosco" si trasformerà in comunità penitenziaria di reinserimento, grazie anche al contributo dell’amministrazione comunale che mette a disposizione gli immobili. I detenuti lavoreranno nella lavanderia della struttura. È emerso dal vertice istituzionale sui problemi del carcere convocato dal sindaco a palazzo Gambacorti per rispondere all’appello degli assessori regionali Salvadori e Rossi. Un vertice fra Regione, Società della salute, ministero di grazia e giustizia e direzione del "don Bosco".

C’erano il direttore del "Don Bosco", Vittorio Cerri, l’assessora comunale al sociale, Maria Paola Ciccone, la consigliera regionale Fabiana Angiolini, e la dottoressa Rossella Giazzi, del provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria, oltre, ovviamente, a Filippeschi e a Salvadori. Sono state delineate strategie condivise per sostenere i progetti di sostegno e reinserimento sociale dei detenuti in regime di esecuzione finale esterna.

La riflessione si è incentrata sul miglioramento del progetto di trasformazione, attualmente in corso, di una parte della fattoria "Don Bosco" in comunità penitenziaria di reinserimento. La cooperativa "Don Bosco", creata nel 1997, è una onlus che si occupa di reinserire una parte dei detenuti, i quali, in regime di esecuzione penale esterna, lavorano ai progetti di manutenzione del verde dei giardini della Provincia e dell’ospedale e dispone di alcuni immobili concessi in affitto simbolico dal Comune. Sono state esaminate le risorse per potenziare la ricettività e la funzionalità di queste strutture, incrementare il fine pena esterno, snellire le presenze in carcere, per invogliare i reclusi a partecipare all’opera rieducativa e accedere ai benefici del fin pena fuori. Su questo si è impegnato Salvatori.

Pisa: Garante dei diritti dei detenuti; 1 anno e mezzo nel limbo

 

Il Tirreno, 18 settembre 2009

 

Da un anno e mezzo il "Garante per i diritti delle persone private della libertà personale", Andrea Callaioli, opera in regime di proroga verbale e a titolo gratuito. Oggi in consiglio comunale si discute l’impedimento per il quale sono state bloccate le prime due mensilità del 2008. E l’opposizione intende approfittarne per sollecitare la soluzione del problema. L’avvocato Callaioli fu nominato nel 2007, dall’allora sindaco Paolo Fontanelli, come garante per i detenuti nel carcere "Don Bosco".

La sua remunerazione era equiparata a quella dei consiglieri comunali; quando per questi ultimi c’è stato il cambio da indennità di funzione a gettone di presenza, per un problema tecnico, altrettanto non è stato fatto per Callaioli. A febbraio 2008 Fontanelli si è dimesso, facendo automaticamente decadere il mandato del Garante, il quale più volte è stato incoraggiato a voce nel continuare il suo impegno.

Il consigliere Sandro Modafferi (Sinistra Arcobaleno) proporrà nel pomeriggio di ritirare dall’ordine del giorno il punto previsto, al fine di dare alla coalizione di governo altro tempo per trovare una via d’uscita. Ricorda che "nel programma di Filippeschi si dava grande importanza proprio al garante e al difensore civico; e su queste due figure si è arenata la maggioranza". Il suo capogruppo, Maurizio Bini, più volte ha tentato di far discutere il consiglio comunale su questa vacanza di ruolo e prepara le mosse successive: "Se ci ignorano anche oggi, andremo avanti "armati"; la legge ci consente di raccogliere firme per inserire un argomento".

Gli dà man forte il consigliere Filippo Bedini (Pdl), che sul caso ha tenuto ieri mattina una conferenza stampa: "Non hanno il coraggio di riconfermare Callaioli, né di fare un bando: ogni volta che c’è una nomina, tra loro scoppia un bubbone." Eppure Callaioli ha lottato a lungo per i diritti delle persone private della libertà personale battendosi soprattutto sulle problematiche relative al sovraffollamento e denunciando la diffusione dei casi di tbc in carcere.

Udine: i Socialisti del Pdl; esprimiamo solidarietà per i detenuti

 

Il Gazzettino, 18 settembre 2009

 

I Socialisti del Popolo della Libertà sono solidali con i detenuti che, in questo momento, protestano per l’emergenza sovraffollamento che si è creata anche nelle carceri del Friuli Venezia Giulia. Nel carcere di Udine, in via Spalato, mancano gli spazi fisici. In celle di pochi metri quadrati vivono anche otto persone accatastate una sopra l’altra in condizioni igieniche precarie ultimamente peggiorate in virtù di una paradossale ordinanza che ha sospeso, in questi mesi estivi, la fornitura di lamette, spazzolini, sapone per bucato.

Nel contempo, però, invitiamo la popolazione carceraria a desistere da forme di protesta violenta che peggiorano la situazione che deve essere affrontata, invece, con immediatezza, responsabilità e serenità da parte della politica. Il problema del sovraffollamento delle carceri non si risolve né con gli indulti né con le amnistie, né con le facili scarcerazioni, ma, tenendo fede alla certezza della pena, con la costruzione di nuovi carceri recuperando le strutture dismesse, con l’istituzione di pene alternative al carcere per i reati medio piccoli per i quali sono previste condanne fino a quattro anni.

Al centro della riforma carceraria noi mettiamo il detenuto come persona che deve avere la possibilità, dopo avere sbagliato, di recuperare la sua dignità, di riscattarsi. La pena non deve essere pura repressione, perché come tale produce solo rancore, odio e altra violenza, ma deve essere rieducativa come recita l’articolo 27 della nostra Costituzione. Il lavoro è uno dei mezzi più efficaci per far sentire il detenuto parte attiva della società.

Vanno promossi, pertanto, vantaggi economici per quelle imprese pubbliche, private, cooperative che intendono avviare un’attività all’interno di un istituto di pena. Va potenziata la formazione di squadre di volontari di detenuti per lavori socialmente utili. Vanno avviati nei penitenziari dei monitoraggi per definire le singole attitudini dei detenuti e per avviare dei corsi di formazione professionale riguardo tutti i settori economici, ma in particolare le attività artigianali e quelle delle aziende agricole e della viticultura friulana. Solo il lavoro riabiliterà il detenuto agli occhi degli altri, faciliterà il suo futuro inserimento nel corpo sociale e diminuirà il tasso di recidiva. I detenuti in un Paese civile devono costituire una straordinaria risorsa e non un inutile peso.

 

Lauretta Iuretig, segretario regionale Nuovo Psi Udine

Napoli: Fucito (Prc); rispettare il diritto alla salute dei detenuti

 

Ansa, 18 settembre 2009

 

Il diritto alla cura e al recupero della condizione di salute prescinde da colpe o sentenze. Allarma come in questo Paese nulla si dica delle tante morti che si consumano nelle carceri’. Lo ha detto in una nota il consigliere comunale di Napoli del Prc, Sandro Fucito, a proposito del detenuto con gravi problemi di salute Carmine Izzo, che sta scontando la sua pena nel carcere di Secondigliano.

Apprendiamo con grande amarezza - ha aggiunto Fucito - che il carcere ha dichiarato solo dopo l’ulteriore e grave peggioramento delle condizioni di salute di Izzo di non poter assistere e curare il detenuto. Fucito ha spiegato che il detenuto è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico e che attualmente è in rianimazione nel secondo Policlinico di Napoli.

A quelli che si dicono estremi difensori della vita - ha aggiunto Fucito - dico che non hanno lo stesso rispetto per i detenuti e che si ignora la Costituzione italiana che prevede la pena detentiva come strumento di riabilitazione e restituzione alla vita sociale. Mi auguro che anche in questo caso si potrà parlare di restituzione alla società, poniamo alle istituzioni locali e nazionali questo caso apparentemente brutale e incomprensibile di violenza di Stato, ha concluso Fucito.

Venezia: in Giudecca le detenute imparano a coltivare la terra

 

Il Velino, 18 settembre 2009

 

La Casa di Pena della Giudecca, carcere femminile di Venezia, un ex convento con annesso un tipico orto veneziano di oltre 6.000 mq, offre alle detenute la possibilità di poter stare a contatto con la natura nonostante la reclusione e imparare a coltivare la terra, vendendo poi all’esterno i prodotti raccolti.

Da oltre 10 anni Veneto Agricoltura collabora con la cooperativa sociale "Rio Terà dei Pensieri" che si occupa del reinserimento lavorativo e sociale delle detenute, attraverso il sostegno e la formazione in "campo": dal 1995 l’Azienda regionale e la cooperativa hanno avviato con fondi pubblici una sperimentazione produttiva sull’orto del carcere, allestendo serre con una copertura di circa 500 mq e realizzando un impianto di irrigazione computerizzato per la gestione ottimale della risorsa idrica in un’ottica di promozione dell’agricoltura ecocompatibile. Inoltre, mediante il proprio centro sperimentale "Po di Tramontana" di Rosolina (RO), Veneto Agricoltura dona alla cooperativa, a fini di sperimentazione, materiale vegetale (piantine, semi, etc.) e presta un servizio di assistenza tecnica nelle fasi critiche della coltivazione, della manutenzione e gestione degli impianti.

L’approccio sostenibile e a basso impatto sperimentato in questi anni ha fatto recentemente ottenere all’orto circondariale della Giudecca anche la certificazione biologica: prodotti garantiti e di alta qualità che le stesse detenute vendono tramite un banco allestito nei pressi del carcere, i cui guadagni premiano il lavoro sull’orto delle detenute, integrando in tal modo le "borse di lavoro" erogate dal Comune di Venezia a sostegno dell’iniziativa. Per conoscere più da vicino questo lodevole progetto di reinserimento, sabato 19 settembre verrà organizzata presso il carcere la "Festa dell’Orto": dalle ore 9.30 e per tutta la mattinata sarà possibile visitare i campi e le serre coltivate, i laboratori di cosmesi, e si potranno comprare i prodotti artigianali realizzati dalle stesse detenute.

Agrigento: il sindaco di Lampedusa; mi batterò per i carcerati

 

www.livesicilia.it, 18 settembre 2009

 

"Sono notorie le crociate che ho portato avanti anche contro i progetti sugli immigrati delle autorità governative. Il cruccio che mi resta è capire perché abbiano voluto arrestarmi". Dopo l’arresto con l’accusa di concussione, parla il sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis: nell’intervista, una delle esclusive contenute nel prossimo numero di "S", il magazine che guarda dentro la cronaca, in edicola da domani, sabato 19 settembre, il primo cittadino si definisce vittima di un "complotto": "L’arresto - afferma - non era necessario. Con un capo d’accusa come quello che mi è stato addebitato la carcerazione non è obbligatoria, se non in flagranza di reato. Un sindaco che finisce dietro le sbarre, specie se poi ne esce dopo una manciata di settimane, deve ricostruire la sua identità. È un colpo durissimo da sopportare e di questo niente e nessuno potrà risarcirmi".

Intanto De Rubeis, accusato da due imprenditori di Agrigento - Sergio Vella, che opera nel settore dei rifiuti, e Massimo Campione, che opera in quello dell’edilizia - di avere preteso mazzette per velocizzare alcune pratiche, ha ripreso le funzioni di sindaco e ha già proceduto a un rimpasto di giunta. Ma del carcere ha conservato un ricordo pessimo: "Una struttura che può contenere meno di 200 carcerati - spiega - a Ferragosto ne conteneva oltre il doppio. Ciò significava una media di una doccia ogni 90 detenuti. Un allarme su cui non si può soprassedere. L’ho promesso ai miei amici carcerati".

Teatro: nonostante le difficoltà, detenuti si riprendono la scena

 

Redattore Sociale - Dire, 18 settembre 2009

 

Quinta edizione della rassegna promossa dall’associazione "Il Carcere Possibile Onlus". Spettacoli rappresentati all’esterno del carcere dai detenuti che seguono i laboratori teatrali. Denuncia le gravi condizioni delle carceri napoletane.

Si terrà dal 22 al 25 settembre al teatro Mercadante di Napoli la quinta edizione della rassegna teatrale promossa dall’associazione "Il Carcere Possibile Onlus", dalla Camera penale di Napoli in collaborazione con il teatro Mercadante e l’amministrazione penitenziaria regionale. Gli spettacoli sono rappresentati all’esterno del carcere dai detenuti che seguono i laboratori teatrali all’interno dei penitenziari. Quest’anno la kermesse prevede 7 spettacoli ad ingresso gratuito e coinvolge gli istituti penitenziari di Poggioreale, Secondigliano, Pozzuoli, l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, l’istituto penale minorile di Nisida, gli istituti di Benevento e Lauro. Tutte le rappresentazioni si terranno al Mercadante, teatro stabile della città, tranne l’ultimo che verrà messo in scena presso la casa circondariale di Pozzuoli.

"Siamo contenti di essere riusciti anche quest’anno a realizzare la rassegna - sottolinea il presidente di Carcere Possibile Onlus Riccardo Polidoro - nonostante le notevoli difficoltà che il mondo carcerario sta attraversando, problemi che attengono sia al sovraffollamento sia alla presenza di un governo che non decide e che propone cose inattuabili. Riteniamo inutile che i politici vadano a visitare le carceri senza poi prendere decisioni. Peraltro a Napoli abbiamo denunciato le condizioni di vita di Poggioreale alla Procura della Repubblica e chiesto di conoscere i risultati delle ispezioni che due volte all’anno le Asl effettuano nei penitenziari. Con le attuali condizioni igienico sanitarie ci chiediamo come mai gli istituti siano ancora aperti. Per noi l’unica alternativa possibile rimangono le misure alternative alla detenzione che peraltro hanno una prospettiva di recidiva bassissima rispetto alla normale detenzione che invece ne produce il 70%".

La rassegna prende il via martedì 22 alle 20 con lo spettacolo "La giostra, l’eccezione è la regola", di Brecht con la regia di Gesualdi/Trono. Preparato con gli ospiti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, vuole porre l’attenzione di chi si trova ai margini e non rientra in nessuna categoria sciale sicura, e pur volendo riscattare dai propri errori, si trova solo ad affrontare un deserto di diffidenza e sospetto. Si prosegue il 23 alle 18,30 con "Ragazzi di vita", liberamente adattato all’opera di Pasolini con i ragazzi dell’istituto di Airola, insieme all’associazione teatrale "I Refrattari". Il dramma, ruota intorno a un gruppo di amici che vivono il passaggio dall’adolescenza alla prima gioventù, vivendo di espedienti, di truffa e di paura. Sempre mercoledì 23, alle ore 20, organizzato dalla casa Circondariale di Poggioreale, "E non si era d’autunno. Libertà un po’", un progetto a cura di Patrizia Giordano.

In programma, giovedì 24, alle ore 18.30, "O cunto d’o quatto ‘e coppe", un progetto firmato da Pino Turco e rappresentato dai ragazzi dell’Istituto di Eboli. Dopo una prima parte in cui i gli attori raccontano in modo drammatico le loro storie personali, gli stessi diventano voce di chi non c’è più come gli oltre 600 passeggeri di un treno uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio il 3 marzo del 1944 e che solo oggi vengono ricordati da ragazzi che provengono dalle stesse zone di quelle vittime dimenticate.

Alle ore 20, ancora di giovedì 24, l’Istituto di Benevento e l’associazione Agita Teatro presenterà "Angeli", un progetto di Salvatore Guadagnuolo per coro, voci e letture dall’Odissea di Omero e Ubu Re di A. Jarry, per parlare di libertà, voluta, inseguita, tradita, omessa o ingannata.

Venerdì 25, alle ore 20, l’Istituto di lauro e la Compagnia "I Liberanti", in "Otello o Jago. Viaggio in mare di uomini nella tempesta", un progetto di Antonella Monetti realizzato con l’aiuto di Tonia Garante e Rosario Esposito La Rossa. Due uomini in navigazione persi nella tempesta che raccontano le proprie storie e ancora non sanno se e quando potranno approdare in porto.

Ultimo appuntamento lunedì 28, alle ore 15.30, nella Casa Circondariale di Pozzuoli. Gli Istituti di Pozzuoli e di Secondigliano e Maniphesta Teatro presentano "Maria Stuarda", liberamente ispirato all’omonima opera di Dacia Maraini. A cura di Alessandra Di Castri e Giorgia Palombi per due regine, una libera, l’altra prigioniera ma entrambe sole.

Cinema: Cella 211, di Daniel Monzòn; tutto il mondo è prigione

di Federica Bosi e Francesca Carpi

 

www.loudvision.it, 18 settembre 2009

 

Villa degli Autori, sabato mattina. Il vento è talmente forte che solleva le tovaglie dai tavoli. Davanti a noi, in maglietta Vespa e jeans, è seduto Daniel Monzòn, regista di "Celda 211".

 

Durante la presentazione del film alla giornata degli Autori hai detto che "Celda 211" è stato ispirato da un libro, quale?

È un libro di Francisco Perez Gandul che non è stato tradotto all’estero. Il titolo è lo stesso, l’ho letto in una notte e me ne sono innamorato. La situazione di partenza e gli snodi principali sono uguali, ma la fine è molto diversa: ho cambiato i dialoghi e ho eliminato le anticipazioni per creare più tensione. Il risultato è un film parecchio diverso dal libro, ma Francisco l’ha visto e gli è piaciuto molto.

 

Colpisce il realismo del film, non c’è nulla di esagerato...

Assolutamente. La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di eliminare tutto ciò che potesse sembrare finto: abbiamo visitato le carceri, intervistato i detenuti, abbiamo cercato la forma del documentario. Non avrebbe avuto senso fare l’ennesimo film di genere in stile americano, quella che ci interessava raccontare era la storia di Juan.

 

Hai anche detto che la prigione può essere considerata come un condensato del mondo esterno, una sorta di mp3 della società: lo puoi spiegare meglio?

È così, nel carcere c’è tutto: il leader, il ribelle, il traditore, ci sono i litigi, le amicizie. Una cosa importante, di cui mi sono reso conto visitando le prigioni, è la scarsa considerazione che il mondo ha per i detenuti: sono qualcosa di scomodo, da nascondere dietro a spesse mura. In realtà c’è gente molto più pericolosa di loro che ha abbastanza soldi per comprarsi la libertà.

 

È una specie di scala sociale: in basso stanno i detenuti, un po’ più su le guardie, quindi il direttore fino al governo ecc... ma chi è all’apice? Sono i media che controllano tutto?

Eh si, bella domanda! I secondini mi hanno raccontato che il modo migliore per evitare disordini tra i detenuti è quello di piazzare un grande televisore in prigione: stanno tranquilli come bambini. A parte questo, è vero, è una scala sociale. Ciascun livello aspetta ordini da quello superiore, è incapace di agire in modo autonomo. Il problema è che molto spesso questi ordini non arrivano mai, è un’attesa assurda e infinita.

 

Al centro del film c’è lo stravolgimento che subisce la vita di Juan nel giro di trenta ore. Credi che cambiamenti del genere siano frutto di precise scelte morali o della contingenza?

Noi crediamo di essere bravi e felici per merito delle scelte che abbiamo compiuto, ma la verità è diversa: siamo così in base a ciò che ci succede. Juan, perdendo tutto, scopre una nuova parte di sé, più crudele, istintiva; Malamadre compie un percorso analogo ma inverso. È un viaggio nel cambiamento, una scoperta progressiva di sé che avviene non per scelta, ma per contingenza.

 

Juan è aiutato dalla sua cultura a farsi strada nella prigione. Hai avuto l’impressione che il potere approfitti dell’ignoranza dei detenuti per non avere troppi problemi?

Certo, Juan emerge tra i detenuti perché sa scrivere, perché sa parlare, perché per lui si tratta di una questione di vita o di morte. Proprio per questo piace così tanto a Malamadre, che, al contrario, è arrabbiato e spietato, ma anche ingenuo. Se consideriamo il film come una parabola del mondo, il fatto di non avere strumenti per migliorare la propria condizione è una grave mancanza che spesso qualcuno sfrutta.

 

Il protagonista, Alberto Ammann, è alla sua prima esperienza cinematografica; è un attore di teatro?

No, è incredibile ma la sua unica esperienza precedente è stata una piccola parte nell’episodio pilota di un telefilm. È assolutamente naturale, sembra nato per recitare, dalla prima ripresa ho capito che sarebbe stato perfetto. Ha la capacità d’apparire credibile sia come bravo ragazzo che come violento.

Immigrazione: Letizia Moratti; giudici che non applicano le leggi

di Francesco Spini

 

La Stampa, 18 settembre 2009

 

Davanti ai leghisti riuniti a Cassina Anna, periferia nord di Milano, dove si inaugura la festa provinciale del Carroccio, il sindaco di Milano Letizia Moratti fa di tutto per strappare applausi padani. Definisce i leghisti "alleati preziosissimi" e, - nel corso del dibattito a cui partecipa anche il primo cittadino di Verona Flavio Tosi - la butta in polemica.

Coi giudici, anzitutto. Dice infatti il sindaco: "Il decreto sicurezza ha consentito a Milano di emettere una serie di ordinanze su droga, alcol, prostituzione... In questo rispetto delle regole gioca un ruolo importante anche la magistratura". Ecco, succede che "le ordinanze e gli interventi della polizia, a volte possono essere vanificate da interpretazioni di magistrati

che purtroppo lasciano liberi cittadini che hanno commesso dei reati. A noi capita tantissime volte di fermare e denunciare cittadini che hanno- compiuto dei reati e che invece sono poi stati sì fermati dalle forze dell’ordine ma poi rilasciati dalla magistratura". Insomma, così facendo "si vanifica tutto il lavoro che faticosamente le forze dell’ordine stanno facendo.

Mi sembra che questo, purtroppo, valga anche per il reato di clandestinità: abbiamo già cominciato a vedere interpretazioni che non tengono conto del fatto che la clandestinità, per legge, è reato". Applausi per la sindachessa che, mentre ride divertita alle traduzioni in dialetto milanese che dei suoi interventi fa Tulio Montanari, cerca sponde in casa Lega anche per la sua ricandidatura a sindaco.

"Credo di essere sostenuta da una maggioranza che sento come la mia maggioranza. Non vedo perché il percorso per il 2011 dovrebbe essere diverso" da quello che l’ha portata a Palazzo Marino la prima volta. Racconta della sua sintonia con Bossi che nasce dai tempi della Rai e spiega che "della Lega ho sempre apprezzato i suoi valori, il radicamento sul territorio, la centralità della famiglia, il rispetto della storia e della tradizione. Per me la Lega è un alleato preziosissimo".

Con cui "abbiamo sempre affrontato i problemi con il buonsenso che è la grande caratteristica della Lega, sempre vicina ai problemi delle persone e lontana dal teatrino della politica...". La deve interrompere l’eurodeputato Matteo Salvini ("sindaco, non esagerare, che poi nel Pdl si offendono"), quello della boutade sui posti in tram riservati ai milanesi. E che oggi Donna Letizia assolve: i "pungoli" come i suoi sono "il sale della democrazia". Insomma piena sintonia, anche quando parla di moschee perché "tra il riconoscimento del diritto di culto e il dover concedere aree c’è differenza".

Francia: le leggi antiterrorismo, che ledono i diritti dei detenuti

di Gabriella Mira Marq

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 18 settembre 2009

 

La procedura penale francese andrebbe riformata nel senso delle garanzie perché la legislazione antiterrorismo francese - usata e abusata - limita i diritti dei detenuti.

Lo affermano Judith Sunderland e William Bourdon, di Human Rights Watch, evidenziando casi di detenuti interrogati per decine di ore dopo l’arresto, senza la presenza di un avvocato e senza sapere che avevano il diritto di restare in silenzio. Un trattamento che comporta privazione del sonno, disorientamenti e intensa pressione psicologica ed è realizzato in nome delle leggi antiterrorismo francesi, che permettono di detenere per 4 giorni (estensibili a 6) i sospetti di terrorismo, i quali possono vedere un avvocato soltanto dopo due giorni e solo per 30 minuti. Se il detenuto - durante interrogatori di durata ‘record’, sottolineano i due esperti di diritti umani, si attiene al suo diritto di tacere, gli vengono negati i contatti con la famiglia e gli amici.

Il Comitato Léger, che ha avuto il compito di disegnare i contorni di una vasta riforma di procedura penale e che ha rilasciato la sua relazione finale il 1° settembre scorso, propone adeguamenti dei diritti delle persone detenute in custodia della polizia non ancora sufficienti, né applicabili a tutti, il che lascia ancora la Francia molto al di sotto dei suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani.

Il Comitato propone riforme dei normali procedimenti penali che permetterebbero ai sospetti di vedere un avvocato dopo 12 ore in stato di detenzione, anziché le attuali 24 ore, oltre a una visita all’inizio della detenzione. L’avvocato avrebbe accesso alle trascrizioni degli interrogatori dopo dodici ore e, se il fermo di polizia è prorogato oltre le 24 ore, l’avvocato sarebbe presente durante gli ulteriori interrogatori. Con la riforma, i sospetti di traffico di droga sarebbero in grado di vedere un avvocato per la prima volta dopo 48 ore, un giorno prima di quanto consentito dalla normativa vigente. Quando si tratta di casi di terrorismo, tuttavia, la commissione ha escluso eventuali modifiche al regime di fermo di polizia per timore che il sistema giudiziario sia reso "pericolosamente impotente."

Eppure - affermano i due esperti di Hrw - non vi è alcun motivo di ritenere che un’indagine condotta correttamente sarebbe compromessa dal fatto di garantire che i sospettati di terrorismo mantengano il diritto ad un’adeguata difesa. Qualsiasi sistema di giustizia deve essere misurato non solo dalla sua efficienza, ma anche dalla sua equità. Per un processo equo, trattati internazionali vincolanti, come la Convenzione europea sui diritti dell’uomo ed il Patto internazionale sui diritti civili e politici, richiedono che tutte le persone sospettate o accusate di un reato abbiano il diritto di difendersi e l’accesso ad un avvocato durante il fermo di polizia e il diritto di rimanere in silenzio sono parte integrante di tale diritto.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il Regno Unito per violazione della Convenzione europea quando ha negato l’accesso a un avvocato per 24 ore di interrogatorio in indagini sul terrorismo, perché i diritti della difesa potrebbe essere "irrimediabilmente compromessi" in quel momento. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha esortato la Francia, nel luglio del 2008, a garantire che i sospetti di terrorismo abbiano accesso a un avvocato "senza indugio", comunicando loro il diritto a rimanere in silenzio durante l’interrogatorio e di essere portati "al più presto" dinanzi a un giudice.

Un rapido accesso a un avvocato - sottolineano i due esponenti di Human Rights Watch - è anche una garanzia fondamentale contro la tortura e i maltrattamenti, che - in assenza di un legale - si sono invece verificati in Francia, come evidenziato dalla indagine dell’organizzazione riguardo alle leggi antiterrorismo e alle procedure in Francia, dove ha appreso di violenze fisiche e di altri maltrattamenti su persone in custodia della polizia. È per questo che, dal 1996, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha sollecitato più volte la Francia affinché consenta a tutti indagati nella custodia della polizia di vedere un avvocato fin dall’inizio della detenzione.

Israele: sono oltre ottomila i prigionieri palestinesi nelle carceri

 

Agi, 18 settembre 2009

 

Attualmente il numero di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane si aggira attorno alle 8.200 unità, di cui 51 donne e 326 minorenni. 398 sono i prigionieri sottoposti a detenzione amministrativa e 2.151 quelli in arresto temporaneo, perché in attesa di processo.

È quanto emerge da un rapporto elaborato dal ministero per gli Affari dei detenuti del governo palestinese, ripreso in questi giorni dal quotidiano panarabo Dar al-Hayat. Gli oltre ottomila palestinesi - afferma il rapporto - sono reclusi in una ventina di prigioni e centri di detenzione, dove vivono in "condizioni disumane".

La detenzione non ha limiti in termini di sesso ed età, ma riguarda indistintamente uomini e donne, anziani e bambini. "Dal 1976 a oggi - si legge nel documento - le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 750mila palestinesi; tra questi 12mila donne e decine di migliaia di bambini". Arrivando a tempi più recenti, il rapporto afferma che "dall’inizio dell’intifada di al-Aqsa, il 28 settembre 2000, gli arresti sono stati 69mila, tra cui 800 donne e 7.800 bambini".

Uganda: destino incerto per i prigionieri nel braccio della morte

 

Ansa, 18 settembre 2009

 

16 settembre 2009: nel carcere ugandese di Luzira sono rinchiuse 17 persone condannate a morte per reati commessi quando avevano meno di 18 anni, rende noto un Rapporto presentato a Kampala dalla Fondazione per l’Iniziativa sui Diritti Umani.

In base alla legge, i minori di 18 anni non possono essere giustiziati, tuttavia alcuni di questi 17 prigionieri sono oggi adulti, trovandosi in prigione da 12 anni. La loro sorte può ora essere decisa solo dal Ministro della Giustizia.

Nel caso di questi prigionieri non è però ancora chiaro se il Ministro ordinerà la loro esecuzione, considerando che alcuni di loro sono oggi adulti, o se li farà rilasciare.

Frank Baine Mayanja, portavoce dell’amministrazione penitenziaria, fa sapere che l’istituzione cui appartiene non ha il potere di decidere la sorte di questi prigionieri. "Alcuni di loro sono diventati adulti. Il Ministro ci ordinerà di impiccarli considerato che oggi sono adulti? Farà scontare loro l’ergastolo? Li libererà?", si chiede Baine. "Stiamo aspettando, sinceramente da molto tempo".

In base al Rapporto il Ministro avrebbe dichiarato di essere al lavoro con la magistratura per risolvere la questione in tempi rapidi. Il Rapporto fa risalire i casi in questione al 1997, rendendo difficile risalire ai giudici che hanno emesso le condanne a morte. In ogni caso, aggiunge, i giudici potrebbero non ricordare i dettagli di ciascun caso. Il Rapporto chiede al Ministro di agire in modo tale da risparmiare ai prigionieri l’angoscia dell’attesa.

Livingstone Ssewanya, direttore esecutivo della Fondazione, ha evidenziato che la Legge sui Minori prevede che dei minorenni condannati a morte debbano occuparsi la famiglia ed il tribunale dei minori. Ssewanya ha anche espresso rammarico circa il ritardo della decisione del Ministro, che ha privato i prigionieri di misure correttive.

Birmania: buona condotta e motivi umanitari; 7.114 amnistiati 

 

Ansa, 18 settembre 2009

 

La giunta militare del Myanmar concederà un’amnistia a 7.114 detenuti in tutto il Paese per buona condotta e motivi umanitari. L’annuncio è stato dato dalla televisione di Stato, anche se non è ancora chiaro se tra i beneficiari del provvedimento ci saranno anche dei prigionieri politici. L’ultima amnistia concessa dalla giunta risale allo scorso mese di febbraio, quando 6.313 prigionieri, per lo più criminali comuni ma anche una ventina di oppositori politici, furono rilasciati.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si aspettava da luglio questo provvedimento, una manovra che permetterà agli ex detenuti di partecipare alle elezioni politiche, le prime in vent’anni, in programma per il prossimo anno. Soltanto ieri Human Rights Watch aveva lanciato una campagna per il rilascio di tutti i prigionieri politici, il più noto dei quali è il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani ritengono che negli ultimi due anni il numero degli oppositori imprigionati, che comprende anche partecipanti a pacifiche manifestazioni a favore della democrazia, sia più che raddoppiato, arrivando a oltre 2.200.

Cuba: dopo 50 anni ora si potrà celebrare la Messa nelle carceri

 

www.zenit.org, 18 settembre 2009

 

Dopo 50 anni di divieto, il Governo guidato da Raúl Castro Ruiz ha dato il via libera questo mercoledì alla celebrazione in modo regolare dell’Eucaristia nelle prigioni dell’isola caraibica, dove ci sono migliaia di prigionieri cattolici.

La Chiesa cattolica ha espresso la propria soddisfazione per questa iniziativa del Governo castrista, che aveva proibito le Messe appena salito al potere a Cuba, mezzo secolo fa. Il segretario esecutivo della Conferenza Episcopale Cubana, il sacerdote José Félix Pérez, ha detto che si tratta di una questione su cui si stava lavorando e che esiste una canale aperto di comunicazione con il Governo che ha favorito la decisione. Anche se ci sono dettagli ancora da definire, il segretario esecutivo dell’episcopato cubano ha sottolineato che il sollevamento del divieto "è reale e ci rallegriamo che sia così". La possibilità di realizzare funzioni religiose nelle prigioni di Cuba si estende anche alle Chiese evangeliche.

Negli ultimi mesi si è lavorato, soprattutto da parte della pastorale penitenziaria della Chiesa cattolica, all’apertura di servizi religiosi per i prigionieri - alcuni dei quali per reati d’opinione - nelle carceri cubane. In realtà Vescovi e sacerdoti avevano già celebrato Eucaristie nelle prigioni, ma solo in date specifiche. Il divieto di celebrare ogni settimana è quello che dovrebbe essere eliminato. "Ora (la celebrazione delle Messe) sarà permessa in via permanente, ma questa permanenza dipenderà un po’ dai luoghi", ha affermato padre Pérez, aggiungendo che "i sistemi carcerari provinciali hanno i propri regolamenti. Dipenderà da dove si trovano i reclusi che chiedono la celebrazione della Messa".

 

 

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