Rassegna stampa 20 ottobre

 

Giustizia: Consulta su Lodo Alfano; serve legge costituzionale

di Liana Milella

 

La Repubblica, 20 ottobre 2009

 

Tempi record per la Consulta sul lodo Alfano. In soli dodici giorni, dalla decisione del 7 ottobre, la Corte ha reso pubbliche ieri sera, a tardissima ora, e dopo una lunga camera di consiglio, le motivazioni della sentenza scritte dal giudice relatore, il tributarista Franco Gallo, con cui ha bocciato lo scudo che congela i processi per le quattro più alte cariche dello Stato. Nessuna sorpresa sugli schieramenti, restano a favore dello stop alla legge nove dei 15 alti giudici. I sei che avrebbero voluto tenere in vita il lodo hanno espresso ancora le loro ragioni durante la riunione in cui non è mancato un nuovo scontro tra favorevoli e i contrari. A cominciare da Luigi Mazzella, il giudice che a maggio invitò a casa sua a cena Berlusconi assieme al Guardasigilli Alfano e al sottosegretario Letta. Con loro anche Paolo Maria Napolitano, altro giudice eletto per il centrodestra dalle Camere.

Sentenza "pesante" quella della Consulta, ben 58 pagine in punto di diritto che spiegano come per "derogare" all’articolo della 3 della Costituzione - "la legge è uguale per tutti" - sia necessario servirsi di una norma di rango costituzionale. Il lodo Alfano attribuiva una "prerogativa" ai quattro presidenti (Repubblica, Senato, Camera, Consiglio dei ministri) "in deroga" alla Carta. Al Parlamento la Consulta indirizza un messaggio chiaro: come per tutte le altre "deroghe" già previste in Costituzione per le immunità di deputati e senatori (articolo 68), per i reati commessi dal capo dello Stato (articolo 90) e per quelli ministeriali (96), serve uno strumento di pari preso rispetto alla Carta da cui ci si allontana.

Alle accuse del Cavaliere che rimprovera la Corte di aver cambiato idea rispetto alla sentenza del gennaio 2004 che bocciò il precedente lodo Schifani perché violava gli articoli 3 (diritto di uguaglia) e 24 (diritto alla difesa) della Carta ma, a detta del premier, senza parlare della necessità di una legge costituzionale, gli alti giudici replicano sostenendo che non c’è "discontinuità" tra la prima bocciatura e quella di oggi perché nel 2004 il problema della legge costituzionale fu ritenuto "assorbito" dalle altre questioni.

La tempestività della sentenza influirà sulle riforme della giustizia, non solo sulla voglia di tornare all’immunità parlamentare, ma soprattutto sulle norme ad personam per salvare Berlusconi dai suoi processi. In specie la voglia di regolare per legge il legittimo impedimento di un parlamentare, e quindi anche delle altre cariche, dandogli la possibilità di non presentarsi in aula. La Corte su questo è chiara: non solo le norme già esistono, e quindi non c’è bisogno di una legge, ma riguardano effettivi impegni istituzionali, appuntamenti di Stato, e non certo la mera attività politica. Berlusconi può non andare a Milano per i processi Mills e diritti tv se nella sua agenda c’è un vertice internazionale, ma non può farlo solo per un vertice a palazzo Grazioli.

Giustizia: da Pdl nuova proposta sull’immunità parlamentare

di Carmelo Lopapa

 

La Repubblica, 20 ottobre 2009

 

Immunità parlamentare da inchieste giudiziarie, arresti, intercettazioni. Da reintrodurre in fretta, perché "la funzione legislativa deve essere tutelata" e troppo spesso "iniziative giudiziarie si rivelano strumentali e segnate da fumus persecutionis". Sono alcune delle motivazioni contenute nell’introduzione al nuovo disegno di legge che - sgretolato lo scudo del lodo Alfano - viene depositato al Senato dal Pdl per reintrodurre il vecchio privilegio cancellato ai tempi di Tangentopoli.

La proposta di Lucio Malan, pochi giorni fa, era stata bollata come atto individuale dai capigruppo Pdl. Stavolta l’articolo unico che riforma il 68 della Costituzione porta la firma di Giuseppe Valentino. Ex sottosegretario alla Giustizia del secondo governo Berlusconi ma soprattutto vice di Niccolò Ghedini alla presidenza della Consulta giustizia del Pdl.

Anche ieri, quando il testo è stato pubblicato negli atti ufficiali di Palazzo Madama, il vice capogruppo del Pdl Gaetano Quagliariello si è affrettato a dire che la norma non porta il timbro ufficiale del partito. Ma gli osservatori più attenti ricordano come anche nelle settimane precedenti la presentazione delle cosiddette leggi ad personam, le varie Cirielli e Cirami erano state anticipate da testi "civetta".

Ma in che termini il senatore Valentino propone di reintrodurre la franchigia giudiziaria? "Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene - si legge - nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale, arrestato, privato della libertà personale o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare".

Con una sola eccezione: "Salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura". C’è di più. A differenza di quanto avviene finora, il disegno di legge Valentino prevede che l’autorizzazione sia richiesta anche "per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza irrevocabile".

L’articolo 68 della Costituzione oggi in vigore invece richiede l’autorizzazione non già per l’avvio di un semplice procedimento penale, di un’inchiesta - che qualsiasi procura può avviare nei confronti di un deputato o senatore - ma solo per i provvedimenti restrittivi della libertà o per le perquisizioni o intercettazioni. E l’eccezione consentita è la flagranza in un delitto "per il quale è previsto l’arresto obbligatorio".

L’ex sottosegretario alla Giustizia, avvocato calabrese, classe 1945, è stato coinvolto in un’inchiesta poi archiviata dalla dda di Catanzaro nel 2006. Viene sfiorato dalle indagini sulla scalate bancarie del 2005 (difensore di Stefano Ricucci e sospettato di aver girato alcune informazioni) ma nell’agosto 2007 la giunta del Senato ha respinto la richiesta della magistratura di poter usare i tabulati delle sue telefonate. La storia è finita lì.

Giustizia: Pannella (Radicali); responsabilità civile dei giudici

di Tommaso Montesano

 

Libero, 20 ottobre 2009

 

Il Parlamento, certo. Dove nel 1988 andò in scena, ricorda oggi Marco Pannella, il varo della "legge Vassalli" che di fatto rese intoccabile la magistratura. "Quella legge fu il prodotto dell’asse partitocratrico nelle due sue componenti di destra e di sinistra", attacca il leader radicale, che l’anno prima, nel 1987, insieme ad Enzo Tortora vinse la battaglia referendaria per introdurre anche per le toghe il principio della responsabilità in sede civile.

Ma anche la Corte costituzionale cui poco meno due settimane fa tutti applaudivano per la bocciatura del "lodo Alfano", denuncia. Pannella, giocò la sua parte nella partita che di fatto annullò il risultato uscito dalle urne. Il risultato è un Paese che in questi anni sulla giustizia ha subìto più danni - "incivili, barbari e criminogeni" - che nel Ventennio fascista.

 

Nel referendum del 1987 i sì furono una valanga. Poi la "legge Vassalli" cambiò le carte in tavola. Chi affossò la vittoria referendaria?

"Risposta puntuale e non generica: la partitocrazia, il sessantennale infame regime corrotto, corruttore e antidemocratico. In questo come in altri casi vergognosi, ad esempio sui finanziamenti pubblici di partiti e sindacati".

 

Ricorda dove avvenne lo "scippo" di quella vittoria?

"Prima in Parlamento; poi, per due volte - nel 1995 e nel 1999 - in Corte Costituzionale. La Consulta non permise alle nostre analoghe richieste referendarie di essere nuovamente votate e approvate. Mandando al macero, in questo modo, la stessa Costituzione e oltre un milione e mezzo di firme autenticate. Raccolte e depositate da noi Radicali, come al solito".

 

Cosa le è rimasto in mente di quella battaglia insieme a Tortora?

"Ricordo i sei anni di lotta, giorno e notte, con scioperi della fame e della sete, autodenunce, insieme al nostro Leonardo Sciascia, contro l’impresa partitocratica di una banda onnipotente di magistrati, giornalisti, politici che massacravano Enzo Tortora, benché assolutamente innocente. Con questo infame "affare" coprirono ben altri scandali".

 

Ventidue anni dopo, ha qualche rimpianto?

"I miei ricordi si chiudono con il giudizio massiccio del popolo italiano a favore della responsabilità civile dei giudici, garanzia in primo luogo per tutti i magistrati capaci e onesti. Rimpianti? "Fai quel che devi, accada quel che può", è la norma di vita di noi Radicali di Giustizia e Libertà".

 

Pensa che oggi sia possibile, con questa maggioranza, rispolverare questa battaglia?

"Certo, ma sarebbe masochistico se anche Silvio Berlusconi, come nel 1997 e nel 2000, sabotasse ancora, insieme agli odiati "comunisti", la partecipazione elettorale".

 

A cosa si riferisce?

"All’invito a non andare a votare in occasione dei referendum su: riforma elettorale del Csm, separazione delle carriere dei magistrati, incarichi extragiudiziali degli stessi, abolizione dei finanziamenti pubblici di partiti e patronati. Sento di sottolineare questo anche per lealtà nei confronti di quegli elettori del Pdl che, secondo l’istituto Cattaneo, alle ultime elezioni europee furono più numerosi del centrosinistra nel votare per le liste "Pannella-Bonino". Elettori verso cui continueremo ad essere grati e leali in nome della nostra radicalità antipartitocratica e riformatrice".

 

Quali sono stati i danni della mancata applicazione dell’esito referendario del 1987?

"Quell’episodio infausto ha fatto sì che, giustizia e carcere, in Italia, nel Sessantennio partitocratrico, antifascista e antidemocratico abbiano prodotto dolori, sofferenze e sfascio maggiori dei danni provocati dal Ventennio mussoliniano".

 

Perché in questi anni nessuno ha mai provato ad approvare una legge che recuperasse quel referendum?

"Nessuno? Noi Radicali ci siamo tornati su. E con quale fatica. Ma siamo stati di nuovo traditi dalla Corte costituzionale e da tutta la partitocrazia, clandestini come siamo per responsabilità dalla Rai, erede della fascista Eiar, e dalle altre istituzioni".

 

Nei giorni scorsi Silvio Berlusconi ha annunciato una grande stagione di riforme costituzionali, a partire dalla giustizia. Pannella che ne pensa?

"Noi siamo da decenni in lotta per una riforma "americana" dello Stato italiano. Una riforma presidenzialista, federalista, uninominalista, referendaria e antipartitocratica. Berlusconi, dal 1994 al 1996, fu d’accordo. Noi lo siamo ancora, ad una, condizione: che questa nuova Costituzione liberale non entri in vigore prima del 2015. Berlusconi ci sta?".

Giustizia: Borzone (Ucpi); i giudici difendono illegalità sistema 

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 20 ottobre 2009

 

Per fare le riforme, specie quelle più delicate come la separazione delle carriere dei magistrati, non bisogna dare all’Anm il pretesto per gridare al lupo. È questo il succo dell’intervista dell’avvocato Renato Borzone a "L’Opinione". Borzone, che i nostri lettori conoscono bene, è il vicepresidente dell’Unione delle camere penali. E ha molto da dire contro la politica "demagogica" del governo in materia di sicurezza nonché contro le "esternazioni estemporanee del governo in materia di giustizia". E conclude con una battuta amara: "ma in Italia si può ancora ragionare su queste cose come in un paese normale?".

 

Avvocato Borzone, si parla di riforme della giustizia e l’Anm minaccia subito scioperi. È una cosa da paese normale?

Verrebbe da dire che è normale in Italia, dunque anormale in ogni altro luogo. Ma se ormai si sa cosa rappresenta il sindacato dei magistrati, viene tuttavia da chiedersi quali siano le ragioni del dilettantismo governativo, che tiene ferme le riforme sulla giustizia da due anni. Perché dare il pretesto di interpretare come atto di ritorsione riforme che sono liberali e democratiche? Perché presentare la separazione delle carriere, riforma giusta e normale, nei modi più banali e meno chiari per i cittadini, dando così modo a una parte della magistratura di fare del vittimismo gratuito?

 

Loro dicono di sentirsi nel mirino dopo la storia del pedinamento mediatico al giudice Mesiano. Hanno ragione o è un pretesto?

Quel servizio televisivo era stupido e insensato. Torno però al discorso di prima. Perché fornire pretesti? Perché ragionare su singoli casi invece che sui principi generali e sui valori sottesi a certe possibili riforme di cui si discute?

 

Ma le riforme che c’entrano con tutto ciò?

Nulla, appunto. L’Anm vuole conservare l’esistente, mantenere l’attuale situazione di disapplicazione della costituzione, fare in modo che non si discuta delle responsabilità della magistratura, continuare a pretendere un giudice alter ego del pubblico ministero. Però Anm fa il suo mestiere: quando si smetterà di dar loro una mano?

 

Berlusconi da forse l’impressione di fare le riforme per puro spirito di ritorsione?

Ecco, appunto. Che c’entrano riforme sacrosante presentate "contro" la magistratura? E poi: che c’entra quello sciocco esempio degli avvocati "con il cappello in mano" per spiegare la separazione? Non sa Berlusconi che i penalisti delle camere penali non vanno "con il cappello in man" proprio da nessuno? E che c’entra poi il richiamare lo strapotere dei pubblici ministeri? Qui il problema è il giudice che non controlla l’accusa, non il pm che fa il suo lavoro. Al Governo non farebbe male un corso accelerato di principi liberali.

 

Parlare di separazione di carriere è lesa maestà?

Per l’Anm sì. Si incrinerebbe l’assetto autoritario della magistratura tanto caro a un certo modo di considerarla, che confonde la nobiltà dell’esercizio della giurisdizione con la politica giudiziaria e la giustizia sommaria per campagne. Alla quale, però, non si sottraggono le leggi della maggioranza sulla sicurezza.

 

Un risarcimento civile da 750 milioni di euro è comunque un record mondiale...o no?

Sì, ma ripeto: focalizzarsi su singoli casi aiuta solo ad aiutare i conservatori dell’esistente a presentarsi come vittime. Invece di piagnucolare perché il Governo non governa? Dal luglio 2008 sono stati assunti impegni pubblici per le riforme sulla giustizia. Ora è l’ultima occasione. E il pericolo è che si baratti con Anm qualche leggina per fermare di nuovo il percorso riformatore. I penalisti italiani sono stufi, è l’ultima volta che sopporteremo chiacchiere e proclami senza vedere i fatti.

 

Secondo lei sarebbe opportuno reintrodurre l’immunità per le alte cariche dello Stato con legge costituzionale?

Non mi interessa. È un problema secondario. Un altro degli esempi del dilettantismo di cui parlavo.

 

E reintrodurre l’immunità parlamentare?

Personalmente sono favorevole, ma l’Ucpi non si occupa di questo.

 

Non crede che abbia ragione Pannella che per sfoltire il numero di detenuti nelle carceri italiane ormai sopra quota 65 mila unità propone un’amnistia come prima di una riforma di una stagione di possibili riforme?

Si sarebbe dovuto lavorare su sanzioni alternative per non riprodurre, l’affollamento carcerario. Non si è fatto nulla. Non so se l’amnistia servirebbe. Anche qui occorrerebbe rinunciare alla faccia feroce della demagogia (identica per governo e opposizione) e ragionare. Ma ragionare è normale in Italia?

Giustizia: Camere Penali in protesta; le carceri sono inumane

di Tamara Gallera

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 20 ottobre 2009

 

Per protestare "contro l’inerzia del governo in materia di sovraffollamento carcerario e contro l’inasprimento del 41 bis", la Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane ha proclamato ieri una giornata di astensione dalle udienze per il prossimo 27 novembre, invitando tutti gli iscritti a partecipare a Napoli, il 28 novembre, ad una manifestazione sulla legalità della pena.

Nella sua delibera, la Giunta Ucpi, ha richiamato valutato intollerabile "l’odierna situazione carceraria, denunciata da mesi da molte Camere Penali territoriali e dalla Giunta, anche di concerto con gli altri soggetti operanti in detta realtà, e censurata anche in una recente pronuncia della Corte Europea di Strasburgo, trova la sua origine in scelte di politica criminale, che, mosse da mere esigenze di propaganda, hanno sotto più aspetti inasprito il regime sanzionatorio e detentivo" e giudicato che "a fronte di una situazione il cui carattere di emergenza è noto e reso viepiù evidente dai continui episodi di protesta e persino da condotte di autolesionismo, rifulge la completa assenza, salvo rare meritorie eccezioni, di adeguata proposta politica da parte del governo così come da parte delle forze politiche di opposizione".

"Se infatti - spiegano i penalisti - il cosiddetto piano per l’edilizia carceraria, al di là dei lunghissimi tempi previsti per la sua attuazione, non vale comunque di per sé a garantire la finalità ultima della pena rappresentata dalla piena rieducazione del condannato, non si intravede peraltro alcuna volontà di mettere mano alle necessarie modifiche normative atte a far fronte adeguatamente alla situazione di emergenza causata dal sovraffollamento".

L’Ucpi denuncia anche che "le istanze "securitarie", origine prima dell’odierna drammaticità delle condizioni di vita nelle carceri, sono state recentemente utilizzate dal Parlamento anche al fine di inasprire ancor più il regime detentivo previsto dall’art. 41 bis dell’O.P., introducendo ulteriori profili di illegittimità costituzionale in un trattamento che già viola profondamente, sotto più aspetti, i diritti fondamentali della persona e l’uguaglianza dei cittadini" e che "nel dispiegarsi della volontà di dimostrare una pretesa inflessibilità a fronte dei fenomeni criminali, il Parlamento si è ultimamente spinto persino ad introdurre norme che violano palesemente il diritto di difesa del detenuto in regime differenziato, limitando nel numero e nella durata i colloqui con il difensore, e che "criminalizzano" l’avvocato, gettando sulla sua figura l’ombra di condotte di connivenza od agevolazione che ne ledono irrimediabilmente la dignità istituzionale".

Pertanto i penalisti ribadiscono "l’inumanità delle condizioni di vita in cui versano attualmente i detenuti, unitamente ai dati ufficiali relativi ai fattori che favoriscono la condotta recidivante, impongono un completo ripensamento del sistema delle pene, sì da differenziare il trattamento del condannato in ragione della natura del fatto commesso e della specifica capacità a delinquere, individuando pene "altre" rispetto a quella detentiva e ben più di questa adeguate a garantire il ravvedimento del reo ed il suo reinserimento nel contesto civile; il regime detentivo differenziato previsto dall’art. 41 bis dell’O.P. viola palesemente i diritti fondamentali della persona ed introduce elementi di privazione dei bisogni più elementari dell’uomo che non trovano giustificazione nelle esigenze di sicurezza che esso astrattamente persegue, con ciò ponendosi in radicale conflitto con il principio di uguaglianza; il diritto di difesa, nella sua inviolabilità, non tollera discriminazione alcuna in ragione di una ritenuta maggiore pericolosità del soggetto detenuto né tantomeno può consentirsi, a cagione delle medesime istanze di prevenzione, la mortificazione dell’alto ruolo svolto dal difensore".

Giustizia: Caligaris (Sdi); il progetto di navi-prigione è delirante

 

Ansa, 20 ottobre 2009

 

"La condizione di un cittadino in stato di arresto e/o in attesa di essere assegnato a un istituto di pena non consente la sua permanenza in una nave. Altrettanto vale per gli Agenti di Polizia Penitenziaria e per gli operatori carcerari. Insomma il progetto navi per detenuti appare proprio come un delirio".

Lo sostiene l’ex consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" affermando che "chi pensa di poter usare soluzioni fantasmagoriche dimentica che il carcere non è un luogo in cui parcheggiare le persone private della libertà ma un sistema con doveri e diritti".

"Le navi - sottolinea l’esponente socialista - non rispondono a requisiti di sicurezza innanzitutto per i magistrati, gli avvocati e gli agenti che dovrebbero raggiungere i posti di lavoro non si sa bene attraverso quale servizio. Non sono neppure idonee per i detenuti e i loro familiari senza considerare che le condizioni di salute di alcuni cittadini possono essere incompatibili con la permanenza in uno spazio angusto com’è quello delle navi".

Lettere: dopo 4 anni in cella il primo permesso, una delusione

 

www.innocentievasioni.net, 20 ottobre 2009

 

Cara redazione, sono finita in carcere per la prima (ed unica) volta a quarantacinque anni perché mio fratello mi ha coinvolto in una storia di riciclaggio di denaro. Inutile dire che non sapevo da dove venivano quei soldi però potevo immaginarlo ed ho accettato lo stesso, senza fare domande.

Mi sono limitata a dire di sì, come ho fatto quasi sempre nella mia vita. Io e mio marito abbiamo un banco al mercato e quando ero in libertà mi alzavo alle quattro di mattina. Il pomeriggio invece mi dedicavo alla casa e ai miei figli che quando sono stata arrestata avevano dagli undici ai sedici anni. In carcere ho cercato come ho potuto di ingannare il tempo pensando che la mia vita sarebbe tornata ad avere un senso solo con il mio ritorno a casa.

A poco a poco mi sono adattata: oggi lavoro in cucina, frequento un corso di teatro, ho imparato a usare il computer e sono molto legata alla mia compagna di cella. Sabato scorso, dopo quattro anni, ho finalmente avuto un permesso di due giorni agli arresti domiciliari. All’inizio tutto è stato come un sogno: il pranzo pronto, i parenti venuti a trovarmi, i regali.

Ma poi i miei figli sono usciti, mio marito si è messo a guardare la partita, a letto mi ha ignorato e la mattina dopo è andato a lavorare al banco (dove ora lo aiuta una ragazza straniera). Io sono restata a casa sola, tra piatti e panni da lavare, cibi da cucinare e congelare per nutrire marito e figli fino al mio fine pena. Ho mollato tutto e sono tornata in taxi in carcere, tre ore prima del rientro, contenta di ritrovare la mia stanza e Martina, sconvolta dall’avere capito quanto sono cambiata, ma anche da una domanda: quante possibilità ha di cambiare vita una donna a cinquant’anni e pure" pregiudicata"?

 

Michela

 

Cara Michela, non voglio in alcun modo mettere in un canto la specificità dolorosa della tua situazione. Ma ti chiedi tu stessa quante possibilità abbia una donna, a cinquant’anni, di cambiare vita: lo chiedi a noi tutte (e, spererei, anche tutti), e quel "pure pregiudicata" dice molto sulla tua e sulla nostra condizione. Perché si potrebbe dire "pure ammalata", "pure separata", "pure con un/una figlio/a disabile", e gli esempi potrebbero continuare. O, addirittura, una donna e basta: perché non sono tenere con noi, in particolare a cavallo della menopausa, né la vita, né la società che abbiamo intorno.

Menopausa, infatti, resta parola impronunciabile, mentre si moltiplicano a dismisura creme anti-età, trattamenti contro l’invecchiamento, lifting che plasmano viso e corpo su modelli tutti uguali. La storia che portiamo sul nostro corpo e sulla nostra faccia appare come un difetto grave da cui emendarsi, se non addirittura una colpa. La giovinezza (la "bellezza dell’asino", si diceva una volta) sembra l’unica merce appetibile sul mercato del desiderio, e anche su quello del potere.

Una delle poche cose gentili che mio padre, non certo prodigo di complimenti, mi disse nell’imminenza di un intervento chirurgico che mi spaventava, fu: "Un corpo senza cicatrici e senza rughe è un corpo senza storia". E forse parlava di cicatrici e rughe anche dell’anima. Io sono convinta che non pochi uomini siano capaci di apprezzare la maturazione dei nostri corpi e delle nostre anime, ma siamo noi per prime a doverci credere, a non lasciarci inchiodare alla biancheria da lavare e stirare e ai fornelli. A un senso di inferiorità rispetto alle donne più giovani, e magari - secondo i canoni correnti - più belle.

Nessuna di noi è soltanto una lavatrice o una pentola: certo non tu, che nell’esperienza del carcere hai saputo ritagliarti spazi di relazioni, di creatività, di esperienza. Anche se è difficile, dunque, non sei tu, a dover cambiare, non è la vita che hai fra le mani adesso: sono gli altri, quelli intorno a te, che devono farlo.

Non c’è una ricetta facile che io possa indicarti perché l’insieme recuperi una propria armonia: se l’avessi trovata, in un percorso diverso ma non meno doloroso del tuo, sarei in tutt’altra condizione. Bacchette magiche non ce n’è, ma possiamo almeno incamminarci su una strada che ci renda più radicate in noi stesse, più consapevoli del nostro valore, meno dipendenti dalle opinioni degli altri. Meno disposte a contrattare il loro affetto con il nostro lavoro di casalinghe per sempre.

Questa strada tu la stai già immaginando, Michela, anche se per ora senti solo o quasi la sofferenza dei rifiuti e degli abbandoni. Martina che ti vuol bene, Martina testimone dei tuoi cambiamenti, mi sembra un buon punto per riprendere forza e ripartire: magari senza buttar via niente del passato, ma senza lasciartene trascinare in un fondo melmoso che non ti meriti. Cerca acque più pulite, vieni a galla: lo so che sei e potrai essere una grande nuotatrice. Molti auguri, e un abbraccio.

 

Clara

 

Cara Michela, accettare e cambiare. Sono stati questi i due fulcri della tua vita negli ultimi anni. Accettare di aver sbagliato, senza farti troppi sconti. Accettare (adattarsi scrivi tu) la vita detentiva, con le sue regole, le sue violenze, i suoi spazi, le sue persone e scoprire che nonostante tutto c’è qualcosa di buono. Accettare la lontananza dalla famiglia, i rimpianti, il dolore provocato e ricevuto. Accettare il confronto con una vita così diversa, con persone tanto lontane da te all’apparenza. Accettare la solitudine e scoprire l’amicizia dietro le sbarre. Accettare dunque, ma insieme cambiare. Riscoprirti all’improvviso diversa da come eri quando facevi la madre e la moglie, quando eri abituata a dire di sì, quando ti alzavi prima del sole per andare al lavoro e continuavi a lavorare in casa per accudire la famiglia.

La pena, secondo la costituzione italiana e secondo le leggi che regolano la vita prigioniera dovrebbe proprio aiutare a compiere un percorso di cambiamento: dall’illegalità verso la legalità, verso nuovi modelli comportamentali della civile convivenza, partendo proprio dal riconoscimento delle proprie responsabilità più o meno gravi. Non sempre però è così, anzi spesso è il suo contrario.

Tu ci sei riuscita. Non so se grazie al carcere o nonostante esso, ma per te il tempo della pena è stato un cammino di trasformazione, senza che tu te ne rendessi conto, convinta che fuori la vita sarebbe ripresa come prima e aspettando con ansia il momento di riassaporare quella vita libera.

C’è voluto l’impatto con il fuori rimasto immobile, pietrificato nel ricordo di una donna madre e moglie che invece in quattro anni aveva sperimentato una nuova vita, nuovi rapporti, un nuovo sguardo su di sé. C’è voluta tutta la solitudine dopo la festa con i figli e il marito ancora più lontani proprio quando erano fisicamente più vicini. C’è voluto il dolore di sentire la tua casa estranea. C’è voluto tutto questo per renderti conto che in questi quattro anni sei diventata un’altra persona, più forte, più autonoma, più rispettosa di te stessa, desiderosa di relazioni significative e non solo formali. C’è voluto tutto questo per capire che nel carcere avevi trovato qualcosa di nuovo. Per scoprire che esisti anche oltre la famiglia, che esisti con la tua testa, il tuo cuore, i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri, i tuoi sogni, i tuoi silenzi. Che sei una donna nuova.

Una scoperta entusiasmante ma anche dolorosa e che ti chiede ancora uno sforzo. Essere diversi in carcere è più facile di quanto non sia esserlo fuori, quando si deve riprendere in mano la vita quotidiana con tutto ciò che ne è parte: il marito, i figli, la casa, gli amici, il lavoro, la vita libera. Un passo difficile, duro, anche violento. E tu oggi ti chiedi: quante possibilità ha di cambiare vita una donna a cinquant’anni e pure "pregiudicata"?

Finché c’è vita c’è speranza dice il proverbio e tu hai imparato che è così. Lo hai sperimentato in carcere, quando la vita sembrava finita, quando il buio era molto più forte della luce, quando il dolore copriva ogni altro sentimento. Sembrava impossibile ricominciare allora, così come sembra impossibile oggi. Ma quel che è impossibile è tornare a essere la Michela di prima. E tu lo sai.

Sei riuscita a trasformare il tempo della pena in un momento di crescita. Allo stesso modo saprai affrontare il tempo del reinserimento (a volte molto più duro della pena stessa) in un’occasione di rivincita della nuova Michela nata dietro le sbarre. Non da sola. Insieme alle persone che in questi anni ti hanno accompagnato nel tuo cammino e insieme ad altri nuovi amici che sapranno apprezzarti, sostenerti e confortarti. E magari, ma solo dopo, anche insieme alla tua famiglia, quando avrà imparato a conoscerti e rispettarti.

È vero sei pregiudicata e per molte persone significa che non meriti più nulla. Ma siamo in tanti fuori a credere che così non è e a ringraziarti per la tua testimonianza, il tuo esempio, il tuo coraggio. Perché per cambiare ci vuole davvero molto coraggio. Con affetto sincero.

 

Daniela de Robert

 

Cara Michela, preferire il carcere alla famiglia, come le donne afgane detenute ad Herat, significa avere già scelto di cambiare vita e, probabilmente, a qualsiasi costo. Meglio, comunque, cercare di immaginare quello che ti aspetta, prima di compiere il grande passo.

Tornando a casa dal lavoro (in una cooperativa sociale, per poche centinaia di euro al mese) troverai, come sempre, un letto da rifare e la cena da preparare, ma scoprirai di non avere fretta e finirai per farti un prosecco davanti al Tg3. I tuoi figli smetteranno di venirti a trovare la domenica perché nell’appartamento dove vivi (30 mq. divisi con un’amica) non c’è posto per l’asse da stiro e per inviti a pranzo. Così avrai presto lunghe serate e week end vuoti (o liberi, fai tu) da occupare con il laboratorio di teatro, escursioni in montagna e un po’ di volontariato sociale.

Quanto all’amore, meglio non farsi illusioni: all’uscita del carcere ho visto quasi sempre donne attendere uomini. Il che non vuol dire che sarai sempre o per sempre sola. Qualche incontro interessante, senza impegno e senza futuro capita a chi è capace di apprezzarlo. L ‘alternativa più frequente è il sessantenne di buon cuore, in cerca di donne sfortunate e servizievoli, carico di figli e nipoti pronti a venire a pranzo la domenica... e a restituirti il calore di una famiglia.

 

Antonella Barone

Puglia: il Sappe in visita a carceri; 4.300 detenuti in 2.500 posti

 

Comunicato Sappe, 20 ottobre 2009

 

È inaccettabile che nel carcere di Lecce la Direzione dell’Istituto abbia autonomamente disposto la chiusura della mensa di servizio del Personale di Polizia penitenziaria e in alternativa fa distribuire dei sacchetti con panini, indicando, per la consumazione un vicino locale assolutamente non idoneo dal momento che le pareti presentano ragnatele e umidità e gli ambienti sono di uno squallore unico. È indegno e ingrato il trattamento che viene riservato alle donne e agli uomini del Corpo in servizio nel penitenziario leccese, che fanno ogni giorno i salti mortali per garantire la sicurezza in una struttura dove a fronte di 680 posti letto sono presenti quasi 1.400 detenuti.

Duro atto d’accusa di Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria -, oggi in visita gli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Lecce.

Ho immediatamente fatto inviare dalla Segreteria Generale del Sappe una lettera di protesta al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Ionta, al Vice Capo di Somma e alla direzione del carcere per stigmatizzare l’incresciosa situazione e per rivendicare, ai sensi della vigente normativa e in relazione al fatto che la chiusura della mensa è stata disposta dalla direzione dell’istituto, il riconoscimento al buono pasto, in alternativa al panino, anche perché la distribuzione del cestino, così come confezionato, viene fatta contestualmente all’attività lavorativa che gli operai addetti alla manutenzione stanno svolgendo nel locale mensa. Perdurando tale situazione, prosegue Capece, il Sappe adirà a tutte le forme di protesta consentite per segnalare anche all’opinione pubblica il degrado e l’abbandono della struttura pugliese oltreché la scarsa considerazione del lavoro stressante del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Il Segretario Generale del Sappe è in visita agli Agenti in servizio nei penitenziari pugliesi. Dopo essere stato a Taranto e Lecce, proseguirà nelle prossime ore per Foggia e Trani. L’emergenza sovraffollamento in Puglia ha raggiunto cifre allarmanti. Nei 12 carceri della regione ci sono circa 4.300 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 2.500 posti. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Puglia per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari talvolta nemmeno pagati?"

Aosta: Sinappe; nel carcere di Brissogne serve direttore stabile

 

Ansa, 20 ottobre 2009

 

"Nella Casa Circondariale di Brissogne-Aosta è necessario un Direttore in pianta stabile". È la richiesta ribadita in una nota da Mauro Mondolivo di Trani, segretario regionale del sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria (Sinappe). "La presenza di un’Autorità Dirigente costante - prosegue - é necessaria per assicurare sia l’ottimizzazione dell’organizzazione interna, tradotta in una conduzione stabile, nonché l’acquisizione di importanti progetti territoriali che nel corso del tempo hanno dato un’immagine positiva della Polizia penitenziaria nell’intero contesto sociale".

"È da tener presente - prosegue Mondolivo di Trani - che l’Istituto versa in questa situazione ormai da diversi anni, nel corso del quale vi è stato un vero e proprio valzer di Direttori, un continuo via vai che ha portato allo sfacelo più assurdo l’istituzione carceraria. Ciò comporta, inevitabilmente, continue doglianze del Personale di Polizia. La presenza stabile di un Direttore consente il ripristino del sistema delle relazioni sindacali, indispensabile affinché ci sia un confronto quale metodologia più idonea al raggiungimento di comuni intese, che consentano un regolare ed organico svolgimento dei servizi nell’interesse di una sempre maggiore efficienza e di un miglioramento delle condizioni lavorative".

L’intervento del Sinappe fa seguito ad una visita ispettiva avvenuta lo scorso 15 ottobre e alla quale hanno preso parte anche i consiglieri regionali Luciano Caveri (Uv), Dario Comé (Sa), Alberto Zucchi (Pdl) e Roberto Louvin (Vda Vive-Rv). Durante un incontro con l’attuale Direttore in Missione, Salvatore Mazzeo, "sono state sostanzialmente confermate le tante doglianze poste in essere dal Sinappe - spiega Mondolivo di Trani - sottolineando in primis l’annoso problema del sovraffollamento, della carenza dell’Organico di Polizia penitenziaria e dei vari interventi sull’intero complesso della struttura carcere".

Lucca: rissa fra due gruppi di detenuti, albanesi e marocchini

 

La Nazione, 20 ottobre 2009

 

Venti detenuti del "San Giorgio" sono indagati dalla Procura per i reati di rissa aggravata e lesioni personali aggravate dall’utilizzo di oggetti pericolosi. Si tratta di due gruppi di albanesi e marocchini che alcune settimane addietro si sono fronteggiati all’interno del carcere per ragioni rimaste ignote. Una violenta rissa in piena regola, con botte da orbi, durante la quale i venti detenuti coinvolti hanno anche afferrato pezzi di ferro e bastoni, da impiegare contro gli avversari, il bilancio finale è stato di alcuni detenuti medicali in infermeria più uno che è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso dell’ospedale Campo di Marte per lesioni al volto e il setto nasale fratturato. A riportare la calma in "San Giorgio", dopo qualche minuto di caos, erano stati gli agenti della polizia penitenziaria che avevano poi relazionato la magistratura sull’accaduto. Intanto il segretario provinciale del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Armando Cenni, sottolinea che "a Lucca la situazione è al collasso, il personale è sfinito, lavora in condizioni vergognose, carichi di lavoro triplicati, lo straordinario è diventato quotidianità, l’organizzazione del lavoro è saltata, è tutto un fai da te, la sicurezza è davvero a rischio".

Piacenza: "Sosta Forzata" riceve Premio "Cento" alla stampa

 

www.piacenzasera.it, 20 ottobre 2009

 

La testata "Sosta Forzata", realizzata da una redazione di detenuti del carcere delle Novate coordinata da Carla Chiappini, è risultata tra i 3 giornali vincitori dell’XI edizione del Premio Cento alla Stampa Locale. La cerimonia di premiazione del "Premio Cento alla Stampa Locale", si terrà sabato 24 ottobre alle ore 18,00, c/o l’Auditorium San Lorenzo in Corso Guercino, a Cento (FE).

Il sindaco Roberto Reggi, appresa la notizia dell’attribuzione del Premio Cento alla Stampa Locale al giornale "Sosta Forzata", testata periodica della Casa Circondariale di Piacenza, ha inviato alla direttrice della casa circondariale delle Novate, Caterina Zurlo, il seguente telegramma di felicitazioni: "Gentile Direttore, congratulazioni vivissime per questo riconoscimento così prestigioso e significativo, che premia la qualità della testata e il valore sociale di questa straordinaria esperienza giornalistica. Anche a nome della comunità piacentina, la prego di estendere i complimenti più sinceri a Carla Chiappini, direttore responsabile del giornale, e a tutta la redazione, per aver contribuito, in questi anni, a far conoscere una realtà viva e attiva, che pulsa all’interno della casa circondariale".

Roma: a Rebibbia apre ludoteca per bambini in visita genitori

 

Redattore Sociale - Dire, 20 ottobre 2009

 

Il progetto realizzato dalla cooperativa sociale Cecilia con il contributo della regione Lazio è rivolto ai piccoli che vanno a trovare i propri genitori. Inaugurazione giovedì 29 ottobre.

Una ludoteca per i bambini che si recano in visita ai loro genitori nella casa di reclusione di Rebibbia nella città di Roma. Il progetto realizzato dalla cooperativa sociale Cecilia, grazie a un contributo della regione Lazio, ha l’obiettivo di rendere meno traumatico l’impatto con il carcere e di accogliere i bambini in un ambiente adeguato alle loro esigenze.

La ludoteca "Giocamondo", infatti, è stata collocata nella sala dei colloqui in uno spazio arredato con giochi e attrezzature che rispondono alle esigenze delle diverse fasce di età: da giochi per neonati alle postazioni di playstation per bambini e adolescenti. La rimozione del bancone divisorio - fanno sapere gli operatori - consentirà di alle famiglie di stare a contatto diretta con i figli in una dimensione di gioco e con il sostegno di operatori professionali.

Gli stessi operatori, inoltre, svolgeranno una funzione di sportello informativo e di segretariato sociale per le famiglie dei bambini. "Giramondo" non è però la prima ludoteca nel carcere che nasce nella capitale. Negli scorsi anni, grazie al contributo degli assessorati alla Politiche sociali e alle Politiche educative e alla gioventù del Comune di Roma, sono state realizzate due ludoteche negli istituti di Regina Coeli e Rebibbia Femminile attualmente gestite dalla cooperativa Cecilia. La ludoteca "Giramondo" verrà inaugurata giovedì 29 ottobre alle ore 10.30 alla presenza del capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta e di vari rappresentanti istituzionali del Dap e degli enti locali.

Milano: conclusa la Quinta edizione di "San Vittore Sing Sing"

 

Asca, 20 ottobre 2009

 

1.500 i detenuti che hanno ballato, cantato e riso sui 7 palchi del festival insieme al cast di X Factor, Giuliano Palma & The Bluebeaters, il comico Kalabrugovich e molti altri.

Si è appena conclusa la quinta edizione del festival San Vittore Sing Sing che quest’anno è stata celebrata nello storico carcere milanese grazie al contributo economico di Piano B, l’agenzia di comunicazione che lo ha ideato, ai tecnici e agli artisti.

L’iniziativa, nata nel 2005 a San Vittore e proseguita negli anni in altri due penitenziari (Bollate e Beccaria) come festival di musica e di cabaret rivolto ai detenuti e agli operatori penitenziari, ha ottenuto il patrocinio della Provincia di Milano che per il 2010 intende sostenere economicamente l’iniziativa assicurando anche le tappe nelle carceri di Opera, Bollate e al Beccaria.

Sette palchi, tre ore di spettacolo, otto gruppi musicali, quattro cabarettisti e un pubblico di 1500 detenuti. Questi i numeri dell’edizione 2009 che, condotta da La Pina di Radio Deejay, ha visto susseguirsi sui palchi, a rotazione, Max Cavaliere, Stefano Chiodaroli, i Club Dogo, i Francobranco, Kalabrugovich, Karkadan, Marracash, i Nema Problema, Giuliano Palma & The Bluebeaters, i VLP Sound, e la presenza speciale dei ragazzi dell’edizione attuale di X Factor che, presentati da Francesco Facchinetti, hanno cantato grandi classici della musica italiana e internazionale, da Knockin’ on Heaven’s Door ad Alba Chiara, da Redemption Song alla Canzone del sole. Tutti momenti di grandi emozioni, accese ulteriormente dall’esibizione congiunta, a sorpresa, di Marracash e i Club Dogo, e dallo show comico di Kalabrugovich.

Per la prima volta, oltre ai reparti femminile e maschile del carcere, sono stati coinvolti il Centro Clinico e il Centro Diurno, quest’ultimo dedicato al reinserimento dei detenuti con problemi psichici, e il reparto nel quale, da quest’anno, risiedono i ragazzi tra i 18 e i 22 anni. Nel pomeriggio, a completamento dell’iniziativa, la Piccola Scuola di Circo si è esibita davanti ai piccoli ospiti dell’Icam di Via Macedonio Melloni alla presenza del dirigente provinciale Claudio Minoia.

Radio Popolare contribuirà anche quest’anno a portare San Vittore Sing Sing fuori dalle mura del carcere trasmettendolo in differita sulle sue onde: da domani, martedì 20 ottobre, a venerdì 23 ottobre, all’interno del programma Jalla Jalla, in onda alle 14.30, sarà possibile ascoltare dei mini speciali dedicati all’edizione di quest’anno del festival. Sempre domani, il day time di X Factor, in onda alle 19.00, permetterà al pubblico televisivo di vedere il festival in pillole su Rai Due.

Palermo: attore di "Mery per sempre"... in visita al Malaspina

 

Asca, 20 ottobre 2009

 

Le difficoltà di un’adolescenza vissuta per strada, tra stenti e piccoli reati ma soprattutto la voglia di riscattarsi e di vivere nel pieno rispetto delle regole. Questo è il contenuto del cortometraggio autobiografico "Benigno" realizzato e interpretato da Francesco Benigno, l’attore palermitano, divenuto famoso dopo la sua interpretazione nel film di Marco Risi "Mery per sempre" e che domani sarà trasmesso al carcere Malaspina alla presenza dei ragazzi detenuti.

La proiezione del video è uno dei momenti della giornata organizzata, nell’ambito del progetto "In & Out", dall’associazione Euro con finanziamenti dell’assessorato regionale alla Famiglia in partenariato con il centro Giustizia minorile per la Sicilia diretto da Michele Di Martino. Il cortometraggio, che è stato premiato anche al Festival Giffoni nel 2008, sarà uno dei momenti della giornata di domani: i ragazzi avranno, infatti, la possibilità di fare domande a Benigno e ad Alfredo Lo Bianco, il concorrente palermitano, che, due anni fa, entrò nella casa più spiata d’Italia partecipando al Grande Fratello.

A lui Francesco, uno dei ragazzi del Malaspina, autore di una lettera scritta prima dell’estate e rivolta proprio agli "inquilini" del Grande Fratello, farà le prime domande aprendo così un dibattito sulla diversa situazione che si vive in carcere rispetto a un reality televisivo. "Io non ho fatto nessun provino per entrare - scriveva nella lettera Francesco -, sono stato scelto per caso mentre facevo una rapina. Qui non si diventa famosi e non si vince niente, è tutta una corsa verso la libertà e io non vedo l’ora di essere eliminato".

Roma: il Sindaco vieta lavavetri e artisti di strada ai semafori

di Laura Mari

 

La Repubblica, 20 ottobre 2009

 

Sequestro di secchi e spazzoloni, multe tra i 100 e i 200 euro ed espulsione per i clandestini. Sono i provvedimenti contenuti nell’ordinanza anti-lavavetri che sarà firmata oggi dal sindaco di Roma Gianni Alemanno dopo l’incontro con il prefetto della Capitale Giuseppe Pecoraro.

Il provvedimento, che vieterà di "esercitare mestieri non autorizzati sul suolo pubblico e di turbare il traffico" entrerà in vigore, a Roma, a novembre e avrà la durata di un anno. I vigili urbani avranno il compito, sulla base dell’articolo 650 del codice penale, di fermare non solo i lavavetri, ma anche i giocolieri che stazionano ai semafori di Roma e che "infastidiscono gli automobilisti costituendo un pericolo per la viabilità".

Un provvedimento che si va ad aggiungere ai tanti divieti e alle innumerevoli ordinanze emanate nel primo anno di governo della giunta Alemanno, dalle misure contro la prostituzione all’ordinanza anti-alcol e anti-movida, dai provvedimenti contro i borsoni dei vù cumprà alle ordinanze anti-bivacco. Quella contro i lavavetri, comunque, non rappresenta una vera e propria novità per la Capitale, perché nel 2007 l’allora sindaco Walter Veltroni emanò un’analoga ordinanza anti-lavavetri che suscitò polemiche e perplessità nel centrosinistra.

In base alle nuove misure, gli immigrati colti in flagrante con secchi, spazzole e sapone saranno identificati e sanzionati con multe che saranno comprese tra i 100 e i 200 euro. I minori, le donne e gli stranieri regolari che denunceranno di essere vittime di racket saranno assistiti dai servizi sociali del Comune di Roma. I clandestini, invece, verranno portati al Cie di Ponte Galeria in attesa dell’espulsione dall’Italia.

E proprio contro provvedimenti che considerano "lesivi dei diritti dei più deboli", ieri alcuni consiglieri del centrosinistra del Lazio, ma anche quelli della Provincia e del Comune di Roma hanno organizzato il "Semaforo Day" e, armati di spazzole e secchi, hanno pulito i vetri degli automobilisti romani in piazza Venezia, a pochi passi dal Campidoglio.

Immigrazione: proposta bipartisan su voto ad amministrative

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 20 ottobre 2009

 

Progetto di legge bipartisan alla Camera (contraria la Lega), sul diritto di voto alle amministrative per immigrati residenti in Italia da cinque anni. L’idea di abbassare da 10 a 5 anni il tempo di residenza per concedere agli stranieri il voto alle amministrative l’aveva lanciato qualche anno fa l’allora leader di An Gianfranco Fini, oggi presidente della Camera. Quella proposta è diventata ieri un progetto di legge firmato - per l’opposizione - da Walter Veltroni, ex segretario del Pd, Roberto Rao (Udc) e Leoluca Orlando (Idv). E per il Pdl da Flavia Perina, direttrice del Secolo d’Italia di stretta osservanza finiana.

L’approvazione del progetto di riconoscere il diritto di voto agli immigrati residenti da 5 anni (oggi il termine è di 10 anni), spiega il Pd, "costituirebbe un primo passo concreto per promuovere l’integrazione di persone che in molti casi già partecipano pienamente alla vita civile delle comunità locali in cui risiedono, sono rispettose delle relative consuetudini, lavorano con dedizione, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola con i bambini italiani, condividono con i cittadini italiani le stesse esigenze e gli stessi problemi connessi alla fruizione dei servizi pubblici".

Ma sull’iniziativa si registrano il parere contrario della Lega e dissenso nel Pdl. Per il vicepresidente dei deputati leghisti, Luciano Dussin, "un primo effetto i firmatari lo hanno già ottenuto, ed è quello di dimostrarsi sempre più lontani dalle esigenze reali del Paese". Per Alessandro Pagano, deputato Pdl, "i neo-radicali annidati nel Popolo della libertà, pur di attirare le simpatie elettorali degli immigrati sarebbero capaci di distruggere ciò che è più prezioso per il nostro Paese: le proprie radici e la propria identità".

Con una provocazione, il sindaco di Venezia Massimo Cacciari sostiene l’iniziativa sul voto agli immigrati. "Fino a quando gli extracomunitari non avranno diritto di voto in Italia - dichiara - dovrebbero rifiutarsi di pagare le tasse". "Chi lavora e paga le tasse - aggiunge - deve anche eleggere i propri rappresentanti: è un problema che qualunque governo serio si dovrebbe porre". Per il sindaco di Venezia, "qualsiasi liberale in questo Paese deve fare proprio questo slogan: "niente tasse senza rappresentanza"".

Dopo la discussione sabato, al convegno di Asolo delle fondazioni di Fini (Farefuturo) e D’Alema (Italianieuropei), sull’ora di islam nelle scuole per giovani musulmani - proposta dal viceministro Adolfo Urso, anch’egli finiano - in tre giorni è il secondo segnale bipartisan di attenzione alle problematiche dell’immigrazione. Segno, questo, dell’ennesimo tentativo dell’ala Pdl che fa riferimento al presidente della Camera - vista la chiusura dell’alleato leghista su queste tematiche - di dialogare con tutti, cercando soluzioni condivise.

Il progetto sul voto per gli stranieri alle amministrative si somma al progetto di legge bipartisan firmato da Fabio Granata (Pdl) e Andrea Sarubbi (Pd), per concedere la cittadinanza agli stranieri residenti in Italia da 5 anni.Ma sia la proposta Urso sull’ora di islam nelle scuole, sia il progetto di legge sulla cittadinanza sono bocciati dal ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni.

"Sono temi molto interessanti che si riferiscono ad una situazione teorica in generale", commenta il titolare del Viminale. "Partiamo da casi concreti - spiega Maroni - è utile o no l’ora a scuola? È utile o no facilitare la cittadinanza per gli stranieri? Per me no. Non sono cose utili, anzi sono assolutamente sbagliate".

Immigrazione: il sit-in antirazzista; "regolarizzate chi lavora"

di Simone Sapienza

 

Gli Altri, 20 ottobre 2009

 

Le immagini di un anno fa avevano colpito tutta Italia. Migliaia di cittadini immigrati in piazza a Castelvolturno contro la camorra per la loro legalità e quella delle istituzioni. Secondo Saviano la camorra stava edificando in quei territori e non avrebbe garantito la presenza degli africani.

Hanno resistito. A luglio sono stati ancora loro i promotori della manifestazione nazionale antirazzista che si svolta sabato a Roma. Riuniti come Coordinamento associazioni laiche e cattoliche e movimenti di Caserta hanno deciso di rimanere a Roma perché la manifestazione nazionale non rischiasse di finire come una passerella di buone intenzioni.

In poco meno di tre mila hanno dormito tre giorni alla meno peggio, nei centri sociali e nelle chiese (quelle che non chiudono i portoni quando fuori piove), hanno deciso di rinunciare ad una settimana di stipendio in nero rischiando il posto. Un movimento nato un anno fa con poche decine di militanti ma con l’intento da subito di farne un comitato più ampio possibile senza preconcetti politici.

Sarà per questo che in assenza degli interlocutori più consueti si sono rivolti ai Radicali cioè alla forza politica che in questa legislatura ha combattuto in maniera più intransigente prima il trattato tra Italia e Libia poi la legge Maroni, raccogliendo intorno al testo firmato Bonino una lunga lista di sottoscrizioni dell’opposizione ma anche della maggioranza.

Del resto le proposte del movimento casertano era contenute proprio in quella proposta di legge e in un ordine del giorno presentato pochi mesi fa: la possibilità di estendere la regolarizzazione e l’emersione a tutte le categorie di lavoratori o almeno ad altre categorie per le quali maggiormente viene utilizzata manodopera straniera in sostituzione di quella autoctona; una proroga fino a Pasqua della regolarizzazione in corso per dare la, possibilità a tutte le famiglie di "legalizzare" davvero tutti i regolarizzabili. Proposte ragionevoli che Emma Bonino nell’ambito della conferenza stampa organizzata ieri al centro del presidio in piazza santi Apostoli ripresenterà in un nuovo testo aggiornato.

Rita Bernardini, deputata radicale eletta nel Pd in- vece ha annunciato che il 6, 7, 8 dicembre prossimi sarà organizzata una visita ispettiva di massa dei parlamentari di tutti gli schieramenti nei Cie italiani, come quella effettuata questa estate in tutte le carceri del paese. Alla conferenza stampa è seguita una maratona oratoria, perché al di là dei punti l’obiettivo della comune mobilitazione era quello di cominciare a spiegare, in maniera ragionevole e documentata, il fallimento della regolarizzazione di colf e badanti e le gravi conseguenze dell’esclusione dal provvedimento delle altre categorie di lavoratori stranieri.

Da un piccolo palco circondato da migliaia di occhi attenti sono state messe in fila ad una ad una le motivazioni e fatti concreti, interventi di parlamentari e di immigrati. Un dossier orale che darà forza a chi ora dovrà impegnarsi nelle sedi istituzionali. Sicuramente ha dato forza a Marco Pannella che ha raccontato alla folla attenta, le migrazioni degli italiani, le campagne contro lo sterminio per fame nel mondo e il valore della battaglie nonviolente.

Alla manifestazione hanno preso parte anche diversi esponenti di altri schieramenti. Hanno confermato il loro impegno militante a favore dell’integrazione Paolo Ferrero per Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti e Sinistra e Libertà. L’identità. della. sinistra si riscopre sempre riconoscendo i comuni amici. La presenza davanti alle istituzioni romane degli immigrati casertani ha già prodotto qualche effetto.

Una delegazione è stata ricevuta nel corso del pomeriggio da Mario Morcone, capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Tra i diversi impegni presi dal Prefetto il più concreto è stato quello di sbloccare le pratiche casertane dell’ufficio territoriale per quanto riguarda le pratiche dei richiedenti asilo.

Quello di Caserta infatti è l’ufficio con più dinieghi d’Italia. Per tutto il resto è ragionevole pensare che non si siano molte possibilità con l’attuale maggioranza di toccare la legge. Ma queste sono persone che hanno attraversato il mediterraneo su un gommone e sono scampati alle oasi di Gheddafi. Sanno dunque cosa. vuol dire fare l’impossibile. Il loro proposito era di farsi ascoltare. Ci sono riusciti.

Stati Uniti: pena di morte; ogni esecuzione costa fino 30 milioni

 

Ansa, 20 ottobre 2009

 

La pena di morte costa soldi a palate agli Stati Uniti. Secondo uno studio pubblicato qualche giorno fa in America, negli Stati in cui la pena capitale è prevista dalla legge i contribuenti possono arrivare a spendere fino a 30 milioni di dollari per l’iter di ogni esecuzione, anche quando questo non è portato a termine.

In tempi di recessione economica il rapporto, intitolato "Smart on Crime" e divulgato da Death Penalty Information Center, farà discutere. "In un momento storico come questo - ha osservato Richard Dieter, direttore dell’istituto - abbiamo dubbi che qualche congresso introdurrebbe la pena capitale da zero. Si scontrerebbe con la realtà dei fatti: per ogni detenuto messo a morte il contribuente può sborsare milioni e milioni di dollari. Il procedimento che porta all’esecuzione dura anni e spesso non arriva a compimento".

Dieter ha precisato il significato delle sue parole. "Solo un processo per la pena capitale su tre arriva a una sentenza di condanna. Questo significa una spesa per lo Stato di almeno tre milioni di dollari". Ancora: nello studio si legge che "solo una sentenza di condanna a morte su dieci viene di fatto eseguita. Nel frattempo passano gli anni e i cittadini sborsano fino a 30 milioni di dollari".

Il rapporto invita a riconsiderare l’efficacia deterrente della pena di morte, ammessa in 35 Stati americani. Tuttavia secondo un sondaggio di una settimana fa, ricorda l’agenzia Agence France Press, il 65% degli americani ha dichiarato di essere a favore della pena capitale. Negli ultimi tempi il Colorado è andato vicino all’eliminazione della pena di morte, abolita soltanto in New Mexico a marzo.

 

 

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