Rassegna stampa 19 ottobre

 

Giustizia: la rivolta dei giudici... difenderemo la Costituzione

di Liana Milella

 

La Repubblica, 19 ottobre 2009

 

Non è ancora sciopero ma quasi. Contro "l’intimidazione" al giudice Mesiano e contro la minaccia di fare riforme "per ridurre l’indipendenza della magistratura". Per ora, già in uno stato di agitazione, ci saranno assemblee nei palazzi di giustizia e lì si misurerà la necessità di fermarsi per uno, addirittura per due giorni.

"Non ci faremo intimidire e non arretreremo di un millimetro, ma difenderemo a oltranza i valori della Costituzione" dice Luca Palamara, il presidente dell’Anm, quando apre a piazza Cavour la riunione del parlamentino delle toghe. Lui, un moderato di Unicost, parla come il segretario Giuseppe Cascini, esponente di Magistratura democratica: "Il caso Mesiano non è solo una caduta di stile o una meschina vendetta, ma un atto di intimidazione molto più grave delle riforme annunciate". Tre ore, mai così breve una riunione dell’Anm, tutti d’accordo, anche la destra di Magistratura indipendente, visto che Antonietta Fiorillo vede avvicinarsi "la soluzione finale".

La reazione del Guardasigilli Angelino Alfano è rabbiosa. Giudica "inspiegabile, sorprendente, pretestuosa" la mossa dell’Anm, la bolla come "una guerra preventiva sulle riforme". Ma su Mesiano continua a non pronunciarsi forse perché, come molti ipotizzano, potrebbe essere proprio lui a muovere addirittura un’azione disciplinare non si sa bene sulla base di quale misterioso dossier. In compenso esprime stizza per il "no" alle riforme e chiama in causa "il rispetto per l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento". Conferma il proposito di "mettere mano alla Costituzione com’è scritto nel programma del Pdl".

Ignora le raccomandazioni che pure arrivano dal suo partito. Ecco il presidente del Senato Renato Schifani pronto ad augurarsi "un dibattito sulla giustizia con toni pacati e di confronto sui contenuti". E quello della Camera Gianfranco Fini sottolinea come "fare le riforme solo da una parte è legittimo, ma non sempre è preveggente". Ma Alfano ripete gli slogan del suo premier: "Non avrà compiuto la sua missione politica se non garantirà la parità tra accusa e difesa". Cioè separare carriere e Csm.

Il vice presidente del Csm Nicola Mancino è netto proprio su quest’ipotesi: "A chi parla di doppio Consiglio io dico che non si può, perché uno dei due (quello dei pm, ndr.) dovrebbe andare sotto il ministero della Giustizia, il che è assurdo". Poi una parola netta su Mesiano: "Bisogna rispettare chi emette una sentenza. Se non si condivide, esiste il grado successivo di giudizio". Mesiano, le riforme minacciate dal centrodestra, la reazione inviperita contro la Consulta per il verdetto sul lodo Alfano, tutto s’intreccia nell’analisi dell’Anm.

In una giornata così, con la base che minaccia "la rivoluzione dei calzini", non si può che partire da lui. "Siamo tutti Mesiano coi calzini turchesi" dice Anna Canepa, reduce da un anno in trincea nella procura di Gela. E Rita Sanlorenzo, segretaria di Md: "Quello che gli è accaduto non l’avevamo mai visto, nulla sarà più come prima".

L’Anm mette assieme "sdegno e indignazione per le condotte intimidatorie" con la solidarietà ai giudici costituzionali per un’aggressione che "minaccia di alterare il delicato equilibrio tra i poteri dello Stato", per finire alle riforme "punitive" di Alfano che "vogliono ridurre il controllo di legalità da parte di una magistratura indipendente".

Il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi le definisce così: "Rientrano nella categoria delle punizioni e si risolveranno in un disastro". Passa lo slogan sulla grave "emergenza democratica", sulla necessità di fare "sciopero per la democrazia".

Giustizia: Governo tira dritto, Pd protesta con calzini turchesi

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 19 ottobre 2009

 

Il ministro Gianfranco Rotondi rassicura l’Anm che da oggi inizia lo stato di agitazione con assemblee dei magistrati in tutti i distretti giudiziari: "Faremo la riforma sulla giustizia ma non per punire i magistrati".

Il ministro Roberto Calderoli va oltre ma conferma quali sono le intenzioni del governo Berlusconi: "Sulla giustizia vediamo se c’è la possibilità di un testo condiviso, diversamente la riforma va fatta comunque ". Si parte con le leggi ordinarie già messe in cantiere al Senato e questa potrebbe essere la settimana decisiva per decidere il calendario del ddl Alfano che mette mano al codice di procedura penale: il testo che toglie al pm il controllo sulla polizia giudiziaria e sul quale potrebbero essere innestate un paio di norme (prescrizione breve e legittimo impedimento per il premier) che avrebbero una ricaduta sui processi milanesi del presidente del Consiglio.

In questo clima l’opposizione non si fida anche perché non si è ancora rimarginata la ferita aperta dal servizio di Mattino 5 sul giudice civile Raimondo Mesiano (lui ha firmato la sentenza di primo grado del lodo Mondadori che condanna la Fininvest a risarcire 750 milioni alla Cir) pedinato per ore da una telecamera che ha indugiato sulla sua vita privata e sui suoi calzini turchesi definendoli una "stranezza".

Se Giuseppe Giulietti (gruppo misto) chiede al ministro Alfano di mettere fine a "questi video pestaggi", il segretario del Pd Dario Franceschini indossa in pubblico un paio di calzini turchesi in segno di solidarietà con Mesiano: "Mettetevele tutti queste calze turchesi, fatelo per Mesiano colpevole solo di fare il giudice", ha detto Franceschini.

Che poi ha aggiunto: "In Italia, dove i magistrati sono costantemente intimiditi, c’è il rischio di perdere la capacità di reagire, di indignarsi ". Sulla campagna dei calzini turchesi lanciata da Franceschini, che domenica 25 si gioca tutto alle primarie del Pd contro Bersani, il Pdl risponde giocando la carta dell’ironia.

Per Daniele Capezzone, "la sinistra giustizialista in pochi anni è passata dal resistere, resistere, resistere alla più misera esibizione di calzini". E anche il ministro Ignazio La Russa liquida tutto con una battuta: "Calzini? Se proprio insistete io mi metto le scarpe da calcio come quelle di Stankovic". Eppure il caso Mesiano non finisce qui. Una pratica a tutela del giudice verrà discussa in settimana dalla I commissione del Csm.

Giustizia: Alfano; su riforma nessun testo, non capisco proteste

 

Ansa, 19 ottobre 2009

 

"Non comprendiamo il motivo della protesta dei magistrati: la riforma costituzionale della giustizia era nel programma del governo ancora reperibile sui siti. Lo abbiamo dichiarato diverse volte in questi mesi: il presidente del consiglio ha il diritto e il dovere di assicurare ai cittadini il mantenimento degli impegni assunti". Lo ha detto il ministro della giustizia Angelino Alfano.

"Sempre in materia di giustizia - ha aggiunto - abbiamo tre importanti disegni di legge al vaglio della Commissione giustizia del Senato. Uno che prevede la riforma delle intercettazioni per garantire la privacy dei cittadini. Un altro sulla riforma dell’Avvocatura che è un pilastro centrale perché assicurerà la parità tra accusa e difesa e, infine, la riforma del processo penale".

Alfano, al carcere Pagliarelli di Palermo dove ha partecipato alla presentazione di un progetto con l’Università, ha affrontato anche il problema del sovraffollamento: "Abbiamo messo a punto un piano che sarà licenziato a breve e su cui stiamo lavorando con il presidente del Consiglio Berlusconi per usare la sua esperienza del modello L’Aquila e che porterà alla realizzazione di oltre 20mila nuovi posti nelle carceri e in un lasso di tempo molto breve".

Giustizia: nuovo record di detenuti; 65 mila (24mila stranieri)

 

Corriere della Sera, 19 ottobre 2009

 

Un detenuto su tre nelle carceri italiane è straniero: su 65 mila persone ospitate nei penitenziari della penisola, 24 mila sono cittadini stranieri (il 37%). Sono i dati diffusi dal Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) che chiede al governo Berlusconi di "incrementare concretamente le espulsioni dei detenuti stranieri" per alleviare i gravi problemi di sovraffollamento delle carceri.

"Si deve incrementare il grado di attuazione della norma che prevede l’applicazione della misura alternativa dell’espulsione per i detenuti stranieri i quali debbano scontare una pena, anche residua, inferiore ai due anni; potere che la legge affida alla magistratura di sorveglianza", afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe.

"I dati - prosegue Capece - evidenziano un boom di detenuti stranieri nelle carceri italiane. Si stratta di numeri incontrovertibili". "Oggi abbiamo in Italia 65.000 detenuti: ben 24mila (il 37% del totale) sono stranieri: 4.333 sono i comunitari detenuti (3.953 gli uomini e 380 donne) mentre quelli extracomunitari sono ben 19.666 (18.827 uomini e 839 donne)".

In alcuni Istituti la percentuale di presenza di detenuti stranieri è davvero altissima: nella Casa Circondariale di Padova sono l’83%, al Don Soria di Alessandria il 72% come a Brescia mentre nella sarda Is Arenas Arbus sono il 73%. E buona parte dei penitenziari del Nord hanno una presenza varia che oscilla tra il 60 ed il 70%.

"Questo accentua - continua Capece - per le difficoltà di comunicazione e per una serie di atteggiamenti troppo spesso aggressivi - le criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita".

Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco, queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi.

Sappe chiede dunque al Governo Berlusconi di "recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria e di avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché scontino la pena nei Paesi d’origine". Questo, oltre a mettere un freno ad una grave emergenza, potrebbe rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato, con risparmi di centinaia di milioni di euro, nonché per la sicurezza dei cittadini. Un detenuto - ricorda Capece - costa infatti in media circa 300 euro al giorno allo Stato italiano".

Giustizia: le colpe del Governo sull'inciviltà delle nostre carceri

di Luigi Manconi

 

L’Unità, 19 ottobre 2009

 

Secondo Silvio Berlusconi e Angelino Alfano sono in arrivo, nel giro di due o tre anni, circa 20.000 - che ogni tanto diventano 25.000 - nuovi posti nel sistema penitenziario. Ovvero, il governo starebbe per varare un programma straordinario di edilizia carceraria. Il tutto, dalle prime notizie, dovrebbe costare circa un miliardo e mezzo; e pare che la copertura finanziaria, ad oggi, soddisfi solo un terzo del fabbisogno.

Con un po’ di algebra, diciamo subito che semmai il governo riuscisse nell’impresa non farebbe che riportare la situazione del sistema penale a condizioni di gravissimo disagio, rispetto alle attuali che, causa sovraffollamento, sono invece di assoluta ed estrema invivibilità. Tuttavia, il premier e il ministro della giustizia non appaiono così sicuri dei loro intenti e dei loro mezzi.

Alfano (oltre a meditare l’apertura di strutture private!) è andato a batter cassa in sede comunitaria, sostenendo come l’Europa debba aiutare l’Italia a edificare nuove carceri in virtù dell’alto tasso di presenza di detenuti comunitari ed extracomunitari; e il commissario Ue alla giustizia, Jacques Barrot, gli avrebbe risposto picche, in quanto quella richiesta sarebbe una misura di sostegno non prevista da alcun trattato.

Il ministro dimentica che il Consiglio di Europa ha già indicato la propria strategia per il problema del sovraffollamento: non misure di incremento dell’edilizia penitenziaria, ma la depenalizzazione dei reati meno gravi e il maggiore ricorso a misure alternative alla detenzione. Come ricorda l’associazione Antigone, l’alta presenza di immigrati nei nostri istituti di pena è determinata, per lo più, dal fatto che l’Italia, contravvenendo ai suggerimenti della stessa Ue, criminalizza lo status di immigrato a differenza della maggioranza degli altri paesi.

In più, ci ricorda ancora Antigone, "l’Italia ha il primato delle presenze di detenuti stranieri in attesa di giudizio (…); ciò significa che nei confronti degli stranieri in Italia esiste una discriminazione processuale e un uso esagerato della carcerazione preventiva". Ma Alfano queste cose non le sa o finge di non saperle; e mentre va fantasticando le nuove mirabili carceri modello new town abruzzese ribadisce il suo credo nella tolleranza zero.

Basterebbe adeguare la legislazione italiana a quella europea in materia di immigrazione, invece di avanzare richieste pretestuose all’Unione per riparare i danni che lo stesso governo ha prodotto; e magari attuare ragionevoli, ragionevolissime misure di depenalizzazione (ad esempio, nei confronti del consumo di droghe) e di colpo si ridurrebbe il sovraffollamento. Ma vaglielo a spiegare.

Giustizia: Governo e Fincantieri studiano carceri galleggianti

 

Notiziario Ance, 19 ottobre 2009

 

Nel piano di governo è presente anche il piano di carceri galleggianti, volute dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. L’indulto del governo Prodi non è servito e oggi siamo in una fase di emergenza, perciò in tale situazione viene prospettata la realizzazione di carceri galleggiati nelle città con sede di grandi porti. L’idea non è nuova: Stati Uniti, Gran Bretagna e Olanda hanno già adottato carceri simili.

Il problema principale di tali carceri è mantenere alte le condizioni igienico-sanitarie. Sorgono inoltre problemi per i carcerati che soffrono di claustrofobia e sulle effettive possibilità di garantire loro l’ora d’aria. Sembra comunque che le intenzioni siano di trovare spazio per detenzioni brevi o per reclusi che attendano il trasferimento in altri penitenziari.

Le carceri galleggianti non sono solo un’ipotesi, ma sembra che la loro realizzazione sia affidata alla Fincantieri, la quale rimedierebbe ai problemi legati alla crisi economica con nuove commesse da parte dello Stato. Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, evidenzia che un carcere non è compatibile con le attività commerciali del porto e inoltre sono da verificare le effettive capacità di garantire una permanenza decente dei detenuti. Arriva , quindi, il primo no dalla Liguria: non resta che aspettare il responso di altre amministrazioni.

Giustizia: Tenaglia (Pd); politica del Governo? è schizofrenica

di Susanna Marietti e Giulio Sardi

 

www.linkontro.info, 19 ottobre 2009

 

La settimana passata si è cominciato a parlare di un nuovo ‘piano carceri’ governativo. Sembrava ne dovesse trattare il Consiglio dei Ministri dello scorso giovedì, ma da quella sede niente è uscito. La discussione, tuttavia, non è che rimandata. Una parte del progetto riguarda l’edilizia penitenziaria. Si parla di una capienza da raggiungere di 80.000 posti.

Un’altra parte, a oggi inedita, è volta ad alleggerire la pressione sulle carceri prevedendo gli arresti domiciliari per i detenuti con un residuo pena inferiore a un anno. Siamo di fronte a una proposta con la quale si può essere o non essere d’accordo in qualità di misura-tampone, ma che è innegabilmente un progetto di corto respiro e incapace di farsi carico di una riforma complessiva del sistema che si renda sostenibile sulla lunga durata. Ne abbiamo parlato con Lanfranco Tenaglia, responsabile giustizia del Partito Democratico.

 

Onorevole Tenaglia, cosa pensa di questo "piano carceri"?

La politica del Governo in materia di giustizia soffre di una schizofrenia evidente. Da una parte, si grida alla soluzione dei problemi della sicurezza dei cittadini e di altre questioni come l’immigrazione con un massiccio ricorso alla tutela penale: nuove fattispecie penali, nuovi reati, aumento delle pene, diminuzione dei benefici. Dall’altro, si risponde all’emergenza carceraria - che adesso è arrivata a livelli di assoluta intollerabilità - con la soluzione della costruzione di nuove carceri. Questa non è neanche una misura-tampone. E vedremo se mai avrà i suoi effetti, perché questo è un libro dei sogni ma per realizzare i sogni ci vogliono i denari. E il Governo attuale i denari in questa vicenda fino adesso li ha tolti, non li ha messi, visto che i 150 milioni di euro stanziati dal Governo Prodi per l’edilizia carceraria sono stati tolti per finanziare il taglio dell’Ici.

 

Cosa andrebbe fatto di più strutturale per contribuire a risolvere la situazione?

La schizofrenia di cui ho parlato non ha soluzione. Nessun Paese riuscirà a costruire carceri a sufficienza se nel frattempo aumenta il ricorso alla carcerazione. Tra l’altro, nel medio e nel lungo periodo, questa è la peggior risposta all’esigenza di prevenzione sociale, all’esigenza di sicurezza e all’esigenza di recupero e di rieducazione sociale che la pena deve avere che la Costituzione prevede che debba avere. Alla situazione attuale bisogna far fronte con un intervento di riforma complessivo e coerente del sistema penale, che significa processi più rapidi senza intaccare le garanzie, sistemi alternativi delle pene, e anche edilizia penitenziaria, soprattutto intervenendo in quei casi in cui siamo di fronte a carceri totalmente superate e inadeguate. Questa dovrebbe essere la risposta. Però di questo non ci occupiamo in Parlamento. In questo anno e mezzo ci siamo occupati di tutt’altro, dal lodo Alfano alle leggi sulla sicurezza e sul reato di clandestinità.

 

Ci si può aspettare politiche di questo tipo dall’attuale maggioranza?

La politica delle misure alternative e della riforma complessiva del sistema, si badi bene, non è una politica di destra né di sinistra. È la politica che è stata invocata e indicata come la strada giusta da tutte le Commissioni parlamentari di riforma del codice penale, sia nominate da Governi di centro-destra, sia nominate da Governi di centro-sinistra.

 

Il suo partito cosa ha fatto in questa direzione?

Ha fatto la propria parte. Le nostre proposte sulle misure alternative, sulla riforma del giudice di cassazione, sulla revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale per renderla effettiva, sulla previsione dell’istituto della messa in prova preventiva sono tutte depositate in Parlamento. È il Governo che manca.

 

Lei sa che giace in Parlamento un disegno di legge, di iniziativa del senatore Filippo Berselli del Popolo della Libertà, che smantella nella sostanza l’impianto della legge Gozzini. Sembrava fossero intenzionati ad accelerarne l’iter parlamentare, è invece adesso un po’ che è tornata la sordina, ma presto forse se ne riparlerà. Lei cosa ne pensa? Cosa pensa il Partito Democratico di come ha funzionato in questi anni la legge Gozzini?

Basta vedere i dati delle recidive. Un buon legislatore, se vuole essere al servizio dei cittadini, prima di modificare le leggi deve guardare come queste sono state applicate e quale effetto hanno avuto. La legge Gozzini dimostra che i detenuti, se beneficiano di una prospettiva di rieducazione, di una prospettiva di riduzione della pena, vengono effettivamente rieducati e reinseriti nel tessuto sociale, e diminuisce la percentuale di coloro che tornano a delinquere. Quindi modificare la Gozzini eliminando i benefici, eliminando la possibilità del lavoro in carcere, eliminando la possibilità di avere contatti, per quanto possibile, con l’esterno, con i propri famigliari, con i propri congiunti sarebbe un gravissimo errore, perché avremmo sicuramente un aumento del numero di coloro che, una volta scontata la pena, ritornano nel circuito criminale e lo rafforzano. Quindi bisogna essere molto prudenti in questo. E noi abbiamo già espresso chiaramente la nostra contrarietà a un disegno di legge che è, tra l’altro, anche tecnicamente fatto male.

Giustizia Pdl; sistema carcere collassa per colpa degli stranieri

 

Ansa, 19 ottobre 2009

 

"I dati forniti dal sindacato autonomo di polizia, che riprendono i dati già diffusi dal Ministero, sottolineano la situazione di difficoltà in cui versa il sistema carcerario in Italia". Lo ha affermato Mariella Bocciardo, membro PdL della Commissione Affari Sociali della Camera. "Oltre un terzo dei detenuti è composto da stranieri, fondamento che rafforza, una volta di più, la proposta lanciata dal Ministro della Giustizia Alfano, in sede europea, di lavorare per rimpatri nei paesi d’origine con lo scopo di farvi scontare le pene commesse in Italia. I dati del Sappe ci indicano come in talune realtà, soprattutto al nord, la presenza di detenuti stranieri risulti elevatissima. L’Ue non può far finta di nulla di fronte ad un’emergenza che sta raggiungendo livelli insopportabili di affollamento e che costano ai contribuenti, è bene ricordarlo, oltre 2 miliardi di euro all’anno".

Giustizia: Alfano; stranieri contro rimpatrio, stanno meglio qui

 

Ansa, 19 ottobre 2009

 

"Abbiamo messo a punto un piano che sarà licenziato a breve e su cui stiamo lavorando con il presidente del Consiglio Berlusconi per usare la sua esperienza del modello L’Aquila e che porterà alla realizzazione di oltre 20mila nuovi posti nelle carceri e in un lasso di tempo molto breve".

Lo ha affermato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in visita al carcere Pagliarelli di Palermo dove ha partecipato alla presentazione di un progetto con l’Università. Commentando la denuncia del sindacato della polizia penitenziaria del sovraffollamento delle carceri, il nostro ministro ha osservato: "Noi denunciamo il sovraffollamento delle carceri insieme al sindacato degli agenti penitenziari. Non possiamo avere la bacchetta magica, siamo vicini al sindacato, sia i singoli agenti che ringrazio. Ringrazio i 40mila agenti di polizia penitenziaria che, con grande abnegazione, contribuiscono al sistema di sicurezza del nostro Paese e fanno sì che le nostre carceri siano più dignitose che altrove.

La prova è che oltre 24mila detenuti stranieri non vogliono tornare nelle carceri dei loro Paesi d’origine, quindi vuol dire che stanno meglio nelle carceri italiane. Ma questo non vuol dire che stiano bene. Stiamo lavorando su tre grandi obiettivi: ottenere dall’Europa che i detenuti stranieri vadano a scontare i loro residui di pena nei Paesi di origine. Il secondo elemento è uno strutturale rinnovamento delle nostre carceri. Infine, stiamo lavorando per far sì che attraverso il lavoro nelle carceri si riesca a far diminuire il caso di recidivi e quindi di detenuti. Solo il 10% dei detenuti che lavorano in carcere tornano a delinquere".

Giustizia: Sappe; serve Tavolo lavoro su criticità penitenziari

 

Il Velino, 19 ottobre 2009

 

"Esprimiamo vivo apprezzamento alle dichiarazioni rilasciate oggi dal ministro della Giustizia Alfano, che ha voluto ringraziare la polizia penitenziaria e il lavoro svolto dal nostro sindacato. Ora auspichiamo che si attivino presto tavoli politici e tecnici per trovare, insieme, soluzioni al grave problema del sovraffollamento penitenziario".

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della categoria, a commento delle dichiarazioni odierne del ministro Guardasigilli al carcere Pagliarelli di Palermo, dove ha partecipato alla presentazione di un progetto con l’Università. "Come sigla sindacale abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti e, come sindacato, più rappresentativo del corpo di polizia penitenziaria, abbiamo anche l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo".

"Per questo auspichiamo che si attivi presso il ministero della Giustizia un tavolo tecnico sulle criticità penitenziarie, presieduto dal ministro Alfano. Il grave momento di crisi che ricade per ora unicamente sui quasi trentanovemila agenti (il dato è del 31 settembre 2009) e sulle loro famiglie ci impone di trovare e discutere su soluzioni che possano essere comprese e condivise dai cittadini e fatte proprie dal governo. E noi vogliamo fare la nostra parte.

Per questo lo scorso agosto, in occasione dell’iniziativa dei parlamentari che hanno visitato quasi tutti gli istituti penitenziari del paese, abbiamo proposto di aprire un tavolo di trattative politiche e tecniche entro cento giorni da quelle visite. Appello per ora disatteso, ma che non è più rinviabile tenuto conto delle 65.001 persone detenute rilevate proprio oggi e di un personale di polizia penitenziaria che si assottiglia giorno per giorno, di cui ancora non è previsto un prossimo reintegro".

"L’iniziativa che sta perseguendo il ministro di far scontare la pena nei propri paesi agli oltre 24 mila stranieri presenti nelle carceri italiane, va di sicuro nella direzione giusta, ma invitiamo ancora una volta a riprendere il decreto sull’utilizzo della polizia penitenziaria presso gli uffici per l’Esecuzione penale esterna (Uepe), per il controllo sulle persone che usufruiscono delle misure alternative. Il problema dell’enorme spreco di denaro pubblico, dovuto al mancato utilizzo dei braccialetti elettronici che il Sappe sta denunciando da mesi, sembrerebbe dipendere da problemi tecnici e burocratici per cui è la Magistratura che trova difficoltà pratiche a ricorrere al loro utilizzo come misura alternativa".

"Tutto ciò rende intollerabile il problema del sovraffollamento nelle carceri e rende pericoloso il lavoro quotidiano degli agenti penitenziari. La polizia penitenziaria, in virtù anche degli istituendi ruoli tecnici potrebbe, facilmente ed efficacemente, provvedere alla loro installazione e gestione, con conseguente maggiore e più efficace controllo delle misure alternative, di quanto non succeda oggi. Chiediamo quindi di aprire da subito un tavolo di trattative tecniche con il ministro Alfano e le altre realtà sociali che operano negli istituti penitenziari, per trovare insieme delle soluzioni condivise e risolvere il grave momento di crisi che il settore penitenziario sta vivendo, e che principalmente la polizia penitenziaria sta fronteggiando e pagando, in termini di condizioni di lavoro gravose e particolarmente stressanti.

Giustizia: Osapp; da Alfano sentiamo solo parole, nessun fatto

 

Il Velino, 19 ottobre 2009

 

"Ringraziamo Alfano per le belle parole di oggi, davvero commoventi". Lo ha dichiarato Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, il secondo sindacato della polizia penitenziaria, a proposito delle dichiarazioni rilasciate a Palermo dal ministro della Giustizia alla presentazione dei corsi universitari per detenuti presso il carcere di Pagliarelli.

"Peccato - ha aggiunto - che come al solito rimangano solo parole, parole, parole. Mina probabilmente potrebbe fare meglio del nostro titolare alla Giustizia, soprattutto rispetto a tutto quello che ha annunciato in queste ultime settimane e di cui non si è ancora vista la luce. Rimane la denuncia che puntualmente il ministro lancia ogni settimana e nel corso di qualche occasione ufficiale, e rimangono le espressioni di solidarietà che francamente, allo stato dell’arte, il Corpo di polizia penitenziaria, che solo noi rappresentiamo, non sa proprio che farsene".

"Con un totale che supera i 65 mila detenuti, 22 mila oltre il limite della soglia di capacità - insiste Beneduci - , non riusciamo proprio a capire e giustificare l’enfasi che mette il nostro Guardasigilli nella lettura di una situazione a dir poco drammatica, soprattutto quando ritorna sul discorso dei detenuti extracomunitari e promette misure irrituali. Non esiste un dato positivo, o che guardi al futuro, "questa amministrazione non intende dare soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri" per usare le parole del senatore Luigi Li Gotti intervenuto al convegno organizzato proprio sul tema, qualche settimana fa, e organizzato dai maggiori sindacati di categoria.

Un’affermazione pratica più che politica quella del senatore, soprattutto quando questo governo applica dei tagli indistinti sui capitoli di bilancio spettanti alla Giustizia. Un’accusa durissima a cui noi ci associamo da diverso tempo e che appunto ripropone la questione primaria, quella dei fondi disponibili. Alla luce di analisi approfondite fatte dalla nostra organizzazione mancherebbero i fondi, ed è per questo che la presentazione del piano verrebbe puntualmente rimandata. A meno che non si trovi quel miliardo e mezzo che Tremonti proprio non vuole sganciare. Per un piano ideato e progettato da un commissario straordinario, capo del Dipartimento ad honorem, che rischia di fare la fine dell’invitato scomodo, appunto, per qualcuno del governo".

Lazio: 1.300 detenuti in più e 1.000 agenti penitenziari in meno

 

Il Tempo, 19 ottobre 2009

 

"Sono mille gli agenti penitenziari mancanti rispetto ai 1.300 detenuti oltre il limite previsto per il Lazio, questo è il risultato di una mal gestione dipartimentale sul sistema carcere del Lazio".

Lo dichiara Daniele Nicastrini, coordinatore regionale della Uilpa Penitenziari, a poche ore dall’incontro che si terrà domani, per avviare a breve l’apertura del nuovo carcere di Rieti, con la direzione e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria del Lazio.

"Dei mille agenti penitenziari mancanti, più di trecento unità sono distaccate in servizi o uffici dipartimentali dove tra l’altro hanno ben tremila unità presenti, che in molti casi non dovrebbero esserci, visto che coprono ulteriori vacanze organiche di altre professionalità in ambito ministeriale - continua Nicastrini - ma questo non preoccupa assolutamente il vertice dipartimentale che sembra continuare a sonnecchiare sull’emergenza del Paese. Carceri sovraffollate con 65 mila detenuti e oltre seimila agenti in meno, di cui ben mille in meno in questa regione rendono vicino il collasso generale delle carceri laziali". Il nuovo carcere di Rieti dovrebbe aiutare a sfoltire circa 250 detenuti nella nostra Regione ma subentrano ulteriori problemi. "Aprire un penitenziario non significa risolvere solamente problemi di spazio ma anche dover ragionare su come organizzarlo, su cosa serve per renderlo funzionalmente sicuro e che il personale necessario sia presente 24 ore su 24 - incalza Nicastrini - è tutto questo manca in ambito regionale. A Rieti si rischia di partire con le stesse defezioni".

Genova: si riparla di un carcere galleggiante, per 400 detenuti

di Donatella Alfonso e Massimo Minella

 

La Repubblica, 19 ottobre 2009

 

Talmente leggere da galleggiare. Le nuove "carceri leggere" voluto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano potranno anche galleggiare. Nelle città sedi di grandi porti, come Genova e Savona, sarà una maxi-chiatta a più livelli in grado di ospitare fino a quattrocento reclusi. La risposta al sovraffollamento delle carceri italiane potrà quindi arrivare anche dal mare, con una soluzione che sembra rimandare alle vecchie navi-galere del passato o alle isole-penitenziari sul modello di Alcatraz.

Suggestioni a parte, le "carceri leggere" italiane dovrebbero funzionare come case d’arresto per detenzioni di pochi giorni o con reclusi in attesa di trasferimento negli altri penitenziari. L’ipotesi è molto più di un’idea, è già un progetto definito che presto potrebbe materializzarsi con il coinvolgimento della Fincantieri, il colosso italiano della cantieristica, leader mondiale nella costruzione di navi da crociera, ma in questo momento di crisi internazionale un po’ a corto di commesse.

È in questo frangente che si incrociano le esigenze del dicastero della Giustizia con quelle dello Sviluppo Economico, che mercoledì scorso ha aperto a Roma un tavolo permanente sulla cantieristica con sindacati e azienda. Proprio per far fronte al calo di ordini dai principali clienti, il governo si è detto disponibile a sostenere un piano di sostegno alla cantieristica italiana, anche attraverso un pacchetto di commesse pubbliche.

"All’interno di questa riflessione la Fincantieri ha presentato un progetto di fattibilità sulla costruzione di carceri galleggianti che è stato messo a disposizione del governo - conferma il segretario genovese della Uilm Antonio Apa, presente all’incontro romano - E questo conferma la capacità ingegneristica e tecnologica di un’azienda come Fincantieri".

Di parere nettamente contrario il sindaco di Genova Marta Vincenzi, che boccia immediatamente l’ipotesi di costruire delle carceri galleggianti. "Conosco questo progetto, purtroppo - tuona la Vincenzi - È una proposta incivile, sotto il profilo politico e ideale ancor prima che logistico. Sono contraria alle carceri galleggianti, una cosa completamente diversa da quelle strutture di recupero in cui credo. Assurde, peraltro, anche per chi ci lavora, dagli agenti di custodia alle assistenti sociali".

Colpo di freno anche sull’ipotesi di coinvolgere nel progetto la Fincantieri, prima azienda di Genova, che dovrebbe realizzare le carceri galleggianti in un momento di flessione delle navi da crociera. "Di questo progetto sono venuta a conoscenza nei giorni scorsi dall’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono - aggiunge - So benissimo che l’azienda dev’essere messa nella condizioni di avere grosse commesse e sicurezza di lavoro. Ma la nostra città fa la sua parte con la cessione delle aree, la disponibilità a garantire a Fincantieri nuovi spazi e migliori condizioni di lavoro. L’ho detto anche al ministro Scajola".

Genova: per il "carcere galleggiante" nel porto un coro di no

di Donatella Alfonso

 

La Repubblica, 19 ottobre 2009

 

Il progetto-choc di Fincantieri avallato dal ministero suscita le critiche di Authority e parlamentari Pd, Merlo: "L’idea in assoluto si può esaminare, ma a Genova è irrealizzabile". Mario Tullo e gli altri parlamentari del Pd preparano un’interpellanza al ministro della Giustizia Alfano: "Siamo d’accordo con la Vincenzi, quell’ipotesi sarebbe una follia".

No ad Alcatraz in porto, ha detto Marta Vincenzi; ma anche Luigi Merlo, presidente dell’Autorità portuale, boccia il progetto a cui sta lavorando Fincantieri sulle indicazioni del ministro della Giustizia Antonino Alfano: "ci sono norme di sicurezza internazionale che ce lo vietano, e inoltre stiamo cercando spazi a terra e in mare per espandere i traffici".

Intanto i deputati liguri del Pd, con Mario Tullo in testa, annunciano un’interpellanza al ministro della Giustizia, mentre si apprende che in una delle prossime riunioni del Consiglio dei ministri si discuterà delle carceri "leggere" ideate da Alfano: per quanto riguarda Genova, una struttura galleggiante da 400 posti, una chiatta multipiano per la quale Fincantieri ha già steso un disegno di massima, capace di ospitare detenuti per pochi giorni.

Luigi Merlo ha letto su Repubblica le anticipazioni sul progetto e la netta contrarietà della sindaco; una posizione che condivide. "Avevo già chiarito che non era possibile per il porto di Genova ospitare una struttura simile, che degli spazi a terra e in mare il porto ha bisogno per crescere.

E lo stesso vale anche per Savona o gli altri scali liguri, impossibile ospitare una struttura del genere - dice il presidente di San Giorgio - Tra l’altro, ritengo mortificante che ogni volta che si pensi a qualche struttura difficile da collocare, si pensi al porto: vale per lo stadio come per il carcere. Però non dimentichiamo che il problema del sovraffollamento delle carceri è reale; io penso che in altre zone d’Italia, in porti dismessi o tratti di costa non utilizzati, una struttura del genere, con tutte le garanzie per detenuti e operatori, si potrebbe anche realizzare".

"Io mi chiedo: ma 400 detenuti non sono la capienza prevista per Marassi, anche se ora ne ospita quasi il doppio? Come si può pensare ad una chiatta in porto delle dimensioni di Marassi? O pensano di chiudere i detenuti nelle gabbiette, dieci per cella? È semplicemente una follia". Mario Tullo, segretario del Pd e deputato, non ha vie di mezzo: no all’Alcatraz genovese.

"Già un mese fa, insieme a Orlando, Sabina Rossa e Zunino, abbiamo firmato un’interpellanza sul sovraffollamento carcerario, martedì ne firmeremo un’altra per sapere cosa sia questo progetto di Alfano - spiega - Ma ci rendiamo conto di cosa si propone? Una prigione per pochi giorni non è in realtà una maniera mascherata di realizzare i centri di identificazione ed espulsione?

Evidentemente diciamo no anche ad un mascherato aiuto alla cantieristica: un’azienda come Fincantieri, tra le migliori al mondo per le navi da crociera, deve continuare su quel filone. Se mai, si vada avanti con la ricapitalizzazione già prevista". I soldi per le chiatte-prigione, insiste Tullo, vengano usati per costruire carceri nuove e reali, sulla terraferma: a Forte Ratti o in aree dismesse, per Genova. Perché il sovraffollamento è una realtà; secondo i dati del Sappe, al 30 settembre Marassi aveva 741 detenuti, e Pontedecimo 143; ma erano 344 a Sanremo. E in ogni caso, oltre il 55% stranieri.

Spoleto: in arrivo 50 sex-offenders, preoccupazione tra agenti

 

Asca, 19 ottobre 2009

 

C’è preoccupazione fra gli agenti della polizia penitenziaria del supercarcere di Maiano di Spoleto dove oggi arriveranno 50 sex offender, detenuti per reati a sfondo sessuale, da varie strutture penitenziarie del nord Italia. Una decina di questi sono già stati trasferiti nella settimana appena conclusa. Ma il grosso arriverà domani portando con sé una serie di problematiche di non poco conto.

A cominciare dalla stessa sorveglianza visto che l’organico degli agenti è sotto di almeno 60 unità. E questo in condizioni normali, ovvero con non più di 420 detenuti. Numero che da domani è destinato a lievitare fino a 470, per raggiungere quota 500 alla fine del mese (sarebbero una novantina i sex offender destinata al penitenziario della città del festival).

Dalla scorsa settimana è stata già aperta una sezione destinata a ricevere questa tipologia di detenuti, definiti in gergo "protetti" perché non possono avere alcun contatto con altri ospiti della casa di reclusione. E questo per ovvie ragioni di sicurezza legate al codice d’onore dei detenuti comuni che è durissimo verso chi si è macchiato di delitti sessuali, specie nei confronti di minori.

Resta da capire chi penserà invece alla sicurezza degli agenti che già lo scorso mese avevano manifestato forti preoccupazioni. Le recenti proteste a livello regionale - innescate specie dopo la fuga di un detenuto da Terni (il terzo in pochi mesi; prima era successo a Perugia e Orvieto) - non sembrano finora aver risolto la problematica. Di rinforzi neanche a parlarne. E il malcontento cresce. "È solo questione di tempo - dice un graduato - prima o poi si verificherà anche da noi qualche problema serio. In questo momento il rapporto agente-detenuto, nelle varie sezioni, è di 1 a 30 circa. Provate a immaginare cosa può succedere".

Terni: la carenza degli agenti penitenziari resta senza risposta

di Nicoletta Gigli

 

Il Messaggero, 19 ottobre 2009

 

Sono tornati a casa a mani vuote. Al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, hanno chiesto di mandare al carcere di Terni una decina di agenti per tamponare l’emergenza causata dalla carenza di personale ma non hanno avuto neppure un’assicurazione.

Nonostante a Sabbione ora si sia scesi sotto la soglia dei 160 agenti per oltre trecento detenuti, il dottor Ionta pare non si sia preso alcun impegno. "Aspettiamo che si muova qualcosa anche a Terni - commenta Giorgio Lucci, della Cgil - dove da mesi tutti i sindacati hanno chiesto interventi urgenti per affrontare le questioni legate alla sicurezza".

L’emergenza legata alla carenza di personale in un penitenziario che scoppia di detenuti assume ancor più rilievo dopo l’evasione del detenuto albanese Taulant Toma. Se sul fronte delle ricerche dello straniero, a dieci giorni dalla fuga da Sabbione, non trapelano indiscrezioni, oggi i sindacati ricordano di "aver segnalato già mesi fa alcune questioni legate alla sicurezza. C’erano punti critici - dice Lucci - che mettevano a rischio i controlli dei detenuti, soprattutto durante le attività ricreative".

Dopo l’evasione di Taulant, che ha saltato il muro di cinta del carcere con alcune lenzuola annodate mentre altri detenuti giocavano a pallone nel campo di calcio del penitenziario, molte attività sono state sospese. Niente più partite di calcio e ore di passeggio ridotte per i reclusi. E non solo per motivi di sicurezza perché la fuga dell’albanese ha rotto un rapporto di fiducia che ora andrà ricostruito con l’impegno di tutti.

Palermo: accordo con l’Università; corsi di laurea per detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 19 ottobre 2009

 

Protocollo d’intesa tra il carcere Pagliarelli e l’Università siciliana. Alfano: "La sfida dello Stato è puntare a progetti di rieducazione, a garanzia della sicurezza nazionale".

Il carcere Pagliarelli con i suoi 1.300 reclusi apre le porte all’università di Palermo che all’interno della Casa circondariale organizzerà seminari, laboratori, attività di orientamento e manifestazioni culturali per i detenuti. L’iniziativa è stata presentata oggi nella sala conferenze dell’istituto penale dal rettore dell’Università Roberto La Galla e dal direttore del penitenziario Laura Brancato in presenza del ministro della Giustizia, Angelino Alfano; avrà la durata triennale e prevede entro un mese la costituzione di un comitato organizzativo che stilerà una scheda di rilevazione dei bisogni. Il carcere, dove già si sostengono esami grazie a commissioni "in trasferta", diventerà sede stabile di corsi di laurea individuati sulla base delle esigenze formative dei detenuti che saranno rilevate nei prossimi mesi attraverso ricerche e questionari.

"In attuazione di quanto prevede l’art. 27 della costituzione, il protocollo di oggi sancisce la funzione rieducativa del detenuto proprio attraverso la sua formazione culturale - afferma il ministro Angelino Alfano -. Ben sapendo che il tasso di recidiva è del 90%, la sfida dello Stato deve essere quella di puntare a progetti di rieducazione che diventino elementi fondamentali a garanzia della la sicurezza nazionale".

"L’ateneo di Palermo è pronto ad attivarsi in tutte le forme che gli saranno proprie per attenzionare chi vive una condizione di marginalità sociale. Le attività comprenderanno anche momenti di consulenza, di tutorato, progetti formativi e culturali - sottolinea il rettore Roberto Lagalla - e tutto ciò che possa servire alla crescita e alla reintegrazione sociale dei detenuti".

"In questo modo puntiamo alla crescita e al cambiamento del detenuto partendo proprio dalla formazione culturale. La legge considera il lavoro, l’istruzione, le attività culturali, ricreative e sportive elementi rieducativi dei detenuti - afferma la direttrice del carcere Laura Brancato -. Questa iniziativa si aggiunge alle numerose già messe in atto al Pagliarelli per offrire strumenti di rieducazione". "Interpelleremo tutti i carceri siciliani per chiedere chi sia interessato ai corsi - aggiunge il provveditore per l’amministrazione penitenziaria della Sicilia Orazio Faramo -, in modo da fare convergere al Pagliarelli i detenuti che vogliono studiare".

Fra le iniziative verrà istituito anche uno sportello informativo all’interno della casa circondariale finalizzato a fornire ai detenuti notizie sui progetti, sui corsi e sulle modalità di iscrizione.

All’interno del carcere saranno inoltre individuati degli spazi attrezzati per lo svolgimento delle lezioni in modo da consentire ai detenuti, anche in considerazione della tipologia di reclusione, di seguire i corsi. A tal fine verrà pure individuato l’eventuale personale di supporto e la collaborazione delle associazioni di volontariato. Attualmente al Pagliarelli sono attivi da diverso tempo corsi di scuola elementare, media, superiore per quanto riguarda l’istituto alberghiero e numerosi corsi professionali. All’incontro di oggi, erano presenti oltre al provveditore per l’amministrazione penitenziaria della Sicilia Orazio Faramo e del vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo, i presidi di agraria Giuseppe Giordano, Giurisprudenza Giuseppe Verde e di scienza della formazione Michele Cometa.

Pistoia: industriale condannato, truffò madre di un carcerato

 

Il Tirreno, 19 ottobre 2009

 

Aveva offerto alla madre di un giovane detenuto rumeno un posto di lavoro per il figlio, in modo da consentire a quest’ultimo di uscire dal carcere. La donna aveva anche accettato di rimborsare il titolare della ditta degli 800 e passa euro che lui diceva di aver dovuto anticipare all’Inps come versamenti previdenziali. Peccato che quel posto di lavoro non esistesse, perché la ditta era fallita e che quei soldi non fossero mai stati versati all’Inps.

Protagonista della vicenda è Giuseppe Ambrosino, 48 anni, finito sotto processo per truffa e false attestazioni destinate all’autorità giudiziaria. Il giudice l’ha condannato a un anno e dieci mesi di carcere all’udienza dell’altro ieri. Pm era Placido Panarello. Le indagini furono svolte dalle sezioni Pg dei carabinieri e della Guardia di finanza. La vicenda risale al giugno 2005.

La donna stava cercando un lavoro per il proprio figlio, allora 26enne, detenuto a Santa Caterina. Giuseppe Ambrosino le offrì un posto da operaio generico nella sua ditta, firmando anche un attestato di assunzione e chiedendole il rimborso dei versamenti Inps, per oltre 840 euro. La donna gliene diede subito 500 in contanti, ma prima di saldare riuscì a capire come stavano le cose e decise di denunciare l’Ambrosino.

Milano: l'opera pittorica di due detenuti diventerà francobollo

 

Ansa, 19 ottobre 2009

 

"Cristo", produzione pittorica di due detenuti di Opera (Milano), diventerà nel 2010 un francobollo delle Poste italiane. Giuseppe Prato e Mario Buda, con la loro rappresentazione di Gesù dietro una fitta rete, quasi sia detenuto, sono i vincitori del concorso "Evasione di un francobollo", ideato nel carcere milanese ma che ha interessato gli istituti di pena di tutt’Italia.

La giuria ha valutato 40 opere tra disegni e quadri e altrettante produzioni letterarie: due infatti le sezioni del concorso: pittura e poesia. L’iniziativa è stata resa possibile grazie alla collaborazione di Poste italiane e al patrocinio di Ministero della Giustizia, Provincia di Milano e dei Comuni di Pieve Emanuele e Opera.

Il direttore del carcere milanese, Giacinto Siciliano, ha sottolineato come con iniziative di questo tipo "il carcere possa uscire", confrontandosi con la società. Franco Nepi, del comitato organizzativo, ha spiegato invece come "Evasione di un francobollo" avrà un seguito nel prossimo anno, magari con un ampliamento degli istituti penitenziari interessati. La cerimonia di presentazione è stata presieduta dall’ assessore provinciale per la pianificazione del territorio, Fabio Altitonante.

Immigrazione: clandestinità non è un reato, 200 mila in piazza

di Maria Novella De Luca

 

La Repubblica, 19 ottobre 2009

 

In duecentomila per dire no al razzismo e ai razzismi. Per raccontare un’Italia che è già multietnica, che parla decine di lingue e centinaia di dialetti, che mischia culture e usanze, che prega in tanti modi diversi. A vent’anni dall’uccisione nei campi di Villa Literno di Jerry Masslo, rifugiato politico sudafricano assassinato durante la raccolta dei pomodori da una squadra di "giustizieri" italiani che seminavano il terrore tra gli immigrati, ieri a Roma un’immensa folla ha detto "no alla xenofobia, no al pacchetto sicurezza, no al reato di clandestinità".

Ma anche no all’omofobia, alle aggressioni contro gay e lesbiche, no insomma ad ogni forma di intolleranza. Un corteo lunghissimo, partito da piazza della Repubblica, ha attraversato il cuore antico della città, con slogan ritmati da sound africani e sudamericani, tra le bandiere palestinesi, afghane, del Pakistan e del Bangladesh, ma anche tra le migliaia di immigrati senegalesi con tute blu e caschi gialli arrivati dalle fabbriche del Nord con i coordinamenti sindacali. Una manifestazione più eterogenea che mai, scandita dalle bandiere rosse della Cgil, ma specchio della galassia di sigle che l’ha organizzata, il "Comitato 17 ottobre".

Sindacati e sigle antirazziste, gli studenti dell’Onda e i comitati di quartiere, le associazioni di immigrati e i movimenti omosessuali, i centri sociali e i missionari Comboniani, più di 400 organizzazioni laiche, religiose, politiche, nazionali e locali. Beffardi e durissimi gli slogan contro il Governo, con in testa al corteo alcuni canotti gonfiabili, tragico simbolo dei boat people respinti verso la Libia, e la scritta, "Maroni, vattene via sui gommoni".

E poi: "Siamo tutti clandestini", e "orgoglio meticcio". Sfilano gli esuli curdi stringendo le bandiere con la fotografia di Ocalan, i rifugiati somali in fuga dal mattatoio di Mogadiscio, sfilano i teenager ecuadoregni di Genova, seconda generazione, integrazione difficile e nessuna cittadinanza. Migliaia e migliaia che innalzano cartelli con la faccia di Jerry Masslo, il suo sorriso mite, e in tanti sono arrivati proprio da Caserta, da Villa Literno, da Pianura, per denunciare insieme al razzismo anche la camorra, che in quelle terre gestisce la nuova schiavitù. In testa al corteo ci sono Dario Franceschini, lo scrittore Moni Ovadia, il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, Niki Vendola, che ricorda le ultime aggressioni contro gli omosessuali. Da tutti un sola richiesta: "No al reato di clandestinità". Perché fuggire da guerre, fame e torture, dicono i sans papier, non è un reato, ma una tragedia.

Immigrazione: 13 mila le domande di "asilo politico" nel 2009

di Carlo Giorgi e Francesca Milano

 

Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2009

 

La valanga di richieste del 2008 giace nei faldoni, sulle scrivanie e gli scaffali degli uffici delle dieci commissioni territoriali. Spetta a loro il compito di studiare ogni singolo caso di persecuzione, attraverso i documenti prodotti dallo straniero ma soprattutto attraverso le sue parole che - come un fiume in piena, durante l’audizione che può durare anche diverse ore - raccontano di guerre, di minoranze etniche, di discriminazioni religiose.

Nel 2008 le commissioni avevano ricevuto più di 31mila richieste, un record mai visto negli ultimi dieci anni. Nei primi 8 mesi del 2009, invece, la "marea" è scesa a livelli meno allarmanti: quasi 13mila domande di asilo politico.

Se le pratiche in arrivo sono diminuite, quelle esaminate dalle commissioni territoriali sono aumentate, e per la prima volta in dieci anni - almeno fino a settembre -, le istanze "lavorate" hanno superato quelle ricevute. Nei primi otto mesi dell’anno le dieci commissioni (che si trovano a Milano, Roma, Siracusa, Trapani, Gorizia, Foggia, Crotone, Caserta, Torino e Bari) hanno vagliato quasi 10mila domande, molte delle quali relative all’anno precedente, nonostante la norma (contenuta anche nella Guida per i richiedenti asilo realizzata dal ministero dell’Interno e tradotta in dieci lingue) preveda tempi molto più rapidi: 30 giorni dalla presentazione della domanda per l’audizione davanti alla commissione e altri tre giorni per attendere il verdetto.

I rifugiati del 2009 arrivano in maggioranza dall’Africa: Nigeria e Somalia sono i primi due stati, seguiti dal Bangladesh, dal Pakistan e dal Ghana. Per tutti loro, in fuga dalle guerre, c’è un’altra battaglia da combattere, quella con le regole italiane che si sono inasprite appena un anno fa con il decreto legislativo n. 159/2008 che ha modificato le regole per i richiedenti asilo politico.

Di fatto, da un anno a questa parte, i richiedenti asilo non sono più liberi di spostarsi in Italia, ma devono obbligatoriamente restare confinati nel luogo di residenza o nell’area geografica stabilita dal prefetto.

Inoltre, chi presenta domanda dopo un’espulsione o un respingimento alla frontiera viene "detenuto" per in uno dei sei Cara (centri accoglienza richiedenti asilo) per un periodo che - sulla carta - va dai 20 ai 35 giorni. "Il sistema di accoglienza in Italia - spiega Christopher Hein, direttore del Cir (consiglio italiano rifugiati) - è migliorato molto negli anni. Ai tempi della crisi dei Balcani, negli anni 90, non esistevano strutture adeguate. Adesso le strutture ci sono anche se risultano insufficienti alle necessità: basti pensare alle 31mila domande del solo 2008 e ai circa 4mila posti di accoglienza disponibili".

In Italia esistono attualmente due sistemi paralleli di accoglienza: quello dei comuni e delle province, costituito da una rete di tanti piccoli centri; e quello del ministero dell’Interno, che ha a disposizione grandi centri. "È necessario - sostiene Hein - coordinare sotto un’unica regia questi due sistemi; e inoltre bisogna realizzare un programma centrale che curi l’integrazione abitativa e lavorativa dei rifugiati riconosciuti: i molti rifugiati che dormono in strada nonostante il riconoscimento ne sono la prova".

Sul fronte degli arrivi, qualcosa potrebbe cambiare: prima della fine di ottobre arriveranno in modo legale in Italia 66 rifugiati selezionati dall’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati. "Si tratta di un piccolo gruppo - spiega Hein -, non risolve il problema, ma è il passo giusto nella direzione in cui camminare".

Un passo nella direzione giusta lo fanno anche i comuni che richiedono l’accesso al fondo nazionale per le politiche e i servizi d’asilo finanziato anno dopo anno attraverso la Finanziaria. Per il biennio 2009/2010 sono 109 i progetti ordinari approvati per un totale di 24 milioni di euro (per ognuno dei due anni) assegnati al lordo delle economie. Sono i progetti che formano lo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), una rete di best practice fatta di accoglienza nei confronti di chi richiede protezione. Nei progetti Sprar gli stranieri possono restare fino all’ottenimento dello status di rifugiato e per i successivi sei mesi. Poi, viene il momento di ricostruirsi una vita.

Immigrazione: sempre più tragica condizione dei rom in Italia

 

www.imgpress.it, 19 ottobre 2009

 

A Milano, come in molte altre città di Italia, continuano le purghe etniche e la politica persecutoria contro Rom e Sinti. Nel capoluogo lombardo, un dipartimento di forza pubblica si dedica quotidianamente all’identificazione e all’evacuazione (senza alcuna alternativa sociale) di insediamenti abitati "abusivamente" da Rom e profughi.

Quando si tratta di edifici abbandonati, dopo gli sgomberi e le denunce per occupazione abusiva, le autorità provvedono a murare le entrate per "mettere in sicurezza" tali edifici, evitando che altri persone senza casa possano ancora rifugiarvisi. Il governo italiano ha destinato a tali operazioni di persecuzione ed evacuazione circa 20 milioni di euro solo per il 2009 e il 2010. Il rigetto istituzionale delle famiglie che appartengono al popolo Rom è sempre più sostenuto e le sue dinamiche disumane si esprimono ormai nell’indifferenza generale.

Basti pensare che se i Rom in Italia erano circa 160 mila nel 2006, oggi si può stimare la loro presenza in meno di 40 mila unità, compresi quelli di nazionalità italiana. 120 mila Rom sono stati espulsi dall’Italia, sia attraverso provvedimenti ufficiali, sia attraverso allontanamenti forzati o violenti condotti dalla struttura di forza pubblica. Gli sgomberi e gli allontanamenti sono stati effettuati con particolare accanimento nei confronti di Rom provenienti dalla Romania.

A livello locale, non vi sono particolari differenze, in quanto ad efferatezza delle purghe etniche e degli allontanamenti - che costituiscono gravi violazioni della carta dei Diritti Fondamentali nell’Unione europea - fra comuni, province e regioni amministrati dalla destra o dalla sinistra. Non a caso, oltre ai sindaci della Lega Nord (partito razzista e xenofobo), si segnalano per la metodicità degli sgomberi e della repressione amministrazioni del Pd, da Bologna a Firenze, da Torino a Rimini, da Padova a Pesaro.

Non è un caso che durante il corteo antirazzista di Roma (17 ottobre 2009) nessuno striscione sia stato dedicato alla condizione dei Rom in Italia e nessun rappresentante di insediamenti Rom sia stato invitato a partecipare. I dati del Sindacato di polizia penitenziaria, diffusi in data odierna, oggi, mettono in rilevo un dato altrettanto allarmante, per chi si occupa di tutela dei Diritti Umani: attualmente sono detenuti nelle carceri italiane circa 3 mila Rom romeni, mentre centinaia di minori Rom - sempre romeni - sono internati in strutture correttive o case accoglienza.

Se si considera che sul territorio italiano vivono attualmente dai 3 ai 4 mila Rom provenienti dalla Romania, risulta che oltre il 50% della popolazione Rom sul suolo italiano si trova in carcere o è comunque privata della libertà. È un dato che non ha uguali in alcuna parte del mondo e che può essere paragonato solo a quello che gli storici riferiscono al Terzo Reich, negli anni delle leggi razziali e dell’Olocausto.

Il Gruppo Every One e la rete antirazzista hanno rilevato centinaia di casi di persecuzione poliziesca e di gravi errori giudiziari nei confronti dei Rom (oltre che di violenza istituzionale), evidenziando in studi, dossier e articoli come i cittadini Rom siano ormai il capro espiatorio delle politiche legate alla sicurezza. Di fronte alla legge, i Rom - di maggiore o minore età - sono soggetti a condanne senza avere alcuna reale possibilità di difesa e in molti casi senza neppure comprendere (non essendo praticamente mai presente un interprete) la natura del reato di cui sono accusati. Le persone di etnia Rom che affrontano vicende giudiziarie si considerano fortunate quando hanno la possibilità di patteggiare una pena per ritrovare la libertà.

Il Gruppo Every One, che pubblicherà nei prossimi giorni un dettagliato rapporto sugli sgomberi di insediamenti Rom avvenuti negli ultimi due anni sul suolo italiano, sollecita ancora una volta le Istituzioni dell’Unione europea e l’Alto Commissario delle nazioni Unite per i Diritti Umani ad attuare misure efficaci nei confronti delle Istituzioni centrali e locali italiane, affinché abbia fine questa persecuzione, cha avviene nel silenzio mediatico (giornali e televisioni italiane sono purtroppo controllati dai partiti politici di destra e sinistra) ed è causa di sofferenze inaudite, divisione di famiglie, lutti e di una crisi spaventosa della democrazia e della civiltà in Italia.

 

Gruppo Every One

Olanda: misure alternative svuotano le carceri... celle in affitto

 

Ansa, 19 ottobre 2009

 

Cercasi celle carcerarie ottimo comfort, prestazioni di qualità si offrono a paesi confinanti con popolazione di detenuti sovraffollata. Lo sconcertante appello rimbalza da Bruxelles dove è arrivata già l’offerta dei vicini Paesi Bassi, che hanno un surplus di almeno duemila celle carcerarie vuote e che rischiano di licenziare 1200 secondini. L’offerta, senza precedenti, riguarda anche la Francia, che come l’Italia ha il problema delle prigioni superaffollate.

Il crollo della detenzione carceraria si spiega all’Aja con il successo delle pene alternative al carcere. L’inversione è tanto forte che il governo ha previsto di chiudere diverse prigioni. La decisione non è sfuggita al governo belga, che ha subito chiesto l’affitto di 500 celle.

Ci vuole, ovviamente, un accordo internazionale, ma sono già stati fissati i prezzi: 167 euro al giorno per detenuto. Per il Belgio sono 30 milioni di euro all’anno. In cambio gli olandesi forniscono ai galeotti belgi (e forse francesi) vitto, alloggio e sorveglianza. È già prevista la prigione "in trasferta". È a Tilburg, frontiera con il Belgio, dove arriveranno i detenuti con pene molto lunghe. Insomma una specie di Alcatraz in mezzo alle brume centro europee.

Gambia: la criminalità cresce, presto riprenderanno esecuzioni

 

Nessuno Tocchi Caino, 19 ottobre 2009

 

Saranno presto giustiziati in Gambia i condannati a morte per omicidio che hanno esaurito tutti gli appelli, ha dichiarato il capo della Procura Richard Chenge. "Saranno impiccati il prima possibile" ha detto Chenge, aggiungendo "Al momento stiamo controllando il patibolo nella Prigione Centrale di Stato, affinché tutte le attrezzature funzionino al meglio".

Lo scorso mese, il presidente del Gambia Yahya Jammeh ha dichiarato alla televisione statale Grts che, considerato il numero crescente dei crimini, nel Paese verrà ripresa l’applicazione della pena di morte. C’è stata una sola esecuzione nel Gambia dall’indipendenza nel 1965 dal Regno Unito: Mustapha Danso, condannato nel dicembre 1980 per l’assassinio di un vice comandante in capo, è stato giustiziato il 30 settembre 1981. Il 18 dicembre 2008 il Gambia si è astenuto sulla risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Francia: castrazione chimica obbligatoria per i crimini sessuali?

 

Asca, 19 ottobre 2009

 

Ogni volta che emerge un nuovo caso di violenza sessuale si torna a parlare di castrazione chimica. A questo proposito la Francia sto pensando ad un provvedimento obbligatorio per tutti i recidivi sessuali. A parlarne è stato il Presidente Nicolas Sarkozy al quotidiano Le Figaro: si tratta di una nuova bozza di legge, che verrà presentata in Parlamento il prossimo novembre, il cui punto centrale è che i delinquenti sessuali ritenuti pericolosi potrebbero uscire di prigione, una volta scontata la pena, solo se si impegnassero a subire la castrazione chimica.

Questo dovrebbe servire, secondo Sarkozy, a limitare la recidività, piuttosto frequente per questo genere di reati. Un delinquente sessuale non dovrà uscire di prigione che dopo l’adempimento della pena, è il minimo, e dopo essersi impegnato a seguire un trattamento chimico che ne contenga la libido. È profondamente anormale lasciar uscire di carcere dei pazienti senza imporre loro norme molto rigorose, anzitutto un trattamento medico.

 

 

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