Rassegna stampa 21 ottobre

 

Giustizia: la detenzione si accorcia di 1 anno, ma non per tutti

 

Secolo XIX, 21 ottobre 2009

 

Detenzione domiciliare ai "detenuti per reati di non particolare gravità". Esclusi mafiosi, terroristi, stupratori e assassini. Non sarà un indulto perché i detenuti non torneranno in libertà, però potranno scontare l’ultimo anno di pena agli arresti domiciliari. Con il risultato di alleggerire il sovraffollamento.

Cinque righe e cambia la detenzione. Che si accorcia di un anno "nei confronti di detenuti per reati di non particolare gravità". Saranno fuori dal carcere a breve, se passeranno le cinque righe inserite a pagina nove del Piano Carceri, in discussione domani - o venerdì - al Consiglio dei ministri.

E che prima ancora d’innovare l’ordinamento penitenziario - nel quale andrà inserita la modifica, se passasse - ribalteranno la vita dei detenuti. Alleggerendo di non poco il sovraffollamento dei "206 istituti penitenziari" italiani, gravati da "64.859 detenuti con un inarrestabile trend di crescita, documentato dall’andamento verificatosi tra il luglio 2006 e il luglio 2009". Del plotone degli oltre 64 mila, "nel settembre 2009 - secondo le stime del Dap, il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria - circa il 32% dei definitivi scontava pene residue non superiori a un anno". Potrebbero dunque giovare di un’uscita anticipata.

Già perché anche in caso di costruzione di nuove carceri - a Genova è prevista una struttura "flessibile" da 450 posti", a Savona, invece, una "tradizionale" per 200 detenuti - non si risolverebbe il problema. Il sovraffollamento c’è. Di più: ci sarà. E non si può andare avanti a colpi di indulto e amnistia com’è accaduto in questi primi sessant’anni.

Il motivo? Sta nella premessa stessa delle 40 pagine del testo: "Nel nostro Paese, la situazione di sovraffollamento può certamente essere definita endemica". E mica per colpa esclusiva degli extracomunitari. Come viene affermato nel Piano Carceri. Né si può continuare a fare "sistematico ricorso, quasi con cadenza biennale, a provvedimenti di clemenza (amnistia e indulto)".

Ergo, come accade nel resto d’Europa, non resta che pensare a mandare agli arresti domiciliari - con un anno d’anticipo sul fine pena - chi non è mafioso, terrorista, stupratore, assassino o rapitore. Tutti coloro non condannati per gravi delitti.

E chi non avesse una "propria abitazione"? O "altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza"? Recita il comma 2 dell’articolo 1: "La direzione dell’istituto penitenziario accerta, tramite la polizia penitenziaria o gli uffici dell’esecuzione penale esterna, la concreta possibilità del luogo esterno nel quale proseguire la detenzione". Ovviamente, escludendo dallo sconto di dodici mesi i recidivi. Evitando così il "concreto pericolo che il condannato commetta altri delitti".

La misura - "disposizioni per l’espiazione di pene detentive non superiori a 1 anno nei confronti di detenuti per reati di non particolare gravità" - essendo nuova di zecca, andrà infilata nell’ordinamento penitenziario.

Ci vorrà invece una modifica al codice penale, per l’inserimento dell’articolo 2. Che regola (già) l’evasione. Ma che prevede pene più dure per chi evadesse dagli arresti domiciliari o dalle strutture ammesse dall’articolo 1. Sempre che il testo passi così com’è in Consiglio dei ministri, arrivando poi alle Camere per la modifica al codice penale, nell’articolo 385. Sull’evasione, appunto. È previsto che chi volesse avventurarsi in evasioni, dopo aver beneficiato dell’uscita anticipata dal carcere "è punito con la reclusione da 1 a 3 anni".

Che passano "da 2 a 5" se la fuga avviene "con violenza o minaccia verso le persone". Se poi per evadere s’impugnano armi o ci si fa aiutare da più persone, si va "da 3 a 6 anni". Unica chance di ottenere comprensione è la consegna spontanea. Se pentito, l’evaso si costituisce, se ne terrà conto. E magari i 6 anni potrebbero ridursi un po’. Ammesso che i due articoli passino in Consiglio dei ministri e non s’incaglino poi in aula.

Giustizia: Pisapia; sono stupefatto, così il Governo cambia rotta

 

Secolo XIX, 21 ottobre 2009

 

Giuliano Pisapia è "stupefatto". Piacevolmente, da quanto prevede, a pagina 9, il "piano carceri" del Dap. Avvocato e giurista, impegnato anche alla Ue sulla legislazione in tema di tossicodipendenze, già parlamentare, non s’aspettava di vedere accorciata di 12 mesi la detenzione in cella.

 

Avvocato Pisapia, l’articolo 1 dà "disposizioni per l’espiazione delle pene detentive non superiori a un anno nei confronti di detenuti per reati di non particolare gravità". Che cosa cambierà?

"È una novità molto, molto importante. Una misura completamente nuova. Che dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri dovrà essere inserita nell’ordinamento penitenziario. Se approvato, e lo spero molto, quest’articolo segnerebbe un’importantissima inversione di tendenza di questo governo, in tema di giustizia".

 

Chi potrebbe lasciare il carcere, restandosene "nella propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza"?

"Certamente, non potrebbero beneficiarne persone condannate per reati gravi".

 

Cioè?

"Nessuna scarcerazione anticipata per chi abbia avuto condanne per mafia, terrorismo, sequestro a scopo di estorsione, omicidio e violenza sessuale".

 

Un provvedimento rivoluzionario.

"Assolutamente sì. Nella filosofia. Ora si può lasciare il carcere in anticipo. La legge già lo prevede, ma dopo aver dato prove di ravvedimento e dopo un accurato esame dei giudici. Se passasse questa nuova misura, l’uscita sarebbe automatica, salvo prova del contrario: cattiva condotta e via dicendo. Una rivoluzione copernicana".

 

L’articolo 2 prevede "modifiche all’articolo 385". Cambierà il codice, sul reato di evasione?

"L’inasprimento delle pene per chi evade dai domiciliari è legato all’uscita anticipata dal carcere a favore dei domiciliari. Francamente, mi pare logico. Se approvato dalle Camere, dopo il Consiglio dei ministri, modificherebbe l’articolo 385. Su questo specifico tema, andrebbe cambiato il codice penale".

Giustizia: Fincantieri; costruire navi-carcere? progetto pronto

 

Il Piccolo, 21 ottobre 2009

 

Carceri galleggianti anti-crisi: è questa l’idea proposta da Fincantieri al Governo. Un progetto già pronto e arrivato sul tavolo del ministro della Giustizia Angelino Alfano che, tra lodi e riforme, ora dovrà occuparsi anche di questo piano, che ha una duplice finalità: risolvere almeno in parte il problema del sovraffollamento nelle carceri e, allo stesso tempo, risollevare il settore della cantieristica navale, in profonda crisi, attraverso questa nuova tipologia di commessa pubblica.

Se il progetto dovesse andare in porto, Monfalcone potrebbe anche essere una delle destinazioni da prendere in considerazione per queste maxi-chiatte galleggianti. L’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono sulla questione chiarisce: "I penitenziari non verrebbero posizionati in mare aperto, ma nelle aree portuali, attaccati a una banchina". Il concetto è semplice: le prigioni italiane sono quasi dappertutto al collasso, prive dello spazio necessario per ospitare tutti i detenuti.

Ecco quindi che urge la costruzione di nuove strutture. L’idea di ospitare i detenuti in penitenziari galleggianti era già emersa alcuni giorni fa a Roma, durante l’incontro inaugurale del Tavolo permanente sulla cantieristica, che raccoglie le aziende della cantieristica italiane, i sindacati e il Governo attorno al delicato problema della crisi economica e occupazionale. Ma ora si è passati dalle proposte ai fatti: Fincantieri ha elaborato un progetto preciso, attualmente al vaglio del ministro della Giustizia. Come potrebbe quindi essere fatto questo carcere in mare?

"In base alle nostre intenzioni si tratterebbe di una struttura leggera e modulare, che potrebbe ospitare sino a 420 persone - spiega ancora Giuseppe Bono". Tempi e costi della costruzione dell’opera? "Se dovessimo ricevere un ordine credo che potremmo portare a termine il progetto nel giro di 24 mesi - afferma ancora l’ad della società -. I costi, invece, non li conosciamo ancora". I penitenziari galleggianti non sono una novità.

Si tratta di opere già realizzate in altri Paesi, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Il progetto di fattibilità di Fincantieri per il momento rimane sui tavoli romani, in attesa di un responso del ministro Alfano. Se il documento resta ancora una proposta, delle buone basi di partenza però ci sono tutte. I carceri galleggianti andrebbero infatti nella direzione di risolvere un problema annoso come quello del sovraffollamento delle prigioni italiane e darebbe ossigeno alla cantieristica, che sta vivendo un momento nero, con commesse bloccate e centinaia di posti di lavoro a rischio in molti cantieri italiani.

Giustizia: immigrati irregolari detenuti una "categoria a rischio"

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 21 ottobre 2009

 

È stato pubblicato oggi il 19° Rapporto Generale del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, un organismo che vede alla Presidenza il nostro connazionale Mauro Palma. I Rapporti Generali che il Cpt pubblica annualmente hanno un enorme valore, perché in essi più che altrove è racchiusa l’ormai ventennale esperienza del Comitato, che come è noto si basa su un sistema di visite periodiche e visite mirate - a oggi ne sono state effettuate circa 270 - ai luoghi di privazione della libertà dei 47 Stati membri.

È dai Rapporti Generali che si possono ricavare quelle che il Cpt, anno dopo anno e visita dopo visita, ha indicato quali condizioni di vita minimali che ogni Paese deve garantire all’interno delle proprie strutture di privazione della libertà personale.

È da qui che si evince, ad esempio, la metratura minima che il Comitato considera debba essere a disposizione di ciascun detenuto all’interno della cella affinché non si parli di trattamento inumano o degradante, metratura che è stata poi ripresa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel pronunciare le proprie sentenze al riguardo, che di recente hanno interessato, con una condanna, anche il nostro Paese.

In questo 19° Rapporto Generale, il Comitato fa il punto su quanto è stato raggiunto nei venti anni passati e si interroga sui problemi ancora aperti, primo fra tutti quello del sovraffollamento penitenziario che affligge più o meno l’intera area del Consiglio d’Europa, come la recente conferenza sul tema da questi promossa a Edimburgo ha mostrato.

Quasi si rivolgesse al Governo italiano, che resta invece fermo nei propri ciechi propositi, il Cpt ribadisce oggi quel che in molte altre occasione ha avuto modo di dire: la sola edilizia carceraria non sarà mai in grado di risolvere la situazione. Il Rapporto dà conto delle 19 visite effettuate dal Comitato tra l’agosto del 2008 e il luglio di quest’anno. Tra queste, nove sono state le cosiddette visite ad hoc, che il Cpt sceglie di realizzare con in vista uno specifico obiettivo di monitoraggio.

L’Italia compare in entrambi i sottogruppi di visite, essendo stata interessata, dal 14 al 26 settembre 2008, da una visita programmata e dettata dalla periodicità e, nel luglio 2009, da una visita ad hoc. Durante quest’ultima, la delegazione del Comitato si è soffermata in particolare sull’analisi delle recenti politiche di intercettazione di migranti irregolari nel Mediterraneo del sud e di loro respingimento verso l’Africa.

Particolare attenzione è stata prestata alle garanzie offerte per assicurare che nessuno sia stato respinto verso Paesi dove ci siano fondati motivi per ritenere che possa correre il rischio di venire sottoposto a tortura o ad altre forme di maltrattamento. Un lungo capitolo del Rapporto Generale è dedicato alle garanzie e alle condizioni detentive da destinarsi agli immigrati irregolari privati della libertà, che secondo l’esperienza del Comitato costituiscono una categoria particolarmente vulnerabile e soggetta a varie forme di maltrattamento tanto al momento dell’arresto quanto della detenzione quanto ancora al momento dell’espulsione.

È per questo che il Cpt ha dedicato, nel corso di molte sue visite, un’attenzione particolare al trattamento degli stranieri detenuti - tra i quali non vanno affatto annoverati i richiedenti asilo, come ammonisce lo stesso Comitato -, sia per quanto riguarda le condizioni materiali di vita loro assicurate che per quanto riguarda le garanzie legali che ancora per quanto riguarda l’assistenza sanitaria. In questo 19° Rapporto Generale il Comitato espone organicamente le proprie conclusioni sul tema, con un’attenzione ancor più pronunciata nei confronti dei bambini.

Giustizia: corso per "educatore cinofilo", ai detenuti negli Ipm

 

Apcom, 21 ottobre 2009

 

Un progetto pilota da sviluppare nelle carceri minorili di Roma, Milano e Napoli nel quale si insegni alle ragazze ed ai ragazzi detenuti a conoscere, amare ed educare i cani attraverso corsi professionali specifici in modo da creare operatori cinofili ed educatori canini dando quindi la possibilità a questi giovani di imparare un mestiere che allo stesso tempo li responsabilizzi avendo la responsabilità di educare altri esseri senzienti.

Questo il senso della lettera inviata oggi dal presidente nazionale di Aidaa Lorenzo Croce al ministro della giustizia Angelino Alfano ed ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. La proposta prevede la realizzazione di corsi professionali per operatori cinofili ed educatori cinofili da realizzare dentro le strutture di accoglienza per minori di Milano, Roma e Napoli e la possibilità di seguire lezioni pratiche all’interno dei canili e dei centri di educazione cinofila e in caso di esito positivo del corso anche la possibilità per le giovani ed i giovani detenuti di accedere al lavoro esterno presso le strutture pubbliche e private che si convenzionano siano essi canili pubblici o gestiti da enti ed associazioni riconosciute a livello statale e regionale o presso centri di educazione cinofila convenzionati.

"Crediamo seriamente in questo progetto - ci dice Lorenzo Croce presidente di Aidaa - e siamo pronti a mettere a disposizione la professionalità dei nostri educatori cinofili per realizzare questi corsi, riteniamo che il vivere a contatto con gli animali ed in un certo modo esserne responsabili sia una lezione di vita e un importante percorso di rieducazione per i giovani ospiti dei centri di accoglienza e di quelli che per esemplificazione chiamiamo carceri minorili. Ho scritto al ministro della giustizia Angelino Alfano chiedendo un appuntamento per spiegare il senso del nostro progetto che tra l’altro formerebbe delle figure professionali di cui oggi abbiamo assoluto bisogno, visto l’aumento della sensibilità nella tutela degli animali nella società corso che tre l’altro - conclude Croce - sarebbe realizzabile senza costi per l’amministrazione pubblica".

Giustizia: l’Italia scende al 49mo posto per la libertà di stampa

 

www.unimondo.org, 21 ottobre 2009

 

L’Italia in tre anni ha perso quattordici posizioni nella classifica sulla libertà di stampa stilata annualmente da Reporters Sans Frontières (Rsf), e dal 35mo posto del 2007 scivola quest’anno al 49mo. "Le vessazioni di Berlusconi nei confronti dei media, le ingerenze crescenti, le violenze della mafia contro i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata, e una proposta di legge che ridurrebbe drasticamente la possibilità dei media di pubblicare intercettazioni telefoniche" sono tra i motivi della perdita di posizioni dell’Italia.

La classifica dell’associazione indipendente di giornalisti organizzazione fondata nel 1985, viene stilata sulla base delle risposte al questionario di Rsf inviate da centinaia di giornalisti ed esperti di media e tiene conto delle violazioni della libertà di stampa denunciate per il periodo tra il primo settembre 2008 e il 31 agosto 2009. "La libertà di stampa deve essere difesa in tutto il mondo con la stessa energia e con la stessa costanza"- ha dichiarato Jean-François Julliard, segretario generale dell’organizzazione presentando l’ottava classifica mondiale della libertà di stampa elaborata da RSF.

Un ulteriore dato è particolarmente preoccupante: "il modello europeo si è incrinato" - segnala il rapporto. Per la prima volta dal 2002, i primi posti della classifica della libertà di stampa non sono più assegnati unicamente alle nazioni europee. Solo 15 dei 20 primi paesi dell’indice appartengono al Vecchio Continente, rispetto ai 18 nel 2008. Undici di questi 15 paesi sono membri dell’Unione europea, inclusi i primi tre posti della classifica: Danimarca, Finlandia e Irlanda.

Anche la Francia nella classifica 2009 perde otto punti scendendo al 43mo posto a causa delle indagini giudiziarie ordinate dalle autorità nei confronti di alcuni media, dei fermi di alcuni giornalisti e delle perquisizioni di svariate redazioni ma anche a causa delle ingerenze nell’universo mediatico da parte di alcuni politici, tra cui lo stesso presidente Nicolas Sarkozy.

La Slovacchia è il paese dell’area UE che perde più punti nella classifica 2009 precipitando di 37 posti arrivando così al 44° posto dell’indice. "Questo è dovuto principalmente alle continue ingerenze del governo nelle attività dei media e all’adozione nel 2008 di una legge che impone un diritto automatico di risposta a mezzo stampa. "È inquietante constatare che le democrazie europee come Francia, Italia e Slovacchia continuano, anno dopo anno, a perdere terreno nella classifica" - ha commentato Jean-Francois Julliard, segretario generale dell’organizzazione.

Anche due Paesi candidati all’adesione all’UE hanno riscontrato drammatiche perdite di punti. La Croazia (78°), perde 33 punti, e la Turchia (122°), ne perde 20 posti". Un altro stato membro dell’Unione europea, la Bulgaria, continua a scendere nella classifica da quando, nel 2007, ha aderito all’UE: ora è al 68° posto (contro il 59° del 2008): si tratta della Nazione membro dell’UE con il punteggio più basso" - evidenzia il rapporto.

Il deterioramento della situazione della libertà di stampa in Turchia, e la sua evoluzione negativa nella classifica 2009, sono causati da un aumento sostanziale dei casi di censura che ha colpito in particolare i mezzi di comunicazione che rappresentano le minoranze (soprattutto i curdi), e dalla chiara volontà dei membri degli organi di governo, delle forze armate e del sistema giudiziario di mantenere il controllo sulle informazioni relative alle questioni di interesse generale.

La Russia (153°), perde 12 posti, classificandosi per la prima volta dopo la Bielorussia. "Questa nuova posizione, tre anni dopo la morte di Anna Politkovskaya, è dovuta alle numerose uccisioni di giornalisti e di attivisti per i diritti civili, e alle continue aggressioni subite dai professionisti dell’informazione locali. A questo si aggiunge il pericoloso aumento della censura e degli argomenti tabù che i giornalisti non "possono" affrontare e la totale impunità di cui ancora godono i responsabili - mandanti ed esecutori - delle uccisioni dei giornalisti" - spiega Rsf.

Tra i dati di maggior rilievo va però segnalato il miglioramento degli Stati Uniti dopo l’insediamento di Barack Obama (dal 40° al 20° posto). "L’elezione di Barack Obama e il suo approccio nei confronti dei media, certamente meno "bellicoso" di quello del suo predecessore, spiega questo netto miglioramento" - riporta Rsf. Il miglioramento riguarda tuttavia soltanto la situazione della libertà di stampa nel territorio americano.

"Anche se il presidente Obama ha vinto il premio Nobel per la pace, il suo Paese è ancora impegnato su due fronti di guerra" - evidenzia Rsf. Nonostante il leggero miglioramento registrato, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dei media in Iraq (145mo) e in Afghanistan (149mo) resta preoccupante. Numerosi giornalisti sono stati feriti o arrestati dai militari americani. Uno di questi, Ibrahim Jassam, è ancora in carcere in Iraq.

Per quanto riguarda Israele, l’operazione "Piombo fuso" - l’offensiva militare israeliana contro la Striscia di Gaza - , ha avuto un forte impatto negativo sulla stampa. Israele è infatti precipitata di 47 posti nella classifica arrivando alla 93a posizione. Un tracollo che fa perdere ad Israele il suo statuto di primo in classifica tra i Paesi del Medio Oriente: quest’anno lo superano il Kuwait (60°), gli Emirati Arabi Uniti (86°) e il Libano (61°). "Israele ha cominciato a usare all’interno del Paese gli stessi metodi che usa nei territori al di fuori delle proprie frontiere".

Reporters sans frontières ha registrato cinque arresti di giornalisti in Israele, alcuni dei quali del tutto illegali, e tre casi di detenzione. La censura militare applicata a tutti i mezzi di comunicazione rappresenta un’ulteriore minaccia al lavoro dei professionisti dei media in loco. Per quanto riguarda il suo comportamento nei confronti dei media nei territori al di fuori delle frontiere nazionali, Israele ottiene un 150° posto nella classifica. Il bilancio della guerra sui media è stato estremamente pesante: circa 20 giornalisti sono stati feriti dalle forze militari israeliane nella Striscia di Gaza e tre sono stati uccisi durante il conflitto.

Mai come quest’anno i giornalisti hanno sofferto e subito pressioni nell’Iran di Mahmoud Ahmadinejad. La contestata rielezione del presidente ha trascinato il paese in una crisi senza precedenti e ha sviluppato la paranoia del regime e la sua diffidenza nei confronti di giornalisti e blogger. "Censura preventiva automatica, sorveglianza totale delle autorità sui giornalisti e il loro lavoro, maltrattamenti, giornalisti costretti a scegliere l’esilio, arresti illegali": questa è la situazione della libertà di stampa in Iran nell’ultimo anno analizzato da Rsf. L’Iran ha ormai raggiunto il trio in fondo alla classifica - Turkmenistan (173°), Corea del Nord (174°) ed Eritrea (175°) - paesi in cui i media sono così soffocati, repressi da essere ormai praticamente inesistenti.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 21 ottobre 2009

 

La galera di Belluno. Caro Arena, il carcere di Baldenich di Belluno è una struttura schifosa, fatiscente e sovraffollata. Si tratta di un vecchio carcere dove è tutto buio e sporco e dove noi siamo trattati peggio degli animali.

Ti dico solo che sono rinchiuso in una cella, non più grande di 20 mq, con altri sette detenuti. È semplicemente vergognoso il modo in cui ci fanno vivere. Rimaniamo qui dentro chiusi per 21 ore al giorno! Durante la mattina qui dentro non si riesce a respirare, figurati di notte quando chiudono anche il blindato della cella. Il mangiare che ci danno è immangiabile ed è anche poco. Tanto che qui spesso si sente sussurrare la parola: fame.

Inoltre, io a causa di un incidente ho un piede deforme, di conseguenza non riesco ad ottenere di poter lavorare dentro al carcere, il che mi pesa molto. Ma non solo. A causa del mia handicap non riesco bene a muovermi qui dentro, visto le barriere architettoniche che si sono. Inoltre, anche se mi mancano solo 2 mesi al fine pena, non riesco a ottenere nessun beneficio. Sono disperato e spesso penso che dovrei prendere una corda e attacarmela al collo… così per farla finita. Penso questo perché il carcere ci annienta e ci fa sentire come persone che non hanno più un posto su questa terra. Ti saluto con tanta stima.

 

Franz, dal carcere Baldenich di Belluno

 

Noi napoletani rinchiusi a Lecce. Caro Arena, siamo un gruppo di ragazzi di Napoli che però si trovano detenuti nel carcere di Lecce. Per noi essere detenuti a 540 km di distanza dalle nostre famiglie è un grandissimo problema e anche una grande ingiustizia.

Infatti molti dei nostri familiari non hanno possibilità economiche per spendere 200 euro a settimana, per venirci a trovare qui. È una prigione dentro la prigione. È una grandissima sofferenza non poter vedere in carcere la propria moglie o i propri bambini. E poi è una cosa contro la legge visto che c’è una norma che prevede che un detenuto debba stare in un carcere vicino alla propria famiglia. Un altro problema che abbiamo è il magistrato di sorveglianza. Ti dico solo che qui ci sono dei detenuti a cui è stata riconosciuta la liberazione anticipata quando praticamente avevano finito di scontare la pena.

Inoltre, devi sapere che qui nel carcere di Lecce abbiamo il grave problema dell’acqua. Spesso non esce dai rubinetti per tutto il giorno e, quando invece c’è, esce dal rubinetto acqua gialla e puzzolente. Pensa che, alcuni di noi, sono costretti a bere quest’acqua senza sapere se è potabile o no. E questo proprio perché non hanno soldi per comprare quella minerale, ti rendi conto? Ti salutiamo con stima.

 

Vito e i detenuti napoletani del carcere di Lecce

Liguria: in piano-carceri 2 nuove strutture, a Genova e Savona

 

Secolo XIX, 21 ottobre 2009

 

Due nuove carceri per la Liguria. A Genova e Savona. Nel Piano in discussione al Consiglio dei ministri - domani o venerdì - per Genova è prevista una "struttura "flessibile" da 450 posti". Dal "costo presumibilmente oscillante, tra i 22 e i 24 milioni di euro". Insieme al capoluogo ligure, un analogo carcere flessibile è previsto a Milano, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Roma, Catania e Bari.

Nelle nove città, il Piano Carceri vuole intervenire "per la deflazione dell’esistenti case circondariali". Ovvero: diminuire il numero di detenuti già ospitati nelle carceri esistenti. Che non andranno demolite. E resteranno dove sono. Ma che dovrebbero diventare meno disumane di quanto siano oggi, limitando i carcerati a quelli previsti. Insomma, niente più celle sovraffollate all’inverosimile. Con problemi pesantissimi sia per chi è recluso, sia per gli agenti di polizia penitenziaria.

In altre otto città - Pordenone, Pinerolo, Paliano, Bolzano, Varese, Latina, Brescia e Marsala - il Dap ha previsto la "costruzione di strutture prevalentemente di reclusione". Il costo per realizzare il pacchetto "9+8", secondo le stime del Dipartimento amministrazione penitenziaria si aggira tra i 374 e i 408 milioni di euro. Per una capienza di 7.650 posti.

Con altri 613 milioni di euro, si otterrebbero i 4.429 posti, dislocati in "costruzioni tradizionali" pensate per Roma, Milano, Nola, Sciacca, sala Consilina, Venezia e Savona.

Per la città ligure, il Dap ha stimato una spesa di 59 milioni di euro: 31 per il primo lotto e altri 28 per il secondo. Dove trovare i denari? Il primo lotto è già "finanziato". Quanto alle risorse per il secondo, sono "da individuare".

L’area è da espropriare. Ma sarebbe già stata individuata: "Disponibile un’area di 18 ettari in località Passeggi-Cian di Giani".

Dalle stime del Dap, nella nuova struttura savonese ci sarebbero 250 posti ordinari da aggiungere ad altri 15 per i detenuti semiliberi. La caserma degli agenti penitenziari dovrebbe avere 150 posti. Quanto agli alloggi demaniali, sono previste 15 unità.

Il primo lotto finanziato prevede la realizzazione di 130 posti. Ed "è in corso di predisposizione il progetto esecutivo". Il via ai lavori è fissato "presumibilmente per gennaio 2010". Più complesso, il secondo lotto. "I lavori prevedono il completamento dell’istituto, con la realizzazione degli ulteriori 135 posti detentivi".

Delle strutture cosiddette tradizionali, Savona è la meno capiente. A Roma, i posti sono 1.000; a Milano e Nola, altrettanti; a Sciacca 400, come a Sala Consilina e Venezia. Per un totale di 4.429 nuovi posti, appunto. Altra faccenda è quella che riguarda le nove città per le quali sono previste "strutture flessibili".

Che cosa significhi flessibile non è proprio chiarissimo. Certamente, sono carceri che non vanno a sostituire le già esistenti, ma che vanno ad aggiungersi a quanto già c’è. Appunto con la speranza di evitare sovraffollamenti inumani e indegni di un Paese civile.

Il "flessibile" dovrebbe essere un carcere modello L’Aquila. Una struttura sicura, ma costruita agilmente. E assegnata con una gara rapida. Materialmente, potrebbe essere simile a quanto già c’è in buona parte d’Europa. Specie nei Paesi Nordici.

Sia per tipologia, sia per risparmio, queste carceri non avrebbero mura di cinta rinforzate o quant’altro è richiesto per strutture di massima sicurezza. Nulla che consenta facili evasioni, per carità. Ma calibrata su detenuti che forse manco lo farebbero. Certamente non con pene imponenti in termini di anni da scontare. Magari in attesa di giudizio, "appellanti" o "ricorrenti".

Al 12 ottobre 2009, in Liguria in attesa di giudizio erano in 469 detenuti; 285 in attesa dell’Appello e 171 ricorrenti. In 36 avevano una posizione definita "mista" dal Dap, per un totale di 961 persone. Sommati ai cosiddetti definitivi - 686 persone - e a una pratica "da impostare", fanno la bella cifra di 1.648 detenuti. Che sperano, almeno su Genova, nell’arrivo del carcere flessibile, in aggiunta a Marassi.

Genova: carcere sovraffollato; tra degrado, violenza e droghe

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 21 ottobre 2009

 

"La situazione nel carcere Marassi di Genova è disumana. In ogni cella ci sono 9 detenuti, sdraiati su tre letti a castello di tre piani. 9 persone che non hanno neanche lo spazio per muoversi. Ogni volta che entro lì dentro rabbrividisco. Vorrei far sentire a chi di dovere gli odori che escono da quella cella. C’è sa sentirsi male." Fabio Pagani, agente della polizia penitenziaria del carcere di Genova e segretario regionale ligure della Uil.

"Al Marassi eravamo in 9 detenuti dentro una cella e ci stavamo chiusi per 21 ore al giorno. L’aria era irrespirabile. Non solo a causa di 9 corpi chiusi in 20 mq, ma anche per via dello scarico del bagno che non funzionava, dei materassi sporchi e delle lenzuola che ci cambiavano una volta al mese. E poi gli scarafaggi, la sporcizia. È stato un incubo." Mauro, 54 anni, da poco uscito dal carcere di Genova.

Due affermazioni drammaticamente simili. Quella del custode e quella del custodito. Due affermazioni che testimoniano lo stato di illegalità e di degrado presente nel carcere di Genova. Un carcere situato nel centro della città, proprio accanto allo Stadio Marassi. Un carcere vecchio, costruito alla fine dell’800. Una struttura fatta per ospitare solo 456 detenuti. Una galera sovraffollata che oggi ospita ben 725 persone. Ma non solo.

"Il carcere di Marassi" - afferma Mauro - "è una polveriera pronta ad esplodere. Ogni giorno c’è una rissa nel cortile dove si fa l’ora d’aria. Lì Marocchini, Albanesi e Italiani si scontrano quotidianamente. Si scatena la rabbia. Si picchino a turno. C’è sangue da tutte le parti. È una cosa incredibile!".

"All’interno delle celle - spiega Fabio Pagni - i detenuti sono divisi per nazionalità. Il problema sorge quando devono uscire dalle celle perché c’è l’ora d’aria. In quel momento saltano le divisioni tra le varie etnie e 300 detenuti si ritrovano nel cortile. È lì che scoppiano le risse. È una polveriera. Noi speriamo che non ci scappi il morto, ma la situazione è a rischio. E lo è anche per noi agenti. Dovremo essere 456, ma di fatto siamo solo 300 poliziotti che devono controllare 725 detenuti".

Insomma, il Marassi, non è solo vecchio e sovraffollato, è anche una polveriera umana. È un ghetto nella città, dove altre regole si sono sostituite alla legge. Certo, si litiga per la disperazione, per dare sfogo alla frustrazione generata dallo stare chiusi in cella per 21 ore al giorno. Si fa a botte per equilibri di forza interni. Ma si litiga anche per altro. Per il dominio di mercati clandestini come quello della droga. Si la droga. Droga che entra nel carcere Marassi, come ci conferma Giovanni, anche lui ex detenuto a Genova.

"Al Marassi - spiega Giovanni - trovi quello che vuoi. Eroina, cocaina, fumo. Il modo più facile per farla entrare è quello di lanciarla dall’esterno del carcere verso l’interno. Il Marassi infatti è costeggiato da due strade. Via del Faggio, che a nord divide un supermercato dal carcere e via Calvarezza, che a sud divide il carcere dallo Stadio. Si lancia la droga dal supermercato, ma ancora più facilmente la si lancia dallo Stadio, che ha delle finestre che danno proprio sul cortile del carcere. Ora su quelle finestre dello Stadio hanno messo delle reti. Ma le reti vengono regolarmente bucate e i lanci continuano."

"È vero - conferma Pagani - la droga viene lanciata dallo Stadio e dal supermercato. Noi facciamo il possibile per raccoglierla, ma non si può negare che qualche lancio vada a buon fine".

Un’ultima cosa. Il direttore del carcere di Marassi, Salvatore Mazzeo, ha chiesto e ottenuto di essere mandato in missione nel carcere di Aosta. Morale: per tre giorni a settimana è ad Aosta, gli altri due al Marassi. Questo è oggi il carcere di Genova. Degrado. Sovraffollamento. Violenza. Droga. Basterà solo costruire un nuovo carcere per risolvere tutti questi problemi? Sembra proprio di no.

Pistoia: 24enne romeno muore in caserma subito dopo l'arresto

 

La Repubblica, 21 ottobre 2009

 

È stata aperta un’inchiesta sulla morte di un giovane romeno di 24 anni, morto subito dopo essere stato arrestato dai carabinieri di Montecatini e sedato da un medico del 118, perché "fuori si sé".

Il ragazzo era stato fermato lunedì sera verso le 21.30 con l’accusa di aver aggredito e rapinato l’ex fidanzata. Vedendo gli uomini delle forze dell’ordine, il giovane, vistosamente ubriaco, era andato su tutte le furie. Una volta giunto in caserma, ha continuato ad opporre resistenza con urla e atti di autolesionismo, colpendo più volte il pavimento e le pareti con la testa e altre parti del corpo. I militari, dopo aver cercato di farlo calmare, hanno richiesto l’intervento di un medico del 118, che gli ha somministrato un sedativo. Da allora, però, il ragazzo non si è più svegliato.

Il detenuto continuava a rimanere immobile in uno stato di sonno profondo. Verso la mezzanotte, i carabinieri hanno iniziato a sospettare che qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Il romeno, infatti, non dava cenni di vita, neanche dopo i tentativi del personale medico di rianimarlo. A quel punto è partita una seconda telefonata al 118, che ha mandato immediatamente un’ambulanza sul posto. Poi la corsa disperata all’ospedale di Pistoia, dove il giovane è arrivato già morto.

Il caso è ora nelle mani della magistratura, che ha aperto un’inchiesta per far luce sulle cause del decesso. Dall’autopsia, fissata per mercoledì mattina, dovrebbero emergere particolari rilevanti sullo stato di salute del giovane e sul tipo di calmante che gli è stato somministrato.

Trento: un’interrogazione sull’assistenza sanitaria ai detenuti

 

Ansa, 21 ottobre 2009

 

L’assistenza sanitaria nel carcere di Trento è oggetto di un’interrogazione del consigliere provinciale del Trentino Bruno Dorigatti al presidente della Provincia autonoma e all’assessore competente.

Dorigatti chiede di conoscere a che punto sia l’organizzazione del nuovo servizio in carico all’Azienda sanitaria di assistenza sanitaria nelle carceri, conseguente alla promulgazione di un decreto del presidente del Consiglio, lo scorso 1 aprile, che stabiliva le modalità e i criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria. Il consigliere chiede poi informazioni specifiche sui servizi notturni e sui finanziamenti provinciali.

‘L’organizzazione del servizio - sostiene Dorigatti - è ancora in alto mare tanto che l’assistenza notturna e nei giorni festivi è affidata ai medici di continuità assistenziale, le cosiddette guardie mediche. Si tratta di una situazione evidentemente insostenibile. L’assistenza sanitaria in carcere ha delle particolarità e richiede una professionalità specifica per gli aspetti tipici legati all’ambiente in cui si opera, alle patologie ad esso legate e alla situazione del paziente"

Lecce: Osapp; chiusa la mensa per gli agenti... avanti a panini!

 

Asca, 21 ottobre 2009

 

Le esternazioni del vicesegretario nazionale dell’Osapp, sigla sindacale: "La situazione incresciosa verificatasi nel penitenziario di Lecce è l’ultima di una serie di disfunzioni già segnalate".

Se nel carcere di Lecce le situazioni d’emergenza non si contano più, tanto che alcuni esponenti politici (ma solo alcuni) hanno iniziato a vedere di persona tutte le disfunzioni di Borgo San Nicola, che mettono in ginocchio chi vive il carcere giorno per giorno (e non si parla solo chi sconta pene, ma degli stessi agenti della polizia penitenziaria), adesso ci si mette anche la sospensione del servizio mensa per gli agenti.

E così, Mimmo Mastrulli, il vicesegretario generale nazionale dell’Osapp, una delle sigle sindacali di riferimento, scrive, fra gli altri, al capo del Dipartimento, Franco Ionta ed al ministro della Giustizia Angelino Alfano, raccontando le vicissitudini di uno degli istituti di pena negli ultimi tempi più al centro dell’attenzione.

"La situazione incresciosa verificatasi nel penitenziario di Lecce con l’immediata ed inaspettata chiusura della mensa obbligatoria di servizio, con la contestuale consegna del sacchetto viveri alla polizia penitenziaria, è l’ultima di una serie di disfunzioni anche in precedenza segnalate dall’Osapp che si registrerebbero ai danni del personale del corpo della polizia penitenziaria di servizio", scrive Mastrulli.

"Ancora più grave l’unilateralità della decisione di sospensione mensa di servizio sostituendola con l’alternativa del sacchetto viveri con panini a freddo senza peraltro confrontarsi con gli organismi sindacali locali e regionali ed in perfetta violazione da quanto stabilito nelle competenti commissioni, ex articolo 26 dpr 395/1995", aggiunge.

"L’inadeguatezza dei locali di soggiorno momentaneamente individuati nelle vicinanze dei locali mensa obbligherebbe la stessa amministrazione a dichiararsi se sulla questione sia stata o meno interessata preventivamente l’Asl territoriale per l’idoneità e la salubrità come previsto dalla norma". Tutto ciò in un momento in cui in Puglia si conta "una popolazione di 4mila e 300 detenuti sparsi nelle dodici strutture penitenziarie, di cui solo a Lecce 1400 utenti contro i 680 posti letto", il che, aggiunge, "aggrava le condizioni della qualità della vita dei baschi azzurri della polizia penitenziaria continuamente frustrati nelle attività anche di ristoro oltre che professionali.

Un’alternativa di soggiorno momentaneo del personale di polizia in locali adiacenti a quelli in ristrutturazione - dice ancora - inclina ulteriormente i rapporti con il sindacato e con i dipendenti su come si utilizza lo strumento della gestione in Puglia da parte di alcune realtà penitenziarie". Da qui, la richiesta di correttivi urgenti. E nell’attesa, di compensare il disagio con i buoni pasto ticket, come "previsto dal Ccnl Dp del 16 aprile 2009, numero 51, articolo 7".

Tolmezzo (Ud): il sindaco in visita carcere, c’è sovraffollamento

 

Messaggero Veneto, 21 ottobre 2009

 

Visita al carcere tolmezzino da parte dei consiglieri regionali Paolo Ciani e Luigi Cacitti che assieme al sindaco Dario Zearo ed al consigliere comunale Francesco Martini, si sono recati nell’istituto di via Paluzza accolti dalla direttrice dottoressa Silvia Della Branca. In questo periodo tanto si dibatte sui temi relativi al mondo carcerario nazionale, di questi giorni la notizia che il presidente del consiglio Berlusconi ha annunciato il piano che prevede la costruzione di nuovi istituti di pena in grado di accogliere ulteriori 20.000 detenuti, per cui si è deciso di effettuare una visita per rendersi conto personalmente della situazione nella casa circondariale di Tolmezzo.

Durante l’incontro la direttrice ha illustrato, con ampie ed esaurienti argomentazioni, la situazione del carcere tolmezzino. In sintesi la dottoressa Della Branca ha evidenziato problemi connessi all’elevato numero di detenuti presenti attualmente ed alla sempre più carente disponibilità di risorse utili al buon funzionamento dell’istituto, sottolineando il merito del personale di ogni singolo settore che con l’impegno quotidiano sopperisce a tali carenze. La delegazione è stata poi accompagnata, assieme al comandante del reparto di polizia penitenziaria vice commissario Barbieri, in visita ai locali che ospitano i detenuti, quelli dove si svolgono i corsi scolastici e dove si trova la biblioteca. "È stata una visita positiva - ha dichiarato il sindaco di Tolmezzo, Dario Zearo - dove in particolare ho potuto constatare l’alta professionalità di cui sono dotati tutti gli operatori che prestano il loro servizio nel locale istituto di pena".

Foggia: Sappe; 370 posti 750 detenuti, situazione drammatica

 

Ansa, 21 ottobre 2009

 

"Situazione drammatica". Non usa mezzi termini Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - Sappe - per definire la condizione del carcere di Foggia. Capace ha visitato la struttura carceraria foggiana, dopo essere stato a Lecce, Taranto e Trani. Situazione al collasso, denuncia il segretario del Sappe, sottolineando il sovraffollamento del carcere di Foggia, 750 detenuti contro 370 posti letto.

A tutto questo va aggiunto una forte carenza di personale, agenti di polizia penitenziaria ai quali vengono negati i diritti fondamentali, come ferie e riposi. "750 detenuti per 250 agenti è un rapporto deficitario che ci portiamo dietro anche a livello nazionale, dove mancano in organico 5500 poliziotti penitenziari - ha detto Capece.

Il Governo dovrebbe dare dei grandi riconoscimenti agli agenti per i sacrifici che sta compiendo, soprattutto nella struttura foggiana dove si dovrebbero accendere i riflettori perché qui c’è del personale integro - continua - personale onesto che lavora più di otto ore al giorno in silenzio offrendo sicurezza a tutti i cittadini". Secondo Capace, mancherebbe all’attivo circa il 30% degli agenti di Polizia Penitenziaria, così come previsto dalla legge del 2001, per rendere efficiente il carcere Dauno. "I colleghi - ha detto il segretario del Sappe - svolgono servizio con enormi sacrifici però sono sempre in prima linea. Abbiamo - ha chiosato - bisogno di più attenzione e più rispetto. Non si può chiedere sempre senza dare un aiuto a chi nell’istituto garantisce sicurezza"

Genova: violenze sessuali su una detenuta, direttore "sospeso"

 

La Repubblica, 21 ottobre 2009

 

Avrebbe abusato sessualmente di una detenuta marocchina concedendole in cambio vari favori, tra cui anche il permesso di rientrare in ritardo in carcere dopo le uscite previste dal regime di semilibertà. Per questo il direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo, Giuseppe Comparone, è stato sospeso dall’incarico, per decisione del gip del tribunale genovese Adriana Petri, su richiesta dei pm Alessandro Bogliolo e Vittorio Ranieri Miniati. I magistrati ipotizzano a carico di Comparone i reati di violenza sessuale continuata e aggravata dal fatto che la vittima era detenuta, concussione "sessuale", induzione alla calunnia, falso ideologico e materiale.

Gli inquirenti si erano accorti che la detenuta aveva a disposizione un cellulare nel quale custodiva vari numeri di agenti di polizia penitenziaria che non avrebbe dovuto avere. Nella rubrica aveva anche il numero di cellulare del direttore del carcere. Il caso emerse un giorno che la donna non si presentò al lavoro. In quell’occasione il direttore Comparone fu accusato di avere svolto accertamenti per appurare dove fosse stata la donna, senza poi presentare rapporto all’Amministrazione carceraria.

Fu la donna stessa, interrogata dagli inquirenti, a parlare delle violenze sessuali che sarebbero state perpetrate non come violenza fisica, ma come ricatto. La donna, dopo l’apertura dell’inchiesta, fu immediatamente trasferita nel carcere di Monza. Comparone, difeso dall’avvocato Mario Iavicoli, sostenne un interrogatorio di fronte al Gup durato sette ore. Le sue spiegazioni non sono state giudicate convincenti dal giudice Petri. L’interdizione avrà durata di due mesi e sarà passibile di reiterazione dietro richiesta della procura.

Viterbo: Garante Lazio, propone Corsi di laurea per i detenuti

 

www.tusciaweb.it, 21 ottobre 2009

 

Angelo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, sta pensando di organizzare i corsi di laurea per detenuti al carcere di Viterbo, dopo analoga iniziativa avviata a Palermo.

"Il nostro progetto di teledidattica, che da tre anni coinvolge il carcere di Rebibbia e l’università di Tor Vergata a Roma - spiega - è un’iniziativa eccellente, una grande offerta formativa con lezioni tenute dai docenti. Ai detenuti che diventano studenti manca la dimensione dello studente "vero" e quindi poter, anche solo in videoconferenza, entrare in contatto con le dinamiche universitarie. Questo, tuttavia, è consentito dagli incontri bisettimanali con gli assistenti dei professori".

Sul progetto avviato a Palermo, poi, Marroni spiega come "un’iniziativa del genere non sia facile da attuare e questo non a causa della mancanza di risorse economiche, che invece arrivano dalla Regione Lazio, ma perché si tratta di una macchina molto complessa".

"Con l’università della Tuscia - conclude Marroni - si pensa di ripetere l’iniziativa nel carcere laziale grazie anche ai pochi detenuti presenti (600). L’unico limite del nostro progetto è che non può coinvolgere Facoltà che necessitano della presenza quotidiana di laboratori e docenti". A Rebibbia i detenuti che hanno la possibilità di studiare giurisprudenza, economia e lettere sono 30 su una popolazione carceraria di 1.300.

Firenze: Solliccianino; agenti allarmati per aumento di detenuti

 

Nove da Firenze, 21 ottobre 2009

 

I lavoratori della Polizia Penitenziaria del carcere "Mario Gozzini" di Firenze chiederanno un incontro con Maria Pia Giuffrida, Provveditore regionale toscano degli istituti di pena per discutere sulla situazione che sta generandosi all’interno della struttura conosciuta come "Solliccianino".

Nato come Custodia attenuata a basso regime di sicurezza, attualmente sono una settantina i detenuti in custodia ospiti della struttura che, inizialmente doveva ospitare solo ragazzi con problemi di droga o reati legati ad essa ma, secondo un progetto della Provveditorato, al fine di diminuire la pressione sul vicino carcere circondariale di Sollicciano e la chiusura del vecchio penitenziario "Le Murate" che, ospitava la sezione di semilibertà, sono stati associati al "Mario Gozzini" tre tipologie di detenuti, semiliberi, comuni e custodia attenuata in tutto al momento una sessantina di detenuti, numero destinato a crescere nei prossimi mesi.

L’organico attuale è meno di 40 agenti, compresi i sottufficiali, e si lamentano situazioni di forte disagio per la mancanza di concessione di permessi e per l’accumulo dei giorni di ferie maturati e non goduti (qualcuno è giunto a quota 70 giorni di ferie). Ma la massima preoccupazione per i lavoratori del carcere "Mario Gozzini" è dovuta dall’abbassamento dei livelli di sicurezza che, se la popolazione carceraria dovesse aumentare, scenderebbero al di sotto della tollerabilità.

Già adesso, denunciano i lavoratori, esistono problemi per garantire ai detenuti l’accesso ad alcuni servizi come le attività sportive (principio indispensabile per garantire l’inserimento del detenuto nella società moderna). Nel caso dello spostamento di altri detenuti la pressione del lavoro sugli agenti attualmente in servizio creerebbe forti disagi che andrebbero ad aumentare notevolmente i giorni e gli orari destinati al ricevimento visite e ai colloqui con i legali. Nascerebbe poi il problema della convivenza tra detenuti semiliberi e quelli sottoposti a regime di media sorveglianza (comuni e custodia attenuata) a questo si aggiunge l’abbandono totale della Direzione dello stesso Gozzini che, nulla sta facendo, per migliorare la vivibilità del personale e degli stessi ospitati, anzi quotidianamente non fa altro che, peggiorare l’accumulo discriminando parte del personale e portando questi a raddoppiare le assenze giustificate.

Napoli: parte laboratorio teatrale, con ragazzi dell’Ipm Nisida

 

Redattore Sociale - Dire, 21 ottobre 2009

 

Partirà la settimana prossima nell’Istituto penale minorile dell’isola di Nisida, vicino a Napoli, un percorso di formazione teatrale con 12 ragazzi tra i 15 e i 18 anni detenuti per reati legati al mondo della camorra.

Sono tutti molto giovani, tra i 15 e i 18 anni, ma hanno già alle spalle una storia segnata da violenza e sopraffazione, legata al mondo della criminalità organizzata. Sono i ragazzi del carcere minorile dell’isola di Nisida, vicino a Napoli, che dalla settimana prossima saranno protagonisti di un laboratorio teatrale organizzato da Is.con (Istituti consorziati studi ricerche e formazione) in collaborazione con il Teatro dei Venti di Modena. Si tratta di un percorso formativo di quattro incontri settimanali di quattro ore ciascuno, con la guida e la supervisione artistica di Stefano Tè, regista campano "adottato" dalla città della Ghirlandina e Agostino Riitano, di Officina Efesti.

Il laboratorio, che proseguirà fino a maggio, confluirà nella messa in scena di uno spettacolo da presentare anche fuori dalle mura carcerarie: "L’obiettivo è quello di creare una performance che giri tutti i teatri d’Italia - conferma Tè - tenendo conto di tutte le difficoltà e complessità del caso. Credo che sia importante permettere a questi ragazzi, che hanno una ricchezza interiore straordinaria, di esprimersi in modo creativo e artistico". Stefano Tè viene da un’esperienza quadriennale con l’Istituto minorile di fine pena di Castelfranco Emilia, con il quale ha raggiunto le finali del premio teatrale Scenario.

"L’approccio sarà diverso - dice - questi ragazzi sono tutti legati al mondo di Gomorra, benché giovanissimi. Vogliamo quindi riportarli alla loro età usando il gioco, la parte sana della competizione, sfruttando la fisicità e le correnti di adrenalina. Non spetta a noi fare un trattamento o una terapia, vogliamo fare del teatro un modo per fare emergere le loro potenzialità artistiche".

I due registi si alterneranno ogni settimana, proponendo esercizi di gruppo (ascolto, ritmica e ensemble) e individuali (lavoro sull’attore). "Il risultato sarà uno spettacolo vero e proprio - commenta Tè - non abbiamo ancora un’idea precisa di come sarà perché vogliamo ascoltare le esigenze di chi abbiamo davanti. Scatenando la loro creatività ci renderemo conto delle loro necessità ed esigenze".

C’è un punto fermo però: "Non metteremo in scena il loro dramma - spiega - il nostro intento non è quello di suscitare compassione nel pubblico. Pensiamo di indagare sulla figura femminile nella società contemporanea, in particolare in quella partenopea. Potrebbe essere interessante vedere come gli adolescenti si rapportano con la "femmina", come viene chiamata in dialetto. Provocheremo sicuramente delle scintille, la situazione prenderà fuoco, ma è proprio questo - conclude il regista - il nostro obiettivo".

Roma: a Rebibbia, "grande festa" per il nuovo campo da calcio

 

Dire, 21 ottobre 2009

 

Grande festa questa mattina a Rebibbia per l’inaugurazione del nuovo campo in erba sintetica nella sezione penale. Taglio del nastro rosso da parte del direttore della casa circondariale, Stefano Ricca, dell’assessore alla Cultura e Sport della Regione Lazio, Giulia Rodano, del Garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, e del presidente dell’Uisp Roma, Andrea Novelli.

Il nuovo campo in erba sintetica è stato poi teatro della partita tra la squadra dei detenuti, gli Inter-nati, e la squadra Regione Lazio Solidarietà, composta da dirigenti della regione.

Il risultato finale, 2-2, ha contribuito al clima di festa generale. La squadra degli Inter-nati è stata formata otto anni fa, grazie all’impegno dell’Uisp Roma, che fornisce materiale e supporto, oltre all’allenatore Marco Iori e all’associazione culturale Albatros (affiliata all’Uisp Roma). I ragazzi, l’anno scorso, hanno sfiorato la finale del Palio di Roma, il torneo di calcio a 5 più partecipato della Capitale. Ma le partite, sempre casalinghe per l’impossibilità di uscire in trasferta, si giocavano su un campo senza un filo d’erba, che ad ogni scroscio d’acqua diventava un pantano.

L’assessore Giulia Rodano, in una visita, aveva promesso di intervenire, e oggi la promessa è divenuta realtà. L’erba sintetica è così bella che gli Inter-nati hanno avuto quasi paura a calpestarla.

"È stato complicato - ha commentato l’assessore Rodano - trovare la formula burocratica per ottenere il finanziamento, tra ministero di Grazia e Giustizia e Regione, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ora ci impegniamo a portare anche nuove porte per il campo e a recuperare il campo da tennis, perché una migliore qualità della vita dentro il carcere, scontata la pena, contribuisce al reinserimento sociale". "L’impegno è stato mantenuto e siamo molto contenti", ha sottolineato il direttore del carcere Stefano Ricca.

"Voi siete fortunati, molte carceri sono molto più brutte di questa, tenetevi stretto questo campetto", si è rivolto ai detenuti il garante regionale Angiolo Marroni. "Come Uisp - ha concluso il presidente Andrea Novelli - continuiamo il nostro impegno per garantire un’attività’ sportiva variegata e di buon livello; questo nuovo campetto ci permette di migliorare il nostro intervento. La cosa più importante è aiutare i detenuti, e il fatto che gli Inter-nati vincano costantemente la Coppa Disciplina del Palio di Roma ce lo conferma".

Bielorussia: detenuto zingaro e analfabeta pena di morte certa

di Sergio D’Elia (Associazione Nessuno Tocchi Caino)

 

Europa, 21 ottobre 2009

 

Il nostro ministro degli esteri non era neanche sceso dall’aereo che la Corte suprema aveva già deciso di condannare a morte in via definitiva Vasil Yuzepchuk, uno zingaro di trent’anni detenuto nel braccio della morte del carcere di Minsk. Franco Frattini era andato a Minsk alla fine di settembre per rafforzare i rapporti bilaterali tra Italia e Bielorussia e fare da "apripista" della nuova politica europea di apertura al paese sospeso dodici anni fa dal Consiglio d’Europa per via di persecuzioni politiche, esecuzioni capitali e altri trattamenti disumani e degradanti praticati sotto il regime di Aleksandr Lukashenko, l’ultimo dittatore del vecchio continente che da quando ha preso il potere, nel 1994, ha applicato la pena di morte centinaia di volte e mostrato clemenza una volta sola.

Vasil Yuzepchuk era nato in Ucraina, ma all’età di sette anni era già in Bielorussia, nel villaggio di Tataryia, distretto di Drahichyn, regione di Brest. Da quando è nato, non è mai andato a scuola e non ha mai avuto un lavoro fisso. Si guadagnava da vivere aiutando gli abitanti del villaggio a sbrigare alcune faccende domestiche. Aveva piccoli precedenti per furto di galline e, quindi, non poteva che essere lui l’autore dell’uccisione di sei anziane signore, una serie di furti nel distretto di Drahichyn, una rapina a mano armata nella regione di Hrodna e il primo sospettato di altri delitti orribili che hanno sconvolto il paese negli ultimi due anni.

La stampa lo ha subito dipinto come un pericoloso serial killer che di giorno andava ad aiutare le vecchiette e di notte tornava a strangolarle e derubarle. Questo zingaro, illetterato del tutto e mezzo incapace - secondo una perizia - di intendere e volere, era anche diventato il protagonista del programma televisivo "Delitti del secolo".

Quando un tribunale di Brest, il 29 giugno, lo ha ritenuto responsabile di tutto, Vasil era già "un uomo morto" e, condannandolo alla pena capitale, i suoi giudici non hanno fatto altro che certificarlo.

Ma chi lo ha visto dietro le sbarre della gabbia degli imputati il giorno dell’udienza alla corte suprema ha avuto un’impressione totalmente diversa dal suo ritratto "ufficiale". Iryna Toustsik, un’attivista della campagna "Difensori dei diritti umani contro la pena di morte in Bielorussia", ha descritto un uomo piccolo e gracile e dall’aspetto a dir poco pietoso, che dalle poche e a volte incomprensibili parole espresse non dimostrava di afferrare bene che cosa gli stesse accadendo intorno. È davvero difficile considerare appropriata la confessione di un uomo che non sa né leggere né scrivere. Eppure le copertine dei giornali erano piene delle sue "terribili confessioni": "Avrò ucciso una quarantina di donne e non ho ancora detto tutto" ha scritto il Viacherni Brest.

Ovviamente, nessun organo di stampa del regime ha pubblicato un rigo sul fatto che, una volta catturato, Yuzepchuk era stato picchiato e minacciato di arresto dell’intera famiglia. Lo zingaro ha denunciato anche di essere stato tenuto a lungo in una cella di rigore, senza luce e senza cibo, costretto a prendere pillole strane e a bere alcool. Nulla di tutto ciò è stato preso in considerazione.

Durante il processo Vasil aveva tentato di spiegare perché sotto interrogatorio si era autoaccusato confessando sei omicidi: "Volevano che ne confessassi altri, ma a un certo punto gli ho detto di smetterla di guadagnare punti a mie spese".

Gli oppositori della pena di morte continuano a citare l’ex giudice Yuri Sushkov, scappato dalla Bielorussia nel 1999 e ora in esilio in Germania, che ricorda come i giudici del suo paese erano sollecitati a condannare a morte anche in assenza di prove e i sospettati venivano torturati per farli confessare. Gli avvocati difensori sostengono che il processo a Vasil tutto può essere definito fuorché un "giusto processo". "Esami medici hanno documentato le percosse", ha detto uno di loro, Igor Rabtsevich, che ora si chiede: "Come si può giustiziare un uomo quando sul caso ci sono così tanti dubbi?".

Una settimana fa, il presidente Lukashenko ha rigettato la domanda di grazia e, forse, scritto la parola fine sulla vita di questo gipsy. Varvara, la madre di Yusepchuk e di altri quattro figli, ha 52 anni e vive con venti euro al mese nel villaggio di Tataryia. Non crede che suo figlio abbia ucciso qualcuno ed è convinta che l’origine etnica sia stata decisiva nel suo caso: "Hanno trovato uno zingaro indifeso e analfabeta cui addossare la responsabilità degli omicidi". Varvara ha già attaccato un nastro nero intorno alla fotografia del figlio: pensa che le speranze di salvezza per il figlio siano totalmente svanite.

"È rimasto qualcuno cui interessi la sorte di uno zingaro analfabeta? ", si chiede ora la donna che non può sapere il luogo e la data dell’esecuzione che in Bielorussia sono coperti dal segreto di stato, così come non saprà il luogo dove verrà sepolto il corpo del figlio.

Tornato a Roma dal viaggio in Bielorussia, il ministro degli esteri ha riferito di un primo "importante " contatto con la Fiat, ha confermato "il fortissimo interesse di Finmeccanica a essere presente ancora di più nel paese", ha annunciato una visita a breve di Silvio Berlusconi per stringere rapporti di cooperazione e, magari, già "firmare alcuni accordi economici"… ma ha anche detto di essere "rimasto colpito" dal fatto che il presidente Lukashenko ha istituito un comitato consultivo permanente sui diritti umani e che il parlamento ha creato una commissione per discutere dell’abolizione della pena di morte.

Al di là della sua innocenza o della sua colpevolezza, il caso di uno zingaro che rischia di essere giustiziato con un colpo di pistola alla testa, pratica rimasta invariata dai tempi dell’Unione sovietica, può essere per la Farnesina e palazzo Chigi un primo, piccolo ma urgente, banco di prova delle buone relazioni tra Roma e Minsk, del credito che abbiamo dato all’ultima dittatura d’Europa che promette di voltare pagina e della buona fede di un presidente che dopo quattrocento esecuzioni e una sola grazia dice di essere pronto a cambiare registro.

Usa: chiusura Guantanamo è vicina, manca solo firma Obama

 

Ansa, 21 ottobre 2009

 

Barack Obama compiuto un altro passo in avanti verso la chiusura della prigione di Guantanamo. Dopo la Camera dei Rappresentanti, infatti, anche il Senato Usa ha votato a favore del provvedimento che consentirà l’ingresso sul suolo statunitense dei detenuti che saranno processati dai tribunali statunitensi. Il "via libera" a larga maggioranza (79 voti a 19) ha così rimosso uno dei principali ostacoli nel tentativo dell’amministrazione Obama di svuotare Camp XRay. Al provvedimento adesso manca solo la firma del presidente. Obama aveva promesso la chiusura del penitenziario subito dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, ma nel corso dei mesi aveva trovato una serie di ostacoli legali, politici e diplomatici. I detenuti che non saranno processati in Usa davanti ai tribunali civili, saranno portati all’estero oppure giudicati da tribunali militari.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva