Rassegna stampa 15 ottobre

 

Giustizia: 20mila posti in nuove carceri "leggere" e più domiciliari

 

Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2009

 

Piano carceri all’insegna della "leggerezza". Oltre alle ristrutturazioni, agli ampliamenti e alla costruzione di nuove prigioni (che richiedono tempi lunghi e somme ingenti), il governo punta sulla realizzazione di 9 "carceri leggere", tirate su nelle grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo e altre). È questa la principale novità - seppure più volte annunciata - del "piano carceri" che il Consiglio dei ministri si accinge a varare per far fronte all’emergenza sovraffollamento (i detenuti in "esubero" rispetto ai posti regolamentari sono circa 22mila).

Non solo. Per "sfollare" le patrie galere, oggi il Governo potrebbe anche dare via libera a una misura più "politica", ovvero a una norma che concede, con una procedura semplificata, la detenzione domiciliare a tutti i detenuti (tranne i condannati per reati gravi) con un residuo di pena non superiore a un anno di carcere (in caso di fuga, l’evasione verrebbe punita in modo più severo, con la pena di 3 anni). Per questa via, uscirebbero dalla galera quasi 5mila persone.

I dettagli del pluri-annunciato "piano carceri" - consegnato a maggio dal commissario straordinario Franco Ionta, che è anche il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - si conosceranno solo dopo la delibera del Governo. Che dovrà stabilire, soprattutto, le fonti di finanziamento (1.760 milioni di euro il costo preventivato), le procedure di costruzione e di ampliamento, le aree.

Ieri il premier Silvio Berlusconi ha ricordato che l’Italia ha il record, in Europa, di detenuti in attesa di una sentenza definitiva (su 65mila carcerati, il 52% è in custodia cautelare ma il 58% di questi sono stranieri) e che il carcere priva della libertà ma non della dignità. Non si sa se i circa 18mila posti "nuovi" che di qui al 2012 si dovrebbero creare saranno interamente destinati ai "giudicabili" o anche ai "definitivi".

Di certo, le "carceri leggere" dovrebbero ospitare i detenuti "non pericolosi", vale a dire, secondo il Governo, gli arrestati o i condannati a pene lievi (dunque anche, e forse soprattutto, gli stranieri); avrebbero un sistema di "sorveglianza attenuata" (meno poliziotti, custodia "dinamica", videosorveglianza); costerebbero poco (stando, almeno, ai progetti esaminati dal Governo); sarebbero costruite seguendo le procedure veloci utilizzate per le nuove case dell’Aquila.

Del "piano" ha parlato Ionta, ieri, durante un’audizione davanti alla commissione Giustizia della Camera in cui, rispondendo a una delle numerose domande di Manlio Contento (Pdl), ha fatto sapere che annualmente entrano e escono dalle patrie galere circa 90mila persone.

Giustizia: 24 nuove carceri, da Torino a Catania, entro il 2012

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 15 ottobre 2009

 

Riveduto e corretto, il piano carceri arriva (oggi o la prossima settimana) in consiglio dei ministri. Molte le novità: oltre i numeri - 21.479 nuovi posti (80 mila totali a regime) entro il 2012 divisi in carceri "leggere" e padiglioni tradizionali - c’è la previsione dello "stato di emergenza" e i poteri assoluti, "in deroga ad ogni disposizione vigente", per il commissario straordinario, Franco Ionta (Dap).

Che agirà sul modello della Protezione civile in caso di calamità naturale: potrà far coprire con la classificazione "segretissimo" gli atti relativi alla "selezione degli operatori economici interessati agli appalti" e "proteggere la documentazione relativa". Oltre il piano c’è un’ipotesi che deve ancora avere il placet della Lega: allargare gli arresti domiciliari aprendo le porte del carcere ai detenuti con un residuo pena inferiore a un anno.

Il piano, in premessa, ricorda che la Ue nega i fondi per le carceri e che "la decisione quadro sul trasferimento dei condannati (stranieri, ndr) del 2008 non inizierà a produrre effetti prima del dicembre 2011". Ecco la rimodulazione: 9 carceri leggere (450 posti, per il costo di 22-24 milioni a modulo, "con l’edificazione di strutture flessibili dotate di misure di sicurezza e di controllo sostitutive rispetto all’azione del personale di Polizia penitenziaria") a Milano, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Roma, Genova, Catania e Bari.

Costruiti "alla stregua della positiva esperienza compiuta nel post terremoto", serviranno ad assorbire il sovraffollamento nelle metropoli "gravate dal notevole afflusso di detenuti arrestati in flagranza che spesso permangono nelle case circondariali per pochi giorni".

Altre 8 strutture leggere per la reclusione a Pordenone, Pinerolo, Paliano, Bolzano, Varese, Latina, Brescia: 374-408 milioni di spesa per 7.650 posti. Costruzioni tradizionali per Roma, Milano, Nola, Sciacca, Sala Consilina, Venezia e Savona: 613 milioni per 4.429 posti. Ci sono poi 47 padiglioni (200 posti) nelle carceri esistenti (9.684 posti).

Giustizia: Bernardini (Ri-Pd): i nuovi posti saranno insufficienti

 

Agi, 15 ottobre 2009

 

"Il piano carceri presentato dal dottor Franco Ionta parla di una spesa che si aggira tra 1 miliardo e 600mila e 2 miliardi di euro. Di questi solamente 250 milioni di euro si sa da dove vengono presi per il resto è un mistero".

È quanto ha dichiarato oggi Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd, a margine dell’audizione in Commissione giustizia di Franco Ionta, Capo del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria. Nonostante i tempi di realizzazione "ben precisi" visto che "entro il 2013 dovrebbero essere ultimate tutte le carceri", secondo Bernardini Ionta si contraddice quando afferma "che con questi 20mila posti in più sarà raggiunto un livello di stabilizzazione".

"Si contraddice - spiega Bernardini - perché ha affermato che la popolazione carceraria aumenta di 10-12mila posti all’anno e che questa tendenza non ha dimostrato flessioni, quindi significa che noi rincorriamo i posti che non saranno mai sufficienti per avere delle carceri dove sia possibile il trattamento previsto dall’art 27 della Costituzione" ha sottolineato la deputata radicale.

Preoccupante, secondo Bernardini, è poi la previsione di una distinzione dei circuiti carcerari, uno dei quali prevede "una custodia a cui si unisce il trattamento del detenuto ed un tipo di detenzione che riguarderebbe anche il 41 bis e un totale di 9mila detenuti (8mila in alta sicurezza e 670 con il 41bis) ai quali, ed io sono inorridita, dovrebbero essere negati i diritti dell’art 27". Infine, sottolinea Bernardini il problema della "Cassa Ammende" che "originariamente doveva essere destinata esclusivamente all’aiuto per il reinserimento sociale dei detenuti e dei familiari", in seguito però "la legge è stata poi cambiata aggiungendo che fra le priorità della cassa anche la costruzione di nuove carceri".

Giustizia: Barrot (Ue); non sono previsti i fondi per fare carceri

 

Agi, 15 ottobre 2009

 

Secondo il Commissario europeo alla Giustizia Jacques Barrot, l’Europa non ha poteri per intervenire sulla situazione carceraria nei Paesi membri, né sono previsti fondi specifici per tale scopo.

È questa la risposta della Commissione alla nuova sollecitazione del ministro della Giustizia italiano Angelino Alfano, oggi a Bruxelles per chiedere all’Europa un sostegno economico al nuovo piano carceri che il governo vorrebbe varare. Alfano ha ripetuto che quello italiano è un problema europeo e che tutti i Paesi membri dell’Ue dovrebbero farsene carico. "L’Europa non può chiudere gli occhi sul fatto che ci siano oltre 20 mila stranieri, quattromila dei quali europei, nelle carceri italiane. È un costo per l’Italia di cui l’Europa dovrà contribuire a farsi carico", ha detto il ministro.

Immediata la replica della Commissione, per bocca del portavoce del commissario Barrot: "Per la Commissione Europea si tratta di una questione problematica perché non ci sono competenze (europee) a riguardo, né sono previsti finanziamenti per questo scopo. Questo però non vuol dire che non se ne debba parlare".

Il portavoce, infine, ha aggiunto che il commissario Barrot "ha dimostrato affinità di vedute con il ministro Alfano". La discussione, quindi, è rimandata all’8 dicembre, quando a Bruxelles si incontreranno rappresentanti dei 27 Paesi dell’Ue e della Commissione per parlare della situazione carceraria in Europa.

Giustizia perché l’Ue dovrebbe occuparsi delle nostre carceri?

di Patrizio Gonnella

 

www.linkontro.info, 15 ottobre 2009

 

Sono del tutto fuori luogo le dichiarazioni del ministro della giustizia Alfano secondo cui l’Europa dovrebbe occuparsi del sovraffollamento carcerario italiano investendo risorse per costruire carceri. Dire che il sovraffollamento delle carceri italiane sia causato dagli stranieri, che sia colpa dell’Europa e che l’Europa dovrebbe occuparsene non tiene conto infatti che: 1) l’Italia criminalizza lo status di immigrato mentre una buona parte degli altri paesi no. D’altronde l’Europa ci aveva consigliato di non farlo; bastava quindi seguire i consigli di buon senso che provenivano dalla Ue; 2) gli unici Paesi dell’area Ue dove la percentuale di stranieri detenuti è superiore a quella italiana sono quelli che hanno irrigidito la legislazione senza ottenere benefici per la sicurezza collettiva: Austria, Belgio, Estonia, Spagna; 3) l’Italia ha il primato delle presenze di detenuti stranieri in attesa di giudizio.

Mentre in Europa i due terzi della totalità dei detenuti stranieri è in galera per espiare una pena definitiva, nel nostro Paese ben i ¾ sono in galera in attesa di processo ossia sono in regime di custodia cautelare; ciò significa che nei confronti degli stranieri in Italia esiste una discriminazione processuale e un uso esagerato della carcerazione preventiva; 4) lo scorso 11 settembre a Edimburgo il Consiglio di Europa durante una conferenza internazionale ha indicato la propria via di risoluzione del problema del sovraffollamento: non l’edilizia ma la depenalizzazione e le misure alternative. Questo ci suggerisce l’Europa. Per questo non si possono chiedere i soldi per nuove prigioni. D’altronde basterebbe far uscire dalle carceri i 10 mila tossicodipendenti che stanno scontando pene brevi affidandoli alle Comunità e ai Sert, come prevede la legge Fini-Giovanardi sulle droghe.

Giustizia: indulto nascosto; pene fino a 12 mesi scontate a casa

di Giovanna Vitale

 

La Repubblica, 15 ottobre 2009

 

È una sorta di indulto mascherato il Piano per l’emergenza carceri che, su proposta del guardasigilli Angelino Alfano, verrà approvato in consiglio dei ministri. Oltre alla costruzione di 24 case circondariali tra nuovi edifici e ampliamenti di quelli già esistenti, per la cifra monstre di 1,3 miliardi in tre anni (tutti peraltro ancora da individuare), il programma per decongestionare i penitenziari italiani messo a punto dal capo del Dap Franco Ionta prevede infatti la modifica del Codice penale. Un ritocco che consentirà a tutti i condannati a pene fino a 12 mesi di uscire di prigione e di scontarle "nella propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza, e accoglienza".

Evidente il beneficio, dal momento che "secondo stime dell’amministrazione", nel settembre 2009 circa il 32% dei reclusi doveva espiare "pene residue non superiori a un anno". E poiché "a oggi sono presenti nei 206 istituti penitenziari 64.859 detenuti con un inarrestabile trend di crescita" calcolato in circa 800 nuovi "ospiti" al mese, significa che - una volta varato il provvedimento - torneranno a casa quasi 21mila carcerati. Più o meno gli stessi posti che il Piano di edilizia penitenziaria si prefigge nel contempo di aumentare: 2.372 in più entro quest’anno; 8.804 per il 2010 (grazie alla costruzione di 9 nuove carceri e 8 istituti flessibili; più 5 nuovi padiglioni); 5.596 nel 2011 (5 padiglioni, compreso quello maxi di Rebibbia); 7.029 per il 2012.

E a poco servirà l’altra modifica introdotta a corredo, ossia l’inasprimento delle pene in caso di evasione (raddoppiata nel minimo e triplicata nel massimo) nonché l’esclusione dei reati di mafia, ovvero il 41 bis. La discrezionalità dei Tribunali di sorveglianza sarà pressoché azzerata: "La prosecuzione della pena presso l’abitazione o altro luogo, pubblico o privato, dev’essere concessa, salvo che risulti l’insussistenza dei presupposti di legge", recita il documento.

Ma questa non è l’unica novità. L’altra riguarda le procedure da seguire per l’attuazione del Piano. "Nelle carceri c’è una situazione davvero da dimenticare e incivile", aveva detto ieri Silvio Berlusconi a proposito del sovraffollamento in cella, che ha ormai superato i livelli pre-indulto. Un’affermazione che prelude alla dichiarazione di "emergenza" che verrà deliberata oggi dal consiglio dei ministri, su proposta del premier.

Il modello evocato nel Piano è la ricostruzione dell’Aquila. Delegato a gestire l’urgenza sarà con ogni probabilità Franco Ionta, già nominato prima dell’estate commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Il quale, come già Guido Bertolaso per il terremoto in Abruzzo, avrà le mani libere: potrà "agire in deroga ad ogni disposizione vigente", nominare consulenti esterni e soprattutto godere di quel regime speciale che - trattandosi di materie attinenti alla sicurezza nazionale come le carceri - "legittima la secretazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici". In sostanza potrà fare tutti gli appalti che vuole, come vuole: tanto l’intera documentazione verrà classificata come "riservatissimo".

Giustizia: carceri super-affollate e ricerca di soluzioni praticabili

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 15 ottobre 2009

 

Nelle carceri italiane ci sono circa 65 mila persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare che a mala pena arriva a 42 mila posti. È il collasso del sistema penitenziario. Un collasso che ha come prima conseguenza il trattamento disumano, degradante ed incivile, subito dalla persone detenute. Il governo Berlusconi si appresta ad approvare un piano carceri che, al costo di 1 miliardo e 600 milioni di euro, intende creare tra i 17 mila e 20 mila posti detentivi in più. Tempo previsto per l’opera: 2 anni.

Ora, un piano di rinnovamento dei penitenziari, chiudendo anche le vecchie carceri, è senz’altro necessario. Lo abbiamo più volte scritto. Come è necessario realizzare carceri diverse a seconda della tipologia della persona detenuta. Ma è altresì evidente che questo da solo non basta.

Occorre pensare a cosa fare nell’attesa delle nuove strutture. E occorre pensare anche al domani. Ovvero a quando pure le nuove carceri saranno strapiene. Che poi è una facile previsione. Allora cosa fare? Il prof. Tullio Padovani l’ha scritto qui la scorsa settimana. Prevedere che, a capienza carceraria esaurita, ogni detenuto in ingresso comporti un detenuto in uscita. Un meccanismo virtuoso, già usato negli ospedali, che deve tener conto di chi merita di uscire, visto il reato commesso e la pericolosità. Ma non solo. I detenuti in uscita potrebbero continuare a scontare la pena in modo diverso, svolgendo ad esempio lavori socialmente utili. Una soluzione questa che garantirebbe il rispetto della legge in carcere, senza innescare meccanismi di impunità.

Giustizia: l’Anm; le nostre proposte, per un processo efficiente

di Luca Palamara e Giuseppe Cascini*

 

www.radiocarcere.com, 15 ottobre 2009

 

Secondo l’avvocato Vassallo ("il Riformista" del 30 settembre) "L’Anm critica lo scudo fiscale e tace sulla giustizia". Di più: è "fragoroso il silenzio dell’Associazione magistrati sulla crisi sistemica della giustizia penale". Di fragoroso, in questa critica, c’è solo la distrazione del suo autore: basta dare un’occhiata al sito dell’Anm per trovare decine di proposte per rendere effettiva la ragionevole durata del processo.

La lentezza è il male più grave della giustizia italiana, e da sempre è l’impegno prioritario della magistratura associata, che propone la radicale revisione delle circoscrizioni giudiziarie; la riforma del civile (in parte accolta dal Governo) per ridurre l’ostruzionismo di chi non ha interesse a una decisione rapida; la riforma del penale, per eliminare i formalismi inutili; investimenti e progetti nell’informatica giudiziaria, con enormi risparmi di costi e tempi; l’effettivo recupero delle spese di giustizia e delle pene pecuniarie, per consentire alla giustizia di "autofinanziarsi".

Ma i magistrati non si limitano a chiedere. Sono anche impegnati in un processo di "autoriforma" per attuare il nuovo ordinamento giudiziario, con un sistema incisivo di valutazione della professionalità per la progressione in carriera e la nomina dei dirigenti degli uffici, basata esclusivamente su merito e attitudini. Anche come singoli cercano di dare risposte positive ai cittadini: basti pensare all’aumento di produttività, che consente di mantenere stabile l’arretrato, nonostante il fortissimo incremento dei procedimenti.

Sostenere che "i processi ordinari non vengono celebrati", laddove ogni anno ne vengono esauriti mezzo milione pervenuti a giudizio, dei 2 milioni "smistati" da Gip e Gup, in parte esauriti in quella fase; e a loro volta derivanti dai 3,5 milioni iscritti dalle Procure, è falso e serve solo ad alimentare la credenza che la giustizia sia un servizio non reso, dedito alla lotta politica e alle "persecuzioni", dal versante dell’opposizione. Ma gran parte di tanta attività va in fumo, per le prescrizioni e i ricorrenti provvedimenti di clemenza.

Si aggiunga l’intenzione di ridurre gli strumenti d’indagine (come le intercettazioni, al "nobile" fine di impedirne gli abusi presunti e le cronache talvolta illecite) e, più ancora, di sottrarre al Pm la notizia di reato, sì che l’avvocato dell’accusa, una volta separate le carriere, aspetti che il "cliente" (l’esecutivo pro-tempore) decida se e quando ingaggiarlo (così risolvendo anche il problema dell’obbligatorietà dell’azione penale, senza modifiche costituzionali).

In termini giuridicamente e istituzionalmente meno ironici, ma altrettanto seri e allarmati, l’Anm ha affrontato questi temi anche nelle audizioni parlamentari, col risultato di indurre almeno il legislatore ad approfondimenti e riflessioni.

Su tutto questo si è appena scatenata una nuova tempesta, della quale non si comprende il senso e la logica. Di peggio, rispetto al passato, c’è il coinvolgimento di tutte le altre istituzioni, in particolare quelle di garanzia. Quasi che nulla sia accaduto in Parlamento, e non abbiano valore le considerazioni di molti esponenti della maggioranza, a cominciare dalla presidente della commissione Giustizia della Camera, domenica è stato "annunciato" che, prestissimo, le intercettazioni saranno "limitate ai reati più gravi, perché la tutela della privacy è un diritto fondamentale e inviolabile".

Ciò significa che il testo approvato dalla Camera (e pur criticato dall’Anm, nonostante importanti modifiche) sarà riportato dal Senato all’originaria versione? È questo il metodo per riformare la giustizia? E sono queste le riforme che dovrebbero restituirle, con l’efficienza, la fiducia dei cittadini?

 

*Luca Palamara e Giuseppe Cascini sono

rispettivamente Presidente e segretario generale dell’Anm

Giustizia: carceri sovraffollate e diritti, incontro con Mauro Palma

 

www.linkontro.info, 15 ottobre 2009

 

È previsto per il prossimo sabato 17 ottobre alle ore 10.00 al Palazzo Farnese di Gradoli, in provincia di Viterbo, l’incontro dal titolo "Dalla parte dei diritti umani. Il monitoraggio dei luoghi di detenzione come tecnica di tutela dei diritti umani". L’incontro - che è organizzato all’interno della scuola di formazione annuale dell’associazione Antigone - sarà presieduto da Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, l’organismo del Consiglio d’Europa deputato a monitorare le condizioni di vita all’interno dei luoghi di privazione della libertà dei 47 stati membri. L’Italia, nel luglio scorso, è stata oggetto di una visita ad hoc del Comitato, interessato a esaminare le politiche governative di intercettazione e respingimento degli immigrati.

All’incontro di sabato parteciperanno tra gli altri Luigi Manconi e Luigi Nieri, insieme a esponenti dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone. Lo scorso settembre si è tenuta a Edimburgo la quindicesima Conferenza dei Direttori delle Amministrazioni Penitenziarie sul tema "Prigioni sovraffollate: cercando soluzioni", promossa dal Consiglio d’Europa. Il sovraffollamento penitenziario è alla radice di tante violazioni dei diritti dei detenuti, come anche riconosciuto di recente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo proprio in relazione all’Italia.

Intervento di Mauro Palma. "Da parte del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, vi ringrazio molto per questa opportunità di scambiarci considerazioni su quel che costituisce uno dei maggiori problemi nei sistemi di detenzione europei. Le discussioni dei giorni scorsi sono state fruttuose, e ciascuno ha confermato l’importanza dei principi e delle misure raccomandate dal Consiglio d’Europa nelle sue Raccomandazioni. Queste Raccomandazioni - che andrebbero lette nella loro organicità e che vanno a disegnare il profilo di un sistema penitenziario in una società democratica - hanno come obiettivi: la lotta al sovraffollamento penitenziario e alla crescita eccessiva della popolazione detenuta; l’aumento delle sanzioni e delle misure di comunità; la riduzione della lunghezza delle pene detentive e l’accompagnamento del detenuto lungo il suo percorso di reintegrazione attraverso il ricorso a forme condizionali di liberazione come uno degli strumenti migliori per prevenire la recidiva e promuovere il reinserimento. Esse mirano a limitare la custodia cautelare - che non dovrebbe mai essere usata a scopi punitivi - al periodo strettamente necessario e come misura di ultima ratio, con appropriate garanzie. Infine, mirano a offrire condizioni di detenzione pienamente rispettose dei diritti fondamentali e della dignità delle persone.

Tuttavia, sfortunatamente la situazione che gli organismi di monitoraggio del Consiglio d’Europa rinvengono nel corso delle loro visite agli Stati membri è spesso lontana dal confermare il quadro dato nelle conferenze e negli impegni ufficialmente presi al momento dell’adozione di documenti e raccomandazioni. La detenzione non è una misura di ultima ratio in tanti Paesi europei. Al contrario, in molti è la sanzione principale, se non l’unica, prevista dal codice penale. Contraddicendo il principio generale affermato nella Raccomandazione sull’utilizzo della custodia cautelare, questa misura è obbligatoria in alcuni Paesi nei confronti delle persone accusate di certi reati o di alcune categorie di queste persone. In alcuni Paesi, inoltre, la liberazione condizionale è una misura prevista per legge ma non adottata di fatto e in vari Paesi non è ammissibile per alcune categorie di condannati: il problema degli actual lifers, vale a dire degli ergastolani che non hanno accesso alla liberazione condizionale, sta diventando un problema serio nello scenario europeo.

Il livello di cooperazione sperimentato dalle delegazioni del Cpt nel corso delle visite è soddisfacente, in particolare per quel che riguarda l’ambito della detenzione. Tuttavia, la cooperazione di un Paese con il Comitato non può dirsi soddisfacente in assenza di azioni volte a rafforzare la difesa delle persone private della libertà dai maltrattamenti o a migliorare condizioni non rispettose della dignità della persona.

Purtroppo si è riscontrato che molti Paesi visitati in anni recenti non avevano messo in pratica raccomandazioni su aspetti essenziali ripetutamente mosse dal Cpt dopo precedenti visite. Uno di questi aspetti essenziali è strettamente legato alle condizioni di detenzione: celle piccole, cibo scarso, scarsa attenzione prestata alle categorie vulnerabili di detenuti e altro, tutti elementi che ancora sussistono in molte prigioni europee, come dimostrano i rapporti pubblici del Cpt. Spesso queste condizioni sono, almeno in parte, connesse al persistente sovraffollamento, con presenze che in alcuni casi doppiano la capienza regolamentare.

Il sovraffollamento non è solo un problema di spazio vitale individuale, ma ha effetti negativi sul processo di reintegrazione e di conseguenza sulla recidiva e sulla sicurezza della comunità esterna. Ciò è paradossale, poiché il sovraffollamento è spesso la conseguenza di una richiesta mai soddisfatta di sicurezza che viene da una società paurosa che guarda ai cancelli chiusi del carcere come alla risposta al proprio allarme e alle proprie difficoltà sociali mentre, al contrario, questa richiesta si ritorce in una situazione meno sicura. Poiché le risorse non vengono investite per un bersaglio limitato e davvero potenzialmente pericoloso per la società, ma sono sprecate in un sistema generalizzato di detenzione usata come misura di controllo del territorio.

Come cercare soluzioni per questa situazione? Per affrontare il problema del sovraffollamento, alcuni Paesi hanno imboccato la strada dell’accrescimento del numero dei posti letto nelle prigioni. Da parte sua, il Cpt è assai poco convinto che nuovi posti letto offriranno da soli una soluzione duratura: la risposta al sovraffollamento non sta nel costruire nuove prigioni, visto che la popolazione carceraria tende a crescere parallelamente alle nuove strutture. Vari Stati europei hanno infatti intrapreso ampli programmi di edilizia penitenziaria, per veder crescere la loro popolazione detenuta parallelamente all’aumentata capienza del patrimonio carcerario. Viceversa, politiche che limitano o modulano il numero di persone mandate in carcere ha dato in alcuni Stati un importante contributo al mantenimento della popolazione detenuta a livelli gestibili".

Giustizia: se il riformismo di Berlusconi dipende da due "Lodi"

di Emile

 

www.radiocarcere.com, 15 ottobre 2009

 

Roma, 7 ottobre 2009, la Consulta cassa il così detto "Lodo Alfano". Il Presidente del consiglio annuncia la riforma della giustizia penale. I giorni che seguono specificano. Il capo del Governo illustra: pronta è la separazione delle carriere; ultimata è la modifica della normativa sulle intercettazioni.

Sconosciuto è il nesso di causalità, il legame che intercorre tra la bocciatura pronunciata dalla Corte costituzionale e la rivisitazione del processo penale. L’assenza di giustizia nel nostro paese è arcinota. La necessità di un intervento anche legislativo è conosciuta da tutti. Oscuro invece è il motivo per il quale una realtà manifesta si palesa a seguito della presa d’atto della pronuncia d’illegittimità costituzionale.

Diverso l’intervento della Consulta, la necessità di un intervento legislativo probabilmente e paradossalmente non si sarebbe mostrata. Nessuna riforma della giustizia penale e soprattutto nessuna riforma non gradita al potere giudiziario. Il ricordo va all’inchiesta napoletana. Il caso Saccà, quello che partorì le intercettazioni tra il Premier e il potente Dirigente Rai. Quello che aveva portato il paese in ebollizione, nella prospettiva della possibilità di conoscere piccanti chiacchierate private tra ministre. Anche allora la modifica delle norme inerenti la possibilità di ascoltare le conversazioni altrui era stata presentata come cosa fatta. Allora però il venir meno dello stato di ebollizione e soprattutto la non comparizione delle temute intercettazioni ha determinato il venir meno di quello che i magistrati non volevano.

L’intervento legislativo, l’attività riformatrice innescata da vicende private e slegata da un nesso di causalità. La "Riforma", una reazione ad un potere giudiziario non in sintonia con l’attività pubblica e privata del Premier.

Al "Lodo Alfano" si somma il "Lodo Mondatori". Due famigerati "Lodi" che determinano la fine della pax giudiziaria e il riabbracciare delle armi da parte delle due fazioni. Un conflitto che ricorda una guerra civile, quella tra Israeliani e Palestinesi. Una guerriglia dalle origini lontane, metà 1995, i primi processi contro l’inquilino di Arcore, quelli che vedevano imputato il senatore Previti. Una guerriglia segnata da fugaci armistizi, mai duraturi, che ha lasciato dietro di se un cumulo di macerie. Rovine tra le quali sono rimasti intrappolati imputati e persone offese, vittime del reato e vittime della giustizia. Una guerriglia che ha originato centinaia di processi, segnata da numerose riforme, interventi legislativi ad personam finalizzati ad ostacolare, a bloccare, quella che si ritiene una faziosa azione giudiziaria.

Terminato il cessate il fuoco, la risposta alle due pronunce giurisdizionali: l’ennesima riforma. La vana speranza. Una riforma che oltre agli interessi del suo autore si faccia carico dell’interesse generale, della catarsi della giustizia penale. Una riforma che oltre che d’intercettazioni, di separazione delle carriere, affronti quello che è il vero male del processo penale: la biblicità della sua durata. Una riforma la cui gestazione si affidata a persone diverse da coloro che hanno partorito le precedenti, malamente naufragate al momento della loro applicazione.

Giustizia: su prescrizione stretta in arrivo, allo studio 3 norme

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 15 ottobre 2009

 

"Bloccare i processi". "Rapidamente". Altrimenti la maggioranza "è morta politicamente". Finiani e leghisti "devono capire che la situazione è drammatica", andavano spiegando ieri Silvio Berlusconi e il suo avvocato, l’onorevole Niccolò Ghedini. Che ha già in tasca la ricetta, con tre ingredienti, alternativi o cumulativi, per creare un nuovo scudo al premier.

Primo ingrediente, indispensabile, il taglio della prescrizione per una categoria di reati classificati "non gravi", ma in cui dovrebbero rientrare anche la corruzione, la frode fiscale, l’approvazione indebita, per i quali il premier è imputato o indagato a Milano nei processi Mills, diritti tv Mediaset e Mediatrade; una norma che sancirebbe la morte immediata di questi procedimenti per "estinzione del reato".

Secondo ingrediente, anch’esso indispensabile, una legge che "rafforzi" il "legittimo impedimento" a comparire in giudizio, in modo da garantire al Berlusconi imputato (e ai suoi avvocati parlamentari) una serie di rinvii del processo, in attesa di riforme più radicali, prima fra tutte quella sul processo penale, che svuota di valore probatorio le sentenze definitive e consente ai difensori di chiedere liste di testimoni anche superflui, dilatando i tempi per guadagnare la prescrizione.

Terzo ingrediente (ma solo eventuale), introdurre una norma blocca-processi sul modello di quella che il governo infilò nella legge di conversione del decreto sicurezza 2008 per sospendere di un anno i processi in corso ritenuti "non prioritari" (compreso quello Mills) e dare la precedenza ai processi per reati "di maggior allarme sociale"; il presidente della Repubblica la considerò "palesemente incostituzionale", il governo la stralciò e presentò il lodo Alfano.

La ricetta per "proteggere" il premier dai processi, e la maggioranza "da morte politica sicura", è stata discussa, ieri, a palazzo Grazioli in un via vai di incontri che si sono trascinati fino a sera. Tra gli altri, oltre a Berlusconi e Ghedini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, quello alla Giustizia Giacomo Caliendo e, a più riprese, il guardasigilli Angelino Alfano.

Tema ufficiale degli incontri: il piano carceri; tema prioritario: la prescrizione. Obiettivo: farla digerire agli ex di An, soprattutto ai finiani, e alla Lega, che "minimizzano" il peso dei processi sulla vita politica del governo. Processi che devono essere stroncati subito, si è detto, perché il governo non può permettersi neppure la "spettacolarizzazione mediatica" dell’imputato-premier, meno che mai una condanna. Di qui la decisione di puntare dritti all’obiettivo, anche a costo di andare a un braccio di ferro con il Quirinale.

A chi faceva notare che il Colle non avrebbe mai firmato una nuova "blocca-processi", che avrebbe ricadute pesanti sull’andamento della giustizia, o una prescrizione breve destinata a ghigliottinare migliaia di procedimenti in corso, Berlusconi e suoi hanno replicato che non c’è alternativa, che Napolitano "può far quel che vuole, ma stavolta governo e maggioranza andranno avanti".

In sostanza, il Capo dello Stato, se decidesse di non firmare e di restituire la legge al Parlamento, sarebbe poi costretto a promulgarla perché la maggioranza gliela rimanderebbe tale e quale. Ma il premier e i suoi fedelissimi sono convinti che stavolta Napolitano "non avrà il coraggio" di mettersi di traverso. Così come sono convinti che la Consulta, per mitigare l’impatto della bocciatura del lodo Alfano, inserirà nella motivazione della sentenza un passaggio per aprire la strada a una legge (o addirittura a un decreto) sul "legittimo impedimento", per assicurare al premier una serie di rinvii del processo Mills.

Oltre a convincere finiani e leghisti (e una parte degli ex forzisti), resta il problema di come far viaggiare queste norme. Secondo Ghedini, la riforma del processo penale all’esame del Senato (alle prime battute) dovrà essere blindata, ignorando le durissime critiche del Csm.

Non solo. Dovrà anche viaggiare con priorità rispetto alle altre, compresa quella sulle intercettazioni, e tagliare il traguardo (almeno al Senato) entro dicembre. In tal caso, potrebbe diventare il treno su cui far salire i tre nuovi vagoni. L’alternativa è uno o più Ddl autonomi. Ma si sta ragionando anche sull’ipotesi di un decreto legge.

Giustizia: Alfano; è necessario riformare, anche la Costituzione

 

Apcom, 15 ottobre 2009

 

In un articolo scritto per il settimanale Panorama, il ministro della Giustizia Angelino Alfano rilancia l’ipotesi di una riforma, anche costituzionale, della giustizia per ridare efficienza all’intero sistema. "L’obiettivo della riforma - scrive il Guardasigilli - è quello di riportare in perfetto equilibrio i piatti della bilancia della giustizia, adeguando anche la Costituzione alle esigenze di efficienza e modernità di una democrazia compiuta".

Per il ministro "si tratta di affrontare non tanto il fiume inarrestabile della polemica politica che da sempre coinvolge il sistema giudiziario, ma soprattutto il livello di arretratezza e inefficienza nel quale, da oltre 50 anni, continuano a navigare sia il processo penale che quello civile". Secondo Alfano "un passo di estrema importanza è segnato dalla riforma del processo civile di cui non si occupano quasi mai i polemisti di professione, incuranti del fatto che una giustizia ritardata equivale a una giustizia negata e che dietro ogni fascicolo arretrato ci sono donne e uomini che vedono infranta la loro attesa di decisioni equilibrate e fornite in tempi ragionevoli".

Nel suo intervento il ministro della Giustizia aggiunge anche che per il processo civile "si attende in media 960 giorni per la sentenza di primo grado e altri 1.500 per quella di appello, mentre il fardello dell’arretrato ammonta a oltre 5.400.000 procedimenti pendenti, con un trend di crescita apparentemente inarrestabile. Il processo penale - continua - viaggia con un bagaglio di processi pendenti che ammontano a oltre 3.600.000, per il primo grado si attendono in media 420 giorni, mentre in appello se ne aspettano altri 73 per ottenere giustizia".

Giustizia: Opg inumani ed illegali, dovevano chiudere nel 1978

di Chiara Miccoli

 

www.tempostretto.it, 15 ottobre 2009

 

Dall’86 si occupa dell’accoglienza e del reinserimento degli ex-internati. Ora padre Pippo teme che l’Opg "Madia" divenga un "supermanicomio". Il direttore Nunziante Rosania: "Si va verso il superamento del vecchio sistema carcerario. Ma l’Opg non si tocca". E la questione è approdata anche in consiglio comunale.

"L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona diventerà un supermanicomio". Con questo preoccupato allarme per il futuro, padre Pippo Insana, cappellano all’Opg "Madia", fondatore e responsabile della "Casa di solidarietà e accoglienza" che ospita internati in regime di libertà vigilata, è intervenuto nel dibattito sugli ospedali psichiatrici giudiziari abbozzato a margine del convegno sulla salute mentale organizzato dal centro studi "Sentieri della Mente" presso l’auditorium della vecchia stazione. Parole forti e sostanziate da articolate motivazioni, quelle di padre Pippo.

La sua lunga esperienza a contatto con gli infermi di mente internati al "Madia" lo ha sempre di più convinto che queste strutture, a metà tra carceri e ospedali, vanno definitivamente superate. "L’Opg è un carcere, manca l’igiene personale e dell’ambiente, mancano i farmaci e un personale qualificato a curare e riabilitare, molti ricoverati non vengono assistiti, ma lasciati a letto, privati di relazioni significative, con un conseguente naturale processo cronicizzante, e nei casi peggiori sottoposti ancora oggi all’uso sconcertante del letto di contenzione".

Di ospedali psichiatrici giudiziari attualmente in Italia ne esistono sei, che accolgono circa 1.200 detenuti, condannati con vizio totale o parziale di mente, la maggior parte delle volte per crimini poco gravi. "È assurdo che detenuti rinchiusi per reati lievi rimangano ristretti sino a sei anni con misura di sicurezza provvisoria, senza la definizione del processo, e che molti di loro siano selvaggiamente trasferiti da un Opg all’altro, interrompendo così i percorsi iniziati per le loro dimissioni e rendendo più difficili i rapporti con i familiari. Il persistere degli Opg è un fatto illegale, incostituzionale, incivile, disumano, riconosciuto anche dalla legislazione", ha affermato padre Insana.

Una legge mai completamente applicata, la legge Basaglia del 1978, ne aveva previsto, infatti, la soppressione. Il più recente Dpcm del 2008 sancisce, invece, il "trasferimento alle regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari", ma "nonostante l’impegno del direttore Rosania e degli operatori - ricorda padre Insana - la regione Sicilia, a statuto autonomo, non ha ancora recepito il decreto ministeriale e l’Opg di Barcellona rimane sotto il controllo dell’amministrazione penitenziaria che non prevede più fondi per la gestione sanitaria delle carceri. È l’assurdo dell’assurdo che con le stesse risorse di personale, ma con minori risorse economiche si debbano gestire il doppio degli internati.

La prossima completa chiusura degli Opg di Reggio Emilia e di Napoli e il sensibile ridimensionamento dell’Opg di Montelupo Fiorentino determineranno, infatti, un considerevole aumento del numero dei reclusi attualmente ricoverati a Barcellona e gravi disagi. Il sovraffollamento moltiplica le aggressioni, i tentati suicidi, l’uso del letto di contenzione". Abbiamo chiesto conferma al direttore dell’Opg Nunziante Rosania.

"Al problema del sovraffollamento si è cercato di provvedere stabilendo una migliore distribuzione degli internati - spiega il direttore Nunziante Rosania - in modo che ogni Opg si configuri come la sede per ricoveri di detenuti delle regioni limitrofe, e in particolare per il "Madia" di Barcellona disponendo che vi possano sostare ricoverati provenienti unicamente da Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata".

Ma secondo quanto asserito dal direttore, eliminare la struttura "è un’idea assolutamente irrazionale", si tratta piuttosto di riformarla e ampliarla. "Si sta percorrendo una direzione che va verso il superamento del vecchio sistema carcerario e approda ad una concezione riabilitativa, tipica del sistema sanitario. Sono stati già fatti degli incontri preliminari e si è formata una commissione di cui io stesso faccio parte per organizzare la trasformazione dell’istituto. Al "Madia" è prevista la creazione di un reparto femminile e di un dipartimento di medicina penitenziaria, una struttura polifunzionale gestita da un pool di medici, più vicina alle esigenze degli infermi privati di libertà.

Si è inoltre pensato di realizzare progetti riabilitativi individualizzati - che dovrebbero partire da gennaio 2010 - al fine di reinserire i ricoverati in regime di proroga nel loro territorio di appartenenza, ma si è in attesa dei decreti applicativi". Come ricordiamo, il dibattito sul futuro dell’Ospedale psichiatrico giudiziario "Madia" è approdato di recente anche in consiglio comunale in seguito a un ordine del giorno presentato dal consigliere Nino Munafò e scaturito dalla paventata trasformazione o chiusura della struttura. Il consiglio all’unanimità ha riconosciuto la necessità che le forze politiche, sindacali e istituzionali lavorino per definire un modello organizzativo condiviso da proporre a livello regionale e nazionale.

"Una decisione sulle sorti degli Opg non può prescindere dal confronto con le comunità locali - ha detto Munafò - che potrebbero assistere alla creazione di poli ospedalieri specializzati privi delle strutture di contenimento". Munafò ha espresso quindi la preoccupazione che la trasformazione dell’Opg da struttura penitenziaria in sanitaria possa avere una pesante ricaduta sociale e lavorativa e ne ha proposto il potenziamento con la creazione di un modulo per una Casa circondariale. Com’è evidente le posizioni in campo sono ben differenziate perché articolati sono gli interessi in gioco. Tuttavia non va dimenticato che i soggetti da tutelare con priorità assoluta sono gli internati.

Giustizia: omofobia; l’odio e paura portano a discriminazione

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 15 ottobre 2009

 

La bocciatura del provvedimento in Parlamento è solo l’ultimo episodio di un clima diffuso nel Paese Tra pericolose ambiguità, intolleranze e violenze.

Immagino che quando in redazione si è pensato di dedicare questo "Diario" all’Omofobia si volesse commentare l’approvazione in parlamento di una legge civile. Finora l’Italia, a differenza di altri paesi, non ne ha alcuna. La stessa Costituzione esclude le "discriminazioni di sesso" ma non fa cenno né degli orientamenti sessuali né dell’identità di genere, come adesso si dice.

E, se non sbaglio, il tentativo di introdurre il punto nel codice penale con la cosiddetta Legge Mancino del 1993, includendo accanto a "discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi" anche quelle legate agli orientamenti sessuali saltò alla fine, in una classe politica renitente a oltranza.

E martedì ne è venuta la conferma, benché in un andamento rocambolesco e furbesco. In realtà poi non è che si trattasse di una gran legge. Si trattava "solo" di aggiungere all’elenco delle aggravanti quella connessa alla discriminazione sessuale e all’orientamento sessuale. Tutti d’accordo, in teoria, e sgambetto finale di Lega e Pdl (con eccezioni) e confusione mentale di Pd (con l’eccezione di una senatrice mandata da Dio).

Cambia dunque il tono di questo Diario: che deve suonare solo un po’ più amaro o indignato o sarcastico, a scelta. Diventa più facile però la definizione di Omofobia, perché, dopo averne segnalato l’etimologia, come conviene, si potrà dire: "Per esempio, nel Parlamento italiano, martedì scorso".

Non è esemplare l’argomento secondo cui è superfluo citare specificamente gay e lesbiche e trans in un comma legale, dal momento che istigazione alla violenza e violenza perpetrata sono già universalmente considerate e punite? Ecco che improvvisamente la diversità - la "devianza della personalità", come la chiama la nostra senatrice - è scomparsa.

Perché sanzionare la violenza contro i sessualmente diversi, quando "l’offesa alla persona è essa stessa una discriminazione, al di là dell’orientamento sessuale della vittima?". Al di là. Ecco che il fondamentale concetto di persona diventa la notte delle mucche nere e dell’ipocrisia nerissima. Se picchio un gay, è perché io sono violento e lui è una persona, non perché lui è gay e io sono un picchiatore omofobo. E perché allora non lasciare l’Europa, e abrogarle tutte, le aggravanti? Del resto, fino a poco fa, picchiare una donna era un’attenuante, e la propria donna un’esimente.

Ancora una volta, bisogna ammettere che il tempo non lavora a nostro favore: di chi, intendo, "al di là dell’orientamento sessuale", detesta ogni discriminazione basata sul sesso, sulla predilezione sessuale, sulla scelta di genere. O almeno, che la storia corre su un doppio binario. Il pregiudizio sessuale non è l’avanzo di un passato patriarcale lento a morire, ma si rinfocola di combustibili tutti moderni. L’improvvisa accelerazione nella mescolanza e nello scontro di culture e abitudini di vita, certo. Ma non si esageri nemmeno nel farne il movente principale.

Il leghista che si compiace di pronunciare: "Culattoni" non sta difendendosi (e difendendoci) dall’invasione di alieni che, nei loro pregiudizi peggiori, gli assomigliano molto: la sta prendendo a pretesto per sfogare un irriducibile spirito di caserma da cui anche le caserme cominciano a esser disgustate. E anche quando non sguazzi nell’insulto di checche froci e ricchioni, il sessismo contemporaneo, tutto indigeno, è una prateria spalancata alle incursioni di teppistelli - svastichelle - che si iniziano con l’assalto ai gay al virilismo cui la patria chiama. Resto persuaso che al fondo della questione dell’immigrazione straniera stia il fantasma della sessualità, lo spettro che si aggira per l’Europa e, più improvviso, in Italia.

Agli immigrati che arrivano fra noi, quando ci arrivano, come le avanguardie del mondo povero ma giovane e minacciosamente prolifico, la nostra senescenza risponde con la voluttà dei respingimenti e l’esibizione di una potenza sessuale virile e a sua volta senile. Passata infine, dalle stanze da letto e da bagno, alla ribalta.

Chi farà la storia di questi anni, povero lui, avrà da cimentarsi con la prostata. Tema beato delle caserme per vecchi che sono tante delle nostre cene, punto di caduta della longevità contemporanea e nobile penitenza di grandi romanzieri come Philip Roth - cui i coetanei svedesi insistono a non dare, magari per questo, il Nobel - la prostata sembrava finalmente eclissare l’invenzione più sciocca di un grande come Freud, l’invidia del pene.

E invece no, non da noi, almeno. Noi trionfiamo della prostata e inalberiamo il pene - eterosessuale, s’intende. Siamo in-stan-ca-bi-li. Di Pietro, che per una volta sembrava attraversato da un sentimento come la solidarietà universale contro una malattia, si è affrettato a farne lo spunto per dichiarare che gli funziona, che aveva subito fatto "la prova del nove".

Ha torto chi, per zelo consequenziale, rinfaccia all’eterosessualità di non saper esistere se non per esclusione dell’omosessualità, per omofobia (parola, vedo, che risale appena al 1971, e transfobia deve ancora conquistarsi la sua riga di dizionario). Ha torto, in principio, perché eterosessualità e omosessualità (e transessualità), a una mente e un cuore lucidi, si assomigliano, ci assomigliano. Avrebbe altrettanto torto, in principio, chi denunciasse che la normalità indigena si definisce attraverso la xenofobia.

Ci si può definire per contrapposizione ed esclusione, o per somiglianza e inclusione. C’è un equivoco alimentato dall’impiego, non tecnico-psichiatrico, di "fobia". La paura dello straniero o del diverso, ci si dice per sdrammatizzare, è comprensibile, e non bisogna vergognarsene. Ma nella nostra omofobia, nella nostra xenofobia, la paura cede all’avversione, all’ostilità, all’odio.

Nei composti, il contrario si dice con "filia". E infatti è l’amore il contrario dell’odio. L’omosessuale non è "il contrario" - l’invertito - dell’etero: gli assomiglia, quindi è diverso. È diverso, quindi non è uguale, quindi gli assomiglia. È tuttavia un fatto che quell’eterosessualità inalberata e trionfante su età e malattie e natura, e tumefatta di potere, nutra dentro e fuori di sé l’omofobia.

Giustizia: Maroni incontra i Sindaci, su integrazione e sicurezza

 

Avvenire, 15 ottobre 2009

 

Non c’è sicurezza senza integrazione e non c’è integrazione senza sicurezza. È questo lo slogan che anima la nuova "Carta di Parma" che il ministro degli Interni, Roberto Maroni e i sindaci di 20 città del Nord Italia - di varia colorazione politica, centrodestra, Pd e Lega - hanno varato ieri con la nuova "Carta di Parma", un aggiornamento di quella stilata un anno e mezzo fa e i cui contenuti sono stati recepiti dal governo attraverso l’adozione di strumenti legislativi come il pacchetto sicurezza e i nuovi poteri attribuiti in materia ai sindaci.

"Siamo tornati a confrontarci sul lavoro fatto fino ad oggi - ha detto il sindaco di Parma Pietro Vignali, promotore della "Carta - per fare un bilancio e rilanciare con nuove proposte il percorso da Seguire, con particolare riguardo al fronte dell’integrazione, perché "sicurezza è anche integrazione oltre che ordine pubblico".

I sindaci hanno chiesto a Maroni e al governo di affrontare concretamente nuovi aspetti come i poteri per controllare gli esercizi pubblici delle imprese artigiane (call center, kebab, ecc.); attribuire al sindaco il potere di revoca delle licenze in certi casi di violazioni; portare a compimento la riforma della Polizia locale. I sindaci chiedono anche una deroga per il patto di stabilità delle spese per la sicurezza urbana e il personale della stessa polizia municipale. Chiedono poi l’istituzione anche per il 2010 del fondo per iniziative dirette a potenziare la sicurezza urbana.

In materia di integrazione, hanno proposto la semplificazione burocratica per i permessi e i ricongiungimenti familiari; norme di agevolazione per il permesso di soggiorno ai minori stranieri non accompagnati; aumento delle risorse al fondo per l’inclusione sociale; norme contro la prostituzione e in favore delle donne che vengono poste sotto tutela dei comuni una volta sottrattesi al racket.

L’incontro dei sindaci con il ministro è durato oltre due ore e ha registrato il consenso dei primi cittadini intervenuti. Tra gli altri quello dello stesso Vignali che ha dato atto al ministro di aver accolto le richieste dei primi cittadini avanzate con la prima "Carta di Parma"; quello del sindaco di Padova Flavio Zanonato, che è delegato dell’Anci per la sicurezza e che ha ringraziato Maroni per la disponibilità e la grande attenzione alle esigenze dei comuni; quello di Verona, Flavio Tosi, il quale ha altresì sottolineato la necessità di individuare altre strade da percorrere oltre a quelle già delineate; soddisfatto anche il sindaco di Belluno Antonio Prade e quello del sindaco di Modena, Giorgio Pighi il quale, pur ringraziando Maroni per quanto ha fatto, ha chiesto un nuovo impulso e, soprattutto più risorse, con un intervento anche sui vincoli definiti dal patto di stabilità. Anche per Pighi è urgente portare in porto la riforma della polizia municipale.

Giustizia: protesta Sindacati Polizia; si rischia collasso sistema

 

Asca, 15 ottobre 2009

 

Sindacati di Polizia ancora sul piede di guerra per quelle che definiscono le mancate promesse del governo e l’ormai cronica mancanza di adeguati fondi per l’ammodernamento e la riorganizzazione degli apparati di sicurezza. Stamane circa un centinaio di aderenti a praticamente tutte le sigle del mondo sindacale della pubblica sicurezza (Siulp, Sap, Ugl) hanno manifestato nel piazzale antistante il Viminale per poi trasferirsi per un volantinaggio a Palazzo Chigi.

I sindacati della Polizia di Stato che hanno chiesto direttamente "ai cittadini di aiutarli a difendere la loro sicurezza", spiegano questa nuova manifestazione pubblica con la necessità di reagire alle politiche "dei soli annunci da parte del governo e contro la mancanza di adeguati investimenti in risorse, mezzi e infrastrutture che rischia - hanno sottolineato - di produrre il collasso del sistema sicurezza".

Tra l’altro denunciano le condizioni di disagio professionale e alloggiativo un eccessivo innalzamento dell’età media degli operatori, giunta ormai a 43 anni, e l’impossibilità di assicurare ai lavoratori di polizia la mobilità desiderata o politiche di sostegno che rendano meno problematica la loro vita lontana dagli affetti". Da qui l’annuncio per il 28 ottobre di una "grande azione di protesta per denunciare all’opinione pubblica la scandalosa e inaccettabile situazione in cui vivono ed operano oggi i poliziotti".

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 15 ottobre 2009

 

Ciò che non dicono sul carcere di Cremona. Ciao Arena, ti scrivo per sottolinearti, anche a nome dei miei compagni detenuti, il divario che c’è tra quello che dicono del carcere di Cremona e quello che in effetti è.

Qualche giorno fa infatti è stato pubblicato un articolo sulla provincia di Cremona in cui si parlava di tante cose belle che la direzione fa qui nel carcere di Cremona. Prima tra tutte il lavoro. Si diceva che qui i detenuti fanno i muratori, i falegnami ecc. Ora devi sapere che i detenuti che lavorano a Cremona sono pochissimi. Gli altri, come noi che stiamo nella sezione comune, non possiamo fare nulla per tutto il giorno. Né lavoro, ne corsi di formazione. Nulla. Inoltre la direzione del carcere pubblicizza molto l’infermeria che c’è qui. Ed in effetti è vero. Nel carcere di Cremona ci sono gli specialisti che vuoi. Il problema è che non li vediamo mai, o quando li incontriamo ci dicono che hanno le mani legate. Il problema è che le medicine non ci sono e spesso noi siamo costretti a comprarle di tasca nostra. Come se non bastasse, qui a Cremona stanno costruendo un nuovo padiglione. Soldi buttati, visto che ce ne sono già altri due che sono rimasti vuoti. Ti rendi conto? Ti abbracciamo tutti da qui.

 

Massimo dal carcere di Cremona

 

Detenuto per un reato di 16 anni fa. Caro Riccardo, sono in carcere e mi mancano 2 anni di pena, ma il fatto è che il mio reato risale al 1993! Ovvero a 16 anni fa. Ti scrivo, non solo per questa assurda detenzione, ma anche per ciò che mi è accaduto. Devi sapere infatti che ho un figlio che ha una grave malformazione al cuore. Negli anni ho girato tutta la penisola per farlo curare e alla fine lo hanno messo in lista d’attesa per il trapianto di cuore.

Poi, dopo 2 anni di attese e preoccupazioni, finalmente è arrivata la notizia che c’era un cuore per mio figlio. E così il 25 agosto 2009 è stato operato a Roma all’ospedale Bambin Gesù. Io, essendo già detenuto, ho fatto richiesta di un permesso al magistrato di sorveglianza il quale mi ha testualmente risposto: si rigetta perché il congiunto non è in imminente pericolo di vita. Sta di fatto che mia moglie ha dovuto affittare una casa a Roma per seguire la convalescenza di nostro figlio. Ora, visto che mi hanno messo in carcere per un fatto del 1993, che non ho commesso altri reati e che mi mancano solo 2 anni da scontare, ho chiesto un differimento della pena per stare vicino a mia moglie e a mio figlio. Io so che devo pagare il mio debito con la giustizia, ma così è troppo. Grazie per avermi ascoltato.

 

Raimondo dal carcere di Salerno

Prato: vita d’inferno per reclusi e agenti, un sit-in il 20 ottobre

di Martina Altigeri

 

Il Tirreno, 15 ottobre 2009

 

Neppure il campanello all’ingresso del carcere è funzionante, ma questo è solo uno dei mille disagi che sono costretti a sopportare da molto tempo gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti della Casa Circondariale della Dogaia a Prato. Troppo pochi gli addetti alla sicurezza e costretti a turni di lavoro insostenibili, condizioni igieniche al limite e ai reclusi non vengono più offerte attività sociali per il loro recupero.

L’istituto penitenziario pratese rischia il collasso. Ne sono convinti i manifestanti delle varie sigle sindacali che, ieri mattina, si sono riuniti davanti al carcere per dare voce alla situazione drammatica che la struttura sta attraversando. Sovraffollamento. Al momento lì sono ospitati 700 detenuti, su una tollerabilità prevista di 460. Le celle, che in origine erano state costruite per ospitare due carcerati, si trovano ad averne tre.

Così le docce comuni, troppo poche per permettere a ciascuno di poter provvedere alla pulizia personale. Come se non bastasse, l’unica spesa di circa 65 mila euro che la casa circondariale ha potuto fare servirà per aumentare ulteriormente la capienza e accogliere così altri reclusi. "Verrà tolta l’infermeria per fare posto ad un altro reparto per detenuti, così da arrivare a 750 persone - ha chiarito Giovanni Franchi, coordinatore regionale Cgil polizia penitenziaria -.

Di fronte però a questo aumento non si parla di far crescere anche il numero degli agenti o di altro personale amministrativo, per il momento da parte delle amministrazioni locali, regionali e nazionali non abbiamo ricevuto risposte o anche la minima attenzione". Il malessere dei detenuti si traduce anche in gesti disperati: nel 2009 si sono registrati 4 casi di suicidio. Troppo lavoro. Il dato ancora più allarmante è che la sicurezza è garantita soltanto da 237 agenti, a fronte di 330 unità, in situazioni normali.

"I dipendenti, sotto organico di un terzo, sono quindi costretti a fare ogni giorno turni straordinari di lavoro che, a fine mese, arrivano anche a 40-60 ore - ha piegato Donato Nolè, responsabile regionale funzione pubblica Cgil polizia penitenziaria - Ci sono poi alcune fasce orarie giornaliere che portano la situazione al limite, dalle 16 del pomeriggio alle 8 di mattina spesso un solo agente si trova a gestire 150 detenuti".

Il personale presente viene messo a lavorare davanti a centinaia di situazioni diverse, deve poter controllare gli spazi adibiti alle docce dove a turno i detenuti si lavano, deve essere di guardia nelle cucine dove altri sono impegnati, deve saper intervenire in situazioni di primo soccorso, quando cioè i carcerati, spesso magrebini, si lesionano provocandosi ferite e tagli.

Le condizioni lavorative sono al limite della sostenibilità per gli agenti di polizia penitenziaria e non è raro che tanti, circa venti negli ultimi anni, siano stati ritenuti "non più idonei al lavoro" dall’Ospedale militare.

Taglio dei fondi. "Mancano i soldi per comprare le lampadine o la carta per le fotocopie, non possono essere fatti i più semplici interventi di manutenzione - ha detto Fabrizio Gorelli, segretario della Fp Cgil Prato - Sono stati tagliati di un terzo i fondi per il recupero sociale dei detenuti, questo significa che non siamo più in grado di proporre attività per il loro reinserimento". Quello che chiedono i manifestanti è ricevere delle risposte e delle soluzioni.

Nonostante i ripetuti appelli alle amministrazioni, nessuno fino ad adesso ha mosso un dito per rendere la situazione più tollerabile. Andranno avanti e il 20 ottobre, dalle 10.30, è previsto un sit-in di protesta dei dipendenti e delle sigle sindacali a cui è invitato anche il Prefetto di Prato, affinché il messaggio poi possa giungere al Parlamento.

Grosseto: Cisl; manca personale, nessuna attività per i detenuti

 

Il Tirreno, 15 ottobre 2009

 

La polizia penitenziaria di Grosseto non scende in piazza, ma rinuncia alla mensa per protestare contro il provveditorato regionale che sottrae un’altra unità all’organico già ridotto. L’uomo in meno a Grosseto andrà a rinforzare il personale di San Gimignano.

"Abbiamo lamentato in varie occasioni - spiega Pierangelo Campolattano, segretario provinciale della Federazione sicurezza della Cisl - una grave carenza di personale e di organico della penitenziaria nella struttura di Grosseto: siamo in 27, e secondo la tabella ministeriale, che noi abbiamo sempre contestato, dovremmo essere 32.

Il personale che è preposto direttamente alla vigilanza nei reparti dove sono i detenuti è di appena una quindicina di unità, ma da questi vanno tolti il personale in ferie, quello in malattia, riposi e adesso ci chiedono di spostare, a rotazione, un’unità in supporto al personale San Gimignano, dove sono addirittura il 40% in meno".

Gli agenti di Grosseto solidarizzano con i colleghi di San Gimignano, ma denunciano una emergenza nazionale del sistema carcerario. Anche al direzione di Grosseto ha fatto presente al provveditorato della regionale, la situazione. E così, in una situazione in cui i turni di notte vengono fatti da due agenti soltanto, la richiesta fatta dal provveditorato finisce per mettere ancora più in crisi il sistema, con rischi concreti per la sicurezza sia del personale che dei detenuti.

Il tutto, poi, si cala in una realtà già difficile per via della struttura che è fatiscente, ed è "carente dei sistemi di allarme che - spiega Campolattano - potrebbero sopperire alle carenze di un’unità". Il rappresentante della Cisl sottolinea che "occorrerebbe una struttura nuova per poter garantire un trattamento umanamente accettabile alle persone che sono in carcere: non abbiamo alcuna possibilità - dice - di avviare qualsiasi tipo di attività trattamentale in vista di un possibile reinserimento, mancano gli spazi, se poi si aggiunge la grave carenza di organico. Purtroppo - conclude - il provveditore della Regione Toscana fa orecchie da mercante".

Bologna: aperto sportello dell’anagrafe nel carcere della Dozza

 

Il Resto del Carlino, 15 ottobre 2009

 

Ha da poco preso il via un nuovo servizio per i detenuti del carcere della Dozza di Bologna, un’opportunità per facilitare l’ottenimento di documenti e certificati, che rende più semplice tra le altre cose il disbrigo delle procedure per i colloqui con i famigliari. È stato infatti aperto da parte del Quartiere Navile, uno sportello per il rilascio dei documenti anagrafici all’interno della casa circondariale.

I detenuti potranno rinnovare qui la carta d’identità, certificare lo stato civile e ottenere tutti i documenti e i certificati necessari anche a chi è stato privato della libertà. Il servizio è particolarmente utile per chi deve scontare una lunga permanenza in carcere e ha quindi fissato la residenza proprio alla Dozza. Ma potranno usufruirne anche gli agenti penitenziari che lavorano all’interno del carcere.

Non solo. Il lungo e complicato iter burocratico per comprovare i rapporti di parentela spesso causava forti ritardi nell’accesso ai colloqui con i famigliari e quindi molti disagi. Ora invece, grazie allo sportello che svolge le funzioni degli uffici dell’anagrafe, questo problema viene risolto molto più velocemente. Un esercizio concreto ed efficace di diritto alla cittadinanza che spetta anche a chi si trova nello stato di detenuto.

Il servizio è in funzione il primo e il terzo mercoledì di ogni mese ed è gestito da un operatore messo a disposizione dal quartiere Navile, che ha sostenuto anche il costo totale del servizio. L’attivazione dello sportello è stata possibile grazie alla sottoscrizione di una convenzione tra il quartiere e il direttore della casa circondariale. Risultato: non solo un servizio a risposta immediata per i detenuti, ma anche una semplificazione del lavoro per i dipendenti comunali, visto che fino ad ora la documentazione anagrafica veniva rilasciata dagli uffici di quartiere.

"Bologna è la seconda città in Italia, dopo Torino, a creare uno sportello in carcere", ha spiegato Marina Cesari, direttrice del quartiere Navile. Un successo ottenuto grazie a una proposta del Garante dei diritti dei detenuti di Bologna Desi Bruno.

Brescia: a Canton Mombello 490 detenuti, la capienza è di 205

 

Brescia Oggi, 15 ottobre 2009

 

Maria Gabriella Lusi, da un mese alla direzione della Casa Circondariale di Canton Mombello, sceglie l’inaugurazione della mostra allestita a Palazzo Calini ai Fiumi sul lavoro dei volontari in carcere, per la sua prima uscita pubblica. CON lei, pure la direttrice della Casa di reclusione di Verziano Francesca Paola Lucrezi. E insieme danno l’ultimo aggiornamento sullo stato delle cose carcerarie bresciane.

A Canton Mombello ci sono 490 detenuti a fronte di una capienza di 205 e di una presenza tollerabile di 280, sottolinea Luzi. Il tutto con "una pianta organica mancante di 130 persone, ambienti vecchi e grigi e senza soldi per intervenire". Sicché la neodirettrice deve confessare che "l’unico momento di ottimismo l’ho avuto quando, in occasione della Commissione didattica, ho incontrato coloro che interagiscono con la direzione per i necessari e faticosi interventi di educazione, e ho scoperto la passione dei volontari e della scuola bresciana".

Anzi, "è proprio la presenza del volontariato che mi ha spinto a scegliere Brescia - confessa - e ora mi fa vedere la strada tracciata per mantenere la centralità della persona anche quando si parla di detenuti. Allo stesso modo fa dire a Lucrezi come il lavoro e il rapporto con l’esterno possano permettere una vita diversa all’uscita dal carcere. A Verziano dovrebbero esserci solo condannati definitivi ma ce ne sono pure in attesa di giudizio. Su 150 detenuti, 35 lavorano dentro le mura, alle dipendenze dell’Amministrazione, e "solo una decina presso realtà esterne, con una percentuale in netto passivo". Il carcere "non può essere il contenitore del disagio sociale", sottolinea Lucrezi. E tuttavia così è, spesso.

Brescia: la mostra "Libertà va cercando ch’è si cara" fino al 20

 

Brescia Oggi, 15 ottobre 2009

 

Fino al 20 ottobre a palazzo Calini ai Fiumi l’esposizione "Libertà va cercando ch’è si cara".

Il carcere è la negazione della libertà. Ma proprio tra inferriate, catenacci, celle anguste e sovraffollate possono cominciare percorsi di "redenzione". Il paradosso è possibile grazie certi magistrati di sorveglianza, agenti di polizia penitenziaria, educatori che vivono il lavoro con umanità e rispetto per i detenuti. I miracoli cominciano con la parola di un volontario, con il lavoro tra le mura penitenziarie o fuori per i fortunati. E fanno quei casi virtuosi in cui il carcere ritrova la funzione di recupero.

Fino a martedì prossimo (20 ottobre) c’è una mostra a testimoniarlo, "Libertà va cercando, ch’è si cara - Vigilando redimere", allestita nella Galleria delle sfingi e nella Sala dei putti di palazzo Calini ai Fiumi di via San Faustino 41, sede della facoltà di Giurisprudenza.

E ci sono le testimonianze di quanti sono intervenuti ieri mattina alla cerimonia di inaugurazione ufficiale, da Alberto Sciumè, docente di Storia del diritto medievale e moderno, al magistrato del Tribunale di sorveglianza di Brescia Monica Lazzaroni, dal presidente della Cooperativa sociale Giotto di Padova Nicola Boscoletto alle direttrici della casa circondariale di Canton Mombello Maria Gabriella Lusi e della casa di reclusione di Verziano Francesca Paola Lucrezi, a Carlo Alberto Romano docente di Criminologia penitenziaria e presidente dell’associazione Carcere e territorio.

Devono constatare che quei percorsi di "redenzione" sono rari e tutt’altro che facili. Lo sottolinea bene Lazzaroni quando dice che "nelle carceri italiane ci sono 63 mila detenuti e solo 200 magistrati di sorveglianza, spesso mancano i direttori e personale amministrativo e non c’è speranza che la situazione cambi".

Sono loro, i magistrati, che tra l’altro possono applicare la legge Gozzini con le misure alternative e il lavoro in carcere. E non è un caso che don Adriano, da 20 anni cappellano nelle carceri bresciane, riveli ai tanti giovani affollati nella Sala delle candelabre per l’inaugurazione, che molti carcerati chiedono il trasferimento proprio dove è presente un magistrato di sorveglianza. Che non è dappertutto. E allora tocca ai volontari.

Come quelli di Volca, Uisp, mondo della cooperazione sociale bresciana, che espongono i loro pannelli nella Sala dei putti. Come la "Giotto" che ha allestito il grosso della mostra. Boscoletto fa parlare un video con una serie di testimonianze di detenuti che attraverso il lavoro hanno ritrovato se stessi e la speranza. Di suo aggiunge che "tanta umanità spesso non si trova neanche fuori dal carcere". Eppure i dati dicono che "tutto va pesantemente al contrario, i recidivi sono il 90 per cento - precisa Boscoletto - e per ogni detenuto si spendono 100 mila euro all’anno".

Ora che percepiscono l’ostilità della società libera, si limitano a proteste "molto contenute nonostante il peggioramento delle condizioni". I volontari, dal canto loro, cercano di far cose concrete, ma operano in una "situazione disastrosa del nostro Paese - sottolinea Romano - che dal ‘98 al 2008 ha visto aprire 999 procedure per eccessiva lunghezza dei procedimenti". Certo, ci sono anche esempi di "inserimento positivo - aggiunge - come la convenzione tra Università e Amministrazione penitenziaria, che permette ai detenuti bresciani di laurearsi in Giurisprudenza o Economia e prepararsi al lavoro fuori".

Sta di fatto, però, che pochi possono accedere al lavoro e ritrovare la speranza. I pannelli della mostra lo documentano. Sono visitabili dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18, il sabato dalle 9 alle 12.30. E dalle 15 alle 17 si possono incontrare i volontari che operano nelle carceri.

Svezia: un reality dentro il carcere minorile, ma è tutta finzione

 

Ansa, 15 ottobre 2009

 

L’ultima trovata in tema di reality viene dalla Svezia. Si chiama Inlast (Rinchiusi), trasmesso per la prima volta agli inizi di ottobre sul Canale TV4, mostra le avventure di sette giovani criminali sulla via della redenzione, di età compresa tra i 15 e i 17 anni. Pur avendo avuto solo qualche piccolo problema con la giustizia i ragazzi decidono di farsi rinchiudere volontariamente in prigione per sottoporsi ad un regime affatto clemente.

Ed ecco che alla fine della prima giornata di galera c’è già chi è pronto ad abbandonare il programma pur di uscire di prigione. Ventiquattro ore più tardi i dodici ragazzi ricevono la visita di pericolosi criminali dalle braccia tatuate che cercano di dissuaderli dal commettere i loro stessi errori. Così, in questa specie di Grande Fratello dietro le sbarre, i giorni trascorrono più rapidamente di quel che si immagina e in maniera affatto monotona. Tutto si svolge in una vecchia prigione ormai dismessa, un edificio del XIX secolo gestito da agenti fittizi. L’amministrazione penitenziaria si è infatti ben guardata dal prendere parte alla trasmissione ribadendo di non avere niente a che fare con la serie.

"Da diversi anni seguiamo un programma rivolto ai minori di 21 anni con l’obiettivo di tenerli lontani dalla prigione - ha spiegato la portavoce dell’istituzione Anne Marie Dahlgre - le ricerche e la nostra esperienza mostrano che i tentativi dissuasivi di questo tipo hanno in realtà un effetto negativo sui giovani delinquenti. Per quei ragazzi essere a contatto con criminali "professionisti" li induce a prenderli come modello per costruirsi un’immagine più dura. Un’esperienza di questo tipo può rinforzare la loro identità criminale".

Dalla Direzione nazionale Salute e Affari sociali fanno sapere che "questo nuovo prodotto televisivo è un gioco cinico che sfrutta la fragilità dei ragazzi". In realtà la televisione non è affatto nuova a reality di questo tipo. Programmi simili sono stati trasmessi in passato negli Stati Uniti e in Norvegia con risultati che nessuno si azzarderebbe a definire educativi.

 

 

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