Rassegna stampa 16 ottobre

 

Giustizia: Alfano; così stiamo riformando tribunali e carceri

di Angelino Alfano (Ministro della Giustizia)

 

Panorama, 16 ottobre 2009

 

L’8 maggio del 2008, appena assunto l’incarico di ministro della Giustizia, ho avuto subito piena coscienza della delicatezza del compito che il presidente Silvio Berlusconi mi ha affidato: la giustizia è un paradigma che declina diritti, doveri, legittime aspettative dei cittadini, responsabilità dello Stato, sicurezza, in un’unica articolazione complessa e pulsante che costituisce il cuore di una società evoluta, proiettata nei circuiti moderni di competitività ed efficienza, senza lasciare spazio a interpretazioni dubbie o questioni irrisolte.

In quest’ottica, la clessidra scandisce il tempo degli obiettivi raggiunti e segna i vuoti che necessitano di essere colmati. Si tratta, dunque, di affrontare non tanto il fiume inarrestabile della polemica politica che da sempre coinvolge il sistema giudiziario, ma soprattutto il livello di arretratezza e inefficienza nel quale, da oltre 50 anni, continuano a navigare sia il processo penale che quello civile.

Nel processo civile si attende, in media, 960 giorni per una sentenza di primo grado e altri 1.500 per quella di appello, mentre il fardello dell’arretrato ammonta a oltre 5.400.000 procedimenti pendenti, con un trend di crescita apparentemente inarrestabile.

Il processo penale viaggia con un bagaglio di processi pendenti che ammontano a oltre 3.600.000, per il primo grado si attendono in media 420 giorni, mentre in appello se ne aspettano altri 73 per ottenere giustizia. La partita che si gioca su questo fronte è di straordinaria rilevanza e non mi sono tirato indietro, trincerandomi dietro la costituzione di nuove commissioni di studio o dietro la ricerca di responsabilità pregresse, ma ho guardato oltre la linea di un orizzonte parziale, inficiato da una pericolosa mancanza di un’ottica d’insieme.

Nel campo della giustizia ogni ritardo si traduce in danno per i cittadini e l’indecisionismo diventa uno strumento fallace che decreta inesorabilmente la disintegrazione di un intero sistema. Così mi sono fatto carico di questo debito giudiziario e, dopo 16 mesi di governo, presento un primo provvisorio bilancio dell’alacre lavoro svolto dai miei uffici e del mio operato nello svolgimento del quale non ho risparmiato energie.

Per mettere mano a un apparato sclerotizzato ritengo, infatti, occorra sempre una buona dose di coraggio e anche la forza di contemplare margini di rischio. Questo per rispondere alle precise indicazioni di un governo che lavora instancabilmente nell’interesse esclusivo dei cittadini, per rispondere con adeguatezza alle tanto attese riforme normative e costituzionali in materia di giustizia. Questo bilancio è un bollettino di viaggio e una stella polare che segna la rotta nel panorama delle riforme, all’interno del quale ognuno, nel pieno rispetto del proprio ruolo, è chiamato a fare la propria parte. E io, a questo, non intendo sottrarmi.

Nel pieno della polemica per la pronuncia della Corte costituzionale sul cosiddetto lodo, occorre ricordare l’importanza di ciò che si è già fatto e quello che ci si prefigge con determinazione di fare. Un passo di estrema importanza è segnato dalla riforma del processo civile di cui non si occupano quasi mai i polemisti di professione, incuranti del fatto che una giustizia ritardata equivale a una giustizia negata e che dietro ogni fascicolo arretrato ci sono donne e uomini che vedono infranta la loro attesa di decisioni equilibrate e fornite in tempi ragionevoli.

Abbiamo varato una riforma che ha ridotto i termini processuali; introdotto le prime norme sul processo telematico e semplificato i riti con un’opera di vero e proprio disboscamento della vigente giungla procedimentale, fonte di confusioni e di incertezze del tutto ingiustificate, con la consapevolezza che senza chiarezza, semplicità di forme e innovazione tecnologica e digitale il sistema giudiziario è destinato a una perenne e lenta agonia. Oggi più che mai il recupero di efficienza del processo civile è necessario per liberare le tante risorse economiche che per troppo tempo sono rimaste intrappolate nei polverosi archivi di tribunali male organizzati e che hanno tolto linfa vitale ai circuiti economico-produttivi, rendendo poco appetibile, anche a potenziali investitori stranieri, l’approccio ai nostri apparati.

Nel settore penale e della sicurezza, si sono poi realizzati interventi che hanno ben pochi precedenti per qualità e quantità di impatto sul sistema giudiziario. La scelta primaria è stata quella di raccogliere la sfida della criminalità organizzata con un’azione normativa orientata non solo a reprimere con fermezza il potere mafioso (come mai in passato dai tempi in cui Giovanni Falcone prestava la sua preziosa opera al ministero della Giustizia), ma anche a individuare e colpire senza tregua i patrimoni illeciti dei boss, mediante un sistema moderno ed efficiente di misure di prevenzione sia personali che patrimoniali.

Il regime del 41 bis, inoltre, da duro è diventato durissimo e l’allargamento delle ipotesi di confisca dei beni, estesa anche ai parenti dei boss, ha offerto ai magistrati e alle forze dell’ordine un potente strumento per il recupero di ricchezze illecitamente accumulate. Procedendo lungo questa strada, ci siamo accorti che tutte le somme così recuperate dallo Stato marcivano infruttuose in depositi bancari e postali di nessuna concreta utilità.

Abbiamo, quindi, istituito il Fondo unico giustizia per utilizzarlo come strumento per colpire con sempre maggiore efficienza i circuiti delle attività criminali. In questo conto corrente, infatti, il denaro e i beni acquisiti, dopo essere stati sottratti agli uomini dell’antistato, vengono utilizzati contro questi pericolosi criminali attraverso progetti e azioni investigative efficienti e sofisticate.

Un’idea semplice, ma fortemente innovativa, che già da adesso consente di progettare interventi di supporto al sistema giudiziario e al comparto sicurezza grazie ai circa 700 milioni di euro già disponibili sin dai primi giorni di settembre, con una proiezione che a oggi rende assai vicino l’obiettivo del primo miliardo di euro.

In quest’ottica, abbiamo eliminato la possibilità di concedere gratuitamente l’assistenza legale ai molti mafiosi già condannati che, con sfrontatezza, si facevano pagare l’avvocato dallo Stato dichiarandosi nullatenenti, dopo aver accumulato enormi ricchezze, distorcendo le legittime regole di un mercato sano le cui logiche si basano sui principi di legalità, chiarezza, velocità e giustizia.

Abbiamo, infatti, ritenuto più che giusto che le somme in tal modo risparmiate fossero destinate a garantire la difesa gratuita alle vittime della violenza sessuale, quasi un risarcimento simbolico, ma anche concreto, di diritti lesi. Il governo Berlusconi è particolarmente attento alle esigenze della sicurezza sociale dei cittadini che, sin dal primo Consiglio dei ministri di Napoli, è stata garantita con le norme del pacchetto sicurezza, finalizzato a combattere, oltre alla criminalità organizzata, anche il crimine diffuso, specialmente ai danni dei soggetti più deboli.

In particolare: a) sono state ampliate tutte le pene previste per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso; b) è stato previsto l’intervento delle forze armate nel controllo del territorio; c) sono stati ampliati i poteri del procuratore nazionale antimafia; d) è stato introdotto il delitto di ingresso illegale nel territorio dello Stato; e) si è attribuito al prefetto il compito di assegnare e destinare i beni confiscati alle organizzazioni criminali nelle province di competenza, per razionalizzare e velocizzare l’utilizzo degli stessi.

 

Udienza in tribunale

 

Malgrado di ciò non si parli quasi più, intendo ricordare anche l’approvazione della normativa in materia di incentivi economici ai magistrati destinati alla copertura delle sedi sgradite ai pm. E definisco volutamente sgradite e non disagiate alcune sedi con un preciso intendimento: si tratta di sedi non disagiate in quanto tali, ma poco gradite ai magistrati che, assai di rado, le richiedono come destinazioni del loro incarico.

Ed è noto che nessun magistrato può essere obbligato ad andare presso una sede o a cambiare sede. Si è, in tal modo, trovata una soluzione equilibrata al problema delle procure di frontiera, destinate a rimanere sguarnite per carenza di magistrati dotati della necessaria esperienza e disponibili a recarsi a lavorare in quei luoghi.

Siamo entrati, inoltre, con cautela e attenzione, nel mondo delle carceri, affrontando l’emergenza detenuti con decisione e senza sconti per nessuno, mediante la presentazione del piano straordinario dell’edilizia carceraria. Anche questa è una sfida che siamo certi di riuscire a vincere senza ricorrere a palliativi pericolosi come l’approvazione, negli ultimi sessant’anni, di ben 30 provvedimenti di amnistia e di indulto, che non hanno mai risolto alla radice il problema della capienza ottimale delle strutture carcerarie.

Un sistema malato che vede in funzione strutture in massima parte pluricentenarie del tutto inadeguate a sistemi detentivi moderni che, senza rinunciare alla sicurezza, garantiscano una detenzione umana, dignitosa e autenticamente finalizzata alla rieducazione della pena, come previsto dalla nostra Costituzione, e il reinserimento, graduale ed equilibrato, in una società che ha imparato a rispondere con solerzia ai criteri di un rinnovato sistema.

Il nostro obiettivo è chiaro: certezza della pena e sicurezza per il cittadino; dunque nessuna nuova amnistia. Intanto, nei 16 mesi appena trascorsi, ed entro il prossimo 31 dicembre, sono stati resi disponibili nelle carceri circa 2 mila nuovi posti detentivi. Ed è, per me, motivo di orgoglio rivelare che si tratta all’incirca della stessa quantità di posti prodotta nel decennio 1998-2008.

Non dimenticando che a un detenuto non si può mai chiedere di dimettersi da uomo e che, quindi, devono essergli garantiti tutti i diritti di uomo in quanto tale, anche in osservanza dell’articolo 27 della Costituzione. Senza dimenticare, in un tempo in cui le morti bianche sono sempre più d’attualità, l’orgoglio di aver inserito nel nostro ordinamento una norma tendente a individuare e di conseguenza punire i responsabili delle morti nei luoghi di lavoro.

Non meno rilevanti i risultati ottenuti nell’attività di controllo delle spese per le intercettazioni telefoniche e ambientali, nel cui ambito i costi si sono ridotti di oltre il 30 per cento mediante l’istituzione dell’Unità di monitoraggio delle intercettazioni che ha anche evitato il blocco dell’attività investigativa, mediante il recupero di 185 milioni di euro, impiegati per pagare, alle imprese del settore, i crediti maturati nel periodo 2006-2008, con una soluzione transattiva che ha soddisfatto le esigenze investigative e quelle economico-occupazionali degli imprenditori e dei lavoratori (chi ricorda più la minaccia delle imprese di sospendere le intercettazioni e interrompere il servizio?). Abbiamo risolto questo problema e le imprese, operanti in questo delicato settore, mi hanno scritto una lettera per ringraziarci del nostro efficace intervento.

In perfetta coerenza con l’immediata e fattiva risposta del presidente Berlusconi al terribile sisma dell’Aquila, anche il ministero della Giustizia, che pure ha visto travolti tutti i principali uffici giudiziari, è riuscito a restituire la giustizia agli aquilani nel loro territorio in soli 47 giorni dal sisma, dando prova di grande efficienza, impegno e professionalità. Anche sotto il profilo strettamente amministrativo il ministero della Giustizia, che pure soffre, come l’intero settore pubblico, di carenza di risorse umane e finanziarie, ha risposto sul campo a tutte le emergenze che è stato necessario affrontare.

Il lavoro fin qui svolto è fondamentale, ma si inserisce in un quadro come le prime pennellate che ne lasciano intuire la profondità e i contorni.

Il lavoro che resta ancora da svolgere è appassionante e complicato ed è nel solco di un’opera riformatrice che, nel pieno rispetto del programma elettorale, approvato da milioni di elettori, consegnerà al Paese, alla fine della legislatura, una giustizia migliore.

Molto altro vi è, dunque, ancora da fare per riequilibrare i rapporti tra accusa e difesa, per garantire effettività al giusto processo, per assicurare il corretto equilibrio tra esigenze investigative e tutela delle libertà personali anche in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali, attraverso una riforma del processo penale e degli assetti costituzionali in materia di giustizia.

Se mi è consentita la metafora, l’obiettivo finale è quello di riportare in perfetto equilibrio i piatti della bilancia della giustizia, adeguando anche la Costituzione alle esigenze di efficienza e modernità di una democrazia compiuta. Non è una sfida semplice, ma è una sfida da vincere. È una sfida per il bene del Paese.

Giustizia: intesa Fini-Bossi; chiedono una "riforma condivisa"

 

Il Corriere della Sera, 16 ottobre 2009

 

Prima una lunga telefonata con Fini, in viva voce, durante la cena tra Berlusconi e Bossi di mercoledì sera, poi un incontro ieri mattina a Montecitorio tra il premier e il presidente della Camera. Sono servite due tappe per portare il centrodestra al traguardo di un clima più disteso, indispensabile dopo le polemiche e i toni altissimi dei giorni scorsi.

Parla di "forte consolidamento della maggioranza" Fabrizio Cicchitto, assicurano che "c’è stato un chiarimento" e che "si è ritrovata l’armonia" Italo Bocchino e Gaetano Quagliariello, e insomma il giudizio è unanime: su come procedere sulla riforma della giustizia e su come sciogliere il nodo delle Regionali - il più complicato ruotava attorno al Veneto, che andrà alla Lega - l’accordo è stato trovato.

È stato decisivo il faccia a faccia di ieri mattina tra Berlusconi e Fini per sciogliere il ghiaccio che già la sera prima era stato comunque picconato anche grazie all’intervento di Bossi, convinto che la maggioranza abbia davanti solo la strada delle riforme, e debba procedere unita senza strappi e senza sospetti reciproci: "Noi - ha detto ieri il ministro - le riforme le facciamo sempre condivise". Per questo Berlusconi ha deciso di fare visita a Fini con spirito di apertura, quello che aveva promesso nel pranzo della "tregua" a casa Letta, e con lui - assieme ai rispettivi avvocati di fiducia Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno - ha fatto il punto su una riforma che "dobbiamo tutti noi condividere e poi portare avanti con decisione".

Non è arrivato con richieste precise da prendere o lasciare Berlusconi, ma con la mano tesa, senza nascondere all’alleato che certo sulla giustizia bisogna procedere, cominciando dal varo della legge sulle intercettazioni e proseguendo con la riforma del processo penale. E Fini - che ha ribadito la sua non contrarietà alla separazione delle carriere ma il suo assoluto no a pm sottoposti al governo, ipotesi che Berlusconi ha smentito di aver mai sostenuto e che anche Bossi boccia, preferendo "l’elezione dei pm" - ha dato il suo ok a procedere, purché la riforma si scriva "assieme", senza dare l’impressione che sia una sorta di ritorsione contro i magistrati dopo, la bocciatura del Lodo Alfano.

Quali saranno i contenuti della riforma, quali leggi a eventuale tutela del premier da processi in corso si possano scrivere è però ancora da capire, se è vero che c’è già chi prevede che sulla dipendenza dai pm della polizia giudiziaria e sull’obbligatorietà dell’azione penale potrebbero "sorgere problemi". Ma i due leader hanno dato mandato a Ghedini e Bongiorno di lavorare ai testi, senza preclusioni e senza forzature che in queste ore anche dall’entourage del premier vengono escluse, come se dopo i falchi stessero facendo capolino le colombe.

A rasserenare il clima è certo servito l’accordo di massima raggiunto mercoledì sera sulle candidature alle Regionali, anche se sarà martedì il giorno del definitivo rendez vous tra i leader per le decisioni: la Lega comunque - nonostante Bossi dica che deve prima "parlarne con Fini", e sul sindaco Moratti aggiunga che "lei non mi ha ancora detto che si ricandida" - ha già ottenuto il via libera a una sua candidatura in Veneto, dove dovrebbe correre il ministro Zaia che lascerebbe il posto a Galan, anche se quest’ultimo non ha ancora detto la sua. Il Piemonte toccherà all’ex FI, favorito è Crosetto, mentre nel Lazio alla fine l’avrebbe spuntata Renata Polverini, la sindacalista che Fini vuole fortemente alla guida della Regione. Aperta rimane la corsa in Campania, dove è in pole position Cosentino, anche se c’è chi parla di una preferenza di Berlusconi per Caldoro o di una possibile sorpresa con la candidatura del ministro Rotondi.

Giustizia: Associazioni e Sindacati in piazza contro il razzismo

 

www.rassegna.it, 16 ottobre 2009

 

Sabato 17 ottobre associazioni e sindacati a Roma per la "Manifestazione nazionale antirazzista". Lo stesso giorno del 1989 l’Italia s’indignò per l’omicidio di Jerry Masslo. Il comitato promotore: "Abrogare il pacchetto sicurezza e chiudere i Cie".

Chi si ricorda di Jerry Masslo, il giovane ammazzato a Villa Literno il 25 agosto del 1989? Una banda di criminali - come ricorda una scheda su wikipedia - lo uccise mentre dormiva in una baracca, dopo una giornata passata a raccogliere i pomodori nella casertano. La sua vicenda di fuggiasco, giunto dal Sudafrica per scappare dall’apartheid, emozionò l’intera opinione pubblica e portò anche a una riforma della legge per lo status di rifugiato.

Poco dopo quella tragica scomparsa, il 17 ottobre del 1989, si tenne a Roma la prima manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia sino ad allora, con oltre 200.000 persone per le strade di Roma. Sono passati vent’anni esatti e si scende di nuovo in piazza, per gli stessi motivi. "Per dire no a ogni forma di razzismo e discriminazione e per chiedere un radicale cambiamento delle politiche sull’immigrazione", queste le parole d’ordine degli organizzatori della "Manifestazione nazionale antirazzista". Appuntamento per sabato prossimo, ancora una volta a Roma.

I motivi. Sarà "un grande appuntamento, plurale e unitario, per fermare il razzismo", dicono i promotori chiedendo lo stop ai respingimenti in mare e l’abrogazione del pacchetto sicurezza che ha istituito il reato di clandestinità. Tra le altre istanze, il diritto d’asilo per rifugiati e profughi, la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), il no a ogni forma di discriminazione nei confronti delle persone gay, lesbiche, transgender. A organizzare l’evento è il "Comitato 17 ottobre", che raccoglie al proprio interno soggetti del sindacalismo confederale, organizzazioni di migranti, associazioni laiche e religiose e rappresentanti delle forze politiche della sinistra italiana.

Le adesioni. Oltre 400 sinora, le dichiarazioni di sostegno da parte di associazioni e movimenti. Fra le adesioni individuali spicca la partecipazione di leader politici, scrittori, giornalisti, giuristi, docenti universitari e personalità del mondo dello spettacolo come Dario Fo, Stefano Rodotà, Carlo Feltrinelli e Moni Ovadia. L’elenco, in continuo aggiornamento, è consultabile sul sito web del comitato promotore, www.17ottobreantirazzista.org.

Il percorso. Il corteo si muoverà alle ore 14.30 da piazza della Repubblica si concluderà a Piazza Bocca della Verità passando per via Einaudi, piazza dei Cinquecento, via Cavour, piazza Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, via dello Statuto, piazza Vittorio Emanuele, via Emanuele Filiberto, viale Manzoni, via Labicana, piazza del Colosseo, via dei Fori Imperiali, piazza Venezia, via del Teatro Marcello, via Petroselli. Gli organizzatori hanno chiesto la diretta radiotelevisiva dell’evento. Oltre al corteo della capitale sono previste iniziative in tutta Italia, con presidi, cortei e volantinaggi. Una manifestazione regionale si terrà a Cagliari, alle ore 10.30 in piazza Garibaldi.

Giustizia: il "Commissario" Ionta e il piano carceri che non c’è

di Patrizio Gonnella (Presidente dell'Associazione Antigone)

 

www.linkontro.info, 16 ottobre 2009

 

Non c’è traccia del Piano carceri nel comunicato stampa del Governo. Ieri era stato preannunciato dal capo del Dap Franco Ionta, in audizione alla Commissione Giustizia della Camera. Un Piano carceri che, oltre alle promesse edilizie, conterrebbe una grande novità: far uscire qualche migliaio di persone trasformando un anno di galera (l’ultimo) in un anno di detenzione domiciliare. Notizia fatta furbescamente uscire per sollecitare le reazioni. Repubblica ha infatti subito titolato: "l’indulto nascosto". Non sorprende quindi che oggi manchi tra i provvedimenti governativi un qualsiasi riferimento alla questione carceraria.

Tra un mese quelli del Pdl e della Lega potranno dire: "noi non faremo mai un indulto come quelli di prima, ossia Prodi e Mastella". O meglio citeranno solo Prodi visto che Mastella è attualmente eurodeputato del Pdl.

Pare che il governo sia vicino a dichiarare lo stato di emergenza carceraria. Una dichiarazione che assicurerebbe mano libera a Ionta nello scegliere le ditte alle quali assegnare gli appalti per costruire nuove prigioni. Torniamo però al fantomatico provvedimento di scarcerazione di tutti quei detenuti che hanno un residuo di pena detentiva da scontare inferiore a un anno.

Sono poco meno di 9 mila. Se l’annuncio non fosse un’esca (lo stesso accadde l’anno scorso con il provvedimento - mai portato in Consiglio dei Ministri - dell’estensione agli adulti dell’istituto della messa alla prova) andrebbe anche bene. Si tratterebbe di una sorta di misura alternativa obbligatoria. Ai giudici di sorveglianza spetterebbe solo la ratifica notarile del provvedimento.

Ci attendiamo su questo una discussione responsabile da parte della maggioranza e dell’opposizione. Sarebbe l’ennesimo grave errore speculare su una vera emergenza al fine di ricavarne qualche decina di voti. Su questo terreno infatti Berlusconi è sempre il più furbo. Dai banchi del centro-sinistra ci si attende un piano "democratico" per uscire dall’emergenza carceri.

Noi mettiamo a disposizione le nostre idee che sono identificabili con le due "d": depenalizzazione e decarcerizzazione. Ogni altra decisione non sarebbe risolutiva. Bisogna scegliere un’altra via per la giustizia penale. Una via mite e ispirata al minimalismo penale. Una via che sappia distinguere tra rilevanza sociale e rilevanza criminale dei fatti e che orienti l’apparato repressivo verso la protezione di beni costituzionalmente significativi.

Giustizia: Sappe; il sistema penitenziario è a rischio implosione

 

Apcom, 16 ottobre 2009

 

Nelle carceri italiane "esiste un problema sovraffollamento da anni, che nessun governo ha saputo affrontare nonostante i consigli di chi in carcere ci lavora da decenni e nonostante gli studi di università italiane ed estere hanno dimostrato come incarcerare quante più persone possibili non diminuisce la sicurezza dei cittadini, ma l’aumenta".

Così Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) commenta i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, forniti in collaborazione con l’associazione Pianeta Carcere, sulle presenze negli istituti penitenziari italiani. "Oggi, quasi sicuramente, le duecento e più carceri italiane supereranno la soglia delle 65 mila presenze di persone detenute, cifra mai raggiunta nella Storia del Paese.

E raggiungeranno questo triste record nell’indifferenza della classe politica e degli organi deputati a monitorare la situazione", dice Capece: "Le Regioni che hanno superato il limite tollerabile sono scese ad 11 rispetto alle 12 del mese scorso, ma è una situazione paradossale che si può spiegare con l’intensa attività di trasferimenti di detenuti da un carcere all’altro che il Dap sta svolgendo da tempo e che fino ad ora è stato l’unico provvedimento che l’amministrazione penitenziaria è stata in grado di attuare per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri".

"Nessun provvedimento sostanziale per deflazionare le carceri ha preso il Parlamento italiano, che pure ha visto moltissimi suoi componenti visitare i penitenziari italiani lo scorso 15 agosto. Alle loro dichiarazioni di intenti per risolvere le criticità del carcere - continua il segretario del Sappe - non hanno fatto seguito fino ad oggi fatti concreti. Non si è stati in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano. Noi continuiamo ad auspicare che, nonostante tutto, si raggiunga a breve un accordo bipartisan".

"Questa mancanza di provvedimenti non ha fatto che aggravare ancora di più il lavoro della Polizia Penitenziaria, l’unica rappresentante dello Stato che in prima linea e 24 ore su 24 ha fronteggiato l’emergenza sovraffollamento e la super-emergenza estate, con un organico che si è assottigliato giorno per giorno. È tempo di sollecitare urgenti interventi - conclude il Sappe - per impedire l’implosione del sistema carcere del Paese".

 

Record presenze, governo indifferente

 

"Oggi, quasi sicuramente, le duecento e più carceri italiane supereranno la soglia delle 65mila presenze di persone detenute, cifra mai raggiunta nella Storia del Paese". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, commentando i dati relativi alle presenze in carcere alla data di ieri, 15 ottobre 2009.

"E raggiungeranno questo triste record - aggiunge Capece - nell’indifferenza della classe politica e degli organi deputati a monitorare la situazione. Il dato di ieri (15 ottobre 2009) era di 64.979 presenze, questo nonostante le Regioni che hanno superato il limite tollerabile sono scese ad 11 rispetto alle 12 del mese scorso. Una situazione paradossale che si può spiegare con l’intensa attività di trasferimenti di detenuti da un carcere all’altro che il Dap sta svolgendo da tempo e che fino ad ora è stato l’unico provvedimento che l’Amministrazione penitenziaria è stata in grado di attuare per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri.

Nessun provvedimento sostanziale per deflazionare le carceri ha preso il Parlamento italiano, che pure ha visto moltissimi suoi componenti visitare i penitenziari italiani lo scorso 15 agosto. Alle (loro) dichiarazioni di intenti per risolvere le criticità - aggiunge Capece - del carcere non hanno fatto seguito fino ad oggi fatti concreti.

Non si è stati in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano. Noi continuiamo ad auspicare che, nonostante tutto, si raggiunga a breve un accordo bipartisan, dopo discussioni serie, responsabili, a costo di non rivolgere lo sguardo ad immediati consensi elettorali, certi che solo l’onestà politica ed intellettuale possa essere l’unica arma contro l’omicidio che si sta perpetrando nei confronti delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, corpo di Polizia dello Stato carente di ben 5mila unità".

Giustizia: Osapp; piano carceri? a danno polizia penitenziaria

 

Il Velino, 16 ottobre 2009

 

"Con un piano carceri così mal strutturato il governo non fa altro che mettere in atto l’ennesima operazione politico-mediatica, come quelle tanto gradite al nostro presidente del Consiglio Berlusconi, oltre ad attuare quel mini indulto che ha sempre rinnegato nel corso della Legislatura, passata e presente".

Sono le dichiarazioni del segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, che in queste ultime ore torna a lanciare l’allarme per la presentazione del piano carceri: "Se così sarà il ministro Alfano passerà per essere uno che sostiene una cosa e ne fa un’altra. Siamo gli unici rappresentanti sindacali fuori dal coro in questo momento, che di sicuro non plaudono a un’iniziativa, che così strutturata, è destinata a rivelarsi deleteria per noi e per quel popolo della sicurezza che tanto rappresentiamo.

Ci duole prendere atto di questo, ci duole prendere coscienza di come le altre rappresentanze sindacali abbiano abdicato ormai alla logica del ghe pensi mi, quando fino a qualche settimana fa erano pronte a scendere in piazza per l’incapacità di un ministro della Giustizia e di un capo del Dap: incapacità dimostrata sul campo".

"Questa manovra - insiste Beneduci - fornirà certamente l’alibi giusto a qualcuno, ma non di sicuro a quei rappresentanti costretti a giustificare il cambiamento di rotta e a coprire le responsabilità di certi amministratori o di certi provveditori regionali, al cospetto di colleghi disonorati ogni giorno della loro stessa uniforme.

Possiamo dire che in queste ore si sta consumando un dramma, possiamo dire un dramma al pari delle gravi tragedie di Abruzzo e Messina, soprattutto quando assistiamo ogni anno alla morte di circa 10 nostri colleghi che decidono di togliersi la vita, uno dei motivi che ci ha costretti ad interrompere le relazioni sindacali e a scendere in piazza.

Le cose si spiegano molto facilmente: agli attuali livelli di crescita (quasi 700 detenuti ogni mese) in due anni le strutture dovranno contenere quasi 12 mila unità. Questo la dice lunga sul fatto che il progetto non allievi assolutamente lo stato di disagio e di prostrazione del personale di polizia penitenziaria in servizio a turno ed a diretto contatto con la popolazione detenuta. Quello del governo è un progetto che non dice nulla sugli altri interventi da mettere in campo, e propone quell’indulto tanto caro alla Lega.

Con la nostra battaglia testimoniamo il disagio del Corpo di polizia, una condizione immancabilmente connessa ad una ineguale distribuzione degli organici sul territorio e ad una politica penitenziaria nazionale i cui principali indirizzi, per colpa dei direttori generali, esulano da tempo dalle esigenze e dalle risorse del personale del Corpo. Probabilmente questo governo sta soltanto rimandando una tragedia, anch’essa annunciata".

Lettere: dopo 29 anni di carcere... date la "grazia" a Carmine

di Stefano Anastasia (Difensore Civico Associazione Antigone)

 

Terra, 16 ottobre 2009

 

Carmine non è uno stinco di santo, anzi: varie rapine, omicidio tentato e consumato, sequestro di persona e altro quando era fuori; tentata evasione con sequestro di persona ed estorsione in carcere. Non uno di quelli che muovano il cuore, insomma. Eppure anche Carmine ha le sue ragioni.

Arrestato nel 1981, nel 1998 viene trasferito in Italia, in applicazione della Convenzione di Strasburgo che consente di scontare nel proprio Paese una pena comminata in un altro che vi aderisca. Carmine ha già scontato diciassette anni di carcere e, all’atto del suo trasferimento in Italia, avrebbe dovuto scontarne ancora quattro, se fosse rimasto in Germania. In Italia, invece, è ancora in carcere: fine pena mai.

In Germania, come in molti altri Paesi europei, la condanna all’ergastolo è ordinariamente soggetta a revisione: se ti comporti bene, senza che neanche tu lo chieda, dopo quindici anni sei fuori; altrimenti - come fu per Carmine - il fine pena può esserti prorogato, di un anno, due anni o più, ma sempre a seguito di una decisione giurisdizionale d’ufficio, che non fa mai mancare nel tuo casellario un fine pena certo. In Italia, al contrario, un ergastolano è un ergastolano: il suo fine pena non è determinato. Se fa il bravo, può chiedere la liberazione condizionale dopo ventisei anni di carcere e il giudice competente può riconoscergliela. Altrimenti la porta è chiusa e la chiave è buttata.

La benemerita Convenzione di Strasburgo, che ha consentito a centinaia di detenuti di scontare la propria pena vicino alla propria casa e ai propri affetti, ha questo piccolo-grande difetto: stabilisce equivalenze tra reati e pene, dimenticando le loro modalità esecutive. Capita così che Carmine sia stato condannato all’ergastolo in Germania per un reato che in Italia è punibile con l’ergastolo e la Corte d’appello competente in Italia riconosce la sentenza straniera senza curarsi degli effetti maggiormente punitivi che essa comporta su Carmine.

Che fare, dunque? Certamente andrebbe rivista e aggiornata la Convezione, per renderla più aderente alla diversa realtà dell’esecuzione penale. Ma intanto, con Carmine e i suoi colleghi di sventura che si fa? Se là dove hanno commesso i loro delitti non li terrebbero più in galera, perché dobbiamo farlo noi? Ai giudici la responsabilità di riconoscere la liberazione condizionale, quando ve ne siano i presupposti di legge, ma forse - in simili casi di conflitto tra la rigidità delle norme e il comune senso di giustizia - si potrebbe chiedere qualcosa di più al Presidente della Repubblica.

Lettere: morire senza poter vedere un’ultima volta i famigliari

di Valter Vecellio

 

L’Opinione, 16 ottobre 2009

 

Si chiamava Gennaro Cerbone, aveva 41 anni, napoletano, nipote di Raffaele Stolder, uno dei boss più temuti della camorra. Detenuto nel carcere di Lanciano, colpito da emorragia cerebrale, lo avevano ricoverato nell’ospedale di Teramo. Per questo l’anziana madre e i fratelli avevano chiesto al giudice di sorveglianza di poterlo vedere per l’ultima volta. Silenzio. Il permesso alla fine è arrivato, ma due ore dopo che Gennaro era morto.

A questo punto conviene lasciare la parola alla sorella, Serafina: "Ci hanno detto che c’era una questione di pericolosità sociale; mio fratello era entrato in carcere per scontare un cumulo di pene di qualche mese. Si era presentato da solo a luglio a Poggioreale per pagare il suo debito con la giustizia, da Napoli poi era stato trasferito a Lanciano. Noi che si era sentito male lo abbiamo saputo dai familiari di altri detenuti. Nessuno ci ha avvisati".

Gennaro era nella sua cella, quando si è sentito male e si è accasciato a terra. Le sue condizioni sono subito apparse molto gravi. Dopo essere stato trasportato all’ospedale di Lanciano è stato immediatamente trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Teramo.

Ancora la sorella Serafina: "Quando abbiamo saputo quello che era successo ci siamo subiti messi in movimento per venire a Teramo. Abbiamo chiesto l’autorizzazione per poterlo vedere, almeno per farlo vedere un’ultima volta alla madre. Ma, nonostante fosse ormai in fin di vita, ci è stato vietato. Crediamo che sia stato un atto di grande disumanità per noi familiari. Solo dopo qualche ora lo abbiamo potuto vedere".

Non manca la beffa, sotto forma di un cavillo burocratico: "Volevamo riportarlo subito a Napoli, non abbiamo potuto, dobbiamo aspettare ancora qualche giorno: ci hanno chiesto il suo atto di nascita, che naturalmente si trova a Napoli".

Che lo Stato italiano chieda di un detenuto - una persona di cui dovrebbe avere tutto - il certificato di nascita per consentire che venga sepolto, si commenta da solo.

Pericolosità sociale di un detenuto che si è spontaneamente presentato in carcere e deve scontare qualche mese? Si può avanzare qualche dubbio e nutrire qualche perplessità? Per quanto potesse essere criminale, agonizzante e vittima di emorragia cerebrale, in cosa consiste mai la pericolosità sociale di una madre e di una sorella che vanno a vedere per l’ultima volta il figlio e il fratello? Se anche Cerbone fosse stato un pericoloso delinquente - non lo sappiamo, e non importa qui accertarlo - non aveva forse anche lui il diritto di vedere la madre e i suoi fratelli un’ultima volta prima di morire?

Veneto: Lega; carceri sovraffollate, mandiamo via gli stranieri

 

Asca, 16 ottobre 2009

 

"Le carceri venete sono sovraffollate, ma il rimedio non è costruirne di nuove, bensì dislocare più razionalmente sia la popolazione dei detenuti che il personale di sorveglianza". Questa, in sintesi, la posizione della Lega Nord il cui gruppo consiliare in regione ha oggi illustrato alla stampa i risultati di una serie di visite effettuate, a cavallo tra settembre e i primi di ottobre in tutti gli istituti di pena del Veneto.

"Le cifre parlano chiaro - ha spiegato il capogruppo leghista a palazzo Ferro-Fini Roberto Ciambetti - e dicono che dei 3.080 detenuti presenti nel nostro territorio il 48,31% è composto da extracomunitari, il 9,19% da comunitari, il 25,85% da italiani di altre regioni e il 16,66% da residenti in Veneto. Credo che una soluzione possibile, e a livello governativo la Lega ci sta lavorando, sia stringere accordi con i Governi di alcuni paesi come il Marocco, la Tunisia, l’Albania e la Romania in modo da far scontare nelle carceri locali la pena una volta emesso in Italia il giudizio di primo grado".

Secondo Ciambetti c’è anche il problema dei detenuti provenienti da altre regioni. "A Vicenza - ad esempio - c’è una sezione di alta sicurezza con detenuti per reati gravi che creano notevoli problemi soprattutto per gli spostamenti verso i lontani tribunali dove si celebrano i loro processi".

"Il sovraffollamento aumenta i problemi di tipo sanitario, peraltro già seri visto il notevole numero di sieropositivi e tossicodipendenti - ha aggiunto il consigliere Vittorino Cenci - e ad aggravarli esiste un problema anche di ordine finanziario. Da quando la sanità carceraria è stata trasferita al sistema sanitario nazionale i costi aggiuntivi dell’assistenza sanitaria in carcere non sono stati trasferiti alle casse delle Ulss. In Veneto servono 8 milioni e mezzo all’anno per questa "aggiunta" di assistenza ma da Roma ne sono stati promessi solo 7 e la Conferenza Stato-Regioni non ha ancora messo a punto il meccanismo di finanziamento".

Per i consiglieri della Lega c’è, però, un’altra faccia del problema carcerario ed è la condizione della guardie penitenziarie. "Dalle cifre messe insieme nel corso dei nostri incontri con i direttori - ha spiegato Daniele Stival - emerge una notevole, in alcuni casi drammatica, differenza tra quanti sono gli agenti previsti dalla pianta organica, quanti sono ufficialmente assegnati e risultano stipendiati e quanti sono effettivamente presenti.

Gli assegnati sono spesso solo sulla carta perché tra richieste di trasferimento, permessi di vario tipo compresi quelli legati a motivi familiari ed eventuali incarichi istituzionali per chi viene eletto consigliere comunale nel proprio paese". "La soluzione, del resto o caldeggiata dagli stessi direttori - ha aggiunto Stival - è regionalizzare i concorsi in modo che non ci sia la fuga verso i luoghi di origine. In altre parole federalismo anche in questo campo".

"Fare la guardia penitenziaria - ha concluso il consigliere Federico Caner - è un lavoro, difficile, fonte di stress e tensioni psicologiche che contribuiscono ad alzare i livelli di assenze che le carceri quotidianamente registrano. Credo che sia necessario studiare una serie di incentivi compresi quelli di tipo finanziario".

Veneto: Zaccariotto (Pdl); problema umanitario e costi elevati

 

Asca, 16 ottobre 2009

 

"Oltre il 48% dei detenuti nelle carceri venete sono extracomunitari e nella sola Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia vi sono, in totale, 320 detenuti, a fronte di una capienza massima di 225. Oltre a un vero e proprio problema umanitario - dice la presidente della Provincia di Venezia Francesca Zaccariotto - c’è un pesante problema di costi. Infatti, ogni detenuto costa allo Stato ben 400 euro al giorno, ma sulla Regione Veneto pesa una voce ben più onerosa, quella per la sanità dei detenuti, che ammonta, pro-capite, a 2.500 euro l’anno, a fronte dei 1.500 circa spesi per i cittadini veneti, poiché molti tra i reclusi sono tossicodipendenti o abbisognano di cure particolari. La Regione anticipa questi soldi, che vengono poi rimborsati dallo Stato con molto ritardo e in misura sempre inferiore rispetto a quanto si è speso. Senza calcolare i costi iperbolici che ormai raggiungono i nuovi edifici carcerari, e la loro manutenzione".

"L’unica soluzione - continua Francesca Zaccariotto - dal momento che né lo Stato né gli enti locali non possono più sopportare questi costi astronomici, è far sì che gli stranieri scontino la pena nei loro Paesi di origine, ai quali si può versare un contributo, da quantificare, per la detenzione: accordi del genere sono possibili all’interno della Ue, ma possono esserlo anche con i Paesi extracomunitari, come dimostra il caso di Silvia Baraldini, che anni fa il nostro Paese ha ottenuto di trasferire dalle carceri statunitensi alle nostre mediante un accordo internazionale.

Pertanto, non dovrebbe essere difficile ottenere, da parte dei Paesi extracomunitari, la richiesta che il detenuto sconti la pena presso le carceri del proprio Paese, ricevendo in cambio un contributo in denaro che consentirebbe certamente a loro di mantenere più di un detenuto. Nello stesso tempo, non si sentirebbero più tante critiche al nostro sistema carcerario, mentre il processo andrebbe avanti in Italia, dove il reato è stato commesso". "Credo che un sistema così congegnato - conclude la presidente - servirebbe anche da deterrente per chi intende delinquere".

Calabria: affollamento, sette gli istituti penitenziari fuori legge

 

Redattore Sociale - Dire, 16 ottobre 2009

 

Il Sappe ha fatto il quadro della situazione carceraria in Calabria. Lamezia, Palmi, Rossano, Reggio Calabria, Castrovillari, Cosenza e Vibo Valentia sovraffollati; inadeguato l’organico della polizia penitenziaria.

Sono sette (Lamezia, Palmi, Rossano, Reggio Calabria, Castrovillari, Cosenza e Vibo Valentia) gli istituti penitenziari fuori legge sui dodici esistenti in regione che hanno comunque la problematica comune di essere tutti sovraffollati. La popolazione carceraria è in netta crescita, con la presenza sempre più massiccia di detenuti stranieri, di varie etnie e religioni. Le strutture detentive nella maggior parte dei casi non sono adeguate alle nuove normative, mentre la carenza d’organico della polizia penitenziaria è sempre più insostenibile. A tracciare il quadro impietoso della situazione carceraria in Calabria sono stati alcuni rappresentanti del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, che hanno tenuto un incontro a Vibo Valentia. Ad evidenziare le crepe di un sistema che rischia di scoppiare sono stati il segretario nazionale del Sappe, Donato Capece e il segretario generale aggiunto Giovanni Durante insieme al segretario regionale Damiano Bellucci e a quello provinciale, Francesco Ciccone. Capece ha ribadito che la situazione è ormai al collasso e che per ripristinare un meccanismo che è a grave rischio di implosione non serve costruire nuove carceri.

"Il vero problema non sono le strutture - ha rimarcato il segretario nazionale del Sappe - ma la carenza di personale e il sovraffollamento". In Calabria, a fronte di una popolazione carceraria di 2 mila e 810 unità, vi sono 546 agenti di cui solo il 30% è addetto ai servizi nei circuiti dei vari bracci. I rimanenti sono impegnati a garantire la sicurezza dei colleghi nelle varie sezioni. Il quadro delineato dal Sappe per la Calabria, acquista una connotazione ancora più preoccupante se lo si rapporta alla situazione nazionale, dove a fronte di un picco di oltre 65 mila detenuti opera un numero esiguo di agenti di polizia penitenziaria.

Carenza di organico che già nel 2001 era di oltre 5 mila unità, con la conseguenza di avere quindi un personale sottoposto ad un continuo stato di stress. A questo proposito, nel corso dell’incontro è stato ricordato che nell’istituto di Rossano (Cosenza) tre agenti al di sotto dei 50 anni sono stati stroncati da infarto nell’ultimo anno.

Per uscire da questa situazione implosiva, Capece ha detto che "oltre all’adeguamento degli organici, è necessaria la rivisitazione dell’intero sistema. Il carcere - ha ribadito - non deve essere considerato una discarica sociale. Sicurezza non significa riempimento delle strutture detentive dove non si riesce a garantire neppure lontanamente, se non in casi isolati, il reinserimento dei detenuti". Per il Sappe "il carcere deve essere riservato alle pene definitive, ma al contempo è indispensabile mettere in campo misure alternative , come i domiciliari o strutture filtro: cioè case di detenzione leggere dove fare transitare indagati di reati minori".

Emilia Romagna: risoluzione sull’emergenza sovraffollamento

 

Adnkronos, 16 ottobre 2009

 

Dopo la relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia Romagna nel 2008, discussa di recente in Commissione Politiche per la salute e politiche sociali, il presidente Roberto Piva, su mandato della Commissione stessa, ha presentato una risoluzione. Dalla relazione, infatti, si legge nel documento, emerge la straordinaria gravità della situazione in tutte le strutture penitenziarie della regione, nelle quali si riscontra un indice di sovraffollamento assolutamente insostenibile, che di fatto pregiudica ogni possibilità di percorso riabilitativo dei detenuti, così come previsto dalla Costituzione, e aggrava la condizione sanitaria, causando pericoli di contagi e pandemie.

San Gimignano: lettera-appello del sindaco al ministro Alfano

 

Il Tirreno, 16 ottobre 2009

 

Carenza del personale di polizia penitenziaria al carcere di Ranza, il sindaco di San Gimignano Giacomo Bassi scrive al Ministro della Giustizia Angelino Alfano per esprimere preoccupazione per la sicurezza nella struttura.

"A nome dell’intera comunità di San Gimignano - si legge nella lettera - rivolgo un pressante appello alle vostre specifiche responsabilità, affinché venga messa fine alla pesante situazione in atto presso la Casa di Reclusione di San Gimignano, nella quale, com’è noto, opera il Corpo di Polizia Penitenziaria che registra una carenza di personale di oltre il 40 % rispetto alla pianta organica prevista, così come più volte sottolineato anche dalle Organizzazioni Sindacali del settore.

Questo stato di cose, nonostante lo straordinario impegno di tutti gli operatori della Casa di Reclusione, dalla Direzione fino a ciascun agente, rende la struttura di difficilissima gestione con il conseguente abbassamento del livello di sicurezza per gli operatori stessi, della qualità del servizio per gli agenti e per i detenuti, e con lo sviluppo di un sentimento di preoccupazione diffusa che coinvolge anche i cittadini di San Gimignano e del territorio circostante, che da sempre vivono con grande partecipazione le vicende della Casa di Reclusione".

Sicurezza a rischio - Insieme alla lettera è stato inviato al Ministro Alfano anche il documento approvato all’unanimità in Consiglio Comunale nel quale, accanto alla solidarietà verso i lavoratori e alla condivisione delle loro rivendicazioni portate avanti in questi anni, si esprime una forte preoccupazione per la sicurezza della struttura e per il clima difficile che alberga all’interno della Casa di Reclusione, nella quale si sono verificati anche di recente episodi violenti e momenti di tensione nel rapporto tra agenti e detenuti.

"Nella speranza - si conclude la lettera del sindaco Bassi - che questo mio appello non rimanga inascoltato e che vengano prese tutte quelle misure volte a ripristinare un clima di serenità nella Casa di Reclusione di San Gimignano, soprattutto riportando rapidamente la dotazione di personale in linea con quanto previsto dalla pianta organica". La lettera del primo cittadino di San Gimignano è stata inviata anche a tutte le istituzioni penitenziarie tra cui anche il Prefetto di Siena ed il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Dott.ssa Giuffrida con la quale il sindaco ha avuto oggi un incontro proprio presso la Casa di Reclusione di Ranza, a margine della nuova giornata di protesta organizzata dalle organizzazioni sindacali.

Modena: promessi 20 agenti, ne sono entrati in servizio solo 4

di Cristina Bonfatti

 

www.viaemilia.net, 16 ottobre 2009

 

Alla fine, dei 20 agenti promessi, e che dovevano arrivare in ottobre, questa mattina ne sono entrati in servizio solo 4. Ennesimo grido d’allarme dei sindacati della polizia penitenziaria: i carceri modenesi non sono più sicuri.

Oltre al danno la beffa: ne erano stati promessi, e annunciati, 40: venti a ottobre, venti a gennaio. 40 nuovi agenti della polizia penitenziaria che avrebbero dato un po’ di respiro ai colleghi che prestano servizio nei carceri modenesi. Ma quelli di ottobre sono diventati 9, e non ragazzi appena usciti dai corsi ma agenti trasferiti.

Due di questi però hanno fatto ricorso contro il trasferimento, un terzo, una donna, è entrata in maternità. Risultato: questa mattina sono entrati in servizio solo quattro agenti. I sindacati della polizia penitenziaria temono che anche i venti di gennaio possano fare la stessa fine. Quindi la situazione resta allarmante: al Sant’Anna ci sono 550 detenuti, perché i 50 trasferiti sono già stati sostituiti da nuovi ingressi, controllati da 145 agenti che dovrebbero essere 226, per gestire un carcere da 220 posti, 400 limite massimo.

Non va meglio a Castelfranco: 131 internati e 18 a custodia attenuata, contro 82 posti, e 39 agenti che dovrebbero essere 59. Qui, forse, a giugno 2010, arriverà un poliziotto in più. Alla casa di lavoro di Saliceta 109 i detenuti, 38 gli agenti che dovrebbero essere 50. Per non parlare poi dei mezzi vecchi, delle mancate manutenzioni, della videosorveglianza spenta. Una situazione che rende precaria la sicurezza dentro e fuori dal carcere.

Ad allarmare i sindacati della penitenziaria anche i turni troppo lunghi e i continui straordinari: in un lavoro così delicato dopo 10 ore di servizio si rischia di perdere, per stanchezza, la lucidità necessaria. Se n’è accorto giorni fa anche un giudice: alle 7 del mattino gli agenti hanno accompagnato a un processo un detenuto che faceva lavorare operai cinesi anche 15 ore al giorno. L’udienza si è prolungata ma, per i soliti problemi di organico risicato, non era possibile sostituire gli agenti, che non si sono mossi quindi dal tribunale. Alle 19 ore lo stesso giudice ha annunciato che si vedeva costretto a sospendere l’udienza per liberare i poliziotti, ormai schiavizzati quanto i lavoratori cinesi, tema del processo.

Pordenone: nuovo carcere ancora nessuna garanzia sui fondi

di Stefano Polzot

 

Messaggero Veneto, 16 ottobre 2009

 

La conferma che il nuovo carcere di Pordenone è nell’elenco delle priorità nazionali è giunta dal commissario per l’edilizia penitenziaria, Franco Ionta, in occasione dell’audizione che ha avuto ieri in commissione Giustizia alla Camera dei deputati. Detto questo - e non si tratta di una novità - il responsabile del Dap ha sottolineato che spetta al Consiglio dei ministri assegnare le risorse per fronteggiare l’emergenza carceri.

Quindi non vi sono certezze sul fatto che la struttura pordenonese venga finanziata. All’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi, nonostante l’annuncio dato dal premier, Silvio Berlusconi domenica, non c’è il piano che, sottolinea il deputato del Pdl, Manlio Contento, verrà portato all’attenzione del Governo "a fine ottobre o al massimo nei primi giorni di novembre.

La proposta di piano - aggiunge - prevede la ristrutturazione di edifici esistenti per 2 mila 700 posti aggiuntivi, l’aumento dei padiglioni in alcuni carceri e la costruzione di nuove strutture. Stiamo seguendo attentamente la vicenda e ora il passaggio fondamentale, non espresso nel corso dell’audizione di Ionta, è che il Governo dia priorità a quelle strutture che hanno una compartecipazione finanziaria dagli enti locali come è il caso di Pordenone".

Tra i dati forniti dal commissario quello dei detenuti stranieri (24 mila 122) che rappresentano il 37 per cento della popolazione carceraria (64 mila 859 persone). Ieri sera Contento ha avuto un incontro con il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, in occasione della Consulta del Pdl convocata dai vertici del partito per esaminare sia il piano carceri, sia le misure di settore.

Per la realizzazione in via Castelfranco Veneto, in Comina, del nuovo carcere la Regione ha dato la disponibilità a investire 10 milioni di euro e collaborazioni sono state assicurate sia dalla Provincia, sia dal Comune capoluogo. Attende il Consiglio dei ministri anche il sindaco di Pordenone, Sergio Bolzonello, che ha sul proprio tavolo l’ordinanza di sgombero del castello "congelata" proprio in relazione alle rassicurazioni che gli sono giunte da Roma e da Trieste. "Per adesso nulla di nuovo - commenta - nel senso che attendiamo ci sia un pronunciamento sulle modalità di finanziamento della struttura. Solo quando il piano carceri sarà approvato potrò dare un giudizio definitivo e procedere di conseguenza in merito all’ordinanza".

Milano: con "Incontro e Presenza", ciclo di incontri sul carcere

 

Ristretti Orizzonti, 16 ottobre 2009

 

In Italia la situazione delle carceri è decisamente problematica. Oltre il 60% dei detenuti infatti è in attesa di giudizio, anche per reati minori. Note a tutti sono le condizioni spesso estreme di sovraffollamento alle quali si uniscono quelle sempre più precarie relative all’ambito igienico sanitario delle strutture. La popolazione carceraria è ormai costituita per il 70% da extracomunitari e centinaia all’anno sono i tentati suicidi. Questa condizione di abbrutimento fa sì che spesso il detenuto, una volta scontata la pena, non trovi altra prospettiva se non quella di tornare a delinquere, determinando altissimi costi sociali.

Ma questa non può essere l’ultima parola: i volontari dell’Associazione Incontro e Presenza - che dal 1986 opera all’interno delle principali carceri milanesi - raccolgono infatti questa importante sfida: nella complessità del mondo carcerario, la figura del volontario assume un ruolo specifico garantendo uno sguardo più ampio, in grado di cogliere le diverse sfaccettature di cui quest’orizzonte è caratterizzato.

Per questa ragione l’Associazione Incontro e Presenza, con il patrocinio e il contributo del Comune di Monza, si fa oggi promotrice di un ciclo di incontri dal titolo "Dentro il carcere. Conoscere i protagonisti del mondo della detenzione" che ha come prospettiva quella di integrare le esperienze di tutti i soggetti protagonisti in questo ambito, a partire dai singoli ruoli di ciascun attore.

La struttura dei quattro incontri - previsti dal 4 Novembre al 1 Dicembre presso la Sala Assemblee di Intesa SanPaolo, Piazza Belgiojoso 1 Milano - vuole delineare un percorso tematico che tocchi tutti gli aspetti inerenti al carcere a partire da quello legislativo fino ad arrivare a quello lavorativo passando attraverso il ruolo dei volontari e della politica. Ciascun aspetto verrà approfondito attraverso il confronto aperto tra professionisti del settore.

Gli incontri vogliono essere la dimostrazione che, a partire da una unità di intenti tra i "protagonisti del mondo della detenzione", il reinserimento sociale dell’ex detenuto è possibile, e che il carcere non è solo il luogo di espiazione delle proprie colpe, ma può divenire un luogo di reale risocializzazione.

Gli incontri saranno: Mercoledì 4 Novembre h. 18.00 il primo incontro: "Le leggi penitenziarie tra limiti e opportunità"; Martedì 10 Novembre h. 18.00: "Il volontario: un ruolo presente nel carcere"; Martedì 24 novembre h. 18.00: "Liberare il carcere: un progetto sostenibile per i detenuti e per la società"; Martedì 1 Dicembre 2009 h. 18.00: "Detenuto e lavoro: un incontro possibile".

Danimarca: il portiere in campo con localizzatore per detenuti

 

Ansa, 16 ottobre 2009

 

In campo con una cavigliera elettronica, tecnicamente un localizzatore per detenuti che Arek Onyszko, portiere polacco dei danesi del Midtjylland, dovrà indossare anche durante le partite della sua squadra. Condannato a tre mesi di prigione per aver aggredito la moglie, Onyszko ha ottenuto il permesso per giocare, a patto che porti sempre con sé il dispositivo alla sua caviglia sinistra in modo che sia sempre rintracciabile e reperibile per le forze dell’ordine. Lo scorso 2 marzo Onyszko fu arrestato dalla polizia danese con l’accusa di aver aggredito la moglie, a maggio il tribunale di Odense lo condannò a tre mesi di prigione. Una vicenda che gli costò il posto, visto che l’Odense lo licenziò nello stesso giorno della condanna. Il Midtjylland, invece, l’ha messo sotto contratto e, grazie al localizzatore, può tranquillamente schierarlo.

 

 

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