Rassegna stampa 14 ottobre

 

Giustizia: il Dpef 2010 "taglia" 900 milioni, di cui 143 al Dap

di Marco Lillo

 

Il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2009

 

Quando il sottosegretario del Pdl, Giacomo Caliendo, si è presentato ieri in Commissione Giustizia del senato per presentare i progetti del Governo per l’annata 2010, si è capito qual è la sua idea di giustizia. Nulla a che vedere con l’accorciamento dei tempi dei processi e con la qualità del servizio. Il Governo ha deciso una serie impressionante di tagli: 143 milioni in meno al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (ben 73 milioni tolti al "trattamento" dei detenuti).

Anche Giancarlo Caselli è servito. Il procuratore generale di Torino, sulle poltrone di Ballarò, aveva tentato di spiegare a Maurizio Gasparri (mentre il capogruppo del Pdl inveiva contro i giudici fannulloni) che gli uffici chiudono alle 14 perché non ci sono i cancellieri. E che i cancellieri non ci sono perché mancano i soldi. Per tutta risposta il Governo ha ridotto di 356 milioni le spese per il personale. Non basta. Avendo appena varato una legge sull’immigrazione clandestina che porterà un aumento del ricorso alla difesa d’ufficio, la scure di Tremonti ha colpito proprio sul gratuito patrocinio: meno 246 milioni di euro.

Se si aggiungono i 350 milioni tolti alle spese correnti, si arriva alla somma mostruosa di 900 milioni in meno. Secondo il senatore Luigi Li Gotti, dell’Italia dei Valori, "con questi tagli, i tribunali non riusciranno ad andare oltre il giugno del 2010. E la cosa strana", continua Li Gotti, "è che c’è un solo aumento, del 15 per cento, proprio per il fondo degli stipendi del ministro e dei sottosegretari".

Una scelta in linea con l’approccio al problema della maggioranza. Il centro dei tavoli tecnici che si succedono tra Palazzo Grazioli e via Arenula, il cuore dei conciliaboli tra l’avvocato Niccolò Ghedini e il ministro Angelino Alfano, non è certo il destino dei milioni di italiani che attendono risarcimenti civili, condanne o assoluzioni in tribunale.

Ma il destino dei pochi processi di Silvio Berlusconi, quelli che - dopo la bocciatura del Lodo Alfano - impegnano giorno e notte le migliori menti del Pdl. Al Consiglio dei ministri di domani, per esempio, era atteso un provvedimento in materia di carceri che doveva portare una boccata di ossigeno nelle celle dove sono accatastati 64mila esseri umani in spazi angusti. Ma il sottosegretario Caliendo ha fatto capire che il "Piano Ionta" (dal nome del pm scelto da Alfano per dirigere il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) non è ancora pronto.

I ventimila posti derivanti dal promesso ampliamento delle carceri, possono attendere. Sono altre le priorità. Si parla di Immunità, separazione delle carriere, ma non bisogna crederci troppo. Sono fuochi di artificio lanciati in aria per distrarre e dividere il campo avverso. Mentre Marco Follini agita il Pd con le sue dichiarazioni a favore del ripristino dell’autorizzazione a procedere, al ministero si pensa ad altro.

Per cambiare l’articolo 68 della costituzione o per dividere davvero i pm dai gip bisognerebbe avere una maggioranza di due terzi in parlamento e nessuno oggi può sognare di avere l’appoggio del Pd (Follini a parte) su temi simili. I veri obiettivi sono altri. Il primo è l’approvazione immediata della norma che impedisce di usare una sentenza definitiva come prova in un altro processo. È una norma contenuta nella riforma della procedura penale che sembra fatta apposta per l’imputato più famoso d’Italia.

Se il Pdl, come appare probabile, stralciasse questa norma dal disegno di legge, potrebbe riuscire ad approvarla entro dicembre. In modo da chiudere per sempre il processo per la corruzione del testimone David Mills a carico di Silvio Berlusconi. I pm dovrebbero rifare tutto da capo e l’orizzonte penale del premier diverrebbe improvvisamente azzurro.

L’altro provvedimento destinato a ricevere nuovo slancio dopo la bocciatura del Lodo Alfano è il disegno di legge sulle intercettazioni. Il niet dei giudici della Consulta ha fatto saltare gli ultimi freni inibitori del premier. Appena è tornato sotto le forche caudine dei pm, Silvio Berlusconi è ritornato su una sua vecchia idea: cambiare il disegno di Alfano in modo da spuntare ancora di più le unghie ai pm.

"Le intercettazioni devono restare solo per i reati gravi", ha detto il presidente del Consiglio. Nel mondo sognato dal Cavaliere, solo i terroristi e i mafiosi starebbero in ansia al telefono mentre fanno i loro traffici. Mentre corrotti e corruttori potrebbero iscriversi finalmente al Partito della Libertà di trafficare al telefono. Un emendamento potrebbe introdurre questa modifica subito al Senato. Così, prima di Natale, il regalo sarà già impacchettato sotto l’albero di Palazzo Grazioli.

Giustizia: Idv; "tagli" a carceri e tribunali, aumenti al ministro

 

Ansa, 14 ottobre 2009

 

"Come al solito Berlusconi e il suo Governo cercano di imbrogliare gli italiani: sostengono di volere una giustizia migliore, preparano una riforma a propria misura e intanto cercano di affossare il sistema attuale togliendogli l’ossigeno": lo sostiene il capogruppo dell’Italia dei Valori in Commissione Giustizia al Senato, Luigi Li Gotti, commentando i dati preventivi del bilancio ministeriale contenuti nella Finanziaria.

"Il Governo per il 2010 ha previsto una spesa di 7.408,1 milioni di euro - sottolinea Li Gotti - cioè oltre 900 milioni in meno di quanto, dopo l’assestamento, si prevede di spendere quest’anno. È un’assurdità, perché i tagli riguardano settori portanti e importanti dell’amministrazione giudiziaria. In particolare, si tolgono 70 milioni all’amministrazione penitenziaria, 73 milioni per il mantenimento e l’assistenza dei detenuti, oltre 356 milioni per personale e servizi".

"E non basta - continua il parlamentare IdV - perché al gratuito patrocinio vengono tolti quasi 246 milioni di euro, malgrado Governo e maggioranza abbiano introdotto nuove fattispecie di reato, come quello di ingresso e soggiorno illegale, che determineranno un maggior ricorso a questo tipo di tutela e quindi un aggravio dei costi. Altri 349,2 milioni vengono tolti alle spese correnti".

"La cosa strana, la ciliegina sulla torta - conclude Li Gotti che a nome del partito ha presentato un ordine del giorno in Commissione perché il Governo si impegni a riequilibrare le risorse necessarie alla gestione della giustizia - è rappresentata dal fatto che a tutti questi tagli si contrappone un solo aumento: un più 15 per cento del fondo per gli stipendi di ministro e sottosegretari".

Giustizia: il "piano-carceri" domani nel Consiglio dei Ministri

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2009

 

Arriva domani al Consiglio dei ministri il "piano carceri" per aumentare di 17.891 posti la capienza dei penitenziari italiani, sovraffollati all’inverosimile (22mila detenuti oltre i posti regolamentari). Per il Guardasigilli, ieri a Bruxelles, l’emergenza carceri ha un nome ben preciso: gli stranieri che in Italia sono 27mila su 65mila detenuti. Ergo: l’Ue deve dare una mano ai Paesi che, come l’Italia, "patiscono un problema di sovraffollamento dovuto soprattutto alla presenza di detenuti stranieri".

Una risposta positiva, Alfano l’ha avuto dal commissario Ue alla Giustizia, Jacques Barrot che ha annunciato un incontro l’8 dicembre a Bruxelles per affrontare il problema con gli Stati membri. Tornado al piano carceri il problema da risolvere per il Consiglio dei ministri domani è tutto finanziario: per disporre - di qui al 2012 - di quei 18mila posti in più ci vogliono 1 miliardo e 760 milioni di euro, senza contare i soldi necessari per aumentare gli agenti di polizia, già oggi sotto organico di 5mila unità.

In base al testo pervenuto a Palazzo Chigi, solo una parte dei lavori di ampliamento è già finanziata (4.605 posti, per 205.730 mila euro); per un altra parte i fondi sono stati individuati (405 milioni, per 6.401 posti); il resto è da inventare magari con il coinvolgimento dei privati. Il premier ha detto di voler realizzare il "piano dell’Aquila" anche per le carceri tant’è che nei giorni scorsi si sono incontrati Alfano, il Capo della Protezione civile Guido Bertolaso e il capo del Dap Franco Ionta.

Secondo indiscrezioni l’incontro è servito a individuare gli spazi per la costruzione rapida delle cosiddette "carceri leggere" destinate ai detenuti meno pericolosi (i detenuti in custodia cautelare, ovvero il 52% dell’intera popolazione carceraria, il 585 rappresentato da stranieri).

Giustizia: Berlusconi; stato carceri è incivile, da dimenticare

 

Adnkronos, 14 ottobre 2009

 

"C’è una situazione davvero da dimenticare e incivile nelle carceri". Silvio Berlscuoni parla a Villa Madama alla presentazione dei piani di sviluppo dei sistemi aeroportuali di Roma e Milano. Il premier torna sul problema del sovraffollamento delle carceri, confermando che il governo sta lavorano a un piano per la realizzazione di carceri civili con 20mila nuovi posti. "Ci abbiamo lavorato anche questa notte - dice il Cavaliere - c’è una situazione da risolvere" per rendere civile il Paese anche su questo fronte.

C’è una classifica secondo la quale "siamo in testa per quanto riguarda le persone che stanno nelle carceri senza essere condannati in via definitiva". È quanto sottolinea Silvio Berlusconi parlando di gap infrastrutturale che attanaglia il nostro Paese. Il presidente del Consiglio ribadisce che il governo ha intenzione di portare al più presto sul tavolo del consiglio dei ministri un piano per 20mila posti in più nelle carceri e per ridare "dignità" a chi viene recluso".

Giustizia: Alfano; l'Ue ci aiuti su rimpatri e costruzione carceri

 

Ansa, 14 ottobre 2009

 

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha incontrato ieri i deputati italiani al Parlamento europeo. Nonostante la sua presenza a Bruxelles fosse principalmente dovuta ad un incontro con il Commissario alla Giustizia Jacques Barrot, l’esponente del Governo italiano ha accolto volentieri l’invito dei parlamentari, ai quali ha illustrato la situazione degli Istituti di pena italiani e il piano carceri che lo stesso Alfano presenterà domani, giovedì, al Consiglio dei Ministri.

"In questo momento - ha spiegato Alfano - vi sono 64.000 detenuti in Italia, contro un capienza regolamentare di 43.000 e una capienza tollerabile di 63.000". Che fare? L’indulto, promulgato nel 2006 dall’allora Guardasigilli Clemente Mastella, (che ieri in veste di eurodeputato ha ascoltato attentamente, seduto a pochi metri di distanza dal suo attuale successore) ha liberato detenuti deflazionando il sistema carcerario.

In soli tre anni, si è ritornati tuttavia ai livelli di pressione carceraria pre-indulto. Lo studio effettuato dal Ministero della Giustizia ha evidenziato che in 60 anni di storia repubblicana sono stati emanati 30 provvedimenti di amnistia solo per alleviare il problema del sovraffollamento.

"La scelta politica del Governo - ha continuato Alfano - è quella di investire fortemente nel sistema, aumentando di 20mila posti la capienza in breve tempo". L’Italia ha concluso dei trattati internazionali sul tema dei detenuti stranieri in Italia: su 64mila, 23mila sono stranieri, il che significa che se si mantenesse solo il dato relativo ai detenuti italiani non vi sarebbe la necessità di costruire nuove carceri. Serve quindi una forte e reale cooperazione con gli altri Stati e non solo europei.

Il Ministro ha chiesto quindi alla delegazione italiana del Parlamento europeo di sostenerlo nella sua triplice visione di interazione con l’Unione Europea, laddove in un ruolo rafforzato dal Trattato di Lisbona, quest’ultima dovrà essere garante dei Trattati internazionali, stipulare trattati internazionali per regolare i rapporti con i Paesi extra Ue i cui cittadini sono oggi detenuti in Italia e, infine, sostenere economicamente i Paesi che si trovano a dover gestire grandi numeri di reclusi stranieri.

Il piano delle carceri - ha concluso il Ministro - avrà come priorità la rieducazione, per abbattere la possibilità di recidiva e reinvestire sui detenuti come nuova risorsa per la ricchezza del Paese; un capitolo a parte è il progetto "Under 3", che intende rivedere e migliorare le condizioni stabilite dalla legge Finocchiaro per le mamme detenute con figli minori di tre anni, consentendo ai piccoli di non essere costretti, pur di stare vicini alle loro mamme, a condividere le pene della prigione ma di essere accolti in una struttura specializzata, oppure affidati a famiglie selezionate.

Attualmente i bambini fino a tre anni devono infatti stare in cella con la madre, con conseguenze psichiche ancora in fase di definizione sul lungo periodo della loro vita da adulti. Soddisfazione dell’On. Tiziano Motti (Udc/Gruppo Ppe) anche per la coincidenza dei punti di vista politici del Ministro Alfano con quelli che lui stesso intende portare avanti in Europa in tema di lotta alla pedofilia e sex-offenders, creando un sistema di allarme rapido di intervento e schedatura dei criminali in tutti gli Stati membri, che il ministro Alfano ha definito "E-Justice".

"La Giustizia elettronica - ha concordato l’On. Motti - è funzionale come porta d’accesso alla collaborazione fra le polizie internazionali, ma sarà necessario rafforzare la collaborazione fra gli Stati sul fronte del mutuo riconoscimento delle sentenze, altrimenti si ricomincia sempre daccapo".

Giustizia: Gonnella (Antigone); Ue chiede più pene alternative

 

Ansa, 14 ottobre 2009

 

"Lo scorso 11 settembre a Edimburgo il Consiglio di Europa durante una conferenza internazionale ha indicato la propria via di risoluzione del problema del sovraffollamento: non l’edilizia ma la depenalizzazione e le misure alternative. Questo ci suggerisce l’Europa. Per questo non si possono chiedere i soldi per nuove prigioni".

Così Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, replica al ministro Alfano. "Sono del tutto fuori luogo - dice - le dichiarazioni del ministro della giustizia secondo cui l’Europa dovrebbe occuparsi del sovraffollamento carcerario italiano investendo risorse per costruire carceri".

"Dire che il sovraffollamento delle carceri italiane sia causato dagli stranieri, che sia colpa dell’Europa e che l’Europa dovrebbe occuparsene - sottolinea Gonnella - non tiene conto infatti di vari fattori. L’Italia criminalizza lo status di immigrato mentre buona parte degli altri paesi no. D’altronde l’Europa ci aveva consigliato di non farlo; bastava quindi seguire i consigli di buon senso che provenivano dalla Ue".

Inoltre, prosegue Gonnella, "gli unici Paesi dell’area Ue dove la percentuale di stranieri detenuti è superiore a quella italiana sono quelli che hanno irrigidito la legislazione senza ottenere benefici per la sicurezza collettiva: Austria, Belgio, Estonia, Spagna". In più, aggiunge "l’Italia ha il primato delle presenze di detenuti stranieri in attesa di giudizio. Mentre in Europa i due terzi della totalità dei detenuti stranieri è in galera per espiare una pena definitiva, nel nostro Paese i tre quarti sono in galera in attesa di processo ossia sono in regime di custodia cautelare; ciò significa che nei confronti degli stranieri in Italia esiste una discriminazione processuale e un uso esagerato della carcerazione preventiva".

Gonnella ricorda, infine, che per evitare il sovraffollamento "basterebbe far uscire dalle carceri i 10 mila tossicodipendenti che stanno scontando pene brevi affidandoli alle Comunità e ai Sert, come prevede la legge Fini-Giovanardi sulle droghe".

Giustizia: Osapp; piano-carceri del Governo nasce inadeguato

 

Il Velino, 14 ottobre 2009

 

“Vorremmo tanto illustrare e spiegare al presidente del Consiglio Berlusconi perché il piano che si appresta a varare, quello delle ‘nuove carceri’ per intenderci, non sarà di alcun aiuto se considerata l’unica alternativa per il problema del sistema penitenziario”.

Sono le dichiarazioni che il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, ha voluto indirizzare al premier, che ha annunciato oggi a Villa Madama l’imminente presentazione del progetto carcerario da parte del governo. “Come di consueto - ha aggiunto - non è la prima volta che l’Osapp esorta il governo sul piano dei fatti. Fino adesso, e lo vogliamo dire a chiare lettere, questo ministro della Giustizia con al seguito tutta l’amministrazione penitenziaria, le direzioni periferiche e i provveditori regionali, non ha saputo dar prova dell’efficienza che merita il personale di polizia penitenziaria. Come Corpo di polizia, che giura sulla bandiera italiana, rifiutiamo di essere ancora gestiti da questa schiera di amministratori non all’altezza”.

“Ci chiediamo - prosegue il leader dell’Osapp - cosa accadrebbe se in una situazione analoga, magari in una grande azienda come Mediaset, gli amministratori dessero prova della stessa inefficienza che ha saputo dimostrare Alfano, Ionta, con a seguire tutti i vice capi e i direttori generali del Dap. Chissà perché nel privato esistono altre regole, quelle stesse regole che il Cavaliere è solito rivendicare in tutte le occasioni pubbliche.

Per quanto ci riguarda in poco più di un anno il commissario straordinario non ha saputo far altro che produrre un piano, non sufficiente per giunta: per coperture finanziarie (solo un terzo del miliardo e mezzo è coperto), modalità, risultati e obiettivi. Per giunta lo stesso Ionta, quando si mette la giacca da capo del Dap, fa la faccia dura con i sindacati, e magari chissà in privato si pone in tutt’altra maniera. Il ministro Alfano gongola, anzi latita, e nelle periferie si assiste a una vera e propria estremizzazione del potere”.

“È giusto - insiste Beneduci - che queste cose vengano fuori: come segreteria generale di uno dei più importanti sindacati della categoria stiamo raccogliendo documenti, dati, prove e tutto quanto possa essere utile per smascherare un fenomeno di deriva e lassismo che nelle periferie è oramai senza controllo.

Allo stesso tempo diciamo al presidente del Consiglio, troppo preso ogni giorno con gli annunci imminenti del piano carceri, che se questa è la sola politica penitenziaria che intende attuare il suo Governo, senza considerare il riassetto dell’organico, il riesame delle direzioni generali e regionali e qualche indispensabile cambio al vertice, sia pronto, nei prossimi mesi, ad un duro scontro con tutta la categoria che rappresentiamo. L’Osapp non si farà intimorire e questo, probabilmente, non sarà un solo proposito della seconda forza sindacale che ci onoriamo di essere”.

Giustizia: Bongiorno (Pdl); "no" a pm controllati dal Governo

di Virginia Piccolillo

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2009

 

Riforma della giustizia sì, ma condivisa e nel solco delle indicazioni del capo dello Stato, che ponga al centro il cittadino e non il potente di turno. Separazione delle carriere di giudici e pm sì, ma "innalzando un muro" contro la possibilità che il pm finisca sotto il controllo dell’esecutivo. Giulia Bongiorno, avvocato, presidente della commissione giustizia alla Camera e alter ego di Gianfranco Fini su questi temi, fissa dei paletti. Un limite da non oltrepassare dopo la bocciatura del Lodo Alfano.

 

Quale?

"La riforma della giustizia non solo va fatta. Ma credo sia urgente. Però deve essere organica, non a macchia di leopardo. Ma soprattutto fatta per tutti".

 

In questo momento però tutti parlano di uno.

"Il dibattito è centrato su Silvio Berlusconi, ma la riforma deve essere per tutti. E avere una caratteristica: andare oltre questa legislatura".

 

E quindi?

"Dobbiamo ridurre i tempi del processo senza diminuire le garanzie. Senza sacrificare pezzi di giustizia: ad esempio togliendo un grado di giudizio " .

 

Senza sacrificare l’obbligatorietà dell’azione penale?

"Certo. È vero che ora non viene rispettata dai magistrati. Un po’ per il troppo carico di lavoro, un po’ (per dirla malignamente) perché scelgono. Ma dobbiamo renderla effettiva, non rinunciarci".

 

E la separazione delle carriere?

"Sono favorevole. Per me il giudice è una sorta di sacerdote. Ne ho un rispetto enorme e vorrei che fosse davvero indipendente. Vorrei che avesse una formazione migliore e inizierei proprio da questo. Però...".

 

Però?

"Però vorrei che fosse indipendente da tutti: dal pm ma anche dai politici. Ci vuole ponderazione. E creare meccanismi per innalzare un muro contro il passaggio successivo: sottoporre il pm al controllo dell’esecutivo".

 

Sarebbe contraria?

"Contrarissima. Non garantirebbe nessuno. In futuro potrebbe esserci un premier meno garantista. Cosa accadrebbe?" .

 

I magistrati temono che si riparli di riforme in chiave punitiva dopo la bocciatura del Lodo Alfano. È così?

"In questo clima ogni riforma sembra contro qualcuno. Per questo, se possibile, occorre trovare l’accordo con l’opposizione".

 

In che modo?

"Proprio pensando al cittadino. L’efficienza della giustizia serve a tutti. E il Csm dovrebbe perseguire con maggiore rigore i magistrati che non fanno il proprio lavoro. In questo l’ultimo Csm passi avanti ne ha fatti. Però bisogna anche dare più risorse alla giustizia che è l’altra faccia della sicurezza che va tanto di moda. So che c’è la crisi. Ma senza cancellieri il processo si ferma".

 

È favorevole a una riforma del Csm?

"Le correnti sono una patologia. Ma anche qui non vorrei una riforma afflittiva o umiliante".

 

Si parla anche di modifiche alle intercettazioni, ai termini di prescrizione e al legittimo impedimento per non distrarre le cariche istituzionali con i processi.

"Sulle intercettazioni eravamo arrivati a un buon testo in commissione. Spero migliori, tenendo conto delle indicazioni del Quirinale. Sulle altre ipotesi, che leggo sull’Ansa, aspettiamo i testi. Poi valuteremo".

 

E su nuove forme di immunità?

"Aspetterei le motivazioni della Consulta. Mi muoverei in quel solco".

Giustizia: finora nessun iscritto negli Albi ronde sono un flop

di Floriana Rullo

 

Affari Italiani, 14 ottobre 2009

 

Nessun iscritto a Milano. Nessun assedio neanche alle Prefetture di Torino, Roma e Verona. E così in tutta Italia. Almeno per ora i registri per iscriversi alle ronde restano intonsi. E la stessa cosa si ripete a Bologna, Treviso e Padova. In tutti i capoluoghi di provincia d’Italia è sempre la stessa storia. Insomma da nord a sud le ronde sono un flop. Insomma tanto rumore per nulla.

E, a quasi due mesi dal decreto Maroni che le autorizzava non c’è stata nessuna richiesta. Falsa partenza? O perdita di entusiasmo da parte di chi si proponeva di scendere in strada contro i criminali? Una cosa è certa: le ronde non hanno dato i risultati sperati. Tanto che i sindacati di polizia concordano tutti nel dire che per le città non se ne vede nemmeno l’ombra.

E se le ronde non sfondano nel terreno del Carroccio dove l’apripista era stato proprio il sindaco di Verona Flavio Tosi, nemmeno al sud sembrano riscuotere grandi successi.

"Noi lo avevamo previsto. Al sud non decolleranno mai vista la criminalità organizzata che molto difficilmente permetterà che ci si possa organizzare per scendere in strada. Sarebbe contro i loro stessi diritti. Ho difficoltà a pensare ad un sindaco del sud che mette in pericolo i propri cittadini organizzandole. Al nord invece esistevano già delle associazioni ed è stato un errore legiferare su questo punto. Si dovevano lasciare le cose come stavano". Ne è convinto Nicola Tanzi, segretario generale del Sap, il sindacato autonomo di polizia che conta 20mila iscritti. Ed è proprio lui, in mancanza di un monitoraggio del Viminale a tracciare l’evoluzione del fenomeno ad Affari Italiani. "La verità è solo una: il fatto che non ci siano iscritti è dovuto al regolamento restrittivo e serio che la legge impone. Che evita le divise, le armi e le affiliazioni politiche. Questo ha fatto si che l’idea della ronda si sia raffreddata. Non serviva una legge dello stato per legittimare un fenomeno che al Nord esisteva già in altre forme e al Sud è pericoloso. In ogni caso le ronde non sono il rimedio. Il sistema di sicurezza si migliora aumentando le risorse delle forze di polizia, non certo mettendo a rischio l’incolumità fisica dei cittadini".

E così le città delle ronde si trasformano in città senza volontari. Sono bastati pochi mesi a Padova per cambiare tutto. Per cancellare quelle di quartiere, al Pescarotto, quelle leghiste di Veneto Sicuro, quelle dei commercianti del centro storico, o degli immigrati. A più di due mesi dall’approvazione del Pacchetto-sicurezza voluto dal Governo, che tra gli altri provvedimenti istituzionalizza anche le ronde, i rondisti cittadini sembrano essere spariti nel nulla. La stessa situazione si è ripetuta a Bologna, dove nessuna associazione ha chiesto di essere iscritta. E poi ci sono Rovigo, Roma, Venezia, Treviso e gli altri capoluoghi di provincia. In tutte le città che Affari Italiani ha contattato la musica è la stessa: nessun iscritto.

Eppure per scendere in strada non c’è bisogno di far parte delle ronde. Anzi. C’è proprio chi di essere definito come tale non ha proprio intenzione. A partire da Bologna, dove le varie associazioni di assistenti civici continuano ad operare, ma senza aver chiesto il passaggio di ‘status’. Ma anche a Milano, Torino e Treviso. Mario Furlan e i suoi City Angels ne sono l’esempio lampante: "Noi facciamo molto di più delle ronde. Noi vigiliamo e se c’è bisogno interveniamo. Cosa che i rondisti non possono fare. Noi facciamo assistenza".

Ma non solo. I City Angels non vogliono far le ronde ed il motivo è semplice: "Questa legge non permette di intervenire, fa solo in modo che si segnali l’abuso alla polizia. Noi invece interveniamo". E la pensano così anche a Reggio Emilia, dove il Comune non sembra farsene un cruccio: per mantenere le strade sicure punta infatti sui "patti con la cittadinanza", come quello varato in zona stazione.

Il motivo per cui il progetto delle ronde è naufragato è presto detto: per scendere in strada a presidiare gli angoli più pericolosi del territorio l’iter burocratico è lungo e tortuoso. Per prima cosa è necessario fondare un’associazione, presentare domanda d’iscrizione all’albo al prefetto e, una volta inseriti nell’elenco della prefettura, mettersi a disposizione dei Comuni. Ma questo è solo il primo passo. In seguito i Comuni, però, dovranno a loro volta emanare un’ordinanza e stipulare una convenzione con l’associazione di volontari, che devono comunque rispondere a una lunga serie di requisiti ben specificati nel decreto. E non è finita. Gli osservatori volontari, ad esempio, dovranno presentare un certificato medico dell’Usl di buona salute fisica e mentale. Le associazioni, inoltre, non dovranno assolutamente essere espressione di partiti o movimenti politici, né di organizzazioni sindacali, "né essere in alcun modo riconducibili a questi". Il risultato di tutti questi paletti? Nessun iscritto agli elenchi della prefettura.

C’e però anche da dire che la normativa dell’Interno permette alle associazioni preesistenti sul territorio di proseguire l’attività senza iscriversi nei registri delle prefetture fino al prossimo 8 febbraio. Come a dire… chi vivrà vedrà.

Emilia Romagna: 179% affollamento, 50% detenuti straniero

 

www.romagnaoggi.it, 14 ottobre 2009

 

La metà dei detenuti nei carceri dell’Emilia-Romagna è straniera, con un tasso di sovraffollamento del 179%. Questi i dati principali che emergono dalla relazione sulla situazione penitenziaria nella nostra regione per l’anno 2008, illustrata mercoledì dall’assessore Anna Maria Dapporto alla Commissione “Politiche per la salute e politiche sociali”. Al 31 dicembre 2009 erano presenti 4074 detenuti (dei quali 2116 stranieri), quando la capienza regolamentare è di 2.274.

Il tasso di sovraffollamento è del 179,16% (nel 2007 era del 152%). L’aumento rispetto al 2007 è di 461 detenuti (risultava già superato il tetto della cosiddetta “capienza tollerabile”). In particolare, a Piacenza, all’OPG di Reggio Emilia, a Modena, a Bologna e a Ravenna i detenuti sono molto più del doppio. Sempre secondo i dati, il 26 febbraio 2009 giorno in cui la capienza nazionale supera i 60.000 detenuti, l’Emilia-Romagna risulta essere la regione più sovraffollata d’Italia: 4.302 detenuti, con 189 detenuti ogni 100 posti.

Altri dati riguardano il personale assegnato. Nella nostra regione, gli agenti operanti sono 1.758, manca un 26,8% degli organici previsti (2.401). Inoltre gli educatori presenti sono 26, con una diminuzione di quattro unità. Queste carenze, si legge nella relazione, vanificano le opportunità in termini di reinserimento offerto da un territorio attento e disponibile, mentre le condizioni di vita in carcere, si legge: “sono allarmanti, con l’aumento degli episodi di aggressioni, violenze, autolesionismi e persino suicidi, sia fra i detenuti che fra gli agenti, come le loro organizzazione sindacali denunciano”. Per quanto riguarda la posizione giuridica: risultano condannati in via definitivi 1.379 detenuti (il 33,85%) a fronte di un dato nazionale del 45,74%, mentre 2.230 sono imputati in attesa di giudizio (il 54,74%). Per quanto riguarda invece le tipologie di reato ascritte ai detenuti i dati vedono i reati contro il patrimonio ai primi posti per i detenuti italiani (2° posto i reati contro la persona), mentre per gli stranieri, al primo posto, sono i reati legati alla droga (2° posto i reati contro il patrimonio). Infine, la condizione lavorativa e la presenza delle donne in carcere. Solo il 18,5% dei detenuti in Emilia-Romagna (24,4% a livello nazionale) ha la possibilità di lavorare qualche ora, mentre figuravano (sempre nel 2008) 123 donne nelle carceri (70% in attesa di giudizio). Per quanto riguarda invece la situazione dei bambini all’interno dei penitenziari, nella nostra regione (al 31 dicembre 2008) c’erano 2 bambini di età inferiore a tre anni e c’erano due donne in stato di gravidanza.

Il documento, oltre alla situazione penitenziaria a livello nazionale, mette in evidenza le politiche sociali intraprese dalla Regione in ambito penitenziario. In particolare, con la legge 3/2008, gli interventi (finanziati con 400.000 euro, raddoppiati dagli Enti locali) finalizzati a consolidare progetti mirati (mediazione culturale, miglioramento della qualità della vita in carcere; sportelli informativi per i detenuti e reinserimento sociale). Tra gli interventi in essere: “la salute nelle carceri” con il recepimento del Dpcm 1.4.2008. Infine, la Giustizia minorile. Secondo i dati al 31 dicembre 2008, sono 123 i minori presenti nel Carcere minorile di Bologna; di questi il 78,1% sono stranieri.

Donatella Bortolazzi (Pdci), nel suo intervento, ha messo in evidenza “la grave situazione a livello sanitario all’interno delle carceri”. Per Loreno Rossi (Sdi) “occorre prepararsi ad una fase straordinaria per il prossimo futuro, vista l’introduzione di nuove norme di reato”. Gianluca Borghi (Pd) ha rilevato la necessità di “aumentare le misure alternative, diminuite purtroppo in questi anni”. Gianni Varani (Fi-Pdl) ha espresso stima per l’amministrazione penitenziaria, il volontariato e l’assessorato per impegno profuso in questo delicatissimo settore”. Per Alberto Vecchi (An-Pdl) “occorre trovare una soluzione per fare scontare ai detenuti stranieri la pena nei loro paesi”.

Il presidente Roberto Piva, nel rilevare i dati del carcere di Rimini (162 presenze per una capienza regolamentare di 123 detenuti), ha ricordato l’impegno della Regione nel finanziamento del centro di accoglienza di Rimini, finalizzato al reinserimento sociale dei detenuti. Il presidente si è poi impegnato a presentare all’Assemblea legislativa una risoluzione che invita, tra l’altro, la Giunta a sostenere per quanto di sua competenza, le politiche di reinserimento sociale, inclusione, riabilitazione e riduzione del danno dei detenuti presenti nelle strutture della regione.

Lazio: Garante; virus H1/N1, carceri a rischio e manca vaccino

 

Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2009

 

Virus H1/N1: il Garante chiede la convocazione dell’Osservatorio Regionale sulla sanità penitenziaria.

Convocare l’Osservatorio Permanente sulla salute penitenziaria del Lazio per discutere del modo per affrontare il virus influenzale H1/N1 nelle carceri della Regione Lazio. La proposta è del Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni che questa mattina ha inviato un telegramma urgente al Dirigente Sanitario Regionale per la medicina penitenziaria.

A motivare la richiesta del Garante il primo caso di infezione da virus H1/N1 nelle carceri italiane - un detenuto del carcere fiorentino di Sollicciano - e, soprattutto, il disappunto del vice presidente delle Regione Esterino Montino che ieri ha parlato di "goccia nel mare" per giudicare insufficienti, anche per i primi interventi, le prime 41.000 dosi di vaccino assegnate al Lazio a fronte delle oltre 100.000 necessarie solo per coloro giudicati priorità assoluta.

Fra tali priorità il Garante da tempo ha chiesto che venga inserito il carcere in tutte le sue componenti: detenuti, agenti di polizia penitenziaria, volontari e i loro familiari.

"Con i livelli di sovraffollamento attuali - ha detto Marroni - è l’imminente arrivo dei primi freddi c’è davvero il rischio che le carceri siano fra i luoghi dove il virus A/N1H1 possa diffondersi nella sua forma più virulenta".

Il pianeta carcere - 206 istituti con oltre 64.600 persone recluse in tutta Italia al 1 ottobre e circa il 30% di tossicodipendenti - è davvero una priorità. Negli istituti si registra un indice di salute medio - grave (6 persone su 10 malate), una diffusione elevata di tubercolosi, epatiti B e C, diabete e hiv, problemi cardiocircolatori e polmonari. Ai detenuti vanno poi aggiunti 34mila agenti di polizia penitenziaria e centinaia di operatori dell’a rea educativa. Per il Dap nel 2008 il turnover nelle carceri ha coinvolto più di 90.000 persone.

Solo nel Lazio i reclusi al 1 ottobre erano 5.837, cui vanno aggiunti i 50 ragazzi dell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo e i 300 ospiti, fra uomini e donne, del Cie di Ponte Galeria. "Ho proposto la convocazione dell’Osservatorio regionale per la salute penitenziaria - ha detto Marroni - perché è il luogo preposto a ricevere indicazioni e segnalazioni sulle criticità sanitarie del carcere, ma anche per delineare azioni programmatiche ed interventi prioritari. In questo momento credo che non vi sia nulla di più prioritario che definire un piano straordinario di intervento nelle carceri contro il virus H1/N1".

Ferrara: pochi agenti e troppi detenuti, situazione insostenibile

 

La Nuova Ferrara, 14 ottobre 2009

 

L’indulto del 2006 ha alleviato solo temporaneamente il problema nazionale del sovraffollamento delle carceri. La tregua è durata infatti un paio d’anni e oggi i penitenziari sono tornati ad essere luoghi invivibili per i detenuti mentre le guardie penitenziarie si trovano in una situazione di costante sotto-organico con tutte le conseguenze legate a carichi di lavoro insopportabili. Anche a Ferrara il quadro che si può sintetizzare con la formula "pochi agenti troppi detenuti" è ormai diventato realtà.

A fronte di una capienza regolamentare di 256 unità e di una popolazione tollerata di 466, i reclusi nell’Arginone hanno raggiunto la quota di 532. Dopo la visita dei parlamentari, nelle scorse settimane, e l’allarme dei sindacati è stato il sindaco Tiziano Tagliani, ieri mattina, a voler accertare assieme all’assessore Chiara Sapigni la gravità della situazione che ha definito, più tardi davanti ai taccuini dei cronisti, "particolarmente grave". Erano presenti dirigenti del Comune, la direzione del carcere, il garante dei detenuti e i rappresentanti degli agenti penitenziari. Dall’incontro è emersa la "forte carenza di personale" associata a "problemi logistici", un quadro che ha indotto il sindaco a rivolgersi al ministero di Grazia e Giustizia. "Dato che il ministero ha indetto un corso di formazione per operatori carcerari - ha spiegato il sindaco - segnaleremo a chi di dovere una situazione che, in particolare a Ferrara, ha già superato il limite e pone problemi di sicurezza". L’ipotesi di aggiungere un padiglione all’istituto di detenzione è per ora rimasta tale mentre Tagliani individua una situazione di "particolare pericolosità" proprio a Ferrara. "In alcuni penitenziari gli orari dei turni di lavoro rimangono al di sotto delle otto ore nell’arco delle 36 settimanali - ha precisato - A Ferrara no, qui le condizioni di lavoro sono particolarmente pesanti". Nei giorni scorsi era stata annunciata la notizia relativa all’assegnazione di due agenti all’istituto locale, ma si tratta di personale già in servizio mentre la carenza è di decine di unità.

Lanciano (Aq): protesta degli agenti per le carenze d’organico

 

Ansa, 14 ottobre 2009

 

Sciopero dei pasti alla mensa di servizio, ad oltranza: così gli agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Lanciano intendono portare avanti la propria protesta iniziata oggi. La causa dell’ammutinamento - sostenuta dai sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Cnpp, Osapp e Sappe -risiede nella carenza di personale che si registra all’interno della casa circondariale, dove sono in servizio 135 agenti per 315 detenuti.

Lo scorso 28 settembre, tra l’altro, il personale dell’istituto di pena aveva chiesto l’intervento di Salvatore Acerra, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, per risolvere il problema, ma ad oggi non è giunta da parte sua alcuna risposta. I sindacati tornano ad invitare ad Acerra, perché visiti il carcere frentano "affinché - scrivono gli agenti - tocchi con mano i disagi con cui siamo costretti a convivere ogni giorno. Non abbiamo chiesto miracoli, pretendiamo però il rispetto che è dovuto ai lavoratori di tutte le categorie ed a maggior ragione ai servitori dello Stato".

Tempio Pausania: nuovo carcere in 2011 sarà istituto modello

di Tonio Biosa

 

La Nuova Sardegna, 14 ottobre 2009

 

Procede, secondo il tabellino di marcia a suo tempo fissato nel corso della conferenza di servizi, la realizzazione, nelle campagne attorno alla frazione di Nuchis, della nuova casa circondariale, il carcere della Gallura.

"Se non ci saranno intoppi entro i primi mesi del 2011 esso sarà terminato e pronto per il suo pieno impiego", ha spiegato il sindaco di Tempio Antonello Pintus. Per il provveditore regionale degli istituti di prevenzione e pena, Francesco Massidda, quello in costruzione in alta Gallura sarà sicuramente il primo (dei tre programmati nell’isola) ad aprire, e questo sarà possibile stando alla avanzata realizzazione di gran parte delle strutture murarie e delle palazzine che ospiteranno il carcere e quelle destinate al personale dipendente e ai servizi.

La "curiosità" di aver conferme sul rispetto dell’iter di realizzazione della nuova struttura penitenziaria che manderà finalmente in pensione la vecchia "Rotonda" (che verrà trasformata in un museo) viene suscitata dagli annunci del premier Silvio Berlusconi che nei giorni scorsi aveva annunciato la creazione di 20mila nuovi posti per l’amministrazione penitenziaria.

"La struttura è praticamente ultimata - continua il sindaco -. Si vanno ora realizzando determinate pertinenze di primaria importanza, quali laboratori e spazi per la ricreazione e per la rieducazione dei detenuti. I finanziamenti erano stati a suo tempo assicurati e in seguito riconfermati e tutto pertanto dovrebbe procedere regolarmente fino alla consegna dell’opera interamente finita ed utilizzabile".

Il nuovo carcere è in fase di realizzazione nelle vicinanze Nuchis. La sua sagoma ha preso da qualche tempo ad emergere dal folto delle sugherete che circondano l’ampia area su cui ricade. Il carcere è predisposto per accogliere fino a 250 detenuti, arrivando così ad acquisire un’importanza che amplia il ruolo finora svolto dalla vecchia e famigerata "Rotonda", che è quello di carcere circondariale in riferimento al Tribunale di Tempio. Un’importanza che non potrà non avere effetti sulla città, sulla sua vita, sulla sua economia, sui suoi costumi.

Camerino (Mc); carcere inadeguato, costruire nuova struttura

 

Corriere Adriatico, 14 ottobre 2009

 

Una lettera al ministro Alfano per richiamare l’attenzione su quella che ormai sta diventando un’esigenza dell’intero territorio.

È l’ultima mossa del senatore del Popolo della Libertà Salvatore Piscitelli che, ormai da tempo, si sta facendo portavoce a Roma della necessità di costruire un nuovo carcere a Camerino. Ragioni puntate sull’oggettivo stato di disagio che si trovano a vivere il personale ed i detenuti dell’attuale Casa Circondariale, ospitata in una struttura vecchia e non adeguata, ma non solo.

"Onorevole ministro - si legge infatti nella lettera del senatore Piscitelli al titolare del dicastero di Grazie e giustizia - un nuovo carcere a Camerino rappresenterebbe una occasione per una città sita in una zona montana che soffre la mancanza di attività economiche di rilievo. I precedenti piani di finanziamento prevedevano la realizzazione della nuova struttura penitenziaria alla luce anche della presenza di un tribunale e del vecchio carcere, che ancora oggi è l’unico luogo di detenzione al servizio dell’intera provincia di Macerata".

Una lettera, questa, che arriva a pochi giorni dall’individuazione, da parte del Governo, dei parametri e dei dati da tenere in considerazione in vista del nuovo e annunciato Piano Carceri. "L’amministrazione comunale di Camerino - prosegue il senatore Piscitelli nella lettera inviata al ministro della Giustizia, Alfano - eletta lo scorso mese di giugno, ha inviato una missiva al responsabile del Dap, dott. Ionta, per spiegare le ragioni di un inserimento dell’opera nel Piano e le conseguenti ricadute positive del territorio dell’Alto Maceratese.

Inoltre, ho avuto modo di parlare con il collega senatore Giacomo Caliendo che, con estrema cortesia, ha ricevuto, nel mese di luglio, il sindaco ed alcuni membri della giunta comunale". La "questione nuovo carcere di Camerino", dunque, sembra arrivata sino alla scrivania del ministro, con il territorio che, a questo punto, non può far altro che aspettare le decisioni del Governo. L’impressione, comunque, è che il nodo sia destinato a sciogliersi nel giro di poche settimane.

Roma: in arrivo Ordinanza contro lava-vetri e artisti di strada

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2009

 

"È fatto divieto a chiunque di svolgere attività di pulizia vetri o servizi similari, anche a carattere ludico": via i lavavetri, i giocolieri e i mangia-fuoco dai semafori. O chi offre "mercanzia varia" come fazzoletti di carta o deodoranti per auto. Così stabilisce la nuova ordinanza "anti-lava-vetri" che dovrebbe scattare il primo novembre ed essere valida fino alla fine di gennaio del 2010. E chi viola il provvedimento dovrà pagare una multa "in misura ridotta" di 100 euro. La bozza di testo è pronta, la firma del sindaco prevista per la prossima settimana. n motivo del divieto è che così si "arreca pregiudizio alla sicurezza della circolazione stradale e pedonale".

Annunciata una prima volta all’inizio di agosto, l’ordinanza è stata poi rinviata all’autunno: il provvedimento era piaciuto poco alle principali associazioni che si occupano di assistenza sociale. Si tratta ancora di una bozza, ma anche questa volta è iniziato il "botta e risposta" tra favorevoli e contrari.

"E sindaco Alemanno non perde occasione di accanirsi contro gli "ultimi" - afferma il presidente dell’XI municipio Andrea Catarci - L’atto viene coperto da un malcelata ipocrisia: si specifica che non sarà diretto contro i lavavetri "tout court" ma contro i lavavetri "molesti", come se le molestie non fossero già un reato". "Mi auguro che la tanto attesa adozione dell’ordinanza antilavavetri venga applicata in Municipio XVI in modo efficace e duraturo, dal momento che i cittadini del nostro territorio la chiedono a gran voce", afferma il consigliere municipale del Pdl Marco Giudici. "Questa ordinanza contro i lavavetri molesti è una vittoria che rivendichiamo anche come nostra", dicono Daniela Santanché e Fabio Sabbatani Schiuma del "Movimento per l’Italia".

Immigrazione: Consulta; stop ricorsi aggravante clandestinità

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 14 ottobre 2009

 

Sull’aggravante di clandestinità la Consulta rinvia al mittente le questioni di legittimità. E avverte che l’introduzione del reato di clandestinità potrebbe anche far ritenere superata e assorbita la rilevanza della disposizione. È quanto trapela dalla camera di consiglio della Corte costituzionale svolta la scorsa settimana (la stessa che preso la decisione sul Lodo Alfano) e che dovrebbe essere tradotto in un’ordinanza da depositare a breve.

La norma, il nuovo articolo 61 del Codice penale che inserisce nell’elenco dei motivi che possono dar luogo a un aumento di pena anche la condizione di clandestino, è stata introdotta tra le polemiche nell’ambito del primo pacchetto sicurezza varato dall’allora neonato governo Berlusconi nel maggio 2008. Da subito nell’occhio del ciclone la misura è stata rinviata alla Corte costituzionale da numerosi tribunali. La Corte costituzionale avrebbe dichiarato inammissibile la questione sollevata dal tribunale di Livorno e avrebbe invece scelto di restituire gli atti ai giudici di Ferrara e Latina.

La pronuncia, circoscritta al possibile aumento di pena nei limiti di un terzo per l’immigrato irregolare che commette un reato, rappresenta un probabile esame anticipato per quel delitto di clandestinità che costituisce uno dei cardini del secondo pacchetto sicurezza entrato in vigore da pochi mesi. Una sorta di primo sondaggio degli orientamenti della Consulta. Che per ora, però, non ha scoperto le carte decidendo di non scendere nel merito di una valutazione della norma.

Se infatti la questione sollevata dal tribunale di Livorno pare non sia stata considerata rilevante nel giudizio relativo e quindi di fatto formulata in maniera scorretta, i ricorsi avanzati dai giudici di Ferrara e Latina sono stati rimandati indietro alla luce del nuovo quadro normativo. I tribunali dovranno, cioè, valutare se l’introduzione del nuovo reato di clandestinità che sanziona con l’ammenda fino a 10mila euro (in alternativa c’è l’espulsione) chi è scoperto in Italia senza permesso di soggiorno non fa venir meno anche i requisiti sulla base dei quali la Consulta era stata investita della decisione sulla coerenza costituzionale della misura. Bisognerà però attendere ancora, la questione non è ancora stata iscritta al ruolo della Corte, per avere il verdetto della Consulta sulla questione più spinosa, quella del reato di clandestinità.

Da parte di alcuni tribunali, a partire da settembre, la nuova fattispecie è stata bersagliata da numerose eccezioni di legittimità. Tra le principali, quella avanzata dal giudice di pace di Torino che, accogliendo le riserve della Procura guidata da Giancarlo Caselli, ha chiamato in causa la Corte sostenendo, tra l’altro, l’irragionevolezza (a suo dire già sanzionata con l’illegittimità dalla Corte sia pure in un altro contesto) di una condotta criminale che, di fatto e da sola, non provoca nessun danno. Tanto meno a un bene di rango costituzionale. La stessa rilevanza penale della condotta dell’immigrato clandestino è poi determinata dal mancato possesso di un documento abilitativo, il permesso di soggiorno; una condizione che, per il giudice di pace torinese, da sola, non appare in grado di fondare con ragionevolezza la legittimità di una sanzione penale.

Immigrazione: Caselli; vera battaglia è su legittimità del reato

di Mario Porqueddu

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2009

 

"Io non sono né preoccupato, né non preoccupato. Perché dovrei? Semplicemente, dal punto di vista tecnico-giuridico si tratta di due cose differenti". E per sgomberare il campo da ogni possibile dubbio, Gian Carlo Caselli, capo della procura della Repubblica di Torino, aggiunge: "Il fatto che noi abbiamo sollevato questione di non manifesta infondatezza della legittimità costituzionale del reato di clandestinità, mentre non abbiamo mai neanche sfiorato con analoga questione la circostanza aggravante di clandestinità, è la prova provata che abbiamo sempre fatto ricorsi esclusivamente tecnico-giuridici e non, come qualcuno ha ingiustamente sostenuto, di carattere ideologico".

Il procuratore misura le parole, non intende alimentare una polemica che nelle settimane scorse ha avuto toni molto accesi. Sul reato di clandestinità, introdotto dall’ultimo "pacchetto sicurezza", si è dibattuto a lungo. Dopo che da alcune procure, e una è appunto quella di Torino, è partita la richiesta ai giudici di pace di sollevare una questione di costituzionalità sull’articolo 1 della legge 94/2009, il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha attaccato i magistrati, sostenendo che la norma non viene applicata alla lettera malgrado "sia chiara al punto che la capisce anche un bambino di sei anni".

Caselli non replica, si limita a sospirare. Per evitare lo scontro con le toghe, due settimane fa, era intervenuto il Guardasigilli Angelino Alfano: "Non è in dubbio il diritto dovere dei magistrati di interpretare le leggi, ma l’interpretazione non può lasciare il posto all’elusione perché si violerebbe il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale".

Poi, ieri, si è avuta notizia di una decisione della Consulta in merito a questioni di legittimità sollevate da alcuni tribunali sull’aggravante di clandestinità. "Leggeremo certamente la motivazione - dice Gian Carlo Caselli - ma allo stato degli atti sono due cose che non c’entrano: si tratta di questioni sganciate, indipendenti".

Insomma, la decisione della Corte Costituzionale non ha nulla a che vedere con il ricorso presentato dal suo ufficio. E poco importa se qualcuno vuole leggere questo passaggio come un banco di prova anticipato per la valutazione che la Consulta dovrà esprimere intorno al reato di clandestinità.

"Equivarrebbe - taglia corto Caselli - a fare un processo alle intenzioni della Corte". L’aggravante della clandestinità è stata inserita nell’ordinamento italiano con le norme sulla sicurezza approvate dal governo a maggio del 2008. "E in questo periodo di tempo - conclude il procuratore torinese - noi non abbiamo mai sollevato questioni di sorta. Lo abbiamo ripetutamente precisato: non abbiamo dubbi sulla legittimità dell’aggravante. Altra cosa è il reato. Ma ripeto, in termini tecnico-giuridici sono due questioni completamente diverse".

Gran Bretagna: quasi il 10% dei detenuti è un reduce di guerra

 

Peace Reporter, 14 ottobre 2009

 

In Gran Bretagna, l’8,5 percento della popolazione carceraria è composta da ex veterani dell’esercito. La preoccupante statistica è emersa da uno rapporto pubblicato dalla Napo (National Association of Probation Officers), organizzazione che monitora le condizioni dei carcerati britannici. Tra coloro che hanno prestato servizio nelle Forze Armate di Sua Maestà, 8.500 sono in prigione, mentre 12.000 sono il libertà vigilata. Il rapporto conferma un analogo studio realizzato dal ministero della Difesa britannico, che individua tra il 6 e il 16 percento gli ex soldati detenuti.

Le informazioni sono state raccolte nel corso dell’estate, in 62 uffici della Napo in Inghilterra e Galles. I soggetti presi in esame sono un centinaio di ex militari, la maggioranza dei quali ha preso parte a missioni che vanno dalla guerra nelle Falklands/Malvinas al recente conflitto afgano. La quasi totalità degli ex-soldati ha storie di alcol, droga, ed è finita in carcere per crimini legati a comportamenti violenti in relazione diretta con l’uso - o l’abuso - di tali sostanze. Così come quasi tutti hanno sofferto a un certo punto di disturbi da stress post traumatico (Ptsd) o depressione, e che pochi hanno ricevuto consulenza o assistenza dopo il congedo. La Napo punta anche il dito contro la giustizia, indicando, tra le maglie rotte di un sistema che vede più militari in prigione (o in libertà vigilata) che in missione all’estero, l’incapacità di riconoscere le condizioni di grave stress psicologico o l’urgenza di un trattamento sanitario. Purtroppo, l’incarcerazione degli ex-militari rappresenta solo l’ultima tappa di un processo che inizia dal momento in cui, per un motivo o l’altro, lasciano l’esercito. Non esiste un Ispettorato delle Forze Armate che intervenga quando il militare viene congedato. "Se i servizi di supporto psicologico fossero stati attivati per valutare le condizioni dei soggetti - spiega Harry Fletcher, assistente al Segretario della Napo - la detenzione si sarebbe evitata nella grande maggioranza dei casi".

Emblematica, tra le tante storie raccolte dal Napo, è quella di un ex-soldato di appena 23 anni, del Reggimento paracadutisti. Dopo aver svolto due missioni in zone di guerra, ha lasciato l’esercito nel 2005. Dopo il congedo, è stato condannato sette volte, cinque delle quali al carcere. Ha raccontato al Napo di non essere stato in grado di riadattarsi alla vita da civile nel Regno Unito, perché - nelle sue parole - "era impossibile dimenticare la devastazione, l’orrore e lo stress della guerra, e poter conciliare questi ricordi con una vita normale".

L’ex parà ha fatto domanda per un incontro con uno psichiatra, ma non si è presentato al primo appuntamento, dopo il quale è stato lasciato a se stesso. Nel giugno 2008 riferiva di non essere capace di condurre nuovamente una vita normale, e per questo motivo voleva arruolarsi nuovamente, "se non mi prendono i parà andrò nella legione straniera", raccontava agli intervistatori.

Il suo proposito è stato vanificato dal ricorso a massicce dosi di alcool per un lungo periodo, durante il quale l’uomo ha sviluppato una forte aggressività verso chiunque, soprattutto i propri congiunti. Attualmente sta scontando quattro mesi di reclusione. Quando verrà rilasciato non avrà nessuna assistenza a causa della brevità della pena.

"Lo studio mette in luce la necessità - sostiene Fletcher - di fare tutti gli sforzi possibili non solo per ridurre il numero del personale militare nel sistema penitenziario britannico, ma soprattutto per offrire loro programmi di sostegno mirati. La preponderanza di Ptsd, depressione e uso massiccio di alcool, e i conseguenti casi di violenza domestica che questi soggetti scatenano, dimostrano l’urgenza di fornire un un’assistenza adeguata sia all’interno dell’esercito, sia all’interno del contesto sociale in cui vivono".

I soldati inclusi nell’indagine hanno prestato servizio in Irlanda del Nord, nelle Falklands/Malvinas, in Iraq, Afghanistan e nei Balcani. In molti casi, i sintomi del Ptsd non si sono rivelati per anni, fino a esplodere in continui flash-back, incubi, incapacità di concentrazione e paranoie.

 

 

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