Rassegna stampa 18 novembre

 

Giustizia: l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà... è qui

di Luciana Scarcia

 

www.innocentievasioni.net, 18 novembre 2009

 

Ci sono le norme scritte a regolare le condotte collettive e ci sono i comportamenti delle persone in carne e ossa. Le norme scritte dicono che il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona; deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli internati alle attività di osservazione e di trattamento; dall’osservazione del comportamento si deve desumere una schietta revisione critica del passato criminale… e la sincera volontà di partecipare all’opera di rieducazione e di inserirsi nella società civile, accettandone legalità e valori.

Dunque nelle norme e nei regolamenti penitenziari trova forma il principio costituzionale del fine rieducativo della pena: si operi per restituire alla società un individuo che abbia fatto proprio il valore o, almeno, la convenienza della legalità.

Ma allora in quale pianeta, in quale cultura accadono fatti come la morte di Stefano Cucchi o quelle per cause da accertare (forse le stesse della prima) o i numerosi suicidi? A quali logiche rispondono quei fatti? Quale sistema di valori sta dietro i pestaggi? Che cosa, dentro la mente degli individui, legittima la noncuranza che, protetta dalla burocrazia, si trasforma in disumanità e disprezzo della vita umana? Perché davvero deve trattarsi di una cultura e di un pianeta lontani qualche galassia dalla nostra civiltà democratica. Un pianeta in cui l’esistenza di leggi comuni non costituisce un vincolo di coerenza tra principi dichiarati e azioni quotidiane. Ma nel nostro mondo siamo sicuri che questa coerenza sia ancora di moda?

In effetti il carcere è un pianeta lontano, un luogo estremo in cui sono concentrate le conseguenze ultime dei mali sociali e le categorie più deboli, gli "indesiderati". È questa funzione di discarica sociale che rende quel luogo talmente difficile e complesso da offrire un alibi morale che tacitamente autorizza a infischiarsene delle norme scritte.

Ma, per favore, non parliamo di mele marce, così come è doveroso dire che sono molti coloro che si impegnano nel loro lavoro con serietà e umanità. Il punto è la gigantesca mole di inadempienze a tutti i livelli: la "discarica sociale" resta pur sempre un’istituzione dello Stato che, in quanto tale, avrebbe l’obbligo di porre in essere tutto quanto necessario per applicare le norme (formazione e motivazione del personale, verifica dei risultati, controllo); ma questo non avviene, né qui né altrove. E allora la questione esce dalle mura del carcere e investe la politica, la società tutta e la sua cultura.

Se dentro il carcere accadono fatti che rivelano addirittura la sospensione dei diritti inalienabili della persona, c’è da chiedersi quanto il rispetto di quegli stessi diritti sia diffuso e radicato nel sentire comune della gente "normale", quanto quel principio sia riconosciuto come fondante la stessa identità collettiva e quanto, infine, il singolo ne faccia un criterio guida della sua condotta perché nel rispetto dell’altro (anche quando questi sia un "indesiderato") è in ballo il rispetto della propria stessa dignità. C’è da chiedersi insomma se in chi ha responsabilità di gestione della cosa pubblica ci sia davvero intenzionalità nella difesa dei valori democratici oppure se dobbiamo prendere atto del fallimento.

E qui vengo al problema che mi riguarda in quanto volontaria che in carcere propone la scrittura come una delle attività che "accompagnano" un percorso di crescita e cambiamento del detenuto. Nella drammatica situazione in cui sono le nostre carceri, di fronte a casi così tragici e inquietanti, ha senso continuare a credere nel principio della rieducazione? È diventato un lusso buono per tempi migliori? O, peggio, è ipocrisia pensare di contribuire al cambiamento e reinserimento del detenuto nella comunità civile quando la comunità diventa meno "civile"? Ben altro è ciò che serve?

Mi vengono in mente le parole che Calvino, ne Le città invisibili, mette in bocca a Marco Polo per suggerire al Gran Khan un modo per non soffrire dell’inferno dei viventi: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Trasferendo il senso di queste parole agli interrogativi appena posti, mi dico che continuare a ricercare nell’inferno del carcere le forme che può assumere la speranza di cose migliori è uno dei modi possibili per non accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo.

Giustizia: dal Pd interrogazione su suicidi e "morti di carcere"

 

9Colonne, 18 novembre 2009

 

Il senatore del Pd Francesco Ferrante chiede in una interrogazione al ministro Angelino Alfano di riferire urgentemente sulla consistenza del fenomeno delle morti in carcere "in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle invece per cause sospette" e chiede quindi al Guardasigilli di "stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti" e dettagli e costi del piano carceri per la realizzazione dei nuovi penitenziari, per un costo ipotizzato sulla stampa di circa 1,4 miliardi di euro.

Il senatore eco-dem ricorda che secondo un dossier di "Ristretti Orizzonti" dal 2000 ad oggi i decessi in carcere sarebbero stati 1.531, di cui circa un terzo - 545 - per suicidio, un altro terzo per cause riconosciute come naturali ed il restante terzo per cause da accertare. Aggiunge inoltre che "se nel 2008 i suicidi rilevati dal Dap sono stati 46, quest’anno risulta a Ristretti Orizzonti già 61".

Il senatore riferisce anche i dati di Antigone secondo cui in 9 anni sono stati 500 i detenuti che si sono tolti la vita e che il 52,2 per cento delle persone oggi detenute è in custodia cautelare, "un’anomalia tutta italiana". Sottolinea inoltre che il numero dei detenuti cresce a un ritmo di mille al mese e che se il trend rimarrà questo, a fine anno la popolazione carceraria arriverà a 70.000 detenuti. Denuncia inoltre che ci sono regioni dove il numero di detenuti è quasi il doppio del consentito: in Emilia-Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento. In Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia si aggira sul 160 per cento.

Giustizia: Dap; Circolare contro le "zone d’ombra" del carcere

 

Ansa, 18 novembre 2009

 

Il capo del Dap, Franco Ionta, ha riunito oggi i vertici dell’amministrazione penitenziaria per fare il punto su quelle che vengono definite "zone d’ombra" o "ambiguità" che rendono difficile l’identificazione di eventuali responsabilità.

L’occasione tragica della morte di Stefano Cucchi, il detenuto 31enne che la procura di Roma sospetta essere stato malmenato da tre agenti penitenziari indagati per omicidio preterintenzionale, ha indotto i vertici del Dap ad avviare una riflessione che si tradurrà in imminenti circolari o atti di indirizzo di Ionta. Perciò - viene fatto notare in ambienti del Dap - mentre da un lato prosegue l’inchiesta amministrativa sul caso Cucchi che dovrebbe concludersi nel giro di due settimane, dall’altro Ionta ha fatto intendere, durante la riunione, che la situazione attuale deve cambiare. In particolare su due fronti: la gestione degli arrestati nelle camere di sicurezza dei tribunali; i rapporti tra il settore penitenziario e quello sanitario nel caso in cui il detenuto sia un ammalato.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’orientamento sarebbe quello di escludere la polizia penitenziaria dai compiti di vigilanza di coloro che sono portati nelle camere di sicurezza del Tribunale in attesa di essere giudicati. L’ex presidente del Tribunale di Roma, Luigi Scotti, nel 2004 stabilì con una circolare che tale compito spettasse alla forza di polizia che ha operato il fermo o l’arresto (polizia, carabinieri, o guardia di finanza), congiuntamente alla polizia penitenziaria responsabile della chiusura o dell’apertura delle camere di sicurezza. Una disposizione del genere, è emerso durante la riunione al Dap, può tuttavia comportare situazioni ambigue ed equivoche che - come è stato per il caso Cucchi - rendono difficili la ricostruzione di precise responsabilità.

Il Dap intende verificare se questa non chiara ripartizione di compiti che vige a Piazzale Clodio ci sia pure in altre realtà giudiziarie. Cambiamenti potrebbero esserci inoltre anche per quanto riguarda la gestione dei detenuti ammalati. La sanità penitenziaria non è più di competenza del Dap ma del Servizio sanitario nazionale. Motivo in più - sottolineano al Dap - per mettere ordine e chiarire una volta per tutte a chi spetti acconsentire o negare informazioni sullo stato di salute di un detenuto ricoverato.

Giustizia: Bernardini in sciopero di fame per situazione carceri

 

Ristretti Orizzonti, 18 novembre 2009

 

Suicidio di un diciassettenne marocchino. I deputati Radicali depositano una mozione parlamentare sulla insostenibile situazione delle carceri. dalla mezzanotte di oggi, sciopero della fame.

Dichiarazione di Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati: "Ristretti Orizzonti ci dà oggi la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere. Questa volta si tratta di un minorenne, diciassette anni, marocchino che si è impiccato ieri pomeriggio con un lenzuolo nella doccia del carcere minorile di Firenze. Era dentro per dal 3 agosto tentato furto, in attesa di giudizio. Giustamente, Ristretti Orizzonti si chiede se era proprio necessaria la misura della detenzione in galera o se non fosse stato più giusto e intelligente applicare nei suoi confronti una misura cautelare meno afflittiva rispetto al carcere.

Non vorrei che questa tragica notizia passasse sotto silenzio come è accaduto per altri stranieri che si sono tolti la vita nelle patrie galere. Nella stragrande maggioranza dei casi sono proprio gli extracomunitari e i romeni ad essere letteralmente abbandonati: per loro non c’è un adeguato diritto di difesa perché sono poveri, non ci sono quasi mai misure alternative al carcere perché spesso non hanno nemmeno un’abitazione dove scontare gli arresti domiciliari, sono allontanati dai luoghi dei loro affetti familiari perché per loro è più facile essere oggetto di "sfollamenti" dalle carceri del centro-nord a quelle del sud.

Come deputati radicali eletti nelle liste del PD depositeremo nelle prossime ore una mozione di indirizzo al Governo sulla drammatica situazione delle carceri che sarà sottoposta alla firma di tutti gli schieramenti politici. Crediamo che sia uno strumento di "governo" per invertire la rotta illegale e senza speranza che ogni giorno di più prende la gestione degli istituti penitenziari, con il carico di sofferenza e di abbandono in cui vive tutta la comunità penitenziaria, detenuti, direttori, agenti, educatori, medici e infermieri, psicologi e assistenti sociali.

Per gli obiettivi proposti in mozione inizierò dalla mezzanotte di oggi uno sciopero della fame, chiedendo a tutta la comunità penitenziaria di lottare insieme: non c’è bisogno di protesta, ma di proposta per dare uno sbocco nonviolento, intelligente e ragionevole alla rivolta che sentiamo dentro di noi quando le leggi fondamentali dei diritti umani sono ignorate e calpestate. Lo stanno facendo da giorni, su altri fronti dei diritti umani ai quali mi unisco anch’io, Maria Antonietta Farina Coscioni assieme a centinaia di malati gravissimi, e Maurizio Turco sul fronte dei diritti delle vittime del dovere e dello Stato e contro la proroga della rappresentanza militare".

Giustizia: Firenze; 17enne si suicida nel penitenziario minorile

 

Apcom, 18 novembre 2009

 

Un ragazzo di 17 anni si è impiccato ieri nel carcere minorile di Firenze. A renderlo noto è il l’osservatorio "Morire di carcere" dell’associazione "Ristretti Orizzonti".

Veniva dal Marocco, spiega l’associazione, e si è impiccato ieri pomeriggio con un lenzuolo nella doccia del carcere, dove era detenuto in attesa di giudizio per tentato furto: "Il suo nome non lo conosciamo - spiega l’associazione - sappiamo che prima dell`arresto viveva in un paese in Provincia di Lucca, Aulla, dove lavorava come operaio. È stato arrestato il 3 agosto scorso, mentre cercava di rubare degli orologi esposti in una vetrina della stazione ferroviaria".

"Questo ragazzo - denuncia l’associazione - è il 65esimo detenuto che si uccide dall’inizio dell`anno, ma con il nostro osservatorio abbiamo raccolto almeno altri 20 casi di morti ‘oscurè accadute nel 2009, che abbiamo indicato come decessi per cause da accertare: 85 dall`inizio dell`anno e, questi - sottolinea ancora l’associazione - sono soltanto la metà dei decessi, perché almeno altrettanti detenuti sono morti per malattia, o per overdose di farmaci e droghe. Per ritrovare il suicidio di un minorenne bisogna andare indietro di 6 anni: era il 4 gennaio 2003 e successe nell`Istituto penale minorile di Casal del Marmo, in provincia di Roma. Il 25 luglio di quest`anno, invece, un ragazzo di 19 anni si è tolto la vita nell`Istituto penale minorile di Bari e aveva la stessa età anche il detenuto cileno che si è impiccato il 10 settembre scorso nel carcere di Castrovillari, in provincia di Cosenza: nel complesso, 20 dei 65 detenuti suicidi avevano meno di trent`anni e altri 20 avevano dai 31 ai 41 anni".

"Le nostre carceri per la metà sono fuorilegge", ha dichiarato il ministro Alfano, ricorda l’associazione. "Allora - sottolinea - qualcuno dovrebbe anche spiegare che senso ha che uno Stato, che non rispetta a sua volta la legge, mostri la faccia dura a un ragazzo colpevole di un tentato furto. Non dobbiamo quindi solo interrogarci sulle morti in carcere, ma anche sul senso di un uso della galera come parcheggio per tutto quello che ci dà fastidio.

È questa, oggi, la dimostrazione che per certe categorie di persone la certezza della pena esiste eccome: si può andare in carcere a diciassette anni per tentato furto. Ma qualcuno proverà un po’ di vergogna all`idea di far parte di una società dove un ragazzino sta in carcere per tentato furto e gante che corrompe, truffa, mette sul lastrico migliaia di famiglie se ne sta tranquillamente fuori, magari ad attendere la prescrizione dei suoi reati? E non ci dicano che questa è demagogia, no, questa è vita, questo è quello che vediamo ogni giorno nelle carceri: ragazzi sempre più giovani in celle sempre più affollate. E il sovraffollamento non significa solo poco spazio, significa soprattutto che le carceri oggi sono per lo più luoghi senza speranza, e allora può succedere anche che ci si uccida a diciassette anni".

Giustizia: magistrati; troppo carcere contro devianza minorile

 

Adnkronos, 18 novembre 2009

 

L’Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia (Aimmf), "in considerazione di alcuni recenti episodi relativi a detenuti minorenni e al dibattito mediatico che ne è conseguito, recidiva aggravata" e ritenendo che "il carcere abbia uno spazio eccessivo come risposta alla devianza e al disagio dei minorenni", si legge in una nota dell’Aimmf stessa, fa "appello alle forze politiche, al parlamento e al governo perché si proceda al più presto alla realizzazione di una generale riforma del sistema sanzionatorio per i minorenni, che attui in concreto la finalità educativa della pena, mediante l’introduzione di sanzioni adeguate allo scopo ed alla personalità in evoluzione del minorenne".

L’Aimmf chiede anche, in tempi brevi "l’approvazione di un ordinamento penitenziario minorile che preveda l’estensione dell’applicazione dell’ordinamento stesso anche ai giovani adulti (fino a 25 anni di età); l’introduzione di sanzioni sostitutive e alternative alla detenzione anche con funzione riparativa; la realizzazione di strutture detentive e comunitarie di dimensioni ridotte con presenza di adeguato personale educativo specializzato che garantisca la realizzazione di progetti educativi individualizzati".

"Riteniamo che il carcere abbia uno spazio eccessivo come risposta alla devianza e al disagio dei minorenni. I principi delle convenzioni internazionali ed i numerosi documenti delle istituzioni europee nella materia penale minorile , da ultimo anche il documento del Commissario europeo per i diritti umani all’interno del Consiglio d’Europa del 19 giugno 2009, hanno affermato - ricorda l’Aimmf - la necessità di alternative al procedimento penale e alcuni principi fondamentali relativamente alle sanzioni penali".

L’Aimmf sottolinea poi che dal Commissario europeo per i diritti umani è stato raccomandato che "l’irrogazione della pena deve basarsi sul superiore interesse del minore; deve essere data priorità a misure non detentive e basate sulla comunità quale alternativa alla detenzione con un obiettivo educativo e riparativo; la custodia precedente al processo e la detenzione a scopi di assistenza e protezione vanno utilizzate solo in circostanze eccezionali e andrebbero predisposte misure alternative per ridurne il ricorso".

E, ancora, che "la detenzione deve essere una misura estrema; durante la detenzione i minori devono godere di tutti i propri diritti e una attenzione particolare va data alla loro sicurezza e salute, all’educazione nonché al mantenimento dei legami con amici e parenti; sono fondamentali strutture di piccole dimensioni con operatori ben preparati e in numero sufficiente che offrano programmi educativi e di reinserimento per preparare il minore alla sua reintegrazione nella società".

"Purtroppo - lamenta l’Aimmf - nel nostro ordinamento giuridico non è previsto che al minorenne condannato per un reato vengano applicate sanzioni diverse da quelle previste per gli adulti, come, ad esempio, sanzioni alternative alla detenzione con finalità educative e/o volte alla riparazione delle conseguenze del reato. Il riferimento principale in materia di sanzioni è ancora costituito solo dalla pena detentiva, la quale dovrebbe essere invece comminata come extrema ratio e solo per reati gravi o per casi di recidiva aggravata".

Rileva poi l’Aimmf che "l’inasprimento delle pene detentive per alcuni reati e la preclusione di alcuni benefici carcerari in modo indiscriminato anche per i minorenni, sono in contrasto con il principio rieducativo della pena e di tutela dei diritti dell’infanzia (articoli 27 e 31 della Costituzione e articolo 37 della Convenzione sui diritti del fanciullo) e con il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale che ha sempre ribadito che la finalità della risocializzazione del condannato minorenne potesse e dovesse essere garantita da valutazioni flessibili ed individualizzate. Dall’approvazione della legge numero 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) sono ormai trascorsi più di trent’anni senza - sottolinea l’Aimmf - che sia stato realizzato uno specifico ordinamento penitenziario minorile che disciplini in modo differenziato l’esecuzione della pena rispetto ai condannati minorenni, peraltro contrariamente a quanto previsto dall’articolo 79 della legge citata".

"In conseguenza della mancata attuazione di tale disciplina specifica e dell’irrigidimento rispetto alla concessione dei benefici penitenziari si è determinata all’interno degli istituti penali minorili una situazione che desta preoccupazione sotto vari profili - lamenta l’Aimmf - Vi è un problema di sovraffollamento, si veda, ad esempio, il caso dell’istituto penale di Nisida, con 64 ragazzi presenti su 32 posti letto, per cui le tensioni tra i detenuti e tra questi ed il personale penitenziario stanno aumentando, con incremento anche delle forme di disagio psichico, dell’aggressività’ verso se stessi (vedi i casi di tentato suicidio) e verso gli altri, come avvenuto anche in recenti episodi riportati dai media".

Per l’Aimmf, inoltre, "per effetto dei tagli della spesa pubblica si sono prodotte una progressiva riduzione del personale addetto alle carceri minorili, con aumento del rapporto tra ragazzi detenuti e numero di operatori e conseguente riduzione della possibilità di un trattamento individualizzato; una ridotta possibilità di inserimenti in comunità, venendosi così a creare la paradossale situazione per cui il carcere risulta l’unica misura cautelare utilizzabile in situazioni ove non è possibile adottare misure più lievi, con evidente rischio di forzatura anche delle decisioni della magistratura minorile".

"Va segnalato anche - aggiunge L’Aimmf - il problema della frequente violazione del principio della territorialità dell’esecuzione della pena, attraverso lo sradicamento dei detenuti, soprattutto minori stranieri, che vengono ‘deportati’ in carceri minorili lontani, interrompendo i legami familiari e amicali, il rapporto con i servizi del territorio e dell’amministrazione della giustizia e con violazione, nella fase delle indagini preliminari, del principio della disponibilità del detenuto da parte del giudice che ha emesso la misura cautelare".

Sul fronte propositivo, "in prospettiva vorremmo - sintetizza l’Aimmf - che cambiasse la politica penitenziaria per i minorenni, pensando a carceri di dimensioni ridotte, con la forma di comunità educativa, organizzate in piccole unità abitative (non più di dieci posti), che consentano relazioni e stili di vita personalizzate, evitando altri costosi investimenti nelle vecchie strutture, fino alla loro progressiva dismissione; ponendo gli educatori, che dovrebbero sostituire progressivamente gli agenti, come responsabili e attori del percorso trattamentale quotidiano, che programmano e gestiscono, insieme ai mediatori culturali per i detenuti stranieri, l’intera giornata dei minori nei vari momenti di studio, di formazione professionale, di orientamento e inserimento lavorativo, di socializzazione, di attività sportive e culturali, di mensa, di tempo libero e di riposo".

E, ancora, "educatori come figure professionali che siano per ogni minore di riferimento personalizzato, gli stiano vicino, lo ascoltino, progettino con lui il suo futuro, lo orientino al recupero della cultura della legalità; prevedendo un carcere minorile semi-aperto disciplinando in forma controllata e progressiva le relazioni con l’esterno e le uscite dei detenuti per attività culturali, di tempo libero, di studio, di formazione professionale, di orientamento e inserimento lavorativo per attivare nei minori dei processi di maturazione, di responsabilizzazione, di consapevolezza delle conseguenze socialmente negative delle proprie azioni e ai fini dell’acquisizione di nuove abilità sociali e del positivo inserimento e reinserimento nella comunità".

Giustizia: Franco Corleone; strutture aperte e assistenti sociali

 

Redattore Sociale - Dire, 18 novembre 2009

 

Il Garante dei detenuti fa appello al Comune di Firenze affinché attivi "assistenze sociali ad hoc in grado di prendere in carico i ragazzi disagiati".

Secondo Franco Corleone, garante dei detenuti del comune di Firenze, è necessario "pensare soluzioni alternative per i giovani che si macchiano di piccoli reati come furti o spaccio". "Serve più coraggio - dice Corleone all’indomani del suicidio del 17enne marocchino nell’istituto minorile fiorentino Meucci -. Serve una struttura aperta e non il micro carcere che scimmiotta quello per adulti". Ecco perché Corleone lancia un appello al comune di Firenze affinché attivi "assistenze sociali ad hoc in grado di prendere in carico questi ragazzi disagiati".

"Non dobbiamo solo interrogarci sulle morti in carcere - spiegano i responsabili dell’associazione Ristretti Orizzonti - ma anche sul senso di un uso della galera come parcheggio per tutto quello che ci dà fastidio. Le carceri oggi sono per lo più luoghi senza speranza, e allora può succedere anche che ci si uccida a diciassette anni. Le soluzioni ci sono, basta avere il coraggio di andare controcorrente, e cominciare a pensare a pene diverse dalla galera, invece di continuare a contare i morti e a fingere che queste carceri possano farci sentire più sicuri".

Giustizia: "bruciature di sigaretta" sul corpo di Stefano Cucchi

 

Il Giornale, 18 novembre 2009

 

Una profonda ferita circolare, ancora aperta, sul polpastrello del pollice della mano sinistra e tante piccole ferite simili tra i capelli, sulle ginocchia, sulla gamba destra che sembrano bruciature di sigaretta. Sono alcuni degli scatti che ritraggono lo stato terribile in cui era il corpo di Stefano Cucchi durante l’autopsia.

Le foto dell’autopsia Una delle foto più crude è quella che mostra il medico legale che apre la bocca del cadavere e si vede sotto il labbro superiore una grande ecchimosi. Le foto del volto in primissimo piano, oltre a quei profondi segni blu-rosso-viola intorno agli occhi, mostrano un grande rigonfiamento tra la palpebra sinistra e il sopracciglio e fanno vedere chiaramente l’osso del naso che sembra fratturato ed ecchimosi sulla mascella e sul collo. Lividi, segni rossi e macchie si vedono anche sulle anche, in particolare quella destra. Un corpo praticamente scarnificato, dove sono evidenti almeno tre tatuaggi: uno grande sul braccio sinistra, uno sulla gamba destra ed uno sul fianco destro. Macchie rossastre, lividi ed ecchimosi blu del possibile pestaggio si mischiano a quelle del cosiddetto post mortem.

La ricostruzione del testimone "Ma cosa ti hanno fatto?". "Ma non lo vedi? Mi hanno menato questi stronzi". Poche parole. Parole che furono una conferma a ciò che aveva visto pochi minuti prima dallo spioncino di una delle celle di sicurezza della cittadella giudiziaria romana di Piazzale Clodio: agenti della penitenziaria in divisa che picchiavano a calci e pugni Cucchi. La frase, riportata testualmente, è una delle confidenze che S.Y., il supertestimone, 31 anni originario del Gambia, detenuto per droga in una struttura di assistenza per tossicodipendenti, sostiene di aver avuto dal geometra romano il 16 ottobre scorso quando entrambi si trovavano nel tribunale di Roma per la convalida dei loro fermi. Una frase che è contenuta nella testimonianza resa a verbale ai pubblici ministeri che indagano sul decesso del giovane avvenuto il 22 ottobre nell’ospedale Sandro Pertini. Nell’incidente probatorio che si svolgerà sabato prossimo davanti al gip Luigi Fiasconaro, il testimone sarà chiamato a confermare non solo quella presunta confidenza, ma anche il resto del suo racconto diventato il principale atto di accusa nei confronti dei tre presunti aguzzini in divisa, accusati dalla procura di omicidio preterintenzionale: ossia di aver notato dallo spioncino della sua cella di sicurezza che alcuni agenti di polizia penitenziaria stavano prendendo a calci e pugni Cucchi, dopo averlo scaraventato in terra e trascinato nella cella, e di aver successivamente udito lamenti e altri rumori del presunto pestaggio.

L’inchiesta amministrativa Intanto l’inchiesta amministrativa del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per far luce su eventuali responsabilità nella morte di Cucchi non si é ancora conclusa ma il Dap ha nel frattempo disposto il trasferimento dei tre agenti penitenziari indagati dalla procura di Roma. Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici da oggi non prestano più servizio presso il nucleo "varchi" del Tribunale di Roma, ma sono stati per il momento trasferiti in tre unità differenti: il nucleo aeroportuale di Fiumicino, il carcere minorile romano di Casal del Marmo, il nucleo operativo traduzioni di Rebibbia.

I tre agenti sono stati trasferiti in via temporanea (tecnicamente si tratta di un "distacco" dal nucleo del Tribunale di Piazzale Clodio) e per motivi di opportunità, in attesa che si concluda l’inchiesta amministrativa disposta dal Capo del Dap, Franco Ionta. Il distacco dei tre agenti penitenziari indagati dalla procura di Roma sarebbe stato deciso dal provveditore regionale alle carceri del Lazio. Ma il legale di Minichini, l’avvocato Diego Perugini, smentisce il Dap: "Non sono stati trasferiti d’ufficio - spiega - ma hanno chiesto di essere distaccati per motivi di opportunità".

Dura presa di posizione di Leo Beneduci, segretario nazionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Osapp): "I colleghi saranno scagionati e il Capo del Dap Ionta dovrà pagare i danni - dice Beneduci -. Le dichiarazioni del proprietario della palestra, emerse oggi su tutti i quotidiani e riguardanti le macchie rossastre di Stefano Cucchi confermano elementi che portano a considerare una sola verità: quella a favore del Corpo di Polizia che rappresentiamo. Se nel corso dell’autopsia emergesse anche che quelle lesioni alla schiena sono il prodotto di calcificazioni già preesistenti è da escludere anche su questo fronte qualsiasi possibile atto di aggressione, ci troveremmo di fronte ad un altro scenario e la magistratura dovrebbe escludere definitivamente qualsiasi responsabilità in capo ai colleghi della Penitenziaria che sono stati coinvolti".

Giustizia: Cucchi; l'inchiesta amministrativa affidata ad Ardita

 

Ansa, 18 novembre 2009

 

È stata affidata a Sebastiano Ardita, responsabile della Direzione generale detenuti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, l’inchiesta amministrativa disposta dal capo del Dap Franco Ionta per far luce sulle responsabilità della morte di Stefano Cucchi.

Ardita, magistrato in servizio al Dap da 8 anni, dovrebbe concludere l’indagine amministrativa nel giro di 15-30 giorni circa. L’inchiesta del Dap - secondo quanto si è appreso da ambienti investigativi - sarebbe cominciata con uno scambio di informazioni con la Procura di Roma, che ha iscritto nel registro degli indagati 3 agenti della Polizia penitenziaria ipotizzando il reato di omicidio preterintenzionale del detenuto trentunenne.

Friuli: le carceri di Udine e Pordenone, rimaste senza psicologi

 

Messaggero Veneto, 18 novembre 2009

 

"Il livello di disagio e di disperazione dei detenuti e del personale operante negli istituti di pena è ormai giunto a un punto di non ritorno. Disturbi gravi di tipo depressivo, psicosomatici, d’ansia, aggressioni, suicidi, sono troppo frequenti. Certamente mancano psicologi convenzionati con le Aziende sanitarie e operanti nelle carceri regionali. A questo proposito ricordo come a Udine le psicologhe siano state licenziate, mentre a Pordenone si sono licenziate, per cui solo gli psicologi di Trieste, Tolmezzo e Gorizia sono tuttora operativi". È quanto sostiene il consigliere regionale del Pd Sergio Lupieri che ha presentato un’interrogazione al presidente della Regione, Renzo Tondo. Ma qual è attualmente la situazione nel carcere di Pordenone?

Nella struttura opera una psicologa libera professionista convenzionata con l’istituto e da quest’ultimo pagata. Per quanto riguarda il supporto ai detenuti tossicodipendenti, è il Sert che dal 2003 invia il personale, mentre prima dipendeva dal ministero della Giustizia. Gli psicologi del Sert non prestano più servizio al carcere di Pordenone mentre un medico specialista viene chiamato al bisogno.

Da sottolineare che nel carcere di Pordenone le problematiche psicologiche legate alla tossicodipendenza sono marginali dal momento che la struttura ospita perlopiù detenuti per reati di carattere sessuale e contro i minori. Per il consigliere del Pd, infine, "urge attivare un osservatorio regionale con compiti di verifica dei livelli di attuazione di quanto previsto dalla Costituzione".

Firenze: condizioni igiene carenti, detenute in sciopero di fame

 

Ansa, 18 novembre 2009

 

Le detenute del reparto femminile del carcere di Sollicciano stanno attuando uno sciopero della fame, per richiamare l’attenzione sulle carenti condizioni igieniche, sulla scadente qualità del vitto, per la presenza di topi nei cortili, di insetti nelle celle, per i sanitari rotti e per l’assistenza sanitaria inadeguata. Le detenute denunciano inoltre la mancanza di acqua calda da due mesi, le infiltrazioni di umidità, la scarsità di materiali per la pulizia, il malfunzionamento del riscaldamento, la rarità delle visite della Asl.

I problemi denunciati non hanno trovato finora soluzione, neanche dopo l’incontro che le rappresentanti delle detenute hanno avuto con il magistrato di sorveglianza. Infine lo sciopero della fame delle detenute è attuato anche in solidarietà con una di loro che ha iniziato dal 2 novembre uno sciopero oltre che della fame anche della sete. I consiglieri provinciali Andrea Calò e Lorenzo Verdi (Prc-Pdci-Sc) chiedono al presidente della Provincia ed all’assessore competente di rispondere in merito alle azioni e alle iniziative che l’Amministrazione Provinciale intende prendere per contribuire a dare una soluzione positiva alle questioni poste dalle detenute di Sollicciano.

Modena: 571 detenuti per 200 posti, massimo storico presenze

 

Asca, 18 novembre 2009

 

Il Sant’Anna ha raggiunto il suo massimo storico: 571 i detenuti presenti. Ormai non ci sono più nemmeno abbastanza lenzuola per tutti. La denuncia arriva dai sindacati della penitenziaria, il Pd ha chiesto al direttore di poter visitare la struttura.

I numeri parlano da soli: il Sant’Anna è un carcere da 220 posti, la capienza massima, in caso di emergenza è di 400. Ogni cella dovrebbe ospitare due, massimo tre persone. Ma ad oggi alla casa circondariale di Modena ci sono 571 detenuti, il massimo storico raggiunto dal carcere, in ogni cella dormono cinque reclusi. I letti sono finiti da tempo, ma anche se ci fossero non ci sarebbe lo spazio materiale per sistemarli.

E ora sono finiti anche materassi e lenzuola. Non basta, 36 trasferimenti sono stati autorizzati, ma - dicono i sindacati - serve una copertura finanziaria che per ora non c’è. Polizia sotto organico, ma, ha spiegato il direttore Paolo Madonna, anche i funzionari direttivi non sono quanti previsti, dovrebbero essere quattro ma ce n’è solo uno. I detenuti vivono in condizioni igieniche disumane, i percorsi di recupero sono sempre più difficili, e ovviamente il clima dietro le sbarre diventa sempre più rovente.

Ed esasperati ormai lo sono anche i poliziotti della penitenziaria, non più in grado di governare la situazione all’interno del carcere che si aggrava di giorno in giorno. L’allarme arriva dai sindacati di polizia penitenziaria, Cgil, Uil, Cnpp e Sinappe, sempre più pessimisti sulla possibilità che arrivino rinforzi significativi di agenti e contemporaneamente che si organizzino rapidi trasferimenti consistenti di detenuti.

I rappresentanti della penitenziaria puntano il dito contro il governo, che continua a tagliare fondi alla sicurezza. Per questo i sindacati invitano le amministrazioni locali a effettuare un sopralluogo approfondito al carcere e si appellano ai parlamentari modenesi perché si attivino per far destinare in Finanziaria più risorse al comparto.

Ferrara: Garante; 3 detenuti per cella e superlavoro per agenti

 

La Nuova Ferrara, 18 novembre 2009

 

"Nella cella singola di 12 metri quadrati, comprensiva di 3 per il bagno, ci stanno tre persone: le condizioni di vita prevedono di stare in piedi a turno, la deambulazione è resa difficile dato che le brande occupano lo spazio insieme con le suppellettili minime a disposizione". È una delle fotografie che ritraggono la situazione del carcere dell’Arginone. Gli "scatti" sono opera di Federica Berti, la garante delle persone private della libertà personale che ieri ha presentato in consiglio comunale la relazione sull’attività svolta dal gennaio 2008 a oggi.

"Le condizioni igieniche dell’istituto sono garantite" - afferma la garante dei detenuti - ma vivere in un carcere sovraffollato è un problema per tutti, anche per gli agenti di polizia penitenziaria: "Le singole sezioni risultano distribuite lungo 90 metri di lunghezza; 6 sezioni hanno 26 celle, una sezione ne ha 18, con una media di 78 detenuti per sezione. Il personale di polizia, ridotto a una sola unità per sezione, deve percorrere i 90 metri e seguire 78 persone, il tutto con un notevole sforzo sia fisico che mentale. Grande è la responsabilità dell’unico addetto che non è neppure munito di un telefono cordless ed è costretto a raggiungere la gabbiola per rispondere all’unico telefono fisso della sezione".

Altri rilievi mossi dalla garante riguardano la mancanza del mediatore socio-sanitario, la necessità di protesi dentarie anche per giovani detenuti, la necessità di percorsi idonei all’inserimento nelle comunità terapeutiche dei tossicodipendenti. Inoltre i locali doccia vengono ritenuti insufficienti, "un dramma raccolto anche dal senatore Filippo Berselli nella sua recente visita".

La relazione arriva proprio nei giorni in cui sono attesi in via dell’Arginone i cinque nuovi agenti di Polizia penitenziaria (più un ispettore) inviati dal ministero per passare da 166 a 171 guardie, ma dovrebbero essere 232. Contro una capienza regolare di 256 e una tollerata di 466, alla fine di settembre i detenuti nel carcere ferrarese sono 536, di cui 235 italiani e 301 stranieri. Berti li incontra a cadenza settimanale, e ad oggi le pratiche avviate per loro richieste sono un’ottantina.

Spoleto: Martellini (Pd); 462 detenuti... il carcere all’implosione

 

Il Messaggero, 18 novembre 2009

 

Il vicepresidente del Consiglio comunale di Spoleto, Paolo Martellini, ha presentato oggi un ordine del giorno sulla difficile situazione in cui versa il carcere della città.

"Il carcere di Spoleto" - afferma Martellini - "è ormai al limite dell’implosione: il numero dei detenuti è passato dai 270 di aprile ai 462 di oggi. Tali presenze, secondo fonti ministeriali, potrebbero ulteriormente aumentare fino a circa 600 nel giro di pochi mesi, per l’invio da parte del Dap di altri detenuti per fronteggiare le emergenze di altre carceri italiane".

"La situazione è drammatica" - prosegue l’esponente del Pd - "anche sul fronte della polizia penitenziaria: l’organico che dovrebbe essere assegnato alla Casa di Reclusione di Spoleto è di 388 unità, ma ad oggi sono solo 334 gli agenti in servizio; 19 di questi sono distaccati in altre sedi e si contano quindi 311 unità operative effettive, 77 in meno rispetto a quelle necessarie ad oggi. È evidente che il mancato incremento di operatori penitenziari sia del comparto polizia che civile (educatori, volontari, personale amministrativo) porterebbe inevitabilmente al collasso l’istituto della nostra città, con conseguenze per l’ordine pubblico e la sicurezza di tutta la cittadinanza".

"Per tutti questi motivi" - conclude il vicepresidente - "chiedo che il Sindaco e la Giunta comunale si impegnino a rinnovare l’intervento presso il Ministero della Giustizia, per sollecitare una rapida soluzione del problema del sovraffollamento e della carenza di personale nel carcere di Spoleto, e a porre in essere tutte le ulteriori iniziative necessarie a garantire l’ordine pubblico e la sicurezza nella città".

Rovigo: morì di overdose in cella, ministero risarcisce famiglia

 

Il Mattino di Padova, 18 novembre 2009

 

Era morto a 35 anni nella sua cella per overdose di eroina. Tossicodipendente e alcolista, avrebbe dovuto essere sorvegliato. Così non è avvenuto. E il Ministero della Giustizia è stato condannato dal giudice civile a pagare 182 mila euro di risarcimento danni alla sorella di M.F., spirato all’alba del 28 dicembre 2000 nel carcere di Rovigo. È dell’avvocato padovano Matteo Mion la vittoria e il riconoscimento che "sono stati violati gli specifici obblighi di controllo sui detenuti". Da qui la conseguenza: "Il ministero della giustizia è responsabile... per non aver impedito il verificarsi della morte di M.F." aveva scritto il legale. Tesi recepita dal giudice che ha condannato il Ministero. Al rientro da un permesso premio, era stato un compagno di cella a dare l’eroina a M.F.: l’uomo non era stato controllato dalle guardie.

Stati Uniti: pena morte; ex agente segreto sulla "sedia elettrica"

 

Associated Press, 18 novembre 2009

 

Un ex ufficiale del controspionaggio dell’esercito è stato giustiziato ieri sulla sedia elettrica in Virginia nel carcere Greensville di Jarratt. L’ultima esecuzione sulla "sedia" negli Stati Uniti era avvenuta nel giugno del 2008. Larry Bill Elliott è stato giustiziato per aver sparato su Dana Thrall, di 25 anni, e su Robert Finch, 30 anni. Li uccise per conquistare l’amore di una spogliarellista, che aveva una disputa per la custodia di un bambino con l’uomo assassinato. Il sessantenne Elliott è il più vecchio condannato a morte della Virginia. In questo Stato i condannati possono scegliere di morire sulla sedia elettrica o con una iniezione letale.

Russia: denunciò corruzione governo, avvocato muore in cella

 

Apcom, 18 novembre 2009

 

Secondo quanto reso noto dalla società di Browder, l’avvocato sarebbe deceduto nel carcere moscovita di Butyrka per le conseguenze di una infiammazione del pancreas cui non sono state prestate le dovute cure mediche. Sulla questione, l’avvocato incarcerato e i suoi legali avevano avviato ricorsi legali. Secondo Hermitage Capital, il fondo di investimenti entrato in rotta di collisione con le autorità russe, la morte di Magnitsky è stata causata proprio dalla rottura di una membrana pancreatica, e questo pochi giorni dopo la proroga dello stato di custodia, decisa da un tribunale moscovita malgrado le precarie condizioni di salute del detenuto.

"La polizia lo ha ucciso - ha dichiarato Jamison Firestone, associato di Fireston Duncan, la società legale per cui lavorava Magnitsky. "Non so se volessero ucciderlo oppure solo fare enorme pressione su di lui, certo volevano che presentasse false prove per rafforzare il loro dossier contro Hermitage", dice il manager al Financial Times. Accuse respinte dal ministero dell’Interno, secondo cui "il fascicolo contro Magnitsky è solido" e non ci sarebbe stato motivo di sperare nella sua morte, data l’alta probabilità di una condanna, una volta alla sbarra. Il caso Magnitsky rimanda direttamente al più ampio Dossier Browder, dal nome dell’investitore che ha denunciato una dilagante corruzione nell’elite finanziaria moscovita e che dal 2005 non può più entrare in Russia per motivi "di sicurezza nazionale".

Quando il fisco russo ha avviato un’inchiesta sul "fondo militante", Browder ha rilanciato con una sua propria indagine, a sostegno della denuncia di una enorme frode fiscale all’ombra dello stesso ministero dell’Interno. Magnitsky fu arrestato poco dopo la sua testimonianza sul caso. "È stato abbastanza coraggioso da puntare il dito contro la corruzione nelle file della polizia. La sua morte non può essere invano", ha dichiarato al Financial Times Browder.

 

 

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