Rassegna stampa 19 marzo

 

Giustizia: il carcere non è la soluzione del "problema sicurezza"

 

Redattore Sociale - Dire, 19 marzo 2009

 

"In questo periodo di paura e di allarme sociale lo Stato deve avere più coraggio dei cittadini: stop all’idea che il carcere sia la soluzione ideale per risolvere il problema della sicurezza".

È chiaro Emilio Di Somma, vice capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che è intervenuto ieri pomeriggio al convegno "Il Carcere, un luogo da cui ripartire". Accanto a lui sedevano Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti, Angelo Zaccagnino, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per il Lazio, Valentina Aprea, Presidente VII Commissione Cultura, Camera dei Deputati e Silvia Costa, Assessore all’Istruzione, Diritto allo Studio e Formazione della Regione Lazio.

Sul tema del trattamento (formazione in carcere, chance di imparare un mestiere per uscire dai circuiti della delinquenza) come modello inclusivo si sono confrontate le diverse opinioni degli ospiti, convenuti nel pomeriggio a commentare la presentazione dei dati conclusivi del progetto Chance. L’iniziativa, che ha realizzato corsi di formazione in 8 Istituti penali nella Regione Lazio, infatti parte da un assunto fondamentale: il sapere come strumento di crescita individuale e collettiva nel convincimento che per parlare di rieducazione e di reinserimento nella società non si possa prescindere dalla educazione al vivere sociale.

"Il 40% del budget del ministero della Giustizia è dedicato all’amministrazione penale - ricorda Di Somma - ma questa non si declina solo nell’azione penale come esecuzione della condanna ma deve prevedere anche il trattamento e l’inclusione e noi - confessa - non lo facciamo nel modo migliore". Sulla necessità di mantenere la sicurezza si esprime invece Zaccagnino, per il quale il reinserimento sociale coincide "con il fare sicurezza: siamo calati nella realtà dalla quale siamo ogni giorno scossi - racconta - ma se le carceri sono sovraffollate dobbiamo gestire in un clima di sicurezza le crescenti tensioni date dall’aumento del numero di persone in cella, dalle condizioni difficili e dalle convivenze fra persone di diverse nazionalità".

La formazione quindi, per il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per il Lazio, deve essere quindi "sostenibile, e non solo per coloro ai quali è rivolta ma soprattutto per tutti coloro che nell’Istituto penale ci lavorano". Tutela quindi anche dei diritti degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori, degli psicologi e di tutto il personale che, soprattutto in periodi di sovraffollamento "vivono una situazione difficile da gestire". Per Marroni invece l’obiettivo deve essere quello di puntare all’inserimento nella società del detenuto che deve avere la possibilità, uscito dal circuito penale, di poter lavorare senza pregiudizi, operando nella legalità". In questo senso è importante investire non solo in una maggiore vivibilità delle carceri ma anche, a livello politico, su norme che "non producano altro carcere".

Aprea ha invece sottolineato l’importanza di un’educazione permanente: "Questo concetto è valido per le persone normali, figuriamoci per coloro che hanno vissuto fuori dalle regole e per le quali il rientro, per nulla scontato, deve essere organizzato e ben strutturato". Bene quindi per la parlamentare Pdl "un progetto come quello Chance che ha permesso la reale formazione dei detenuti.

È opportuno, intelligente e utile promuovere iniziative di questo tipo che possano aiutare a dare competenze e strumenti ma anche a ricostruire scale valoriali e reti di relazioni". Reti di relazioni che si recuperano prima di tutto attraverso il mondo del volontariato e del privato sociale, che attraverso cooperative e microiniziative sorregge e affianca il lavoro di trattamento per i detenuti: "Ricordiamoci del lavoro silenzioso di chi ogni giorno viene fatto per coloro che si trovano a vivere in carcere - conclude Costa - con loro la Regione Lazio lavora per premiare il lavoro di inclusione sociale".

Giustizia: serve un Garante nazionale per i diritti dei detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 19 marzo 2009

 

Lo chiederà il Coordinamento dei garanti nel convegno nazionale in programma oggi. Bruno (comune Bologna): "È previsto da una risoluzione Onu del 1993". Nuovo allarme per il sovraffollamento: "In Emilia la situazione più grave".

I garanti dei detenuti si riuniscono a Bologna per chiedere "un organismo di garanzia su scala nazionale", per usare le parole di Desi Bruno, che ricopre l’incarico per il comune di Bologna. Un "garante nazionale", in altre parole, "come del resto viene richiesto - aggiunge la Bruno - da una risoluzione Onu del 1993".

La proposta verrà avanzata oggi 20 marzo in occasione del secondo convegno nazionale del Coordinamento nazionale dei garanti, in programma dalle 8.30 nella sala polivalente della Regione, in via Aldo Moro 50.L’appuntamento è caratterizzato "da un primo segnale positivo - continua Desi Bruno -: la modifica dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario, che ora permette la visita dei garanti negli istituti penitenziari senza previa autorizzazione". Per la Bruno si tratta "finalmente del riconoscimento finalmente pieno del ruolo dei garanti". Soddisfazione anche dal consigliere comunale Sergio Lo Giudice, artefice dell’istituzione del garante a Bologna, "siamo stati fra i primi comuni in Italia a introdurre questa figura: il riconoscimento era il nostro obiettivo".

Al centro del convegno di venerdì ci sarà per forza di cose il sovraffollamento delle carceri italiane. Gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia rinnovano infatti l’allarme: a fine febbraio le presenze hanno superato quota 60 mila, a fronte di una capienza di 43 mila posti. L’Emilia Romagna, fra l’altro, è la regione italiana con il più alto tasso di sovraffollamento (189%), con 4.302 presenze e 2.274 posti disponibili. "Siamo tornati ai livelli della fase pre-indulto - spiega Desi Bruno -, e in più gli interventi normativi andranno ad elevare il tasso di carcerazione". La critica è a una legislazione che aumenta i reati punibili col carcere, a fronte di un calo delle risorse finanziarie a disposizione dell’amministrazione penitenziaria. "Tutte le tensioni sociali si ripercuotono sul carcere - conferma il provveditore regionale Nello Cesari -: non a caso gli stranieri non comunitari rappresentano oggi il 55% della popolazione carceraria, e per molti di essi il rimpatrio comporta gravi difficoltà".

La costruzione di nuove carceri annunciata dal governo potrebbe risolvere il problema? "L’aspetto che noi garanti critichiamo - risponde Desi Bruno - è l’utilizzo dei 100 milioni della cassa ammende del ministero della Giustizia, destinati originariamente ai progetti per i detenuti". In Emilia Romagna, comunque, sono in cantiere "800 nuovi posti entro il 2010 - spiega il provveditore -: costruiremo padiglioni aggiuntivi a Piacenza, Ferrara, Parma e Modena, ed è in programma la costruzione di un nuovo istituto a Forlì".

Fra questi, solo l’intervento di Parma sarà finanziato con i soldi della cassa ammende, ma non mancano le preoccupazioni sul personale che dovrà lavorare nei nuovi spazi. "L’obiettivo da raggiungere - aggiunge Cesari - sono i 4.500 posti in tutta la regione. Per questo ho lanciato un appello: attualmente l’amministrazione penitenziaria spende 450 mila euro per le locazioni, potremmo risparmiarli ristrutturando e utilizzando le ex caserme o i vecchi edifici penitenziari".

Giustizia: Ionta studia il piano carceri; istituti leggeri e pesanti

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

Appena due giorni fa il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, pronunciava parole pesanti come pietre: "siamo fuori dalla Costituzione riguardo al principio di umanità nell’esecuzione della pena". Ora tocca al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, neo-commissario straordinario per l’edilizia carceraria, mettere nero su bianco, entro il prossimo maggio, un piano straordinario per trovare soluzioni concrete (e veloci) al macroscopico problema del sovraffollamento, che nei 206 istituti italiani ha sforato la soglia dei 60mila detenuti contro i 43mila posti regolamentari.

"È un equilibrio difficile quello tra trattamento e sicurezza, ma è una sfida che va affrontata e vinta", dice Ionta aprendo una conferenza sul carcere presso la Scuola di perfezionamento delle Forze di polizia. Certo, riflette, "quando un delitto è compiuto senza i connotati della violenza credo che la prigione dovrebbe essere l’ultima possibilità", anche perché con le misure alternative si eviterebbe l’inesorabile ingresso di nuovi detenuti. Ma - ammette il capo del Dap - il momento attuale non è dei più favorevoli a scelte del genere ed infatti"‘di fronte ai gravi delitti di queste ultime settimane la risposta sociale e politica è quella di maggiore carcerizzazione".

La strategia allo studio del Dap è dunque è in tre mosse: ristrutturare le carceri già esistenti per recuperare più posti letti; costruire nuovi padiglioni in istituti già esistenti; edificare carceri ex novo, anche con fondi privati attraverso lo strumento del project financing (la ditta privata mette i soldi per i nuovi istituti ma chiede di rientrare con un canone pagato dall’Amministrazione penitenziaria).

Obiettivo: recuperare 13mila nuovi posti. Ma la vera novità sarà nel ridisegnare la mappa della tipologia degli istituti, dividendoli in pesanti per "detenuti particolarmente pericolosi che hanno commesso crimini con violenza", e in leggeri per coloro che sono considerati a bassa pericolosità.

Nel primo caso saranno previste misure di sicurezza particolarmente elevate, mentre nel secondo - dice Ionta - si apriranno di più gli spazi di socialità, facendo sì che la cella diventi solo un luogo di riposo, e comunque senza rinunciare al controllo della polizia penitenziaria. In quest’ultimo caso, e più in particolare per i detenuti in attesa di giudizio (circa 12mila-14mila) Nicolò Ghedini, avvocato-parlamentare del Pdl e consigliere giuridico del premier ha più volte ipotizzato strutture prefabbricate da costruire in aree demaniali in 8-10 mesi.

Ionta non ne fa cenno ma si sofferma sul fatto per gli attuali 8mila detenuti più pericolosi in regime di Alta Sorveglianza ora disseminati in 80 istituti penitenziari la tendenza sarà alla concentrazione in istituti ad hoc (e altrettanto è si sta studiando per i circa 600 detenuti in 41 bis, il cosiddetto carcere duro ora scontato in una ventina di carceri e in futuro in due-tre strutture).

Tuttavia - avverte il capo del Dap - prima di fare scelte definitive si dovrà valutare attentamente chi potrà stare nello stesso carcere e chi no, a seconda dell’appartenenza criminale. La penuria di fondi e di agenti penitenziari da impiegare per le nuove carceri è poi un’altra questione spinosa: il Cipe ha stanziato 200milioni di euro ma saranno sufficienti alla costruzione di appena quattro carceri (per un totale di circa 2mila posti), mentre gli agenti sono in deficit di organico di circa 5mila unità ma di nuove assunzioni, almeno per il momento, non se ne parla.

Giustizia: Ionta; più centralità sul 41-bis, bene tribunale unico

 

Agi, 19 marzo 2009

 

"Per il regime carcerario 41-bis ci sarebbe bisogno di una centralità sul piano operativo e un’uniformità dei giudizi". È quanto ha dichiarato questa mattina Franco Ionta responsabile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nel corso di una lezione presso la scuola di perfezionamento per le forze di polizia.

Per il responsabile del Dap sarebbe utile concentrare le decisioni del 41 bis in un unico tribunale del riesame per non creare "una disparità di trattamento". "La concentrazione in un unico tribunale di questi provvedimenti - ha detto Franco Ionta - sarebbe una cosa saggia. Sono sempre stato favorevole a concentrare in un unico punto certe materie che riguardano la sicurezza dello stato, così come per l’antimafia e l’antiterrorismo".

Alcuni giorni fa un gruppo di giudici del tribunale di sorveglianza di Roma hanno firmato un documento indirizzato al Consiglio superiore della magistratura dove esprimevano la propria contrarietà al concentramento dei detenuti in regime di 41 bis in poche strutture.

"Io condivido - ha detto ancora Franco Ionta - la decisione del Parlamento di dedicare alcune strutture particolari ai detenuti in 41 bis. Questo non significa ghettizzare le persone ma tener conto dell’alto tasso di pericolosità. Penso che la razionalizzazione del sistema passi per la allocazione territoriale, concentrando i detenuti pericolosi in un numero ristretto di carceri".

Pienamente favorevole all’ipotesi di accentrare nel Tribunale di Sorveglianza di Roma la competenza, ora di 20 Tribunali, sui reclami contro il regime di 41 bis (il cosiddetto carcere duro), il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ritiene non fondate le obiezioni sollevate qualche giorno fa da 14 giudici del tribunale di sorveglianza della Capitale in un documento inviato al Csm: "è una previsione saggia, che non viola il principio del giudice naturale precostituito per legge. Il 41 bis - osserva - è un regime particolare che necessita di particolare competenza e uniformità di valutazione".

Nel corso di una conferenza dedicata al "carcere quale linea di confine tra trattamento risocializzante e possibilità di mantenimento della scelta deviante", Ionta insiste sul fatto che "certe materie che riguardano la sicurezza dello Stato non possono essere polverizzate ma vanno concentrate. E in questo senso - osserva - è stata positiva la mia esperienza alla procura di Roma, unica competente su tutti quei crimini commessi all’estero in danno dei contingenti militari".

Il capo del Dap, inoltre, condivide anche l’altro punto di modifica al regime del 41 bis, previsto dal ddl ora all’esame della Camera: concentrare in strutture penitenziarie ad hoc i circa 600 detenuti sottoposti al carcere duro ora disseminati in 20 carceri: "il testo indica strutture preferibilmente insulari, ma che si tratti di isole o no - conclude - l’importante è che i detenuti in 41 bis siano allocati in poche strutture, due o tre, con determinate caratteristiche".

Giustizia: Ardita (Dap); c’è "turn-over frenetico" dei detenuti

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

Nelle carceri italiane c’è un turnover frenetico dei detenuti che rende difficile la rieducazione: per 90 mila che entrano ogni anno ne escono almeno 85 mila. Lo ha detto Sebastiano Ardita, direttore dell’ufficio detenuti del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), intervenendo a un incontro al Palazzo di giustizia di Milano.

"Prima dell’indulto del 2006, per 100 mila detenuti che entravano ne uscivano 98 mila - ha detto Ardita - Negli ultimi anni la tendenza si è ridotta, ma resta sempre forte. C’è un turnover frenetico che rende difficile operare per il trattamento di rieducazione del condannato".

Secondo Ardita, le cause principali di questa situazione sono "l’ampliarsi a dismisura dell’area del penale e la lunghezza infinita dei processi". "Il carcere è ormai soprattutto un luogo di transito per periodi di 20-30 giorni: il tempo per rischiare di prendersi una malattia o di frequentare cattive compagnie", ha detto Ardita.

Su circa 60 mila detenuti in Italia - ha riferito - più di un terzo sono stranieri, più di un quarto tossicodipendenti e circa il 10% affetti da patologie psichiche.

Giustizia: Osapp; piano carceri, Ionta sembra caduto da nuvole

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

Una sollecitazione a fare chiarezza sulla quantificazione dei fondi per costruire le nuove carceri e sul personale di polizia penitenziario per gestire i nuovi istituti viene dall’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) che così replica al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, a proposito del piano straordinario sull’edilizia carceraria da presentare entro il prossimo maggio.

"Vincere le sfide che si prefiggono è importante - afferma il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, in una nota - ma il dott. Ionta sembra come caduto dalle nuvole quando idealizza un sistema distinto tra carceri pesanti e carceri leggere. La sensazione è quella di una persona che scopre solo adesso l’esistenza di certe norme, quelle che appunto riguardano il trattamento penitenziario, quando invece la realtà, e siamo ben lieti che se ne accorga ora, è ben lontana da tutto questo. Esortiamo il dott. Ionta a scendere sulla terra perché - conclude Beneduci anche per il piano carceri che deve presentare a maggio non vi è del tutto chiarezza".

Giustizia; educatori; Alfano parla, ma non risolve i problemi

 

Adnkronos, 19 marzo 2009

 

"Il ministro Alfano continua a ripetere, da mesi, le stesse parole sui problemi delle carceri: va in tv e alla radio, dichiara alle agenzie di stampa, concede interviste ai giornali. Ma il risultato non cambia: le carceri sono sempre più affollate e le cose peggiorano giorno dopo giorno". Lo afferma Roberto Greco, segretario nazionale del Col.Edu.Pen (Collettivo educatori penitenziari), chiedendo se "il signor ministro ha capito o no che è il momento di passare dalle parole ai fatti? E sa o no che tra i fatti improrogabili c’è anche l’assunzione degli educatori penitenziari vincitori di concorso, per i quali lo stesso signor ministro aveva solennemente promesso l’assunzione mesi fa?".

Secondo Greco si tratta di "uno scandalo senza fine. Il ministro pensi meno alla sua immagine e dedichi più tempo alla soluzione concreta dei problemi nelle carceri, che lui stesso ha definito fuori dalla Costituzione. Lui non deve denunciare, lui deve risolvere i problemi".

Giustizia: l'Ordine assistenti sociali; tornano i figli di nessuno?

 

Comunicato stampa, 19 marzo 2009

 

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali continua ad esprimere un forte allarme sul "pacchetto sicurezza" e si allea a tutte le categorie degli operatori sociali in un appello al buon senso.

Aumenta l’allarme degli Assistenti sociali italiani a fronte di quanto sta emergendo dal ddl contenente "Disposizioni in materia di sicurezza", passato al Senato e ora all’esame delle commissioni della Camera. Sono soprattutto due gli aspetti che, se confermati, sarebbero incompatibili con i principi deontologici dell’Assistente sociale.

La trasformazione dell’immigrazione clandestina in reato perseguibile d’ufficio imporrebbe all’Assistente sociale, così come ad ogni altro pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, di denunciare (ai sensi di quanto disposto dall’articolo 331 del C.P.P.) l’immigrato irregolare con il quale dovesse aver a che fare nel suo lavoro. Ciò è inaccettabile per un professionista che ha come compito primario, attribuitogli dallo Stato e dal proprio Codice deontologico, quello di offrire sostegno e aiuto a chi si trova in condizione di bisogno e di disagio sociale, nel rispetto assoluto del valore e della dignità di ogni persona, qualunque sia la sua condizione. Questo gli Assistenti sociali hanno sempre fatto all’interno dei servizi pubblici e privati e questo continueranno a fare. Il rispetto delle leggi è dovuto ma, sopra tutto, c’è il rispetto della persona.

Cresce l’indignazione anche per quanto sembra essere previsto nel decreto sull’impossibilità di registrare all’anagrafe il neonato figlio di immigrato clandestino (art. 45, comma 1 lett. f). Con questa norma il nostro paese si metterebbe fuori da ogni regola di rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti dei bambini. Non va dimenticato che il Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato a New York nel 1966, e la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n° 176) prevedono, il primo all’articolo 24 e, la seconda, all’articolo 7, il diritto del bambino ad essere registrato immediatamente dopo la nascita e il diritto al nome e all’identità.

Si pensa di poter garantire la sicurezza, creando un esercito di bambini invisibili e aumentando anche il rischio di parti clandestini? Gli Assistenti sociali non potranno mai accettare che in nome della sicurezza si colpiscano i bambini!

È per questo che gli Assistenti sociali si uniscono al coro delle organizzazioni mediche, dei giuristi, degli operatori sociali e di larga parte della società civile, richiamando l’attenzione del Governo sul provvedimento che, se ratificato dalla Camera, rischia drammatiche ripercussioni.

 

La Presidente dell’Ordine

Franca Dente

Giustizia: Lega; castrazione chimica, noi siamo con le vittime

 

Iris, 19 marzo 2009

 

"Prendiamo atto della richiesta del governo che invita a ritirare l’emendamento sulla castrazione chimica per discuterlo in maniera più approfondita nel testo in discussione alla camera contro la violenza sessuale" Carolina Lussana, deputata della Lega, parla della proposta avanzata sul suo partito per combattere gli stupri.

"Faremo le nostre valutazioni. Ribadiamo comunque che la nostra proposta di castrazione chimica è prevista su base volontaria, è reversibile, disposta da un magistrato, sottoposta a controlli del servizio sanitario nazionale e ad interventi di psicoterapia. Non prevede sconti di pena; se il detenuto non vi accede non può godere di benefici penitenziari" spiega l’esponente del Carroccio.

"Vedremo con quale strumento legislativo attuarla, ma per noi resta ferma la volontà di far approvare la sperimentazione di una misura che in altri paesi è già legge senza alcuna polemica. Mi spiace l’atteggiamento di chi non avendo neanche approfondito seriamente la nostra proposta si dichiara ideologicamente e pregiudizialmente contrario. Noi siamo dalla parte delle vittime che non ne possono più di un buonismo di maniera" conclude Lussana.

Giustizia: Franco (Pd); la castrazione chimica, è inaccettabile

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

"È chiaro che lo stupro è un reato molto grave, che va combattuto con la prevenzione e con la repressione. Potremmo essere favorevoli anche ad un inasprimento delle pene. Ma alle punizioni corporali, che violano l’integrità fisica, come la castrazione chimica che viene proposta per emendamento alla Camera, noi siamo assolutamente contrari".

Lo ha detto la senatrice Vittoria Franco, responsabile nazionale Pari Opportunità del Pd ai microfoni di Radio 1. "Chi commette il reato di stupro - sottolinea vittoria Franco - va punito severamente e seriamente e la pena deve essere certa ma deve puntare alla riabilitazione del condannato Il detenuto deve essere messo nelle condizioni, uscito dal carcere, di non reiterare le violenze, anche attraverso terapie psicologiche.

La castrazione chimica invece può diventare addirittura irreversibile e comunque configura una violazione del principio dell’integrità del corpo, violazione che non può essere tollerata. Rispondere con la violenza alla violenza - conclude Vittoria Franco - ha un solo effetto: quello di accrescere la quantità complessiva di violenza nella società, e non è certo questo l’obiettivo che lo Stato di deve porre".

Lazio: "Progetto Chance"; formazione per oltre 500 detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 19 marzo 2009

 

Bilancio del progetto Chance: 28 corsi, 8 istituti coinvolti per oltre 23 mila ore complessive di corsi. Orsini (Tils): "Non erano percorsi professionalizzanti, ma hanno avuto una valenza formativa".

512 allievi detenuti, 28 corsi, 8 istituti coinvolti, 43 docenti e tutor dei centri territoriali scolastici impegnati e 46 insegnanti esterni ai circuiti di formazione nelle carceri: sono questi i numeri principali del Progetto Chance, conclusosi nell’ottobre 2008 e presentato ieri pomeriggio a Roma durante il convegno "Il carcere, un luogo da cui ripartire".

Il progetto di formazione scolastica per i detenuti delle carcere del Lazio ha visto coinvolti in partenariato quattro soggetti operativi nel mondo della comunicazione e della formazione: Tils, Noveris, Lazio Form e Uis. Le ore erogate sono state pari a 2.454 ore/corso, per un totale di 23.857 ore complessive di formazione.

"Il progetto è nato con l’intensione di valorizzare, potenziare e ottimizzare le esperienze interne alle carceri del Lazio - spiega Rossella Orsini, del Tils - e, laddove fossero riscontrate delle deficienze, portare correttivi metodologici". Il partenariato delle quattro aziende, che hanno vinto il bando del regione Lazio per la formazione scolastica negli istituti penitenziari, ha realizzato corsi di alfabetizzazione e scrittura creativa, corsi di arte, pittura, tessuto, mosaico, corsi di approfondimento linguistico e autopresentazione attraverso l’attività teatrale. Attenzione anche all’informatica, con percorsi formativi per il conseguimento della patente europea Ecdl.

"I nostri non erano percorsi professionalizzanti, ma hanno avuto una valenza formativa. - prosegue Orsini - Questo è stato fatto per creare una cittadinanza attiva e cercare di recuperare valori forse compromessi nel corso della vita dei detenuti". Il gradimento dei corsi, tutti realizzati tra aprile e ottobre 2008, è stato molto alto. Il motivo è da ricercare nel fatto che il progetto Chance ha fornito a ciascun detenuto un’attestazione delle attività svolte e delle competenze acquisite. I carceri coinvolti, 8 rispetto ai 14 previsti, sono stati i vari istituti di Rebibbia, la casa circondariale di Regina Coeli, quelle di Latina, Frosinone, Civitavecchia e Paliano.

Campania: Antigone; terzo detenuto suicida da inizio del 2009

 

Comunicato stampa, 19 marzo 2009

 

Un detenuto si è tolto la vita, ieri 17 marzo, nel carcere di Poggioreale. È il terzo suicidio in Campania e il secondo in questo penitenziario dall’inizio del 2009. Lo comunica l’Associazione Antigone Campania. "Secondo i nostri dati - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila - portavoce dell’Associazione - il carcere di Poggioreale ha raggiunto quota 2.700 presenze, 1.200 in più rispetto alla capienza ufficiale. Nel 2005, prima dell’indulto, le presenze erano 2.174. Siamo arrivati ad una situazione insostenibile tanto per i detenuti quanto personale che lavora in questa struttura. Nel corso di tutto il 2008 abbiamo registrato 5 suicidi. Ora siamo a 3 in soli tre mesi"

Complessivamente in Campania sono presenti, secondo i dati dell’Associazione 7.378 detenuti - 7.060 uomini e 318 donne. Ci sono, quindi oltre 2.000 detenuti rispetto alla capienza. La capienza ufficiale complessiva è di 5.328 posti (5117 per uomini e 211 per le donne).

Roma: un immigrato algerino muore nel Cie di Ponte Galeria

 

Comunicato stampa, 19 marzo 2009

 

Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "Il personale della Croce Rossa fa il massimo ma ci sono tante difficoltà nel far convivere centinaia di persone di lingue, culture e tradizioni diverse".

"Sono sicuro che il personale della Croce Rossa che gestisce il Cie di Ponte Galeria ha fatto il possibile, ma non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di una struttura che è la più grande d’Italia che si trova in permanente emergenza e, in situazioni come queste, disagi e situazioni impreviste possono sempre accadere senza possibilità di intervento immediato".

È il commento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni alla notizia della morte per arresto cardiaco nel Cie di Ponte Galeria, di un cittadino algerino di 42 anni. A quanto risulta al Garante l’uomo, con gravi problemi di tossicodipendenza, era arrivato a Ponte Galeria 2 giorni fa proveniente da Modena, probabilmente per essere espulso dal territorio italiano. "I 360 posti del Centro - ha aggiunto Marroni - sono sempre occupati, con tutte le difficoltà che comporta far convivere ed organizzare la vita di decine di persone di lingue, culture e tradizioni diverse". Proprio nelle scorse settimane era stato firmato, con la Croce Rossa che gestisce il centro, un Protocollo d’Intesa che consente ai collaboratori del Garante dei Detenuti di accedere al Cie per parlare con le persone ospitate e verificarne i bisogni e le necessità.

Milano: Osapp; San Vittore è al collasso, più detenuti a Bollate

 

Il Velino, 19 marzo 2009

 

"San Vittore è ormai al collasso e la responsabilità non esiste, soprattutto quando la catastrofe è a portata di mano e chi dovrebbe provvedere è ancora lì ben saldo sulla propria poltrona": lo denuncia Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria) che torna a chiedere misure urgenti al Provveditore Regionale della Lombardia e al Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, Ionta.

"Se nei giorni scorsi abbiamo denunciato Poggioreale quale istituto più sovraffollato d’Europa, Milano con una capienza tollerabile ferma a circa 800 detenuti e le presenze attuali che ormai sfiorano le 1.500 unità, non è da meno. Tutto questo - continua la nota - considerando la chiusura attuale di due reparti, che se fossero stati aperti già da qualche tempo, avrebbero portato l’istituto simbolo della città di Milano ad ospitare quasi 2500 detenuti.

Di fronte il dramma che vive San Vittore, è curioso pensare che il carcere di Bollate risulti essere sempre l’istituto di pena più esteso d’Europa, ed è curioso che non abbia la stessa densità di presenze che si registrano a Milano - continua l’Osapp -. Suggeriamo, a questo punto, al dottor Pagano l’apertura immediata dei reparti anche a Bollate, sperando che si riduca la capienza massima della Casa Circondariale meneghina.

Magari consigliamo al dottor Pagano di sollecitare anche l’intervento del Commissario straordinario, che nonostante le risorse siano sempre più scarse, e l’attesa per le nuove carceri sembri essere ormai speranza messianica, è l’unico a sprizzare ottimismo da tutti i pori, insieme al ministro".

Milano mostra sul carcere; "Libertà va cercando, ch’è sì cara"

di Giorgio Paolucci

 

Avvenire, 19 marzo 2009

 

Vigilando redimere. La mostra sulle carceri presentata allo scorso Meeting di Rimini sbarca al terzo piano del Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo.

Nel bel mezzo dell’emergenza carceraria, che registra un sovraffollamento delle celle che ha ormai raggiunto i livelli precedenti all’indulto, sbarca nel Palazzo di Giustizia di Milano una mostra che mette a tema il mondo dei reclusi.

Un mondo che nella vulgata dominante (affermatasi anche a causa dell’aumento della criminalità) dovrebbe marcire in cella, un mondo condannato a restare prigioniero del suo passato e degli errori commessi, e sul quale è inutile investire per tentare un recupero sul piano umano e sociale. E invece anche in prigione può accadere che qualcosa cambi, che si metta in moto una dinamica nel segno della positività, della voglia di cambiare e di ricominciare una nuova vita.

"Libertà va cercando ch’è sì cara. Vigilando redimere": il titolo della mostra (realizzata in occasione del Meeting di Rimini 2008) esprime bene la provocazione che in essa è contenuta. "Siamo convinti che un uomo, qualunque delitto abbia commesso, ha sempre una possibilità di cambiare e di redimersi, se incontra qualcuno che fa rinascere una domanda sulla verità di sé e testimonia un modo di guardare la vita in maniera positiva - spiega l’avvocato Paolo Tosoni, responsabile della Libera Associazione Forense che ha promosso l’iniziativa, visitabile da oggi al 28 marzo presso l’atrio della Corte d’appello al terzo piano del Tribunale (info e prenotazioni: mostracarceri@email.it) -.

Non è una convinzione ideologica, nasce dalle esperienze raccontate nella mostra: la documentazione di esistenze cambiate, che ritrovano speranza in un ambiente dove sembrerebbe non esserci più speranza". I pannelli della mostra riproducono lettere di carcerati che raccontano la loro condizione, documentazioni di carattere storico, letterario e cinematografico che raccontano la rinascita dell’umano nelle prigioni.

La funzione rieducativa della detenzione, prevista dalla Costituzione ma spesso disattesa, viene così riproposta in un momento in cui è sempre più evidente che non si va lontano se ci si limita a riempire le celle e a costruire nuove carceri. La prigione deve diventare un luogo in cui si sconti la pena e insieme sia possibile ricominciare un nuovo percorso umano: vigilando redimere.

Immigrazione: l'Onu; Italia xenofoba e razzista verso stranieri

 

Redattore Sociale, 19 marzo 2009

 

Dure accuse nel rapporto Ilo: discriminati soprattutto i rom. Frattini respinge al mittente: "Falso e inaccettabile".

Xenofoba e razzista. È la brutta fotografia dell’Italia che emerge senza mezzi termini da un rapporto dell’Ilo (agenzia Onu per il lavoro). Il nostro dunque non è un Belpaese per gli stranieri. E in particolare per i rom. "Falso" replica il ministro degli Esteri Frattini, esprimendo l’"indignazione" dell’esecutivo ai responsabili dell’Ilo a Ginevra.

Il ministro del Welfare Sacconi si affretta a dire che l’Italia è corretta nell’applicare le convenzioni per i Diritti umani e del lavoro e spiega che quello dell’Ilo non è un "atto ufficiale". Nessuno scandalo invece per la Caritas: "Da anni esprimiamo preoccupazione per forme di intolleranza e discriminazione verso gli immigrati, e in modo particolare nel mondo del lavoro" ha commentato il responsabile immigrazione Oliviero Forti.

Retorica aggressiva - A scatenare la bagarre le tre pagine, contenute nel rapporto dell’Organizzazione internazionale per il lavoro, che accusano Roma di discriminare gli immigrati chiedendo interventi a stretto giro per contrastare il clima di intolleranza e garantire la tutela agli stranieri. Non mancano accuse ai leader politici, rei - si legge nel testo - di usare una "retorica aggressiva e discriminatoria nell’associare i rom alla criminalità, creando così un sentimento di ostilità e antagonismo nell’opinione pubblica". Il documento del Comitato - pubblicato il 6 marzo - spiega che il clima di intolleranza ha un impatto sugli standard minimi di protezione "dei diritti umani e del lavoro" nonché sui livelli di vita, ponendosi in contrasto con la convenzione 143 che regola la "Promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti", ratificata dall’Italia nel 1981.

"Parole inaccettabili" - Tutte affermazioni "false, non dimostrare con elementi concreti, da respingere al mittente", replica la Farnesina spiegando che Frattini, giudica "gravemente inaccettabili parole come intolleranza o discriminazione nei confronti degli immigrati". Sacconi avanza il dubbio che "le sollecitazioni siano pervenute dall’interno del Paese". "Il quadro non è quello rappresentato nel rapporto" ribadisce la Farnesina, sottolineando che l’Italia "rispetta e rispetterà le regole europee e internazionali come sempre è stato riconosciuto e confermato dal governo e da tutte le autorità responsabili". "Ci auguriamo che si tratti di una sfortunata pagina dell’attività di un’istituzione, l’Ilo, che l’Italia rispetta e con la quale intende continuare a collaborare" aggiunge il ministero degli Esteri.

Immigrazione: crisi e poco lavoro; gli immigrati tornano a casa

di Guido Santevecchi

 

Corriere della Sera, 19 marzo 2009

 

In Europa sono stati definiti "l’idraulico polacco", senza distinzioni, anche se erano immigrati regolari venuti da molti Paesi e disposti a fare mille lavori diversi. Erano centinaia di migliaia e sono stati per gli ultimi cinque anni al centro del dibattito: fanno bene all’economia dei Paesi che li accolgono o sono un costo sociale? Arricchiscono il multiculturalismo o snaturano le società?

Gli ultimi dati di questa crisi globale dicono che la polemica forse non avrà presto più ragione di esistere: i flussi migratori dal Sud al Nord del mondo quest’anno sono previsti in calo drastico, fino a un 30 per cento in meno. E ondate di lavoratori stranieri stanno cominciando a rimpatriare. "Presto potremmo assistere a uno tsunami di migranti che ripartono, a milioni", ha detto alla rivista americana Newsweek Joseph Chamie, ex direttore della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite.

Paesi come Spagna e Stati Uniti stanno già registrando un saldo netto negativo nel flusso: sono più gli immigrati che lasciano di quelli che arrivano. I numeri europei sono ancora relativamente bassi rispetto a quelli di Asia e Medio Oriente: dalla Malaysia nel 2008 sono ripartiti 200 mila operai indonesiani, messi alla porta da fabbriche che hanno chiuso; la contrazione nella domanda energetica, che ha fatto cadere il prezzo del barile di greggio, spinge anche i ricchi Paesi petroliferi del Golfo a tagliare: metà dei 13 milioni di lavoratori stranieri potrebbero perdere il posto ed essere costretti a ripartire.

E poi c’è la Cina, dove 20 milioni di migranti interni che erano andati dalle campagne in città, ora che qualche ciminiera si spegne anche a Shanghai stanno tornando ai villaggi in cui erano nati. Negli ultimi dieci anni dal Messico erano andati in Nord America un milione di lavoratori all’anno, ma nel 2009 le proiezioni indicano che il numero di migranti tentati di attraversare il Rio Grande scenderà del 39 per cento.

In Italia i sindacati segnalano la stessa tendenza: la provincia di Vicenza per esempio ha visto salire a oltre 4mila il numero degli stranieri iscritti nelle liste di disoccupazione e il primo passo per un immigrato rimasto senza lavoro è di rispedire la famiglia in patria. Così quello che era stato chiamato l’idraulico polacco, anche se magari era un senegalese impiegato nella concia delle pelli in una fabbrica vicentina, potrebbe diventare una categoria in via di estinzione, costretto a tornare a casa per mancanza di lavoro, decimato dalla depressione globale.

Forse saranno soddisfatti i francesi benpensanti e sciovinisti che ne avevano fatto il tema centrale del referendum con il quale nel 2005 bocciarono la Costituzione europea fondata sull’allargamento: il plombier polonais li spaventava. Varcata la Manica, il tema era stato tradotto in polish plumber e aveva continuato ad animare il dibattito in Gran Bretagna.

Con l’apertura del mercato del lavoro ai nuovi europei dell’Est, il governo laburista aveva immaginato di ricevere non più di 15 mila immigrati orientali ogni anno; invece i soli polacchi sono accorsi a un ritmo di 190 mila l’anno a partire dal 2004, trovando posto soprattutto nell’edilizia.

Hanno cominciato a nascere supermercati con prodotti della gastronomia di Varsavia e nella provincia inglese sono comparsi cartelli stradali in polacco. Qualcuno si è scandalizzato, ai giornali sono arrivate lettere come: " Sir, vorrei sapere per quale motivo il mio pub ora serve soprattutto birra polacca... non mi va giù, questi immigrati dovrebbero abituarsi alle nostre abitudini, non noi alle loro".

Stephen Boyle, economista della Royal Bank of Scotland, nel 2007 scrisse un bel rapporto dal titolo "Gli idraulici polacchi, quelli che riparano le tubature dei vostri bagni e tengono bassi i vostri mutui". La loro irruzione sul mercato del lavoro, per posti che i britannici non volevano, secondo le statistiche del Tesoro aggiungeva ogni anno un mezzo punto percentuale al Pil britannico. Gli immigrati lavoravano in media quattro ore in più a settimana rispetto agli inglesi e in complesso erano contribuenti netti per la previdenza pubblica (pensioni, disoccupazione, sanità). Il vantaggio per i sudditi britannici in termini di ricchezza nazionale era valutato dal governo laburista in 30 sterline a testa l’anno; un rapporto dei conservatori, accettato dalla Camera dei Lord, aveva polemicamente replicato che si trattava solo di una manciata di pence al mese "sufficienti a comprarsi una barretta di cioccolato ogni trenta giorni". Comunque un guadagno, però.

Ma ora c’è la depressione, è stata investita anche la Royal Bank of Scotland che aveva commissionato quell’inno al polish plumber. E l’ufficio statistiche di Londra segnala che almeno la metà del milione circa di lavoratori arrivati dall’Est europeo è tornata a casa.

Ai giornali arrivano nuove lettere: " Sir, anche gli immigrati ci lasciano, significa che nei loro Paesi si vive meglio che nella cara vecchia Inghilterra? Siamo caduti così in basso?". Qualche sociologo-economista ha elaborato una formula rassicurante: quelli che arrivano e poi ripartono non sono immigrati ma "pendolari internazionali", richiamati dalla sterlina, domani dall’euro, un giorno magari dallo yuan cinese o dal rublo russo. Perché una volta, per andare al lavoro, il manovale o l’idraulico montavano in bicicletta, oggi prendono l’aereo.

Stati Uniti: i detenuti del carcere San Quintino rischiano sfratto

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

I detenuti del famoso carcere californiano di San Quintino rischiano lo sfratto. I 5.300 ospiti della prigione godono di una vista magnifica sulla baia di San Francisco: il penitenziario venne costruito nel 1850 su un promontorio isolato in mezzo al verde. Ma la splendida posizione della prigione ha stimolato le brame del mercato immobiliare, assecondate da alcuni membri del Parlamento californiano.

"Un carcere di massima sicurezza non dovrebbe essere situato su una proprietà costiera che può valere miliardi di dollari - afferma il senatore Jeff Denham, che ha proposto la vendita della prigione - Potremmo costruire, con una parte dei ricavi della vendita, una prigione all’interno del territorio".

Il carcere di San Quintino, che possiede l’unica camera a gas della California, è situato su un’ampia proprietà di oltre 200 ettari e comprende circa 200 edifici, comprese abitazioni per 90 dipendenti della prigione. La campagna di Denham e di altri parlamentari californiani è (imperniata sugli alti costi di gestione di San Quintino circa 260 milioni di dollari l’anno scorso) e sui lavori di manutenzione continua per una struttura nata oltre un secolo e mezzo fa.

Il carcere ospita nel braccio della morte 648 condannati che vivono in condizioni di sovraffollamento perché il boia è da tempo inoperoso in California. Il governatore Arnold Schwarzenegger ha stanziato 360 milioni di dollari per rendere più confortevole la vita dei condannati a morte. Ma lo stanziamento è considerato uno spreco di denaro da coloro che si battono per una soluzione ancora più radicale: trasferire i prigionieri di San Quintino altrove per abbattere l’antiquato carcere e creare invece al suo posto un complesso immobiliare di lusso con splendida vista sulla baia e a breve distanza dalla elegante cittadina di Larkspur, nella Contea di Marin.

La vendita del terreno dove si trova il carcere potrebbe far confluire oltre un miliardo di dollari nelle affamate casse dello Stato californiano e questo ha reso l’iniziativa del trasferimento dei detenuti gradita a diversi parlamentari che altrimenti non l’avrebbero appoggiata con tanto vigore. La chiusura del carcere a beneficio del mercato immobiliare era già stata promessa nel 1971 da un altro governatore della California: Ronald Reagan. Ma non era stata mantenuta.

Inghilterra: esame del dna lo scagiona dopo 27 anni di carcere

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

Sean Hodgson era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di una cameriera. Ad incastrare all’epoca Sean Hodgson erano state delle tracce organiche. Oggi, sulla base dei test del Dna, non usato allora, la corte di Appello di Londra ha cancellato la condanna dell’uomo.

Scontava da 27 anni l’ergastolo per un omicidio mai commesso, è la storia di un detenuto britannico di 57 anni che è stato completamente scagionato dell’assassinio di una cameriera. Ad incastrare all’epoca Sean Hodgson, protagonista di uno degli errori giudiziari più gravi della storia britannica, erano state delle tracce organiche. Sulla base dei test del Dna che nel 1982, anno della condanna, non erano ancora usati dalla giustizia, la corte di Appello di Londra oggi ha cancellato la condanna dell’uomo sostenendo che non può essere il colpevole.

Hodgson era stato condannato per l’omicidio della 22enne Teresa De Simone, di Southampton. Il corpo parzialmente denudato della ragazza che aveva subito anche uno stupro, era stato rinvenuto nel 1979 sul sedile posteriore della sua auto, di fronte al pub dove lavorava. L’imputato, con una storia di disturbi mentali alle spalle, aveva inizialmente confessato l’omicidio a un prete e alla polizia, ma poi aveva ritrattato tutto e al processo si era dichiarato innocente.

Iran: morto suicida in carcere il blogger che insultò Khamenei

 

Ansa, 19 marzo 2009

 

È morto il giovane blogger iraniano Omidreza Mirsayafi, detenuto nella prigione di Evin con l’accusa di aver insultato tramite il suo blog la Guida suprema dell’Iran. L’annuncio della morte è arrivato dall’avvocato del giovane, Mohammad Ali Dadkhah, secondo cui "funzionari del carcere" hanno riferito che il giovane "si è suicidato".

Il legale ha chiesto "l’apertura immediata di un’inchiesta e un’autopsia" per accertare le reali cause della morte di Mirsayafi. Anche l’Ong Reporter Senza Frontiere, in un comunicato, si dice scioccate e chiede l’apertura di un’inchiesta per accertare le cause della morte.

Mirsayafi, 25 anni, era stato condannato a 30 mesi di prigione nel novembre scorso per insulti contro la Guida suprema Khamenei e l’imam Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. Secondo la versione di un altro blogger, Mirsayafi sarebbe stato condannato per aver scritto "Signor Khamenei sei in grado di amarmi quanto ami il figlio di Nasrallah?", con un chiaro riferimento al sostegno iraniano al movimento sciita libanese Hezbollah, guidato da Hasan Nasrallah.

Mirsayafi era stato arrestato per la prima volta nell’aprile dello scorso anno, per poi essere rilasciato su cauzione dopo 41 giorni di reclusione ed essere nuovamente arrestato quest’anno. Intanto i media iraniani riportano di una serie di arresti, effettuati negli ultimi mesi, di persone legate a siti web che le autorità locali ritengono parte di un "complotto", sostenuto da potenze straniere, contro l’Iran.

Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’arresto di un noto blogger irano-canadese, Hossein Derakhshan, 33 anni, che dal 2000 viveva a Toronto dove aveva lanciato una serie di siti d’informazione e che è stato arrestato lo scorso novembre durante una visita a Teheran. La campagna delle autorità iraniane contro i siti critici nei confronti del sistema è cominciata dopo l’elezione del presidente Mahmud Ahmadinejad, nel 2005. Da allora decine di siti internet sono stati oscurati.

Usa: detenuto si mangia un occhio, per evitare la pena capitale

 

Associated Press, 19 marzo 2009

 

La corte del Texas non ritiene di dover sospendere l’esecuzione "per via della sua manifesta pazzia". Per evitare la pena capitale Andre Thomas le ha provate tutte: anche togliersi e mangiarsi l’unico occhio buono che ancora aveva. Ma non gli è bastato.

Una sentenza di colpevolezza nel 2005 e una successiva condanna a morte. La Corte del Texas non aveva avuto dubbi quando, quasi 4 anni fa, si era dovuta pronunciare sul suo caso, quello dell’uomo con un occhio solo" che aveva ucciso la moglie e i suoi due bambini e poi aveva strappato loro il cuore: una strage familiare efferata, meritevole, secondo gli organi giudiziari Usa, della pena capitale.

In carcere Thomas ha continuato a manifestare segni di chiaro squilibrio mentale: al punto di arrivare a strappare il suo unico occhio dal bulbo oculare e mangiarlo come fosse una nocciolina. È "chiaramente pazzo", ha precisato il giudice Cathy Cochran. Ma non per la legge texana. I nove membri di una corte d’appello chiamata a decidere se doveva essergli evitata la pena capitale per via della sua manifesta pazzia, ha confermato verdetto e sentenza. Per la legge del Texas, infatti, è assolutamente "sano", avendo agito sotto l’effetto di alcol e droga. "È un caso straordinariamente tragico", ha provato a giustificarsi il giudice Cochran.

 

 

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