Rassegna stampa 17 marzo

 

Giustizia: la vergogna dei risarcimenti per ingiusta detenzione

 

La Stampa, 17 marzo 2009

 

Ottomila euro per due settimane passate da innocente in galera sono "una vera miseria", dice al telefonino Patrick Lumumba. E altro non vuole aggiunge il musicista congolese accusato ingiustamente da Amanda Knox di aver fatto parte del gruppo che il 1° novembre 2007, a Perugia, si infilò nella casa per studenti di via della Pergola e uccise l’inglese Meredith Kercher, anni 24.

Silenzio comprensibile: da quando s’è visto chiudere il pub dove suonava e serviva da bere, le interviste sono un modo come l’altro per fare cassa e sbarcare il lunario. Parla, invece, il suo legale, l’avvocato Carlo Pacelli. Il quale, dopo aver chiesto per il suo cliente la bellezza di 516 mila euro, il massimo previsto dalla legge, adesso non può far altro che annunciare ricorso il Cassazione: "Ma le pare giusto?

La Corte d’appello ha preso la somma che per prassi viene erogata nei casi di ingiusta detenzione, ossia 235 euro al giorno, e l’ha moltiplicata per 15. Totale: 3.500 euro scarsi. Poi, siccome la stessa Corte si è resa conto che i danni psicologi e d’immagine erano ben più gravi, s’è spinta fino a 8 mila euro. Credo sia chiaro a tutti che tra la richiesta di 516 mila e gli 8 mila assegnati c’erano altre soluzioni possibili".

Possibili, vista la quasi assoluta discrezionalità dei giudici in materia, ma quasi mai adottate, almeno stando alle sentenze delle varie Corti d’appello italiane. Prendete per esempio Milano e il caso del sindaco di Campione d’Italia, travolto dall’inchiesta su Vittorio Emanuele di Savoia: due settimane in galera, come Lumumba, i titoli sui giornali, le dimissioni dalla carica di primo cittadino. Risultato: 11 mila euro di risarcimento, e un provvedimento in cui la Corte d’appello lombarda motiva "la somma elevata" proprio alla luce dell’incarico pubblico rivestito dall’(ex) sindaco.

Un po’ meglio, si fa per dire, è andata all’avvocato campano Gerardo Spina, 73 anni: 17 giorni in carcere (11 in isolamento) con l’accusa di essere un feroce camorrista e 34 mila euro di risarcimento che ancora deve ricevere, nonostante sia passato quasi un anno dalla sentenza.

"Vergogna", attacca l’avvocato Pacelli: "In quelle due settimane Patrick è stato per il mondo intero il mostro di via della Pergola. È vero che dobbiamo ancora aspettare l’esito del giudizio nei confronti di Amanda per il reato di calunnia: ma sappiamo tutti bene che una sua eventuale condanna non si tradurrà in alcun risarcimento, visto che la ragazza non ha nulla".

E di "vergogna" parla anche un altro avvocato, Claudio Defilippi, legale del netturbino pugliese Domenico Morrone risarcito con 4,5 milioni di euro per 15 anni di carcere (il tetto dei 516 mila euro qui non vale perché non si parla di ingiusta detenzione ma di errore giudiziario) e autore del libro "Toghe che sbagliano": "Il danno subito da un uomo che finisce ingiustamente in carcere è, per sua definizione, incalcolabile. Fissare un massimo non è solo assurdo: è anti costituzionale".

Negli ultimi tre anni, l’Italia (ministero dell’Economia) ha sborsato 20 milioni di euro per risarcimenti da ingiusta detenzione. In Parlamento, c’è un disegno di legge presentato dal senatore Filippo Berselli che propone, di fatto, di quadruplicare i rimborsi portando il tetto da 516 mila a 2 milioni di euro. Se approvata, la legge si tradurrebbe in un aggravio per le casse dello Stato di 30 milioni di euro. Visti i tempi, si capisce perché nessuno abbia interesse a portarla in aula.

Giustizia: effetto decreto sicurezza, torna in cella lo stupratore

di Marino Bisso

 

L’Espresso, 17 marzo 2009

 

La revoca dei domiciliari è stata decisa in base a una circolare del procuratore Ferrara Finisce in cella il ventiduenne accusato dello stupro di Capodanno, nella maxi discoteca alla Nuova Fiera. Gli arresti domiciliari per Davide Franceschini, concessi dopo la confessione, sono stati revocati. È il primo effetto del decreto-sicurezza che prevede l’impossibilità di scontare le misure cautelari fuori dal carcere per gli abusi sessuali.

La revoca dei domiciliari per il ventenne, panettiere, di Fiumicino accusato della violenza di Capodanno è stata decisa in base a una circolare del procuratore Giovanni Ferrara. Ma ora rischia di ritornare in carcere anche don Ruggero Conti, 56 anni, ex parroco della parrocchia Natività di Maria Santissima, finito ai domiciliari con l’ accusa di abusi sessuali su alcuni ragazzi che frequentavano l’oratorio. L’arresto in carcere del ventenne, è stato chiesto dal pm Vicenzo Barba che ha ricevuto la circolare del procuratore. Il documento, firmato l’11 marzo, stabilisce che la nuova normativa ha valore retroattivo. La lettera, che fa leva su una sentenza della Cassazione per i reati di mafia, è stata inviata a tutti i pm romani. "Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 1992", scrive il procuratore Ferrara "prevedono l’immediata applicazione della riforma normativa anche ai procedimenti in corso".

La circolare-pilota, che potrebbe anticipare l’orientamento di altre procure d’Italia, è destinata a incrementare, nel giro di pochi mesi, il numero dei detenuti E da ieri Davide Franceschini è tornato in cella. Ci era rimasto solo poche ore dopo essere stato arrestato lo scorso 25 gennaio. Il fermo era stato disposto dal pm Barba dopo che il giovane panetterie aveva ammesso le sue responsabilità. "Sono stato io a violentarla" aveva detto in lacrime davanti al magistrato e al capo della squadra mobile Vittorio Rizzi. Il ventenne aveva detto di aver abusato della giovane, conosciuta durante la serata danzante alla Nuova Fiera di Roma. La violenza sessuale era avvenuta in uno dei bagni chimici. A inchiodarlo era stato un tatuaggio che aveva sul collo. E così dopo, 23 giorni di indagini ricche di colpi di scena, il giovane era crollato ed aveva deciso di presentarsi con il suo avvocato in procura. La vittima della violenza infatti non ricordava e si era contraddetta.

Prima aveva dichiarato di essere stata violentata da un gruppo, poi aveva detto che era stato uno soltanto. Poi il ventenne davanti al pubblico ministero Barba aveva raccontata la notte di follia tra alcol, droga e violenza. "Sono disperato per quanto ho fatto, ero ubriaco, avevo sniffato cocaina, avevo perso la testa, aveva detto in lacrime - Chiedo perdono a quella ragazza, credetemi, sono un brava persona io, non ho mai fatto male neanche a una mosca".

Per il giovane, il pm Barba aveva chiesto gli arresti domiciliari ritenendo insussistente il rischio di fuga e reiterazione del reato. La vicenda aveva scatenato una polemica politica che ha "partorito" le nuove disposizioni che prevedono obbligatoriamente il carcere per gli abusi sessuali.

Giustizia: il decreto non dovrebbe avere un effetto retroattivo

 

Corriere della Sera, 17 marzo 2009

 

"Una norma di diritto sostanziale con effetto retroattivo? Ho i miei dubbi, credo che questo non sia possibile perché qui stiamo parlando della libertà delle persone...".

All’avvocato Guido Calvi non piace il decreto legge che prevede la custodia cautelare in carcere obbligatoria per chi è accusato di violenza sessuale e, di conseguenza, non approva neanche la circolare con cui il procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara, ha invitato i pm ad "assumere le conseguenti determinazioni" anche se le "posizioni processuali andranno valutate caso per caso".

 

Il primo caso della lista è quello di Davide Franceschini, il ragazzo finito ai domiciliari per lo stupro di Capodanno.

"Ecco, lui non dovrebbe tornare in carcere... la norma non dovrebbe essere applicata retroattivamente".

 

Perché non le piace questo decreto legge?

"Il decreto è pessimo, il provvedimento di custodia cautelare obbligatorio è sempre servito in qualche modo a tutelare i magistrati per evitare che, poi, debbano prendere decisioni scomode. Invece solo il giudice può decidere di volta in volta, valutando tutte le circostanze. In ogni caso, il decreto non dovrebbe avere un effetto retroattivo".

 

Anche quando non c’è una norma transitoria esplicita?

"A maggior ragione si intende che la norma si applica dal momento in cui viene promulgata".

Giustizia: Camere Penali; norma su ronde è inutile e pericolosa

 

Ansa, 17 marzo 2009

 

Il vertice dell’Unione Camere Penali boccia senza appello il decreto-ronde e, in una audizione informale in commissione Giustizia della Camera, parla di "provvedimento inutile e pericoloso".

"Esprimiamo un giudizio - spiega Renato Borzone - molto, molto, molto critico. Mentre constatiamo una totale immobilità per quanto riguarda la riforma dell’ordinamento giudiziario, più volte promessa e sbandierata dall’attuale Governo, registriamo invece la messa a punto di un provvedimento inutile e dannoso come questo decreto ronde".

"A nostro avviso - prosegue Borzone - si tenta di fare solo della demagogia, di buttare fumo negli occhi dei cittadini, segnando di fatto una regressione enorme per quanto riguarda il codice penale. Ogni reato, infatti, con questo tipo di legislazione, ha di fatto un suo processo e questo non fa altro che allungare i tempi e rendere tutto il meccanismo più complesso e farraginoso".

"Questo modo di legiferare - incalza il prof. Vincenzo Maiello della giunta dell’Unione camere penali - è davvero inaccettabile perché noi contestiamo il principio che si ricorra su questa materia all’uso del decreto legge. In materia penale, infatti, il ricorso al decreto andrebbe interdetto perché quando si mette mano alle norme del codice penale tutto dovrebbe essere analizzato con ponderazione e lucidità". "Riteniamo del tutto sbagliato - sottolinea Borzone - che in materia penale il legislatore diventi preda dell’emotività".

Borzone e Maiello puntano il dito però contro i magistrati che prima "contestano questo tipo di provvedimento e poi però lo cavalcano, come dimostra la richiesta di applicazione retroattiva della norma avanzata oggi dalla procura di Roma".

"Comunque tutti i penalisti sono mobilitati contro questo decreto - afferma ancora con forza il vicepresidente dell’Unione Camere penali - noi siamo trasversali e non abbiamo alcun pregiudizio di natura politica ma dobbiamo sottolineare che l’Esecutivo, che era partito con un modo di governare liberale, adesso dimostra solo impulsi autoritari e demagogici che, a dire la verità, ci preoccupano".

Dopo aver bocciato l’idea delle ronde ("pericolosissime e del tutto inutili") Borzone e Maiello continuano a bacchettare il Governo sostenendo che "l’esigenza della sicurezza è stata enfatizzata a dismisura, creando un clima di caccia alle streghe" e che "tutte le promesse fatte per quanto riguarda la riforma dell’ordinamento giudiziario, non sono state mantenute".

Giustizia: Maroni; con nuova legge la fine delle ronde "fai da te"

 

Avvenire, 17 marzo 2009

 

Stop alle "ronde fai da te". "Il decreto legge anti-stupri che è all’esame del Parlamento porrà fine alle "ronde fai da te"", spiega Roberto Maroni, che a Venezia ha firmato un protocollo sulla Sicurezza urbana e territoriale con la Regione Veneto. "Il presidio sul territorio da parte dei cittadini volontari avverrà sotto lo stretto controllo dei sindaci e del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. È un requisito importante che pone fine alla situazione esistente, che è appunto quella della "ronda fai da te".

Noi vogliamo regolamentare perché chi partecipa deve sapere quello che fa, deve essere controllato e coordinato", dice il ministro dell’Interno. "All’inizio di aprile il decreto verrà approvato alla Camera poi entro 60 giorni abbiamo l’obbligo di attuarlo: perciò entro la fine del mese di aprile saremo pronti", annuncia Maroni. Comunque, spiega, "la Regione veneto organizzerà dei corsi di formazione, organizzati in collaborazione con le forze dell’ordine,

che saranno obbligatori per tutti coloro che vorranno partecipare al presidio del territorio. Chi vorrà partecipare sarà valutato e formato, dovrà avere caratteristiche idonee e soprattutto sarà sotto il controllo della polizia per evitare abusi o incidenti. Iniziamo dalla Regione Veneto ma potranno aderire tutte le Regioni interessate".

E il comune di Ventimiglia progetta un programma analogo, istituendo a breve la prima scuola di vigilanza civica della provincia di Imperia. Il ministro dell’Interno evidenzia come il decreto legge che regolamenterà i volontari per la sicurezza vedrà anche "il coinvolgimento dei sindaci nel ruolo fondamentale del controllo del territorio" e annuncia che nei prossimi giorni a Riva del Garda si svolgerà un convegno in cui verrà fatto il punto sulle ordinanze dei sindaci e sul ruolo attivo delle amministrazioni comunali nell’ambito della sicurezza.

"I sindaci sono in prima linea per valutare se occorrono iniziative di volontariato sulla sicurezza del territorio e in caso positivo possono rivolgersi alle associazioni iscritte al registro della Prefettura per trovare i cittadini che possiedono determinati requisiti, che hanno seguito dei corsi i formazione e non sono dei "Rambo" improvvisati.

È richiesto l’obbligo della formazione e sarà compito della Regione organizzare i corsi", spiega ancora Maroni. "È positivo dare ai cittadini la possibilità di partecipare, è stato fatto anni fa per i volontari dei Vigili del Fuoco e per quelli della Protezione Civile. Anche allora ci furono polemiche, ma il sistema che prevede formazione e controllo sta funzionando", aggiunge. Rispondendo ai giornalisti, il ministro osserva che "la polizia privata esiste oggi perché nessuno può evitare che un’azienda o altri privati realizzino "ronde fai da te". Attraverso il decreto anti-strupi, noi lo eviteremo".

Giustizia: Lehner; ogni Stato si preoccupi dei propri delinquenti

di Giancarlo Lehner (Deputato del Pdl)

 

Il Tempo, 17 marzo 2009

 

Serve una svolta, in tutti i sensi, magari rimettendo in moto la macchina delle espulsioni dei pregiudicati. La Penisola non si può più accollare tutti i reprobi del mondo, né i cittadini italiani vogliono più pagare di tasca loro i risarcimenti milionari delle tante, troppe ingiuste detenzioni.

Sono tornato a Regina Coeli, per rendermi conto della situazione del carcere romano, in generale, e dei due romeni di prima pagina, il biondino e faccia di pugile, in particolare. Il dato statistico più significativo è che oltre il 30% dei detenuti di via della Lungara sono romeni, senza contare un’altra quota imponente di extracomunitari. È d’obbligo la domanda: perché la delinquenza della capitale è così connotata da una specifica nazionalità? La verità è che i romeni sono un popolo europeo stimabile come tutti gli altri, col loro normale fisiologico tasso di devianza, quindi nessuno spazio a deduzioni criminalizzanti.

Fatto è, però, che i banditi romeni hanno eletto l’Italia ad habitat ideale per le loro imprese, dopo un graduale e crescente passa parola che li ha ben edotti sulle possibilità di delinquere da noi, sfuggendo, comunque o molto spesso, alla sanzione. Sarà il garantismo degradato a perdonismo; sarà la filosofia dell’inclusione acritica e caritatevole; saranno i parametri del sinistrismo, secondo i quali in carcere non debbono andare i poveracci, semmai solo i colletti bianchi; sarà l’inefficienza della macchina giudiziaria; certo è che, a torto o a ragione, il migrante, con precedenti penali o con l’intenzione di far denaro e farsi largo con la violenza, ha eletto l’Italia a territorio, dove tutto gli pare debba esser lecito.

Stupro, violenze, rapine, furti e non solo. Penso agli italiani, ai romeni e ad altri stranieri comunitari ed extracomunitari, che investono, feriscono e uccidono, guidando l’automobile in preda all’alcool, alle droghe, agli psicofarmaci; e viene da pensare che da noi il consumo di droga non solo non è punito, ma è assurto, in nome del politically correct, quasi a diritto costituzionalmente garantito. C’è molto da rivedere e da riformare, magari dopo aver meditato a lungo, evitando di farci travolgere dalla fretta e dal miraggio delle panacee. Per il brutale episodio della Caffarella, non credo si debba più tenere in prigione il "biondino" e "faccia di pugile", ormai da tempo scagionati dalla prova regina del dna, dovendosi concentrare l’impegno investigativo su altre piste, per evitare, ammesso che si sia ancora in tempo, che i veri autori possano farla franca.

Serve una svolta, dunque, in tutti i sensi, magari rimettendo in moto la macchina delle espulsioni dei pregiudicati. Unicuique suum, ogni Stato si occupi dei propri delinquenti; la Penisola non si può più accollare tutti i reprobi del mondo, né i cittadini italiani vogliono più pagare di tasca loro i risarcimenti milionari delle tante, troppe ingiuste detenzioni. Ai due romeni, una volta liberi, raccomando di tornarsene di corsa in patria. Comunque sia, la taccia dei violentatori carnali rimarrà loro addosso, a loro rischio e pericolo. A Roma, fino a pochi anni fa, pur a distanza di decenni da quel tremendo errore giudiziario, si continuava a dare del "Girolimoni" a chiunque guardasse una bambina con sguardo sospetto.

Giustizia: con riforma della scuola, si cambia anche in carcere

di Anna Merola

 

Italia Oggi, 17 marzo 2009

 

Anche la scuola in carcere cambia. Dal prossimo anno scolastico l’educazione degli adulti, detenuti compresi, verrà gestita dai Cpia, i Centri provinciali iscrizione adulti, che sostituiranno i vecchi Centri Territoriali Permanenti (Ctp). E il cambiamento sarà di sostanza perché riguarderà sia gli aspetti didattici che la revisione degli organici.

Intanto di questi centri, gestiti dalla provincia, faranno parte, per la prima volta, anche i docenti di scuole serali e carceri, che insegnano alle superiori e non solo alla scuola secondaria di I grado. Questa nuova inclusione ai Centri preoccupa i docenti delle secondarie che insegnano nel carcere romano di Rebibbia, che temono di dover ridurre o, addirittura, svilire le loro programmazioni scolastiche uguali, in tutto e per tutto, a quelle delle scuole classiche, per far posto a stringati percorsi didattici più in linea con gli obiettivi dei Centri finalizzati, principalmente, al conseguimento dei titoli.

Il regolamento dei Cpia deve ancora uscire ma il decreto, firmato dall’ex ministro Giuseppe Fioroni e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio scorso, delinea già degli indirizzi precisi. Ai nuovi centri verrà riconosciuto un proprio organico, distinto dagli ordinari percorsi scolastici. Gli studenti potranno conseguire il titolo di studio della scuola primaria, secondaria di I grado e Superiore, acquisire la certificazione di assolvimento dell’obbligo di istruzione e frequentare corsi di alfabetizzazione.

L’organico sarà formato da 10 docenti ogni 120 alunni: 2 di scuola primaria, 4 di scuola secondaria di primo grado e 4 di scuola superiore. Intanto le province si stanno organizzando. Paola Rita Stella, assessore della provincia di Roma sta individuando sedi e strutture: "I nuovi centri potranno anche siglare dei protocolli di intesa con le scuole".

Sicilia: ispezione Senatori nelle carceri; situazione è gravissima

 

Agi, 17 marzo 2009

 

Ispezione delle carceri siciliane. Il garante dei diritti dei detenuti della Sicilia e senatore del Pdl Salvo Fleres, ha accompagnato il presidente della commissione per i Diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro, in un sopralluogo presso tre penitenziari dell’Isola: l’Ucciardone di Palermo, la casa di reclusione di Favignana e il carcere di Piazza Lanza a Catania.

Nel corso della visita, i due parlamentari hanno riscontrato i gravi problemi infrastrutturali, organizzativi e di sovraffollamento più volte segnalati, accertando condizioni di vita assai disagiate e significative carenze di personale. In particolare, all’Ucciardone di Palermo, oltre a quei fatto di criticità, è stata segnalata la scarsa presenza di attività rieducative, "circostanza questa che rende difficile ogni azione di recupero e reinserimento sociale". La situazione di Favignana, secondo i due parlamentari, costituisce un esempio "di come non debba essere un carcere in una società civile".

Le celle si trovano sette metri sotto il livello del mare, sono umide, prendono luce solo dalla porta, non dispongono di finestre e l’attività della Magistratura di sorveglianza appare "del tutto insufficiente e approssimativa, soprattutto per quanto attiene al trattamento degli internati, nei confronti dei quali si opera alla stessa stregua dei detenuti, privando gli stessi di attività lavorative adeguate".

Drammatica è la situazione di Catania dove, nonostante i lavori di ristrutturazione, puntualmente eseguiti dalla direzione, nelle celle vivono fino a 13 reclusi, "alcuni costretti a dormire per terra per mancanza di adeguati spazi". "È urgente - ha detto Fleres alla fine delle ispezioni - che si dia rapida attuazione alla recenti disposizioni varate dal Parlamento in materia di edilizia penitenziaria, così come è urgente che la Regione siciliana recepisca le norme in materia di sanità carceraria, al fine di evitare il pericolo della sospensione delle cure mediche.

Solleciterò il ministro Alfano perché ponga fine a questa disumana situazione e vari rapidamente sia una adeguato piano di edilizia penitenziaria, sia un piano straordinario per il lavoro in carcere ripristinando, inoltre, i fondi necessari ad adeguare gli organici del personale e le varie forme di assistenza".

Calabria: Amapi; bisogni medicina penitenziaria non ascoltati

 

Asca, 17 marzo 2009

 

"Che la sanità, in Calabria, avesse dei problemi era già noto, ma che si potesse far finta di non vedere né sentire quelli che sono i bisogni dell’assistenza penitenziaria in carcere nessuno se lo aspettava". Lo si legge in una nota dell’Amapi Calabria (Associazione medici penitenziari).

"A maggior ragione da una giunta regionale di sinistra e nel suo legale rappresentante assessore alla sanità Agazio Loiero. Il carcere è una struttura protetta - continua la nota - e bisognosa di assistenza sanitaria che non può essere a discapito degli operatori (medici, specialisti, infermieri), che con dedizione e il rischio che questo tipo di lavoro comporta non solo per la propria incolumità ma anche come rischio biologico, dopo tanti anni di lavoro si rischia non solo di non essere pagati dal 01.10.2008 (ben cinque mesi) da quando si è avuto il passaggio dalla giustizia al Ssn e alla Asp con il Dpcm del 01.04.2008 ma si rischia addirittura di perdere il posto di lavoro per delle assurde incompatibilità che sono arbitrarie ed illegittime interpretazione a proprio scopo clientelare da parte della regione Calabria ignorando una legge dello stato la 740/70, modificata dalla legge 26 del 15 gennaio 1991 G.U. 23 del 28 gennaio 1991 e dal decreto legge 187 del 14 giugno 1993 convertito dalla legge 296 del 12 agosto 1993 che all’art. 2 recita: a tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività nell’ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e alle convenzioni con il servizio sanitario".

"Gestire la sanità in carcere - continua l’Amapi - è un ruolo da privilegiare gli operatori che hanno esperienza con una popolazione di assistiti che non ha niente a che vedere con quelli del sistema delle Asp. Abbiamo a che fare con tossicodipendenti, disturbati mentali, extracomunitari con culture e comportamenti del tutto differenti alla comune popolazione, malati cronici affetti da epatite b e c, patologie emergenti quale la tubercolosi, tentati suicidi, disperazioni che provengono dalla prima detenzione, autolesionismi a volte così violenti che sfido qualunque politico ad avere il coraggio di avere di fronte un soggetto pieno di sangue in preda ad una crisi di agitazione psico-motoria, violento o psicotico e noi operatori avere il coraggio di trattare sia clinicamente che umanamente il detenuto cercando di farlo rientrare nel comune vivere civile".

"Sarebbe opportuno che la competenza di un settore tanto delicato - conclude la nota - fosse affidato alla responsabilità di soggetti sensibili alle problematiche della sanità penitenziaria e non a chi si diletta a costruire assurde incompatibilità e a non vedere la realtà penitenziaria perché il carcere è scomodo ed è meglio non vedere, troppi problemi, ma una società civile viene valutata da come affronta il sociale ed il carcere è lo specchio della nostra inciviltà".

Lombardia: Formigoni; indispensabile favorire lavoro detenuti

 

Agi, 17 marzo 2009

 

"È indispensabile favorire, sostenere e incentivare le attività lavorative dei detenuti approvando tutte quelle misure che possano spingere le imprese a investire nel mondo carcerario". Così il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, è intervenuto alla presentazione della mostra permanente sulla rieducazione nelle carceri, allestita al palazzo di Giustizia a Milano dal 18 al 28 marzo.

"Oggi la funzione di rieducazione prevista dalla Costituzione è spesso disattesa - ha detto Formigoni - ma non siamo in una notte scura, ci sono uomini che vivono con grande umanità il loro lavoro nelle carceri". Formigoni ha risposto, durante il suo discorso, al presidente della Corte d’Appello Giuseppe Grechi che nel suo intervento, aveva invitato il mondo politico a far sì che il progetto della cittadella della giustizia di Milano sia realizzato a breve. "Voglio rispondere alla sollecitazione di Grechi - ha detto Formigoni - e rassicurare sul fatto che il progetto sulla cittadella sta andando avanti".

 

Presto nuove strutture, ma manca personale

 

Una nuova ala del carcere di Bergamo pronta per accogliere circa 100 detenuti ma chiusa a causa della mancanza di personale. A riferirlo è Luigi Pagano, provveditore alle carceri della regione Lombardia, intervenuto questa mattina a Milano alla presentazione di una mostra fotografica sulla riabilitazione dei detenuti. Quello di Bergamo non è l’unica struttura ad essere stata ampliata.

Accanto al carcere di Bollate, nel milanese, è stata costruita una nuova struttura che può ospitare fino a 400 detenuti. "La nuova prigione di Bollate sarà resa operativa presto - spiega Pagano - abbiamo preferito portare lì la forza lavoro perché è un centro più tecnologico e spazioso". Poi sulla mostra dedicata all’educazione al lavoro in carcere dice: "Il lavoro non è solo fonte di reddito, lavorare significa essere nel ciclo produttivo e avere una prospettiva una volta che si esce".

 

Pagano: protocollo con Provincia e Comune per impiego detenuti

 

"Il 25 marzo firmeremo un protocollo con il Comune e con la Provincia per impiegare almeno qualche centinaia di detenuti in vista di Expo". Lo ha annunciato Luigi Pagano, provveditore alle carceri della regione Lombardia, durante il suo intervento alla presentazione della mostra fotografica "Libertà va cercando, ch’è sì cara".

Un esperimento, ha spiegato Pagano, "di impiego dei detenuti lo abbiamo fatto con ottimi risultati in occasione dell’emergenza neve. La città rimase bloccata e in poche ore riuscimmo a far uscire venti detenuti per spalare la neve dalle strada. Non una cifra straordinaria certo ma un’operazione di enorme valore rivoluzionario, abbiamo dimostrato che l’impiego dei detenuti per lavori utili anche all’esterno del carcere non solo è possibile ma è utile".

Lazio: diminuiscono le ore retribuite, per i detenuti - lavoranti

 

Ansa, 17 marzo 2009

 

In tutte le carceri del Lazio diminuiscono le ore retribuite per i detenuti lavoranti. È quanto denuncia il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui i lavoranti (scrivano, portavitto, scopino, piantone, etc.) sono retribuiti adesso per due ore giornaliere pur con lo stesso carico di lavoro. Tutto questo accade proprio mentre, dopo tre anni di attesa, è stato finalmente approvato il progetto per la formazione di 15 piantoni alla Casa Reclusione di Rebibbia, formazione che sarà seguita dall’Enaip e dal San Gallicano.

La diminuzione della retribuzione - di cui, per altro, non è stata data comunicazione formale in nessuna sezione - sta comportando grandi difficoltà nel trovare detenuti sani disposti a vivere 24 su 24 ore in celle con malati, con limitazione di alcune consuetudini comuni nelle sezioni ordinarie.

Ad esempio, nel Centro Clinico di Regina Coeli, dove sono presenti diversi detenuti in sedia a rotelle o in terapia con l’ossigeno, con l’uscita in libertà dei piantoni, i detenuti malati non hanno più, da oltre due settimane, assistenza per gli atti della vita quotidiana (andare in bagno, spostarsi, etc.).

"Questa situazione è un potenziale pericolo per i malati - ha detto Marroni - ma è anche un ulteriore carico di lavoro per infermieri e agenti di polizia penitenziaria che, oltre alla custodia, devono verificare, controllare e rispondere di giorno e di notte alle chiamate dei detenuti bisognosi di assistenza. Ho già informato della situazione i vertici regionali dell’amministrazione penitenziaria affinché si adoperino per evitare che collassi una forma di collaborazione tra operatori del carcere e detenuti che tanti buoni risultati ha sempre dato".

Sicilia: borse lavoro e giornale online per i detenuti minorenni

 

Agi, 17 marzo 2009

 

Decolla in Sicilia il progetto "In&Out", promosso dal Centro per la Giustizia minorile con il finanziamento dall’assessorato regionale della Famiglia. Disponibili un milione e 500 mila euro e sono coinvolti gli istituti penali per minorenni di Palermo, Catania, Acireale, Caltanissetta.

Oltre a corsi di formazione per i minori e il personale che opera nelle carceri, nei quattro penitenziari verranno realizzate diverse opere: a Palermo un impianto di irrigazione e un campo di calcio a 5; a Catania un campo di calcio a 11 in erba sintetica; ad Acireale una cucina didattica e una sala per attività teatrali; a Caltanissetta un campo di calcio a 5 ed un’aula polifunzionale. Il progetto durerà 24 mesi e si chiuderà a luglio del 2010.

"In&Out" prevede, inoltre, l’attivazione di 200 borse lavoro per altrettanti soggetti minorenni detenuti nei quattro istituti siciliani, che così lavoreranno negli stessi cantieri attivati per la realizzazione delle opere e il confezionamento di un giornalino telematico. L’iniziativa sarà presentata domani alle 9.30, all’Istituto penale per minorenni "Malaspina" di Palermo.

Bari: celle con materassi per terra, tornati all’era pre-indulto

di Giuliano Foschini

 

La Repubblica, 17 marzo 2009

 

Materassi messi per terra. Brandine ovunque, celle con il tutto esaurito. Anche il carcere di Bari, come molte altre case circondariali italiane, è in piena emergenza: "Siamo al tutto esaurito: in questo momento ci sono 550 detenuti - denunciano i sindacalisti dell’Osapp - È il record assoluto, siamo tornati come e prima l’indulto".

L’attuale situazione è infatti fuori da ogni controllo: i numeri dell’istituto di Bari parlano di una capienza massima regolamentare di 292 persone e di 419 come tollerabile. Oggi si è fuori da ogni parametro: il risultato è che in celle di 18 metri quadrati vivono non meno di sei detenuti. Centodieci degli attuali ospiti sono stranieri mentre si registrano in media dieci nuovi ingressi al giorno.

"I numeri attuali - spiega l’ispettore Luigi Labellarte, sindacalista dell’Osapp - ci dicono che qualora dovessero fare un blitz non sapremmo davvero dove mettere le persone".

Oggi, infatti, i servizi minimi di accoglienza vengono comunque garantiti: si riescono a cambiare le lenzuola a tutti gli ospiti ogni due-tre giorni e a dare loro la dotazione minima di igiene prevista. "Se questi numeri dovessero essere confermati - continua Labellarte - difficilmente riusciremmo a fare lo stesso. È evidente che ne va della dignità dei detenuti ma anche del nostro lavoro: è inumano per queste persone vivere in certe maniere e noi così non riusciamo a svolgere il nostro lavoro. È difficile governare una situazione del genere. Siamo all’emergenza pura". La situazione di Bari è propria di tutti gli altri istituti della regione: a Trani con la chiusura della sezione di massima sicurezza per i lavori di ristrutturazione sono rimasti un centinaio di detenuti e anche lì le celle scoppiano.

La riconversione delle strutture di Altamura e Spinazzola in carceri a pieno regime (prima erano destinate soltanto ai detenuti in semilibertà) non è servita a bloccare l’emergenza. "Quella che stiamo vivendo in questo momento - continua Labellarte - è la prova provata che misure come l’indulto hanno soltanto rinviato il problema". Ma il problema non è soltanto barese.

"Il dramma è ovunque in Puglia - spiega il segretario regionale del Sappe, Federico Pilagatti - Oggi nelle nostre strutture sono ospitati 3.850 detenuti quando la capienza regolamentare delle carceri è di 2.500 detenuti. Prima dell’indulto eravamo a 3.550 persone".

Firenze: degrado all'Opg Montelupo, subito interventi concreti

 

In Toscana, 17 marzo 2009

 

Sostegno all’ordinanza emessa dal Comune di Montelupo dopo il sopralluogo della Asl 11. L’assessore regionale Rossi: "Il diritto alla salute e all’assistenza va garantito anche nelle carceri".

"Quello di Montelupo è un ospedale a tutti gli effetti e noi intendiamo garantire ai suoi ospiti livelli adeguati di accoglienza e di assistenza, secondo gli standard del servizio sanitario regionale. Mi sembra che l’ordinanza del Comune di Montelupo vada concretamente in questa direzione".

Così l’assessore regionale per il diritto alla salute Enrico Rossi valuta l’ordinanza con cui l’amministrazione comunale di Montelupo ha accolto le segnalazioni e le indicazioni della Asl 11 di Empoli, contenute in una nota redatta dal direttore dell’unità operativa di igiene e sanità pubblica dopo il sopralluogo effettuato il 5 marzo scorso nella struttura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario.

Il sopralluogo del 5 marzo è l’ultima di una serie di azioni ed interventi compiuti dalla Asl 11, di concerto con il comune, non appena le funzioni sanitarie all’interno dei luoghi di detenzione sono passate in carico al Servizio sanitario regionale.

Immediatamente erano emerse le gravi carenze della struttura, lo stato di degrado e di fatiscenza di molti locali e servizi, aggravati dal cronico sovraffollamento.

Tutto ciò non solo ha creato e mantenuto nel tempo pesanti disagi agli ospiti e al personale che lavora all’Opg ma continua ad ostacolare seriamente i progetti di cura, recupero e reinserimento.

Una recente richiesta rivolta dall’Azienda sanitaria al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di bloccare l’invio di altri detenuti è caduta nel vuoto.

"Il passaggio di competenze delle funzioni sanitarie nei luoghi di detenzione al Servizio sanitario regionale - prosegue l’assessore Rossi - deve cominciare a dare i suoi frutti. La Toscana si è battuta a livello nazionale perché sia garantito a tutti, anche alle persone in stato di detenzione, il diritto alla salute e all’assistenza e perché in ogni struttura vengano superate le situazioni di disagio e di incuria. La sanità toscana da tempo investe nel settore carcerario risorse umane ed economiche, finanzia progetti speciali, assicura l’assistenza farmaceutica gratuita".

"La situazione in cui versa da tempo l’Opg richiede interventi all’altezza dei gravi problemi messi in evidenza dalla Asl. L’ordinanza può aiutarci in questo senso. Auspico che si faccia presto, che il dialogo con il ministero produca i risultati attesi. Sono certo che in Toscana possiamo far molto per migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Opg".

Catania: le carceri etnee scoppiano, i detenuti sono quasi 750

 

Giornale di Sicilia, 17 marzo 2009

 

Condizione inaccettabile pure rispetto al cosiddetto "indicatore di capienza tollerabile", che è di più 166. Sono numeri da capogiro. Le carceri etnee scoppiano.

La capienza tollerabile è di 17 donne e 307 uomini, per un totale di 324 detenuti. La situazione fotografata al 28 febbraio scorso è di 27 donne e 463 uomini, per un totale di 490 detenuti. Quindi, 10 detenute e 158 detenuti in più rispetto al tetto massimo.

Va decisamente meglio la situazione alla Casa Circondariale di Bicocca, che non può ospitare donne e ha una capienza regolamentare di 164 unità. La capienza tollerabile è di 272 detenuti, quelli presenti sono 243, quindi al di sotto della soglia massima.

Quello che lascia molto pensare è la posizione giuridica della popolazione carceraria. Nel carcere di piazza Lanza ci sono 410 gli imputati in attesa di giudizio ( 16 donne e 394 uomini). I detenuti che scontano una pena sono 76 (10 donne e 66 uomini), quelli internati 3 (1 donna e due uomini). Uno solo è il detenuto classificato come da "impostare". Nel carcere di Bicocca ci sono solo 157 detenuti in attesa di giudizio e 86 che scontano la pena loro affibbiatagli.

Alla luce di questi dati, fonte Dipartimento amministrazione penitenziaria, nella Casa circondariale di piazza Lanza vivono 166 detenuti in più rispetto alla soglia tollerabile e 245 in più rispetto a quella regolamentare. Per quanto riguarda la Casa circondariale di Bicocca, si riscontra la presenza di 6 detenuti in più rispetto alla soglia tollerabile e 78 in più rispetto alla capienza regolamentare.

Esprime preoccupazione il Sindacato autonomo polizia penitenziaria. "Con una media costante di mille ingressi al mese - dice Donato Capece, segretario generale del Sappe - e in assenza di veri provvedimenti deflattivi, le carceri rischiano di diventare roventi nei prossimi mesi estivi.

Per i poliziotti penitenziari che lavorano nella prima linea delle sezioni detentive, condizioni di lavoro particolarmente stressanti e difficoltose, anche dal punto di vista della propria sicurezza individuale, questa è una situazione particolarmente stressante e di obiettiva difficoltà. Si tenga conto che gli organici del corpo di Polizia penitenziaria registrano carenze quantificate. Questo dovrebbe fare comprendere quali e quanti disagi quotidianamente affrontano le donne e gli uomini di "Baschi azzurri".

Il segretario del Sappe giudica positivo che il Cipe abbia stanziato 200 milioni per realizzare penitenziari che sostituiscano le strutture più fatiscenti, ma non può trovare esclusiva risposta nello sviluppo dell’edilizia penitenziaria. Non solo per i tempi lunghi di esecuzione dei lavori, ma soprattutto per la carenza di risorse

umane. E allora, la proposta del Sappe è quella di rivedere il decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia penitenziaria negli Uffici di esecuzione penale esterna. Il decreto, attualmente accantonato, disegna chiaramente il ruolo della Polizia penitenziaria: svolgere in via prioritaria, rispetto alle altre forze di polizia, proprio perché specializzata nella gestione dell’esecuzione penale, la verifica del rispetto degli obblighi di presenza imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova, etc.).

Libri: dal carcere di Rebibbia… i racconti scritti dai detenuti

 

Adnkronos, 17 marzo 2009

 

"Raccontare in carcere. Attimi che cambiano la vita". Un libro che raccoglie i racconti e le sceneggiature prodotti da alcuni detenuti nel laboratorio di lettura e scrittura, in un percorso formativo che viene realizzato da alcuni anni nella Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso.

La presentazione del volume è prevista per il prossimo 23 marzo alle 16 nella Sala della Pace di Palazzo Valentini, dove tra gli altri interverranno Carmelo Cantone, Direttore della Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti Regione Lazio, il magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo, Leda Colombini, presidente dell’Associazione "A Roma, Insieme", e la curatrice del libro Luciana Scarcia. L’evento sarà anche occasione per discutere della funzione della scrittura in carcere come "luogo di libertà, metodo di ricerca, strumento di autoformazione".

Diritti: l’Ass. Secondo Protocollo e i detenuti italiani all’estero

 

www.informazione.it, 17 marzo 2009

 

Come comunicato anche al Ministero degli Esteri da questa settimana l’associazione Secondo Protocollo non prenderà più in carico casi di italiani detenuti all’estero, fatta eccezione per quei casi dove si ravvisino chiare e gravi violazioni dei fondamentali Diritti Umani.

Naturalmente continueremo a seguire i casi che abbiamo in carico (79) fino alla loro conclusione, questo per tenere fede agli impegni presi con gli assistiti e le loro famiglie. Questa decisione non è stata presa a cuor leggero, ma è il frutto di una attenta riflessione su questo particolare settore.

In definitiva ci siamo resi conto che la questione dei detenuti italiani all’estero è stata e viene usata esclusivamente per fini politici e/o personali, fini che non hanno niente a che fare con il Diritto o con le condizioni dei detenuti italiani all’estero. La nostra organizzazione non ha né i mezzi per contrastare questa tendenza né la voglia di farlo.

Negli ultimi 24 mesi Secondo Protocollo ha seguito (con risultati alterni) oltre 300 casi ottenendo risultati inimmaginabili e assistendo comunque le 300 famiglie come meglio ha potuto e in maniera completamente gratuita. Purtroppo questo non è stato sufficiente a smuovere le coscienze politiche e a sensibilizzarle su questa tematica così importante. A questo vanno aggiunte altre motivazioni che non staremo ad elencare in toto limitandoci solo a denunciare una serie di poco professionali (e pericolose per gli assistiti) interferenze su casi che stiamo seguendo, interferenze che non hanno portato fortunatamente alcun danno ma che hanno comunque contribuito a farci prendere questa decisione in quanto lontanissime dal nostro concetto di difesa del Diritto collettivo, concetto che alcuni non hanno probabilmente ben chiaro.

Ci dispiace purtroppo lasciare le tante famiglie interessate da questa piaga alla mercé di figure del genere, ma siamo nella condizione di dover scegliere tra diverse priorità di lotta e in questo settore non vediamo onestamente una via di uscita concreta. È una sconfitta di tutti, non solo nostra e di chi avrebbe potuto beneficiare di una maggiore attenzione e di un servizio gratuito, ma soprattutto è la sconfitta del Diritto di fronte al sopruso e all’indifferenza.

Di questo ce ne rammarichiamo fortemente. Speriamo che questa nostra decisione sia uno sprone per la nascita di altre realtà che seguano questo importante settore, magari con risultati migliori a livello politico. Noi gli unici risultati li abbiamo ottenuti con le persone che abbiamo assistito e di questo andiamo molto fieri.

Immigrazione: i medici in piazza... la denuncia ci fa inorridire

 

Redattore Sociale - Dire, 17 marzo 2009

 

Per il "Noi non segnaliamo day" a Roma sanitari, psicologi, infermieri e operatori: "La clandestinità sanitaria può mettere a rischio la salute della collettività". E anche l’integrazione, soprattutto per i rom.

"La salute si deve garantire, la denuncia fa inorridire". Hanno cartelli sul petto, striscioni legati tra gli alberi, bandiere e manifesti:"Noi non segnaliamo", dicono. Medici, psicologi, infermieri e operatori tutti insieme questa mattina a Roma, ai piedi dell’altare della patria, per manifestare contro il ddl in discussione alla Camera che potrebbe introdurre la possibilità di segnalazione degli immigrati irregolari da parte dei medici.

La manifestazione è organizzata dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), da Medici senza frontiere (Msf), dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’Osservatorio italiano sulla salute globale. L’iniziativa fa parte di una campagna nazionale che si svolgerà nella giornata di oggi in altre città italiane.

"Siamo indignati - dice Carmelina Certo, medico degli ambulatori Stp per gli stranieri -. Non pensavo di dover scendere in piazza per un diritto che è del medico, di non segnalare nessuno ma soltanto di curare. Lo giuriamo al momento della nostra laurea". Sono scesi in piazza col camice, medici, studenti universitari, infermieri e docenti di medicina.

Hanno un adesivo sul petto. La frase è la stessa: "noi non segnaliamo". Non sono tanti, qualcuno sperava in un numero diverso. Davanti a loro un cellulare dei carabinieri e cinque volanti della polizia. Li dividono dalla strada, dal passaggio delle macchine. Ma la loro manifestazione è pacifica come il lieve movimento delle bandiere rosa.

"Sono qui a manifestare - spiega Maurizio Marceca, docente di sanità pubblica all’università la Sapienza di Roma - perché credo che le modifiche che sono state proposte vadano contro lo spirito del nostro servizio sanitario, la filosofia con cui s’è mosso fino ad adesso, la nostra Costituzione, l’interesse della collettività e la dignità delle persone". Anche Marceca è stupito di ritrovarsi a manifestare. "Mi è capitato diverse volte - spiega Marceca -, ma mai come questa volta con tanta indignazione e mai come questa volta insieme a tanti altri operatori della salute".

Sui rischi della segnalazione convergono tutti: è in pericolo la salute di tutti, immigrati irregolari e non. Le prove già ci sono. "Sono diminuite le persone che vengono da noi - spiega Certo -. Alcuni ci conoscono e sanno che si possono fidare, ma di nuovi ne sono venuti molto meno". La salute pubblica è in pericolo, spiegano i medici.

"La clandestinità sanitaria può mettere in pericolo la salute delle persone - spiega Marceca - e può mettere a rischio la salute della collettività, perché se si tratta di malattie trasmissibili, nel momento in cui queste persone non vengono tempestivamente curate possono trasmettere la malattia. La nostra Costituzione parla di salute come fondamentale diritto dell’individuo nell’interesse della collettività non casualmente".

A rischio anche i percorsi di integrazione. È il caso dei rom, come afferma Fulvia Motta, medico per la Caritas diocesana di Roma. "Il percorso sanitario con i rom - afferma Motta - è un percorso che aiuta l’integrazione. Dal momento che si sentono accolti dal servizio sanitario sono anche più disponibili ad entrare in dialogo con altre strutture". Il problema dell’integrazione vale anche per tutti gli immigrati irregolari, spiega Motta, destinati ad incontrare anche maggiori difficoltà "La mia esperienza - afferma il medico della Caritas - è che attraverso il percorso sanitario e l’accoglienza nelle strutture inizia poi un discorso globale, dall’inserimento nelle scuole per i bambini e nel mondo lavorativo. Negare loro il diritto alla salute significa farli diventare persone di serie b o c".

Droghe: perché un "Libro bianco" sulla legge Fini-Giovanardi

 

Redattore Sociale - Dire, 17 marzo 2009

 

Trieste: a margine della Conferenza nazionale sulle droghe, il cartello di associazioni firmatarie del documento "A Trieste senza dogmi né pregiudizi" ha presentato un Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Abbiamo chiesto al curatore, Alessio Scandurra, della associazione Antigone, che cosa è emerso da questa ricerca.

 

Alessio Scandurra, come mai questa iniziativa, e come mai proprio a Trieste?

La Conferenza nazionale sulle droghe sarà l’ennesima occasione di confronto mancata. Molti temi resteranno fuori dalla conferenza, così come molti interlocutori indispensabili, il tutto in violazione delle finalità che la legge stessa alla conferenza attribuisce. Per questi motivi organizziamo alcune iniziative esterne alla conferenza, tra cui quella di domani.

 

Qual è il quadro descritto dal Libro Bianco?

Si tratta di un quadro molto allarmante. Aumenta il numero delle sanzioni amministrative (dal 2004 addirittura +62,6%), ma aumentano anche le conseguenze sul carcere. Subito prima della approvazione dell’indulto i tossicodipendenti in carcere erano il 26,4% dei detenuti. Con l’indulto la percentuale è scesa notevolmente (21,4%), perché i tossicodipendenti sono spesso condannati per reati di modesta entità, e quindi molti sono usciti con l’indulto. Nonostante questo già alla fine del 2007 la percentuale di tossicodipendenti in carcere era risalita al 27,6%. Il numero dei detenuti, e dei tossicodipendenti in carcere, cresce dunque con una velocità mai vista prima. Il dato relativo al numero delle persone in carcere (anche) per spaccio resta invece stabile, ma impressionante. Alla metà del 2008 il 38,2% dei detenuti è ristretto per l’art. 73 del DPR 309/90 (NdR, che punisce produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), e addirittura il 49,5% dei detenuti stranieri. L’impatto del reato di spaccio sul carcere è incomparabile rispetto a qualunque altro reato.

 

E come si caratterizza il flusso in ingresso nelle carceri italiane, soprattutto per quanto riguarda i tossicodipendenti?

I tassi di carcerizzazione di questo paese sono ormai fuori controllo e, bisogna ammetterlo, senza l’indulto avremmo tassi di sovraffollamento unici nel mondo industrializzato, paragonabili solo ad alcune (poche) situazioni della America Latina. Detto questo, rispetto a prima dell’indulto cresce notevolmente la percentuale di persone che quotidianamente entrano in carcere dalla libertà per violazione dell’art. 73 (+3,6%), ma soprattutto aumenta l’ingresso dei tossicodipendenti (+8,4%). E se si entra facilmente, non altrettanto facilmente poi si esce. Il numero delle misure alternative, a differenza di tutti gli altri dati presentati, uguali o superiori al pre-indulto, è ancora fermo ad un quinto rispetto alla metà del 2006.

 

Sono in vista soluzioni per contenere questa crescita della popolazione detenuta?

Al contrario! Rispetto a prima della approvazione dell’indulto cresce del 31,5% il numero di procedimenti pendenti per art. 73, e addirittura del 44,5% il numero degli imputati per lo stesso reato. La macchina della criminalizzazione è lanciata a pieno regime, e gli effetti che già si vedono sul sistema penitenziario, anche per i tossicodipendenti, sono destinati ad aggravarsi.

 

 

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