Rassegna stampa 16 marzo

 

Giustizia: Alfano; carceri strapiene e "fuori dalla Costituzione"

 

Corriere della Sera, 16 marzo 2009

 

"La maggior parte delle carceri è stata costruita in secoli lontani. Il risultato è che talvolta siamo fuori dal principio costituzionale dell’umanità ". A dirlo è il ministro della Giustizia Angelino Alfano, convinto che "per questo dobbiamo costruire nuove carceri". Perché fuori dal principio costituzionale dell’umanità della pena?

Il sovraffollamento, prima di tutto. Secondo i dati diffusi da Antigone, associazione per i diritti dei carcerati, i detenuti nei penitenziari italiani hanno raggiunto quota 60.570 contro una capienza ufficiale di 43.100 posti. A Napoli siamo addirittura a 2.700 detenuti per 1.300 posti: quello di Poggioreale è il carcere più affollato d’Europa. Lì come nel resto d’Italia l’effetto indulto è stato annullato da tempo e siamo tornati alla situazione di sempre.

Il ministro Alfano ha ricordato che il piano straordinario approvato dal governo a gennaio prevede la creazione di 17 mila nuovi posti, esattamente quelli che mancano oggi. L’intervento, approvato con il decreto milleproroghe, prevede l’ampliamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi istituti.

’accordo con Alfano, ma solo a metà, il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella: "È vero che le condizioni sono inumane ma per risolvere il problema non occorre costruire nuove carceri. La storia ci insegna che per realizzare un istituto di 200-300 posti servono dieci anni e 200 milioni di euro. Piuttosto si dovrebbero introdurre sanzioni alternative alla detenzione".

Ma quando parla di inumanità nelle carceri italiane il ministro della Giustizia non si riferisce solo al sovraffollamento. Pochi lo sanno ma in Italia dietro le sbarre ci possono finire anche gli innocenti per definizione, i neonati. Al momento la legge prevede che i bambini figli di detenute vivano in carcere fino a quando compiono tre anni.

"Oggi - ha detto Alfano - ci sono circa 60 bambini che vivono nelle carceri italiane assieme alle madri detenute. Per noi è importante tutelare questi bambini e quindi non vogliamo che nessuno di loro stia in un istituto di pena perché figlio di una madre detenuta". D’accordo il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna: "Nessun bambino merita di crescere dentro ad un carcere, non è giusto che qualcuno paghi per colpe che non sono sue. Spero che entro pochi mesi, insieme col ministero della Giustizia, riusciremo a portarli tutti fuori".

Anche questo è un intervento che Alfano ha annunciato più volte, come già i suoi predecessori al ministero della Giustizia. L’idea è quella delle cosiddette strutture a custodia attenuata, senza sbarre e con agenti non in divisa, sul modello di un istituto aperto a Milano da un paio di anni. "Le parole troppe volte ripetute - dice Irene Testa, segretario dell’associazione radicale "Detenuto ignoto" - diventano sterili. Il problema è grave ma anche relativamente semplice da affrontare, visto che riguarda poche decine di casi".

Giustizia: la vergogna di celle strapiene e le prigioni fantasma

di Paolo Berizzi

 

La Repubblica, 16 marzo 2009

 

C’è tutto: le piastrelle, i bagni. Belle toilette verde acqua, una per cella. In fondo ai corridoi luminosi, spezzati dalle cancellate di ferro, verdi anche quelle, larghi finestroni e scale di marmo che collegano i due piani dell’edificio. Ecco le telecamere a circuito chiuso. All’interno e all’esterno. Gli spazi sono umani; non gli otto metri cubi previsti (per ogni detenuto) dall’Unione europea - nessuna regione italiana è in regola - , ma insomma, non si dovrebbe stare affatto male. Un padiglione nuovo di zecca. Ancora incellofanato. Una trentina di celle, quattro detenuti per ognuna.

A vederlo così, il carcere di Via Gleno, pare di essere tornati agli anni 80 quando lo chiamavano "Grand Hotel", e chi veniva spedito qui sembrava dovesse andare in vacanza dietro le sbarre. Peccato che nella nuovissima ala della casa circondariale di Bergamo (complessivamente 525 reclusi, posti regolari 340) non c’è un anima. Vuota. Pronta da un anno e mezzo ma disabitata.

Come una ventina di carceri italiane. Alle quali se ne aggiungono almeno altre venti. Inutilizzate o sotto utilizzate. La mappa delle prigioni fantasma va da Pinerolo a Reggio Calabria, da Castelnuovo Daunia a San Valentino in Abruzzo: migliaia di celle lasciate marcire, impolverate. Addirittura occupate da senza tetto e sfrattati. Come a Monopoli, nel cuore della Puglia maglia nera dell’abbandono dell’edilizia carceraria. Il tutto mentre le carceri italiane scoppiano: in nove mesi siamo passati da 52.992 detenuti (fine aprile 2008) ai 60.570 attuali.

A questo ritmo - il flusso è di 700 nuovi detenuti al mese - entro marzo si supererà nuovamente il livello pre-indulto (60.710 detenuti al 31 luglio 2006). Una bomba pronta a deflagrare, e che oltre al danno conterrà anche la beffa. Perché alle attuali e precarie condizioni di detenzione - tra strutture fatiscenti, sovraffollamento e suicidi (48 nel 2008) - fa da sfondo uno scenario che rischia di essere imbarazzante per il Ministero della giustizia. Angelino Alfano ha annunciato che costruirà 75 nuovi penitenziari: 17 mila nuovi posti entro il 2012. Lo prevede il piano carceri (approvato dal Cdm il 23 gennaio scorso) la cui realizzazione è affidata al commissario straordinario Franco Ionta, già capo del Dap. Nei documenti ufficiali si parla di un programma di interventi "ampiamente di massima".

In effetti la prudenza pare quanto mai opportuna. Per diversi motivi. Prima di analizzarli conviene dare un’occhiata a tutti quei penitenziari che, a fronte di un quadro esplosivo - con carceri tipo San Vittore (Milano) o l’Ucciardone (Palermo) dove i detenuti vivono uno sull’altro - restano deserti e in naftalina. Molti offrono lo stesso scenario, paradossale, del nuovo padiglione di Bergamo. A piano terra ci sono cataste di mobili impilati, tavolini, sedie, armadi, mensole, brande, materassi ancora confezionati.

"In un giorno sarebbe tutto arredato", dice il guardiano. Per farlo funzionare manca solo una cosa: gli agenti di polizia penitenziaria. È uno dei punti dolenti del progetto Alfano. Le "guardie" sono già sotto organico: 5.250 in meno rispetto alle 44.406 previste dall’organico.

Come se non bastasse, secondo le previsioni del ministero della giustizia, quest’anno gli stanziamenti per il personale sono in diminuzione: da 1.276 milioni del 2008 a 1.184 milioni nel 2009 (-7,2%). Risultato: saranno tagliati da 500 a 1.000 altri "secondini".

Attacca il parlamentare Pd Antonio Misiani: "Come pensa il ministro Alfano di far funzionare le carceri che vuole costruire se taglia le risorse per gli agenti? Non gli basta vedere che ci sono almeno una decina di penitenziari vuoti proprio perché mancano le guardie? In generale, il piano carceri appare in gran parte come un libro dei sogni...".

A una recente interrogazione di Misiani, proprio sul caso Bergamo, Alfano ha risposto così: "Allo stato, la situazione non permette di destinare presso l’istituto ulteriori risorse umane oltre le 9 unità recentemente assegnate". Magari il problema fossero soltanto le carceri fantasma. Il problema sono anche quelle nuove. Alfano le vuole "ecosostenibili", a energia solare. Ma prima di decidere con quali materiali tirarle su, bisogna capire dove trovare i soldi. Il piano prevede "nuovi interventi" per 1,1 miliardi: 356 milioni, stando a fonti del ministero, sarebbero coperti. Altri 200 sono stati stanziati una settimana fa dal Cipe.

I restanti 460 sono da cercare. La prima ipotesi è il coinvolgimento dei privati con il project financing: peccato che a smontarlo sia proprio una relazione del Dap (2008), che definisce la soluzione "impraticabile in quanto non sostenibile per la parte finanziaria a carico dello Stato". La seconda è il ricorso alla Cassa ammende dell’amministrazione penitenziaria, i cui fondi, in teoria, sarebbero riservati a programmi di reinserimento dei detenuti.

In tutto questo a Reggio Calabria c’è un carcere chiuso perché manca la strada per arrivarci. Finito nel 2005, è costato 90 milioni e potrebbe ospitare fino a 300 detenuti. La via d’accesso è un sentiero che passa tra i vigneti. Tra imbarazzi e fiumi di denaro pubblico sprecato (per custodirlo vuoto ci sono voluti finora 2,5 milioni), il provveditore regionale Paolo Quattrone dice che questa "è una telenovela infinita".

Mille chilometri più su, a San Vittore, ci sono detenuti che dormono su materassi per terra. "Non c’è spazio per le brandine da campo", ammette Luigi Pagano, provveditore lombardo alle carceri. La prima prigione di Milano è datata 1872. Ogni giorno arrivano 50 nuovi detenuti ("È il risultato di un sistema giudiziario dove il carcere è visto come una discarica sociale", ragiona il deputato radicale Maurizio Turco). Potrebbe ospitarne 700, ce ne sono 1500. Alla faccia del grand hotel.

Giustizia: le pene alternative... sono più umane e meno costose

di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 16 marzo 2009

 

47 miliardi di dollari: tanto è costato nel 2008 il "sistema correzionale" statunitense, il 6,9% della spesa pubblica globale del Paese. Tutto ciò per far fronte a uno dei più recenti e significativi primati mondiali statunitensi: la popolazione in carcere o comunque sottoposta a limitazione della libertà per motivi di giustizia. "Uno ogni 31", come titola il suo recente rapporto il Pew Center on the States.

Indifferente all’andamento della criminalità (diminuita del 25% negli ultimi vent’anni), la crescita della detenzione non sembra incidere sulla recidiva, rimasta sostanzialmente costante. Con il risultato - secondo Sue Urahn, Managing Director del Pew - che i tagli di spesa pubblica sono fatti in settori nei quali effetti dannosi a lungo termine sono certi (istruzione e assistenza sanitaria), e non dove - nel sistema penitenziario, appunto - potrebbero essere fatti con buoni o addirittura migliori risultati in termini di resa del servizio.

L’indicazione dei ricercatori del Pew è per un investimento nelle alternative alla detenzione, che costano meno di un decimo per persona (un detenuto costa mediamente 29mila dollari l’anno; una persona in libertà vigilata o messa alla prova costa tra i 1250 e i 2750 dollari l’anno), e che invece sono destinatarie solo di un decimo delle risorse del sistema penitenziario, nonostante abbiano sotto controllo più del doppio delle persone detenute (più di 5 milioni di persone contro 2.200.000).

Non diversamente dalle indicazioni del Pew Center on the States, la Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita dal negletto Governo Prodi il 12 giugno dello scorso anno consegnava al subentrato Ministro Tremonti un Rapporto per la revisione della spesa pubblica in cui, "nell’ambito di una opportuna riflessione sull’attuale conformazione del sistema penale italiano" si raccomandava "di valutare la possibilità di un più intenso ricorso a forme di detenzione alternative alla reclusione".

Nel Rapporto intermedio, reso pubblico dal Ministro Padoa Schioppa a dicembre del 2007, si sosteneva che "il ricorso a servizi e strutture di sostegno alle misure alternative e sostitutive alla detenzione, ampiamente diffuso in altri paesi europei…, oltre a garantire un percorso di riabilitazione del detenuto in grado di fornire una più incisiva forma di inclusione della persona nel tessuto sociale, sarebbe in grado di consentire un importante risparmio di risorse, essendo ridotto, rispetto a quello carcerario, il rapporto di agenti e detenuti".

Del resto, uno studio dell’Osservatorio delle misure alternative istituito presso il Ministero della giustizia dice che a sette anni dalla archiviazione della misura alternativa alla detenzione, l’81% dei beneficiari non risulta recidivo, mentre nello stesso periodo è rientrato in carcere il 68,45% dei condannati che vi avevano finito di scontare la pena senza poter accedere a misure alternative alla detenzione.

Non male, quanto a evidenza scientifica e implicazioni di politica della sicurezza. Ma il Governo fa il contrario e minaccia il carcere per ogni dove, dai giornalisti, ai molestatori, agli indagati per violenza sessuale anche in assenza dei requisiti ordinari per la custodia cautelare in carcere (ai palazzinari no!); e spende i pochi quattrini che ha per l’improbabile costruzione di nuove strutture detentive, anche sottraendo ai detenuti e alle loro famiglie i fondi che loro stessi hanno versato in una apposita Cassa per la loro assistenza e per il proprio reinserimento.

Povero Berlusconi, che annunciava l’ultimo decreto-legge sulla sicurezza farfugliando che i reati però erano in calo: finirà vittima delle sue stesse macchinazioni. La prima legge delle politiche della sicurezza è che si tratta di un atout di parte: se si contende su quello vince la destra (e Rutelli e Veltroni dovrebbero ormai saperlo bene). La seconda legge delle politiche della sicurezza è che con il populismo penale si vince una elezione sola, non due di seguito. Quanti malcapitati manderanno in galera - Berlusconi e Alemanno - prima di capirlo?

Giustizia: Antigone; più misure alternative, invece del carcere 

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

"Condividiamo pienamente l’affermazione del ministro Alfano sull’inumanità della pena scontata nelle carceri italiane ma la soluzione non è quella di costruirne di nuove, bensì di introdurre sanzioni alternative alla detenzione". A dichiararlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti negli istituti di pena.

"La soluzione scelta dal ministro - dice Gonnella - non può essere quella giusta se pensiamo che, la storia penitenziaria ci insegna che per costruire un nuovo carcere di 200-300 posti servono almeno dieci anni e 200 milioni di euro. Per la costruzione di nuovi istituti non c’è, dunque il tempo né le condizioni economiche, aggiunge Gonnella visto che con la nuova legge sulla prostituzione e le norme del pacchetto sicurezza saranno molti di più degli attuali mille al mese, i nuovi ingressi in carcere".

Secondo il presidente di Antigone, "è invece necessario prendere coscienza che non si possono chiudere in carcere tutti quelli che creano fastidio sociale: tossicodipendenti, prostitute, immigrati clandestini. Servono misure alternative, fin dalla decisione del giudice. Solo così si lascerà lo spazio adeguato alla reclusione di chi è realmente socialmente pericoloso".

Giustizia: Ass. Detenuto Ignoto; dopo le parole, servono i fatti

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

Dopo le parole servono i fatti. Così Irene Testa, segretario dell’associazione radicale il Detenuto Ignoto, commenta l’impegno del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a far uscire dagli istituti di pena i bambini rinchiusi con le loro mamme. "Occorre ricordare al ministro Alfano - spiega Testa - che le parole troppe volte ripetute diventano sterili. Ora servono i fatti, soprattutto per un grave problema che sarebbe di relativamente semplice soluzione, se solo lo si affrontasse, come quello di qualche decina di bambini che nel frattempo continuano a vivere con le madri detenute la realtà traumatizzante di un carcere"

Giustizia: Ass. Clemenza e Dignità; riformare il sistema penale

 

Adnkronos, 16 marzo 2009

 

"I detenuti reclusi nelle carceri italiane sono ormai oltre sessantamila e il drammatico sovraffollamento è di nuovo all’orizzonte". Lo afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente del movimento Clemenza e Dignità. "La realizzazione di nuove carceri - prosegue Meloni - richiederà un tempo necessario, probabilmente incompatibile con il prossimo aggravarsi della situazione, a partire già dai primi mesi estivi di quest’anno". E aggiunge Meloni: "Non intervenire per principio sul sistema processuale punitivo può significare costruire le future condizioni umanitarie e di urgenza, per un ulteriore atto di clemenza".

Ora, prosegue il presidente dell’associazione, "a differenza di tanti, non rinneghiamo la nobile battaglia di umanità e di religiosità, perseguita in primissima linea, per l’approvazione dell’indulto". Tuttavia, osserva, "è evidente che la soluzione del problema non può essere l’elezione a sistema di un provvedimento straordinario che ogni tot anni, apra le porte e faccia uscire tutti indistintamente". Ora, conclude Meloni, "è da tempo che, sebbene inascoltata e in un clima di diffidenza generale, Clemenza e Dignità insiste sulla profonda necessità di riforme del sistema punitivo e processuale punitivo, avanzando delle proposte risolutive e concrete. Ci aspettiamo - conclude il presidente - che molti, solo per onestà intellettuale, riconoscano tardivamente queste esigenze di riforma".

Giustizia: Mura (Idv); allarme Alfano prelude a nuovo indulto?

 

Redattore Sociale - Dire, 16 marzo 2009

 

"L’allarme lanciato dal ministro Alfano in merito al sovraffollamento carcerario impone immediatamente una riflessione evidente come il sole, l’indulto è stato un provvedimento inutile per risolvere il problema, ma quanto mai dannoso per la sicurezza dei cittadini, dunque ancora una volta viene confermato che l’Italia dei Valori aveva avuto ragione ad organizzare un strenua opposizione a tale misura". Lo afferma Silvana Mura deputata di Idv.

"Alla luce di ciò le parole del ministro Alfano vanno inserite d’ufficio nella categoria lacrime di coccodrillo - sottolinea la parlamentare - dal momento che il suo partito fu uno tra i più strenui sostenitori dell’indulto e contribuì in maniera determinante ad approvarlo con il voto in parlamento. Poiché il piano carceri è irrealizzabile per mancanza di fondi e per la lunghezza dei tempi di realizzazione, le tante carceri che già esistono rimangono vuoti perché manca il personale per consentire di aprirle, ci domandiamo con preoccupazione se l’allarme di Alfano non voglia preparare il terreno a un altro indulto".

Certamente, conclude Mura, "va riconosciuto che il governo si sta già dando da fare per ridurre considerevolmente gli arresti, infatti se la formula ne intercetto 10 e ne salvo 90 verrà introdotta nella legge sulle intercettazioni, si farà un passo avanti molto importante in questa direzione".

Giustizia: i giudici di sorveglianza; no a nuove norme sul 41-bis

 

Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2009

 

I magistrati di sorveglianza contestano le nuove norme sull’applicazione per i mafiosi del regime di carcere duro previsto dal 41 bis che concentrano le competenze sul tribunale di sorveglianza di Roma. In un documento inviato nei giorni scor-si al Csm e, per conoscenza, all’Anni, 14 giudici di sorveglianza della capitale hanno messo nero su bianco la loro bocciatura delle novità - contenute nel Ddl sicurezza approvato dal Senato e ora all’esame della Camera - sostenendo che l’accentramento della competenza su Roma "costituirebbe una ingiustificata rottura del sistema con evidenti profili di incostituzionalità".

Il documento ha avuto ieri l’approvazione unanime dai giudici di sorveglianza riuniti a Bologna per un seminario. In sostanza, il nuovo sistema sarebbe criticabile sotto il profilo della ragionevolezza e violerebbe il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge stabilito dall’articolo 3 della Costituzione.

Invitando il Csm a esprimersi, i giudici ricordano che la previsione di affidare la competenza al tribunale di sorveglianza di Roma è legata al fatto che è il ministro della Giustizia, che ha sede nella capitale, a firmare l’applicazione del 41 bis (sia quando viene disposta per la prima volta, sia quando è rinnovata). Osservano, però, che la decisione può essere impugnata dal detenuto davanti al suo giudice di sorveglianza territoriale, che ha maggiori elementi per valutare la sussistenza degli elementi per giustificare il provvedimento.

Giustizia: stalking; due arresti al giorno, la legge parte a razzo

di Alessandra Arachi

 

Corriere della Sera, 16 marzo 2009

 

Siamo un popolo di stalker. Ce ne siamo accorti da quando esiste il nuovo reato. Da quando una ventina di giorni fa, è entrato in vigore il decreto legge che ha messo tutti insieme questi reati (creando lo stalking) gli inquirenti si sono attivati. E gli arresti si susseguono a ritmo frenetico.

Circa 40 in una ventina di giorni. Praticamente due al giorno. In una caccia senza confini: da Trento a Caltanissetta, passando per L’Aquila, Sanremo, Sassari, Catanzaro, Ascoli Piceno, Milano, Bologna, Savona, Bari, Ravenna, Genova, Arezzo, San Benedetto del Tronto, Treviso, Arezzo, Sorrento. Il decreto legge del governo è diventato operativo il 25 febbraio.

E il 2 marzo Stefano Savasta, 50enne di Milano, ha varcato le soglie del carcere inaugurando la serie di arresti: alla sua "ex" recalcitrante aveva fatto bere del te condito con interiora di topo morto. Il 4 marzo è toccato ad un 65enne di Sorrento: il suo desiderio maniacale per una donna lo ha portato a perseguitarla ovunque e sfregiarla anche con una lametta.

Il 5 marzo un altro arresto a Milano, il 7 a Sanremo, l’8 a Genova. Poi la serie è diventata esponenziale. Ed è schizzata su con un picco altissimo, come fosse un sismografo impazzito. Ed ecco che soltanto negli ultimi due giorni sono finiti nelle carceri italiane una dozzina di stalker.

E se soltanto si volesse proseguire, non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta su chi sbattere nelle patrie galere. Almeno a giudicare dagli ultimi dati Istat che ci segnalano che dal 2002 al 2007 sono stati ben due italiani su dieci a rimanere vittima dello stalking.

La maggior parte sono donne. La stragrande maggioranza degli stalker sono partner o, preferibilmente, ex. Ma non soltanto. La nuova legge sullo stalking non si limita a punire i delitti a sfondo sentimentale, passionale o sessuale. Persecuzioni, molestie, ingiurie e minacce vengono perseguite a 360 gradi. Si tratti di aggressioni o di persecuzioni telefoniche, sms compresi. Ce n’è di lavoro, volendo.

E Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, su questo tasto ha intenzione di continuare a lavorare. È stata lei che ha fortemente voluto l’introduzione di questo reato. È sempre lei che adesso annuncia la creazione di un nuovo gruppo di carabinieri dedicati soltanto allo stalking. Spiega, infatti: "Abbiamo firmato un protocollo d’intesa con il ministero della Difesa, seguito dalla convenzione con il mio ministero e il comando generale dell’Arma così da creare questo gruppo.

Ovvero una dozzina di carabinieri scelti tra ufficiali e sottufficiali che lavorerà preso il ministero per dedicarsi allo stalking". Non è soltanto una storia di semplici persecuzioni e molestie verbali. Troppo spesso la follia che acchiappa la mente per motivi di gelosia o di cieca vendetta, degenera nelle tragedie più buie. Ce lo spiegano ancora i dati del nostro Istituto di statistica. Sono numeri che fanno venire i brividi.

Dicono che ben il 39% dei delitti commessi tra partner o ex partner erano crimini ampiamente annunciati. Per capire: la vittima era stata esplicitamente minacciata di morte. Com’è successo ad Ozieri, Sassari, dove un uomo di 34 anni è stato arrestato per aver più volte minacciato di morte la sua ex convivente di 31 anni e anche suo fratello. Pensiamo ad Ivano Biffi, 38 anni, ex portiere della Sanremese, oggi pizzaiolo. Il 7 marzo, finalmente, è stato portato dietro le sbarre.

Ma nel frattempo aveva avuto il tempo di provocare un trauma facciale all’ex moglie. Come mai? Non voleva che la donna si ricostruisse un’altra vita, al di là di lui. Oltre la violenza fisica, c’è anche una grande componente di violenza psicologica. Ad Asiago, Vicenza, le minacce violente e ripetute di Enzo Mussarra, 47 anni di Messina, stavano impedendo alla sua ex fidanzata di poter condurre una vita normale. La sua esistenza era diventata un alternarsi di stati di ansia e di paura. Come quasi sempre succede alle vittime degli stalker.

Giustizia: e gli uffici giudiziari ora scommettono sull’efficienza

di Lionello Mancini

 

Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2009

 

Uffici giudiziari, Csm, ministero, il "triangolo delle Bermude" della giustizia italiana che per decenni ha inghiottito ogni sforzo di rinnovamento. I re vertici che delineano quest’area dagli influssi tanto perversi sono dunque la rete delle migliaia di uffici giudiziari del front-office del servizio; il Csm, che regola la vita delle circa 10mila toghe e infine il ministero della Giustizia, che domina le risorse e governa le circa 40mila unità del personale amministrativo.

Fino ad oggi, espressioni come "analisi condivise", "decisioni concordate", "programmazione", "obiettivi" sono rimaste vuote di significato, nonostante i tre protagonisti tentino di muovere i passi che sembrano loro (spesso separatamente) i più giusti. La crisi economica e l’urgenza di risposte da parte degli utenti ha fatto il resto, interrompendo la spirale spese-rimborsi a piè di lista-debito che ha portato alle auto senza benzina, alle fotocopiatrici senza carta, al taglio del personale, all’emergenza continua che produce ulteriore inefficienza.

Oggi qualcosa sta cambiando, grazie all’ostinazione di (ancora troppo poche) persone che stanno riportando la giustizia in una ambito più moderno, meno sacerdotale, più aderente ai problemi dei cittadini. Negli Uffici - Tribunali, Procure, cancellerie - si cercano soluzioni per dare efficienza a strutture obsolete, per capire quali e dove sono i nodi da sciogliere, mentre volti nuovi si mettono in gioco assumendosi responsabilità oltre orari, funzioni e stipendi; vengono così elaborai progetti e avviate sperimentazioni, si cercano risorse finanziarie come i 20 milioni del Fondo sociale europeo per diffondere le best-pratice; si ritrova l’orgoglio di un servizio pubblico che reagisca al degrado.

Il Csm spinto controvoglia da una radicale riforma dell’ordinamento giudiziario osteggiato in ogni modo, ha finalmente accantonato le nomine-premio e sceglie ormai dirigenti intorno ai 60 anni, la quota delle donne cresce, i candidati presentano progetti su come organizzeranno l’ufficio. Il ministero è al momento il "vertice" in cui è più difficile scorgere i segni del fermento perché via Arenula non sfugge alle regole della burocrazia più pletorica, dello spoils system a vote insensato, delle poltrone assegnate per appartenenze (politiche, geografiche) invece che per competenze.

Non che la ministero qualche impegno è stato assunto, come l’avvio del progetto best practices o lo sforzo dell’informatica però è forte la tentazione di dedicarsi solo alle emergenze; i soldi sono pochi, tanti gli errori commessi. Ma se il ministero resta inchiodato al passato, senza sforzarsi di cogliere il nuovo nel mondo di cui governa le risorse, rischia di riproporre all’infinito l’immagine del triangolo delle Bermude.

Dove continueranno ad inabissarsi la fiducia e il denaro dei cittadini vittime dei ritardi della giustizia. I pareri e le esperienze: secondo Mariano Sciaccia, giudice civile a Catania occorre gioco di squadra tra magistrati, avocati, cancellerie e informatici ma anche capi uffici consapevoli della necessità di innovare e la disponibilità del personale di cancelleria. Per il responsabile dell’ufficio formazione per il distretto di Trieste, Alberto Di Cicco occorre puntare sulla formazione continua del personale che oggi, a causa dei tagli, rischia uno stop.

Personale che inoltre va aumentato, non diminuito. I direttori di cancelleria sono passati dai teorici 1.330 a 351 (-74%); i cancellieri C2 da 4.327 a 1-762 (-59%) e le altre figure professionali come l’analista di organizzazione, il bibliotecario, il formatore o lo statistico qualifica C3 sono state azzerate. La formazione, inoltre, dovrebbe essere fatta "in house" cioè tarata sulle esigenze delle singole strutture giudiziarie anziché essere commissionata all’esterno.

Spazio ai manager esterni come nella sanità: Stefano Zan, docente di Teoria dell’organizzazione all’Università di Bologna e coordinatore del Comiug (il centro creato da Alma Mater per aiutare la giustizia a orientarsi verso efficienza ed efficacia del servizio), il problema è che "più che unità organizzative, i Tribunali appaiono come uno spazio fisico in cui una pluralità di attori e uffici gioca una partita senza limiti di tempo con continue peregrinazioni dei fascicoli processuali". Tutto questo, non è colpa (solo) dei giudici e degli avvocati, bensì "di una cultura autoreferenziale, attenti ai diritti, ma disattenta ai problemi di efficacia ed efficienza relativi a quegli stessi diritti". Dalla capacità di collaborazione e di positiva interazione del dirigente togato (nominato dal Csm) e di quello amministrativo (nominato dal ministero della Giustizia) dipendono le possibilità del successo.

Il problema è che a nessuna di queste due figure sono richieste capacità manageriali, e tutto è lasciato alla buona volontà, alla pazienza, al reciproco sforzo di comprensione (…). Con la riforma dell’ordinamento giudiziario, che impone valutazioni periodiche e il limite degli otto anni nello stesso incarico,qualcosa sta cambiando in meglio, sta finendo l’era in cui il posto di dirigente era un bonus di fine carriera. Esperienze di eccellenze come quelle di Torino, Bolzano, Varese, Catania o Modena, confermano che dove un dirigente si impegna davvero nella gestione, i risultati si vedono. Le decine di progetti per partecipare ai bandi regionali per la diffusione delle best practices testimoniano che centinaia di dirigenti in tuta Italia hanno una gran voglia di fare.

"In questo modo si potrebbe impiantare un processo di standardizzazione delle procedure e dei flussi per facilitare l’esportazione delle metodologie ritenute le migliori, le più efficienti" - afferma Zan -; quello che va diffuso non è tanto un modello da copiare, quanto un processo di apprendimento organizzativo".

Secondo Zan negli uffici giudiziari va messo un manager esterno come è accaduto negli ospedali o nei Comuni con i city manager, bisogna passare dal governement alla governante, ovvero da un bravo capo che vigila perché al cune buone regole vengano rispettate, a una dinamica virtuosa e diffusa nell’organizzazione. I casi di eccellenza dimostrano che nessuno vieta a nessuno di organizzare la meglio un sistema giustizia più efficiente, meno costoso e di maggior soddisfazione per l’utente. Il problema è che bisogna volerlo - e saperlo - fare.

Sicilia: il Garante; in regione 4 carceri-lager da chiudere subito

di Roberto Puglisi

 

www.livesicilia.it, 16 marzo 2009

 

Quattro prigioni dell’orrore, in Sicilia. Quattro carceri da chiudere subito perché "violano la Costituzione". "Quattro lager che mortificano la dignità della persona umana". Lino Buscemi, dirigente dell’Ufficio regionale del Garante dei diritti dei detenuti, è uomo che ama parlare chiaro. Lo fa anche stavolta all’indomani del grido di dolore del ministro Alfano sulla disumanità di certi istituti di pena.

 

Allora il ministro ha ragione?

"Ha ragione da vendere. Controlliamo sempre. Sono saltate fuori cose da far rizzare i capelli. Quattro carceri siciliane sono da chiudere subito".

 

L’elenco.

"Ucciardone a Palermo, Piazza Lanza a Catania, Favignana e Mistretta. Sono lager".

 

Perché?

"Alla sesta sezione dell’Ucciardone dormono in nove in celle che potrebbero ospitare tre persone. A Favignana, per fare la doccia, i prigionieri - li chiamo così - sono costretti a percorrere nudi un corridoio di dieci metri, col freddo e col caldo. E le celle sono sotto il livello del mare".

 

Continui.

"Ovunque manca l’acqua calda. Ovunque abbondano gli scarafaggi. E poi ci sono i numeri".

 

Pure.

"Abbiamo sfondato quota settemila detenuti su una tollerabilità di cinquemila. In Sicilia c’è il tredici per cento del totale"

 

Che pena.

"Sì, che pena. Ho incontrato due poveracci in cella. Otto mesi per furto di legname".

 

Carceri nuove?

"Basterebbe eliminare gli sprechi. E basterebbe tenere presente un assunto fondamentale".

 

Cioè?

"Il carcere dovrebbe rieducare".

Marche: Prc sostiene campagna per l’abolizione dell’ergastolo

 

www.anconanotizie.it, 16 marzo 2009

 

Il Gruppo consiliare Prc aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale del 16 marzo per l’abolizione dell’ergastolo e per l’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione Italiana, per cui il fine della pena è la rieducazione del condannato.

Lo sciopero della fame a staffetta, promosso dall’Associazione Liberarsi, iniziato il 1 dicembre 2008, aveva coinvolto le carceri marchigiane, in particolare Fossombrone e Ascoli Piceno, e si è concluso con i detenuti del Lazio il 15 marzo 2009. Alla larga mobilitazione, che ha visto solidarizzare i detenuti al di là della loro posizione giuridica, aveva partecipato il gruppo regionale di Rifondazione Comunista con la sua visita alla Casa di Reclusione di Fossombrone assieme ai volontari di Liberarsi. All’indomani della visita dell’8 dicembre Rifondazione Comunista ha presentato una mozione perché la Regione, assieme ad altre, agisca sul Parlamento italiano per discutere la proposta di legge per l’abolizione dell’ergastolo, già presentata da vari parlamentari nel 2005.

Gli 8 istituti marchigiani, che ad oggi soffrono a causa di un rapporto di 662 agenti di polizia penitenziaria a fronte di 1021 detenuti, ben oltre i limiti della capienza regolamentare, di cui circa 200 in attesa di primo giudizio, e decine condannati all’ergastolo, hanno bisogno che il lavoro dei tribunali abbia corso regolare. È necessario che tutti coloro che ne hanno diritto possano usufruire delle pene alternative: 8 detenuti su 10 che ne hanno beneficiato non tornano a delinquere. Rifondazione chiederà che la mozione presentata a dicembre sia discussa nell’assemblea del 24 marzo. Riconferma con ciò di essere fianco dei detenuti, dei loro familiari e di tutti gli operatori penitenziari per un uso umano della pena, e si adopererà presso l’Ombudsman perché tutti i provvedimenti già varati in Regione riguardo al "pianeta carcere" abbiano sollecita applicazione e diffusione fra gli interessati.

 

Gruppo Prc-Se Regione Marche

Palermo: l'Ucciardone; troppi detenuti e reinserimento difficile

di Roberto Puglisi

 

www.livesicilia.it, 16 marzo 2009

 

"All’Ucciardone sono 700 i detenuti contro una tolleranza di 500 della struttura , un dato in linea con gli altri istituti penitenziari italiani". A parlare è Maurizio Veneziano, direttore del più importante carcere palermitano che conferma come anche questo si trovi in una situazione di sovraffollamento. A poco è servito l’indulto, "all’indomani del provvedimento erano la metà ma in questi anni si è tornati alla stessa cifra di allora".

Sulla situazione delle carceri sono due le scuole di pensiero: quello del recupero dei detenuti e quella di costruire nuove carceri.

Maurizio Veneziano, non vede né una né l’altra, guarda a quello che si fa dentro il suo carcere. "Abbiamo attivato 3 corsi di scuola media, uno di liceo scientifico in accordo col Benedetto Croce, uno di alfabetizzazione primaria, e altri corsi: ceramista, barbiere, giardiniere, computer grafica, aiuto scenografo".

L’obiettivo principale è sottrarre il detenuto all’ozio, "la cosa peggiore per chi sta in carcere" sottolinea il direttore. "Oltre le 4 ore d’aria, due al mattino, due al pomeriggio, impieghiamo questo tempo per la crescita culturale e formativa". Ad ogni corso partecipano una decina di persone, "ma al di là di questi ci sono altre attività manuali: manutenzione della struttura, muratura, falegnameria, pulizia, cucina. Vi partecipano un centinaio di detenuti a rotazione per 3 o 6 mesi".

Ma imparare un mestiere, approfittando del soggiorno forzato non basta quando poi si esce fuori. "Noi attiviamo tutti gli interventi necessari, poi all’esterno devono essere gli enti locali a intervenire". E in questo momento, il reintegro del detenuto è ancora più difficile a causa della generale crisi economica.

"Un po’ tutte le realtà sono investite ma, ad esempio, esiste una legge regionale che concede finanziamenti a fondo perduto per creare aziende. Ci stiamo raccordando col garante dei diritti del detenuto". Poi, all’esterno, c’è un muro invalicabile: "Il mondo degli ex carcerati si scontra con una serie di pregiudizi, con una chiusura nei loro confronti"

Lanciano: denuncia della Uil; agenti aggrediti e taglio ai fondi

 

Prima Da Noi, 16 marzo 2009

 

La Uil pubblica amministrazione, comparto penitenziari, denuncia lo stato di totale indifferenza "nel quale vengono abbandonati i Poliziotti Penitenziari, che pur garantendo i servizi essenziali a scapito della propria salute psicofisica, espletando anche 4 o 5 mansioni diverse, si vedono poi ripagati con una moneta immeritata, il sospetto di non aver compiuto al meglio il proprio dovere".

Sono queste le parole del segretario provinciale della sigla sindacale, Ruggero Di Giovanni, che parla dell’aggressione subita venerdì scorso da alcuni agenti della Casa Circondariale di Lanciano, quando un detenuto in uno scatto d’ira ne ha feriti tre, procurando una prognosi di 30 giorni a uno di loro per la frattura della mano sinistra e 4 giorni agli altri due intervenuti per evitare che il detenuto si ferisse con atto autolesionistico.

"Non è che questo sia il primo caso nella carcere di Lanciano - assicura Ruggero - negli ultimi mesi infatti sono accaduti episodi analoghi, di minore entità e soprattutto senza conseguenze così gravi per i Poliziotti Penitenziari. Purtroppo questo tipo di aggressioni sono solo il sintomo di una più ampia problematica; infatti il personale di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Lanciano è sempre più spesso chiamato ad assolvere ai propri compiti istituzionali in situazioni di vera e propria emergenza, da anni sotto organico e perennemente al di sotto dei normali parametri di sicurezza, mancando circa 40 agenti".

E la Uil è chiara: questo determina giornalmente situazioni di stress lavorativo, dovute principalmente alla necessità di garantire un servizio che normalmente andrebbe assegnato a 3 o 4 unità di Polizia Penitenziaria ma che, per carenza di personale ed incomprimibilità dei servizi, va in ogni modo garantito anche da un solo agente.

"Il risultato - continua il segretario provinciale della Uil - un disagio lavorativo non indifferente, che fiacca la professionalità del personale rendendolo meno attento ai segnali di pericolo che, in un lavoro come il nostro, sono il primo indicatore dell’eventualità di un gesto estremo come quello accaduto venerdì".

E non sarà più semplice quando arriveranno anche i tagli preannunciati recentemente dal locale provveditorato di Pescara che ha previsto interventi su tutti i capitoli, dalle mercedi detenuti (retribuzione per l’attività lavorativa da loro prestata all’interno degli istituti), fino al monte ore di straordinario (-25 per cento) assegnato al personale di Polizia Penitenziaria.

Conseguentemente si avranno meno detenuti lavoranti e quindi più detenuti che per apatia saranno potenzialmente indotti a compiere gesti estremi e parallelamente meno unità di polizia penitenziaria destinate alla vigilanza.

"L’effetto indulto è finito - si interroga Ruggero concludendo - e le carceri sono di nuovo al collasso, si parla tanto di costruire nuovi istituti di detenzione, ma nessuno ha mai pensato che con l’organico attuale a stento riusciamo a tenere aperti quelli esistenti?".

Giustizia: Osapp; Poggioreale è carcere più affollato d’Europa

 

Apcom, 16 marzo 2009

 

Il carcere Poggioreale di Napoli è il penitenziario più affollato d’Europa: ha raggiunto, infatti, quota 2700 detenuti a fronte di non oltre 1300 posti-detenuto. È quanto denuncia Leo Beneduci, segretario dell’Osapp, osservatorio sindacale della polizia penitenziaria. Beneduci segnala "i gravi rischi per la sicurezza e per la salute del Personale e degli stessi detenuti ma anche sul restante territorio la situazione è pessima tenuto conto che le capienze ordinarie degli istituti penitenziari sono state superate di quasi 20.000 unità".

"Ciò dimostra - aggiunge Beneduci - la contraddittorietà delle dichiarazioni del Ministro Alfano quando parla di mancanza di umanità e si preoccupa esclusivamente di costruire nuove carceri che non potranno mai funzionare senza ulteriore Personale soprattutto di Polizia Penitenziaria".

Firenze: all’Opg di Montelupo c'è degrado e rischio di epidemie

 

Il Tirreno, 16 marzo 2009

 

Tanto sporco, rischio epidemie, promiscuità inaccettabile nell’uso dei servizi igienici. E detenuti costretti a stare in otto per cella. Il sindaco di Montelupo, Rossana Mori, ha deciso di non tollerare più la situazione in cui vivono 196 internati dell’ospedale psichiatrico. E ha firmato un’ordinanza in cui intima all’amministrazione penitenziaria di pulire, di tinteggiare, di creare bagni degni di questo nome. E soprattutto di ridurre il numero dei ricoverati da 196 a 169.

Un atto forte che viene fuori dopo che il sindaco aveva chiesto di non aumentare il numero degli ospiti della struttura già al collasso. E la risposta dopo pochi giorni è stato l’invio di altri internati. L’ordinanza è scattata in seguito a un sopralluogo che è stato fatto il 5 marzo scorso dall’Asl 11 che ora ha in carico l’aspetto sanitario degli internati. "Lo stato di sovraffollamento è particolarmente rischioso per la salute", spiega il sindaco. Che parla anche del rischio di malattie infettive e parassitarie, "peraltro già verificatesi con una certa frequenza".

Le persone internate nella struttura sono 196 ma la capienza prevista è di 169 persone. "I problemi più grossi riguardano la terza sezione, dove le celle singole che dovevano essere destinate ai casi più gravi sono utilizzate per più persone - spiega ancora Mori - inoltre sei delle celle della sezione non sono idonee. La sezione Ambrogiana presenta un’evidente carenza igienico-sanitaria a causa del cattivo stato di manutenzione degli ambienti e una notevole sporcizia". "Esiste un’inaccettabile promiscuità tra i detenuti sopratutto nell’uso dei servizi igienici in quanto in queste celle i bagni non sono separati da tramezzi ma solo da muretti".

Un degrado a cui si stenta quasi a credere. "Inoltre l’ambulatorio medico, la radiologia e l’ambulatorio odontoiatrico - spiega ancora il sindaco - risentono del cattivo stato di manutenzione dell’ambiente così come lo spazio dedicato alla farmacia". Davanti a questa situazione Rossana Mori, su indicazione dell’ufficiale sanitario ha disposto misure urgenti a carico della struttura, obbligando la direzione ad attuare una serie di interventi.

"Dovranno essere immediatamente chiuse le sei celle del reparto Arno della terza sezione che sono assolutamente non idonee ma ancora utilizzate dagli internati - spiega il sindaco - il numero dei detenuti presente dovrà essere ricondotto al numero previsto di 169 persone; entro 60 giorni gli spazi comuni della terza sezione dovranno essere puliti e tinteggiati".

Sassari: Alfano rassicura; all’Asinara non torna più il carcere

 

La Nuova Sardegna, 16 marzo 2009

 

Nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, nella quale è stato deciso di reimporre la servitù militare al deposito di munizioni di santo Stefano, si è parlato anche dell’Asinara. Il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha infatti ribadito l’assoluta contrarietà di ripristinare all’Asinara, ormai da anni Parco nazionale, un sistema carcerario. "Non si può tornare al passato - ha dichiarato ieri il neogovernatore -: l’Asinara è oggi una delle "perle" del patrimonio ambientale e naturalistico sardo e tale deve restare".

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha risposto a Cappellacci confermando quello che aveva già annunciato in una recente visita a Sassari nel corso della campagna elettorale: non c’è alcun progetto del ministero di ripristinare strutture carcerarie all’Asinara. Una dichiarazione che dovrebbe in qualche modo spazzare via tutte le paure di un ritorno al passato.

Ma qualche paura rimane. Alcuni mesi fa, infatti, nel dibattito sulle carceri e sulla loro sicurezza, proprio in ambienti governativi, si era parlato di ubicare alcuni istituti di pena sulle isole. E si era pensato subito all’Asinara, perché già in passato da alcuni esponenti di An era stata avanzata la proposta di istituire un "carcere leggero" in quella che un tempo veniva chiamata l’Isola del diavolo e che oggi è invece un paradiso naturalistico.

Empoli: dall'Osapp perplessità su destinazione carcere ai trans

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

"Esterneremo le nostre perplessità al provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Anna Maria Giuffrida. Non crediamo si tratti di una scelta azzeccata, né di chissà quale "geniale iniziativa". Così il segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Canio Colangelo, ha commentato in una nota la decisione di trasferire i detenuti transessuali a Empoli, sfruttando una struttura nata per ospitare in custodia attenuata detenute tossicodipendenti. "L’operazione sul carcere di Empoli - ha aggiunto l’Osapp - è dettata dalla sola necessità di fronteggiare l’attuale sovraffollamento, e quindi aumentarne la capienza, di Sollicciano e dell’intera regione".

Secondo l’Osapp, infatti il trasferimento dei detenuti transessuali (attualmente una ventina) da Sollicciano a Empoli permetterebbe di liberare un’intera sezione (circa 50 posti) nel carcere del capoluogo toscano. "Nonostante tutto - ha proseguito il comunicato - non intendiamo assolutamente opporci a questa nuova soluzione. Sarebbe stato utile che prima di dare per scontato il trasferimento dei detenuti entro la fine di aprile, la dottoressa Giuffrida avesse atteso il confronto con le rappresentanze sindacali del personale".

Teramo: in arrivo 80 detenuti stranieri e gli agenti protestano

 

Il Centro, 16 marzo 2009

 

Sta per riesplodere la protesta degli agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere teramano di Castrogno. Il motivo? L’annunciato arrivo da Pescara di 80 detenuti, quasi tutti extracomunitari, che comporterà la riapertura totale della quarta sezione di Castrogno.

Un evento accolto come una iattura dalla polizia, vista la grave carenza di organico che la casa circondariale di Teramo vive da anni. Le associazioni sindacali degli agenti - Sinappe, Sappe, Cgil Fp, Osapp, Ugl-Uspp, Cisl e Uil - hanno annunciato ieri in un comunicato congiunto di aver dichiarato lo stato di agitazione di tutto il personale a partire da martedì.

Gli agenti, per prima cosa, si asterranno dalla mensa di servizio. "Seguiranno altre manifestazioni di protesta", conclude la nota, "che porteranno all’attenzione dell’opinione pubblica la grave crisi che attanaglia l’istituto di Castrogno". Il motivo della protesta sta anche, secondo gli agenti, nel fatto che "il dipartimento centrale, il provveditorato regionale e la direzione di Teramo sono sorde ad ogni sollecitazione da parte nostra sul tema dell’organico".

Modena: tunisino evade da Casa di Lavoro, in fuga tra gli spari

 

La Gazzetta di Modena, 16 marzo 2009

 

Era in stazione. Aspettava un treno, forse uno qualsiasi. L’importante era allontanarsi, andare via da Castelfranco, da Modena, lontano dalla Casa di lavoro, dal carcere, dalle guardie, dalle divise. Ma un gruppo di agenti della polizia penitenziaria lo ha notato e per il tunisino, dopo quella dell’evasione, è stata la volta di un’altra fuga. Rocambolesca, tra gli spari, tra i binari e poi lungo la strada. Infatti il tunisino era stato braccato dagli agenti, che lo avevano fermato e pure esso a terra. Ma è bastato un attimo, lui si è divincolato ed è riuscito ad evitare la cattura scappando.

La vicenda ha inizio alla Casa di reclusione (la comunemente nota casa di lavoro) di Castelfranco, nelle prime ore del pomeriggio. Un detenuto giovane, magrebino, nella struttura come internato e non come tossicodipendente, stava usufruendo come sempre della cosiddetta ora di libertà, l’ora d’aria all’aperto. In circostanze ancora da chiarire ha eluso i controlli ed è riuscito ad uscire, scavalcando probabilmente ostacoli e recinzioni, trovando "un passaggio" per scappare dalla struttura carceraria. La fuga viene in breve scoperta e viene dato l’allarme.

Personale di Castelfranco si mette alla ricerca, così come la polizia penitenziaria di Modena. La stazione dei treni viene presidiata e un gruppetto di guardie riesce a scorgere il fuggitivo. Un giovane, vestito di scuro, dai tratti somatici classicamente arabi, molto magro. Le guardie lo avvicinano rapidamente, lo placcano e lo bloccano. Il tunisino viene messo a terra, la sua avventura sembra ormai finita ma ha uno scatto improvviso, si divincola e riesce a strappare la morsa dei suoi "predatori". E inizia a correre.

Le guardie intimano l’alt e si vedono costretti a sparare in aria a scopo intimidatorio. Due colpi, come sembra, per altro nelle vicinanze del sottopassaggio che, per la risonanza, ha amplificato il rumore facendolo arrivare forte in tutta la stazione. Il tunisino corre, è all’altezza del settimo binario, scavalca, esce dal "retro" della stazione dei treni e si invola in via Manfredo Fanti. Le forze dell’ordine accorrono, ma tra sirene e perlustrazioni, il giovane evaso trova un altro "pertugio" utile per la fuga e per ora è libero e ricercato.

Pistoia: il 17 marzo un incontro sul tema "Il destino del carcere"

 

Il Tirreno, 16 marzo 2009

 

"Il destino del carcere" è l’esplicativo titolo di un incontro aperto al pubblico (martedì 17 marzo alle 17 nella sala Nardi del palazzo della Provincia, piazza S. Leone), organizzato dall’Assessorato alla cultura della Provincia, per presentare il volume "ConCatenAzioni", una pubblicazione sulla dimensione attuale della vita carceraria nel nostro Paese nata a seguito di un articolato percorso che, nel giugno 2006, sfociò in due giorni di incontri e dibattiti tra operatori e istituzioni.

L’incontro sarà coordinato da Corrado Marcetti, direttore della Fondazione Giovanni Michelucci. Sono previsti interventi di Ilaria Fabbri, dirigente del settore spettacolo della Regione Toscana in qualità di responsabile del progetto regionale "Teatro in carcere", Silvano Fausto Casarano, direttore della Casa circondariale di Pistoia, Barbara D’Orefice, vice commissario comandante di reparto di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Pistoia. Particolarmente significativa sarà anche la presenza di Franco Corleone da sempre in prima linea sulle questioni della giustizia e dei diritti e Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze.

Le conclusioni sono affidate ad Alessandro Margara, uno dei padri della riforma penitenziaria italiana, presidente della Fondazione Giovanni Michelucci, già presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. "Con questo volume, realizzato grazie al contributo della Regione Toscana e alla collaborazione con la Fondazione Giovanni Michelucci che ha seguito la cura redazionale - spiega l’assessore Cristina Donati - si è voluto andare oltre all’idea di una pubblicazione degli atti del convegno. Abbiamo infatti dovuto spostare il nostro punto di vista, siamo stati costretti a tornare "dietro le sbarre" e a riflettere sul fatto che, nonostante la vita all’interno di quelle mura, ci appaia rigida e scandita da un tempo immobile, dal giugno 2006, i vari accadimenti che si sono succeduti nello scenario italiano hanno avuto sostanziali ricadute sul nostro sistema carcerario.

Dunque, per dare un senso a questo nostro lavoro editoriale ci siamo affidati al contributo di autorevoli esperti che hanno lavorato per attualizzare i materiali raccolti in modo da fornirci una ulteriore occasione di riflessione e di aggiornamento su una tematica così tanto importante.

La pubblicazione è dunque una testimonianza delle iniziative culturali realizzate ma anche, e soprattutto, dello spirito di un mondo che non si può considerare "a parte" nella costruzione civile della società. Un modo per "fermare" questa esperienza sperando che si possa sviluppare sempre di più il rapporto tra la città e il carcere, nella convinzione che la realtà carceraria non deve essere un angolo nascosto e silenzioso in mezzo a una comunità, un incentivo per cercare di consolidare sempre di più un lavoro alla cui alla base vi sia l’impegno civile di istituzioni e cittadini".

Aosta: un nuovo corso di formazione per i volontari del carcere

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

Far conoscere il mondo del carcere e fornire degli strumenti per operarvi come volontari: è quanto si propone un corso di formazione, che inizierà il 15 aprile, organizzato dall’Associazione Valdostana Volontariato Carcerario.

L’iniziativa è rivolta ai volontari già attivi, agli aspiranti volontari e a tutti coloro che desiderano conoscere ed approfondire la realtà del carcere di Brissogne. Sono previsti nove incontri, che si terranno in orario pre-serale con cadenza settimanale presso la sede di Aosta del Csv Onlus.

I temi che saranno trattati sono l’individualizzazione del trattamento in base alla tipologia del detenuto, la salute in carcere, oltre ad alcuni accenni di diritto penale e al confronto tra volontari di oggi e domani. Il programma completo del corso è pubblicato e consultabile sul sito dell’associazione all’indirizzo www.avvc.it, oppure sul sito www.csv.vda.it.

Droghe: Giovanardi a Trieste; non esiste un diritto di drogarsi

di Francesco Ruggeri

 

Liberazione, 16 marzo 2009

 

Fini non si pente e Giovanardi rilancia: "Non esiste un diritto a drogarsi". E i due padri della legge che ha fatto diminuire i sequestri di sostanze e fatto crescere gli ingressi in galera (dati ministeriali confezionati da Antigone e Forum droghe), chiudono una conferenza nazionale sulle politiche antidroga preannunciando un aggiornamento delle tabelle, per introdurre le nuove sostanze che sono comparse sul mercato, spice drug, popper, Gbl.

Giovanardi si è detto anche disponibile a rivedere in senso restrittivo le "soglie" che determinano se la quantità di droga detenuta è per uso personale o per spaccio. Più galera e più mercato nero, dunque. Sono da sempre i frutti avvelenati della tolleranza zero. Fini e Giovanardi straparlano sull’antiproibizionismo che, a sentir loro, sarebbe messo in discussione anche là dov’è stato sperimentato. Tanto a contraddirli ci sono solo i movimenti e le reti di operatori. Queste ultime, perlopiù, marginalizzate dalla kermesse ufficiale disertata dal sindacato, altri che l’hanno contestata producendo discussione e pratiche in un teatro poco distante dalla Stazione marittima e per le strade cittadine.

Giovedì c’è stata anche l’occupazione di un Sert, a Verona, da dove proviene Serpelloni, manager del ministero, uomo di An e medico non molto considerato in quegli ambienti. Dalle regioni arrivano segnali di delusione sulla mancanza di dialogo con un governo iper-ideologico. Federserd, che raduna i servizi pubblici sull’orlo del collasso (300mila utenti che campano col 3% dei fondi antidroga assorbiti al 43% da spese per la repressione - ha ricordato Agnoletto del Prc - che colpisce al 74% consumatori di cannabinoidi) riassume le richieste ineludibili di monitoraggio e revisione delle norme, di risorse e di confronto ma soprattutto con le Regioni, più pragmatiche, per arrivare a quel "mitico e sempre lontano" 1,5% del Fondo sanitario nazionale.

E, mentre le carovane di burocrati lasciavano Trieste, dal teatro Miela, usciva un corteo guidato da don Andrea Gallo fondatore della comunità San Benedetto di Genova. Da piazza Oberdan si è fermato sotto il carcere, sempre più pieno per i reati prodotti dalla Fini Giovanardi. Raggiunto il carcere del Coroneo, il corteo si è fermato per alcuni minuti e don Gallo ha scandito: "Sento puzza di fascismo, voglio salutare da balilla il direttore".

L’altra conferenza, quella promossa da Sanbenedetto e dagli operatori friulani e piemontesi, ha prodotto una Carta di Trieste "felici di aver costruito uno spazio realmente orizzontale e partecipato". La Carta è rivolta "a chi c’era e a chi non c’era anche se avrebbe voluto esserci ed invece ha dovuto andare alla corte del sovrano". Rivolgendo l’invito per un nuovo appuntamento da costruire per fine maggio a Genova, i promotori riassumono gli elementi di contrarietà verso la kermesse di Giovanardi e Serpelloni, blindata da centinaia di poliziotti: "È stato uno spot di teorie che gli ultimi quindici anni di lavoro vivo degli operatori hanno dimostrato essere false e dannose.

Siamo convinti che quanto è successo al Teatro Miela sia un punto di partenza imprescindibile per ricostruire dal basso una teoria ed una pratica delle politiche sulle droghe e sul welfare partecipate e reali. Il lavoro vivo degli operatori e delle operatrici, messo in rete, può nei prossimi mesi dare corpo ad interventi che mettano al centro la persona. Ci sentiamo di vivere un nuovo inizio e torniamo al principio: mettere al centro la persona, la sua libertà e la sua indipendenza, il suo diritto inalienabile all’autodeterminazione.

Il potere, il governo, sono forti, anzi fortissimi. Ma noi dobbiamo alzare la testa e metterci in cammino tutti insieme, operatori del pubblico e del privato sociale, utilizzatori e cittadini. Abbiamo, in questi giorni, discusso del ruolo dell’operatore. La legge ed i processi di potere stanno trasformando i servizi in centrali di controllo. Dentro questa logica dovremo segnalare, controllare, rinchiudere, normalizzare.

Questo è il campo di azione dentro il quale, in rete, nei territori costruire iniziative e pratiche. La riduzione del danno, in linea con le politiche europee deve avere dignità, insieme a prevenzione, cura e lotta alla narco-mafie. I soldi, che sono di tutti, devono essere investiti nella prevenzione e per offrire opportunità alle persone, anziché per controllare e reprimere, ed il servizio pubblico deve essere difeso. In un Paese con questa legge non si può stare: la Fini-Giovanardi deve essere abrogata".

Stati Uniti: Rapporto della Croce Rossa accusa la Cia di tortura

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

"Trattamenti crudeli, inumani o degradanti" sono stati subiti dai detenuti delle prigioni segrete della Cia (Central Intelligence Agency, i servizi segreti statunitensi) in aperta violazione delle Convenzioni di Ginevra: lo sostiene il Comitato internazionale della Croce Rossa, che, in un rapporto confidenziale, afferma che i trattamenti subiti dai detenuti corrispondono a "tortura".

L’accusa è contenuta in una rapporto riservato della Croce Rossa, realizzato nel 2007, di cui riferisce oggi l’autorevole quotidiano Usa Washington Post e che è stato riportato alla ribalta della cronaca da un docente di giornalismo Mark Danner.

Secondo il documento - realizzato dai rappresentanti del Icrc che erano gli unici ad avere accesso a prigionieri "di alto profilo" trasferiti dalle prigioni segrete oltreoceano alla base di Guantanamo (Cuba) - 14 detenuti in isolamento hanno dato versioni combacianti sulle percosse subite: privazione del sonno, esposizione al freddo e in alcuni casi tentativi di soffocamento con stracci bagnati o in secchi d’acqua.

Alcuni prigionieri erano costretti a stare in piedi per ore ammanettati e indossando solo un pannolino; altri erano sbattuti con la testa contro i muri delle sale d’interrogatorio; in caso un detenuto ha detto di essere stato costretto a stare rannicchiato in una sorta di piccola bara di legno.

"I maltrattamenti cui sono stati soggetti mentre erano trattenuti dalla Cia, sia singolarmente che in combinazione, costituiscono tortura" è scritto nel rapporto Icrc secondo le parole di Danner al Washington Post. Almeno cinque copie del dossier erano state inviate alla Cia e ad alti dirigenti dell’allora amministrazione americana, ma non erano stati resi pubblici in ottemperanza alle regole interne della Croce Rossa che segue il principio di neutralità.

L’organizzazione umanitaria si è rammaricata per le modalità con le quali è stato diffuso il rapporto, ma, almeno per ora, non ne ha smentito i contenuti. Accuse di torture nei confronti dei prigionieri erano già state avanzate da più fonti (l’amministrazione Bush aveva risposto ammettendo che erano stati condotti interrogatori particolarmente duri ma non illegali), ma il rapporto della Croce Rossa ha una particolare forza legale.

"È di estrema importanza che la Icrc usi esplicitamente le parole tortura e crudele e degradante - ha detto Danner al quotidiano americano - l’Icrc è il guardiano delle Convenzioni di Ginevra, e quando usa queste parole hanno una forza legale".

Libia: sono oltre 4.000 gli immigrati illegali detenuti nelle carceri

 

Ansa, 16 marzo 2009

 

Sono 4.581 gli immigrati illegali detenuti nelle carceri libiche: clandestini provenienti da Marocco, Tunisia, Egitto, India e Bangladesh. A fornire i dati è Abdulhamed Maraja, direttore del Dipartimento per l’investigazione sull’immigrazione. "Solo fra ieri sera e questa mattina sono 100 le persone trovate dalla polizia sulle spiagge di Tripoli, rientrate a nuoto perché le loro barche di fortuna sono affondate - spiega Maraja - e 48 quelle catturate a Zawia mentre provavano a partire".

 

 

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