Rassegna stampa 14 marzo

 

Giustizia: l’ergastolo contraddice Costituzione e Diritti umani

di Graziarosa Villani

 

Liberazione, 14 marzo 2009

 

Abolire l’ergastolo perché anticostituzionale. La suprema carta mette al centro la persona e la sua dignità umana. Da mesi ergastolani, parenti, amici e volontari sono in sciopero della fame. A staffetta. Si digiuna a turno per un giorno. E ieri è stata la volta di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista. Anche lui ha aderito alla campagna "Mai dire mai" promossa dall’associazione Liberarsi. Quell’avverbio nella dicitura "fine pena: mai" segna la morte progressiva di tanti uomini e donne. Una situazione da sepolti vivi, che uccide le aspettative condannando le persone ad una morte lenta. E per Ferrero l’occasione per aderire alla campagna per l’abolizione dell’ergastolo è stata la visita al carcere romano di Rebibbia.

"Stiamo scioperando - ha detto il segretario del Prc all’uscita del carcere - per attirare l’attenzione su un problema che sembra non interessi nessuno. La questione che vogliamo sollevare - ha aggiunto - è che se il carcere deve servire a reinserire le persone nella società, se davvero ha una funzione di rieducazione, la condizione dell’ergastolo è assurda. Si tratta di una pena che è sostanzialmente indifferente al processo di mutamento delle persone che vivono in detenzione". E le alternative sono molto più efficaci anche dal punto di vista sociale. "Al posto dell’ergastolo - sottolinea Ferrero - ci sono le misure alternative. La loro efficacia è dimostrata dal fatto che 8 detenuti su 10 una volta in libertà tornano a delinquere, mentre chi usufruisce di misure alternative torna a delinquere 2 volte su 10".

L’abolizione dell’ergastolo se in Italia è un tabù in altri Stati europei è ormai la norma. "Molti Paesi lo hanno abolito, Portogallo, Spagna, Norvegia, Polonia" commenta Giovanni Russo Spena, responsabile del dipartimento Giustizia del Prc che ha accompagnato Ferrero nella visita a Rebibbia e anche lui in sciopero della fame. E in tal senso la campagna "Mai dire mai" guarda all’Europa, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. "Il ricorso è stato presentato da 739 detenuti - spiega Russo Spena - e ha molte probabilità che venga accolto. Sulla questione anche Giusto Catania ha presentato una mozione all’europarlamento

"Una pena che lascia all’individuo, come unica prospettiva, una lunga e pesante attesa della morte non rieduca, è contraria a qualsiasi senso di umanità; si riduce alla banalità di una vendetta, utile solo per appagare le fobie di quanti attingono alle stesse pulsioni cui attinge il delitto".

Si legge nel ricorso. "Alle condizioni attuali gli ergastolani italiani - scrivono ancora i detenuti - sentono pesare su di loro un passato che non passa mai e sono costretti a inseguire, schiavi della pena, una morte che tarda ad arrivare".

"Il comitato dei detenuti - ha detto Russo Spena - intende promuovere un passaggio anche davanti al capo dello Stato, un’azione ch ci vede ovviamente favorevoli"

E la situazione delle carceri italiane. aggrava le condizioni di tanti ergastolani. La visita a Rebibbia ha fatto emergere indicatori molto preoccupanti specie in vista dei prossimi mesi. Se Rebibbia in qualche modo il sovraffollamento non è alle stelle le notizie che giungono dalle altre carceri, Poggio Reale in primis, parlano di gravissimi disagi. "Siamo ai numeri prima dell’indulto" commenta Ferrero che ammonisce "se non si comincia subito a ragionare il rischio che ci sia un’estate devastante, che ad agosto la situazione scoppi". E a Rebibbia anche le guardie carcerarie hanno qualcosa da dire. A Ferrero e Russo Spena hanno riferito che sono sotto organico. Tra le ragioni il trasferimento di circa un terzo dell’unità ad altri incarichi. Nei ministeri, ma anche nei parchi a fare attività di pattuglia in sella ai cavalli. Grave anche la situazione sanitaria con una recrudescenza di casi di Aids.

Giustizia: la Lega e la "devolution"… dai principi democratici

di Remo Rosati

 

Aprile on-line, 14 marzo 2009

 

La Lega sta provocando una secessione del pensiero comune italiano, quello che un tempo si nutriva dei principi di uguaglianza e fratellanza. Contro queste deriva deve intervenire la Sinistra, confrontandosi con quelle problematiche, maggiormente presenti nel nord, su cui le camice verdi costruiscono consenso.

Esistono partiti radicati in alcune aree limitate del Paese che fondano il loro successo sulle istanze localistiche e territoriali, ma anche partiti monotematici che devono la loro esistenza esclusivamente all’attenzione ossessiva, direi fobica ad alcuni aspetti della vita odierna.

Da noi simile aggregato partitico è stato rappresentato dai verdi che, ultimamente, sembrano aver scelto il confronto politico su altri temi oltre l’ambiente, ma soprattutto dalla Lega costruita e modellata sull’ossessione migratoria, sulla chiusura pregiudizievole e paranoica ad ogni contaminazione, sulla pretesa minimalistica di sezionare i problemi e modellare le risposte sulla questione flussi e deflussi. Da ultimo, tale connotato della Lega è venuto alla ribalta con il piano casa che sarà varato a breve dalla maggioranza; il merito del problema, se può rappresentare un volano per l’economia o solo l’occasione buona per i furbi, se è un condono mascherato o una reale deburocratizzazione della realtà italiana, non è da studiare se non nella cornice delle frontiere nostrane e dei confini geografici.

"Dobbiamo studiare bene il provvedimento" dice sommessamente Umberto Bossi, "non vorrei che le case se le prendessero gli extracomunitari". Sembra che il senatore nonché ministro della Repubblica non dorma la notte e spii continuamente dalle finestre per controllare se alle ronde sia sfuggito qualche malcapitato di colore e non targato Italia.

Tutto il Paese vive una crisi economica di proporzioni gigantesche ma il senatore Bossi con i suoi cruciferari e turiferari alla Cota la ridimensionano, anzi la rinchiudono nei confini angusti di un economia autarchica e nazionalista.

La mano d’opera straniera non sostiene un P.I.L. stremato nel campo dell’edilizia, dell’agricoltura, della assistenza agli anziani e dei malati nostrani; non sostiene la domanda complessiva che rasenta il precipizio della deflazione; è pronta ad insinuarsi nella popolazione italiana e condividere con essa qualche escamotage per abbattere pareti o alzare mansarde.

Indubbiamente i suoi messaggi, se vogliamo rozzi e semplicistici, sono graditi dai poveri industriali del nord che disdegnano non trovare parcheggio per i loro suv sui marciapiedi della Brianza deturpati dalle bancarelle di quattro cianfrusaglie etniche, che, aimè, patiscono nelle loro ville per un diffuso senso di fastidio per i "vu cumprà"; che non capiscono che l’economia gira anche grazie a loro e che, forse, non troverebbero neanche uno straccio di italiano per i lavori usuranti che annientano anche un quadrupede, ma il risultato di simile miopia è che s’impoverisce lo strumento dell’analisi dei problemi complessi dei nostri tempi.

L’incombenza della problematica immigratoria ha addirittura declassato il problema di "Roma ladrona" che ora è afflosciato sull’angolo, anzi sul tappeto delle opportunità politiche che sconfessano quel poco di ideologia da quattro soldi su cui si è costruito il consenso. Il centro salottiero romano è demodè, in tempi alla Grillo e alla Di Pietro: non si ha più l’esclusiva, ed allora, allarghiamo i cordoni della borsa per mandare al mare gli italiani nel giorno del referendum e ammainiamo lo stendardo dello spreco istituzionale buono per qualche gonzo di Pontida.

La coerenza non è di casa con la politica che è "merda e sangue", come l’ex socialista Formica soleva apostrofare le intemerate acrobazie dell’azione craxiana che aveva costituzionalizzato l’arrembaggio alle casse dello Stato per amore di partito, per cui rimane il gancio della emigrazione a cui appendere ogni velleità residua: il fido Maroni sta lì per vestire le giaculatorie bossiane di abiti istituzionali e renderle digeribili anche ai più riottosi sotto forma di sana collaborazione con lo Stato.

Non sa il ministro dell’Interno che la prerogativa dello Stato, la sua intrinseca natura risiede proprio nella potestà di disporre della forza come strumento di pacifica convivenza che viene meno nel momento in cui il privato, anche se disarmato, si arroga il diritto-dovere di arginare un comportamento violento di un suo simile. Non dimentichiamo che le squadre fasciste sono nate per ristabilire un’idea di ordine partorito dalla mente offuscata di una perversa ideologia e che l’idea della pulizia etnica e razziale fa presa sulle menti intorpidite delle masse impaurite dei nostri tempi.

Guai se il problema dell’immigrazione riduce in sé la molteplicità dell’oggi e semplifica il quadro di insieme che abbiamo di fronte: non saremo in grado di scegliere tra diverse opzioni scevri da condizionamenti ideologici e da falsi slogan pubblicitari.

Lo sperpero del danaro pubblico, caro Bossi, in una situazione come l’odierna non ammette ripensamenti, soprattutto quando le forze di polizia, governate dal suo scudiero, richiederebbero maggiori finanziamenti per la loro sopravvivenza. Non si lamenti poi, caro Bossi, se per la lotta alle streghe rimane solo qualche suo conterraneo ben disposto a farsi pubblicità per un eventuale scranno a Montecitorio. Sulla pelle degli immigrati si sono costruiti successi elettorali a livello locale come nazionale e non stupisce che isolati padani suggeriscano panchine sterilizzate, marce di incontinenza urinaria sui spazi delle moschee e prove del tiro al lepre; grazie alla Lega il cittadino ha la possibilità di veder soddisfatti i suoi istinti ancestrali, quelli che la moderna società pensava erroneamente di aver estirpato e che riaffiorano in ogni periodo storico di grandi mutazioni.

Un siffatto partito che ha radici in una parte del Paese sta provocando più di una devolution, sta portando ad una lenta silenziosa secessione del pensiero comune dai principi di uguaglianza e fratellanza che hanno fatto grande il nostro popolo, che hanno dato lustro ad intere generazioni, che hanno consentito di essere catalogati tra i paesi con le miglior tradizioni democratiche.

Tutto ciò può essere messo in dubbio da un partito di nicchia? Non è arrivata l’ora per i partiti di sinistra di confrontarsi con queste problematiche, maggiormente presenti nelle regioni del nord, ed affrontare culturalmente le sfide che la Lega pone, attestandosi ad argine a simile deriva, facendo, cioè, in modo che il fenomeno dell’immigrazione da problema si trasformi in una opportunità? La riconquista del nord operoso e produttivo passa principalmente per l’offerta di una via alternativa all’esclusione, che, entro i confini della legalità e dell’onestà, consenta a chi arriva di fondere il proprio sapere con quello di chi lo accoglie con effetti non a somma zero bensì positiva.

Giustizia: finito "Progetto Indulto"; 2.156 tirocini e 263 assunti

 

Ansa, 14 marzo 2009

 

Il progetto Indulto, promosso dai Ministeri del Lavoro e della Giustizia, giunge alla sua fase conclusiva con la diffusione del modello di intervento e la presentazione dei risultati. Il modello ha consentito di fornire una risposta alla problematica del reinserimento lavorativo dei detenuti e/o ex detenuti e si presenta come il risultato principale qualitativo del progetto.

Italia Lavoro "riconsegna" al Committente e agli attori territoriali che hanno partecipato alla realizzazione del progetto, un’azione di sistema "carcere-lavoro" che ha due importanti specificità: struttura gestionale (governance, reti, sportello carcere-lavoro, piattaforma dedicata) e sistema complesso di presa in carico (tutoraggio, figure professionali dedicate, servizi domanda/offerta, sistema delle convenienze). L’incisività del modello è stata avvalorata dai risultati quantitativi raggiunti: 2.156 tirocini avviati e 263 assunzioni.

I seminari territoriali hanno un duplice obiettivo: da una parte far conoscere e condividere con gli attori istituzionali i risultati conseguiti al fine di dare continuità alle attività di progetto; dall’altra sviluppare e consolidare una metodologia di intervento che si è rilevata valida per il reinserimento lavorativo dei detenuti e/o ex detenuti Sono calendarizzati 6 eventi di divulgazione. Si parte il 16 marzo con la Liguria (La Spezia) e si prosegue il 21 aprile con il Piemonte (Torino).

Giustizia: l’economia "carceraria", tra gli stili di vita sostenibili

da Simona Elli

 

MB News, 14 marzo 2009

 

Degustare Dolci Evasioni, prodotti di pasticceria alla mandorla e agli agrumi della cooperativa l’Arcolaio della Casa Circondariale di Siracusa, lasciarsi avvolgere dall’aroma di Pausa Cafè, che impiega i detenuti di Torino, assaggiare i frutti e le verdure di agricoltura biologica della Cooperativa Aretè della Casa Circondariale di Bergamo, informarsi sui servizi di catering offerti da Divieto di sosta della Casa Circondariale di Verbania.

O ancora acquistare le magliette di Made in Jail, con gli originali slogan creati dai detenuti del carcere romano di Rebibbia, i prodotti di Extraliberi (Torino) laboratorio artigianale di serigrafia che realizza stampe a colori per vari articoli (t-shirt e borse in cotone, polo, felpe, cappellini e portachiavi). Fino ai prodotti di cosmesi di Rio Terà dei pensieri del carcere di Venezia.

Sono solo alcune delle nuove emozioni che potranno regalarsi i visitatori della Fiera "Fà la cosa giusta!", la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili (13 -15 marzo 2009, Fieramilanocity) che quest’anno propone alcune sezioni speciali tra cui quella dedicata appunto all’Economia carceraria.

Con lo slogan "Consumare meno, consumare meglio" la fiera, nata da un’idea di Terre di Mezzo, giornale di strada e casa editrice, torna a promuovere uno stile di vita sostenibile mettendo ancora una volta in mostra progetti, idee, soluzioni per consumare e produrre secondo principi di sostenibilità economica, ambientale e sociale.

L’attuale crisi economica infatti impone cambiamenti sostanziali nelle modalità produttive e di consumo: a livello globale, aziendale e politico, ma anche individuale e quotidiano. "Fà la cosa giusta! 2009" è suddivisa in 14 aree tematiche: Pace e Partecipazione; Finanza etica; Formazione e Comunicazione per la Sostenibilità; Turismo solidale; Cooperazione sociale; Commercio equo e solidale; Editoria e produzione culturale; Monelli Ribelli; Eco-prodotti.

Non manca, tra gli stand degli espositori, anche una forte presenza di marchi e associazioni di Monza e Brianza. Sarà presente Africa 70, una Ong di cooperazione e sviluppo che interviene in favore delle popolazioni del Sud del mondo, in particolare in Africa, Asia, America Latina, Medio Oriente ed Europa Orientale. L’intervento consiste in attività di supporto alle istituzioni, alle associazioni e alla società civile seguendo un approccio integrato e sostenibile. Il gruppo di volontariato internazionale "Il Mandorlo" nato nel 2006 per offrire la possibilità di un’esperienza missionaria in Kenya, dopo un percorso formativo.

I campi di lavoro sono aperti a giovani e adulti che desiderano un incontro di umanità, condivisione e fraternità con culture diverse. L’Associazione Ital Watinoma che si occupa di promuovere, valorizzare, sostenere le culture tradizionali e tribali, con particolare riguardo a quelle africane e favorire gli scambi culturali, la parità di diritti e la fratellanza fra i popoli. Il Portale del Sole, una società che si pone l’obiettivo di diffondere l’informazione sulle potenzialità dell’energia solare e la vendita di efficaci soluzioni che la utilizzano.

L’offerta spazia dai pannelli fotovoltaici agli oggetti di uso quotidiano, garantendo un servizio di consulenza esperta pre/post-vendita. Soco, impresa che progetta e realizza impianti solari fotovoltaici e termici chiavi in mano oltre a prodotti solari per l’arredo urbano, parchi e piste ciclabili. Infine Le calze natura, società che produce calze in cotone biologico certificato, in canapa, in lana grezza, lana di alpaca e bamboo.

Giustizia: in cambio di Regina Coeli, mi fai un nuovo carcere?

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 14 marzo 2009

 

"Complesso carcerario-industriale" è la definizione introdotta dalla sociologia critica e dagli attivisti abolizionisti americani per definire il carcere-fabbrica postfordista. Il termine è stato introdotto per la prima volta da Mike Davis, attento studioso di sociologia urbana, per descrivere il sistema penale californiano (Città di quarzo, Manifesto Libri 1991; Geografie della paura, Feltrinelli 1999; Il pianeta degli Slum, Feltrinelli 2006, sono solo alcune delle sue opere tradotte). Lo ricorda Angela Davis in una sua raccolta di saggi, Aboliamo le prigioni? , da poco pubblicata dalla Minimum fax.

Negli Stati uniti l’impresa privata utilizza la manodopera carceraria. Il vantaggio è notevole: "Niente scioperi né sindacati. Niente indennità di malattia, sussidi di disoccupazione o compensi da pagare ai lavoratori. Le nuove prigioni sono fabbriche cinte da mura. I detenuti immettono dati per la Chevron, ricevono prenotazioni telefoniche per la Twa, costruiscono circuiti stampati, il tutto per un costo molto inferiore a quello della manodopera libera".

Qualcosa del genere rischia di accadere anche da noi? Da un buon decennio a questa parte ha fatto breccia nella cultura politica l’idea di un coinvolgimento dell’impresa privata all’interno del sistema penitenziario. In parte ciò accade già. Alcuni servizi sono stati esternalizzati per ridurre costi e rendere maggiormente efficienti le prestazioni. Per esempio, in alcuni istituti penitenziari le cucine sono state date in gestione a cooperative sociali di ex detenuti. Nella casa circondariale di Velletri si produce addirittura del vino, il Fuggiasco, ricavato da vitigni lavorati con cura da una cooperativa di detenuti.

A Rebibbia e san Vittore sono attivi dei call center della Telecom. Niente a che vedere, ancora, con lo sfruttamento che le grandi privates corporation americane fanno della manodopera reclusa. L’idea è quella di favorire l’auto imprenditorialità sociale come uno dei percorsi di recupero e integrazione previsti dalla legge Gozzini, dove il lavoro è ritenuto un passaggio verso l’uscita graduale dal carcere, grazie alle misure alternative (lavoro esterno, semilibertà, affidamento in prova). Anche le condizioni contrattuali rispettano i parametri sindacali minimi previsti all’esterno: contributi, ferie, malattia.

Ma la difficoltà di stare sul mercato va lentamente snaturando queste esperienze, risucchiate da logiche molto lontane dai loro presupposti iniziali. La pratica dei subappalti e il controllo del mercato da parte d’imprese più grandi condannano nel tempo queste esperienze locali. Il capitalismo ha le sue leggi.

Tuttavia la Costituzione e la legislazione italiana restano, per ora, un ostacolo insuperato per chi vorrebbe privatizzare il sistema penitenziario nel suo complesso. Prima che ciò accada veramente occorre che si realizzi un passaggio concettuale importante: separare la punizione dal suo legame con il reato. In sostanza che il castigo non sia più legato al delitto ma diventi tout court una forma di controllo e sfruttamento delle fasce più basse della popolazione. Per certi versi già avviene in alcune limitate circostanze. Basti pensare a come, nell’accidentato percorso terapeutico della tossicodipendenza, la ricaduta nell’uso di sostanze stupefacenti è assimilata alla recidiva penale e non alla fisiologia clinica.

Un altro requisito è l’esplosione dei tassi di carcerazione, la scelta strutturale di fare della penalità, del sistema giudiziario - penitenziario, un asse essenziale delle politiche di governo sociale. I numeri che vedono ormai superata la soglia limite dei 60 mila detenuti, a fronte di una capienza legale di 43 mila, la retorica dilagante sulla certezza della pena, il populismo penale e l’ideologia vittimaria, sono lì a dimostrarlo: siamo già all’interno di questo processo. Tra il 1995 e il 2005 la popolazione carceraria è cresciuta del 22% rispetto alla media europea, mentre la capacità di accoglienza è rimasta pressoché stabile (+5,5%).

Il sovraffollamento, l’eccedenza d’esseri umani rinchiusi, è il cavallo di Troia utilizzato per far passare nel nostro paese l’idea che il ricorso ai privati sia una necessità. Fino alla svolta degli anni 80, i flussi penitenziari venivano governati attraverso il ricorso periodico ad amnistie e indulti. Una politica che non suscitava allarmi sociali e non ha mai pregiudicato la sicurezza e l’ordine pubblico. La paura non era ancora uno dei temi essenziali del marketing politico e diffusa era la consapevolezza che la devianza non aveva radici etiche, non era frutto di un male teologico, ma aveva cause socio-economiche che andavano aggredite.

Al di là della ovvia repressione, soltanto politiche strutturali potevano ridurne la dimensione. Insomma l’obiettivo non era solo quello di "sbattere dentro", ma d’intervenire sulle radici sociali del crimine. Poi è arrivata la rivoluzione conservatrice di Reagan, una nuova filosofia della correzione ha avuto il sopravvento anche in Italia e la società è tornata a rinchiudere, incarcerare pezzi di popolazione sempre più ampi.

Come sempre accade nella storia del nostro paese, le svolte a destra maturano quando al governo c’è la sinistra. Era il 30 gennaio 2001 quando il ministro della Giustizia Piero Fassino dispose la dismissione di 21 carceri e l’individuazione di nuove aree per la costruzione di un modello inedito di prigione, di media sicurezza e trattamento penitenziario qualificato. Progetto che prevedeva l’ingresso dei privati nella costruzione e gestione dei nuovi istituti. Roberto Castelli, il successivo guardasigilli leghista con laurea in ingegneria, non fece altro che raccogliere l’idea.

Era il periodo delle cartolarizzazioni e della finanza creativa di Tremonti. Venne creata la Patrimonio spa, società del governo che doveva raccogliere gli introiti delle dismissioni di Regina Coeli a Roma e San Vittore a Milano, liberando aree urbane centrali che facevano gola alla grande speculazione edilizia. La Dike Aedifica, controllata al 95% dalla Patrimonio, amministrata da Vico Valassi, un amico del ministro, doveva invece coinvolgere i privati. L’operazione però non decollò e della vicenda s’interessò soltanto la magistratura.

Con la nomina di Franco Ionta, capo del Dap, a commissario straordinario all’edilizia penitenziaria con poteri speciali, il guardasigilli Angelino Alfano è tornato alla carica. L’obiettivo ora sarebbe quello di costruire carceri di nuova generazione a impianto radiale, edifici concepiti per essere ampliati successivamente. Carceri "leggere" per detenuti in attesa di giudizio. Nuovi edifici modulari costruiti su terreni demaniali con criteri ecocompatibili.

I fondi verranno presi dalla Cassa delle ammende (utilizzata fino ad ora per il reinserimento dei detenuti. Una bella beffa!) e poi si tenterà nuovamente di coinvolgere i privati attraverso il project financing. Chi costruisce avrà in cambio la gestione dei servizi (mensa, lavanderia, manutenzione) che non sono di competenza esclusiva dello Stato (sicurezza e sanità).

Ma poiché tali servizi non sono sufficientemente remunerativi dei capitali investiti, per invogliare il capitale privato il governo ha previsto a titolo di compenso una permuta con i penitenziari situati nei centri storici di alcune città, come Roma, Milano, Palermo, oppure con quelli situati in posti di indubbio valore naturalistico (ma facilmente convertibile in valore turistico) come Pianosa, Procida o Nisida. La banda del mattone s’appresta a fare soldi a palate.

Giustizia: detenuti con malattie virali, sì a procreazione assistita

 

Ansa, 14 marzo 2009

 

I detenuti possono avere figli in provetta anche se non hanno problemi di sterilità. È sufficiente una malattia virale che potrebbe mettere in pericolo la vita del feto o della madre per ottenere il "via libera" dal tribunale di sorveglianza. La Cassazione ha così ampliato i diritti alla paternità dei detenuti, interpretando in modo più elastico la legge 40 del 2004 che riconosce, "in caso di sterilità o di infertilità", il diritto del detenuto alla procreazione assistita.

In particolare, i giudici della prima sezione, con la sentenza 11259, hanno accolto il ricorso di un detenuto affetto da epatite cronica da virus Hcv al quale il tribunale di sorveglianza di Roma aveva negato il permesso di "accedere" al programma di procreazione assistita in quanto il suo caso non rientrava tra quelli di "sterilità o infertilità". In sostanza, secondo i giudici di sorveglianza, l’epatite cronica da Hcv non causa sterilità e dunque non era possibile "attivare" la procedura per un "figlio in provetta".

Ma i giudici della Suprema Corte non hanno condiviso queste conclusioni e hanno invece sottolineato che se è vero che "la legge parla di sterilità o infertilità" è anche vero però che "non indica le specifiche patologie che producano sterilità o infertilità in modo dettagliato e nominativo". In sostanza, se la patologie virale di fatto mette in pericolo il feto e dunque impedisce, in concreto, il concepimento, si devono applicare, a parere della Cassazione, le stesse regole che valgono per la sterilità.

La sentenza costituisce un ulteriore ampliamento del "diritto alla filiazione" dei detenuti, dopo le pronunce che negli anni scorsi hanno permesso la fecondazione assistita anche a chi è sottoposto al regime del "carcere duro" (in questi casi infatti sono vietati i cosiddetti "incontri familiari" ammessi invece per i detenuti "ordinari"). In considerazione dell’altro numero di detenuti affetti da patologie virali potenzialmente rischiose per la salute del feto, c’è da aspettarsi una "impennata" nelle richieste di fecondazione assistita.

Giustizia: Loyos rimane in carcere per calunnia a polizia romena

 

Ansa, 14 marzo 2009

 

Il tribunale del riesame ha sostenuto che i romeni Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz non hanno nulla a che vedere con la violenza sessuale ma oggi il gip Filippo Steidl ha messo nero su bianco che non si può escludere completamente la loro presenza nel luogo in cui avvenne lo stupro ai danni della ragazzina di 14 anni.

Una storia infinita e scandita da continui colpi di scena quella dello stupro nel parco della Caffarella il 14 febbraio scorso. Il tribunale del riesame ha sostenuto che i romeni Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz non hanno nulla a che vedere con la violenza sessuale ma oggi il gip Filippo Steidl ha messo nero su bianco che non si può escludere completamente la loro presenza nel luogo in cui avvenne lo stupro ai danni della ragazzina di 14 anni.

Il risultato è che entrambi rimangono in carcere. Racz per lo stupro della donna di 41 anni avvenuto in via Andersen, a Primavalle, il 21 gennaio e Loyos, da oggi, per calunnia ai danni dei poliziotti romeni accusati di averlo pestato per indurlo a confessare, salvo poi ritrattare. Il gip Steidl non ha convalidato il fermo per la chiamata in correità di Racz, indicato da Loyos come presunto complice, ritenendo, come dichiarato dal pm Vincenzo Barba al termine dell’interrogatorio di garanzia, che "non ci siano elementi per sostenere che i due romeni siano estranei allo stupro avvenuto nel Parco della Caffarella".

"Allo stesso tempo - ha aggiunto - ha considerato gravi gli indizi relativi alle accuse rivolte alla Polizia romena. Non c’è nulla, infatti, che possa far ritenere che l’indagato sia stato pestato o minacciato". "Il quadro - è detto nell’ordinanza di custodia cautelare emessa oggi in sede di esame della richiesta di convalida del fermo per calunnia nei confronti di Racz disposto pochi minuti dopo l’annullamento delle ordinanze da parte del Riesame - non presenta la necessaria chiarezza non potendosi escludere la loro partecipazione al fatto con diverso ruolo rispetto a quello descritto che consentirebbe di spiegare l’approfondita conoscenza mostrata in ordine alla dinamica del fatto".

Loyos rimane tuttavia in carcere per aver calunniato i poliziotti connazionali. Nell’ordinanza di quattro pagine si afferma che "l’ipotesi che l’indagato sia stato indotto con violenze e pressioni psicologiche a rendere una versione auto e etero accusatoria conforme alle loro aspettative, a seguire cioè un copione dagli stessi già preparato, risulta smentita".

E ciò tenuto conto "della genericità della denuncia sulle violenze e pressioni e sulle indicazioni ricevute dagli agenti, confusamente limitate ai vestiti indossati dalla vittima (non jeans, ma gonna) e alle modalità dei rapporti". L’avvocato Giancarlo Di Rosa, difensore di Loyos, impugnerà davanti al tribunale del riesame il provvedimento di oggi.

"Sono amareggiato - ha detto - per la mancata scarcerazione del mio assistito. Comunque il provvedimento del gip esclude i gravi indizi per tutti i nuovi reati contestati eccetto che per la calunnia alla polizia romena. Accusa che, peraltro, non contemplava l’emissione del fermo. Ritengo che anche tale accusa sia infondata e strumentale". Oggi l’eurodeputato Giulietto Chiesa (Pse) e due esponenti di "Everyone", associazione di tutela dei diritti umani, hanno denunciato di non aver potuto visitare i due detenuti romeni.

Giustizia: stupro della Caffarella, è perseveranza persecutoria

di Gaetano Azzariti

 

Liberazione, 14 marzo 2009

 

Può capitare di essere tratti in inganno, come è avvenuto nel caso dei due rumeni accusati dello stupro di San Valentino. Non credo che all’errore degli investigatori si possa di per sé far risalire una volontà persecutoria o discriminatoria nei confronti dei diritti dei due stranieri.

I fatti erano gravissimi, i sospetti rilevanti. Le indagini, in fondo, servono per accertare le verità processuali e la presunzione di innocenza degli inquisiti garantisce almeno l’onore di chi risulta poi estraneo ai fatti. Il rispetto delle garanzie degli indagati si fondano però su un presupposto giuridico e ancor prima di civiltà: nel momento in cui l’errore investigativo si manifesta, sollecita deve essere la sua riparazione.

Quando i sospettati risultano estranei alle imputazioni più barbare (come quelle di violenza sessuale), le misure cautelari che giustificano la limitazione della libertà personale cessano istantaneamente, la scarcerazione immediata è la prima forma di riparazione che deve essere posta in essere. Così è almeno in uno Stato di diritto.

Perché allora i due rumeni, nonostante la prova del Dna li abbia scagionati sono ancora in carcere?

Le motivazioni addotte dalla Procura non paiono convincenti e rischiano di compromettere il seguito delle indagini sul terribile fatto della Caffarella. La permanenza in carcere per un diverso reato di stupro ovvero l’accusa di calunnia aggravata, appaiono più il frutto di una forzatura che di un convincimento.

"La responsabilità penale è personale" recita la nostra Costituzione. Ciò vuol dire, tra l’altro, che la persecuzione dei reati riguarda i singoli fatti, non invece un insieme di comportamenti che potranno essere, ciascuno separatamente, oggetto di distinte vicende processuali. Tenere assieme, entro un disegno unitario, vicende tra loro diverse finirà per inquinare la serenità necessaria che deve essere garantita nel corso di ciascuno dei particolari processi.

Lo stesso diritto di difesa "inviolabile in ogni stato e grado del procedimento" (così ancora la nostra Carta costituzionale) finirà per essere compromesso dovendo gli indagati difendersi da più accuse che sono collegate tra loro al fine di dimostrare in ogni caso la loro "pericolosità" sociale e la propensione a delinquere. Questo configura un atteggiamento che può dirsi persecutorio. Una riparazione dell’errore nell’indagine sulla violenza della Caffarella avrebbe preteso la scarcerazione automatica senza alcun ritardo dei due sospettati. Non averlo consentito offende la civiltà del diritto e danneggia le ragioni della giustizia. Finirà per compromettere le stesse future indagini, che per l’opinione pubblica rimarranno pur sempre legate all’immagine dei rumeni stupratori: sì scagionati dal tribunale della libertà, ma criminalizzati dalla Procura della Repubblica.

Giustizia: ora che abbiamo due colpevoli... i reati li troveremo

di Filippo Facci

 

Il Giornale, 14 marzo 2009

 

Abbiamo gli uomini, i reati li troveremo. L’inchiesta sui due romeni Loyos e Racz ormai non riguarda più uno stupro specifico, ma è un’indagine generica sulla vita di due persone. E non è soltanto imbarazzante per chi la conduce, ma andrebbe studiata nelle università per spiegare tutte le deformazioni a cui può ricorrere una Giustizia che non voglia ammettere i propri errori. Più i due vengono scientificamente scagionati dalle accuse, e più ne inventano di progressivamente piccole e pretestuose. I due, in pratica, rimangono dentro per dei reati conseguenti al loro arresto: come quelli che diventano i pazzi perché li chiudono in manicomio. Loyos perché avrebbe calunniato la

polizia rumena dicendo che l’ha picchiato; mentre l’altro, Racz, scagionato da altri stupri che hanno provato ad attribuirgli, è dentro pure lui per pericolo di fuga: e ci mancherebbe: chi non scapperebbe al posto loro? Ma la frase più emblematica l’ha pronunciata un pm: - Non ci sono elementi per ritenere che i due siano completamente estranei a quanto avvenuto".

Classica inversione dell’onere della prova: spiegategli che l’accusa deve portare prove e indizi di una precisa colpevolezza, non supposizioni di una generica non-estraneità. "Non c’è nulla che faccia ritenere che l’indagato sia stato pestato", ha detto il pm. Ragionando come lui, non c’è nulla che lo faccia escludere.

Giustizia: Pecorella (Pdl); inquirenti devono ammettere l'errore

 

Corriere della Sera, 14 marzo 2009

 

"È soltanto accanimento accusatorio". L’avvocato Gaetano Pecorella (deputato Pdl) conferma che il caso del "biondino" rumeno Alexandru Isztoika Loyos purtroppo non è isolato: "Tutti ricordano il padre che (a Gravina di Puglia, ndr) fu tenuto in carcere con l’accusa di aver ucciso i figli".

Magistratura e polizia dovrebbero saper riconoscere gli errori? "L’accanimento che si riscontra quando non si intende riconoscere l’errore è contrario a una immagine trasparente della giustizia".

Il "biondino" rimane in cella con l’accusa di calunnia contro la polizia romena. "E questo lascia interdetti. La calunnia è un reato contro l’amministrazione della giustizia, ma qui il soggetto che sarebbe tutelato è una polizia straniera che opera dietro le quinte. E poi è decisamente inconsueto un arresto per calunnia". La polizia ha diffuso l’interrogatorio di Loyos. Che ne pensa? "È molto grave perché quello è un atto segreto. A questo punto, dunque, facciamo pure i film con gli atti dei processi...".

Giustizia: videosorveglianza e sicurezza, competenze comunali

di Stefano Manzelli

 

Italia Oggi, 14 marzo 2009

 

Via libera al controllo locale della sicurezza con uso di sistemi tecnici ad alta definizione e conservazione allungata dei dati raccolti per almeno sette giorni. Restano però sul tappeto una serie di pratiche burocratiche insuperabili che gli enti locali devono adottare per legittimare l’impiego dei sistemi di videosorveglianza urbana.

Sono queste le novità più importanti per il contrasto comunale dell’insicurezza diffusa contenute nel decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24.02.2009, ed in vigore da mercoledì 25 febbraio. Le immagini raccolte dagli impianti comunali finalmente possono essere utilizzate anche per la tutela della sicurezza urbana e conservate fino ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve ulteriori esigenze tecniche.

L’utilizzo limitato delle tecniche di videosorveglianza locale è infatti sempre stato collegato alle finalità tradizionali dei comuni ovvero il controllo del traffico e la tutela delle proprietà comunali. Ma non certo attività di polizia urbana in senso stretto. Questa attività, infatti, è di recente istituzione e deriva dal pacchetto sicurezza che ha riformulato l’art. 54 del testo unico enti locali.

In pratica ai sensi del dl 92/2008, il legislatore ha ammesso la partecipazione diretta dei comuni a questioni prima riservate a polizia e carabinieri. Con il decreto ministeriale del 5 agosto 2008, il ministero ha poi definito la sicurezza urbana, ovvero "un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani".

Ora riconoscere ai comuni la possibilità di utilizzare la videosorveglianza per la tutela della sicurezza urbana equivale ammettere l’uso di questi impianti per l’esercizio di una nuova attività di polizia. Il primo risultato apprezzabile sarà innanzitutto quello di non dover più utilizzare immagini a bassa definizione. Ma anche di poter conservare i dati registrati per un lasso di tempo ragionevole. Resta però necessario, per i comuni, assolvere a tutte le complesse attività burocratiche compresa l’adozione di un adeguato regolamento.

Marche: il Garante regionale dei detenuti; affollamento al 142%

 

Vivere Ancona, 14 marzo 2009

 

Il Garante dei diritti dei detenuti delle Marche e Ombudsman regionale (attualmente anche Difensore civico e Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza) segnala che il 16 marzo è stata individuata come giornata di mobilitazione nazionale per l’abolizione dell’ergastolo e per l’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione Italiana ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato").

Il 16 marzo si conclude lo sciopero della fame a staffetta, promosso nell’ambito della campagna "Mai dire mai", volto a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni perché venga discussa e approvata la proposta di legge per l’abolizione dell’ergastolo attualmente giacente in Parlamento.

Con l’occasione si sottolinea che secondo i dati del Ministero della Giustizia Dap (situazione aggiornata a fin febbraio) nelle otto strutture delle Marche i detenuti erano 1.072, con un tasso di sovraffollamento del 142%. Vale a dire una presenza superiore del 42% rispetto alla capienza regolamentare delle carceri, la settima regione quanto a sovraffollamento (prima in questa cupa graduatoria è l’Emilia-Romagna).

L’affollamento è al di sopra di quella che viene ritenuta la soglia di tollerabilità. Le altre regioni in questa situazione sono Campania, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Sicilia e Veneto. Considerata la carenza di personale e il fatto che una parte consistente dei detenuti è in attesa di giudizio viene in evidenza che sono quanto mai necessari provvedimenti sulla realtà carceraria e soprattutto sul sistema penale nel suo complesso, compreso un rafforzamento delle misure alternative.

L’Ufficio del Garante per i diritti dei detenuti è stato istituito nell’agosto scorso con la L.R. 23/2008 e dovrebbe essere pienamente operativo a partire dalla metà del prossimo mese di Aprile. Vigila in particolare sulle prestazioni inerenti la tutela della salute delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e sulle azioni volte a favorire il loro reinserimento. Nei prossimi giorni il Garante dei diritti dei detenuti incontrerà i direttori dei penitenziari marchigiani.

Firenze: ordinanza Sindaco Montelupo, l'Opg è da terzo mondo

di Andrea Ciappi

 

La Nazione, 14 marzo 2009

 

Igiene da terzo mondo, detenuti stipati nelle celle: con un’ordinanza firmata ieri, in seguito ad un’allarmata informativa della Asl 11, il sindaco di Montelupo Fiorentino, Rossana Mori, obbliga la direzione dell’Opg ad intervenire per ridurre il numero di internati (dai 196 attuali a non più di 169) e per ripristinate le condizioni igienico-sanitarie, ora oltre ogni limite di tollerabilità.

Ciò avviene anche alla luce del passaggio di consegne della "gestione" sanitaria degli Opg, dallo Stato alle Asl (giugno 2008). Il provvedimento è stato inviato al ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, e secondo il sindaco Mori dovrebbe essere subito operativo: i 27 reclusi "in eccesso" dovrebbero essere ospitati negli altri quattro Opg sparsi per l’Italia.

Oppure, per coloro che sono a fine pena e che attendono i canonici tempi tecnici per cui la Giustizia dichiara che non sono più "pericolosi", potrebbero aprirsi le porte di altre strutture di riabilitazione. Qui sorgono problemi: non è che anche gli altri Opg sono sovraffollati? Non è che il Ministero faccia ricorso al Tar (come può accadere con qualsiasi provvedimento amministrativo) e si blocca tutto?

Rossana Mori si stringe nelle spalle: il quadro delineato dalla Asl sull’Ambrogiana (e confermato ieri dal direttore sanitario Enrico Roccato e dall’incaricato per l’Opg Nedo Mennuti) è a dir poco terrificante. Si parla di "sovraffollamento particolarmente rischioso per la salute", e sin qui se vogliamo si è nell’ovvio. Poi però si scende nei dettagli: nel provvedimento si legge di "critiche condizioni igienico-sanitarie per il diffondersi di malattie infettive e parassitarie, che peraltro si sono già verificate con una certa frequenza".

"I problemi più grossi - prosegue il rapporto recapitato al sindaco - riguardano la sezione III, dove le celle singole che dovevano essere destinate ai casi più gravi sono utilizzate per più persone". In una cella ce ne stanno fino ad 8. I servizi igienici? Separati da un muretto rispetto al vano dove i detenuti "vivono" tutti assieme.

L’ordinanza impone che siano "immediatamente chiuse le 6 celle della III Sezione che sono assolutamente non idonee ma ancora utilizzate dagli internati". Poi: "Il numero di detenuti presente dovrà essere ricondotto a quello previsto di 169 persone". Che sarebbe, tirando la corda, il limite proprio massimo. Ma all’Ambrogiana, in tempi anche relativamente recenti, il numero è salito ben oltre le 200 unità. Ancora: entro due mesi gli spazi comuni della III Sezione dovranno essere puliti e tinteggiati; dovrà essere spostata la farmacia in un locale più idoneo; la sezione "Ambrogiana", compresi gli studi medici, dovrà essere ripulita ed imbiancata entro tre mesi, così come nel medesimo giro di mesi si dovrà procedere alla ripavimentazione e al risanamento delle pareti degli spazi detentivi a cielo aperto.

Infine, entro giugno sono richiesti planimetria e percorsi delle acque nere, chiare e piovane indicando come avviene l’allontanamento e lo smaltimento delle fogne. Per Mori la parola d’ordine è: "Garantire la qualità della vita dei detenuti e degli operati". E a proposito di questi ultimi, già da tempo denunciato il sotto-organico della Penitenziaria, va aggiunto che la Asl 11 ha dentro l’Opg 35 unità, di cui 12 dipendenti diretti ed il resto a contratto. Ventitre persone che solo a maggio, in base ad un confronto col Ministero della Giustizia, conosceranno il loro destino.

"Quello di Montelupo - commenta l’assessore regionale alla sanità, Enrico Rossi - è un ospedale a tutti gli effetti, e noi intendiamo garantire ai suoi ospiti livelli adeguati di assistenza". Rossi ieri era rappresentato, a Montelupo, dal consigliere regionale Vittorio Bugli.

Reggio Emilia: Berselli (Pdl); bisogna accorpare il carcere e l'Opg

 

Il Resto del Carlino, 14 marzo 2009

 

Gli istituti penitenziari soffrono per l’esubero di detenuti (300 in una struttura che ne prevede 152) e per la carenza di personale di sorveglianza. Il presidente della Commissione Giustizia del Senato ha parlato di "situazione allarmante".

Accorpare carcere e Opg, risparmiando così 15 degli agenti che sorvegliano le due strutture: è questa la proposta avanzata questa mattina dal Presidente della Commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli, che ha visitato gli istituti penitenziari di Reggio Emilia.

Alla visita hanno partecipato anche la Senatrice Maria Ida Germontani, l’onorevole Emerenzio Barbieri, il consigliere regionale Fabio Filippi, segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante, il segretario regionale del Sappe Vito Serra e il segretario provinciale Michele Malorni, oltre agli altri segretari del Sappe provenienti dalla Regione Emilia Romagna.

Al termine della visita, Berselli ha illustrato in conferenza stampa le riforme strutturali e organizzative che dovrebbero porre rimedio alla grave emergenza che stanno vivendo le carceri italiane a causa del sovraffollamento e della carenza di organico del personale di polizia penitenziaria. La Regione Emilia Romagna infatti è, fra tutte, quella che soffre maggiormente il sovraffollamento e la carenza di organico.

In particolare da tempo la "Pulce" e l’ospedale psichiatrico sono al centro delle richieste dei sindacati di polizia penitenziaria che invocano una soluzione al problema del sovraffollamento delle celle e della carenza di personale (il carcere, che dovrebbe ospitare in tutto 152 persone ne accoglie 330).

"C’è una situazione allarmante - commenta Berselli - perché al di là delle carenze delle strutture resta il fatto di una presenza abnorme della popolazione carceraria rispetto a quanto previsto". In più, aggiunge il parlamentare "c’è una carenza di organico di personale di sorveglianza". Berselli promette quindi di "informare il ministro" e insistere affinché "l’accorpamento delle due strutture, ipotesi assai gradita al Sappe, si realizzi in tempi brevi".

Teramo: detenuti e ragazzi disabili, poteranno insieme gli ulivi

 

Il Centro, 14 marzo 2009

 

Un progetto di agricoltura sociale, battezzato "Ulivo amico", prenderà il via domenica a Rurabilandia, la prima fattoria sociale d’Abruzzo. Nella grande cascina della Fondazione Ricciconti, in contrada Vomano, s’incontreranno i ragazzi diversamente abili del centro diurno per disabili della stessa Ricciconti e un gruppo di detenuti del carcere di Castrogno.

I due gruppi lavoreranno insieme ad uno dei riti più antichi dell’agricoltura mediterranea: la potatura degli ulivi. Faranno anche la pausa pranzo a mezzogiorno, come da tradizione agricola abruzzese. "Il progetto", si legge in una nota, "mira all’inserimento nel mondo del lavoro di ragazzi disabili e al recupero dei detenuti. Si tratterà di una giornata intensa per i novelli potatori che, affiancati dai tecnici della Ricciconti, acquisiranno sul campo una nuova professionalità dopo aver già effettuato, a novembre, la raccolta delle olive".

I gruppi di lavoro saranno formati da nove persone: tre detenuti, tre disabili e tre operai assistititi dagli operatori della cooperativa L’Aquilone, che gestisce il Centro diurno. "Grazie a questo progetto", prosegue il comunicato stampa, "i ragazzi del centro diurno acquisiranno delle professionalità che utilizzeranno per essere avviati al lavoro presso Rurabilandia".

Quest’ultima è a disposizione anche di scuole, istituzioni, associazioni e famiglie, a cui sono dedicati percorsi didattici, educativi e ludici. La fattoria si compone di un ampio casale ristrutturato, distribuito su due livelli e dotato di aule didattiche, un laboratorio di trasformazione dei prodotti e un punto vendita aziendale.

Prato: un tocco di vivacità entra in carcere, con nuovo murales

 

Il Tirreno, 14 marzo 2009

 

Un tocco di colore e di vivacità per il carcere della Dogaia. Vari detenuti che frequentano i corsi di istruzione primaria e secondaria e alcuni studenti e ex studenti della Scuola Media Mazzoni di Prato hanno collaborato per oltre sette mesi alla realizzazione di un significativo e colorato murale in uno dei corridoi di passeggio della casa circondariale di Maliseti.

Il risultato è davvero apprezzabile: 23 metri di disegni, di tinte brillanti e di soggetti attentamente studiati e realizzati con grande maestria da tutti gli studenti. L’opera sarà presentata questa mattina alle ore 9.30 e all’inaugurazione ufficiale prenderanno parte gli autori, l’assessore alle Politiche sociali e giovanili della Provincia di Prato Irene Gorelli e l’assessore comunale all’Istruzione pubblica Giuseppe Gregori, nonché gli insegnanti coordinatori dell’attività e gli alunni della classe 3 B dell’Istituto Mazzoni.

È stato un lavoro sinergico che ha permesso a tutti gli studenti di mettersi alla prova. Gli alunni esterni, chiamati come esperti, hanno coordinato l’iniziativa, gli altri sono stati validi esecutori di una realizzazione importante che ha unito svago e impegno pratico. "La creazione di questo murale - ha spiegato una delle coordinatrici, la professoressa della scuola Mazzoni Gioietta Romagnoli - è la prima tappa di un più ampio progetto educativo rivolto agli studenti della casa circondariale per il miglioramento di alcuni spazi del carcere.

Il lavoro proseguirà con la sistemazione del cortile interno, una zona critica dove spesso si concentra materiale organico e non gettato fuori dalle celle e che, con la collaborazione di alcuni alunni dell’Istituto d’Arte di Sesto Fiorentino, sarà reso area verde e vi sarà installato un manufatto in ceramica". L’intero progetto è stato proposto e sostenuto dalla commissione continuità educativa del Centro Territoriale Permanente di cui l’istituto Mazzoni fa parte e la preside della scuola, Giuseppina Cappellini, fin dall’inizio ha accolto positivamente questa attività di integrazione e di formazione didattica per gli studenti del carcere.

Il murale è stato interamente realizzato con colori spray e i soggetti raffigurati sono stati attentamente scelti dai vari studenti. "Abbiamo cercato di far emergere lo stato d’animo del detenuto - ha detto Romagnoli - I tre aspetti principali, l’ansia, la speranza e la vita, abbiamo cercato di renderli nella raffigurazione privilegiando colori piacevoli come l’azzurro o il verde, per non agire con tinte più aggressive e violente".

Palermo: il progetto "In & Out" con Centro Giustizia Minorile

 

La Sicilia, 14 marzo 2009

 

Martedì 17 marzo, alle 9,30, all’Istituto penale per minorenni "Malaspina" di Palermo (Sala Gialla, via Principe di Palagonia, 135) sarà presentato il progetto "In & Out", promosso dal Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia, attuato dall’Associazione Euro e finanziato dall’assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche sociali e delle Autonomie locali con 1 milione e 500 mila euro. "Il progetto coinvolge gli istituti penali per minorenni di Palermo, Catania, Acireale, Caltanissetta" spiega l’assessore Francesco Scoma.

"È unico in tutta Europa - continua - poiché oltre ai corsi di formazione per i minori e il personale che opera nelle carceri, alla fine nei 4 penitenziari resteranno anche opere strutturali: a Palermo verranno costruiti un impianto di irrigazione ed un campo di calcio a 5, a Catania un campo di calcio a 11 in erba sintetica, ad Acireale saranno allestite una cucina didattica ed una sala polifunzionale per attività teatrali, a Caltanissetta un campo di calcio a 5 ed un’aula polifunzionale". "In & Out" prevede, inoltre, l’attivazione di 200 borse lavoro per altrettanti soggetti minorenni detenuti nei 4 istituti siciliani, che potranno così lavorare negli stessi cantieri attivati per la realizzazione delle opere strutturali, e il confezionamento di un giornalino telematico realizzato dai minori detenuti in collaborazione con l’agenzia Ansa.

Questo il programma di martedì 17 marzo. Ore 9.30: convegno dal titolo "A partire da dentro: vecchie e nuove letture della devianza minorile" nel corso del quale interverranno, tra gli altri: Michele Di Martino, dirigente del Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia; Concetta Sole, presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo; Caterina Chinnici, procuratore della Repubblica per i Minorenni di Palermo; Francesco Scoma, assessore regionale della Famiglia; Eugenio Ceglia, presidente Associazione Euro; Maria Randazzo, direttore Istituto Penale per i Minorenni di Catania; Giuseppe Manzella, direttore Istituto Penale per i Minorenni di Palermo; Carmelina Leo, direttore Istituto Penale per i Minorenni di Acireale; Nuccia Micciché, direttore Istituto Penale per i Minorenni di Caltanissetta.

Ore 10: firma del protocollo di intesa per la promozione ed il sostegno ai "servizi della giustizia minorile" tra l’assessore regionale della Famiglia, Francesco Scoma, e il direttore del Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia, Michele di Martino. Ore 10.15: avvio del cantiere per la valorizzazione del giardino storico di Villa Palagonia (Carcere dei minorenni di Palermo) con la costruzione dell’impianto di irrigazione, realizzato anche da soggetti detenuti

La Spezia: con Italia Lavoro, seminario sul "Progetto Indulto"

 

Ansa, 14 marzo 2009

 

"Percorsi di inclusione socio-lavorativa. Transizione pena-lavoro: dalla sperimentazione al modello operativo": è questo il titolo dell’incontro che si terrà presso la Sala Consiliare del Palazzo del Governo, lunedì 16 marzo. Nel corso dell’intera giornata le istituzioni (Prefettura, Comune, Provincia, Regione, Uepe, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro, Asl), e le parti sociali (Confindustria, Confartigianato, Cna, Confcooperative, Legacoop, Caritas, Camera di Commercio) si confronteranno sulla possibilità di dare una risposta non emergenziale ma sistematica e strutturata al problema dell’inclusione socio-lavorativa dei detenuti e degli ex-detenuti.

Il Progetto Indulto - promosso dai Dicasteri del Lavoro e della Giustizia e attuato da Italia Lavoro - ha realizzato percorsi di tirocinio formativo e professionalizzante da svolgere in azienda, destinati a detenuti nella condizione di fine pena, misura alternativa, beneficiari dell’indulto liberati o in fine pena o in misura alternativa, minori in età adulta, in una logica di supporto al reinserimento nel tessuto sociale e di prevenzione della recidiva.

Le azioni svolte hanno toccato quasi tutto il territorio nazionale, sviluppandosi in 12 regioni e 46 province. Sono già 267 i contratti di lavoro stipulati al termine di percorsi di tirocinio in azienda. Nel 63% dei casi di assunzione - dei quali il 32% a tempo determinato ed il 31% a tempo indeterminato - le aziende hanno ricevuto in incentivo all’assunzione.

In Liguria i tirocini avviati sono stati 161 (44 tuttora in corso) in 80 imprese di tutte le province, e 18 le assunzioni già realizzate. La platea dei tirocinanti è all’86% composta da uomini, italiani (solo il 15% è immigrato), di età compresa - per la maggioranza pari al 40% - nella fascia 35-44 anni, nella stragrande maggioranza dei casi in possesso di licenza media. Le imprese ospitanti sono in maggioranza piccole (da 1 a 10 dipendenti), operanti nel settore dei servizi (manutenzione stabili, aree verdi, pulizia, mense), ma anche servizi alla persona, amministrazione pubblica, alberghi e ristoranti.

A fronte degli ottimi risultati raggiunti sul territorio ligure, nel corso dell’incontro di lunedì 16 marzo, sarà sottoscritta - dagli enti coinvolti - la proroga del Protocollo d’intesa (firmato nel febbraio 2008) fino a febbraio 2010, per un programma di intervento finalizzato all’inclusione di persone in esecuzione penale.

Roma: il 18 convegno su "Il carcere. Un luogo da cui ripartire"

 

Ansa, 14 marzo 2009

 

Si svolgerà mercoledì 18 marzo dalle ore 15.00 a Roma presso l’Hotel Nazionale (Sala Cristallo) in Piazza Montecitorio, 131 il convegno "Il carcere. Un luogo da cui ripartire", imperniato sulla funzione rieducativa delle misure detentive. In una prima sessione si discuterà di "Cultura e istituzioni per una nuova opportunità ai detenuti" con il Presidente della VII Commissione Cultura della Camera dei Deputati Valentina Aprea, e con l’Assessore all’Istruzione, Diritto allo Studio e Formazione della Regione Lazio Silvia Costa, moderate da Vittorio Campione, Presidente de Il Borgo della Conoscenza. Seguiranno sessioni più specialistiche dedicate al "valore individuale e sociale del trattamento", alla "Ri-Educazione Attiva" e al "ruolo del teatro nelle situazioni di disagio sociale".

Rovigo: ex agente in carcere chiese soldi a detenuto per cellulare

 

Il Gazzettino, 14 marzo 2009

 

È tornato in carcere, ma non per lavorarci come aveva fatto per anni, ma per scontare un anno, 5 mesi e 26 giorni di reclusioni. Si tratta di Luigi Marini, 42 anni, rodigino, ex agente di polizia penitenziaria residente a Costa che da giovedì pomeriggio si trova rinchiuso nel carcere Due Palazzi di Padova.

L’uomo è stato colpito da ordinanza di carcerazione definitiva firmata dall’Ufficio esecuzioni penali della Procura di Rovigo ed eseguita dalla Squadra mobile in merito alla condanna per il reato di corruzione. Una vicenda che nel dicembre 2007 l’aveva fatto finire in manette per aver chiesto 2.500 euro a un detenuto per mettergli a disposizione il proprio cellulare per telefonare all’esterno.

Un’operazione condotta dalla stessa Polizia penitenziaria comandata da Rosanna Marino e dalla Squadra mobile guidata da Leo Sciamanna che utilizzarono un infiltrato nel carcere per tendere la trappola a Marini. Venne catturato al Centro commerciale Le Torri mentre stava ricevendo il denaro da due poliziotti della Mobile di Ferrara.

Droghe: i "sepolcri imbiancati" dell’Agenzia Antidroga dell’Onu

di Franco Corleone

 

Notizie Verdi, 14 marzo 2009

 

Antonio Maria Costa, capo dell’Agenzia antidroga delle Nazioni Unite, sognava forse di ripetere i fasti dell’Assemblea Generale di New York del 1998 nella quale fu accolto il Piano Arlacchi per un mondo senza droga da conquistare in dieci anni. Era un obiettivo irrealistico ma dotato di fascino millenaristico; Pino Arlacchi finì malamente la sua avventura all’Onu e l’oscuro professore raccolse la difficile eredità.

Bisogna riconoscergli una certa abilità nel tessere rapporti di potere con gli stati più potenti e che influenzano le scelte di politica internazionale sulle droghe e soprattutto nell’avere costruito la 52° assise della Cnd come occasione per riproporre la strategia perdente della proibizione e della repressione. Occorre una capacità diabolica nel trasformare un fallimento conclamato che dovrebbe portare a cambiare rotta e a licenziare i responsabili di una strategia meramente illusoria e consolatoria, in un riaffermazione pervicace della stessa strada spacciando dati e cifre diversi dalla realtà.

Non solo, l’impudenza arriva a chiedere maggiori fondi e soldi per un organismo, l’Unodc, già oggi costoso, inutile e dannoso. Per fortuna l’Economist, l’autorevole settimanale britannico proprio nei giorni della riunione di Vienna invitava a cessare la guerra alla droga, corredando questa richiesta con il quadro dei costi e degli insuccessi. Un lavoro intenso della diplomazia doveva portare a una nuova Dichiarazione Politica che rappresentasse un diverso livello di consapevolezza dei problemi e di attenzione alle pratiche sociali che in questi dieci anni si sono sviluppate sotto la denominazione di riduzione del danno. In questo compito l’Unione Europea aveva assunto un ruolo che ridimensionava il tradizionale strapotere degli Stati Uniti e dei paesi satelliti, autoritari e non democratici.

Il colpo di scena è avvenuto quando l’Italia, fino a quel momento silente e d’accordo con i 27 paesi dell’Unione si è pesantemente smarcata e con l’alleanza della Svezia, tradizionale punto di riferimento del paternalismo solidarista e del moralismo contro il "vizio" in nome della virtù ha pesantemente contestato l’inserimento nel testo del riferimento alle politiche di salute pubblica.

Così è stato. La pressione di Carlo Giovanardi da Roma, con il sostegno del Vaticano, in nome della Vita, ovviamente, ha avuto successo e dal testo ridotto a un collage di frasi banali e retoriche messo insieme da burocrati annoiati è scomparso il riferimento alla riduzione del danno.

Un documento senza anima e che raggiunge il ridicolo quando rinvia al 2019, l’obiettivo dell’eliminazione della produzione e del consumo di sostanze stupefacenti. Lord Keynes ammoniva che a lungo termine saremo tutti morti. Ma ai guerrieri della droga fa comodo illudere sul futuro per continuare a ingannare sul presente.

Ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La prepotenza italiana non è piaciuta a molti e per la prima volta in sede di approvazione di un documento che non viene votato ma accolto e adottato per consenso, un nutrito gruppo di paesi, soprattutto europei, hanno espresso una riserva puntuale sul Documento censurando l’assenza di un riferimento che è diventato l’elemento discriminante.

Quando il rappresentante della Germania, a nome della Gran Bretagna, della Spagna, del Portogallo, dell’Olanda e di altre venti nazioni, ha fatto la dichiarazione, si è capito che il castello di carta fondato sull’unanimismo pigro era irrimediabilmente crollato. L’ira del delegato della Russia rendeva plasticamente il significato della svolta.

Un altro colpo all’ipocrisia del Palazzo di Vetro è venuto dall’intervento del Presidente Evo Morales che ha chiesto con pacatezza ma altrettanta fermezza la cancellazione dalla tabella delle sostanze vietate la foglia di coca in nome del rispetto della cultura delle popolazioni indigene e della produzione dei contadini boliviani. Morales ha sottolineato il carattere politico della sua richiesta e ha difeso l’utilizzo millenario di una pianta che non può essere sradicato autoritariamente con una decisione del 1961. I sepolcri imbiancati sono ancor più impalliditi quando Morales ha iniziato a masticare una foglia di coca!

Solo Giovanardi può essere soddisfatto del ruolo dell’Italia, come fanalino di coda dell’Europa. A Trieste si celebra infatti il trionfo della carcerazione di massa e della criminalizzazione di migliaia di giovani grazie a una legge che punisce il consumo di tutte le sostanze con pene spropositate. I tossicodipendenti marciscono in galera, ma questa decisione è per il loro bene, comunque per salvare la loro anima e redimerli dal peccato. La provincia sa essere davvero crudele!

Droghe: a Trieste; un "Libro bianco" e una Contro-conferenza

 

Notiziario Aduc, 14 marzo 2009

 

Le associazioni Antigone, Forum Droghe e La Società della Ragione, da anni impegnate sui temi delle sostanze stupefacenti e del carcere, hanno presentato a Trieste il Libro bianco sulla Fini-Giovanardi. Nel rapporto sono illustrati e commentati i dati sulle conseguenze penali e sulle sanzioni amministrative della legge. In primo luogo, si registra un aumento notevole del numero dei tossicodipendenti presenti in carcere. Subito prima dell’approvazione dell’indulto, (varato nel luglio 2006), i tossicodipendenti in carcere erano il 26,4% dei detenuti.

Con l’indulto la percentuale è scesa notevolmente (21,4%), perché i tossicodipendenti sono spesso condannati per reati di modesta entità, e quindi molti hanno beneficiato del provvedimento. Nonostante questo, già alla fine del 2007 la percentuale di tossicodipendenti in carcere era risalita al 27,6%. Il numero dei tossicodipendenti detenuti cresce, dunque, con una velocità mai vista prima. Il fenomeno, denuncia il Libro bianco, è ormai fuori controllo. Rispetto a prima dell’indulto, infatti, la percentuale di persone che quotidianamente entrano in carcere per il reato che riguarda la produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope (Art.73 del Dpr 309/90) cresce del 3,6%, ma soprattutto aumenta dell’8,4% l’ingresso dei tossicodipendenti. E se si entra facilmente, non altrettanto facilmente poi si esce. Il numero delle misure alternative è ancora fermo a un quinto rispetto a quelle concesse alla metà del 2006.

Un dato fondamentale per comprendere quanto la legge Fini-Giovanardi stia cominciando a incidere sulle imputazioni di reato riguarda i procedimenti pendenti. Rispetto a prima dell’approvazione dell’indulto, cresce del 31,5% il numero dei procedimenti pendenti per l’art. 73, e addirittura del 44,5% il numero di persone implicate in tali procedimenti.

Il dato relativo al numero delle persone in carcere (anche) per spaccio, resta invece per il momento stabile. Alla metà del 2008, il 38,2% dei detenuti è ristretto per l’art. 73, di cui 49,5% sono stranieri. L’impatto del reato di spaccio sul carcere è incomparabile rispetto a qualunque altro reato per numero di presenze negli istituti di pena. Ciò si spiega con il fatto che la legge Fini Giovanardi ha provocato una forte impennata nelle imputazioni, ma non ancora negli ingressi in carcere, a eccezione dei tossicodipendenti.

È da segnalare che questa impennata nelle imputazioni (e, presumibilmente, tra non molto, denuncia il Libro bianco, negli ingressi in carcere), a seguito dell’approvazione della Legge Fini- Giovanardi, non evidenzia una maggiore capacità di colpire il traffico di stupefacenti, quanto la volontà di punire persone che, in realtà, detengono per proprio uso le sostanze, ma assai più facilmente possono essere accusate di un reato che comporta dai 6 ai 20 anni di carcere.

O la volontà di punire il piccolo spacciatore, italiano o immigrato, spesso tossicodipendente, che sopravvive e/o si procura le proprie dosi attraverso un’attività di spaccio al minuto. Ancora una volta, sostiene il Libro bianco, a pagare sono i più deboli, le principali vittime dell’ondata securitaria che ha investito il Paese. Infine, è da rilevare che è in aumento anche il numero delle sanzioni amministrative: al 31 dicembre 2008 sono addirittura +62,6% rispetto al 2004.

 

Italia spende 8,2 euro al giorno per tossicodipendente

 

L’Italia spende poco più di 804 milioni di euro all’anno per la cura e il recupero delle persone tossicodipendenti, una somma pari allo 0,9% dell’intero bilancio nazionale della sanità. E che equivale a circa 3.000 per ognuno dei 272 mila utenti (compresi 73 mila alcolisti): 8,2 euro al giorno. Sono le cifre più eclatanti della ricognizione sullo stato dei servizi per le tossicodipendenze. I dati sono stati esposti da Arcangelo Alfano, funzionario della sanità della Toscana e rappresentante della commissione tecnica sulla salute del coordinamento delle regioni. Alfano ha concluso l’illustrazione delle numerose slide, da cui via via è emerso un sistema sostanzialmente "povero" rispetto al panorama sanitario italiano, domandandosi se "al di là della retorica e delle tante parole che si spendono in Italia sul tema della droga, questo problema stia veramente a cuore a qualcuno".

 

Gli scienziati di Giovanardi: no a legalizzazione

 

La legalizzazione delle sostanze stupefacenti non è la strada giusta per vincere la battaglia contro la droga: ne sono convinti gli scienziati, italiani e stranieri, del Comitato scientifico del Dipartimento nazionale delle politiche antidroga. Interpellati, nel corso della Conferenza nazionale sulle politiche antidroga in corso a Trieste, a esprimersi sull’idea, lanciata in questi giorni dal settimanale britannico The Economist, di legalizzare tutte le sostanze per fronteggiare quello che il giornale definisce il fallimento delle politiche finora attuate, gli esperti hanno detto no.

"L’aumento della disponibilità di un prodotto - ha spiegato Fabrizio Schifano, farmacologo che insegna all’università dello Hertfordshire in Inghilterra - determina inevitabilmente un incremento della domanda e quindi dei rischi della salute". Per Antonello Bonci, ricercatore alla Clinica Ernest Gallo e docente di neurologia all’università di California, il problema è anche educativo: "legalizzare qualcosa di sbagliato rende questa cosa giusta e soprattutto per gli adolescenti il messaggio è devastante". D’accordo con il no anche Kathleen Carroll, docente di psichiatria all’Università di Yale: "l’adolescenza è un momento molto delicato, in cui il cervello è più vulnerabile all’alcol e alle sostanze stupefacenti. Quanto più tardi l’adolescente viene a contatto con le droghe, tanto minore è la probabilità che sviluppi dipendenza".

 

Contro-conferenza; occupato assessorato salute Fvg

 

La sede dell’assessorato alla Salute e Protezione Sociale del Friuli Venezia Giulia di Trieste è stata occupata nel pomeriggio da un gruppo di operatori partecipanti alla contro conferenza sulle droghe parallela a quella governativa in corso nel capoluogo giuliano. Gli occupanti, una trentina di persone in gran parte appartenenti a comunità e unità di strada, sono entrati pacificamente negli uffici, situati di fronte al luogo dove si svolge la conferenza governativa, e hanno srotolato uno striscione con lo slogan "La libertà è tutto". Scopo della protesta - hanno spiegato gli occupanti - non è quella di contestare la conferenza nazionale ma le linee politiche assunte dalla Regione Friuli Venezia Giulia di allineamento acritico alle linee nazionali che, a detta delle organizzazioni, minerebbe alla base le scelte di autonomia in campo socio-sanitario attuate da 20 anni in regione.

Stati Uniti: il business carcerario-industriale non dà segni di crisi

di Simonetta Cossu

 

Liberazione, 14 marzo 2009

 

C’è un business negli Stati Uniti che non dà segni di crisi. È l’incredibile affare che ruota attorno al complesso carcerario-industriale. Non è legato ad aumenti di atti criminali e neanche ad un equo rapporto tra il delitto e il castigo. È il risultato di una alleanza di ferro tra grandi imprese, governo, istituti di pena e media che produce soldi a palate a discapito del principio di giustizia.

Negli Stati Uniti ci sono ad oggi quasi tre milioni di detenuti. Ospiti di carceri federali, statali e anche private sparse in tutto il paese. Secondo l’organizzazione californiana California Prison Focus "nessuna altra società nella storia umana ha imprigionato un così alto numero di suoi cittadini". E i numeri sembrano confermarlo. Secondo le statistiche nelle prigioni americane è detenuto il 25% della popolazione carceraria mondiale, su soltanto il 5% della popolazione mondiale. Mezzo milione in più della Cina, che però ha una popolazione cinque volte più numerosa.

Viene spontaneo chiedersi: cosa ha determinato questa escalation di detenzioni? Il tasso di criminalità stando alle statistiche è in discesa. Secondo il Bureau of prisons nel 2004 si è registrato lo stesso tasso di criminalità del 1974, mentre gli omicidi sono al loro minimo storico, pari a quello registrato nel 1965. Ma il dato più importante è che il tasso di criminalità si concentra in determinate aree: povere e principalmente abitate da afroamericani e ispanici. Il 57% dei reati commessi sono legati a traffico di droga. Ma nonostante questo si è passati dalla popolazione carceraria di 300 mila detenuti del 1972, al milione del 1990 per arrivare ai quasi tre di oggi. Dieci anni fa esistevano negli Stati Uniti solo 5 carceri private, oggi ce ne sono 100.

È chiaro il come e il perché dell’enorme affare che ha dato vita a quello che viene definito il complesso industriale-carcerario. Immaginate di avere a disposizione un enorme bacino di forza lavoro che costa poco, non può protestare (chi protesta può essere messo in isolamento) e non richiede assicurazioni di sorta. È questa la ricetta di quella che le organizzazioni umanitarie, così come quelle politiche e sociali, definiscono come una nuova forma di inumano sfruttamento. Una industria multimilionaria che ha proprie mostre commerciali, convention, website e punti vendita su internet. Inoltre ha campagne pubblicitarie dirette, studi di architettura, società di costruzioni, società di investimento a Wall Street, aziende di impiantistica, compagnie di distribuzione di generi alimentari, sicurezza armata, e celle.

Inoltre i contratti privati per il lavoro dei carcerati sono un incentivo per imprigionare sempre più gente. Le prigioni dipendono da questo reddito. Azionisti delle corporation che fanno i soldi grazie al lavoro dei carcerati fanno lobbing a favore di pene più lunghe, per espandere la loro mano d’opera. Un sistema che si autoalimenta.

Secondo una inchiesta del Left Business Observer, l’industria federale carceraria produce il 100% di molti materiali militari: elmetti, cinture per le munizioni, maglie a prova di proiettile, placche di identificazione, camicie, pantaloni, tende, borse e spacci di bevande. A parte i rifornimenti militari, gli operai della prigione forniscono il 98% dell’intero mercato per i servizi di assemblaggio di apparecchiature; il 93% delle vernici e dei pennelli; il 92% dell’assemblaggio di cucine; il 46% delle armature protettive; il 36% degli elettrodomestici; il 30% di cuffie/microfoni/altoparlanti; e il 21% delle forniture di ufficio. Parti di aeroplano, forniture mediche, e molto più: i prigionieri stanno persino allevando e addestrando cani-guida per ciechi.

Ma come si fa ad incarcerare sempre più persone? Negli Usa negli ultimi anni si è assistito ad una lunga serie di nuove leggi che allungano la pena. L’esempio più eclatante è la famosa "Three strikes law", la legge "tre volte e sei eliminato" - termine preso in prestito dal baseball - che prevede pene fino all’ergastolo, senza possibilità di libertà condizionata, per chi si macchia di almeno tre reati, anche minori. L’approvazione di questa norma in "soli" 13 Stati ha determinato la necessità di costruire nei prossimi 10 anni altre 20 carceri.

E qui arriva il grande affare della privatizzazione. Il boom è iniziato nel 1980 sotto le presidenze di Ronald Reagan e di Bush senior ma ha raggiunto il suo apice nel 1990 con Clinton. Le prigioni private sono l’affare più grande nel complesso dell’industria carceraria. Le due più grandi società del settore sono la Correctional Corporation of America (Cca) e Wackenhut, le quali insieme controllano il 75% del mercato. Le prigioni private ricevono un importo garantito di denaro per ogni prigioniero, indipendentemente dal costo per mantenerlo. Secondo Russell Boras, amministratore di una prigione privata in Virginia, "il segreto dei costi di gestione bassi sta nell’avere il numero minimo di guardie per il numero massimo di prigionieri".

La Cca, per esempio, ha una prigione ultra-moderna a Lawrenceville, in Virginia, dove cinque guardie nel turno di giorno e due in quello di notte sorvegliano oltre 750 prigionieri. In queste prigioni, i carcerati possono ottenere la riduzione della pena per "buona condotta", ma qualsiasi infrazione è punita con 30 giorni aggiuntivi - che significa più profitti per la Cca.

Una forza lavoro quella in carcere che ha rappresentato per molte multinazionali una manna dal cielo: costa poco, non protesta e non chiede tutele o assicurazioni. Almeno 37 stati hanno affidato per legge il lavoro dei detenuti a società private che organizzano le lavorazioni direttamente all’interno delle prigioni di Stato. Nella lista di queste aziende si trova la crema delle corporazioni Usa: Ibm, Boeing, Motorola, Microsoft, At&t, Wireless, Texas Instrument, Dell, Compaq, Honeywell, Hewlett-Packard, Nortel, Lucent Technologies, 3Com, Intel, Northern Telecom, Twa, Nordstrom, Revlon, Macy, Pierre Cardin, Target Stores e molte altre. I carcerati dei penitenziari di Stato generalmente ricevono lo stipendio minimo per il loro lavoro, ma non tutti; in Colorado, per esempio, vengono pagati circa 2 dollari l’ora, ben al di sotto del minimo. E nelle prigioni private ricevono solo 17 centesimi l’ora per un massimo di sei ore al giorno, l’equivalente di 20 dollari al mese. La prigione privata con le paghe migliori è la Cca del Tennessee, dove i prigionieri ricevono 50 centesimi all’ora per quelli che vengono "impieghi altamente qualificati".

Grazie al lavoro carcerario, gli Stati Uniti risultano ancora appetibili per investimenti originariamente progettati per il mercato del così detto "terzo mondo". Un’azienda che possedeva una maquiladora (impianto di assemblaggio) in Messico vicino al confine, per esempio, ha chiuso i suoi stabilimenti e li ha ricollocati nella famosa prigione di Stato di San Quentin, in California.

Per concludere, alcuni dati. Il 97% dei 125mila carcerati federali sono stati condannati per crimini non-violenti. Si stima che più della metà dei 623mila carcerati delle prigioni comunali o di contea siano innocenti dei crimini di cui sono accusati. Di questi, la maggioranza sta attendendo il processo. Due terzi del milione di prigionieri statali hanno commesso crimini non-violenti. Il sedici per cento dei quasi tre milioni di prigionieri del paese soffre di malattie mentali.

 

 

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