Rassegna stampa 13 marzo

 

Giustizia: chi mobilita i sentimenti "cattivi" della popolazione

di Roberto Biorcio

 

Liberazione, 13 marzo 2009

 

Stiamo assistendo ormai da mesi a un ripetitivo e pericoloso gioco a tre in materia di immigrazione e sicurezza che coinvolge la Lega, i media e il governo. È sempre più difficile fare un elenco esauriente di tutte le proposte e le iniziative che hanno via via attirato l’attenzione del pubblico ed alimentato servizi informativi, dibattiti e talk show: dalle classi differenziate dei giovani immigrati alla denuncia dei clandestini che ricorrono alle cure mediche, alla castrazione chimica ai pedofili, alle tasse di soggiorno per gli immigrati.

La Lega esercita tutta la sua creatività per inventare iniziative e misure sempre più crudeli e raffinate per punire in modo esemplare alcuni tipi di reato ma soprattutto per rendere impossibile la vita degli immigrati nel nostro paese. I media gestiscono alcuni episodi di cronaca nera in modo tale da diffondere, al di là delle loro intenzioni, le emozioni e il clima di opinione più favorevole per giustificare il continuo rilancio delle proposte leghiste.

Il governo Berlusconi prima annuncia e poi - almeno in parte - fa approvare decreti e disegni di legge che recepiscono e legittimano la sostanza delle proposte inventate dal Carroccio. Si tratta di un gioco a tre che si autoalimenta e si ripete con lo stesso formato, producendo effetti sempre più profondi e duraturi sull’opinione pubblica, il senso comune e sui valori su cui si fonda la convivenza civile. Un gioco che crea le premesse per chiamare alla mobilitazione i cittadini non solo per firmare petizioni ai gazebo ma anche per promuovere ronde e spedizioni punitive contro gli immigrati, i rom e chiunque appaia diverso agli occhi del senso comune.

Il partito di Bossi non ha cambiato la sua identità e le sue parole d’ordine, che conosciamo da venti anni: si è sempre presentato come rappresentante dei ceti popolari del nord con una identità etno-regionale, proponendosi come alternativa anche se non in contrapposizione diretta alla sinistra. Ma ha deciso, volta per volta, nelle diverse congiunture politiche e sociali su quali temi era opportuno insistere e costruire le sue campagne.

La Lega ha abbandonato l’indipendentismo sostituendolo con un progetto di federalismo fiscale favorevole alle regioni del nord. Su questo terreno la Lega ha dovuto fare compromessi e subire talvolta sconfitte. Il federalismo resta ancora un punto di domanda: una politica redistributiva verso il nord richiederebbe innanzitutto un consenso più ampio, una convergenza con il Pd, anche perché la proposta trova opposizione anche nel centrodestra.

Nell’ambito della coalizione guidata da Berlusconi, la Lega è riuscita a ritagliarsi uno spazio più dinamico e aggressivo presentandosi come il partito più sensibile alla domanda di sicurezza che nasce dall’impatto della globalizzazione sulla vita sociale e dalla crescita dell’immigrazione. Questo filone di campagne leghiste prescinde totalmente dalla questione settentrionale e rappresenta il terreno su cui la Lega ha avuto più successo nell’ultimo anno. Un successo che per ora è soprattutto simbolico, legato all’adozione di provvedimenti che non sarà facile tradurre in politiche, ad esempio la possibilità dei medici di denunciare i clandestini non raccoglierà molti consensi ma avrà l’effetto di spingere gli immigrati a non farsi curare. La Lega è così riuscita a dimostrare che "bisogna essere un po’ cattivi" come ha detto Maroni e che è necessario usare anche metodi coercitivi, al limite violenti (come la castrazione chimica).

Questa campagna può segnare una svolta fondamentale per il nostro paese perché si contrappone frontalmente a una tradizione in cui erano egemoni i discorsi solidaristici dei cattolici da una parte e i discorsi di solidarietà sociale proposti dalla sinistra dall’altra. La chiave del successo della Lega può essere quella di riuscire a mobilitare i sentimenti "cattivi" che esistono nella popolazione insieme ad altri naturalmente positivi.

Si tratta delle paure della gente che si tenta di scaricare su possibili bersagli rappresentati dagli immigrati che hanno altri usi e costumi rispetto alle popolazioni autoctone. La Lega da un lato legittima questi sentimenti, dall’altro li mobilita. La gente potrebbe spontaneamente desiderare la scomparsa dei campi rom. La Lega la mobilita per intervenire direttamente con manifestazioni e altre forme di protesta.

Il gioco condotto dalla Lega può svilupparsi indisturbato anche perché sono tuttora molto limitate le reazioni delle altre forze politiche, che non sono riuscite finora a innescare una adeguata mobilitazione dell’opinione pubblica democratica. Hanno ottenuto qualche attenzione dai media solo le prese di posizione del presidente della Repubblica e del presidente della Camera Fini.

Gli interventi di alcuni cardinali e di alcuni esponenti del mondo cattolico rispetto alle proposte del governo in tema di sicurezza sono state sempre delegittimate dall’intervento del Vaticano che non intende rompere i buoni rapporti con l’attuale presidente del consiglio. Le prese di posizione contrarie ai provvedimenti governativi da parte di esponenti del partito democratico sono state in molti casi prudenti, spesso smentite dalle iniziative degli amministratori a livello locale che hanno cercato di imitare e riproporre alcune delle proposte leghiste.

Giustizia: se i due romeni fossero romani sarebbero in carcere?

di Gad Lerner

 

La Repubblica, 13 marzo 2009

 

Perché li tengono dentro, quei due, se il Tribunale del Riesame ha stabilito che Alexandru Loyos e Karol Ractz non sono colpevoli dello stupro al parco romano della Caffarella?

E se l’esame del Dna scagiona Ractz pure dallo stupro del 21 gennaio a Primavalle? Chiediamocelo: sarebbero ancora in carcere, si fosse trattato di due romani anziché di due romeni? D’accordo, la loro fedina penale è tutt’altro che immacolata. E mettiamoci pure che hanno una brutta faccia. Ma non posso fare a meno di pensare come avrebbe figurato la mia, di faccia, esibita in tv con l’accusa di avere violentato una quattordicenne.

Il medioevo elettronico contemporaneo si nutre di simili mostri. Il biondino, il pugile, le baracche, i campi rom, il Dna più o meno maldestramente ascrivibile a un ceppo etnico, le statistiche sulla pericolosità degli stranieri estrapolate con disinvoltura da campioni di popolazione non comparabili.

Intrappolati come siamo tra la paura e il furore, finiscono per apparirci di un progressismo temerario perfino le massime autorità istituzionali, quando criticano (inascoltate) il ricorso alla connotazione razziale della delinquenza. Perché nel frattempo ci sono funzionari dello Stato, come il prefetto e il questore di Treviso, che presenziano agli incontri di partito per la formazione delle ronde. Dando luogo a una commistione tra forze dell’ordine e militanza di fazione, in nome della difesa del popolo, tipica dei regimi antidemocratici.

L’indagine di polizia sul cosiddetto stupro di San Valentino s’è dipanata in un clima d’isteria collettiva falsamente giustificata come moto di solidarietà nei confronti della vittima. Sballottati tra il clamore mediatico e le esigenze della politica, gli inquirenti già domenica 15 febbraio lasciavano trapelare: siamo in procinto di acciuffare i colpevoli. "Il cerchio si stringe, questione di ore", promettevano i siti Internet. Diffondendo un’aspettativa non so se autorizzata, ma comunque eccessiva, tanto è vero che la sera di lunedì 16 febbraio la Questura di Roma doveva precisare in un comunicato che nessun cittadino romeno risultava al momento iscritto al registro degli indagati. Gli arresti sarebbero giunti la notte dell’indomani. Consentendo martedì 18 febbraio la ben nota sfilata di Coyos e Racz ammanettati tra flash e telecamere, subito prima della conferenza stampa in cui veniva precisato - guarda caso - che l’indagine s’era felicemente conclusa senza bisogno di ricorrere alle intercettazioni telefoniche.

Indicata come prova regina la confessione filmata resa dal "biondino", dapprima gli inquirenti hanno lasciato trapelare l’esistenza di quel video. Quando poi sono emersi forti dubbi sull’impianto accusatorio, la polizia ha pensato di difendersi fornendo ai media quel materiale d’inchiesta e rendendo così pubblico il filmato di una confessione che i magistrati hanno giudicato non credibile.

Sarebbe stato difficile pretendere che la polizia lavorasse con serenità in un tale contesto ambientale. Ne è scaturita un’inchiesta come minimo frettolosa, il che dovrebbe bastare a definirla un’inchiesta sbagliata. Se anche restassero fondati sospetti che Alexandru Loyos abbia reso la falsa confessione per coprire altre persone, la sua autoaccusa lo descrive piuttosto come vittima che come colpevole. Nel frattempo "Le Iene" hanno mostrato in tv una ronda di loschi figuri che si aggiravano intorno al parco della Caffarella a caccia di stranieri con un coltello in mano. Due cittadini albanesi, scambiati per romeni, sono stati malmenati nel quartiere romano di Tor Bella Monaca. La sera stessa è stato impedito l’accesso in una discoteca milanese di due cittadini indiani, giudicati indesiderabili per il colore della pelle. Questo è il clima che si è alimentato irresponsabilmente nelle nostre città, per le quali si aggirano in veste di giustizieri dei brutti ceffi razzisti incoraggiati dal via libera alle ronde.

Perveniamo così al paradosso che, per l’incolumità di due persone "mostrificate" come Alexandru Loyos e Karol Rocz, forse oggi in Italia il luogo più sicuro resti la prigione in cui sono detenute. Ciò che naturalmente non giustifica la loro permanenza in carcere. Se e quando usciranno, è prevedibile che si dileguino come ladri. Così il benpensante si rafforzerà nella sua convinzione: ve l’avevo detto che erano dei poco di buono! E la caccia all’uomo potrà ricominciare, nobilitata dalla sofferenza delle donne violentate. Senza giustizia.

Giustizia: è sbagliato limitare la discrezionalità dei magistrati

di Paolo Auriemma

 

www.radiocarcere.com, 13 marzo 2009

 

Integra il delitto di violenza sessuale anche il mero sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio: infatti tra gli atti suscettibili di integrare il delitto sono ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi riguardanti zone erogene su persona non consenziente: questa una pronunzia della Cassazione che indica i presupposti per l’integrazione del reato di cui all’articolo 609 bis codice penale. Ugualmente costituisce atto violento il mero palpeggiamento occasionale di parti intime della persona offesa.

Pronunzie severe? Direi di no, poiché le modifiche normative tendono ad individuare come atto violento qualunque comportamento teso a soddisfare la concupiscenza o l’istinto sessuale di chi agisce.

Oggi, in presenza dei presupposti che legittimano la misura cautelare individuati nell’inquinamento probatorio, nel pericolo di fuga o di reiterazione del reato è obbligatorio non solo l’arresto da parte della polizia giudiziaria, ma anche la misura cautelare, prima del processo, della custodia cautelare in carcere.

Un recente decreto legge, infatti, ha previsto la contrazione della discrezionalità nella scelta della misura cautelare restrittiva da parte del magistrato procedente, equiparando ogni ipotesi di violenza sessuale. Non si potrà quindi guardare in modo diverso a situazioni di diversa gravità, ma meccanicamente si dovrà disporre la custodia in carcere in presenza delle dette esigenze. Ma in tal modo è gravemente frustrato il principio secondo cui nel processo deve esser valutata la situazione concreta adattando la norma alla varietà dei casi umani.

Alcuni sostengono che tale restrizione della discrezionalità giurisdizionale è causata dalla irragionevolezza, talvolta, delle scelte dei magistrato (istanze del requirente, decisioni del giudicante). Ma se anche così fosse si minerebbe, a fronte di valutazioni in astratto contenute nelle norme, un sistema di equilibri che prevede l’esistenza di un interprete del caso concreto. La tendenza a fronteggiare le istanze di sicurezza con un sempre più elevato ricorso alle misure cautelari maggiormente afflittive mira, di fatto, ad una "anticipazione di pena" che in qualche modo ingenera l’illusione di un sistema processuale idoneo a garantire un certo grado d’efficienza.

Peraltro la scelta di cui al decreto si propone di affrontare il tema della sicurezza in modo efficace. Ma tale fine non si può raggiungere soltanto con una repressione immediata che fronteggi l’emergenza vista come reazione pronta dello Stato che "metta in carcere immediatamente " il presunto responsabile - evidente comunque il bisogno del rafforzamento del momento preventivo - ma in una valutazione definitiva dei fatti di reato che permetta di guardare al colpevole irrogando una pena, questa sì che giunga prontamente, che debba esser realmente e definitivamente scontata.

Tanto di più si può fare con scelte legislative acceleratorie che modifichino farraginosità processuali. È il caso di riflettere, invece, su norme che, limitando la discrezionalità, non permettano di adattare la norma alla situazione concreta, sottovalutando la portata dell’articolo 111 della Cost. che, prevedendo che ogni provvedimento giurisdizionale debba essere motivato, sottende la regola di una discrezionalità nelle decisioni.

Giustizia: a Roma revoca domiciliari a tutti indagati per stupro

di Marino Bisso

 

La Repubblica, 13 marzo 2009

 

Non solo il carcere obbligatorio ma anche la revoca dei domiciliari per gli indagati per violenza sessuale. Dal ventenne accusato dello stupro della notte di Capodanno al sacerdote, anche lui agli arresti in casa, perché sospettato di aver abusato di alcuni ragazzini in due parrocchie nella periferia nord della capitale. Sono decine le persone indiziate per abusi sessuali che, in base al nuovo decreto sulla sicurezza, non potranno più scontare le misure cautelari fuori dal carcere ma dovranno tornare in prigione.

La revoca dei domiciliari è prevista da una circolare del procuratore Giovanni Ferrara. Il documento, firmato l’11 marzo, stabilisce che la nuova normativa ha valore retroattivo. "Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 1992", scrive il procuratore Ferrara nella lettera inviata ai cento pm romani, hanno disposto "l’immediata applicazione della riforma normativa anche ai procedimenti in corso".

La circolare-pilota, che potrebbe anticipare l’orientamento di altre procure d’Italia, è destinata a incrementare, nel giro di pochi mesi, il numero dei detenuti. Il carcere diventa obbligatorio per tutta una serie di gravi reati: l’omicidio volontario, la riduzione in schiavitù, la prostituzione e pornografia minorile oltre ai casi di violenza sessuale aggravata.

Seconda la nuova circolare dunque i pm romani dovranno fare istanza di revoca dei domiciliari ai giudici per le indagini preliminari. Nella capitale potrebbero dunque tornare in cella Davide Franceschini, 22 anni, accusato dello stupro di Capodanno. Ma anche don Ruggero Conti, 56 anni, ex parroco della parrocchia Natività di Maria Santissima, finito ai domiciliari con l’accusa di abusi sessuali su alcuni ragazzi che frequentavano l’oratorio.

Prosegue, intanto, l’inchiesta sulla violenza del giorno di San Valentino. Il capo della mobile, Vittorio Rizzi, ha incontrato il pm Vincenzo Barba e sarebbero negativi i primi risultati sui Dna prelevati a una ventina di sospettati in Romania tra cui alcuni cugini di Alexandru Isztoika Loyos, il "biondino".

Oggi il gip Filippo Steidl dovrà decidere se convalidare il fermo per calunnia aggravata per Loyos. Il provvedimento era scattato dopo che il Tribunale del Riesame aveva bocciato l’ordinanza cautelare per i due romeni scagionati dal test sul Dna. E sempre oggi potrebbe svolgersi il sopralluogo degli inquirenti e dei fidanzatini nel parco della Caffarella dove era avvenuta l’aggressione.

Ieri l’avvocato Lorenzo La Marca ha presentato una nuova istanza al Riesame per chiedere l’annullamento dell’arresto di Karol Racz, il "pugile", accusato di aver violentato, il 21 gennaio, una quarantenne a Primavalle. Anche in questo caso non sarebbe stato trovato il Dna dell’indagato.

Lettere: il carcere a Ravenna, 12 in cella tra malati di scabbia

 

www.radiocarcere.com, 13 marzo 2009

 

Cara Radiocarcere, noi detenuti del carcere di Ravenna ti volevamo dire come siamo costretti a vivere qui. Siamo infatti chiusi in celle, dette cameroni. E dentro queste celle siamo costretti a viverci in 12 detenuti. Ammassati uno su l’altro. Una realtà che anche difficile da immaginare. Pensa che il carcere potrebbe contenere circa 70 detenuti ed invece siamo più di 150.

Oltre al sovraffollamento abbiamo il problema dell’igiene. Molti di noi hanno la scabbia e abbiamo il problema delle lenzuola. Infatti nel carcere di Ravenna le lenzuola ci vengono cambiate solo una volta al mese, il che è davvero poco! Inoltre ti facciamo presente che molti di noi sono condannati in via definitiva, così come molti di noi hanno la possibilità di avere un lavoro all’esterno per ottenere una misura alternativa al carcere.

Purtroppo, ciononostante, la magistratura di sorveglianza di Ravenna ci nega quasi tutte le nostre richieste per una misura alternativa perché manca la relazione dell’educatore. Educatore che non riusciamo quasi mai ad incontrare. La domanda è: potremo mai uscire in misura alternativa come prevede la legge?Il nostro stato d’animo è davvero affranto e spesso ci chiediamo quale futuro potremo mai avere dopo aver scontato la nostra pena in questo modo. Ti facciamo presente che la direzione ci vieta di inviarti le lettere ma noi lo abbiamo fatto lo stesso. Con stima e affetto.

 

150 persone detenute nel carcere di Ravenna

Campania: sanità penitenziaria; emergenza non più tollerabile

 

Asca, 13 marzo 2009

 

"È un fenomeno spesso invisibile perché si consuma al chiuso delle mura carcerarie ma l’emergenza sanitaria che grava sulla popolazione detenuta continua a mantenere in Campania livelli di assoluta insostenibilità che richiedono intereventi urgenti e immediati".

Così il presidente della Commissione Trasparenza del Consiglio Regionale della Campania, Giuseppe Sagliocco, a margine della seduta di audizione volta alla verifica dei livelli di assistenza sanitaria erogata in Campania alla popolazione penitenziaria.

Una seduta che ha visto la presenza del Direttore Sanitario dell’Asl Napoli 1 Nicola Silvestri (per le problematiche delle strutture carcerarie di Poggioreale e Secondigliano), del Direttore Sanitario dell’Asl Ce 2 e del Direttore Amministrativo, rispettivamente Antonietta Costantini e Francesco Concilio (per quelle della struttura penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere) e, in rappresentanza della Cisl Caserta e Cisl Campania, rispettivamente Vincenzo Margarita e Nino Di Maio nonché il dirigente della Medicina Penitenziaria dell’Asl Napoli 1 Lorenzo Acampora.

"La situazione emersa in audizione - ha spiegato Sagliocco - è a dir poco allarmante e vede protagoniste strutture e strumenti assolutamente inadeguate a dare risposte minime e dunque a garantire il diritto alla salute dei detenuti. Una situazione dalla quale emerge anche con forza una condizione di grave difficoltà relativa al personale impiegato, spesso precario e senza prospettive, come pure denunciato dalla Cisl Campania. A monte, inoltre, forti criticità relative ai Bilanci delle Asl, documenti contabili che spesso e volentieri non prevedono neppure voci previsionali ad hoc o dedicate".

"Un quadro dunque delicato e complesso - ha concluso Sagliocco - che a monte trova una significativa responsabilità politica del governo regionale che, malgrado le rassicurazioni fornite da tempo, oltre a non aver ancora oggi convocato il Tavolo tecnico relativo alle questioni in parola, si è distinta esclusivamente e negativamente per la mancata programmazione. Uno scenario che ci ha spinto pertanto ad accogliere la proposta lanciata dai sindacati di convocare un Tavolo di Verifica dell’insieme delle criticità, allargato a tutti i soggetti a diverso titolo chiamati al governo della materia e che coinvolgerà dunque, già a partire dalla prossima settimana, gli assessorati competenti, L’Authority per i diritti dei detenuti, il responsabile del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, le Asl campane, i responsabili delle strutture carcerarie, i sindacati e i giudici di sorveglianza".

Toscana: Opg; subito interventi per garantire diritto alla salute

 

Regione Toscana, 13 marzo 2009

 

Sostegno all’Ordinanza emessa dal Comune di Montelupo dopo il sopralluogo della Asl 11. Il diritto alla salute e all’assistenza va garantito anche nelle carceri.

"Quello di Montelupo è un ospedale a tutti gli effetti e noi intendiamo garantire ai suoi ospiti livelli adeguati di accoglienza e di assistenza, secondo gli standard del servizio sanitario regionale. Mi sembra che l’ordinanza del Comune di Montelupo vada concretamente in questa direzione".

Così l’assessore regionale per il diritto alla salute Enrico Rossi valuta l’ordinanza con cui l’amministrazione comunale di Montelupo ha accolto le segnalazioni e le indicazioni della Asl 11 di Empoli, contenute in una nota redatta dal direttore dell’unità operativa di igiene e sanità pubblica dopo il sopralluogo effettuato il 5 marzo scorso nella struttura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario.

Il sopralluogo del 5 marzo è l’ultima di una serie di azioni ed interventi compiuti dalla Asl 11, di concerto con il comune, non appena le funzioni sanitarie all’interno dei luoghi di detenzione sono passate in carico al Servizio sanitario regionale. Immediatamente erano emerse le gravi carenze della struttura, lo stato di degrado e di fatiscenza di molti locali e servizi, aggravati dal cronico sovraffollamento.

Tutto ciò non solo ha creato e mantenuto nel tempo pesanti disagi agli ospiti e al personale che lavora all’Opg ma continua ad ostacolare seriamente i progetti di cura, recupero e reinserimento. Una recente richiesta rivolta dall’Azienda sanitaria al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di bloccare l’invio di altri detenuti è caduta nel vuoto.

"Il passaggio di competenze delle funzioni sanitarie nei luoghi di detenzione al Servizio sanitario regionale - prosegue l’assessore Rossi - deve cominciare a dare i suoi frutti. La Toscana si è battuta a livello nazionale perché sia garantito a tutti, anche alle persone in stato di detenzione, il diritto alla salute e all’assistenza e perché in ogni struttura vengano superate le situazioni di disagio e di incuria. La sanità toscana da tempo investe nel settore carcerario risorse umane ed economiche, finanzia progetti speciali, assicura l’assistenza farmaceutica gratuita. La situazione in cui versa da tempo l’Opg richiede interventi all’altezza dei gravi problemi messi in evidenza dalla Asl. L’ordinanza può aiutarci in questo senso. Auspico che si faccia presto, che il dialogo con il ministero produca i risultati attesi. Sono certo che in Toscana possiamo far molto per migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Opg".

Sardegna: Cappellacci; l’Asinara non può ritornare un carcere

 

Asca, 13 marzo 2009

 

"Non si può tornare al passato - ha spiegato il neogovernatore - l’Asinara è oggi una delle perle del patrimonio ambientale e naturalistico sardo e tale deve restare".

Il presidente della Regione sarda, Ugo Cappellacci, che ha preso parte questa mattina a Roma alla riunione del Consiglio dei Ministri, ha ribadito l’assoluta contrarietà di ripristinare all’Asinara un sistema carcerario. "Non si può tornare al passato - ha spiegato il neogovernatore - l’Asinara è oggi una delle perle del patrimonio ambientale e naturalistico sardo e tale deve restare". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha risposto a Cappellacci confermando quello che aveva già annunciato in una recente visita a Sassari: non vi è alcun progetto del Ministero di ripristinare strutture carcerarie all’Asinara.

Toscana: su riapertura carcere a Pianosa lo scontro si fa duro

 

Il Tirreno, 13 marzo 2009

 

Un incontro e un confronto. Su posizioni leggermente diverse come sempre accade in democrazia. Ma con in mente un’unica idea: salvare l’isola di Pianosa dal cemento e dalla minaccia del ritorno del carcere per mafiosi. È stato questo lo spirito dell’incontro tenutosi martedì pomeriggio nella sede del Parco tra rappresentanti di Legambiente e il comitato No carcere a Pianosa (e naturalmente molti cittadini che hanno preso parte all’iniziativa). La prima cosa da evitare per entrambe le associazioni è evitare il carcere speciale.

"È un’idea pericolosa - afferma il portavoce di Legambiente Umberto Mazzantini - considerare le isole minori un luogo dove scaricare i problemi del continente. quello del 41bis è un sistema che le Commissioni parlamentari avevano già riconosciuto come antieconomico". Mazzantini ricorda anche che la Prestigiacomo in campagna elettorale ha escluso l’Asinara dai possibili siti su isole.

"Resta Pianosa - aggiunge Mazzantini - e il fatto inquietante che siano esponenti del Pd come Lumia a volere questo tipo di progetti. Sorprendente è anche il silenzio del comune di Campo". Mazzantini ricorda che il carcere ha provocato gravi danni ambientali all’isola come la creazione di discariche e l’inquinamento delle acque. Mazzantini accusa lo stato del degrado in cui versa l’isola.

"Ricordo - afferma - che il Parco ha un solo edificio ed è stato sistemato. Anche se la soprintendenza non dà il permesso per lo scarico fognario. Lo Stato da anni ha abbandonato tutto il resto. non vorrei che il rumore su carceri e centrali nucleari servisse alla fine a giustificare speculazioni".

Mazzantini si dice invece favorevole all’uso dell’isola - come previsto nei protocolli siglati nel 2001 - per il turismo contingentato, per la ricerca scientifica e per il lavoro dei detenuti in regime di 21-bis. Legambiente è favorevole anche al progetto di reintegro familiare dei detenuti sull’isola. Più dure le posizioni dell’associazione No-Pianosa che è contraria a qualunque utilizzo carcerario dell’isola piatta.

Bologna: il 20 marzo secondo convegno di Garanti dei detenuti

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti di Bologna)

 

Comunicato stampa, 13 marzo 2009

 

Bologna. Venerdì 20 marzo 2009, presso la sala polivalente Assemblea Legislativa Regione Emilia Romagna, in via Aldo Moro 50, dalle ore 8.30 alle ore 17.30 si terrà il 2° Convegno nazionale del Coordinamento dei Garanti di diritti delle persone private della libertà personale territoriali.

L’istituzione della figura dei Garanti dei diritti dei detenuti, allo stato a livello comunale, provinciale e regionale, rappresenta la novità degli ultimi anni in materia penitenziaria ( la prima esperienza in tal senso è del Comune di Roma nel 2003 ), la cui positività dell’esperienza ha ottenuto, da qualche settimana, un’importante riconoscimento, essendo intervenuta la modifica dell’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario che contempla il Garante fra quei soggetti che possono visitare gli istituti penitenziari senza necessità di preventiva autorizzazione.

È da considerarsi come l’inizio di un percorso, che si auspica virtuoso, visto che, sebbene l’Italia sia attesa a dar esecuzione alla risoluzione Onu 48/13 del 1993, per l’istituzione di una figura nazionale di garanzia e controllo sui luoghi di privazione della libertà personale, non si è ancora giunti alla predisposizione di un organismo su scala nazionale (anche se diversi sono i progetti di legge depositati, anche dalla scorsa legislatura ).

Il momento storico attuale è di particolare complessità per la realtà carceraria, caratterizzata, da un lato, da un inarrestabile e non gestibile aumento della popolazione detenuta che rende sempre più di difficile attuazione i principi costituzionali della pena rieducativa e della detenzione dignitosa e non contraria al senso di umanità, e, dall’altro, da una drastica e progressiva riduzione dei finanziamenti.

Il convegno si preannuncia come importante occasione di riflessione su tutti quegli argomenti che sono all’ordine del giorno dell’agenda di chi si occupa di carcere: dalle misure emergenziali in tema di edilizia carceraria al passaggio al Servizio Sanitario Nazionale della Medicina Penitenziaria, dal diritto all’inclusione sociale ai diritti di cittadinanza della popolazione detenuta, sino ad arrivare alle figure di garanzia nelle esperienze europee, ai disegni di legge sul Garante nazionale e sul reato di tortura.

Roma: assemblea nazionale di lotta per abolizione di ergastolo

 

Comunicato stampa, 13 marzo 2009

 

Oltre ottocento ergastolani hanno partecipato allo sciopero della fame a staffetta che dal 1° dicembre ha interessato decine di carceri italiane. In solidarietà con la loro lotta per l’abolizione dell’ergastolo, regione dopo regione, hanno scioperato altre centinaia di detenuti non ergastolani; all’esterno delle carceri, associazioni, gruppi, collettivi, partiti e singoli individui hanno organizzato dibattiti pubblici, presidi e momenti informativi in varie città.

Con il 16 marzo si conclude la prima fase della mobilitazione. Come il 1° dicembre, sarà di nuovo giornata di sciopero della fame in tutte le carceri italiane. Ma la mobilitazione degli ergastolani e le espressioni di solidarietà esterna proseguiranno anche oltre quella data. Perché l’ergastolo deve ancora essere abolito, insieme al suo carico di disumanità. Perché finora il mondo politico si è interessato più ad approvare nuovi pacchetti sicurezza che a porre fine alla tortura dell’ergastolo.

Perché i media nazionali finora hanno deciso di oscurare in modo pressoché totale la lotta degli ergastolani. Come è andato lo sciopero della fame? Come proseguire la mobilitazione? Per rispondere a queste domande domenica 15 marzo dalle ore 11 alle ore 17 si terrà un’assemblea nazionale a Roma presso il Forte Prenestino (Via Federico Delpino, quartiere Centocelle).

Tutti e tutte sono invitati/e e non mancheranno neppure gli ergastolani, che attraverso la corrispondenza faranno conoscere la propria opinione in merito. L’associazione Liberarsi invita tutti/e a partecipare all’assemblea nazionale di domenica e a organizzare forme di solidarietà attiva allo sciopero della fame di lunedì. Inoltre, per i fiorentini, ricordiamo che lunedì 16 marzo alle ore 21.00 si terrà una riunione dell’Associazione Liberarsi presso la propria sede in via Tavanti, 20 a Firenze. Per informazioni: 055.47.30.70; 339.1300058.

 

Associazione Liberarsi

Immigrazione: Maroni; 3 mila espulsioni e più fondi per polizia

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 13 marzo 2009

 

Il ministro: il 10 % in più nel 2009 per le spese correnti. Clandestini, stop di Fini: "No ai medici che denunciano".

Il discorso è semplice, tanto che il ministro Maroni in termini molto elementari lo ha esposto nel corso della trasmissione "Radio anch’io". Dunque, ha detto il ministro a proposito degli immigrati, "chi viene in Italia a lavorare ha tutti i diritti dei cittadini italiani tranne il voto, ma chi non viene a lavorare deve essere espulso, e per questo abbiamo rafforzato i rapporti con i Paesi del Maghreb per rimpatriare tutti i clandestini".

Le espulsioni. L’attività del Governo lungo questa linea è meritoria, secondo Maroni, giacché, come ha affermato, nei primi due mesi del 2009 sono stati espulsi dall’Italia oltre tremila clandestini, mentre nell’intero 2008 le espulsioni sono state 25.000. È una buona media ed è destinata ad aumentare "con la norma che accresce da due a sei mesi il periodo di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione", ha detto ancora Maroni.

La Libia. Lo scorso anno - sono sempre i numeri dati dal ministro - oltre 30 mila persone partite dalla Libia sono sbarcate sulle coste italiane. Ma è una bazzecola rispetto a ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi. Infatti "si stima che in Libia ci siano due milioni di clandestini pronti a partire", ha affermato il ministro. Tuttavia Maroni è ottimista: "Con la Libia - ha detto - abbiamo un accordo che faticosamente sta entrando in vigore. C’è una delegazione tecnica libica, che in questi giorni sta prendendo visione in Italia delle sei motovedette da consegnare per avviare i pattugliamenti congiunti". Non appena partiranno i pattugliamenti, ha vaticinato il ministro, "i flussi dalla Libia si fermeranno". Intanto è da registrare un primo, significativo, successo sulla strada della cooperazione anti-clandestini: la partenza di un volo charter per il rimpatrio di 51 nigeriani organizzato in collaborazione con Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne dei Paesi Ue.

Lampedusa. C’è un Europa a due velocità: una più "collaborativa" e una più diffidente. Ieri il commissario Ue alla Giustizia, Jacques Barrot, si è incontrato a Roma con Maroni e oggi sarà a Lampedusa per vigilare sulle condizioni di accoglienza degli immigrati. Amnesty International ha invitato l’Unione europea ad "esercitare una maggiore pressione sull’Italia per assicurare che i diritti umani non siano violati a Lampedusa".

I medici. Una querelle a distanza sui medici tenuti o meno a denunciare i clandestini si è prodotta tra il ministro Maroni e il presidente della Camera, Fini. In mattinata, il ministro aveva ribadito alla radio che la norma contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza non prevede l’obbligo per i medici di denunciare il clandestino, ma elimina il divieto di farlo.

Tanto è vero che, come ha sottolineato il ministro, "oggi l’Italia è l’unico Paese europeo che prevede il divieto per il medico di segnalare un clandestino che si cura; se lo denuncia, viene processato e condannato". Quindi, ha concluso, "chi parla di obbligo dice una cosa non vera e fa una polemica immotivata". Il presidente della Camera non deve aver ascoltato le parole di Maroni, perché più tardi, a "Porta a porta", ha affermato: "Non mi convince la norma, che forse non ho capito bene, che obbliga il medico a denunciare i clandestini. Il medico ha il dovere di curare le persone e non di guardare se sono clandestine o meno. Non si può dar vita a delle norme che ledano il diritto della persona, al di là del colore della pelle e della razza". Parole da leader di sinistra? "Non ci trovo nulla di male - risponde Fini all’obiezione mossa dallo studio tv - Il presidente della Camera esprime le proprie opinioni, non è un ornamento".

Più fondi per la Polizia. "È vero che nel 2006, nel 2007 e nel 2008 sono stati tagliati i fondi alle Forze di Polizia, ma nel 2009 invertiamo la tendenza, aumentando del 10 per cento i fondi per le spese correnti". Lo ha detto Maroni a "Radio anch’io".

Le ronde. Il ministro ha anche affermato che nelle ronde non saranno ammessi i "Rambo". "Ho pronto un regolamento - ha detto - che stabilisce norme severe per i cittadini che vogliono partecipare al controllo del territorio. L’esempio è quello dei "City Angels", presenti in dieci città italiane".

Immigrazione: Fini; immorale norma su medici-spia clandestini

di Liana Milella

 

La Repubblica, 13 marzo 2009

 

Immigrati che, senza il permesso di soggiorno, non possono registrare all’anagrafe un figlio appena nato? "Mi dicono che non è vero, ma se lo fosse sarebbe di una gravità inaudita. Non possiamo condannare un bimbo a diventare un fantasma".

Medici costretti, dal ddl sicurezza, a denunciare i pazienti extracomunitari che vanno al pronto soccorso? "Sarebbe una legge immorale perché lede il diritto delle persone". Il principio basilare è un altro: "Il rispetto della persona viene sempre prima, perché uno prima è un uomo e poi un clandestino". La stretta legislativa su immigrazione e sicurezza approda alla Camera, le magagne del ddl s’ingigantiscono, le associazioni di categoria (i medici) protestano e il leader di An Gianfranco Fini sfida chi, nella sua area politica, gli contesta di dire "cose di sinistra".

Lui archivia l’annotazione che non lo spaventa affatto ("Il presidente della Camera non è un ornamento, esprime opinioni su temi diversi, e se talvolta vengono etichettate come di sinistra non ci trovo nulla di male") e stoppa, in un colpo solo, una norma certa, quella sui medici, e una bilico, quella sui bambini, che hanno spinto opposizione e categorie a dure proteste. Ancora ieri, a Bologna, il servizio sanitario regionale annunciava un manifesto di prossima diffusione: "Nessuna denuncia all’autorità giudiziaria di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno".

Il presidente della Camera legge i giornali, vede il doppio allarme dei sindacati dei medici e dell’associazione dei giuristi per l’immigrazione, cerca (ma non trova) il ministro dell’Interno Roberto Maroni, parla col sottosegretario Alfredo Mantovano. Sulle cure ai clandestini la posizione del ministro è nota ("Non c’è alcun obbligo di denuncia").

Sui bambini Mantovano parla di "un equivoco". "Senza permesso di soggiorno lo straniero irregolare non potrà ottenere licenze, autorizzazioni, iscrizioni, ma non gli si inibisce di dichiarare la nascita di un figlio, perché si tratta di un atto nell’interesse del bambino e rende nota una situazione di fatto". Mantovano è aperturista su un miglioramento del testo alla Camera.

Ma il chiarimento non trattiene Fini. Che va a Porta a porta e sui bambini dice: "Non possiamo condannarli a essere apolidi". E sui medici: "Quella norma non mi convince. Nei reparti di pronto soccorso ci sono poliziotti e carabinieri. Denunceranno al limite loro, non il medico. Lui, che ha fatto il giuramento di Ippocrate, deve solo curare".

Fini, che è stato coautore con Bossi della legge attualmente in vigore sull’immigrazione, insiste su altro: "In Italia ci deve stare chi ha il permesso di soggiorno, ma il clandestino è una persona, con una dignità in quanto uomo che non può essere lesa".

Messaggio chiaro per la Lega che, al Senato, ha inasprito al massimo il testo sulla sicurezza con norme di dubbia costituzionalità sugli immigrati. Nell’opposizione si preannuncia battaglia e la democratica Sandra Zampa replica a Mantovano: "Se è in buona fede allora il governo cambi la norma sui bambini o voti un nostro emendamento. E comunque è veramente singolare che i presunti "errori" del governo capitino sempre su questioni che riguardano gli stranieri".

Immigrazione: teme denuncia e non si fa curare, muore di Tbc

di Mara Chiarelli

 

La Repubblica, 13 marzo 2009

 

Per i sanitari la donna era malata da mesi: una semplice visita poteva salvarla. Il primario: la tubercolosi va curata subito, basta un colpo di tosse per contrarla.

Era clandestina da alcuni mesi, per vivere faceva la prostituta e per paura non è andata in ospedale: è morta per tubercolosi polmonare avanzata, e dunque altamente contagiosa. E ora scatta l’allarme sanitario: Joy Johnson, la giovane nigeriana di 24 anni, trovata agonizzante da un cliente venerdì sera nelle campagne alle porte di Bari, potrebbe aver contagiato decine di persone che avevano avuto rapporti con lei, gli stessi soccorritori e i connazionali del centro d’accoglienza dove per un mese aveva vissuto. Per precauzione ieri è stato chiuso l’istituto di medicina legale del Policlinico. E medici e poliziotti invitano chi avesse avuto rapporti con la nigeriana a contattare il più vicino ospedale.

Quella di Joy era una tragedia annunciata. All’arrivo dei sanitari del 118, Joy Johnson, da novembre in città, perdeva sangue dalla bocca. La ragazza era malata da diversi mesi, ma se si fosse sottoposta a un esame del sangue o a una radiografia, oggi sarebbe ancora viva. L’allarme, ora, e l’invito a farsi controllare è rivolto ai clienti e a tutti coloro che dal 14 novembre (data di arrivo al Cara di Bari) hanno avuto contatti ravvicinati con lei. Tra questi, quell’uomo che, usando il telefono cellulare di Joy Johnson, ha chiesto aiuto alla polizia.

"La tubercolosi va curata subito - dichiara il primario di Pneumologia del Policlinico di Bari, Anna Maria Moretti - perché anche le forme inizialmente non contagiose, senza terapia adeguata, lo possono diventare". Basta un colpo di tosse per contrarla, visto che si diffonde per via aerea. "È consigliabile sottoporsi a un test, l’intradermo reazione alla turbercolina, da fare in ospedale - spiega la specialista - Si tratta dell’inoculazione sotto cute di una sostanza che produce una reazione, da monitorare a casa per tre giorni. Se fosse positiva, va fatta la radiografia al torace, ma questo lo deve decidere il medico".

Si associa all’invito, ridimensionando l’allarme, il questore di Bari, Giorgio Manari: "È idoneo e opportuno - dichiara - rispettare ciò che un medico e le autorità sanitarie dicono in questo senso". Subito dopo aver ricevuto il referto dell’autopsia, effettuata dal medico legale Francesco Introna, il pm incaricato delle indagini, Francesco Bretone ne ha dato comunicazione alle Asl, come prevede la legge. Immediati è scattata la profilassi nel Cara e nei confronti di chiunque abbia avuto contatti con la giovane donna, anche dopo il decesso. In caso di contagio accertato, la terapia, di tipo farmacologico, è lunga (dai sei ai nove mesi) ma dà il controllo totale della malattia.

Bisogna però, sostengono i medici, tenere più alta l’attenzione su una patologia che, considerata scomparsa, si sta nuovamente manifestando in Italia a causa di due fattori: scarsa prevenzione e l’arrivo di extracomunitari che si portano dietro malattie endemiche nei loro Paesi, come la tubercolosi e l’Aids.

Immigrazione: Msf esce dai tre "Centri di detenzione" di Malta

 

Comunicato stampa, 13 marzo 2009

 

Msf chiede standard minimi di accoglienza e denuncia la pratica della detenzione sistematica per i migranti, incluse donne e minori.

Medici Senza Frontiere (Msf) annuncia la sospensione dei progetti di emergenza nei tre centri di detenzione chiusi per migranti e richiedenti asilo di Malta per l’impossibilità di poter adempiere al proprio mandato, e di poter così svolgere la propria azione medico umanitaria indipendente in maniera efficace.

Msf non rinuncia altresì al suo ruolo umanitario e quindi chiede alle autorità maltesi di continuare le sue attività mediche a favore dei migranti presenti nei centri aperti e di proseguire le attività di assistenza medica agli sbarchi.

Msf ha inoltrato numerose richieste alle autorità maltesi affinché apportassero miglioramenti in termini di accoglienza nei centri di detenzione che presentano condizioni inaccettabili: ambienti malsani e promiscui, spazi sovraffollati, vetri rotti, scarsità di letti e di beni di prima necessità, servizi igienico-sanitari inadeguati, sono le condizioni che fin da subito gli operatori di Msf hanno trovato nei centri di detenzione maltesi. Condizioni che peraltro favoriscono la diffusione di patologie legate alle proibitive condizioni di vita, altrimenti evitabili. Da quasi 3.200 consultazioni mediche effettuate dai team dallo scorso agosto, è emerso che le patologie riscontrate sono strettamente legate alle condizioni di vita nei centri: infezioni alle vie respiratorie e alla pelle, patologie legate all’apparato gastrointestinale e osteomuscolare sono le più diffuse.

"Malgrado le reiterate richieste da parte di Msf alle autorità maltesi di migliorare gli standard di accoglienza, anche alla luce dei massicci arrivi tra la seconda metà del 2008 e l’inizio del 2009, nulla è cambiato in otto mesi e i problemi strutturali legati alla detenzione dei migranti sono rimasti gli stessi", dichiara Loris De Filippi, responsabile delle operazioni di Msf. Per questo Msf ha deciso di sospendere le proprie attività nei centri chiusi, continuando tuttavia a lavorare nei centri aperti.

Msf denuncia inoltre con forza la pratica diffusa della detenzione sistematica per i migranti, incluse categorie vulnerabili come donne in gravidanza e minori che per settimane vengono trattenuti in attesa dell’espletamento delle pratiche di riconoscimento. La situazione risulta ancor più intollerabile se si considera che oltre la metà dei migranti che arriva a Malta, fugge da guerre e da contesti di estrema violenza e povertà, e molti di loro sono potenziali richiedenti asilo (il 49% degli immigrati sbarcati proviene dalla Somalia).

"Una volta ammalati, i detenuti hanno scarso accesso alle cure infatti il sistema previsto dalle autorità maltesi non è sufficiente a garantire un’adeguata assistenza medica e un’adeguata fornitura di farmaci e un adeguato follow up delle patologie più severe come quelle infettive (morbillo, tbc, varicella)", aggiunge Loris De Filippi.

Msf chiede pertanto alle autorità maltesi ed europee di prendere misure urgenti e decisive al fine di garantire standard minimi di accoglienza a partire dall’allestimento di un sistema di assenza medico adeguato, di una farmacia all’interno dei centri ed evitando la detenzione specie per le categorie vulnerabili.

Dall’agosto 2008 Msf opera a Malta fornendo assistenza sanitaria alle popolazioni sbarcate sull’isola e garantendo altresì consultazioni mediche gratuite e supporto psicologico nei tre centri principali dell’isola. Msf svolge da anni la sua attività medico umanitaria, inclusa l’assistenza alle popolazioni migranti in diverse parti dell’Europa e del mondo.

Msf lavora per abbattere le barriere verso l’accesso alla salute, esortando in tutti i contesti le autorità nazionali ad adottare standard minimi di accoglienza per gli immigrati al fine di salvaguardare la dignità umana e di garantire il diritto alla salute

Droghe: la legge Fini-Giovanardi criminalizza, più che prevenire

 

Redattore Sociale - Dire, 13 marzo 2009

 

Forum Droghe, Antigone e La società della ragione presentano un "Libro bianco" sugli effetti della legge a tre anni dalla sua entrata in vigore. Salgono le segnalazioni ma diminuiscono i sequestri.

Più arresti, meno misure alternative, sanzioni amministrative in aumento: sono questi gli aspetti "negativi" dell’inasprimento penale introdotto dalla legge Fini-Giovanardi secondo Forum Droghe, Antigone e La società della ragione. Le tre organizzazioni denunciano "i processi di criminalizzazione" introdotti dalla legge raccogliendo dati e considerazioni in un "Libro bianco" presentato questa mattina nella Sala Sauro dell’Hotel Jolly, in Corso Cavour 7 a Trieste, dalle 11 alle 13.

Il volume viene dato alle stampe per approfondire una questione che, a detta dei promotori, doveva trovare necessariamente un proprio spazio durante i lavori della quinta Conferenza nazionale sulle droghe: "È incredibile che proprio una modifica così profonda e che suscitò dure proteste di associazioni e di operatori, di giuristi e di consumatori non sia al centro della discussione" scrivono le organizzazioni in un documento congiunto.

I dati contenuti nella pubblicazione evidenziano un decremento dei sequestri di sostanze a fronte di un aumento delle persone segnalate all’autorità giudiziaria soprattutto per quanto riguarda gli stranieri. Ed evidenziano anche un incremento della presenza di tossicodipendenti nelle carceri e uno scarso ricorso alle misure alternative. "Infine aumenta enormemente il numero delle pendenze giudiziarie, diminuiscono gli interventi socio-sanitari e aumentano quelli farmacologici, con decremento del numero di soggetti in comunità".

L’accusa al legislatore, in sostanza, è quella di aver criminalizzato più che prevenuto, dal momento che il numero dei sequestri di sostanze stupefacenti scende (dai 21.532 chilogrammi del 2004 ai 23.255 del 2006 per poi riscendere ai 21.050 del 2007) mentre quello delle persone segnalate all’autorità giudiziaria sale da 30.578 a 34.025 nel triennio.

Le organizzazioni danno tre diverse interpretazioni di questi dati: "La prima e la più preoccupante è che la criminalizzazione cresca nonostante un calo dell’attività illecita - scrivono -. Un’altra è che le politiche penali e le prassi di polizia si siano recentemente concentrate sulla criminalizzazione dei soggetti più che sull’intercettazione e il sequestro delle sostanze. Infine si può ipotizzare che ci si sia orientati verso soggetti dal profilo più basso, come sempre accade quando si adottano politiche connesse alle retoriche della tolleranza zero".

A favore di queste considerazioni le tre organizzazioni riportano un ulteriore dato sulle condanne: +6,5% di persone detenute sottoposte a una condanna definitiva inferiore ai 3 anni. Un capitolo a parte è quello delle sanzioni amministrative (come sospensione del passaporto o della patente di guida o la sospensione del porto d’armi; devono avere una durata compresa tra un minimo di un mese e un massimo di un anno, ndr). Secondo i dati del Libro bianco si tratterebbe di un +62,6% dal 2004 al 2007 "mentre diminuiscono le archiviazioni e gli inviti formali a seguire un programma di recupero".

Droghe: in servizi "riduzione del danno" 4 mila utenti in 6 mesi

 

Redattore Sociale - Dire, 13 marzo 2009

 

È la media di lavoro che caratterizza 39 dei 157 servizi indagati dal Cnca nell’ambito di una ricerca in corso di svolgimento. La maggior parte sono maschi (76,2%), under 40.

Quattromila utenti in sei mesi: è questa la media di lavoro che caratterizza 39 dei 157 servizi di Riduzione del danno indagati dal Cnca nell’ambito di una ricerca in corso di svolgimento sullo stato dei lavori nella Penisola. In base a questi dati parziali, infatti, emerge il numero complessivo di 144.278 contatti avuti nelle strutture interpellate, considerando in questo dato gli utenti che vi si sono rivolti anche ripetutamente.

Le singole persone che invece hanno avuto accesso all’attività di Riduzione del danno sono state, in 29 strutture, 13.990 nel periodo gennaio-giugno 2008, mediamente 482.413. Tra queste, 600 hanno avuto accesso per la prima volta all’attività di riduzione del danno, in media cento nuove persone al mese.

Si tratta per lo più di maschi (76,2%), in larga parte under40: "Come è noto la maggior parte di coloro che utilizzano i servizi a bassa soglia si collocano tra i 30 e i 40 anni - si spiega dal Cnca -, tuttavia non è certo trascurabile la porzione di persone con meno di 30 anni". Una voce significativa è quella che riguarda gli stranieri: la presenza di immigrati utenti dei servizi tocca infatti quota 18% per un totale di 2.402 persone.

In particolare il disagio degli stranieri si concentra al Sud Italia, dove la porzione di questi utenti nei servizi a bassa soglia arriva a toccare il 27% del totale. "Possiamo interpretare questo dato con il fatto che al Sud manchino servizi socio-assistenziali dedicati agli stranieri - è il commento degli estensori della ricerca - e che questi pertanto frequentino gli unici servizi disponibili ad accoglierli". Sul fronte del consumo, l’eroina resta la prima scelta con il 54,2% del totale, seguita dalla combinazione eroina+cocaina nel 42% dei casi e dalla sola cocaina nel 34,26%. Un ruolo non marginale è rivestito dagli psicofarmaci, che raggiungono quota 27,6% e il policonsumo (18%).

Iraq: Amnesty; centinaia condanne a morte e decine esecuzioni

 

Apcom, 13 marzo 2009

 

Amnesty International ha sollecitato l’immediato intervento del ministro della Giustizia iracheno per fermare l’esecuzione di 128 condanne a morte che, secondo informazioni ricevute dall’organizzazione per i diritti umani, potrebbero aver luogo al ritmo di 20 a settimana, a partire dalla prossima.

Nel 2004 il governo iracheno dichiarò che la reintroduzione della pena di morte avrebbe stroncato la violenza in tutto il paese. In realtà, questa è continuata e la pena capitale ha dimostrato ancora una volta di non costituire alcun deterrente" - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "Tra l’altro, molti attacchi vengono compiuti da attentatori suicidi nei confronti dei quali, evidentemente, il rischio dell’esecuzione non ha alcun potere dissuasivo".

Il 9 marzo il Consiglio supremo giudiziario ha informato Amnesty International che il Consiglio di presidenza (composto dal presidente e dai due vicepresidenti) ha ratificato le condanne a morte di 128 prigionieri, le cui sentenze erano state già confermate dalla Corte di cassazione. Le autorità hanno annunciato l’intenzione di eseguire le condanne a morte al ritmo di 20 a settimana.

Le stesse autorità non hanno rivelato l’identità delle 128 persone, alimentando il timore che molte di esse possano essere state condannate a morte al termine di processi non in linea con le norme internazionali.

Nella maggior parte dei casi, con ogni probabilità, le condanne sono state inflitte dalla Corte penale centrale irachena, per reati quali omicidio e rapimento di persona, sulla base di confessioni estorte con la tortura durante il periodo di detenzione preventiva. Le forze di sicurezza irachene ricorrono sovente alla tortura ma la Corte non indaga adeguatamente, o non indaga affatto, sulle denunce dei detenuti, Le procedure seguite dalla Corte risultano ampiamente al di sotto degli standard internazionali sui processi equi.

Il traballante sistema giudiziario iracheno non è semplicemente in grado di garantire l’equità nei processi per crimini ordinari, tanto meno in quelli per reati punibili con la pena di morte. Temiamo che in questi anni molte persone siano state messe a morte al termine di processi iniqui" - ha commentato Smart. "L’Iraq continua a essere colpito da alti livelli di violenza politica ma la pena di morte non è affatto una risposta a questa situazione e anzi, a causa del suo effetto brutalizzante, può renderla ancora peggiore. Il governo iracheno deve sospendere immediatamente le 128 esecuzioni e istituire una moratoria sulla pena capitale".

Amnesty International chiede alle autorità irachene di rendere pubbliche tutte le informazioni sui 128 prigionieri a rischio di esecuzione, tra cui il nome completo, i dettagli sulle accuse, la data dell’arresto, del processo e dell’appello e l’attuale luogo di detenzione.

Da quando, nell’agosto 2004, è stata reintrodotta, la pena di morte in Iraq viene usata a ritmi sempre più crescenti, con centinaia di condanne inflitte e decine di esecuzioni.

Amnesty International ha registrato 285 condanne e 34 esecuzioni nel 2008, 199 condanne e 33 esecuzioni nel 2007 e 65 esecuzioni nel 2006. Queste cifre, tuttavia, potrebbero essere assai più elevate poiché non esistono statistiche ufficiali e le informazioni pubblicate dalla stampa locale sono discontinue e contraddittorie.

Iraq: 3 anni di carcere per giornalista che tirò le scarpe a Bush

di Barbara Schiavulli

 

L’Espresso, 13 marzo 2009

 

Muntazer Zaidi, un giornalista iracheno sconterà tre anni per aver lanciato un paio di scarpe contro il presidente americano Bush. Ha detto che gli è salito il sangue al cervello e non ci ha visto più, in testa gli rimbombava il ricordo delle centinaia di migliaia di iracheni uccisi in nome di una guerra scatenata proprio da Bush con una bugia a cui hanno abboccato tutti. Le armi di distruzione di massa, ha poi ammesso il presidente, così come l’errore della guerra, non c’erano. Muntazer è stato fortunato perché rischiava 15 anni di carcere.

Pervez Kambaksh, invece, è un ragazzino afghano di 23 anni. È stato accusato di blasfemia per aver scaricato un testo da internet sui diritti delle donne. Anche lui è stato fortunato, rischiava una condanna a morte, invece gli hanno dato solo 20 anni. Se sopravviverà alla durezza delle carceri locali, uscirà a 43 in un Afghanistan che potrà essere solo migliore di questo.

D’altra parte questi sono solo due esempi eclatanti di quello che accade in questi paesi, senza contare le donne messe in carcere a scontare pene per i mariti. Bambini cresciuti dietro alla sbarre senza aver fatto nulla, ragazzi sospettati di militare in qualsiasi cosa e invece accusati dai vicini che avevano qualche screzio con i genitori.

Iraq e Afghanistan, due paesi con democrazie geneticamente modificate, imposte dall’Occidente che tanto poco ha da insegnare. Penso ai torturatori di Abu Ghraib, i soldati americani che seviziarono, torturarono e umiliarono iracheni, quasi sempre innocenti. I più feroci hanno dieci anni, gli altri meno fino a qualche multa. Nessuno ha detto niente. Mi chiedo quale sia il criterio per scegliere da che parte stare. Interessi economici? Politici? Strategici? Quasi mai la gente.

Penso anche ai grandi processi iracheni, quello di Tarek Aziz, ex vice premier condannato a 15 anni di carcere per aver favorito l’esecuzione di 42 commercianti nel 1992. O Saddam stesso condannato a morte per l’uccisione di 148 sciiti giustiziati nel 1982 dopo che avevano organizzato un attentato contro di lui. Saddam meritava di essere condannato per molto più di questo, gli iracheni anche qui meritavano un po’ più di rispetto se non giustizia.

Stati Uniti: Madoff si dichiara colpevole e va subito in carcere

di Mario Calabresi

 

La Repubblica, 13 marzo 2009

 

Per novanta giorni la rabbia, la disperazione e la curiosità di milioni di americani avevano dovuto accontentarsi di poche immagini di un uomo impassibile. Mai una parola o un cedimento. Finché ieri mattina, alle 10 e 15, nell’aula al 24esimo piano del Tribunale di New York si è sentita la voce del grande truffatore: "Sono profondamente dispiaciuto e mi vergogno per i crimini che ho commesso". Nessuna delle vittime, sedute alle sue spalle, ha dato però segni di soddisfazione.

"Sono dolorosamente cosciente - ha aggiunto a voce bassa Bernard Madoff - di aver profondamente ferito molte persone, tra cui i membri della mia famiglia, i miei più cari amici, i miei soci in affari e migliaia di persone che mi avevano dato i loro soldi". La folla è rimasta ancora immobile e non appagata dal rimorso. "Sono qui oggi - ha scandito l’uomo per cui è stato coniato il termine di "terrorista economico" - per riconoscere le responsabilità dei miei crimini e dichiararmi colpevole".

Nemmeno l’ammissione della più grande frode della storia americana, 65 miliardi di dollari portati via a 4.800 clienti, e la consapevolezza che questi reati potranno costare al settantenne Madoff fino a 150 anni di carcere, sono serviti a lenire le sofferenze delle decine di vittime che si erano messe in coda all’alba per guardarlo in faccia.

Ma quando alle 11 e 15 parla il giudice Denny Chin ("La sua età e la pena che lo aspetta sono un incentivo per scappare, ha i mezzi per farlo e c’è il rischio che si dia alla fuga, per questo gli arresti domiciliari sono revocati"), nell’aula si sente un sospiro collettivo. Ma è necessario ancora un minuto per poter vedere, sui volti di quegli uomini e quelle donne segnati dall’insonnia e dall’angoscia per aver perso i risparmi di una vita, qualcosa che somigli davvero alla soddisfazione. Succede nell’istante in cui due agenti, dopo aver chiesto a Bernie Madoff di alzarsi e di mettere le mani dietro alla schiena, lo ammanettano.

"E’ stata una liberazione" commenta Burt Ross, che ha perso 5 milioni di dollari ed esce dall’aula appoggiandosi a due bastoni. Bernie, come lo chiamavano gli amici, non torna nel suo super attico nell’Upper East Side, probabilmente non ci tornerà mai più, lo attende una condanna che promette di fargli passare ogni giorno che gli resta da vivere in carcere.

Lo trascinano fuori dall’aula verso il carcere, il Metropolitan Correctional Center, che si trova quasi di fronte al Ponte di Brooklyn, dove lo aspetta una minuscola cella di cinque metri quadrati, capace di contenere soltanto un letto a castello, un lavandino e un water. "Spero che sia la sua tomba e che una folla di persone gentili si occupi di lui, anche perché non penso che fosse veramente dispiaciuto" commenta DeWitt Baker, 84 anni, occhialini tondi, una coppola azzurra in testa e un linguaggio diretto ed esplicito che lo trasforma subito nel beniamino delle televisioni.

Centinaia di giornalisti, fotografi e telecamere, quindici camion con le antenne satellitari e la parabolica montata sul tetto, gli elicotteri dei grandi network che volteggiano per ore sopra al Tribunale, lo aspettavano. Madoff esce per l’ultima volta da casa sua poco prima delle sette del mattino, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima notte con sua moglie. Arriva davanti alla corte poco prima delle 7 e 30, abito grigio, camicia bianca e cravatta grigia, con un sottile giubbotto antiproiettile sotto la giacca

Dopo di lui c’è la sfilata delle vittime di fronte ai fotografi e alle telecamere. Quelli che si sono presentati rappresentano un mondo intero: finanzieri, fondi pensione, università, organizzazioni di beneficenza, ma anche gente normale che aveva consegnato i guadagni di una vita. "Siamo devastati - racconta Irene Kent a nome di un gruppo di 250 truffati - ha distrutto le nostre vite e la nostra fede nel sistema finanziario e nei controlli, e noi non siamo grandi investitori ma americani normali della classe media: insegnanti, pensionati, impiegati che hanno perso tutti i risparmi e ora non sono nemmeno in grado di pagarsi un avvocato o il biglietto dell’aereo per venire in tribunale".

Madoff si siede in aula dieci minuti prima del giudice, resta tutto il tempo immobile, non muove mai la testa, tanto che una delle sue vittime chiede di prendere la parola e gli grida: "Guardami in faccia mentre ti parlo". Muove solo le dita e gli balla l’occhio destro, come se avesse un tic, l’unica spia che l’uomo esiste ed è nervoso. Prende la parola, all’inizio non si capisce nulla, qualcuno ha messo dei fogli sul microfono, il giudice si spazientisce: "Cerchi di alzare la sua voce in modo che io possa sentirla".

Bernie spiega il suo schema: "La mia frode comincia all’inizio degli Anni Novanta quando il Paese era in recessione e io volevo dimostrare di essere capace di garantire forti guadagni a chi mi affidava i suoi soldi. Avevo convinto tutti di aver messo a punto una strategia d’investimento che diversificava e riduceva i rischi delle perdite, invece la verità è che non c’era nessun investimento, depositavo semplicemente i soldi su un conto alla Chase Manhattan Bank".

Pagava gli interessi dei vecchi clienti con i soldi dei nuovi investitori, una catena che grazie al boom di Wall Street è andata avanti per anni, anche per la miopia degli organismi di controllo. "Quando ho iniziato credevo che sarebbe finita in fretta, che sarei stato capace di tirare fuori me stesso e i miei clienti dallo schema, ma è diventato sempre più difficile e alla fine impossibile. Con il passare degli anni mi sono reso conto che il mio arresto e questo giorno sarebbero inevitabilmente arrivati".

Ma fino a quel giorno di dicembre in cui ha raccontato tutto ai figli che poco dopo lo hanno denunciato all’Fbi, non ha dato alcun segno di pentimento, incertezza o disagio, ha continuato la sua vita dorata ed esclusiva tra l’appartamento newyorkese, la villa agli Hamptons, lo yacht in Florida e la casa sulla Riviera francese. "Le sue parole non ci hanno risarcito niente, non si vergognava, l’unica consolazione è che l’abbiamo spedito in galera - commenta Helen Chaitman, la faccia distrutta dalla stanchezza - ho perso tutti i soldi che avevo e i risparmi per la pensione, adesso mi toccherà lavorare fino a novant’anni".

La decisione di Madoff di dichiararsi colpevole evita il dibattimento processuale, l’umiliazione dell’interrogatorio in aula e gli permette di coprire la moglie, i figli e il fratello. Infatti Madoff sostiene di aver agito da solo, si assume tutta la responsabilità e non dovrà spiegare nei dettagli cosa è successo, perché la sua è un’ammissione e non un accordo di collaborazione. Le vittime volevano una discussione pubblica, andare a fondo e raccontare le loro storie. La verità è che l’accusa aveva bisogno dell’ammissione di colpevolezza perché fatica ancora a ricostruire lo schema della truffa e finora è riuscita ad identificare soltanto un miliardo di dollari. Ma garantisce che l’inchiesta va avanti per trovare tutti i colpevoli e i complici.

Il giudice ha dato appuntamento a tutti al 16 giugno, quando ci sarà la sentenza. Madoff l’aspetterà in cella, senza più i suoi abiti di sartoria ma con una divisa marrone. Le previsioni parlano di una pena di vent’anni, bassa ma sufficiente a tenere Bernie in galera fino al compimento del novantesimo anno. La moglie Ruth invece resterà a casa. "Dovrebbe essere in galera anche lei - rincara DeWitt Baker - è impossibile che non sapesse, che non fosse complice".

Una domanda resta senza risposta: cosa c’era nella testa di Madoff? "Impossibile capire" ripetono le vittime. Solo Deborah e Gerald Strober, una coppia di scrittori che si è piazzata fuori dal tribunale per pubblicizzare "Catastrophe" il libro che ha appena pubblicato (in copertina c’è Madoff che sembra il diavolo tra le fiamme di dollari che bruciano), mostrano certezze: "E’ uno psicopatico, abbiamo intervistato decine di psichiatri e ci siamo convinti che non esiste una parte buona dentro di lui: è malvagità allo stato puro".

 

 

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