Rassegna stampa 4 maggio

 

Giustizia: come "superare" gli Ospedali psichiatrici giudiziari

di Vasco Errani (Presidente Regione Emilia Romagna)

 

La Repubblica, 4 maggio 2009

 

Diciamolo subito: noi pensiamo che, in futuro, si debbano superare gli ospedali psichiatrici giudiziari, strutture che lo Stato da circa un anno ha posto in capo al Servizio sanitario e non più all’amministrazione penitenziaria. Abbiamo salutato con favore questo passaggio, perché sancisce pari dignità e il diritto di cura delle persone affette da patologie mentali che hanno commesso reati, nella prospettiva aperta dalla legge 180.

Ma gli ospedali psichiatrici (Opg) non garantiscono il raggiungimento dell’obiettivo di far scontare la misura di sicurezza e, allo stesso tempo, di garantire un percorso di cura. E quello di Reggio Emilia - che è la più grande struttura di questo tipo in Italia - ne è un esempio, nonostante l’impegno costante profuso ogni giorno dal personale sanitario e di custodia impiegato.

L’Opg di Reggio Emilia ospita persone per la maggior parte autori di reato giudicati non imputabili per malattia mentale e persone in attesa di giudizio. I pazienti sono ricoverati in cinque reparti: in quattro di questi, sono chiusi nelle celle la maggior parte della giornata, mentre solo in uno possono muoversi liberamente di giorno, grazie ad un progetto di Regione, Usl e Comune. Credo che questa situazione si commenti da sé. Oggi uno dei problemi principali delle carceri italiane è il sovraffollamento.

All’Opg circa 300 persone sono ospitate in celle teoricamente singole, ma per la quasi totalità occupate da due pazienti, in alcuni casi anche tre, senza acqua calda. Questa è la situazione della struttura che abbiamo ereditato. Senza contare l’assenza di psicologi, il numero insufficiente di psichiatri, infermieri e terapisti.

Queste condizioni fanno sì che l’assistenza sanitaria sia molto lontana dagli standard di qualità che devono essere garantiti da una struttura psichiatrica. Come Regione abbiamo chiesto al Ministro Alfano di interrompere nuovi ingressi nella struttura, limitando poi gli accessi all’Emilia-Romagna e alle regioni limitrofe, per cercare di realizzare condizioni di vita dignitose e di attivare percorsi di cura e riabilitazione efficaci.

Sarà poi indispensabile rendere operativo un tavolo di confronto con le Regioni per concordare la loro presa in carico diretta dei pazienti di competenza territoriale ed i percorsi di dimissione protetta e di inserimento in strutture o in percorsi di cura nelle zone di residenza. Intanto la Regione ha autorizzato l’Azienda Usl di Reggio ad aumentare l’apporto di operatori sanitari, che passeranno da 47 a 73.

Ma deve essere chiaro che la garanzia del diritto alla cura e alla riabilitazione sociale, premessa per il superamento degli ospedali psichiatrici, potrà realizzarsi solo se si supererà il sovraffollamento, se ci sarà la regolazione dei flussi di ingresso, se verranno individuate strutture di accoglienza alternative all’Opg, come è già successo a Forlì. Solo così avremo dato un contributo concreto al rispetto della dignità delle persone oggi ospitate - in modo assolutamente precario - in questo tipo di struttura.

Giustizia: Alfano; 60 i bambini in cella, creare comunità fuori

 

Ansa, 4 maggio 2009

 

Sono una sessantina i bambini che vivono in carcere con le loro mamme detenute. Lo ha ricordato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che ribadito il proprio impegno per porre fine a questa situazione. "Nelle nostre carceri, abitano una sessantina di bambini, da 0 a 3 anni, insieme alle loro mamme", ha detto il ministro parlando a Rimini, alla presentazione dell’Agenzia nazionale per il reinserimento dei detenuti. "Sto facendo di tutto - ha assicurato - per creare delle comunità, fuori dalle carceri, dove questi bambini possano stare con le loro mamme detenute, ricordando sempre che non importa di chi siano figli, ma che sono bambini".

Giustizia: Maroni; Ddl-sicurezza, pronto a chiedere la fiducia

di Guido Ruotolo

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

"Sono determinato. Andrò fino in fondo. Anche a costo di chiedere la fiducia. La norma che responsabilizza le imprese e moralizza il settore, va reintrodotta così come era stata concordata con le associazioni antiracket, con quella parte dell’imprenditoria più esposta contro la mafia, la Confindustria siciliana, e con la Procura nazionale antimafia".

Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si dice convinto che la norma che impedisce agli imprenditori che non denunciano il pizzo di partecipare per tre anni agli appalti pubblici, sarà ripristinata dal governo e dalla maggioranza. Maroni parla della "criticità" del fenomeno dell’immigrazione clandestina, delle ronde, dell’emergenza nomadi: "Dopo Roma, Napoli e Milano, affronteremo il problema anche a Torino".

 

Ministro Maroni, martedì il vertice della maggioranza su ronde e clandestini. Si parlerà anche della norma antimafia stravolta dalla maggioranza in commissione?

"Quella norma, inopinatamente modificata in commissione, stabiliva che a un imprenditore che non denuncia i tentativi di estorsione, viene negata per tre anni la possibilità di partecipare agli appalti pubblici, una volta che l’estorsore è stato rinviato a giudizio. Nella sua definizione è una norma equilibrata, che non espone le imprese al ricatto del pentito di turno, che interviene solo dopo che un giudice terzo, un gip, ha deciso di rinviare a giudizio l’estorsore".

 

Intanto, la sua maggioranza ha stravolto la norma.

"Evidentemente c’è qualcuno a cui sta bene questo sistema che, invece, noi vogliamo moralizzare. Dietro ci sono grandi interessi e non mi scandalizzo che si siano mosse le lobby. Governo e maggioranza devono mostrare un atto di coraggio e di lungimiranza".

 

Il vertice di martedì. Rassicuranti i messaggi di Ignazio La Russa che, ieri, ha addirittura proposto che i clandestini rimangano dieci mesi nei Cie, i Centri di identificazione...

"Ignazio mi fa sorridere. I nostri rapporti sono buoni anche se all’inizio del mandato ci sono stati degli screzi perché voleva occuparsi di problemi di mia competenza. Dieci mesi? Nel maggio scorso io proposi 18 mesi, anticipando di un mese la direttiva Ue, mentre per lui erano troppi. Preferiva quattro mesi, anzi sei. Poi, come si sa, il voto segreto al Senato e alla Camera ha bocciato le nostre proposte".

 

Ma adesso la maggioranza è compatta.

"Non sono per nulla fiducioso. Martedì capirò se la maggioranza c’è. La Russa dice che l’ultima bocciatura è stato solo un incidente. Se il capogruppo del Pdl mi darà la garanzia che tutta la maggioranza voterà a favore, va bene".

 

Altrimenti?

"Chiederò al governo di porre la fiducia".

 

Al vertice si discuterà anche di ronde. Ha vinto il braccio di ferro con gli agnostici?

"Quello delle ronde non è uno sghiribizzo della Lega. È il completamento del modello di sicurezza urbana che il governo ha definito. È una tessera di un mosaico composto dal sistema di sicurezza ordinario, dal nuovo ruolo dei sindaci che, con i poteri di ordinanza, possono intervenire sul sistema di sicurezza del territorio. Ronde, norme antimafia, clandestini. Martedì sarà il giorno della verità".

 

Ministro, lo stato dell’arte della sicurezza nazionale. C’è un punto di criticità? Terrorismo, violenza politica, criminalità organizzata....

"La cosa che più mi preoccupa è la gestione del fenomeno dell’immigrazione. Perché i governi nazionali, quello italiano è il più esposto, non hanno tutti gli strumenti per intervenire. Anzi, ci troviamo dei vincoli imposti dalla Ue che noi vogliamo rimuovere. Penso al capitolo dei richiedenti asilo. Una volta che accedono al sistema della protezione internazionale, siamo costretti a tenerceli. A livello di ministeri degli Esteri della Ue si sta discutendo il principio della solidarietà. Che tutti i paesi membri della Unione Europea si facciano carico dell’ospitalità dei rifugiati".

 

La Ue. Non da oggi volta le spalle ai paesi di confine, come l’Italia, che vivono l’emergenza clandestini.

"È indispensabile un ruolo più attivo della Ue. Il 15 maggio partiranno i pattugliamenti congiunti con la Libia. Alla Ue ho fatto presente che se l’operazione avrà successo, come mi auguro e mi aspetto, i flussi migratori troveranno altri sbocchi e, dunque, altri paesi Ue si troveranno a dover fronteggiare l’emergenza".

 

Ministro, la sua politica nei confronti dell’immigrazione ha suscitato diverse critiche anche in Europa...

"Voglio solo riaffermare il principio di legalità nei confronti di tutti. L’Italia non calpesta i diritti umani. Ho spiegato la nostra politica e anche i critici hanno avuto modo di ricredersi. Sui nomadi, per esempio, noi abbiamo acceso i riflettori su una realtà di degrado da quinto mondo, altro che terzo, anche in città come Roma".

 

Smantellamento dei campi nomadi, censimento anche dei minori. A che punto è l’emergenza nomadi?

"I prefetti di Roma, Napoli e Milano hanno ultimato i progetti per la sistemazione dei campi nomadi. Nelle prossime settimane renderemo pubblici questi progetti. Sono soddisfatto, nonostante le critiche e i pregiudizi diffusi, del lavoro svolto. Che estenderemo anche in altre regioni. A partire dal Piemonte, da Torino".

Giustizia: La Russa; accordo politico, il Ddl-sicurezza passerà

 

Avvenire, 4 maggio 2009

 

Il contestato ddl sulla sicurezza andrà ai voto nell’aula della Camera da martedì. "Fosse necessario, anche tre fiducie. Siccome non c’è contrasto e basta essere tutti presenti, non ci sarà bisogno di fiducia". Con queste parole Ignazio La Russa esclude la possibilità della "tagliola" minacciata dal Viminale. "Guai se il ddl sicurezza non passasse. Io e Maroni siamo d’accordissimo", aggiunge il ministro della Difesa. Ma da Gela parte un

messaggio di preoccupazione per la mancata approvazione dell’emendamento che prevedeva l’obbligo di denuncia per gli imprenditori che ricevono richieste di pizzo. A lanciare l’appello Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, il sindaco antimafia Rosario Crocetta e l’imprenditore palermitano antiracket Vincenzo Conticello.

"In questo modo non si incoraggia l’azione di denuncia contro il racket delle estorsioni, anzi tutt’altro. Chi paga il pizzo favorisce il rafforzamento delle cosche mafiose e danneggia fortemente lo sviluppo sociale, civile e culturale della Sicilia", dicono. E si augurano che "quest’articolo possa essere ripreso per favorire un’affermazione concreta di legalità e sviluppo, dimostrando che la politica sa scegliere con chiarezza e

determinazione da che parte stare". Tuttavia sul ddl sicurezza "c’è un accordo politico", assicura Roberto Cota, capogruppo leghista alla Camera. "Il Pdl, dopo le norme contro scarcerazioni facili e violenze sessuali, è pronto al varo di una legge più severa contro i clandestini.

Approveremo rapidamente la nuova legge per affermare i principi di legge e ordine", sottolinea Maurizio Gasparri. Ma per Antonio Di Pietro si tratta di "decreti d’immagine" con "sostanza nulla, come tutto il modo di governare in questo governo". Il leader di Idv insiste: "Si parla molto e si fa poco".

Giustizia: ecco perché non possiamo fare a meno dei "pentiti"

di Bruno Tinti (Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torino)

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

Stefano Bommarito è stato affidato in prova ai servizi sociali; lo ha deciso il Tribunale di sorveglianza di Palermo. Era il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un mafioso, Mario, che aveva deciso di collaborare con la giustizia nelle indagini sulla strage di Capaci. Per intimidirlo il boss Giuseppe Brusca gli fece rapire il figlio e poi dette ordine che venisse ucciso e che il corpo fosse sciolto nell’acido. Così avvenne. Oggi Bommarito, condannato a 22 anni di prigione per la partecipazione a questi delitti, è - di fatto - libero. Naturalmente c’è un motivo per cui gode di un simile trattamento: è un collaboratore di giustizia, si è "pentito" e ha fornito informazioni sufficienti a far catturare e condannare i suoi complici.

Sono pochi i cittadini che condividono queste scelte di politica criminale; certamente nessuno dei famigliari delle vittime. Tutti pensano che è assurdo credere al "pentimento", che questi feroci assassini sono spinti semplicemente dalla convenienza o dalla paura: vendono i propri ex compagni e complici per ottenere importanti sconti di pena; oppure si rifugiano nei programmi di protezione previsti per chi collabora solo perché coinvolti in qualche faida criminale. E venire a patti con gente come questa, addirittura assicurargli sopravvivenza e benessere, è una sconfitta per lo Stato e un’offesa per le vittime. Per la verità, è difficile non sentirsi in sintonia con queste posizioni. Eppure c’è un altro lato della medaglia.

Possiamo cominciare dal nostro codice penale: gli articoli 56 e 62 numero 6. Se una banda di malviventi irrompe in una villa per sequestrare il figlio di un ricco imprenditore ma, prima che lo portino via, uno di loro mette in salvo il bambino, facendo così fallire il rapimento, la pena che gli verrà inflitta sarà la metà di quella dei suoi complici. Se invece il rapimento si conclude con successo ma poi uno dei banditi va dai carabinieri e li conduce dove il bambino è tenuto prigioniero, la pena per lui sarà considerevolmente minore.

Su queste norme nessuno ha mai trovato niente da ridire: il bambino è stato salvato, è questo l’importante. Detta in termini più generici, si è impedito che il reato si realizzasse; oppure si è riparato al mal fatto. E a chi ha reso possibile tutto questo è giusto che sia riconosciuto uno sconto di pena.

Ecco, dovremmo riuscire a capire che i collaboratori di giustizia permettono di impedire che siano commessi altri reati. Certo, i delitti cui hanno partecipato ormai sono stati commessi, non si può fare più niente; ma si può evitare che se ne commettano ancora. Certo, il piccolo Giuseppe è stato ucciso, e in modo orribile; ma quante altre persone Brusca avrebbe fatto uccidere? Certo, l’associazione mafiosa di cui il collaboratore faceva parte ha terrorizzato e sfruttato migliaia di persone; ma, se viene finalmente smantellata, quanti potranno vivere in modo prospero e sereno?

Mi rendo conto che, soprattutto per le parti offese degli orribili reati abitualmente commessi da mafiosi e terroristi, questa prospettiva non è così facilmente percepibile. E poi le motivazioni che spingono i cosiddetti "pentiti" sono in realtà quasi sempre ignobili; e dunque "concludere affari" con loro è abbastanza ripugnante. Però… Gli americani usano spesso una frase molto istruttiva: "non esistono pasti gratis". Dobbiamo renderci conto che l’alternativa è tra una feroce delinquenza destinata a restare sostanzialmente impunita e un patto scellerato con gente a cui ci ripugnerebbe stringere la mano. Sarebbe bello poterne fare a meno; ma non è possibile.

Però, naturalmente, bisogna vigilare: i "pentiti" sono spesso merce taroccata e il loro contributo si deve valutare con molta cautela. L’ultima legge in materia (45 del 2001) ha in effetti previsto accorgimenti importanti: l’obbligo del sequestro dei beni del collaboratore, che non deve, oltre allo sconto di pena e al programma di protezione, essere anche autorizzato a godersi il suo bottino di delinquente; e l’impossibilità per gli avvocati di difendere più di un collaboratore nello stesso procedimento, il che dovrebbe impedire che più "pentiti" si accordino per sostenersi a vicenda, magari inventando false accuse avvalorate da reciproche conferme.

Un’eco della riluttanza a servirsi di questo strumento è però rimasta: la legge limita la collaborazione "premiata" ai delitti di mafia e terrorismo. Ma, una volta deciso che, turandoci il naso, possiamo adottare queste tecniche, perché rinunciare a servircene per altri gravi reati: il sequestro di persona, il traffico di droga, l’omicidio, l’associazione a delinquere, magari finalizzata a reati di corruzione o di frode fiscale? Sarà, come al solito, che poi la giustizia si scoprirebbe troppo efficiente?

Giustizia: quel pericoloso 73° posto in libertà di informazione

di Vincenzo Vita (Senatore Pd, Commissione Vigilanza Rai)

 

Aprile on-line, 4 maggio 2009

 

Lo studio di Freedom House sia un campanello d’allarme. In Italia la strutturazione di un regime autoritario passa attraverso un certo uso della televisione generalista analogica. Lo stesso passaggio alla diffusione digitale rischia di confermare l’abnorme situazione di oggi

Perché la ricerca di Freedom House sulla libertà di informazione è passata quasi inosservata? Eppure contiene il dato davvero clamoroso dello scivolamento dell’Italia nella zona dei paesi solo parzialmente liberi. Al 73° posto. Alla faccia del paese di Dante, Petrarca.... E dei numerosi giornalisti vittime delle mafie e delle camorre, celebrati domenica scorsa a Napoli dall’Unione cronisti italiani.

Insomma, il sistema delle comunicazioni è in piena emergenza. La dimostrazione ennesima è il clima di omologazione alla camomilla di gran parte delle news televisive, attente a non disturbare "l’imperatore", padrone di una concentrazione mediatica senza pari al mondo. E trattato ad esempio, dalla rete due del servizio pubblico (vedi la trasmissione Quelli del calcio con tanto di serenata a Veronica Lario) come un amico di famiglia.

È il caso allora di riaprire anche in Parlamento la questione della Rai, della normativa antitrust e del conflitto di interessi, per riprendere un filo a suo tempo malamente interrotto.

Attenzione a non sottovalutare quanto sta accadendo. In Italia la strutturazione di un regime autoritario passa attraverso un certo uso della televisione generalista analogica. Lo stesso passaggio alla diffusione digitale rischia di confermare l’abnorme situazione di oggi. Quella dell’autoritarismo elettronico.

Lo studio di Freedom House sia un campanello d’allarme. Porremo con molta decisione il tema all’attenzione delle istituzioni competenti, perché si apra un’adeguata istruttoria sullo stato dei media italiani.

Livorno: un detenuto romeno di 21 anni si è impiccato in cella

 

Ansa, 4 maggio 2009

 

Si è ucciso nella notte di ieri Ion Vassiliu, romeno di 21 anni, dopo che era stato arrestato il pomeriggio di giovedì per una presunta violenza sessuale ai danni della sua ragazza.

L’ordinanza di custodia cautelare all’interno del carcere delle Sughere di Livorno è stata firmata dal giudice Rinaldo Merani dopo le denunce della fidanzata. Stamani gli agenti della polizia penitenziaria hanno trovato il cadavere del ventunenne appeso al soffitto della cella dove dormiva da solo. Il giovane si è impiccato con il lenzuolo dopo una sola notte trascorsa in prigione. La Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo di inchiesta con "atti relativi a" per far luce sull’accaduto. Il pm di turno, Antonella Tenerani, ha inoltre disposto l’autopsia della salma incaricando il dottor Bassi Luciani. Il ragazzo aveva un precedente per un piccolo furto per il quale aveva scontato 2 mesi e 20 giorni di arresti domiciliari.

 

S’impicca in carcere a 21 anni (Il Tirreno)

 

Era in cella da appena 24 ore, quando la sera del Primo Maggio, un detenuto rumeno di 21 anni si è tolto la vita impiccandosi nel carcere delle Sughere. Su di lui pendeva un’accusa pesantissima: era appena stato arrestato dalla squadra mobile livornese con l’accusa di stupro. Dopo alcune settimane di indagini, gli agenti lo avevano arrestato nei giorni scorsi in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta dalla procura di Livorno e accolta dal Gip.

Il giovane, Ion, ha lasciato alcuni biglietti, scritti in rumeno, che sono stati sequestrati: aiuteranno a capire i motivi del suo gesto, e cioè se alla base ci sia il senso di colpa per essersi macchiato di un reato tanto odioso o se invece Ion, innocente, non potesse accettare l’idea di doversi difendere da una simile accusa. Il giovane era rinchiuso in una cella singola e si è ucciso nel bagno con un cappio al collo fatto con le lenzuola.

A fare la macabra scoperta è stato un agente della polizia penitenziaria durante un normale giro di controllo nella sezione penale dove era rinchiuso. Non vedendo l’uomo all’interno della cella, ha aperto ed è entrato trovandolo in bagno. Le operazioni di soccorso sono partite subito, ma Ion era già morto. Il giovane era stato denunciato dalla fidanzata, che aveva raccontato di essere stata oggetto di violenza sessuale. Nei giorni scorsi, il gip del tribunale di Livorno Rinaldo Merani aveva firmato l’ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere. L’autopsia sarà effettuata domani dal medico legale Alessandro Bassi Luciani, aprendo un fascicolo sull’accaduto.

Rovigo: piano per raddoppiare i posti al carcere in costruzione

di Federica Broglio

 

Il Gazzettino, 4 maggio 2009

 

Il ministro Alfano raddoppia il carcere di Rovigo. Il piano sugli istituti di pena che dovrebbe essere approvato nei prossimi giorni, punta ad ampliare la capienza di diversi di questi e il capoluogo polesano rientra nell’elenco.

Il nuovo carcere che si sta costruendo tra la tangenziale est e via Calatafimi è stato visitato giovedì da un ingegnere giunto da Roma, per verificare come è possibile intervenire su un progetto già in corso. La prima cosa che è stata costruita, infatti, è l’alto muro di cinta, dunque non è possibile espandersi a terra. L’unica possibilità è costruire dei piani ulteriori a quelli previsti.

Dagli attuali previsti 210 detenuti, tutti uomini, si punta ad arrivare a cinquecento posti, aprendo anche la sezione femminile. L’idea viene subito criticata dalla Cgil, che ritiene necessario non fare carceri più grandi, ma attuare forme punitive differenti.

Dovrebbe essere approvato in questi giorni il piano carceri del ministro Angelino Alfano che con la costruzione di nuovi istituti penitenziari, dovrà consentire un incremento di 4.907 posti nel biennio 2009-2010, di altri 1.935 nel 2011-2012 e ulteriori 10.400 sempre tra il 2009 e il 2011, derivanti dalla ristrutturazione di sezioni inutilizzate, dalla realizzazione di nuovi padiglioni all’interno di strutture esistenti e dalla nascita di nuove carceri.

In quest’ultima opzione rientra quindi la costruzione, già in fase di avanzamento e finanziata di quello di Rovigo, per il quale il piano ha previsto una modifica.

Se il progetto approvato prevedeva 200 posti per detenuti, solo uomini, il ministro Alfano chiede ora, per il capoluogo rodigino, un ampliamento. Se dovesse passare, sotto forma di emendamento al Decreto Milleproroghe, il programma di massima del ministro, affidato al commissario straordinario Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, a Rovigo saranno destinati la bellezza di 515 posti, con una sezione anche femminile. Il carcere, quindi, raddoppierebbe la sua capienza.

Il problema è che il muro di cinta è già stato costruito e il Magistrato alle Acque, ente cui è stato affidato il progetto per conto del ministero per le Infrastrutture, non può oltrepassare i confini.

È ipotizzabile, dunque, un ampliamento in altezza, con uno e due eventuali piani in più del previsto. Proprio giovedì scorso un ingegnere inviato da Roma, è giunto in città per effettuare un sopralluogo e osservare la fattibilità della consistente modifica del progetto.

"Non capisco questa scelta - afferma Giampietro Pegoraro, della Fp Cgil - è vero che il carcere di Rovigo è sovraffollato, ma è il frutto di una politica impostata sulla tolleranza zero. Servirebbe una riforma del codice penale, misure alternative alla detenzione. È dimostrato che la recidiva per gli affidati tocca il 18 per cento, mentre per chi resta in carcere il 70 per cento di chi esce torna a delinquere. Il risultato è che le celle non riescono più a contenere i detenuti, gli agenti sono sotto organico con turni disumani e la tensione all’interno degli istituti è altissima".

Attualmente si sta lavorando per Rovigo al primo stralcio, ma il costo complessivo dell’opera è di 38 milioni di euro. Il carcere, collocato tra la tangenziale est e via Calatafimi, sorge su un’area di 9,5 ettari, con una superficie di 26 mila metri quadri per un volume di 88 mila metri cubi (almeno nel progetto esecutivo attuale, che potrebbe ora essere modificato).

La parte detentiva è chiusa da un muro in calcestruzzo alto sette metri e mezzo, e sempre sulla base del piano originario, doveva ospitare 210 detenuti, prevedendo anche all’esterno 150 alloggi per la polizia penitenziaria, l’impiego dei quali, grazie alla dotazione di sistemi altamente tecnologici e sofisticati, potrebbe essere ridotto del 10-15 per cento.

Molto spazio è stato destinato alla riabilitazione, con palestre, laboratori, strutture all’aperto, aree per le coltivazioni e luoghi di colloquio con i familiari all’aperto.

Il tutto nel pieno rispetto della filosofia del ministro Alfano che ha sempre dichiarato che i detenuti devono restare in carcere senza perdere la propria dignità.

"In passato - ha detto Alfano - per risolvere il problema del sovraffollamento delle prigioni si è sempre seguita la strada delle amnistie. Dal 1944 al 2006 ci sono stati oltre quaranta provvedimenti di questo tipo. Ora daremo una svolta con nuove carceri".

 

La comandante: avremo più spazi, speriamo aumenti l’organico

 

"Sono pronta, dal punto di vista professionale è una bella sfida". Rosanna Marino, comandante della polizia penitenziaria della casa circondariale, affronta con entusiasmo la possibilità di un nuovo carcere. "Inizialmente doveva essere solo maschile, ma sembra che vogliano prevedere una sezione femminile. È un obiettivo importante per la mia carriera". Attualmente le difficoltà sono molte in via Verdi. Mediamente sono 30 le detenute, per lo più straniere in carcere per reati legati alla droga, allo sfruttamento della prostituzione e a furti e rapine. "Assegnate a Rovigo in realtà sono 17, ma per la vigilanza sono 11, togliendo me che sono vicecommissario con funzioni di comandante, due ispettori e tre assistenti agenti distaccate in altre sedi - spiega la Marino - siamo sotto organico, con problemi di organizzazione e gestione del lavoro".

La casa circondariale è destinata a ospitare circa 80 detenuti, ma spesso tocca punte di 120 unità. "Spesso ci siamo trovati a dover gestire anche cinque detenuti in una cella che ne dovrebbe contenere due, improvvisando letti a castello. Per di più ogni giorno dobbiamo fare i conti con problemi di incompatibilità tra detenuti e doverli spostare in altre celle, in condizioni di sovraffollamento, diventa alquanto complesso".

La Marino ha intrapreso la carriera di comandante di polizia penitenziaria per caso, partecipando a un concorso nel 2005. Prima era avvocato penalista e in carcere si recava solo per incontrare i "clienti". "Sono felice della scelta che ho fatto, anche se in queste condizioni non è facile lavorare. Per questo spero che ci sia una sezione femminile, perché in un carcere nuovo, con una logistica diversa, spazi per la riabilitazione e tecnologie avanzate diventerà tutto più facile e sicuro. L’unico problema resta quello del personale, mi auguro che bandiscano nuovi concorsi".

Rieti: il Garante dei detenuti; urgente aprire il nuovo carcere

 

Il Tempo, 4 maggio 2009

 

A lanciare l’allarme è ancora una volta il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. A Santa Scolastica sono reclusi cinquantasei detenuti, dieci in più rispetto al mese precedente, mentre la struttura può ospitarne trentasette.

La situazione non migliora nel resto della Regione, dove i detenuti attualmente reclusi sono 5.570 (5.146 uomini e 424 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 4.765 posti. Intanto, aumenta la polemica intorno al nuovo carcere di Rieti, dove da circa un anno sono terminati i lavori ma per mancanza di personale ancora non è stato aperto.

"Non sono contrario - afferma Angiolo Marroni - all’idea del governo di costruire nuove carceri, se queste andassero a sostituire quelle davvero fatiscenti. Il fatto è che per problemi diversi, il primo dei quali è la carenza di personale, ci sono strutture moderne sotto utilizzate e carceri nuove di zecca chiuse, come l’istituto di Rieti, che con una capienza di trecento posti, potrebbe essere una valvola di sfogo per il sistema penitenziario del Lazio".

Torino: due agenti in ospedale dopo aggressione da detenuto

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

Due agenti penitenziari sono stati aggrediti a calci e pugni all’interno del carcere delle Vallette di Torino da un detenuto extracomunitario e sono stati trasportati all’ospedale Maria Vittoria: un agente, colpito al petto da un calcio, guarirà in 13 giorni, l’altro, ancora sotto osservazione, ha riportato lesioni alla mano e al polso.

Un episodio che riporta alla luce i problemi annosi di sovraffollamento, di tensione e di carenze di personale nel carcere torinese che ospita 1.625 detenuti contro 923 previsti. L’aggressione è avvenuta nel Padiglione B dove sono ammassati 520 detenuti. I due stavano perlustrando le celle alla ricerca di spazi per nuovi detenuti quando l’aggressore, per futili motivi, forse perché non voleva lasciare spazio ai nuovi venuti, si è scagliato, a sorpresa contro i due poliziotti.

"La polizia penitenziaria di Torino lavora ormai in condizioni disperate - denuncia la direzione regionale dell’Osapp - con turni massacranti, spesso lunghi 18 ore consecutive. La carenza di personale è ormai insopportabile, soprattutto la notte e gli agenti e gli stessi detenuti vivono continuamente in situazioni a rischio. Invitiamo i politici a venire a vedere di persona di cosa parliamo e ci auguriamo che il Piano Carceri, che a giorni verrà presentato a Roma dal capo del Dap (Dipartimento amministrativo penitenziario) contenga soluzioni concrete. E ci auguriamo anche - conclude il sindacato - che non sia rischio il nostro piano ferie".

Torino: gli agenti; condizioni disperate, per noi e per i detenuti

di Massimo Numa

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

"Cari politici, invece di far passerella alle Vallette per le continue visita ai detenuti "illustri", giusto per avere in cambio le interviste e le proprie foto sui media, passate una giornata assieme a noi, all’Hotel Vallette, sempre esaurito, dove le condizioni di vita, per agenti e detenuti, sono impossibili". È Gerardo Romano, segretario regionale Osapp, a interpretare la rabbia e l’esasperazione dei colleghi che operano all’interno del grande carcere di Torino, dopo l’ennesimo episodio di violenza.

Ieri mattina due agenti penitenziari sono stati aggrediti a calci e pugni in un corridoio del padiglione B, rotonda del terzo piano, da un detenuto extracomunitario, il ghanese Gueye Mor (ora denunciato per lesioni), e sono stati trasferiti in ambulanza all’ospedale Maria Vittoria: un agente, colpito al petto da un calcio, guarirà in 7 giorni; l’altro, ha riportato contusioni a mano e polso destro (5 giorni di prognosi); il detenuto guarirà in 3 giorni.

Negli ultimi mesi, gli arresti compiuti dalle forze dell’ordine nel Torinese e in Piemonte sono in netto aumento (da gennaio, più 20 per cento) e questo fattore ha provocato pesanti e gravi conseguenze nell’organizzazione dell’istituto di pena. Sono così riemersi gli annosi problemi di sovraffollamento, cause di tensioni, aggravate dalla carenze di personale.

Ci sono 1.625 detenuti contro i 923 previsti. L’aggressione di ieri è avvenuta nel Padiglione B dove sono ammassati 520 detenuti. Celle, in teoria, singole, di tre metri per 1,90 ma tutte, ora, ospitano due detenuti costretti a dormire nei letti a castello, con pochissimo spazio a disposizione per muoversi. I due agenti stavano perlustrando il settore, alla ricerca di spazi per i nuovi detenuti, quando l’aggressore, che avrebbe dovuto essere trasferito in un’altra stanza, si è scagliato, a sorpresa, contro i due poliziotti che erano già nel corridoio.

"La polizia penitenziaria di Torino lavora ormai in condizioni disperate - denuncia l’Osapp, senza mezzi termini - con turni massacranti, spesso lunghi diciotto ore consecutive. Un quadro desolante, perché riguarda anche la drammatica carenza di mezzi. I furgoni per il trasferimento dei detenuti sono senza condizionatori o sono guasti: si trasformano in una specie di forno crematorio, mancano auto blindate per le scorte, mancano le dotazioni più elementare e necessarie. È evidente che, in queste condizioni, le carceri sono una polveriera che rischia di scoppiare da un momento all’altro". Pesanti i vuoti nell’organico.

E la situazione è ormai diventata "insostenibile", soprattutto la notte. Gli agenti e anche gli stessi detenuti, vivono continuamente in situazioni a rischio. Romano: "Invitiamo i politici a venire a vedere di persona di cosa parliamo e ci auguriamo che il Piano Carceri, che a giorni verrà presentato a Roma dal capo del Dap (Dipartimento amministrativo penitenziario, ndr) preveda finalmente soluzioni concrete. E ci auguriamo anche che non sia a rischio il nostro piano ferie".

Torino: 40 detenuti dormono in palestra e 1 anno fa era peggio

di Claudio Laugeri

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

La situazione non è bella, ma un anno fa era peggio". Parla Angelo, agente di polizia penitenziaria da anni in servizio al "Lorusso-Cutugno". Chiede l’anonimato, anche se non c’è nulla da nascondere su come scorre la vita in carcere. Cambiata dal sovraffollamento. In situazione normale, i detenuti appena arrivati vengono scortati nella sezione "nuovi giunti", padiglione B, terzo piano. Celle con due letti, anche se dovrebbero ospitare un solo detenuto. "Non accade da tempo" racconta Angelo. Dalla settimana dopo Pasqua, la prima mèta in carcere è la palestra. "Ci sono 40 brande, non è il massimo, ma c’è spazio tra una e l’altra - aggiunge -. Credo che in una situazione di emergenza, quella palestra potrebbe ospitare fino a 80-90 detenuti".

Là dentro, i carcerati trovano il modo di sistemarsi per etnìa, cercano di avere vicino qualcuno che condivida lingua e cultura. Una divisione spontanea, controllata e incoraggiata dal personale. "Aiuta a evitare le situazioni di conflitto e fa star meglio i detenuti" spiega Angelo. E ancora: "E’ una sistemazione provvisoria, tutti lo sanno, per questo si spostano senza problemi quando qualche detenuto lo chiede. Di solito, rimangono là dentro 3 o 4 giorni". Poi, è previsto il trasferimento nella sezione "nuovi giunti". Dov’era Gueye Mor, il detenuto che ieri ha aggredito gli agenti. "L’ordine era di spostarlo soltanto da una cella all’altra nella stessa sezione. Forse, aveva fatto amicizia e non voleva andar via" dice l’agente.

Ma questo percorso, non è per tutti. Mafiosi, terroristi, o anche soltanto i "colletti bianchi" hanno una corsia preferenziale. "Sono considerati "a rischio" per vari motivi, finiscono in posti più isolati" spiega. Come Angelo Soria, sistemato poco lontano dalla palestra, padiglione E. Altri vanno nella sezione "alta sicurezza" oppure assieme ai collaboratori di Giustizia. Per la capienza, i conti sono presto fatti: "Le sezioni B e C hanno 520 posti ciascuna, la A ne ha 250, con le celle da due persone anziché da una come è previsto. Poi, ci sono i 100 posti nella F per le donne, la dozzina per i "collaboratori", la ventina per i reati sessuali e poco altro". Nello scontro tra carcere reale e carcere virtuale perdono detenuti e agenti. Ma lo Stato risparmia.

Parma: ispettore aggredito; polizia chiede dimissioni direttore

 

Ansa, 4 maggio 2009

 

I sindacati della Polizia Penitenziaria sul piede di guerra dopo l’aggressione di un Ispettore, sabato scorso, da parte di un detenuto. L’uomo ha riportato la lesione al timpano sinistro, ma questo è solo l’ultimo brutto episodio avvenuto nel carcere di via Burla: in due anni sono già stati tre i casi di aggressione.

Così i sindacati chiedono le dimissioni di Silvio Di Gregorio, direttore del carcere. Il Sinappe (Sindacato Nazionale Autonomo di Polizia Penitenziaria) ha diramato una nota nella quale annuncia manifestazioni di protesta: "È indubbio che causa dell’episodio sia stata la grave carenza di organico ed il sovraffollamento sempre crescente della popolazione detenuta: le due circostanze hanno, ovviamente, conseguenze sulle garanzie di sicurezza.

Si consideri che la situazione andrà peggiorando con l’apertura di altri padiglioni detentivi; arriveranno altri detenuti, mentre il numero dei poliziotti penitenziari è da tempo rimasto sempre lo stesso". Quindi l’annuncio di "manifestazioni volte a una corretta gestione del personale, per mettere fine a un invivibile contesto lavorativo".

Viterbo: situazione sanitaria preoccupante e sciopero detenuti

di Federica Lupino

 

Il Messaggero, 4 maggio 2009

 

A Mammagialla la situazione sanitaria desta preoccupazione. È la diagnosi che Giuseppe Parroncini, capogruppo del Partito Democratico in Regione, fa all’indomani della visita alla Casa Circondariale di Viterbo. Tutta colpa della carenza di personale, sanitario e non, che si riflette anche sui livelli di sicurezza. Di questo si discuterà in un apposito tavolo tecnico. Intanto, tra alcuni detenuti, è scoppiato lo sciopero bianco: niente più acquisti, per protestare contro i prezzi applicati, ritenuti troppo alti.

"Per Mammagialla - sostiene Parroncini, accompagnato da Angiolo Marroni, garante regionale del Lazio - occorrono provvedimenti seri ed urgenti". Perché, nonostante "la professionalità degli operatori sanitari", il loro numero sarebbe talmente insufficiente da non garantire un servizio all’altezza delle esigenze. Carenza d’organico anche per la polizia penitenziaria. "I sindacati - racconta - ci hanno esposto una grave situazione di sovraffollamento: 650 detenuti a fronte di una capienza massima di 433 e 200 agenti mancanti".

Ieri l’altro Parroncini ha anche incontrato il direttore generale della Asl, Giuseppe Aloisio, prendendo l’impegno di aprire un tavolo e di affrontare con il commissario straordinario per la sanità, Piero Marrazzo, "la rimodulazione dell’atto aziendale alla luce delle nuove competenze di sanità penitenziaria che il Governo ha trasferito alle Regioni".

Continua, nel frattempo, la protesta di una cinquantina di detenuti del reparto D2, lato C (non in attesa di giudizio) che hanno scritto alla Procura, al sindaco, al direttore del carcere, al dipartimento e al magistrato di sorveglianza, per lamentare "un incremento dei prezzi dei prodotti contenuti nell’elenco" da cui possono attingere per acquisti dall’esterno e che ritengono "immotivato e sproporzionato se paragonato al libero mercato". Per protesta da alcuni giorni hanno iniziato lo sciopero della spesa. L’associazione Gavac, per bocca del presidente Salvatore Zafarana, si dice comunque "disponibile a fare da tramite per controllare la correttezza dei prezzi applicati".

Lucca: a Casa San Francesco la scuola ha incontrato il carcere

di Massimiliano Andreoni (Gruppo Volontari Carcere di Lucca)

 

Ristretti Orizzonti, 4 maggio 2009

 

La casa di accoglienza per detenuti ed ex-detenuti, Casa San Francesco diventa improvvisamente rumorosa e affollata. Perché? Sono venuti a farci visita 62 studenti del liceo scientifico/linguistico F. Buonarroti di Pisa, delle classi quarte sezioni C, M ed E, accompagnati da quattro dei loro insegnanti. Com’è potuto accadere tutto ciò? Una delle insegnanti, Donatella Bouillon, ci ha contattati in associazione più di un mese fa, è venuta a trovarci ed abbiamo organizzato la mattinata.

I ragazzi avevano già iniziato un percorso di conoscenza sui temi del carcere e della pena, incontrando personale educativo del carcere di Pisa, affrontando questi temi in classe ed intendevano concludere questo piccolo percorso con la visita ad un luogo che accoglie chi si trova ad "incrociare" l’esperienza della detenzione.

La mattinata è corsa via veloce: gli studenti sono stati accolti dai giovani del progetto di servizio civile "Vale la pena", poi ci siamo trasferiti in una stanza, la più grande della casa, comunque piccola ad accogliere tutta questa folla. Per rompere il ghiaccio è stato proposto agli studenti un piccolo quiz inerente i tempi del carcere e, di seguito, c’è stata una sentita testimonianza di Walid, un giovane tunisino ospite attualmente della casa.

L’atmosfera è stata veramente colma dell’interesse e dell’attenzione degli studenti, che hanno anche fatto domande, a Walid e ai rappresentanti dell’associazione.

Quindi un frugale momento di condivisione di uno "spuntino" di metà mattina, una rapida visita al chiostro adiacente la casa, dove un operatore dell’associazione nostra dirimpettaia, il Ce.I..S. Di Lucca, ha potuto raccontarci che tipo di attività di accoglienza viene svolta nella struttura (dipendenza, Hiv e problemi legati alla tratta delle persone), e di nuovo ci siamo rituffati nel salone per aprire un racconto/discussione su cosa è il carcere, come se ne parla spesso e come realmente è, almeno sulla base della nostra esperienza ultra ventennale.

Alla fine il tempo non è bastato per dire tutto quello che avremmo voluto, per raccontare, per rispondere alle mille domande e ci siamo salutati con l’auspicio e la speranza che questo primo incontro possa continuare attraverso altre modalità, come il nostro sito www.espressioni.info e la mail gruppovolontaricarcere@gmail.com dove aspettiamo di ricevere e pubblicare i commenti e le impressioni degli studenti. Un grazie a tutte le persone che hanno reso possibile questa mattinata e questa esperienza sicuramente particolare per gli studenti.

Milano: dai detenuti di S. Vittore; 1.540 euro per i terremotati

 

Ansa, 4 maggio 2009

 

I detenuti del carcere milanese di San Vittore hanno raccolto e donato alla Caritas Ambrosiana 1.540 euro per i terremotati dell’Abruzzo. Il denaro è stato consegnato all’Arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, in occasione della sua visita oggi all’istituto di pena per impartire la cresima a dieci reclusi, due donne e otto uomini di varie nazionalità.

Il cardinale ha infatti celebrato messa nella rotonda di San Vittore, da dove si diramano i sei raggi della struttura, per poi visitare i circa cento ospiti della sezione femminile e i malati del reparto clinico. Tra questi ultimi c’era anche Mario Chiesa, uno dei protagonisti di Tangentopoli e di un altro recente scandalo sui rifiuti, che ha letto a nome del reparto un messaggio all’Arcivescovo.

"Nel carcere, casa di sofferenza e speranza - ha detto Tettamanzi - bisogna trovare la bellezza profonda dentro di noi, nel nostro cuore". Al cardinale, che ha promesso di ricordarsi nelle sue preghiere dei detenuti durante tutto l’anno, i reclusi di San Vittore hanno anche donato un mazzo di fiori di carta profumata, dolci e un portalettere di legno "per le nostre missive", hanno spiegato.

Milano: in Comunità per minori; i ragazzi che "ce l’hanno fatta"

di Isabella Bossi Fedrigotti

 

Corriere della Sera, 4 maggio 2009

 

Giorgio, ha 16 anni e viene da Quarto Oggiaro. I genitori sono separati, il padre ha fatto 7 anni di carcere per spaccio, la madre si è risposata e lui è finito al Beccaria per reati legati alla droga. Il giudice ha proposto per lui la "messa in prova", percorso alternativo al carcere per una possibile riabilitazione. Così è arrivato al Centro di accoglienza milanese di San Marco dove ragazzi già condannati vengono seguiti assieme alle loro famiglie, secondo un nuovissimo progetto voluto dal carcere minorile e finanziato dal Comune di Milano.

"Quando Giorgio è arrivato qui - ricorda la direttrice del centro - aveva atteggiamenti da figlio del padrino, sprezzante, prepotente, indifferente. Assistiti dagli psicologi del Minotauro (una cooperativa che si occupa di adolescenti in difficoltà) abbiamo avuto una serie di incontri difficilissimi con il padre che rifiutava la messa in prova per il figlio e pretendeva che scontasse la pena al Beccaria, referenza fondamentale per la credibilità di un futuro boss.

La svolta è arrivata dopo più di tre mesi, il giorno in cui la madre, pur in presenza dell’ex marito di cui era sempre stata succube e che dopo di allora non si è più opposto, è riuscita a dire al figlio: "Devi accettare, non puoi rovinarti la vita". Oggi Giorgio è in una comunità dove dovrà stare ancora per un bel po’, perché la messa in prova dura più a lungo del carcere, e intanto lavora come aiuto cuoco in un ristorante, seguendo la sua aspirazione "bianca". Quando gli chiedevamo cosa volesse fare da grande, ne citava sempre due, una nera e una bianca: "II buttafuori di discoteca oppure il pasticcere. Ha prevalso la bianca, grazie al cielo".

Fabrizio, invece, ha un’altra storia. Ha 17 anni, è sudamericano e a poco più di 2 anni è stato adottato da una buona, attenta e affettuosa e colta famiglia brianzola. Tutto è filato liscio fino a 15 anni quando, all’improvviso, sono cominciati gli spinelli e, poco dopo, non certo per necessità economiche, anche una piccola attività di spaccio tra amici e compagni di scuola. Seguita dall’arresto e dalla condanna, ma anche per Fabrizio il giudice ha proposto la messa in prova, inviandolo al Centro accoglienza San Marco.

"Dai colloqui con gli psicologi - ricorda la direttrice - sono emersi i fantasmi del passato di cui forse qualcosa ricordava e qualcosa aveva saputo - come, per esempio, che il padre naturale era uno spacciatore - fantasmi che lo tormentavano e che non riusciva a tenere a bada. Ma si è capito anche che la madre, forse spaventata dalla grande stazza raggiunta da Fabrizio, era troppo remissiva e il padre, per contro, deluso nelle sue aspettative, davvero troppo duro.

Tre mesi di incontri con la famiglia hanno però portato frutti: il ragazzo, dopo qualche tempo in una comunità, ha ottenuto di poter tornare a casa e adesso lavora, con grande passione, in una fattoria vicina. Qualche tempo fa ha passato l’esame scritto per la patente del motorino in una scuola guida qui vicino: l’abbiamo poi visto attraversare di corsa la piazza urlando a braccia alzate per venire a dirci del suo successo".

Pisa - Gorgona: 31° Seminario Nazionale Seac, l’8 e 9 maggio

 

Comunicato Stampa, 4 maggio 2009

 

Il Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) organizza il suo 31° seminario dal titolo: "La riforma della sanità penitenziaria: lo stato di attuazione della legge" che si svolgerà a Pisa e Isola di Gorgona dei giorni 8 e 9 maggio 2009.

Il convegno si pone l’obiettivo di riflettere sulla legge 230/99 di riforma sanitaria, per valutarne lo stato di applicazione a livello nazionale e locale, gli obiettivi raggiunti, le criticità, i nodi da sciogliere.

Poco più di un anno fa, un importantissimo passaggio è stato compiuto nella direzione di garantire più efficacemente un diritto costituzionale quale quello della salute delle persone recluse. Il Dpcm del 1 aprile 2008 definisce infatti che i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini in stato di libertà hanno diritto, nell’ambito del Ssn, alla prevenzione, alla diagnosi, alla cura e alla riabilitazione.

È necessario sottolineare l’importantissima funzione svolta dal Forum Salute Carcere, nato nel 2003 (di cui anche il Seac è parte) nell’avere sostenuto costanti iniziative per collegare ed implementare le forze disponibili per l’approvazione e l’attivazione della legge. In questi anni di lavoro concertato e di attesa in cui il Forum ha svolto una azione dirimente per l’approvazione del Decreto, il Volontariato e tutte le altre componenti coinvolte hanno sostenuto con forza la necessità di questa legge e della sua attuazione, fino all’approvazione governativa.

Serve che al decreto siano dati tutti i mezzi necessari per fronteggiare le criticità esistenti, che devono essere rapidamente affrontate per trovare soluzioni esaurienti sia sul versante dei diritti dei detenuti che sull’efficacia di questo Servizio sanitario, e che l’attenzione sui processi rimanga costante: da qui l’invito al mondo del Volontariato, degli Enti Locali affinché, nei fatti, non venga vanificata questa fondamentale conquista e venga mantenuto alto il livello dell’attenzione per la sua piena realizzazione.

I mezzi da soli, tuttavia, non bastano per dare compiutezza ad una riforma. La riforma della sanità penitenziaria potrebbe essere invalidata nei fatti se tutte le parti del sistema non fossero partecipi del progetto. Bisogna invece ragionare sul fatto che se, davvero attuata, questa riforma è un progresso per tutti. Il mondo del volontariato viene direttamente chiamato in causa in questo progetto, in una prospettiva di collaborazione tra Direzione del carcere, servizi sanitari e Provveditorati, anche per l’attivazione di programmi di prevenzione primaria e secondaria e di educazione alla salute negli istituti.

Il volontariato è consapevole di essere uno strumento per la promozione dì interventi con la comunità locale, per lo sviluppo di una sensibilità civica verso le diverse forme di disagio e per un coinvolgimento attivo nell’azione di risocializzazione, e di volere realizzare la sua battaglia contro l’esclusione lavorando insieme a tutte le parti sociali nel contrasto di politiche che incrementano le disuguaglianze e che ribadiscono la centralità del carcere come risposta sanzionatoria a scapito di pratiche di integrazione.

Il Seac, da sempre attento alla formazione culturale del volontariato, dedica la prima parte del convegno, che si svolgerà nel carcere Don Bosco di Pisa, alla valutazione dello "stato di salute" della riforma della sanità penitenziaria. La seconda parte della giornata, presso il Comune di Pisa, tratterà la tematica degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e della salute mentale. Il 9 maggio è prevista la visita all’Isola di Gorgona.

Su questi temi sono chiamati a discutere rappresentanti del mondo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, del Volontariato, della Magistratura, degli Enti locali, della sanità. Parleranno sul tema dello stato di attuazione della riforma: Vittorio Cerri, Leda Colombini, Antonietta Fiorillo, Francesco Ceraudo, Elisabetta Laganà; come rappresentanti degli Enti Locali Marco Filippeschi, Manola Guazzini, Maria Paola Ciccone.

Nella sessione dedicata agli Opg parleranno: Bruno Benigni, Gianluca Borghi, Franco Corleone, Maria Grazia Grazioso, Giuseppe Nese, Massimo Niro, Daniele Simonazzi, Luisa Prodi.

Sono previsti interventi di detenuti e volontari. Interverrà Emilio di Somma, vice Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Sono stati invitati il vice Presidente della Camera dei Deputati Rosy Bindi e il sottosegretario alla Salute Ferruccio Fazio. Il 9 maggio visita all’isola di Gorgona: incontro con Carlo Mazzerbo, detenuti e operatori. Iscrizioni al seminario e segreteria organizzativa: Associazione Controluce-Via Garibaldi, 33 - 56127 Pisa. Tel. 050.580005 - 334.1210673; Fax 050.8754058; asscontroluce@tiscali.it.

 

Elisabetta Laganà, Presidente Seac

Caserta: all’Opg di Aversa si fa teatro, per passione e terapia

di Giovanni Chianelli

 

La Repubblica, 4 maggio 2009

 

Nella vita di Adolfo Ferraro, psichiatra e direttore dell’Ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito" di Aversa, c’è molta arte. Anche in episodi che sembrano notevoli ma che lui stesso definisce irrisori: "La storia del rapimento è trascurabile...".

Eppure non deve essere capitato a molti di essere rapito in Yemen per quattro giorni insieme a familiari ed amici, aver organizzato partite di calcio con i figli dei predoni per esorcizzare la paura, ed aver ispirato parte della trama di un film, "Gallo Cedrone", diretto da un attore come Carlo Verdone. "Di grandi del teatro e del cinema mi è capitato di conoscerne parecchi. Silvio Orlando è stato mio testimone di nozze".

Il teatro, dunque. Da qui arrivano a partono le storie di questo medico che crede nelle regole nella misura in cui servono ad essere superate. Infatti, capita di vederlo presentare lo spettacolo brechtiano "La giostra. L’eccezione è la regola", interpretato dagli internati del carcere-manicomio che dirige. E di farlo con troppa padronanza: vuoi vedere che il dotto psichiatra ha calcato le sacre tavole? "Prima per passione, poi per terapia.

Negli anni ‘70 fui tra i fondatori del Teatro dei Resti in via Bonito al Vomero. Un classico teatro off come ce n’erano molti, si faceva politica interpretando spettacoli in fabbriche e centri sociali. Con me Pasquale della Monaco, come consulente Sergio Piro". Le due passioni iniziano ad incrociarsi: "Lavorando nella psichiatria vedevo che la recitazione era una forma perfetta di sublimazione. Raccontavo i miei fatti in forme artistiche e mi sentivo meglio. Così inventai il Teatro Capovolto, una terapia che presi a sperimentare in locali e teatrini".

Con la consulenza dell’amico Enzo Moscato, alla fine degli anni ‘80 prova a stimolare il racconto nel pubblico, attorno alla simulazione di una circostanza e dei suoi ruoli. Capovolgendo, appunto, il rapporto con gli spettatori che diventano protagonisti: "Ad esempio, fingevamo di essere in ospedale ed ognuno aveva una parte da incarnare. Alla fine Enzo raccoglieva le storie nate sul posto e le restituiva in forma di favola".

Il meccanismo del racconto è una riuscita immagine della follia, e a lui serve molto più che un trattato di psicanalisi. Soprattutto al rispetto di nevrosi e deliri, che sono comunque forme di sopravvivenza: "Assecondando e ascoltando la malattia mentale si può arrivare a gestirla correttamente. Tutti abbiamo forme nevrotiche e modi di amministrarle. Io per esempio scrivo".

Molte pubblicazioni scientifiche al suo attivo - è docente di Psichiatria forense alla Seconda Università - ma anche letterarie. Legge molto, Ferraro. E di tutto: da Dostoevskij, per lui padre della psichiatria, ad Ermanno Cavazzoni di cui caldeggia con fare minaccioso il romanzo "Cirenaica", prescrivendolo come si potrebbe fare con una medicina. Mentre fuma la pipa, continuando ad aggiustare il tabacco sul bracierino, ascolta Keith Jarrett.

Perché tra le sue muse c’è anche la prima. "Ho suonato in un gruppo punk demenziale, alla maniera degli Skiantos". Reo confesso, con qualche imbarazzo. Dietro l’immagine di direttore dell’Opg si nasconde un goliardico e ribelle. "Tutti abbiamo varie identità. A pochi giorni dalla nascita ho rischiato di morire. Per sette volte mi hanno dato l’estrema unzione e per sette volte mi hanno battezzato, affibbiandomi vari nomi. Perciò da allora sono cangiante e cerco di godermi la vita". Occhi ironici, umorismo da napoletano beneducato e "sfottitore", capacità di aggirare le domande. Usa i racconti nel lavoro, scrive racconti, ma c’è qualcosa che non vuole proprio raccontare. Adolescenza turbolenta, bocciature e fughe da casa.

E molta libertà, proprio perché i genitori non ripongono in lui chissà quali aspettative. E lui li delude di nuovo, a suo modo: con una laurea in cinque anni e una sessione. Poi la psichiatria e, dal 1980, quell’Opg che gli entra nel cuore. Vicedirettore da subito, dal 1996 ha lui le redini della "gabbia di matti", come la chiama bonariamente. Molti dicono che è una fortuna e un paradosso che sia lui, basagliano anche se non troppo, uomo di evasione artistica e non, a dirigere quello che è comunque un carcere.

"Sarà perché non lo vedo come un carcere. Ma questo è il mio personalissimo delirio", spiega con un tono di studiata autocommiserazione. "Sono un seguace del surrealismo che, già nel manifesto del 1923, si dichiara contro la violenza della galera e del manicomio. E se sono a capo di una struttura psichiatrico giudiziaria è perché, come teorizzavano i creativi della Bauhaus e Man Ray, amo trasformare le cose in altro dal loro senso originario.

Fermandomi alla sua prima dicitura, vorrei che questo fosse solo un ospedale". Eppure è scettico su chi parla di inesistenza della malattia mentale: "Esiste, eccome. I problemi sull’applicazione della Basaglia nascono proprio da queste estremizzazioni. No, il disagio esiste e va curato. Senza coercizione". Così Ferraro, per primo in Italia (e purtroppo ancora unico) toglie tutti i letti di contenzione dal suo Opg. Li considera roba da museo e infatti a metà anni 90 costituisce proprio un Museo del "Filippo Saporito", "luogo di errore ed orrore per ricordare e non tornare ad imbarbarirsi".

Sono esposti antichi ceppi di costrizione, camicie di forza e macchine per l’elettroshock, insieme a foto di presunti luminari della psicanalisi che usavano la tortura. Però nella mostra trovano posto oggetti personali degli internati, dalle poesie scritte sulle tendine alle gavette dove mangiavano. Per gli ospiti dell’Opg, Ferraro ha creato anche un giornale. Qui è amatissimo dai reclusi. Durante lo spettacolo aperto al pubblico lo applaudono più volte.

Ha dato il via a queste ed altre iniziative di terapia alternativa. E ci tiene a considerarla tale senza equivoci: "Non necessariamente tutti i folli sono dei geni dell’arte. Come in tutti i consessi umani, ci sono gli intelligenti e gli stupidi". Questo disincanto è però smorzato dalla soddisfazione malcelata di vedere un suo ex ospite calcare i palchi dei maggiori teatri europei.

Da Aversa proviene infatti Bobò, protagonista e snodo degli spettacoli del suo amico Pippo del Bono. Però ora, con la separazione delle figure direttive tra sanitaria e penitenziaria il suo ruolo rischia di svilirsi. "Con questa divisione sarà difficile attenuare l’aspetto penale della condizione degli internati tramite il profilo medico come ho cercato di fare finora. Il guaio è che a me non piace il carcere. Ci sono i valori, sicuro: ma capisco il loro contrario", ripete Ferraro. Guardandoti dentro ma per gioco, con il disincanto che è proprio di chi ha compagne, indissolubilmente legate, eccezione e regola.

Nuoro: il coro di Galtellì ha cantato la messa a Badu e Carros

 

L’Unione Sarda, 4 maggio 2009

 

I suggestivi canti del coro di Galtellì hanno animato, domenica 19 aprile, la messa nel carcere nuorese di Badu e Carros. Sessanta i detenuti che hanno assistito alla funzione che si è tenuta a sezioni riunite (in genere, infatti, sono separate), evento che - con l’opportuna autorizzazione rilasciata dal Ministero - si verifica solamente a Pasqua e a Natale.

Le otto splendide voci dei Cantores di Galtellì hanno quindi regalato ulteriore note suggestive al rito, al quale hanno assistito anche gli agenti penitenziari e il direttore Incollu. Conclusa la messa, gli artisti hanno tenuto un concerto e hanno poi donato alla direzione e ai responsabili dell’area didattica diversi cd (uno in particolare è stato donato alla sezione femminile, su richiesta delle detenute, con gli autografi degli otto cantores). Il concerto si è concluso con il saluto del garante Carlo Murgia, promotore dell’evento, che ha sottolineato l’importanza di iniziative del genere. La mattinata si è conclusa nei locali dello spaccio del carcere dove gli agenti hanno offerto del vino e gli artisti del coro baroniese hanno eseguito alcuni brani in memoria di Tonino Puddu, il direttore del coro Su Nugoresu scomparso di recente.

Immigrazione: in 8mila nei Centri, gli sbarchi sono raddoppiati

 

La Repubblica, 4 maggio 2009

 

Italia terra di record. Quanti sono gli sbarchi quest’anno? Il doppio dello stesso periodo dell’anno precedente: 6.300 per essere precisi. Al Viminale non nascondono la preoccupazione: i centri sono pieni e con l’arrivo della bella stagione, il sistema d’accoglienza rischia il collasso. Basta pensare che il 2008 con i suoi 36.952 sbarcati aveva già segnato un record allarmante (nel 2007 gli arrivi si erano invece fermati a quota 20.455). Quello in corso si preannuncia, insomma, come l’anno horribilis per le rotte via mare. I dati aggiornati al 24 aprile parlano chiaro: netta è la crescita degli sbarchi di migranti sulle coste italiane.

Nei primi quattro mesi dell’anno sono arrivati in 6.300, il 75% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (quando furono 3.600). L’opposizione attacca, parlando di fallimento delle politiche del governo sull’immigrazione. Raddoppiano dunque gli arrivi sulle coste italiane e raddoppia il numero dei minori non accompagnati sbarcati.

La novità? I "viaggi della speranza" non rallentano più neppure d’inverno, quando le condizioni atmosferiche rendono ancora più pericolose le traversate. Si sbarca soprattutto a Lampedusa, poche centinaia gli arrivi sulla "nuova" rotta: quella per la Sardegna.

I Centri per gli immigrati sono pieni. Attualmente tra Centri governativi e provvisori sono 8 mila i migranti trattenuti. E con la scadenza del decreto legge, che prolungava a sei mesi la permanenza nei Cie, molti irregolari tornano in libertà. In base alla legge Bossi-Fini, infatti, gli viene consegnato un foglio di via con l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni. E così, in attesa che il parlamento approvi il ddl sicurezza (e la relativa norma sui Cie), il governo cerca altre soluzioni. Quella prospettata dal premier Berlusconi cioè un’accelerazione dei rimpatri verso la Tunisia (attualmente gli accordi tra i due Paesi prevedono un massimo di sette rimpatri al giorno) si è scontrata con l’indisponibilità del governo di Tunisi ad accogliere le richieste italiane. O meglio, sembrerebbe che il governo nordafricano abbia alzato di molto il prezzo per riprendersi i suoi migranti. Addirittura, ha fatto sapere il ministro dell’Interno di Malta, Carmelo Mifsud Bonnici, la Tunisia ha da Roma la somma di centomila euro per ogni immigrato rimpatriato.

Immigrazione: Asgi; gravi conseguenze dal ddl sulla sicurezza

 

Redattore Sociale - Dire, 4 maggio 2009

 

L’associazione fa appello a tutti i deputati affinché chiedano lo stralcio dal disegno di legge A.C. 2180 degli articoli 45 e 21. Sottolineato il pericolo di violazione dei diritti fondamentali dei minori.

L’Asgi continua la sua battaglia e in merito al disegno di legge sulla sicurezza invia un appello al Parlamento paventando gravi conseguenze qualora lo stesso dovesse essere approvato.

Scrive l’Asgi: "In seguito alla discussione e all’approvazione in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati dell’art. 45, comma 1, lett. f) del disegno di legge A.C. 2180, che introduce l’obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi, vogliamo precisare i seguenti punti: riguardo agli atti di stato civile e in particolare alla dichiarazione di nascita e al riconoscimento del figlio il sottosegretario Mantovano ha affermato in Commissione Affari Costituzionali che l’art. 45, comma 1, lett. f) non impedirebbe la dichiarazione di nascita e il riconoscimento del figlio, in quanto la donna in stato di gravidanza e nei sei mesi successivi al parto e il marito con essa convivente possono ottenere un permesso di soggiorno per cure mediche, e inoltre sarebbe preclusa all’immigrato irregolare soltanto la possibilità di chiedere provvedimenti in suo favore, mentre la dichiarazione di nascita costituisce un atto nell’interesse del bambino".

"Con riferimento alla prima argomentazione - precisa l’Asgi -, si segnala come la soluzione prospettata riguardi solo alcuni casi, escludendo invece le seguenti situazioni, che rappresentano probabilmente la maggioranza: gli stranieri che non siano in possesso di passaporto o documento equipollente, posto che l’art. 9 del Dpr 394/1999 richiede l’esibizione di tali documenti ai fini del rilascio del permesso di soggiorno in oggetto; il padre naturale, in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n. 376/2000 ha esteso la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno esclusivamente al marito regolarmente sposato. Con riferimento alla seconda argomentazione poi - continua l’associazione -, si ritiene che il fatto che la dichiarazione di nascita costituisca un atto nell’interesse del bambino non sia assolutamente sufficiente a eliminare ogni dubbio interpretativo escludendo l’applicazione della disposizione in oggetto".

Continua l’Asgi: "Riguardo all’accesso a pubblici servizi e in particolare alla scuola si richiama l’attenzione sul fatto che benché i minori stranieri siano soggetti all’obbligo scolastico e abbiano il diritto all’istruzione a prescindere dalla regolarità del soggiorno, vi è il serio rischio che ai genitori di minori stranieri sia chiesto l’esibizione del proprio permesso di soggiorno al momento dell’iscrizione a scuola del minore, in quanto "provvedimento inerente l’accesso a pubblici servizi". Tale interpretazione sarebbe naturalmente in assoluto contrasto con il diritto all’istruzione riconosciuto dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza e dalla normativa italiana".

"Parimenti - sottolinea l’associazione - si ritiene sussista il concreto ed ancor più grave rischio che ai dirigenti scolastici possa essere richiesto di denunciare i genitori degli alunni stranieri che non siano in regola con il permesso di soggiorno a seguito dell’introduzione della nuova fattispecie penale di ingresso e soggiorno irregolare di ogni straniero, senza distinzione, che si propone di introdurre con l’art. 21 disegno di legge A.C. 2180. Si determinerebbe così una gravissima situazione nella quale un numero imprecisabile di minori stranieri non accederebbero più alle istituzioni scolastiche per timore di essere denunciati direttamente (loro ed i rispettivi genitori) da quelle stesse istituzioni pubbliche chiamate a tutelare in primis i diritti fondamentali dell’infanzia. Tale prospettiva non può che destare massimo allarme in tutta la comunità democratica".

Per tutto ciò, l’Asgi chiede a tutte le associazioni, enti di tutela, sindacati e agli esponenti del mondo della cultura, della scienza, della società civile "di condividere i contenuti del presente appello e di operare in ogni sede che si ritenga opportuna al fine di stralciare dal disegno di legge A.C. 2180 gli artt. 45, comma 1, lett. f) e 21". L’Asgi, come detto, fa appello a tutti i deputati "affinché chiedano lo stralcio dal disegno di legge A.C. 2180 degli artt. 45, comma 1, lett. f) e 21, ovvero esprimano voto negativo su tali articoli, se posti in votazione".

Immigrazioni: Al Zuwarah... spari, paura e clandestini in fuga

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 4 maggio 2009

 

Partono anche di giorno rischiando di essere arrestati, imprigionati e trattati come schiavi. Ma ci provano lo stesso e pagano anche di più perché i trafficanti libici di esseri umani stanno seminando il panico nelle sperdute campagne vicino al mare dove, dentro i capannoni, sono ammassati migliaia di nigeriani, sudanesi, eritrei, etiopi da mesi in attesa di partire per Lampedusa.

"Adesso o mai più, tra poco Italia e Libia faranno dei pattugliamenti qui e sarà più difficile partire...", avvertono i trafficanti e molti disperati ci credono sul serio, pagano e partono, anche davanti ai bagnanti che prendono il sole sulle spiagge di Zaltan e Al Zuwarah, i primi due paesi libici che si incontrano una volta lasciato il confine tunisino: le spiagge da dove partono molti degli extracomunitari che arrivano a Lampedusa o a Malta.

La nostra guida è un clandestino che ormai da anni vive in Libia e sa districarsi bene tra poliziotti tunisini e militari libici che lo conoscono bene perché fa il contrabbandiere e sa come oliare gli ingranaggi. Lui fa avanti e indietro tra Zaltan e Al Zuwarah. "Io non traffico con i clandestini, faccio contrabbando e basta, e quando posso li aiuto", dice, anche se il suo "aiuto" consiste nel portare, per conto dei trafficanti libici, acqua e generi alimentari nelle fattorie piene di extracomunitari. "Sono migliaia e migliaia, c’è un ricambio continuo, tanti partono, tanti arrivano".

La guida ha girato un video col telefonino. "Guarda, guarda, ti possono interessare", dice prima di cliccare sul cellulare per mostrare il filmato. Non è un trucco, è tutto vero. "Le ho girate pochi giorni fa - racconta - ecco, adesso partono anche di giorno".

Sono immagini uniche: in Libia è difficile muoversi, i militari di Gheddafi non scherzano, e alcuni di loro sono proprio gli organizzatori degli arrivi e delle partenze degli extracomunitari. Li sfruttano, li fanno lavorare come schiavi per mesi, anche per anni, e poi il misero stipendio che quei disperati guadagnano ritorna nelle loro tasche per pagare il viaggio in mare dalla Libia a Lampedusa. E come in tutte le organizzazioni ci sono clan concorrenti, gruppi di trafficanti che si accaparrano con la complicità di militari e poliziotti libici la "carne umana" da buttare in mare.

Il video, anche se girato con il telefonino è chiarissimo. È stato registrato poche settimane fa, tra la fine di marzo e l’inizio d’aprile. La spiaggia è sempre quella, Al Zuwarah, poco dopo le dieci del mattino. Da dietro le dune di sabbia spunta un gommone nero di sei, sette metri, viene buttato in mare davanti a decine e decine di bagnanti libici che prendono il sole. Improvvisamente arrivano una settantina di uomini ("neri", così li chiamano i libici), corrono sulla spiaggia e poi in acqua per salire sul gommone. Si affollano, si stringono, ci sono donne, bambini ed uomini, con loro portano soltanto qualche piccola cosa, una Bibbia o un Corano e, chi può, gli ultimi spiccioli che gli sono rimasti. Lo scafista è con loro, li aiuta a salire e a spingere il gommone in mare, dove a bordo ci sono anche una decina di taniche di plastica piene di benzina per affrontare il lungo viaggio. Benzina che spesso fuoriesce dai bidoni e, mescolandosi con l’acqua di mare, provoca ustioni anche gravissime.

Si parte verso Lampedusa, l’isola della speranza, "la porta della vita" la chiamano in molti. Alcune ore dopo la partenza del primo gommone eccone un altro che spunta all’improvviso come il primo sulla spiaggia dove donne e bambini libici giocano con la palla o fanno castelli di sabbia. Nessuno si scompone, da quella spiaggia ne hanno visti partire a centinaia e qualcuno, mosso da pietà, li saluta pure mentre prendono il largo.

Ma questo secondo viaggio ha un imprevisto. All’improvviso spunta una jeep con a bordo tre o quattro militari libici. Due di loro scendono armati di mitra e si dirigono verso il punto dove il secondo gommone sta per partire. Una cinquantina sono già a bordo, altri stanno per salire. I militari scendono in mare, l’acqua è bassa e gli arriva alle ginocchia, uno spara un colpo sul gommone per farlo afflosciare, l’altro intima a tutti di scendere e minaccia di sparare sotto gli occhi dei bagnanti.

Sul gommone si scatena il caos, i clandestini si buttano nuovamente in mare e tentano la fuga guadagnando la spiaggia da dove erano venuti. I militari sparano ancora in aria per fermarli: molti riescono a scappare, altri no, come il presunto "pilota" del gommone che viene bloccato dai militari mentre il trafficante libico va via tranquillamente, pronto ad organizzare un’altra partenza di disperati.

Quelli che erano partiti qualche ora prima ormai sono ad alcune migliaia di distanza dalle coste libiche, il tempo è buono e il mare forza 2-3. Si dirigono verso i fari delle piattaforme petrolifere e seguono una rotta che è decisa dalle onde del mare e dal vento. Qualcuno più anziano, di giorno sta con gli occhi puntati al cielo e dice al pilota di seguire la stessa strada degli uccelli che migrano dalle coste africane per raggiungere anche loro Lampedusa: sono stormi di gruccioni, balie nere. Ma gli uccelli vanno veloci e tranquilli e spariscono presto dal cielo.

La speranza però non svanisce ed un giovane somalo avvista una motovedetta della marina militare italiana che si avvicina. Ce l’hanno fatta. Non come tanti altri morti durante il viaggio e scomparsi nel cimitero del mare.

Immigrazione: a Torino commissario per "emergenza nomadi"

di Marina Cassi

 

La Stampa, 4 maggio 2009

 

Finalmente. Anche Torino avrà il suo commissario all’emergenza nomadi. Sarà, come già accade da dicembre a Milano, Roma e Napoli, il prefetto, Paolo Padoin. L’ha deciso il ministro Maroni che ufficializzerà la nomina nei prossimi giorni e che nel contempo prolungherà il mandato agli altri tre. E la cosa è piaciuta e parecchio al sindaco Chiamparino che a dicembre aveva sollecitato con una certa ruvidezza il ministro "a fornire al prefetto risorse e poteri commissariali per affrontare il problema dei nomadi su scala metropolitana; come è accaduto in altre grandi città".

Il sindaco è soddisfatto: "L’avevo chiesto a Maroni e lui l’altro giorno mi ha chiamato e mi ha detto che sta per fare la nomina. Di questo lo ringrazio perché significa aver capito che anche per Torino serve qualcuno con la necessaria autorità e autorevolezza per coordinare l’azione non solo della città, ma di tutta l’area metropolitana".

E racconta che non è pensabile agire "a compartimenti, ma serve un piano complessivo". E non solo. Servono risorse aggiuntive e solo la riconosciuta straordinarietà consente che arrivino. A Torino non c’è, come a Roma, il problema di censire i residenti nei campi, ma c’è sicuramente quello di trovare una soluzione alternativa al vetusto insediamento di strada dell’Aeroporto che, oltre tutto, è a rischio di esondazione.

Chiamparino spiega: "Quel campo deve essere chiuso con l’obiettivo di creare piccoli campi autorizzati nell’area metropolitana, diluendo l’impatto di quelli esistenti". E aggiunge: "Si devono realizzare

strutture più piccole e meglio attrezzate". La Città ha una sua proposta: "Lo sappiamo che alla fin fine ogni circoscrizione è contraria che il campo venga sistemato nel suo territorio e, per questo, siamo aperti a ogni discussione. Precisa: "Però serve un coordinamento con gli altri Comuni che solo il commissario può garantire".

L’ipotesi di un campo sostitutivo non era piaciuta alla quinta circoscrizione Vallette-Lucento-Madonna di Campagna e alla presidente, Paola Bragantini, che aveva protestato con gli assessori Marco Borgione (Servizi sociali), Mario Viano (Urbanistica) e anche con il sindaco.

Ma non c’è per ora alcuna decisione presa sul sito. È invece approvato - e apprezzato da Maroni - il regolamento dei campi nomadi varato dalla giunta. Una sintonia che probabilmente ha spinto il ministro a nominare il commissario e che già lo aveva impegnato a finanziare la nascita del nuovo campo. Negli insediamenti si pagherà per sostare su piazzole che, a seconda dell’investimento disponibile, potranno essere dotate di allacciamento a luce, acqua, fogne.

Insomma, sistemazioni più decorose delle attuali che potranno essere date in concessione annuale (con una spesa pari a 2-3 euro al giorno) e a condizioni ben precise, come quella di non possedere proprietà immobiliari oppure - ma il regolamento attuale già lo prevede - non avere conti in sospeso con la giustizia, o ancora non macchiarsi di reati come il maltrattamento o lo sfruttamento dei minori o delle donne.

Mondo: la storia di Carlo Parlanti e altri prigionieri del silenzio

di Katia Anedda

 

www.agoramagazine.it, 4 maggio 2009

 

L’informazione sulla detenzione all’estero deve avere lo spazio che merita. L’informazione sui sistemi detentivi e sulle regole dovrebbe avere una giusta importanza che allo stato attuale non ha.

Apriamo questo articolo prima di tutto ringraziando il consolato di Miami che si è dato davvero da fare per uno dei nostri connazionali, (per la legge sulla privacy non ne rendiamo pubblici i dettagli) che da due anni aspettava una visita oculistica per poter avere la richiesta di poter portare delle lenti, in quanto ormai quasi cieco.

Provocavano indignazione e tristezza alcune delle lettere di D.P. in cui scriveva alla madre "carissima mamma, non immagini quanto sia orribile non poter vedere, senza lenti non posso guardare la televisione per potermi distrarre. Per leggere le tue lettere le devo porre quasi a sfiorare il naso, e qui gli altri detenuti mi prendono in giro, e mi dicono: ma come mai non ti mandano le lenti?; dal mio arresto mi è sembrato di cadere nelle tenebre ed ora proprio nel senso anche non figurato, ti prego fa in modo che almeno ci possa vedere meglio". Quindi grazie al consolato e al ministero degli esteri, che si sono attivati celermente, dopo mesi e mesi un nostro connazionale esce un po’ fuori dalle tenebre, anche quando la detenzione potrebbe essere giusta deve privare solo della libertà non del diritto alla salute e alla vita.

Teniamo a ringraziare l’on Elisabetta Zamparutti che in questi giorni si è recata a far visita ad Angelo Falcone, nostro connazionale detenuto in India, altro caso molto discusso negli ultimi anni di cui non si riesce a trovare una soluzione, grazie Elisabetta del suo aiuto nel non far imprigionare questa problematica sociale nel silenzio.

Viaggio della presidenza di Prigionieri del Silenzio: per motivi tecnici il viaggio del Presidente e Vicepresidente di Prigionieri del Silenzio, viene spostato verso la fine del mese, anziché il 7 Maggio prossimo, questo allo scopo anche di poter parlare personalmente con il presidente di un gruppo studentesco di un università Californiana (di cui per questioni di riservatezza non sveliamo dettagli) che ha intenzione di studiare il caso Parlanti, rianalizzando le relazioni e lavoro svolto dai dottori Agnesina Pozzi, Matteo Pacini, dall’esperto in immagine Scott Nebwy e dal criminologo Marco Strano e rielaborando una relazione su tutti i documenti del caso.

Il viaggio in California prevede diversi incontri di cui si daranno dettagli e tra questi, un incontro con Gilbert Romero Pubblica Accusa di Carlo Parlanti allo scopo di avere delle risposte sulle illegalità e perplessità riportate nei rapporti sopracitati e nella denuncia stilata dall’avvocato Costantino Cardiello legale italiano di Carlo Parlanti.

Francia: a Lione nuovo carcere e mega-trasferimento detenuti

 

Ansa, 4 maggio 2009

 

Più di 400 detenuti trasferiti da un carcere a un altro, nello stesso giorno. Avviene a Lione, nella più grande operazione del genere mai organizzata in Francia. Il trasferimento in una prigione nuova di zecca, nella periferia meridionale della seconda città francese, avviene sotto straordinarie misure di sicurezza, con l’impiego di elicotteri, pattuglie di motociclisti, centinaia di agenti impegnati. "Il rischio principale, ovviamente, è quello di evasione - dice un poliziotto -. E la possibile ribellione da parte di detenuti che non vogliono cambiare carcere".

La nuova casa di pena, costruita grazie a un partenariato pubblico/privato, ha celle singole di 10 metri quadrati con servizi e finestre ad altezza normale. È in grado di accogliere fino a 690 detenuti. La sua inaugurazione permette la chiusura di due antiche prigioni nel pieno centro di Lione, Saint Paul e Saint Joseph, risalenti al XIX secolo, famigerate per le pessime condizioni di vita offerte ai detenuti. Nel carcere Saint Joseph era rinchiuso, fino alla sua morte nel 1991, l’ex criminale nazista Klaus Barbie.

 

 

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