Rassegna stampa 23 maggio

 

Le vittime di reato: la cattiva informazione ci "ferisce"

 

Redattore Sociale - Dire, 23 maggio 2009

 

La sorella di Giovanna, uccisa nel 2007 dal romeno Mailat: "Il mancato rispetto del diritto al dolore fa male quanto la perdita". La figlia di Tobagi: "Conoscere chi commette delitti serve a spezzare la catena del male".

Sul clima di emergenza e insicurezza dilagante in Italia quanto influiscono le spettacolarizzazioni e l’allarmismo dei media, quanto le speculazioni dei politici? È su questo che oggi a Padova ci si è interrogati nel corso dell’annuale giornata di studio organizzata da Ristretti Orizzonti "Prevenire è meglio che imprigionare". Un convegno che riportava un sottotitolo inquietante: "Ma quale prevenzione se l’istigazione a delinquere spesso avviene a mezzo informazione?".

Quella stessa informazione che lascia passare il messaggio che in Italia non si vada in carcere mai, che ci sia un"impunità diffusa. Un contrattacco a questa logica per il team di Ristretti sono il confronto con le scuole e i progetti avviati per parlare con i giovani e per far sì che loro parlino con i detenuti scoprendo anche, come dice una studente, che "il carcere è più vicino di quanto si pensi. C’è chi ha iniziato con una sigaretta, poi le canne e poi…".

Esempio dell’informazione-spettacolo e della politica-speculazione è Paola Reggiani, che davanti a centinaia di persone ha parlato della scomparsa di sua sorella, Giovanna Reggiani, uccisa nel 2007 a Roma da un rom rumeno. Paola ha riferito di una doppia ferita: quella per la morte della sorella, certo, e quella per l’aver visto calpestato il diritto di una famiglia al dolore. "Per anni ho lavorato in una casa di riposo e ho imparato che la morte fa parte della vita e che talvolta può essere un atto d’amore dopo un lungo periodo di sofferenza.

Quello che mi ha ferito e tuttora mi ferisce è il modo in cui la morte ha preso mia sorella, che non è stata un gesto d’amore. Provo anche molto disagio per il modo in cui la vicenda è stata trattata dai media, che non hanno rispettato il nostro desiderio di restare in silenzio e di vivere il dolore da soli. Dover tenere lontani i giornalisti dalla famiglia è stata la cosa più difficile da fare in quel lungo periodo".

Paola Reggiani è ancora amareggiata dall’ingerenza dell’informazione, che "ferisce tanto quanto l’aggressione di mia sorella, bisogna avere rispetto per le persone coinvolte, rispetto per la dignità del dolore". Ma un modo per andare avanti c’è: Paola ha avviato con la chiesa valdese di Firenze un dialogo con la comunità rom tanto criminalizzata in quei giorni. Adesso infatti è in piedi un progetto di "adozione a distanza" di un bambino rom che in Romania potrà studiare e sarà primo della sua famiglia ad avere questo privilegio.

Un dolore vivo e presente è anche quello di Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter ucciso quando lei era una bimba: "Sono cresciuta pensando a come sia possibile che un essere umano uccida un altro essere umano - ha spiegato - e questo pensiero gettava un’ombra scura sul mondo in cui viviamo". Poi l’incontro con Ristretti Orizzonti e la mediazione indiretta, che punta a mettere in relazione vittime e autori di reato: una svolta. "Aver parlato e conosciuto persone che hanno commesso delitti è servito per spezzare la catena del male".

I detenuti: abbiamo fatto reati, siamo persone "normali"

 

Redattore Sociale - Dire, 23 maggio 2009

 

Giornata di studi al Due Palazzi di Padova. Le testimonianze: "A commettere certi reati sono persone assolutamente normali, come loro, che magari hanno avuto un momento di leggerezza e incoscienza".

L’opinione pubblica li considera criminali con la faccia da criminali e, quando escono, ex detenuti con la faccia da carcerati. In realtà si tratta di persone che prima di delinquere per un motivo o per un altro avevano una vita loro, spesso erano padri e madri, figli e fratelli. La barriera che separa il carcere dal mondo esterno è più labile di quello che si pensi ed è questo il messaggio che i reclusi tengono a far passare, anche e soprattutto facendo capire ai giovani che sono le scelte sbagliate che possono portare in cella, non un destino o un’illegalità innata. "Siamo persone normali" spiega infatti Andrea intervenendo al convegno odierno nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova.

Nel corso della giornata di studi si è parlato anche della strage continua sulla strada, delle vittime causate da autisti ubriachi, drogati o semplicemente incoscienti. Ed è riferendosi a questo che Andrea spiega: "La maggior parte delle persone quando sentono di un fatto grave si mettono nei panni della vittima o dei suoi parenti, ma non si rende conto che a commettere certi reati sono persone assolutamente normali, come loro, che magari hanno avuto un momento di leggerezza e incoscienza". Andrea faceva uso di sostanze stupefacenti ed era convinto che niente gli sarebbe successo, di avere pienamente il controllo su di sé, ma sbagliava: "Solo dopo mi sono reso conto di quante volte ho rischiato".

Ma non sono solo le sostanze a poter rovinare la propria vita e quella degli altri: anche la difficoltà a chiedere aiuto e la convinzione di farcela da solo possono portare a scelte errate, come spiega un altro detenuto rimasto anonimo: "Quando si è abituati a fare una vita agiata non si vuole rinunciarvi e se arrivano difficoltà - nel mio caso economiche - si pensa di poterne uscire da soli. Invece bisogna chiedere aiuto. Quando parlo con i ragazzi delle scuole cerco di far capire che anche da percorsi di vita regolari si può arrivare a commettere qualcosa di grave".

Marino è un altro recluso che sta imparando a guardare in faccia il dolore negli occhi dei familiari delle vittime: "Credo che chi ha creato dolore come me debba misurarsi con il dolore degli altri, con lo strazio che ha provocato". E pensando a Silvia Giralucci, una giovane cui è stato ucciso il padre e che ha trovato la forza per impegnarsi nel progetto Ristretti Orizzonti, aggiunge: "Una persona che ha subito questo lutto e che decide di trascorrere del tempo, parlare e lavorare con persone che hanno commesso delitti è sinceramente straordinaria. Io però non riesco a guardare nei suoi occhi, come in quelli di Benedetta Tobagi".

Il sociologo: 90% di indultati non è tornato a delinquere

 

Redattore Sociale - Dire, 23 maggio 2009

 

Parla Giovanni Torrente, docente di Sociologia giuridica e autore della ricerca "Indulto. La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità": nove persone su dieci non sono tornate a delinquere.

Si può parlare davvero di fallimento dell’indulto? Le carceri sempre più piene e straripanti hanno davvero riaperto le porte a persone che perlopiù avevano beneficiato della legge? Non ne è per nulla convinto Giovanni Torrente, docente di Sociologia giuridica dell’Università della Valle d’Aosta e autore della ricerca "Indulto. La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità". Anzi, l’esperto garantisce il contrario: la recidiva degli indultati è assolutamente sotto la media.

La sua considerazione sul non fallimento dell’indulto nasce da un monitoraggio attento dei dati relativi agli ingressi e ai reingressi nelle strutture penitenziarie nel periodo successivo al varo della legge nel 2006: "La televisione e i giornali ci dicevano che molte persone uscite in questo modo dal carcere vi erano rientrate a distanza di pochi giorni. Ma spesso i media dicono le cose senza porsi il problema di verificarle, per questo è nata la mia ricerca che ha smentito questo luogo comune" ha infatti spiegato nel corso della giornata di studi "Prevenire è meglio che imprigionare".

Lo studio, infatti, ha analizzato i dati relativi ai 27.607 detenuti usciti con l’indulto e a un campione di 7.615 persone che beneficiavano di misure alternative. Nei 26 mesi successivi alla legge la recidiva nel primo caso si è fermata al 26,9%, mentre nel secondo caso è risultata al 18,57%. "Questi dati significano che nove persone su dieci non sono tornate a delinquere - spiega Torrente -. La media degli indultati tornati in carcere risulta dunque inferiore rispetto a quella del dato complessivo sulla recidiva che tocca quota 68%". Si tratterebbe, secondo l’esperto, di un altro esempio di cattiva informazione che non si pone le giuste domande e non cerca le giuste verifiche, ma anche di una evidente strumentalizzazione a fini politici.

Gli agenti: il piano carceri creerà cataste di carne umana

 

Redattore Sociale - Dire, 23 maggio 2009

 

Al Due Palazzi di Padova, dove è in corso il convegno "Meglio prevenire che imprigionare", si presentano con striscioni, trombe e altoparlanti: "Siamo in 120 a sorvegliare 800 detenuti".

A pochi giorni dalla protesta dei detenuti, ora sono gli agenti della polizia penitenziaria padovana a urlare la propria rabbia per le condizioni definite "disumane" in cui si vive nella casa di reclusione Due Palazzi. Impossibilitati per legge a scioperare, gli agenti fuori servizio si sono ritrovati con striscioni, trombe e altoparlanti davanti all’istituto di pena che ospita oggi il convegno "Meglio prevenire che imprigionare" organizzato da Ristretti Orizzonti. L’accusa è di non consentire a causa del sotto-organico la tutela della sicurezza dei detenuti, della popolazione civile e degli agenti stessi, bersaglio spesso della rabbia dei reclusi. E in vista dell’estate è atteso un peggioramento della situazione.

A fronte di una capienza regolamentare di circa 350 posti, attualmente i detenuti della casa di reclusione sono circa 800. Per far fronte a queste presenze in eccesso è stata da qualche giorno aggiunta la terza branda in celle concepite come monoposto ma già occupate da due persone. "Con il terzo letto si raggiungerà in pochi giorni la quota di mille detenuti" si legge in un comunicato sindacale che riunisce le sigle Sappe, Uil-Pa, Osapp e Sinappe. Il tutto con un numero insufficiente di agenti: se fosse rispettata la capienza regolamentare del carcere, gli agenti dovrebbero essere sulla carta 430, mentre la realtà è che sono in 120 a sorvegliare ottocento detenuti.

"Non ci consentono di fare il nostro lavoro - accusa Giovanni Vona, segretario provinciale Osapp -. Ora che sta arrivando il caldo c’è il rischio concreto che tutto peggiori: dovremo aumentare le traduzioni agli ospedali per gli inevitabili malori e chi vorrà tentare di fuggire potrà farlo. Ricordo che qui non abbiamo delinquenti qualunque, ma esponenti di spicco di mafia e camorra, per fare degli esempi. Come possiamo tutelare la società civile in questo modo?". Ciò che si recrimina poi allo stato è di voler trasformare con il piano carceri gli istituti "in magazzini in cui si accatasta carne umana".

E il segretario nazionale Sinappe Antonio Guadalupi rincara la dose: "Si prevedono più carceri, ma allo stesso tempo non si preventiva un aumento degli agenti e questo peggiora solo la situazione. Noi vogliamo fare il nostro lavoro, garantire sicurezza e stiamo lottando contro la direzione che ci toglie le ferie, ci costringe a straordinari mal pagati... non ci difende nessuno". La protesta degli agenti continuerà per una settimana estendendosi anche a livello nazionale e si abbinerà alla parallela protesta dei detenuti che già la scorsa settimana hanno intrapreso lo sciopero del carrello.

Giustizia: un’ondata di razzismo, attraversa la società italiana

di Franco Astengo

 

Aprile on-line, 23 maggio 2009

 

L’ondata di razzismo che sta attraversando la società italiana, con venature di vera e propria intolleranza (non mi riferisco soltanto al favore dell’opinione pubblica verso i cosiddetti "respingimenti", ma, ad esempio, al caso della preside di Genova che intendeva dichiarare "clandestini" preventivamente i propri studenti extracomunitari) ha un rapporto diretto, ed una influenza rispetto al modello politico imperante nel nostro Paese.

Cadono le discussioni sugli "italiani brava gente" e sulla durezza della crisi economica che, inevitabilmente, porta alle guerre tra poveri: si tratta di un fenomeno che arriva da più lontano ed interessa appunto l’insieme del "modello politico" composto dalla realtà dei corpi intermedi, dal ruolo delle istituzioni, dalle complesse modalità di cittadinanza attiva.

Da oltre un decennio, infatti, il "modello politico" italiano ha mutato segno, da luogo di forte partecipazione politica e sociale (con l’indicatore della partecipazione al voto come segnale "forte", ma non certo esaustivo di una evidente vitalità sociale), a terreno di "esclusione", per larghe fette di popolazione, per una realtà dei soggetti politici cui pare sempre più dare fastidio il dibattito, per una informazione che, più o meno all’unisono regge acriticamente le logiche di un sistema "separato".

Questi fattori hanno fatto cadere la realtà di una cultura politica" forte" che, in settori sociali non secondari, faceva da barriera a determinati modelli e a determinati meccanismi comportamentali: certo il "ventre molle" è sempre stato presente, ed in dimensioni ragguardevoli. Una idea "inclusiva" dell’agire e dell’organizzare la politica svolgeva, però, una funzione importante sul piano dell’integrazione.

Il punto di caduta maggiormente negativo, sotto questo aspetto, riguarda la realtà dei partiti che hanno dismesso, complessivamente, una funzione di "alfabetizzazione" (in senso lato, ovviamente) e, da sinistra, la capacità di promuovere la riflessione collettiva sulle modalità di sfruttamento, che non erano semplicemente quelle delle fabbrica, della bottega, dell’ufficio, della filanda, ma quelle più generali della soggezione a regole imposte dall’alto nei campi più diversi: una riflessione collettiva che portava poi all’idea del cambiamento, della ribellione, dell’organizzazione.

L’abbiamo scritto già tante volte ma non abbiamo paura di ripeterci: aver esaurito la funzione dei partiti nella mera "governabilità", li ha fatti tornare indietro (non abbiamo paura di questa espressione!) quali sede della promozione di un nuovo "notabilato", dove ormai le pulsioni personalistiche paiono prevalere ad ogni livello, non soltanto al livello del Capo del Governo e delle sue molteplici avventure.

Egualmente appare fattore di "esclusione sociale" il ruolo assunto dalle istituzioni a livello locale, sia sotto l’aspetto della qualità del dibattito che vi si sviluppa (fattori non secondario di questa vera e propria crisi: il ruolo in via di decadimento dei consessi elettivi, la riduzione delle Giunte al servizio del potere monocratico dell’eletto direttamente dai cittadini, con la riduzione nelle funzioni delle minoranze e l’affermarsi di una incauta presunta separatezza tra politica ed amministrazione) e della conseguente, direttamente conseguente, destinazione delle scelte in materia di territorio, di ambiente, di servizi sociali.

All’interno di questo quadro, descritto forse sommariamente ma che abbiamo l’ambizione di credere sufficientemente veritiero, è pressoché scomparso il confronto sul tema dei diritti politici dei nuovi cittadini: ancora un paio d’anni fa resisteva ancora un barlume di riflessione su questo punto che, adesso, sembra sparito.

Le delibere di concessione del voto amministrativo ai nuovi cittadini che pure qualche Ente Locale aveva tentato di portare avanti sono finite nel dimenticatoio:pluralità, allargamento, inclusione sociale sono parole che hanno direttamente a che fare con il "modello politico". Adesso appaiono del tutto desuete ed i risultati si vedono.

Giustizia: Ghedini; resistenze a riforma, il premier è una scusa

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 23 maggio 2009

 

Nessuna accelerazione e nessuna prevaricazione della maggioranza parlamentare. I testi di riforma costituzionale e ordinamentale della giustizia (separazione carriere, Csm, obbligatorietà dell’azione penale) "sono pronti da mesi e abbiamo già fatto molti incontri di maggioranza in vista della loro approvazione da parte del Governo. Ma per avere una più ampia condivisione, nelle prossime settimane saranno anche coinvolti i nostri componenti delle commissioni parlamentari".

Niccolò Ghedini, 49 anni, deputato, consigliere giuridico e avvocato del premier, ridimensiona quella che, nelle parole di Berlusconi, sembra l’ennesima accelerazione delle riforme della Giustizia. In questi mesi, sia la Lega sia, soprattutto, gli ex di An più vicini a Gianfranco Fini, hanno mal digerito modalità, tempi e contenuti dei Ddl imposti dal ministro della Giustizia Angelino Alfano e da Ghedini. Ieri se n’è lamentato anche 0 presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli.

 

Onorevole, la necessità di una maggiore condivisione preventiva è un avvertimento per il futuro?

No. Dopo le elezioni avvieremo ulteriori approfondimenti con i componenti delle commissioni parlamentari. Poi sarà il ministro a decidere quando portarli al Consiglio dei ministri, se a luglio o a settembre.

 

Nel frattempo verrà presentata una legge ordinaria per cambiare il sistema elettorale del Csm, nella quale i candidati togati sono estratti a sorte?

Sì, ma se ne sta occupando il ministero e quindi non conosco i dettagli.

 

La separazione delle carriere e le altre riforme sono sempre agitate in occasione di scontri tra il premier e i magistrati. Stavolta la miccia è stata la sentenza Mills.

Non è così. Ne parliamo dall’inizio della legislatura e io ci ho continuamente lavorato. Dal punto di vista mediatico, Berlusconi ha solo rilanciato il tema, puntando l’attenzione sul collegio giudicante e non sul Pm. Ha detto che non si può essere giudicati da un magistrato come la Gandus e ha rilanciato la separazione delle carriere per una maggiore terzietà del giudice. Ma è un argomento di natura politica.

 

La Gandus l’avete ricusata ma è stata sempre riconosciuta imparziale, anche dalla Cassazione.

La nostra ricusazione è stata respinta in base alla normativa vigente, che evidentemente non è adeguata. Perciò abbiamo deciso di cambiarla con il Ddl del Governo sul processo penale.

 

Giusto quella norma...

Non è una modifica ad personam, perché Berlusconi, quando riprenderà il processo, non avrà più la Gandus nel collegio giudicante, essendo diventata incompatibile.

 

Non avrà neanche la sentenza emessa dalla Gandus, poiché voi cancellate l’articolo 238 bis che consente di utilizzare le sentenze di altri processi come prova del fatto: nella fattispecie, il fatto accertato è che Mills è stato corrotto da Berlusconi. Neanche questa è una norma ad personam?

No, è solo una norma sacrosanta perché l’attuale articolo 238 bis contrasta con il "giusto processo". Tra l’altro la sentenza Mills potrebbe essere utilizzata solo se diventasse definitiva prima della prescrizione (2010), altrimenti il fatto non sarebbe comunque provato.

 

La vostra modifica, però, taglia la testa al toro: la sentenza non è mai utilizzabile.

Esatto. Ma ripeto, l’articolo 238 bis, nato per i processi di mafia, così è incostituzionale.

 

Molte "norme ad personam" sono state censurate proprio dalla Consulta...

La Corte ha bocciato solo il Lodo Schifani e la legge Pecorella. Le altre no.

 

La norma sulle rogatorie fu di fatto disinnescata...

La Corte decise di non decidere. Ma tutte le cosiddette leggi ad personam hanno avuto un’ottima resistenza. E comunque, le decisioni, rispettabilissime, della Corte a volte risentono degli uomini che le prendono. Massimo rispetto per la Corte, ma non è infallibile.

 

Alcune di quelle norme sono state rinviate al Parlamento dal Quirinale o cambiate grazie alla moral suasion del Colle...

Il fatto è che non c’è la volontà di cambiare il sistema ma di conservarlo sostenendo che le modifiche agevolano Berlusconi.

 

A chi si riferisce?

A nessuno in particolare. Parlo in generale. Dico solo che spesso non c’è stata la volontà di agevolare le riforme del sistema con la scusa che agevolavano Berlusconi.

Giustizia: "corsa" degli agenti ad un posto nelle liste elettorali

A. Barbera e F. Sansa

 

La Stampa, 23 maggio 2009

 

A guidare la "hit" delle candidature c’è la Polizia Penitenziaria. Mille agenti delle forze dell’ordine candidati: per loro stipendio pieno e permessi.

Altro che disaffezione per la politica. In Italia c’è chi le elezioni le aspetta con ansia divorante. Poliziotti, forestali, agenti di polizia penitenziaria affollano le liste elettorali. Al Nord, al Centro, al Sud, spesso con liste improbabili, in luoghi improbabili. All’inizio può sembrare un caso o una scelta dei partiti dettata dalla fame di sicurezza che assilla gli italiani. Ma poi si capisce che ci deve essere dell’altro.

Come spiegare altrimenti la lista che nel 2008 si presentò a San Pietro in Amantea (Cosenza): "I tredici candidati erano tutti agenti di polizia penitenziaria e nessuno era del Paese", sospira Francesco Gagliardi, un maestro che segnalò l’episodio. Nel nome del partito i poliziotti penitenziari infilarono una parola che sentono spesso sul luogo di lavoro: San Pietro per la Libertà. "Da anni un gruppo di agenti di Campobasso formano una lista che si presenta nei comuni vicini", sospira Donato Capece, segretario nazionale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria. Quest’anno i candidati dovrebbero essere più di mille.

Tanti, così tanti, che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria mercoledì ha diffuso una circolare che dispone un censimento degli agenti aspiranti politici. I conti sono presto fatti: soltanto nel carcere di Augusta, in Sicilia, ci sono 17 candidati su 250 agenti. Niente rispetto a quanto accadde alle Amministrative nel 2007, quando 70 erano in lista, il 35 per cento dell’organico. Anche nei commissariati di polizia in questi giorni si contano le poltrone vuote: 17 a Roma, 44 a Bologna, 20 nel torinese.

Nei corridoi degli uffici c’è chi racconta di quell’agente campano emigrato a Brescia per candidarsi per i Pensionati. Oppure di quel giovane poliziotto bolognese che nel 2008 si candidò in Friuli e a Piacenza. Sempre sconfitto. Sempre con i Pensionati. Ma da dove nasce questa passione politica che spinge a candidarsi a destra e a sinistra? I maligni indicano l’articolo 81 della legge 121 del 1981, quella che riformò il comparto sicurezza: "Gli appartenenti alle forze di polizia candidati a elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell’accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale".

Insomma, un mese e mezzo senza lavorare a stipendio pieno (tranne qualche indennità). Una norma del tutto eccezionale rispetto a qualunque contratto pubblico e privato: "I contratti collettivi prevedono l’aspettativa in caso di candidatura, ma può essere negata e comunque non è mai retribuita", spiega Alfredo Garzi della funzione pubblica Cgil. "La norma era nata con un altro spirito", sostengono Flavio Tuzi e Filippo Bertolami del sindacato di polizia Anip-Italia Sicura. "Si voleva così garantire l’osmosi tra forze dell’ordine e società civile, per evitare quel muro contro muro anche violento tra uomini in divisa e cittadini".

Ma qualcosa non funzionò, ottenere consenso dalle persone su cui prima dovevi esercitare l’autorità di polizia può creare cortocircuiti e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza introdusse il divieto di lavorare dove ci si era candidati. Risultato: i candidati ci sono lo stesso, ma si assiste a una migrazione elettorale. Tuzi e Bertolami la spiegano così: "Adesso ci sono due categorie. I furbi che si presentano in circoscrizioni lontane dal posto di lavoro pur di usufruire dei 45 giorni di aspettativa retribuita oppure coloro che ci credono davvero e vorrebbero impegnarsi nella società civile".

Così un mese e mezzo prima delle elezioni gli uffici si svuotano. Per la gioia di chi parte e il mal di fegato di chi resta e deve lavorare come un pazzo per coprire i buchi nell’organico lasciati dai colleghi. Bianco o nero, lavativi e onesti? Non è così semplice. Sebastiano Bongiovanni è agente di polizia penitenziaria ad Augusta e consigliere comunale. Ma politica lui la fa davvero: nel 2007 segnalò alla Procura di Siracusa che 70 suoi colleghi erano candidati alle elezioni, "Non perché si trattasse di lavativi, anzi. Dovremmo candidarci tutti e 250". Prego? "Sì perché la nostra vita è un inferno. I detenuti sono più di seicento, in un carcere che cade letteralmente a pezzi, dove l’acqua c’è soltanto tre ore al giorno. E noi rischiamo la vita per 1.500 euro al mese, senza possibilità di trasferimenti".

Sì, i politici abbondano soprattutto tra chi fa i servizi più usuranti, come gli agenti dei Reparti Mobili, quelli che passano le domeniche in mezzo ai fumogeni degli stadi. Ma c’è anche chi usa la politica per ottenere il trasferimento che non arriva mai. Semplice: basta candidarsi nella città dove lavori. È vietato, incompatibile, così all’amministrazione non resta che spostarti altrove. Ferie, indennità, trasferimenti altrimenti impossibili… e poi c’è chi dice che la politica è lontana dalla gente.

Giustizia: Uil; Brunetta deve premiare la Polizia Penitenziaria

 

Il Velino, 23 maggio 2009

 

Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa penitenziari, non nasconde la soddisfazione per la piena riuscita della manifestazione di questa mattina indetta da Uil - Sappe e Osapp e dichiara: "In piena estate arriveremo a superare la soglia delle 65mila presenze detentive. Ciò significherà non aver più materialmente a disposizione nessuno spazio per allocare i detenuti. Già oggi campeggiano celle sovraffollatissime e sistemazioni di fortuna. Le proteste in atto a Roma, Padova, Venezia sono un chiaro segnale della degenerazione delle condizioni di vivibilità. Di questo passo dovremmo allocare i detenuti negli atri o nei campi sportivi, dove ci sono. E comunque manca il personale addetto alla vigilanza e il personale addetto ai servizi di traduzione. Quel personale cui si impongono servizi impossibili, turni massacranti e straordinario salvo,poi, non pagare gli emolumenti dovuti. Quel personale cui si negano ferie e riposi settimanali. Insomma siamo all’arbitrio e al sopruso perpetrato dallo Stato in danno di operatori dello Stato. Di queste cose vorremmo parlare con Alfano, che continua ad eludere le nostre richieste".

Le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria hanno già indetto manifestazioni per il 4 e il 17 giugno, che prevedono "un sit-in davanti alla sede del Dap per denunciare la mancanza di un interlocutore credibile e affidabile". La Uil Pa penitenziari lancia anche una proposta al ministro della Pa: "Vogliamo sostenere l’iniziativa del ministro Brunetta tesa a premiare le eccellenze nella pubblica amministrazione. Perché, allora, non pensa di premiare simbolicamente il Corpo della polizia penitenziaria che assicura sicurezza e legalità nelle prigioni italiane nonostante l’accertata, dichiarata, gravissima deficienza organica. Premiare - sottolinea il leader della Uil penitenziari - quegli uomini e quelle donne che rischiano la vita ogni giorno su mezzi obsoleti per garantire le traduzioni e, quindi, il diritto alla difesa. Quegli uomini e quelle donne costretti a lavorare in ambienti insicuri, insalubri, sporchi e puzzolenti. Quegli uomini e quelle donne che subiscono violenze e angherie dai detenuti nel silenzio e nell’indifferenza di tutti. Si parla tanto di informatizzazione della pubblica amministrazione ma i poliziotti penitenziari continuano a girare con mazzi di chiavi da tre chili".

Padova: la protesta degli agenti; ridotti a 15, nei turni di notte

 

Il Padova, 23 maggio 2009

 

Dentro il Due Palazzi, un convegno nazionale che lanciava una domanda impegnativa: Ma quale prevenzione se l’istigazione a delinquere avviene a mezzo informazione? Fuori dal carcere, il grido di rabbia degli agenti della polizia penitenziaria, che avevano organizzato una manifestazione di protesta per denunciare una situazione descritta come insostenibile. Turni di soli 15 agenti chiamati a controllare tutto il carcere, giornate di lavoro con orari massacranti, straordinari non pagati, riposi settimanali continuamente negati, ferie estive sospese: questa la realtà raccontata dai sindacati.

"Siamo ormai diventati una seconda categoria di detenuti", spiegava ieri Giovanni Vona, segretario regionale del Sappe. "Gli agenti in organico alla casa di reclusione, secondo i dati del ministero, sono 430". Un numero che rimane sulla carta: in 200 sono finiti in distacco in qualche altra parte d’Italia e non sono mai stati rimpiazzati. "Tolti gli uomini impegnati per le traduzioni o in altri servizi, siamo rimasti in 150 turnisti per coprire in teoria 115 posti 24 ore su 24". Un piccolo manipolo di coraggiosi che devono vegliare, notte e giorno sugli oltre 750 detenuti di una struttura che ha una capienza regolamentare di 350 persone e la cui soglia tollerata fissata dal ministero è di 700 unità.

"Nei turni di notte siamo spesso in 15", spiega Vona. "Un giorno o l’altro ci ritroveremo un carro armato dentro il carcere", scherzava (ma non troppo) un suo collega esasperato e reduce da sette giorni di lavoro non stop. "Come si può garantire la sicurezza in queste condizioni?". "Le aggressioni da parte dei detenuti ormai sono continue, io stesso sono stato picchiato", raccontava un altro manifestante. Con tre detenuti, spesso di nazionalità diverse, in celle di otto metri quadri che dovrebbero ospitare una sola persona, i nervi possono saltare in ogni momento. Anche fra gli agenti l’esasperazione ormai ha raggiunto livelli estremi: la sfilata delle camionette che ieri, come ogni giorno, portavano nuovi detenuti all’interno del carcere, è stata accolta da grida di rabbia.

Intanto, dentro al Due Palazzi, Ristretti Orizzonti proponeva una giornata nazionale di studi sul valore della prevenzione. A inizio mattinata, la testimonianza di alcuni detenuti. Marino Occhipinti, uno dei membri della spietata banda della uno bianca, ha raccontato del suo percorso verso il pentimento e dell’enorme peso sulla coscienza con cui si trova a fare i conti. Nell’ultimo numero della rivista del carcere, Ristretti, parla del valore del progetto che ha messo a confronto studenti e detenuti e che ha portato all’interno del Due Palazzi 1.200 ragazzi delle superiori. "Ho commesso - scrive in una lettera aperta a una studentessa - reati per i quali non esiste rimedio concreto, non posso riscrivere fasi della mia vita che io stesso detesto, ma impegnarmi nel progetto con le scuole e mettere a vostra disposizione la mia testimonianza rappresenta il modo che mi consente di dare ancora un minimo di senso alla mia esistenza".

Forlì: i Consiglieri regionali e comunali, fanno visita al carcere

 

Ansa, 23 maggio 2009

 

Visita alla Casa Circondariale di Forlì per Roberto Balzani, assieme al consigliere regionale del Pd Gianluca Borghi e a Sara Samorì, componente dell’assemblea comunale Pd, accompagnati dalla direttrice del carcere Rosalba Casella. "Così come in quasi tutte le carceri dell’Emilia-Romagna - afferma il candidato sindaco del Pd Roberto Balzani - anche a Forlì la situazione è tornata ad essere insostenibile".

"Ad una situazione di sovraffollamento pre-indulto si registra anche una carenza di personale, dovuta alla mancanza di fondi. La buona collaborazione con gli enti locali è un dato sicuramente positivo, che però non può supplire alla cronica emergenza che sono costretti ad affrontare operatori e volontari": dice Balzani.

"In Regione - spiega il consigliere regionale Borghi - abbiamo voluto dare il nostro contributo proponendo e approvando la legge 3/2008, che fissa le "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della regione Emilia-Romagna". Gli 11 articoli della legge vanno ad interessare settori come la tutela della salute, le attività socio educative, il sostegno alle donne detenute, l’istruzione e la formazione professionale dei detenuti e degli operatori penitenziari e la prestazione di attività lavorativa da parte dei detenuti. Saranno inoltre promossi nuovi percorsi formativi e progetti di reinclusione sociale che coinvolgeranno ancora di più il volontariato presente nelle carceri".

"È necessario - ha concluso il candidato sindaco di Forlì per il centro sinistra Roberto Balzani - pensare ad un sistema capace di offrire ai detenuti vere occasioni di recupero. Solo in questo modo sarà possibile favorire il reinserimento sociale e garantire la sicurezza dei cittadini e della comunità. Mi auguro che la costruzione del nuovo carcere nel quartiere di Cava-Villanova risolva il drammatico problema del sovraffollamento carcerario, e restituisca finalmente la Rocca di Caterina Sforza alla città".

Busto Arsizio: in carcere si possono avere nuova opportunità

 

Varese News, 23 maggio 2009

 

I redattori di Mezzo Busto - L’organo di informazione del carcere di Busto, dopo aver saputo della mostra sulla rieducazione in carcere inaugurata venerdì 23 maggio al Tribunale di Varese, hanno deciso di scrivere per Varese News alcune riflessioni sull’iniziativa. Così come ha già fatto in passato, Varese News ospita il loro articolo.

Cos’è il carcere? È questa la riflessione che è nata nella redazione di Mezzo Busto (il giornale del carcere di Busto) quando alcuni educatori ci hanno informato dell’inaugurazione prevista per venerdì sera della mostra "Libertà va cercando ch’è sì cara. Vigilando redimere" al Tribunale di Varese. Come redattori del giornale ci è sembrato importante intervenire con le nostre riflessioni e sfruttare l’opportunità che Varese News ci ha dato di pubblicare i nostri articoli. Noi, per ovvie ragioni, non potremo visitare la mostra, ma dato che i protagonisti dell’evento siamo "noi" - ovvero persone che vivono la nostra stessa situazione - ci sembra nostro diritto e dovere dire la nostra su questo tipo di iniziative, ma soprattutto sui percorsi di rieducazione in carcere. Dato che le riflessioni che sono uscite in redazione sono tante e diverse, abbiamo deciso di dare voce a ciascuno di noi.

Maurizio - Il carcere, a mio modo di vedere, è un luogo dove si deve scontare la pena, ma anche riflettere sui propri errori con l’obiettivo di migliorare. Busto Arsizio è un istituto con meno risorse rispetto ad altri, ma è un luogo dove, se si è disposti a mettersi in gioco, non mancano le opportunità per studiare, lavorare e svolgere attività culturali ed educative che aiutino il recupero sociale della persona.

Daniel - Nell’opinione pubblica il detenuto è solitamente il "delinquente" che ha commesso un reato e che va punito. Tante volte ci si dimentica invece che è anche un figlio, un padre, un marito, un fratello. Insomma, una persona. Una mostra come quella di Varese è un’ottima opportunità per cercare di far conoscere un aspetto diverso della vita di un recluso. È una persona che ha sbagliato, ma che va accompagnata in un percorso di recupero per il bene suo e dell’intera collettività. Il detenuto infatti, una volta scontata la pena, viene rimesso in libertà. Quindi, secondo me, è meglio che esca una persona diplomata, laureata o con una qualifica che consenta di trovare lavoro, piuttosto che un individuo che per mesi o per anni è rimasto rinchiuso in una cella dimenticando la vita da libero cittadino.

Cristian - La mia opinione, in base all’esperienza che ho vissuto qui, è che anche il carcere può essere una "scala mobile" dove ognuno sceglie come comportarsi e quale percorso affrontare. Nonostante l’istituto di Busto sia piccolo, anche qui vengono organizzate varie attività. Fra queste ho potuto partecipare a due esperienze sicuramente particolari come il laboratorio di arte-terapia da cui è nato un libro di fiabe e il giornale.

Andrea - Credo che la mostra sia una buona opportunità per far vedere che chi è recluso può comunque mettersi in gioco con se stesso. L’esperienza in carcere mi sta aiutando a rivedere il mio modo di relazionarmi con le altre persone. Non che prima avessi difficoltà, ma sicuramente all’interno di un confronto a volte mi lasciavo andare a comportamenti non adatti al vivere civile. Di certo oggi ho più pazienza e più "bontà d’animo" di prima.

David - Non so se in molti visiteranno la mostra. Sicuramente tanti preferiscono tenersi lontano da un tribunale! Battute a parte, credo che questa iniziativa sia anche un modo per mostrare alle autorità giudiziarie che nuove strutture e più attività negli istituti italiani possono solo migliorare il sistema carcerario, così come è previsto dalla Costituzione di questo Paese.

Millo - Credo, anzi sono sicuro, che le attività che si possono svolgere in carcere siano efficaci per dare una nuova possibilità a una persona detenuta. Negli anni l’offerta rieducativa è migliorata, ma c’è ancora tanto da fare. Anche una mostra può servire ad aiutare la gente ad abbattere i pregiudizi e a conoscere meglio la realtà degli istituti penitenziari. Solo con una conoscenza più diffusa e quindi una maggior sensibilità la situazione potrà migliorare ancora.

Chaka Zulu - Conosco molti detenuti che hanno disperatamente bisogno di costruirsi una vita normale una volta fuori dal carcere. Le persone, invece, troppo spesso credono che i detenuti siano "buoni a nulla", persone cioè che possono solo creare problemi alla società. Naturalmente so bene che non tutte le persone detenute riflettono realmente sulla loro vita e decidono di cambiare. Il punto è che se anche solo poche persone decidono di provarci, il sistema carcerario dovrebbe essere a sua volta disposto e adeguatamente equipaggiato (risorse, educatori, spazi, ecc.) a dare supporto e aiuto nella rieducazione che, secondo me, include l’aspetto fisico, ma anche psicologico e intellettuale. È possibile contattare i redattori di Mezzo Busto all’indirizzo: mezzo_busto@libero.it.

Roma: bambini di 10 anni utilizzati come "vedette" a spacciatori

 

Ansa, 23 maggio 2009

 

Ragazzini dai 10 ai 14 anni venivano utilizzati come "vedette" da una banda di spacciatori sgominata dai carabinieri nel quartiere San Basilio di Roma. I ragazzini venivano impiegati nelle diverse strade del quartiere nei pressi di via Mechelli. Per loro la paga era di 10 euro l’ora.

In una settimana riuscivano a guadagnare anche 700 euro. Il loro compito era quello di segnalare ai più grandi la presenza di forze dell’ordine nel quartiere, ma anche quella di persone estranee alla zona che potevano insospettire. I carabinieri della stazione San Basilio di Roma hanno avviato l’indagine nel novembre del 2008, riuscendo ad installare nel quartiere ben 16 telecamere che in oltre mille ore di registrazione hanno ripreso tutte le fasi dello spaccio. Al termine dell’indagine, denominata "rondine", sono state arrestate in tutto nove persone, su richiesta del sostituto antimafia Leonardo Frisani che ha contestato l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio.

I militari in oltre un anno di indagine hanno fermato numerosi acquirenti sia di hashish che di cocaina ed eroina, che venivano anche da fuori Roma come da L’Aquila, Rieti, Viterbo e Caserta. "Abbiamo raccolto le confidenze della parte sana del quartiere - ha detto il colonnello Alessandro Casarsa, comandante territoriale di Roma - e siamo poi risaliti a tutta l’organizzazione. La popolazione si sta sempre più dichiarando intollerante rispetto allo spaccio e in questa operazione aver avuto l’appoggio della gente del quartiere ci ha sicuramente agevolato".

Da quanto è emerso dall’indagine al vertice della banda c’era un 28enne che si avvaleva del lavoro di altri personaggi noti nel quartiere di età compresa tra i 20 e i 63 anni. Il giro d’affari era di un milione e 800mila euro l’anno. Ingenti guadagni che avevano permesso ad alcuni appartenenti all’organizzazione di acquistare ville di lusso con piscine nella zona di Guidonia. La droga da spacciare veniva nascosta già suddivisa in piccole dosi all’interno di un motorino che era stato modificato con un falso cruscotto che conteneva lo stupefacente.

In una successiva indagine compiuta dai carabinieri della compagnia Eur i militari hanno sequestrato 10 chilogrammi di hashish arrestando 5 persone nella zona di Tor Marancia. La droga è stata trovata all’interno del vano del contatore dell’elettricità di un condominio. L’hashish era appena giunto dall’Olanda trasportato in treno.

Immigrazione: le "vittorie" della sinistra, che tutti dimenticano

di Giovanna Zincone

 

La Stampa, 23 maggio 2009

 

All’opposizione di sinistra piace perdere, manifesta un certo gusto per la sconfitta. Basti considerare l’insieme delle misure su sicurezza e immigrazione, messe in cantiere dal governo. Rispetto alle proposte iniziali, l’opposizione ha incassato un sacco di vittorie, ma non le dichiara. Cito quelle più evidenti. Sull’iniziativa di schedare i bambini Rom prendendo le impronte digitali, il governo è stato costretto a una repentina marcia indietro. Quanto alla misura bandiera, il reato d’immigrazione clandestina, la sanzione che prevedeva inizialmente il carcere è stata declassata ad ammenda pecuniaria.

Ma le due principali vittorie sono quelle che riguardano l’eliminazione sia dei medici sia dei presidi "spia". H governo aveva previsto di abrogare il divieto imposto al personale sanitario di denunciare gli utenti irregolari, un divieto introdotto dalla legge Turco-Napolitano e ribadito dalla Bossi-Fini. Ma le resistenze incontrate in Parlamento e nella società civile hanno bloccato il rischio delazione nella Sanità pubblica. Lo stesso è avvenuto per l’istruzione. H reato d’immigrazione irregolare, unitamente all’obbligo di presentare documenti di soggiorno validi per accedere ai servizi pubblici avrebbero potuto produrre "presidi spia", ma nella versione approvata dalla Camera è stato specificato che questi documenti non sono necessari per l’iscrizione alla scuola dell’obbligo.

Restava il dubbio che mamme irregolari non potessero riconoscere i propri figli e che i figli sarebbero stati addirittura adottabili. Ma le madri che siano in grado di presentare un qualunque documento d’identità hanno diritto a un permesso che copre il tempo della gravidanza e i sei mesi successivi. Si aggiunga che secondo la Corte Costituzionale tale permesso va esteso anche ai padri. Infine, il sottosegretario all’Interno Mantovano ha specificato che l’assenza del requisito di soggiorno regolare non può determinare l’impossibilità di compiere atti necessari a tutelare l’interesse dei bambini, e tale è la dichiarazione di nascita.

Non sappiamo però cosa avverrà di fatto. Non sappiamo se il timore generato dall’annuncio di norme poi ritirate produrrà comunque effetti dolorosi: se scoraggerà la frequenza scolastica dei bambini, se spingerà le madri a non partorire in strutture pubbliche sicure o addirittura a ricorrere all’aborto clandestino, se indurrà malati anche gravi a non farsi curare. Un suggerimento: invece di lamentare solo sconfitte, l’opposizione potrebbe cominciare a proclamare qualche vittoria.

Questo, oltre a giovare alla propria autostima, contribuirebbe ad attenuare le paure degli immigrati irregolari e a evitare le temibili conseguenze che dalle paure possono derivare. Le vittorie che ho citato non si devono solo all’azione dei partiti di centro-sinistra, ma all’aggregazione di consensi trasversali, alla convergenza tra opposizione e dissidenti della maggioranza. Il testo approvato alla Camera include due misure controverse, che sono state bocciate ripetutamente in Parlamento grazie ai franchi tiratori: l’aumento dei tempi di detenzione degli immigrati irregolari nei Centri e le ronde. Il provvedimento è passato solo grazie al voto di fiducia.

Un’ultima grande vittoria si otterrà se il governo darà seguito all’intenzione di verificare la presenza di richiedenti asilo che, anche se svuotato dei suoi effetti pratici più dirompenti, può diffondere un clima di diffidenza e di sospetto. Ma il rischio più alto è rinchiuso nella parola "reato", perché sembra dare un riconoscimento pubblico alla percezione già troppo diffusa che "irregolare" equivalga a "delinquente". Irregolari si diventa perché si perde il lavoro, perché si lavora in nero e non si può rinnovare il permesso.

Anche i temuti clandestini, trasportati nelle carrette del mare, sono in stragrande maggioranza vittime, non delinquenti. Non possiamo accoglierli, perché significherebbe abolire le frontiere italiane ed europee. Evitiamo almeno di ostentare rifiuto e disprezzo.

In tema d’immigrazione dobbiamo tutti imparare a moderare i toni: esponenti del centro-sinistra che non esitano a etichettare alcuni provvedimenti del governo addirittura come leggi razziali, esponenti del centrodestra che indulgono in espressioni di aperta ostilità nei confronti degli immigrati. Di recente, ha rivolto un invito a non alzare i toni anche il ministro Maroni, speriamo che lo ripeta spesso, anche a sé stesso.

Immigrazione: un boom degli sbarchi; 6mila persone in 4 mesi

di Laura Malandrino

 

Avvenire, 23 maggio 2009

 

Dati da record, ecco la tendenza del 2009 per I quanto riguarda gli sbarchi di migranti irregolari sulle coste italiane: oltre 6.000 persone solo dal mese di gennaio ad aprile. Il doppio dello stesso periodo dell’anno scorso. Un numero particolarmente allarmante se si pensa che già il 2008 con i suoi 36.952 sbarcati aveva segnato un record, mentre nei 2007 gli arrivi si erano fermati a quota 20.455.

Una situazione che si potrebbe spiegare anche con la diminuzione dei flussi verso la Spagna, dopo il giro di vite applicato dall’Algeria alle sue frontiere sud. Non è escluso che in qualche modo possa aver pesato anche l’avvio dei pattugliamenti congiunti e dei respingimenti in Libia a partire dal 15 maggio. Forse questa notizia potrebbe aver anticipato alcune partenze. Anche per il 2009 i viaggi della speranza sono finiti soprattutto lungo le coste di Lampedusa e della Sicilia, da Agrigento a Siracusa, ma senza dimenticare alcuni episodi in Sardegna.

Una nuova rotta, quest’ultima, che proprio nei giorni scorsi è stata meta di diversi sbarchi. Ad essere interessata soprattutto la zona sud ovest dell’isola che da tempo ormai non vedeva arrivare barconi.

Il 19 maggio poco dopo mezzanotte 16 tunisini sono stati bloccati sulle spiagge fra Sant’Andrea Frius e Porto Pino. I nordafricani sono riusciti a raggiungere la terraferma ma sono stati notati da alcuni abitanti che hanno allertato i carabinieri della Compagnia di Carbonia. Anche il 21 maggio, per tutta la giornata e in nottata, sono proseguiti gli arrivi di irregolari, un’ottantina, che in diverse ondate hanno raggiunto le coste sarde. Ieri, infine, nelle acque davanti all’isola dei Cavoli, sulla costa sud orientale sarda, è stato trovato un corpo senza vita che potrebbe essere di un migrante.

Per quanto riguarda le tendenze, appare particolarmente preoccupante il fenomeno dei minori. Da maggio 2008 a febbraio 2009, infatti, sono arrivati sulle coste siciliane 1.994 minori non accompagnati e 300 accompagnati. Il 91% dei minori ospitati sono di sesso maschile, a fronte di un 8% di sesso femminile, di età compresa tra i 16 e i 17 anni. Provengono prevalentemente da Egitto (27%), Nigeria (11%), Palestina (11%), Eritrea (10%), Tunisia (9%), Somalia (7%) e Ghana (6%), confermando un trend che è rimasto invariato negli ultimi mesi. Di questi, 1.860 sono stati ospitati nelle comunità alloggio sul territorio siciliano. Il 60% però è scappato, soprattutto tra gli egiziani, gli eritrei e i somali.

Olanda: a corto di criminali, si importano i detenuti dal Belgio

di Matteo Buffolo

 

Il Giornale, 23 maggio 2009

 

Le guardie carcerarie olandesi sono preoccupate: la situazione delle prigioni nei Paesi Bassi non è più sostenibile. Ma per il motivo opposto che nella maggior parte degli altri stati del mondo: i tassi di criminalità sono in discesa da anni e migliaia di celle sono vuote. Per questo alla corte della regina Beatrice, dove otto penitenziari stanno per chiudere (con conseguente perdita di 1200 posti di lavoro), stanno cercando le soluzioni più disparate.

All’appello, secondo le stime, mancano 2mila carcerati: su 14mila celle disponibili, solo 12mila sono occupate. E se 500 "provvidenziali" detenuti potrebbe fornirli già nel 2010 il vicino Belgio, alle prese con il problema opposto, per salvare le guardie carcerarie potrebbe non essere abbastanza. "La realtà è che chiudere questi otto penitenziari - ha spiegato cinica il vice ministro della Giustizia Nebahat Albayrak - ci porta sì a perdere 1200 posti di lavoro, ma ci fa anche risparmiare 160 milioni di euro". Che in tempo di crisi rappresentano comunque un aiuto alle casse statali.

Per questo, assieme ai 500 detenuti, il Belgio manderà anche una trentina di milioni: serviranno per far funzionare la prigione di Tilburg, nell’Olanda meridionale, per i due anni in cui ospiterà i galeotti di Bruxelles, in attesa che siano costruite nuove carceri. Nel frattempo, ai contribuenti belgi, spetterà anche di pagare questa "vacanza", questo cambio d’aria ai galeotti. Alla modica cifra di 164 euro l’uno al giorno, sempre che sia il Parlamento olandese sia quelli belgi ratifichino l’accordo nei tempi previsti (ovvero circa un mese).

Nemmeno per i secondini olandesi di guardia a Tilburg sarà tutto rose e fiori: dovranno tornare a scuola e rimettersi a studiare. I prigionieri, infatti, dovranno essere trattati secondo l’ordinamento carcerario belga. "È fondamentale - ha chiosato il ministro della Giustizia di Bruxelles Stefaan De Clerck -. La legge prevede che se qualcuno è dichiarato colpevole di un reato in uno Stato debba essere punito secondo le norme di quel preciso Stato".

E se in Olanda i criminali non riprenderanno ad infrangere la legge in numero sufficiente, persino il presidente Barack Obama - alle prese con la chiusura del carcere di Guantanamo e con la necessità di trovare un posto ai terroristi ancora rinchiusi nella prigione speciale - potrebbe pensare di approfittare della disponibilità di celle a buon mercato.

Russia: Corte Strasburgo accoglie il ricorso di Khodorkovski

 

Ansa, 23 maggio 2009

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato oggi di aver dichiarato ammissibile il ricorso presentato nel 2004 contro le autorità russe da parte di Mikhail Khodorkovski, maggiore azionista della Yukos, compagnia petrolifera russa liquidata nel 2006. Nel suo ricorso alla Corte, Khodorkovski sostiene di essere stato indagato, arrestato, processato e condannato per motivi politici, in violazione dell’articolo 18 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’ex magnate inoltre sostiene che, viste le condizioni della cella in cui è stato detenuto e quelle della gabbia in cui è stato tenuto durante il processo, le autorità russe lo hanno sottoposto a un trattamento degradante, in violazione dell’articolo 3 della stessa Convenzione. In ultimo le autorità russe, secondo Khodorkovski, hanno violato il suo diritto alla libertà quando lo hanno arrestato mentre erano ancora in corso le indagini, tenendolo in detenzione per tutta la fase pre-processuale. Avendo dichiarato ammissibile il ricorso, la Corte dovrà ora decidere nel merito, determinando se le autorità russe hanno in effetti violato i diritti di Khodorkovski.

 

 

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