Rassegna stampa 22 maggio

 

Giustizia: le riforme sono possibili, basta volerle fare davvero

di Michele Ainis

 

La Stampa, 22 maggio 2009

 

Nell’arco d’un solo pomeriggio il Presidente del Consiglio ha attaccato due poteri su tre: comunisti i magistrati, fannulloni i deputati. Più che un’opinione, un anatema, un doppio affondo contro il corpo giudiziario e contro il Parlamento. Si salva, guarda caso, unicamente il potere esecutivo, anche perché altrimenti Berlusconi avrebbe dovuto bisticciare con se stesso.

È il caso di menare scandalo? Sì, è il caso. Non tanto in nome del galateo costituzionale, una pagina ormai ingiallita della nostra vita pubblica; anche se le nazioni muoiono di impercettibili scortesie, diceva Giraudoux. Neppure in nome del linguaggio edulcorato che un tempo usavano i notabili Dc; dopotutto la franchezza è una virtù, benché nella seconda Repubblica le parole dei politici siano diventate altrettanti corpi contundenti. Ma quando il politico di turno è il leader del nostro maggior partito, quando ha in pugno il timone del governo, s’apre allora una duplice questione: di metodo e di merito. Circa il metodo, rimbalza la domanda sollevata dallo stesso Berlusconi: non vale forse per il premier la libertà di manifestazione del pensiero di cui godono tutti gli italiani?

Non allo stesso modo, non in tutti i casi. Nei manuali di diritto si distingue tra manifestazione ed esternazione del pensiero, riferendo quest’ultima al Capo dello Stato, ai presidenti delle assemblee parlamentari, o per l’appunto al premier. Insomma la prima è una libertà, la seconda un potere. E il potere d’esternazione incontra limiti più netti, più stringenti, rispetto alle parole che viaggiano nei nostri discorsi collettivi. Perché è un potere che s’accompagna all’esercizio d’un potere - quello di rappresentare la nazione, di guidare i lavori delle Camere, d’orientare l’attività amministrativa. E perché in uno Stato di diritto nessun potere vive in solitudine, deve rispettare i territori altrui, senza invaderli nemmeno verbalmente.

Qui allora viene in gioco il merito, il contenuto dell’esternazione con cui Berlusconi ha salutato la platea di Confindustria. È vero o no che il Parlamento è un treno a vapore, che basterebbero 100 deputati come negli Usa (in realtà sono 435, presidente), che a propria volta l’esecutivo ha ricevuto in dotazione un fucile scarico dai nostri padri fondatori? Sì e no. Quanto ai parlamentari, effettivamente 945 sono troppi, quando si pensi che i costituenti erano poco più della metà (556), e che in un anno e mezzo scrissero la legge delle leggi. Ma sulla cura dimagrante concorda altresì l’opposizione: e allora passate dalle parole ai fatti. Quanto ai poteri del governo, di nuovo l’opposizione concorda su qualche aggiustamento, ma di nuovo la riforma sin qui è rimasta avvolta in una nuvola verbale.

È falso tuttavia che la democrazia italiana, sia pure con tutti i suoi difetti, indossi una camicia di gesso, sia insomma come paralitica. Il quarto governo Berlusconi ha varato 35 decreti legge, dei quali 34 convertiti dalle Camere. Nel suo primo anno di vita a Prodi ne vennero convertiti 19; eppure le istituzioni sono rimaste tali e quali, evidentemente è cambiato lo stile di guida del pilota. Quel medesimo pilota ha posto per 18 volte la questione di fiducia: dunque le regole in vigore non escludono le maniere forti.

Ma se è per questo, non escludono neppure le maniere rapide. Tanto per dire, nel luglio scorso il lodo Alfano è giunto in porto dopo appena un mese di navigazione, mentre in aprile la legge che ha spostato il referendum al 21 giugno ha ottenuto il via libera di Camera e Senato in una settimana. Nell’uno e nell’altro caso c’era una forte volontà politica a mettere benzina nel motore. E allora coraggio, usiamola per fare le riforme. Possibilmente senza innescare incendi.

Giustizia: torna il Caimano e attacca magistrati e parlamento

di Andrea Scarchilli

 

Aprile on-line, 22 maggio 2009

 

Berlusconi dal palco dell’assemblea di Confindustria sferra un doppio attacco: per coprirsi le spalle sul caso Mills e dai giudici "estremisti di sinistra", cavalca il sicuro tema dell’antipolitica prendendosela con un Parlamento "pletorico" e annunciando una legge popolare per diminuirne i membri e assegnare più poteri al premier. Le reazioni di Fini, dell’Associazione nazionale dei magistrati e dell’opposizione

Si deve sentire messo alle strette, il premier. Dopo un anno abbondante di comodo governo, quella che si preannunciava come una legislatura di velluto, anticamera all’elezione al Quirinale, rischia di trasformarsi nella trincea già sperimentata nel quinquennio 2001 - 2006. Il combinato disposto dei casi Noemi Letizia e David Mills, Silvio Berlusconi lo sa, non hanno intaccato (se non in minima parte) il consenso personale. Ma sono tuttavia sgradevoli spine nel fianco che, alla lunga, potrebbero nuocergli, magari sommandosi - tra un mese - a un boom della Lega Nord alle Europee che lo costringerebbe a rivedere l’assetto di governo, al Nord, di molte Regioni ed enti locali. Il Carroccio che diventa primo partito nel cuore produttivo del Paese è uno scenario che il Cavaliere teme. Rischia di influenzare l’azione di governo più di ora. Ecco i fattori, quindi: a questi è seguita la controffensiva. Spia delle sue preoccupazioni.

Un’azione semplice, quasi banale. Eppure di sicura efficacia. Il Cavaliere si è difeso dai sospetti emersi con le motivazioni della sentenza di corruzione dell’avvocato Mills - che lo pone nella posizione, né più né meno, di corruttore - contrattaccando la magistratura. E fin qui niente di nuovo. Ma alle invettive contro i pm faziosi ha aggiunto quelle contro il Parlamento "pletorico". Antipolitica, dunque. Di sicura presa sull’elettorato, dall’effetto ricompattante, condito da un riferimento a una legge popolare. La platea è di quelle blindate, l’assemblea di Confindustria a Roma. Agli imprenditori, si sa, piace sentir male dei politicanti: gli applausi a scena aperta ne sono stati la conferma.

Si capisce, adesso, la sostanziale marcia indietro rispetto all’intenzione di riferire in Parlamento. Il proposito iniziale è sfumato ieri, rimandato a dopo le elezioni dietro lo scudo delle necessità di "agenda". Perché, deve essere stato il ragionamento del premier, esporsi all’opposizione e alla probabile mozione di sfiducia, quando si aveva alle porte un’occasione così ghiotta?

Il premier di oggi ha parlato direttamente al popolo, come sa fare lui. Al suo popolo. Ha attaccato i giudici della vicenda Mills definendoli nuovamente "estremisti di sinistra" e ha affermato la necessità di una riforma della giustizia. "La giustizia penale è una patologia nel nostro sistema. I giornali oggi dicono che non è possibile criticare i giudici, ma criticare i giudici è un diritto di ogni cittadino" ha detto Berlusconi che ha puntato il dito direttamente contro il Consiglio superiore della magistratura.

Dichiarando: "Basta con un Csm dove i giudici si assolvono sempre. Non ci fermeremo fino a quando non sarà separato l’ordine dei magistrati all’ordine dei lavoratori". A proposito della sue vicende giudiziarie e in particolare del "caso Mills", Berlusconi si dice "esacerbato" ma ha affermato di avere "le spalle larghe, più mi picchiano più mi rinforzano ma un cittadino normale con questa situazione paga un prezzo troppo alto". Il presidente del Consiglio ha assicurato dal palco che il suo governo porterà a termine la riforma della giustizia con la separazione delle carriere tra giudici e pm.

Della sentenza di condanna contro Mills Berlusconi si dice scandalizzato e sottolinea che "la realtà è esattamente il contrario di quello che questi giudici hanno scritto, perché si tratta di giudici che sono degli estremisti di sinistra" e per ribadire meglio la sua idea di imparzialità dei magistrati è ricorso al paragone calcistico: "È come se Mourinho (l’allenatore dell’Inter) arbitrasse Milan - Inter" ha detto il Cavaliere.

A sostegno della sua tesi Berlusconi ha fornito la sua personale ricostruzione della vicenda per la quale la magistratura lo accusa di corruzione. Ricostruzione che il presidente del Consiglio aveva già fornito al conduttore di Porta a Porta che la inserì nel suo ultimo libro Viaggio in un’Italia diversa uscito nel 2008. "Il signor avvocato Mills che io non ho mai conosciuto riceve per le prestazioni da un armatore italiano una parcella da 600mila dollari, così per non pagare tasse dice che è una donazione. E quando viene messo sotto pressione e gli si chiede da dove arrivi quel denaro, decide di chiamare in causa un dirigente Fininvest morto, poi si accorge di quello che ha fatto e finalmente dice la verità".

Poi il salto qualità. Secondo Berlusconi non è solo la giustizia ad avere bisogno di essere riformata ma anche il Parlamento che dal palco dell’Auditorium ha definito "pletorico e controproducente" e affermato che si dovrà arrivare ad "un ddl di iniziativa popolare" per rafforzare i poteri del presidente del Consiglio rispetto alle Camere. In particolare, ha spiegato Berlusconi, "dobbiamo fare i conti con una legislazione che deve essere migliorata e ammodernata. Praticamente il presidente del Consiglio non ha nessun potere. Ma si capisce, perché la Costituzione è stata scritta dopo il ventennio fascista e quindi non è stato dato nessun potere al governo. Tutti i poteri sono stati dati al Parlamento che è pletorico".

A questo punto il premier si rivolge alla platea degli imprenditori che lo ha applaudito: "Pensate che ci sono 630 deputati quando ne basterebbero 100 e qualche cosa... insomma, come il Congresso americano peraltro. Ora è chiaro però che per arrivare a questo, dovremmo arrivare a un ddl di iniziativa popolare perché non si può chiedere ai capponi, o ai tacchini, di anticipare il Natale... Credo che questo sia e debba essere chiaro a tutti".

Le sue parole non sono piaciute al presidente della Camera Gianfranco Fini che, in occasione dell’apertura di un seminario alla Camera su federalismo e ruolo del parlamento ha detto:"L’iter della legge sul federalismo fiscale smentisce la tesi dell’inevitabile tramonto del ruolo del Parlamento come legislatore. Quando il Parlamento riesce ad operare attraverso procedure aperte, è e viene percepito dalla società come un interlocutore ineludibile, qualificato ed impegnato".

Sul versante degli attacchi alla magistratura, pronta la replica di Giuseppe Cascini, segretario Anm: "Tutti coloro che hanno a cuore le regole della convivenza democratica e il principio di separazione dei poteri, dovrebbero intervenire per fermare questo metodo distruttivo del confronto democratico". Che ha aggiunto: "Registriamo un crescendo di toni e di invettive che non vorremmo mai ascoltare da chi ha responsabilità di governo. Questo non è un problema dei magistrati, è un problema dei cittadini e del Paese".

Il segretario del Partito democratico Dario Franceschini ha attaccato: "Ormai è chiaro che Berlusconi si crede Napoleone ma non è un signore di passaggio bensì il presidente del Consiglio ed è prudente non ridere". Franceschini ha messo in guardia gli elettori: "Ci pensino mille volte prima di dare più forza e potere a chi si crede sopra la legge e la morale" . La capogruppo al Senato Anna Finocchiaro è intervenuta nel corso della discussione del decreto legge sull’Abruzzo: "Le affermazioni del presidente del Consiglio sono assolutamente rivelatrici di un fastidio per il Parlamento. E comunque una proposta di legge anche se di iniziativa popolare va approvata in Parlamento".

Ma queste sono quisquilie, per il premier contava il messaggio. Duro il presidente dei deputati Antonello Soro: "Berlusconi ha oltrepassato ogni limite consentito alla decenza istituzionale di un uomo di Stato. Il suo disprezzo per la democrazia, per la libera informazione, il fastidio verso il parlamento e quello nei confronti della magistratura devono preoccupare tutti i cittadini. Speravamo di non sentire più da parte di Berlusconi parole così gravi e proprio per questo gravide di conseguenze. Ci siamo sbagliati".

Il leader di Sinistra e libertà Nichi Vendola ha consigliato al premier di concentrarsi occuparsi dei problemi del Paese reale e dei suoi cittadini, se ne fosse capace". Secondo il capogruppo alla Camera dell’Italia dei valori, Massimo Donadi, "le offese al Parlamento sono l’anticamera del regime. Ci appelliamo al presidente della Repubblica ed ai presidenti di Camera e Senato affinché intervengano per difendere le istituzioni, umiliate dalle parole del capo del governo".

Giustizia: il premier smemorato... si ricorda della magistratura

 

www.radiocarcere.com, 22 maggio 2009

 

L’ormai famosa motivazione della "sentenza Mills" almeno un effetto lo ha prodotto. Il Presidente del Consiglio, infatti, si è ricordato che la nostra Giustizia penale è in uno stato catatonico. Un Presidente "smemorato", che si ricorda della necessità di rendere efficiente un potere sovrano dello Stato solo quando gli interessa. Ovvero, solo quando la Giustizia lo coinvolge direttamente o indirettamente in un processo o in un’indagine. Come dire dalle leggi ad personam, siano passati ad una politica ad personam.

Non a caso mentre Berlusconi era imputato nel processo di Milano, quello di Mills, ovvero quando era imputato nel processo di Napoli, quello della intercettazioni osé, il Premier e il fidato Ghedini non perdevano occasione per fare dichiarazioni su un’imminente riforma del processo penale, delle intercettazioni, della separazione delle carriere e del Csm. Poi, fatto il Lodo Alfano, archiviato il processo di Napoli e distrutte le imbarazzanti intercettazioni, cessano d’incanto gli annunci di Berlusconi e un’assordante silenzio cala sulla necessità di una riforma seria della Giustizia. Al Premier non interessa più. La Giustizia penale non è più una sua priorità.

Oggi: il risveglio. Il deposito della motivazione per il processo Mills ricorda allo smemorato Premier che il Paese ha bisogno di una riforma del processo penale. Infatti Berlusconi, forte della ritrovata memoria, afferma: "lo stato della giustizia penale in Italia è patologica". Segue una promessa dal sapore stantio: "Metteremo tutto il nostro impegno nella riforma della giustizia penale e non ci fermeremo fino alla divisione delle carriere". Non c’è da stupirsi. Si tratta di un caso esemplare di uso personale delle prerogative democratiche.

Giustizia: Alfano e riforma Csm; i componenti estratti a sorte

di Liana Milella

 

La Repubblica, 22 maggio 2009

 

Pochi mesi, e la vita di giudici e pm cambierà radicalmente. Berlusconi aveva messo "in sonno" le leggi sulla giustizia. Il suo Guardasigilli Angelino Alfano sembrava missing, anche se i sondaggi, cosa che lo manda in visibilio, lo davano sempre ai vertici della classifica del gradimento popolare tra i ministri.

"In sonno" le intercettazioni, un testo reso accettabile da Giulia Bongiorno ma che Berlusconi odia, ma che è una stretta per le toghe; "in sonno" il ddl sul processo penale, che contiene almeno tre atout per i processi del premier, visto che si amplia a dismisura il potere delle difese (tutti i testi ammessi, come nel caso Mills), si rendono inutilizzabili le sentenze definitive in altri processi (vedi Mills, se non "muore" per prescrizione), diventa facilissimo ricusare i giudici (vedi Gandus).

E, in chiave anti-giudici, si rende autonoma la polizia giudiziaria. "In sonno" il processo civile. Un anno per approvare il pacchetto sicurezza con le norme antimafia care ad Alfano. Ma soprattutto "in sonno" le tante volte minacciate riforme costituzionali, separazione delle carriere di giudici e pm, con conseguente divisione in due del Csm. Le ragioni del "sonno" erano tre: non contrariare le toghe in attesa della sentenza Mills, attendere la Consulta sul lodo Alfano, da sempre prevista per l’autunno, evitare nuovi scontri sulla giustizia nella maggioranza dove la Lega e il gruppo dei finiani hanno già bloccato le intercettazioni e mostrato di rifiutare norme smaccatamente anti-toghe e pro-Silvio.

Ora lo scenario cambia. Alfano si attivizza. Nicolò Ghedini (l’avvocato-consigliere del premier) fa altrettanto. Berlusconi dice a entrambi: "Fate presto e fate leggi che siano veramente utili". C’è chi lo descrive deluso per l’esito del lodo Alfano, e memore delle altre leggi ad personam rivelatesi un flop (rogatorie, Cirami, lodo Schifani).

Ecco le prossime mosse. Le ha illustrate lo stesso Alfano quando, mercoledì sera alla Camera, ha convocato una ventina tra deputati e senatori con responsabilità per la giustizia. "Dobbiamo accelerare al massimo l’iter delle leggi, approvarle entro luglio. Poi, fatto il quadro, come abbiamo sempre detto, io presenterò la cornice". Cioè le riforme costituzionali. Luglio, forse settembre. Leggi per cui servono almeno due anni per la conversione. Ma intanto lui prepara una nuova legge elettorale del Csm: saranno estratti a sorte un centinaio di toghe tra cui i magistrati voteranno chi mandare al Consiglio. Un modo, secondo Alfano, per stroncare le correnti. Odioso per i giudici.

Ma è la dinamica parlamentare che suscita più di una protesta. Come quella di Angela Napoli (ex An), che era presente: "Non sarò un deputato che alza la mano e la abbassa a comando. Voglio discutere tutti i testi". Raccontano che più d’uno, come il presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli, abbia detto: "Ma così si espropriano le Camere". Ma ufficialmente Berselli condivide tutto.

Che propone Alfano per accelerare? Richiamare la maggioranza all’obbedienza sui testi approvati dal governo. Costituire task force di esperti delle due Camere per discutere le modifiche che poi valgono nei due rami. Evitare che un testo, già discusso in una Camera, sia modificato nell’altra. In concreto? I ddl sulle intercettazioni e sul processo penale.

Il primo è stato delibato alla Camera per un anno, il governo ha messo la fiducia. Alfano vuole che al Senato resti com’è. La lettura "pesante" è fatta. Ne basta una "leggera". All’inverso per il ddl penale. Lo discuterà in modo "pesante" il Senato, la Camera "alla leggera". La Pd Donatella Ferranti, quando le raccontano la faccenda, esplode: "Berlusconi sta lavorando solo pro domo sua, smantella il meccanismo processuale voluto da Falcone, fa norme per salvare se stesso". Quindi la discussione "pesante" ci vuole.

Giustizia: Ucpi; urge riforma, ma non punitiva ma per Paese

 

Agi, 22 maggio 2009

 

"La riforma della giustizia va fatta al più presto, non per ragioni punitive, ma perché il Paese ne ha urgente bisogno". Questa la posizione del Presidente dell’Unione delle Camere Penali italiane Oreste Dominioni, in seguito alle parole del premier Silvio Berlusconi all’assemblea annuale di Confindustria relative alla necessità di riforma della giustizia.

"Da tempo - segnala Dominioni - l’Unione delle Camere Penali Italiane manifesta le più profonde preoccupazioni per l’oblio in cui, dopo tanto discutere, è caduta la riforma organica della giustizia. Oggi il Presidente del Consiglio la rilancia all’Assemblea di Confindustria, che ne condivide finalmente la necessità".

I penalisti chiedono la separazione delle carriere, la riforma del Csm, una nuova disciplina dell’azione penale, nonché un "drastico" ridimensionamento dei magistrati che, "fuori ruolo, operano nelle istituzione politiche con un potere esorbitante", oltre a una riforma dei codici e alla razionalizzazione delle risorse: "questioni - sottolinea Dominioni - che vanno seriamente e tempestivamente rimesse all’ordine del giorno, per definire e deliberare un nuovo sistema Giustizia che dia al Paese una giustizia finalmente giusta e efficiente".

Le Camere penali confermano dunque la propria volontà di "contribuire nel modo più consapevole a questa grande riforma, in un confronto costruttivo, ma non dispersivo né subalterno a chi ancora pervicacemente vi si oppone". Per Dominioni, "è da auspicare con forza che la politica affermi il proprio ruolo e il proprio dovere nel rinnovamento di una fondamentale realtà istituzionale e sociale".

Giustizia: come districarsi nella "giungla" del Diritto penale…

di Nicola Saracino

 

www.radiocarcere.com, 22 maggio 2009

 

Di solito s’invoca la drastica cura dimagrante del sistema penale, ormai ipertrofico, per arginare l’inefficacia dell’attività repressiva visto l’inevitabile ingolfamento delle aule di giustizia, la lentezza dei troppi processi e, principalmente, la sostanziale impunità per gli autori dei reati. Un sistema penale inefficiente penalizza soprattutto gli innocenti sottoposti ad un processo troppo lungo e, di per sé, mortificante.

A ben vedere, l’esorbitante numero dei reati preclude la stessa riconoscibilità da parte dei cittadini dell’area dei comportamenti "off limits", di quelli, cioè, ai quali è riservata la più grave sanzione prevista dall’ordinamento, alla cui applicazione si perviene attraverso la procedura maggiormente garantita e, per questo motivo, complessa e costosa: la pena criminale.

La dottrina tradizionale spiega che, per giustificare la punizione, non serve che il cittadino conosca effettivamente la norma incriminatrice, che sia cioè consapevole della illiceità penale della sua condotta, essendo invece sufficiente, ai fini del rimprovero, l’astratta conoscibilità della legge, tanto più realizzabile quanto più i fatti selezionati dal legislatore come meritevoli di sanzione penale mirano alla tutela dei valori della convivenza civile largamente percepiti come tali nella società.

Questo presuppone che il ricorso alla sanzione penale sia limitato alle sole ipotesi realmente aggressive di quei valori affinché nessuno possa allegare, a propria discolpa, di non essersi reso conto di aver fatto "qualcosa di male".

Così come qualsiasi diversa entità, se inflazionata, perde valore, allo stesso modo l’eccesso nella penalizzazione delle condotte, che offendono o espongono a rischio valori non propriamente percepiti come essenziali dalla collettività, rende evanescente ed impalpabile quel rapporto psicologico tra l’autore del reato e la legge e quindi attutisce la stessa percezione della gravità della pena criminale, in sé.

Se l’astratta conoscibilità della legge, cioè la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, diviene il pretesto formale per giustificare l’ansia di punizione dello Stato, si finisce per assegnare al processo penale compiti che non può sopportare e si infliggono ai cittadini i costi, economici ma soprattutto umani, collegati all’assunzione della veste di "imputato".

Quello liberale delle leggi "poche, chiare ed essenziali" è presto divenuto un mito considerato irrealizzabile, finendo per legittimare l’opposto estremo del "panpenalismo", mascherante l’incapacità dello Stato di far rispettare le leggi per mezzo del suo apparato amministrativo. In fondo, l’esagerato numero dei reati suona, alla fine, come confessione d’impotenza e serve a scaricare sulla giurisdizione penale responsabilità che non le competono.

Al contempo è atteggiamento profondamente oppressivo nei confronti dei cittadini, minacciati dalla più grave delle sanzioni e processati penalmente anche per violazioni di secondo piano. La proliferazione delle leggi penali, infine, compromette la certezza del diritto perché un sistema normativo smisurato e caotico favorisce i contrasti giurisprudenziali e disorienta l’opinione pubblica.

Giustizia: l'attività disciplinare del Csm; 33 condanne nel 2008

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

In seguito alla riforma dell’Ordinamento Giudiziario che ha reso obbligatoria l’azione disciplinare, la competente Sezione del Consiglio Superiore della Magistratura ha dovuto far fronte negli ultimi anni ad un inevitabile incremento del contenzioso ordinario e a procedure cautelari di trasferimento di sede e/o di ufficio, le cui richieste urgenti la legge attribuisce alla iniziativa sia del Ministro Guardasigilli sia del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.

Al rilevante incremento dei procedimenti disciplinari sopravvenuti, la Sezione ha fatto fronte con le udienze ordinarie, a cadenza settimanale, e con numerose udienze straordinarie. Nell’anno 2007 sono state emesse 21 sentenze di condanna, di cui 10 ammonimenti, 5 censure, 5 perdite di anzianità, una perdita di anzianità con trasferimento d’ufficio. Nello stesso anno sono stati emessi 6 provvedimenti cautelari, di cui una sospensione obbligatoria, una sospensione facoltativa, 4 trasferimenti d’ufficio.

Nel corso del 2008 le sentenze di condanna sono state 33, di cui 11 ammonimenti, 7 censure, 3 censure con trasferimento d’ufficio, 6 perdite di anzianità, 2 perdite di anzianità con trasferimento d’ufficio, 1 incapacità ad esercitare funzioni direttive o semidirettive, 3 rimozioni. Nello stesso periodo sono stati emessi 7 provvedimenti cautelari, di cui 4 sospensioni facoltative e 3 trasferimenti d’ufficio. Nell’anno in corso, fino al 21 maggio erano state emesse 19 sentenze di condanna, di cui 3 ammonimenti, 11 censure e 5 perdite di anzianità. Nello stesso periodo i provvedimenti cautelari sono stati 6, di cui 4 sospensioni facoltative e 2 trasferimenti d’ufficio.

Giustizia: psicologi penitenziari; ridotti ancora gli orari di lavoro 

 

Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2009

 

Si riducono ulteriormente gli orari di lavoro degli psicologi ex art. 80 nelle carceri. Denuncia del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e del Presidente dell’ordine degli psicologi del Lazio Marialori Zaccaria.

Dopo la riduzione dei mesi scorsi, si è ulteriormente contratta l’attività degli psicologi - ex art. 80 che non sono stati fatti passare al S.S.N. ma sono stati trattenuti dal Ministero della Giustizia - nelle carceri. E questo nonostante il fatto che il ritmo di crescita del numero detenuti imponga, invece, di rafforzare l’assistenza e l’osservazione psicologica per evitare casi drammatici.

La denuncia è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e del presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio Marialori Zaccaria. "Occorre riflettere attentamente su un dato - hanno detto - nelle carceri del Lazio da gennaio ad aprile 2009 ci sono stati 6 decessi, in media 1,5 al mese: si tratta di tre suicidi, uno nel carcere di Velletri, uno in quello di Viterbo e uno nel C.I.E. di Ponte Galeria, un decesso per malattia, a Viterbo, e tre morti ancora da accertare".

La riduzione si attesterebbe, in media, fra il 25 e il 30% dell’orario di lavoro e sarebbe causata da una riduzione dei budget assegnati dal Ministero di Giustizia. Riduzioni si segnalano in tutte le carceri del Lazio: da Viterbo (dove a fronte di circa 700 detenuti gli psicologi hanno a disposizione 36 ore mensili) a Latina fino agli istituti della capitale. Nel carcere di Frosinone sarebbero rimaste a disposizione degli psicologi 26 ore di attività mensile a fronte di una popolazione di 450 detenuti. A Regina Coeli la riduzione è del 30%: i 7 psicologi dell’osservazione hanno ora 15 ore mensili di lavoro. Quelli che occupano di "nuovi giunti" hanno, ognuno, 40 ore mensili. Il tutto per un compenso pari a 17 euro lordi l’ora.

Nelle carceri italiane lavorano circa 480 psicologi, i quali si occupano dell’assistenza ai "nuovi giunti" fino alle relazioni necessarie per ottenere le misure alternative alla detenzione. "30 minuti l’anno per ciascun detenuto - denuncia il coordinamento nazionale degli psicologi penitenziari ex art. 80 - questo è il tempo concesso per l’osservazione scientifica della personalità, il trattamento, la valutazione comportamentale dei detenuti. Risparmiare sui detenuti non irrita l’opinione pubblica… le scandalose conseguenze sì".

"Lo psicologo svolge un lavoro cruciale - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - ed è purtroppo vera l’affermazione che in carcere molte vite umane, quelle delle persone più fragili come i tossicodipendenti o i malati di mente in particolare, dipendono dagli psicologi soprattutto. Un lavoro che, con queste riduzioni di orari, viene seriamente messo in discussione in un momento particolarmente difficile come quello attuale, dove il ritmo di crescita mensile della popolazione carceraria pone tutto il sistema in una situazione di perenne emergenza. D’accordo con l’Ordine degli Psicologi del Lazio stiamo valutando l’opportunità di agire direttamente sul Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per evitare una simile sciagura".

"Questi numeri ci preoccupano - ha affermato il Presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio Marialori Zaccaria - è addirittura paradossale che nonostante i reiterati appelli da parte dell’Ordine, insieme al Garante, per aumentare il numero delle ore di lavoro degli psicologi nelle carceri, palesemente insufficienti per garantire un ascolto ed un sostegno efficace, si debba oggi constatare una riduzione ulteriore rispetto agli attuali 12 minuti al mese per detenuto. Si raffigura ancora una pesante sottovalutazione dell’importanza dello psicologo, in un contesto di detenzione divenuto sempre più complesso per la presenza maggioritaria di immigrati e di tossicodipendenti - vera emergenza nel Lazio - a cui è urgente, invece, rispondere migliorando la qualità e la quantità dell’offerta dell’aiuto psicologico".

Giustizia: sindacati Pol. Penitenziaria; sit-in protesta, il 4 giugno

 

Agi, 22 maggio 2009

 

Un sit-in davanti al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e l’astensione dei poliziotti penitenziari dalla mensa di servizio in tutti gli istituti d’Italia. È quanto annunciano per il prossimo 4 giugno, definito il polpen day, i segretari generali dei sindacati Sappe, Osapp, Uil Pa Penitenziari, Cisl Fns, Cgil Fp Pp e Ussp per l’Ugl.

"Ancora una volta - sottolineano le organizzazioni sindacali in una nota congiunta - dobbiamo chiamare alla mobilitazione il personale di polizia penitenziaria. La situazione diventa ogni giorno sempre più critica ed insostenibile. Alle penalizzanti condizioni di lavoro, rese spesso in ambienti insalubri ed insicuri, il personale è costretto a subire la negazione delle ferie e dei riposi settimanali.

Aumentano i carichi di lavoro e le responsabilità, ma si assottigliano gli stipendi per gli emolumenti non pagati". In questi giorni, aggiungono i sindacati di polizia penitenziaria "abbiamo sfondato anche quota 63mila detenuti: non ci sono spazi materiali dove allocare i detenuti e, non a caso, cominciano le prime, rumorose proteste.

Al personale si chiedono turni impossibili con il ricorso al lavoro straordinario, che poi non viene pagato e gli si nega ferie e riposi. La misura è colma e la pazienza esaurita. La manifestazione del 4 giugno è solo l’inizio di un percorso di dura contestazione". I sindacati hanno chiesto al Guardasigilli Alfano, di essere convocati per riprendere il confronto sulle criticità del sistema penitenziario: "forse il ministro Alfano è troppo impegnato nella campagna elettorale per poter riservare tempo ed attenzione ai problemi del sistema carcere - affermano i responsabili sindacali della polizia penitenziaria - nel mentre negli istituti penitenziari si affermano quotidianamente condizioni di lavoro illegali e si fa strame del diritto; gli agenti penitenziari sono oggetto di continue aggressioni e le condizioni detentive offendono la dignità e la civiltà.

Tutto ciò con un Capo del Dap praticamente assente e che limita gli interventi verbali solo alle sporadiche apparizioni in periferia. Manca, di fatto, un interlocutore affidabile e credibile. Se il ministro Alfano pensa di poter rinviare sine die il confronto dovrà assumersi per intero il peso e la responsabilità di tale decisione. Noi - concludono - continueremo la nostra mobilitazione in difesa dei diritti del personale e per un sistema penitenziario rispondente a canoni di civiltà".

Giustizia: l’Osapp; politica di annullamento dei compiti sindacali

 

Agi, 22 maggio 2009

 

L’organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria, per voce del segretario generale Leo Beneduci, riferisce come nel Paese si stia attuando una politica di costante annullamento delle prerogative sindacali, a danno di quelle organizzazioni che rappresentano i diritti degli appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria (Sappe, Osapp, Uil Pa Pen., Cisl Fns e Cgil Fp).

"Tutto è iniziato - spiega Beneduci - con la campagna che il dottor Ionta, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha inteso intraprendere per spiegare le ragioni del suo incarico quale commissario straordinario all’edilizia carceraria". Ancora 5 giorni fa le maggiori rappresentanze tra cui anche Sappe, Uil, Cisl Cgil, a seguito della visita di Ionta in Sardegna, indirizzavano congiuntamente una lettera di protesta al ministro della Giustizia con la quale denunciavano "una sostanziale scorrettezza del capo del Dap nel rapportarsi con le segreterie nazionali".

"Annunciare - diceva la lettera - politiche di trasformazione della realtà penitenziaria come l’impiego delle donne nelle sezioni maschili o la riduzione delle scorte o, peggio, affermare l’illegittimità dei compiti esterni assegnati alla polizia penitenziaria, l’affidamento ad altre forze di polizia delle traduzioni degli arrestati, la soppressione dell’ente di assistenza e del servizio navale, senza per questo consultare le segreterie nazionali, rappresenta- lamentavano i sindacati- un malcelato tentativo di delegittimazione di quelle stesse rappresentanze che si vogliono bypassare".

Di comune accordo e sempre nella stessa richiesta al Guardasigilli le organizzazioni chiedevano i motivi di una sostanziale disattenzione verso questioni, comunque sollecitate al capo dipartimento, e che lo stesso stava distorcendo con un campagna di propaganda a livello locale.

Dopo la messa a punto del Piano carceri e l’ipotesi sbalorditiva delle carceri galleggianti, o la possibilità di prevedere che i detenuti siano impiegati per opere secondarie e non principali (idea che nel piano stesso riguarda essenzialmente 46 padiglioni e 22 nuovi istituti) il confronto si è inasprito ulteriormente. Le critiche al Piano presentato al ministro Alfano sono state massicce, da parte dell’Osapp che ha evidenziato l’assenza di qualsiasi riferimento al personale nuovo da assumere, e da parte degli stessi sindacati confederali che lo hanno definito "comunque inadeguato".

Dopo il rifiuto reiterato del capo del Dap affinché certe problematiche fossero discusse in seduta plenaria, i sindacati hanno indetto lo stato di agitazione, che culminerà con una manifestazione prevista per il 17 giungo prossimo, in concomitanza con le celebrazioni della festa del Corpo, mentre in Triveneto le sigle scenderanno in piazza già il 22 di questo mese, per protestare davanti la casa di reclusione di Padova.

Già ieri, invece, nella sede romana del Provveditorato regionale del Lazio, le stesse Oo.Ss. hanno consegnato un documento di disapprovazione a Ionta dopodiché tutte, tranne due, hanno abbandonato la riunione senza alcun confronto con l’autorità centrale.

"È brutto dimostrarsi ostili ben oltre i demeriti - spiega il leader dell’Osapp - soprattutto quando, riferendosi a Ionta, le responsabilità del disastro sono solo in parte le proprie. Però c’è chi percepisce somme ingenti proprio per assorbire anche le responsabilità altrui e l’avere concepito la figura del Commissario straordinario, più una figura irraggiungibile che strumento di una possibile soluzione al sovraffollamento, può anche essere considerata un’aggravante, comunque grave".

Giustizia: Idv; più soldi per nuove carceri e aumento di personale

 

Agi, 22 maggio 2009

 

"Condividiamo l’allarme lanciato dalla Uil-Pa Penitenziari e li invitiamo ad un incontro con il presidente Di Pietro per cercare insieme di risolvere il problema. Sin dall’inizio della legislatura abbiamo prestato molta attenzione alla situazione delle carceri, proponendo più volte nelle diverse sedi un nuovo piano di edilizia carceraria, vero e non fasullo come quello del governo, ed il riordino delle carriere".

Lo affermano il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, Massimo Donadi, ed il capogruppo in commissione Lavoro, Giovanni Paladini. "Servono più soldi - aggiungono - per costruire nuove carceri, evitando così che a qualcuno venga in mente di fare un nuovo indulto, e più soldi per assumere nuovo personale carcerario e pagare gli straordinari a quello in servizio. Questi sono i due pilastri della nostra proposta che da mesi cerchiamo di portare avanti in Parlamento. Il taglio complessivo al comparto sicurezza e difesa di tre miliardi in tre anni ed il falso piano di edilizia carceraria del governo hanno peggiorato una situazione già compromessa".

Giustizia: Udc; investire sui progetti di formazione dei detenuti

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

Un "progetto di formazione per i detenuti, che finalizzi l’apprendimento di un mestiere a interventi di manutenzione dello stesso carcere". È quanto chiede il presidente vicario dei deputati dell’Udc, onorevole Michele Vietti, che questa mattina ha fatto visita all’istituto penitenziario di Torino.

Accompagnato dal direttore del carcere, Pietro Buffa, l’onorevole Vietti ha constatato in alcuni reparti non solo un sovraffollamento che ha ormai superato il livello di guardia, ma anche gli effetti della mancanza di manutenzione dovuta alla carenza di fondi. "Occorre coinvolgere enti locali e fondazioni - è l’idea di Vietti - in un progetto di formazione per i detenuti che finalizzi l’apprendimento di un mestiere ad interventi di manutenzione dello stesso carcere. Un carcere inattivo è anche un luogo in cui si accumulano tensioni. Aiutare i detenuti a lavorare, migliorando al tempo stesso le strutture di cui sono ospiti, aiuta il reinserimento e rende il carcere più gestibile".

Giustizia: funzionari Pol. Penitenziaria; transitare in altre Polizie

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

L’Anfap, Associazione nazionale di categoria dei Funzionari di Polizia Penitenziaria, ha chiesto al Ministro della Giustizia di farsi promotore di tutte le iniziative legislative necessarie a consentire il transito, a domanda, dei Funzionari di Polizia Penitenziaria nelle altre Forze di Polizia dello Stato.

A distanza di ben nove anni dalle sperequazioni di trattamento, economiche e giuridiche, che penalizzano i ruoli direttivi della Polizia Penitenziaria, l’alta dirigenza amministrativa del Dap dichiara espressamente di non essere intenzionata a sostenere il varo dei provvedimenti indispensabili per determinare il riallineamento dei Funzionari del Corpo ai ruoli direttivi della Polizia di Stato e del Corpo Forestale dello Stato.

Tale realtà, oltre che a frustrare la dignità dei Funzionari della Polizia Penitenziaria, ad oggi privi di "funzioni" nei contesti lavorativi di competenza (Reparti e Nuclei), danneggia tutti i ruoli del Corpo, mortificando professionalità e dignità di status di quarantacinquemila poliziotti penitenziari, costretti a vedere i propri vertici in divisa collocati in un’assurda condizione di inferiorità rispetto agli omologhi di tutte le altre Forze di Polizia, per le personali convinzioni di qualcuno.

Lettere: scritti per Riccardo Arena, il direttore di Radio Carcere

 

www.radiocarcere.com, 22 maggio 2009

 

Noi detenuti a Foggia e abbandonati. Cara Radiocarcere, Ti scriviamo dal carcere di Foggia, che è ormai diventato invivibile. Passiamo quasi tutto il tempo della giornata chiusi in cella e il nostro unico svago è fare l’ora d’aria in un cortiletto talmente piccolo che non c’è lo spazio neanche per camminare. Restiamo lì fermi gomito a gomito a guardare il cielo. Una scena surreale.

Le docce sono sempre fredde, il vitto è uno schifo e siamo costretti a stare in tre detenuti dentro celle piccolissime. Celle che nel bagnetto non hanno neanche il bidè e puoi immaginare le conseguenze! Per non parlare del momento in cui facciamo il colloquio con le nostre famiglie! Pensa che ci chiamano alle 8.30 e ci fanno incontrare i nostri familiari alle 11.30, giusto in tempo per fare un’oretta di colloquio.

Il rispetto della salute qui nel carcere di Foggia è un optional, infatti se abbiamo bisogno di qualche medicina siamo costretti a comprarcela con i nostri soldi e qui non tutti si possono permettere certe spese! Insomma in questo carcere viviamo solo di abbandono e di disperazione. Non a caso di recente un nostro compagno non ce l’ha più fatta e si è impiccato. Vi salutiamo con tanta stima e affetto e forza Radiocarcere!

 

Un gruppo di detenuti del carcere di Foggia

 

Il direttore del carcere di Civitavecchia. Caro Arena, in riferimento all’articolo "Muore il figlio di un detenuto, lo informano 11 giorni dopo", pubblicato sulla pagina di Radiocarcere il 6 maggio scorso, tengo a precisare che il ritardo con cui Jan, detenuto nell’istituto da me diretto, ha saputo della morte del figlio non è attribuibile alla direzione della Casa circondariale di Civitavecchia. L’increscioso episodio è infatti stato causato dal fatto che la direzione della Casa Circondariale di Civitavecchia non è stata prontamente avvisata del decesso del figlio di Jan sia da parte dei familiari che delle istituzioni preposte. Infatti Jan ha saputo undici giorni dopo della morte del figlio solo quando i fratelli giunti dall’estero gli hanno comunicato la triste notizia. Ci tengo anche a precisare che, appena saputo della morte del figlio di Jan, tutto il personale della Casa circondariale di Civitavecchia si è attivato per fornire a Jan l’assistenza sanitaria e il supporto psicologico necessario. Inoltre, abbiamo immediatamente organizzato il trasporto di Jan presso il cimitero di Prima Porta, al fine di consentirgli di assistere alla cremazione del figlio. Distinti saluti.

 

Giuseppe Tressanti, direttore del carcere di Civitavecchia

Veneto: "pronte ad esplodere", la lunga estate calda delle carceri

 

Il Mattino di Padova, 22 maggio 2009

 

Felice Bocchino è un napoletano di mondo, conosce gli uomini e le loro stagioni, sa che le rivolte carcerarie d’estate prendono come i raffreddori d’inverno. E questo maggio fa già caldo. Dice che non è il caso di allarmarsi, ma aggiunge anche che, a parte il caldo, nelle carceri il personale di sorveglianza - e lui è Provveditore degli istituti di pena del Triveneto - non ha tanti modi per individuare lo scoppio di una protesta.

"Con i detenuti italiani il sistema di premi e punizioni bene o male funziona, ma cosa ne sappiamo degli stranieri che nemmeno capiscono la nostra lingua". Con un eccesso di oltre 500 detenuti sulla capienza regolamentare, la situazione delle carceri in Veneto è "esplosiva". Lo dice rassegnato, come constatasse la normalità.

"In Veneto la capienza regolamentare è di 1706 uomini e di 200 donne, per complessive 1900 unità: in realtà oggi ne abbiamo 3.100. Se consideriamo che Verona ha 900 detenuti, la situazione è oggettivamente esplosiva". Per il provveditore, si è superata la soglia del tollerabile: "dove c’è capienza regolamentare di 96 individui, possiamo ospitarne 110, ma, se arrivano a 150, diventa grave".

Il problema è nazionale: "Al varo dell’indulto, a fronte di una ricettività di 43mila posti letto, il sistema carcerario nazionale ospitava 61.372 detenuti ma oggi in Italia sono state superate le 62mila presenze, quindi ci sono oltre 20mila presenze in più". Edilizia carceraria è la parola d’ordine del governo, ma le carceri non crescono come i funghi. Trento avrà il suo nuovo istituto di pena nel marzo del 2010, Rovigo a inizio 2011, l’istituto circondariale di Padova non sarà pronto che tra due anni. "E intanto che facciano noi?" chiede il provveditore.

"Con le carceri ci siamo comportati come certi universitari pigri che non fanno niente per quattro anni e poi credono di mettersi in pari all’ultima sessione. Abbiamo davanti 3-4 anni di stress crescente". "I soldi sono quelli che sono, la Finanziaria l’hanno fatta in un certo modo e noi ci dobbiamo arrangiare - spiega Bocchino - ora si parla di navi penitenziario ma io intanto non so più dove trasferire i detenuti.

E del resto non c’è da sorprendersi se si non si fa altro che arrestare, mettere dentro il graffitaro, incarcerare l’autore di oltraggio; se andranno dentro anche quelli che commettono il reato di clandestinità, sarà difficile trovare posto in cella". I numeri di Bocchino certificano quanto sia stato breve il sollievo fornito dall’indulto al sistema penitenziario italiano e come sia brusco il risveglio.

"L’indulto aveva un senso se accompagnato a delle riforme di struttura. Così non è stato e siamo da capo a dodici. Anzi, ci troviamo con meno celle di quelle che avevamo prima perché, sull’onda dell’esodo, dismettevamo posti che per carità meritavano di essere dismessi, ma senza pensare che tra poco saremo stati nelle condizioni di prima. Va detto che il grosso delle carceri italiane è ospitato in edifici che risalgono al 1600-1700".

Padova: protesta degli agenti; in 120, a sorvegliare 800 detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 22 maggio 2009

 

Al Due Palazzi, dove è in corso il convegno "Meglio prevenire che imprigionare", si presentano con striscioni, trombe e altoparlanti: "Con il Piano carceri istituti trasformati in magazzini dove si accatasta carne umana".

A pochi giorni dalla protesta dei detenuti, ora sono gli agenti della polizia penitenziaria padovana a urlare la propria rabbia per le condizioni definite "disumane" in cui si vive nella casa di reclusione Due Palazzi. Impossibilitati per legge a scioperare, gli agenti fuori servizio si sono ritrovati con striscioni, trombe e altoparlanti davanti all’istituto di pena che ospita oggi il convegno "Meglio prevenire che imprigionare" organizzato da Ristretti Orizzonti. L’accusa è di non consentire a causa del sotto-organico la tutela della sicurezza dei detenuti, della popolazione civile e degli agenti stessi, bersaglio spesso della rabbia dei reclusi. E in vista dell’estate è atteso un peggioramento della situazione.

A fronte di una capienza regolamentare di circa 350 posti, attualmente i detenuti della casa di reclusione sono circa 800. Per far fronte a queste presenze in eccesso è stata da qualche giorno aggiunta la terza branda in celle concepite come monoposto ma già occupate da due persone. "Con il terzo letto si raggiungerà in pochi giorni la quota di mille detenuti" si legge in un comunicato sindacale che riunisce le sigle Sappe, Uil-Pa, Osapp e Sinappe. Il tutto con un numero insufficiente di agenti: se fosse rispettata la capienza regolamentare del carcere, gli agenti dovrebbero essere sulla carta 430, mentre la realtà è che sono in 120 a sorvegliare ottocento detenuti.

"Non ci consentono di fare il nostro lavoro - accusa Giovanni Vona, segretario provinciale Osapp -. Ora che sta arrivando il caldo c’è il rischio concreto che tutto peggiori: dovremo aumentare le traduzioni agli ospedali per gli inevitabili malori e chi vorrà tentare di fuggire potrà farlo. Ricordo che qui non abbiamo delinquenti qualunque, ma esponenti di spicco di mafia e camorra, per fare degli esempi. Come possiamo tutelare la società civile in questo modo?". Ciò che si recrimina poi allo stato è di voler trasformare con il piano carceri gli istituti "in magazzini in cui si accatasta carne umana".

E il segretario nazionale Sinappe Antonio Guadalupi rincara la dose: "Si prevedono più carceri, ma allo stesso tempo non si preventiva un aumento degli agenti e questo peggiora solo la situazione. Noi vogliamo fare il nostro lavoro, garantire sicurezza e stiamo lottando contro la direzione che ci toglie le ferie, ci costringe a straordinari mal pagati... non ci difende nessuno". La protesta degli agenti continuerà per una settimana estendendosi anche a livello nazionale e si abbinerà alla parallela protesta dei detenuti che già la scorsa settimana hanno intrapreso lo sciopero del carrello.

Venezia: dietro le sbarre situazione pesante, scabbia e proteste

di Nadia De Lazzari

 

La Nuova di Venezia, 22 maggio 2009

 

Casi di scabbia e di infezioni virali, sovraffollamento (310 detenuti, il triplo della capienza), carenze di organico e di fondi a Santa Maria Maggiore. Parla di tutti i problemi il Provveditore per i penitenziari del Triveneto Felice Bocchino: "L’amministrazione penitenziaria ha subito un taglio pari a 133 milioni di euro. Se rispetto al fabbisogno di uno mi danno 0,20 è evidente che si crea una situazione di difficoltà. I soldi non s’inventano".

Intanto, l’attenzione e la tensione sono alte. Ieri, comunque, è finita la protesta pacifica dei detenuti nel carcere, oggi invece è iniziata la solidarietà concreta. La città si sta mobilitando dopo l’appello lanciato dalla direttrice Gabriella Straffi: "Offriteci dentifrici, spazzolini, saponi, carta igienica, stracci, detersivi, tute. Ne abbiamo estremo bisogno".

La Caritas donerà confezioni di shampoo; la parrocchia dei Frari stracci per pulire le celle; il laboratorio francescano di San Francesco della Vigna accessori per l’igiene. Il presidente del consiglio comunale Renato Boraso ha deciso di effettuare un sopralluogo. Il cappellano don Antonio Biancotto afferma: "È vero che la protesta si è conclusa ma l’attenzione deve rimanere alta e lo Stato deve dare risposte".

Il sacerdote sottolinea: "Ci hanno chiesto di provvedere all’igiene personale dei detenuti. Non ci tiriamo indietro, lo facciamo. Ma non è forse compito dello Stato provvedere a questi bisogni?". E prosegue: "Suppongo che i magistrati di sorveglianza possano preoccuparsi del clima sociale. Basterebbe dialogo, moderazione e coraggio da ogni parte. Bene la sicurezza sociale, male la giustizia sommaria, fomentatrice di risentimenti. Bisogna puntare alla rieducazione, al reinserimento dei detenuti. È un modo articolato e difficile per risolvere il problema ma è l’unico e costruire nuove carceri non funziona. Non si può blindare uno stato. Questa linea è comune a tutti i cappellani carcerari. Comprendiamo anche le motivazioni dei no global che hanno manifestato".

E Tommaso Cacciari risponde: "Sabato non c’eravamo, ma dialogheremo in modo responsabile col cappellano". In carcere la cooperativa Rio Terà dei Pensieri dà la possibilità di lavorare con laboratori di pelletteria, serigrafia, assemblaggio a 11 detenuti. Il presidente Giampietro D’Errico conferma la difficoltà di proseguire le attività: "Al di là della protesta pacifica e motivata, da mesi si avverte disagio che si riflette anche sul lavoro.

Il sovraffollamento, la riduzione dei fondi, la stretta sulla concessione dei benefici tolgono la speranza ai reclusi. La nostra attività di assemblaggio dava opportunità di lavoro a cinque persone. Ora solo a tre. Se a breve non troveremo commesse all’esterno i detenuti perderanno il lavoro".

Sulla stessa linea l’avvocato Marco Zanchi, che in questi mesi si è battuto per i diritti dei detenuti. "Sono stati privati dei più elementari diritti, salute, lavoro, riservatezza, dignità - afferma - basta dire che esiste una cella d’isolamento degna di un lager, quella dove si è suicidato un povero ragazzo, o che per una visita medica è necessario attendere mesi". Per l’avvocato, i detenuti stanno perdendo anche la speranza di poter usufruire di misure alternative "concesse ormai con il contagocce dal Tribunale di Sorveglianza".

E lancia un appello alla Camera penale, a cui appartiene, chiedendo un intervento, visto che fino ad ora "non si è mossa". Al coro si unisce la Funzione Pubblica Cgil che con un comunicato precisa: "È necessario un piano serio e credibile accompagnato da scelte politiche atte a superare alcune scelte legislative. Ora è emergenza". È esterrefatta e felice la direttrice Straffi per la solidarietà: "Passiamo per aguzzini ma non lo siamo. La situazione è esplosiva e convogliare la protesta in modo responsabile non è facile".

Savona: Sappe; il nuovo carcere che non arriva, Dap si vergogni

 

Adnkronos, 22 maggio 2009

 

"Se c’è una cosa di cui l’amministrazione penitenziaria dovrebbe davvero vergognarsi è l’incapacità di realizzare un nuovo carcere a Savona". È quanto afferma il Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che nella lettera inviata al ministro della Giustizia, Angelino Alfano ricorda: "Da troppo tempo, il carcere ‘Sant’Agostinò di Savona è oggetto di attenzione per la precarietà delle condizioni della struttura, come più volte denunciato da articoli di stampa. La stessa Commissione Giustizia del Senato in occasione di una visita agli istituti penitenziari della Liguria aveva constatato le penose condizioni della struttura, che creano condizioni difficile agibilità, in particolare con riferimento alla sicurezza, per i poliziotti penitenziari e di inaccettabile vivibilità per i reclusi".

Per il segretario del Sappe, Donato Capece "tutto ciò è semplicemente scandaloso". E chiede al guardasigilli di "accertare le responsabilità dei referenti regionali liguri dell’amministrazione penitenziaria in questa vicenda gestita non male, ma pessimamente. Piuttosto, si persegua la nostra ormai ventennale proposta, di realizzarne uno nuovo nelle aree Acna di Cengio. Ma si realizzi al più presto un nuovo carcere per Savona visto che quello attuale di Sant’Agostino è indecente per chi ci lavora e chi ci è ristretto".

Milano: 20 giorni senza fumo, a San Vittore la gara dei detenuti

 

Il Giorno, 22 maggio 2009

 

Una pregevole iniziativa messa in campo dalla Polisportiva nel carcere di San Vittore di Milano, con la collaborazione della provincia di Milano e Lecco e la Regione Lombardia. "Smetti di fumare e vinci in salute" non è il primo evento che la Polisportiva organizza nella Casa Circondariale milanese.

Dice il presidente Angelo Fontana: "Come Polisportiva siamo sempre impegnati ad organizzare eventi e momenti di solidarietà rivolti a situazioni di disagio sociale. Pertanto riteniamo giusto contribuire a concretizzare un percorso di reinserimento una volta scontata la pena". L’iniziativa è quella di portare i detenuti a non fumare in un ambiente chiuso per 20 giorni. Un periodo di astinenza dal fumo che porti a interrompere "una pratica nociva per la salute". La "gara" terminerà il prossimo 27 maggio e il 30 verrà effettuato il sorteggio per designare il vincitore. Il giorno successivo, in occasione della "Giornata mondiale senza fumo da sigaretta", alle 11, presso la casa Circondariale di san Vittore, saranno premiati i vincitori per i quali la direzione ha messo a disposizione "l’opportunità di potere svolgere un’attività lavorativa retribuita". Un’altra volta la Polisportiva è riuscita ad organizzare un evento che vede il coinvolgimento di un considerevole numero di ospiti del carcere milanese e che ha coinvolto anche le Istituzioni.

Termina il presidente Angelo Fontana: "Proporre questa iniziativa a persone che sono costrette a vivere in un ambiente chiuso e caratterizzato da vincoli e regole da osservare, come una gara per astenersi dal fumo per venti giorni, è una sfida che pensiamo possa avere degli ottimi risultati". Al termine della gara la Polisportiva metterà a disposizione il materiale per la sistemazione degli intonaci e dei pavimenti, per una manutenzione straordinaria, per una superficie di circa 12 mila mq.

Terni: nella Casa Circondariale due "appuntamenti" con lo sport

 

Comunicato stampa, 22 maggio 2009

 

Maggio fitto di manifestazioni sportive nella Casa Circondariale di Terni. I cancelli del carcere si apriranno per poter provare l’emozione di un momento di libertà. Due sono gli appuntamenti previsti: il 25 si svolgerà con il patrocinio del Coni la settima edizione di "Vivi lo Sport" con il calcio giocato; il 31 si terrà "Vivi Città", manifestazione podistica amatoriale, nell’ambito di una iniziativa internazionale.

Lunedì 25 maggio alle ore 9.30, nel campo di calcio dell’istituto penitenziario si affronteranno due squadre rappresentative dei detenuti selezionati tra gli oltre trecento presenti, dalle ex glorie rossoverdi Gianni Masiello e Nicola Traini. La partita di calcio è un’occasione importante e sentita dai detenuti che manifestano interesse per una attività trattamentale che si realizza all’aria aperta e che ormai è entrata tra gli appuntamenti fissi dell’istituto.

Domenica 31 maggio alle ore 10.00 si svolgerà la corsa podistica nell’intercinta della Casa Circondariale. Parteciperanno alla corsa atleti cittadini esterni e una rappresentanza selezionata di detenuti. La manifestazione "Vivi Città: primo l’ambiente" che si è già svolta in 34 città italiane, in 25 città nel mondo e in 20 istituti penitenziari ha visto la partecipazione nella nostra Città, di oltre 200 podisti. A queste si aggiunge quella ora programmata.

Lo sport per tutti, il rispetto per l’ambiente, la solidarietà, la pace, la convivenza civile e l’integrazione sociale, sono temi che da sempre sono al centro di questa manifestazione competitiva, aperta anche ai non agonisti. L’edizione del 2009 ha sottolineato con forza il bisogno impellente di dare concretamente una dimostrazione di come si rispetta l’ambiente e la vivibilità delle città, anche nelle gare sportive.

L’iniziativa appare costituire un forte momento di integrazione, di coinvolgimento della comunità nella realtà della detenzione e di apertura ai valori condivisi di fratellanza e della passione sportiva. Iniziative che sia aggiungono alle molteplici altre tutte orientate a rendere la vita in carcere "il più vicino possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera" (Regola n. 5 delle regole penitenziarie europee).

 

Uff. Stampa CC Terni

Perugia: "Umbria Jazz", primo concerto nel carcere di Capanne

 

Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2009

 

Nel pomeriggio del 10 luglio prossimo, le prime note di Umbria Jazz, risuoneranno in un ambiente insolito, la grande sala del carcere di Capanne, nella periferia di Perugia. Non è insolita la band, i Funk Off, che il pubblico di Umbria Jazz potrà vedere percorrere le strade del centro storico per tutta la durata del festival; di certo lo è l’audience, i detenuti del carcere perugino.

Ovviamente il concerto, organizzato in collaborazione tra il festival e la direzione del carcere, si svolgerà con tutte le misure di sicurezza previste in situazioni del genere. La scelta dei Funk Off, una delle band più divertenti e trascinanti di scena al festival, con la sua formula di marching band di New Orleans ma più moderna nella musica e spettacolare per teatralità, non è casuale. Si è voluto puntare su un pomeriggio, per quanto possibile, leggero.

Così spiega il progetto Dario Cecchini, il leader del gruppo: "Il rapporto tra i Funk Off e Umbria Jazz va avanti ormai da sei anni e quando ci è stata chiesta la disponibilità a suonare nel carcere di Perugia siamo subito stati entusiasti. Entusiasti e anche onorati del fatto che portare la nostra musica e la nostra energia all’interno del carcere non solo ci fa essere i testimoni del festival, ma ci dà anche modo di regalare un po’ della gioia e della magia a chi non può viverla per le strade e nei teatri di Perugia".

La musica nelle carceri è un evento non comune, ma in passato ha avuto, specialmente in America, precedenti rimasti leggendari, per esempio i concerti di Johnny Cash. Anche Umbria Jazz ha un precedente, che risale a circa 20 anni fa. Nel vecchio carcere perugino di Piazza Partigiani, nel cuore della città, oggi dismesso, si esibì il trio rock-jazz Bushrock, guidato dal tastierista Delmar Brown, uno dei pupilli di Gil Evans.

Firenze: la partita di calcio tra detenuti, giornalisti ed ex "viola"

 

Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2009

 

Domani alle ore 15 al Centro Tecnico di Coverciano si terrà un incontro di calcio tra una rappresentativa di detenuti di Sollicciano e semiliberi dell’Istituto a custodia attenuata Mario Gozzini ed una squadra composta da giornalisti ed ex giocatori viola (fra questi anche Desolati, Malusci, Galbiati, Amoruso), gli Amici del "S. Giuseppe". Diversamente dagli ultimi anni, in cui erano state organizzate manifestazioni all’interno del penitenziario fiorentino che avevano coinvolto vari personaggi del mondo dello sport toscano, si è voluto spostare all’esterno una iniziativa sportiva.

Varese: da 23 a 29 mostra su esperienze di "libertà" nel carcere

 

Varese News, 22 maggio 2009

 

L’iniziativa "Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere" è della Libera Associazione Forense. In programma dal 23 al 29 maggio.

Un luogo di "punizione", ma anche un’occasione per riconquistare la propria libertà. È con questo spirito che la Libera associazione forense (Laf) ha deciso di allestire dal 23 al 29 maggio una mostra fotografica al Palazzo di Giustizia di Varese dedicata al carcere e ai detenuti. "Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere" vuole documentare come nel mondo delle carceri sia concretamente possibile un sincero percorso di riconquista dell’umano che pareva definitivamente perduto.

"L’obiettivo di questa iniziativa - spiega l’avvocato Antonio Angelucci presidente Laf Varese - non è tanto quello di descrivere il sistema penitenziario italiano di rieducazione delle persona e repressione del reato. Vogliamo invece dare una testimonianza della possibile rinascita attraverso un’esperienza di libertà che nasce all’interno di ciascun individuo".

In un luogo quindi in cui tutto sembra finalizzato alla privazione della libertà, può nascere invece un percorso di riconquista dell’uomo. Testimonianza di questo sono le tante iniziative che anche nelle due Case circondariali varesine - Varese e Busto Arsizio - si susseguono: dai corsi di formazione professionale alla scuola, dagli incontri con gli studenti delle scuole superiori ai giornali realizzati in carcere.

La mostra - foto scattate in varie carceri italiani corredate da scritte che ne spiegano il significato - analizzerà il ruolo della detenzione nel nostro Paese a partire dalla Costituzione che concepisce la detenzione come un "percorso di redenzione" e il carcere come un luogo in cui "vigilando redimere". Oggi questa funzione rieducativa è spesso disattesa. La conseguenza diretta di questa mancanza è che nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri siano luoghi di recupero e redenzione.

La mostra - L’iniziativa si terrà dal 23 al 29 maggio al Tribunale di Varese, al piano terra, negli orari di apertura al pubblico (è possibile prenotare visite di gruppo. Su prenotazione, da lunedì a venerdì, orario esteso fino alle 17). Nella serata del 22 maggio, all’Auditorium comunale (ex Cinema Rivoli, via dei Bersaglieri, 3, angolo Via Dandolo), si terrà un incontro pubblico che presenterà l’iniziativa.

Dopo i saluti del dott. Emilio Curtò, Presidente del Tribunale di Varese, del dott. Maurizio Grigo, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese, e dell’ing. Luca Galli, Presidente della Fondazione per il Varesotto onlus, interverranno l’avv. Antonio Angelucci, Presidente della L.A.F. Varese, la dott.ssa Rossella Ferrazzi, Magistrato dell’Ufficio di Sorveglianza di Varese, Rita Gaeta, Responsabile Area Trattamentale presso il Carcere di Busto Arsizio, e il dott. Nicola Boscoletto, Presidente della Cooperativa Giotto di Padova. Modera il dott. Enrico Castelli, Vice Direttore Rai-Tg1.

L’invito a partecipare alla mostra è esteso a tutti e, in particolare, agli operatori del mondo giudiziario. La mostra è stata presentata al "Meeting dell’Amicizia dei Popoli", svoltosi lo scorso mese di Agosto, dove è stata visitata da ben oltre 60.000 persone. Nella versione itinerante è già stata esposta a Milano, Monza, Firenze e Siracusa.

L’iniziativa viene promossa dalla Libera Associazione Forense, con il patrocinio e il contributo dell’Ordine degli Avvocati di Varese, del Comune di Varese, della Fondazione Comunitaria del Varesotto onlus, del C.T.P. Varese, dell’I.S.I.S. Varese, del Centro Culturale Kolbe e del Nicora Garden s.a.s. di Gazzada.

Immigrazione: ricongiungimento anche senza un "posto fisso"

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 22 maggio 2009

 

Gli immigrati possono ricongiungersi con i figli minori, e quindi portarli in Italia, anche se non hanno un posto fisso. L’importante è che guadagnino onestamente, anche con lavoretti saltuari, l’importo annuo dell’assegno sociale.

Con una sentenza depositata ieri dalla prima sezione civile la Cassazione ha chiarito, fra l’altro, che le norme della Bossi-Fini, così come modificate dal d.lgs. 5 del 2007, vanno interpretate nel senso che la domanda di ricongiungimento familiare, in presenza dei requisiti di reddito, va accettata anche se nel frattempo i figli sono diventati maggiorenni.

L’articolo 29 del d.lgs. 286 del ‘98, ricordano i magistrati, prevede fra i requisiti per il ricongiungimento degli immigrati con i figli piccoli e adolescenti che lo straniero "sia titolare di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari".

Ora potrà portarsi in Italia la figlia un senegalese al quale il Questore di Lecco aveva rifiutato il nulla osta per il ricongiungimento familiare perché non aveva uno stabile lavoro in Italia ("per l’accertata mancanza - si legge in sentenza - di un contratto di lavoro della durata di almeno un anno"). L’uomo aveva impugnato il provvedimento di fronte al Tribunale di Milano e aveva vinto. Poi la decisione fu confermata dalla Corte d’Appello. Ieri la Cassazione ha chiuso il sipario sulla vicenda respingendo il ricorso del Ministero dell’Interno.

Immigrazione: a "maturità" preside chiede permesso soggiorno

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

La preside di un istituto superiore, a Padova, chiede a otto ragazzi immigrati di presentare il permesso di soggiorno in vista dell’esame di maturità. Un’iniziativa autonoma, nonostante il depennamento della norma dei presidi - spia dal ddl sicurezza. Insorgono i Cobas e l’associazione Razzismo Stop. Analogie con un altro caso a Genova

La norma dei presidi - spia è stata depennata dal ddl sicurezza (che peraltro non è ancora legge dello Stato), ma alla responsabile di un istituto superiore di Padova evidentemente non è bastato: la preside del professionale Da Vinci, Anna Bottaro, ha chiesto agli otto ragazzi immigrati delle classi quinte della sua scuola di presentare il permesso di soggiorno, in vista dell’esame di maturità. Un’iniziativa autonoma, secondo fonti dello stesso ufficio scolastico regionale del Veneto, dato che non esiste alcuna circolare ministeriale in proposito. Forse solo un eccesso di zelo, che però ha scatenato le proteste di alcuni insegnanti e le polemiche dei Cobas Scuola e dell’associazione Razzismo Stop, che sabato pomeriggio scenderanno in piazza a Padova per denunciare il rischio di una "caccia ai clandestini" anche nelle aule.

"La preside - ha detto oggi in una conferenza stampa Nicola Grigion, di Razzismo Stop - deve chiedere scusa agli studenti stranieri, e la scuola dovrebbe ritirare subito la circolare". In realtà i ragazzi, pur sorpresi dalla richiesta, pare abbiano già presentato alla direzione i loro permessi di soggiorno. A sollevare l’indignazione dei Cobas il fatto che circolare e nomi dei ragazzi sarebbero stati letti dagli insegnanti nelle classi frequentate dagli immigrati, violando così le norme più elementari sulla privacy.

Quello che dovrebbe sconvolgere un paese civile è il semplice fatto che la presunta "colpa" di questi studenti non si riferisce a qualcosa che hanno commesso, ma solo alla follia della legge Bossi - Fini che, al compimento del diciottesimo anno d’età, li trasforma in migranti irregolari. E il passo da "irregolari" a "presunti criminali" sarà ancora più breve quando il Senato approverà il pacchetto sicurezza del governo.

L’episodio di Padova richiama il caso recente di Genova, dove la preside degli Istituti Casaregis, Einaudi e Galilei di Genova aveva fatto scrivere sulle lavagne i cognomi agli alunni immigrati in procinto di diventare maggiorenni, e dunque nella possibilità di non poter più far valere il permesso di soggiorno per motivi di famiglia.

Ma Cobas e associazioni anti-razziste hanno pochi dubbi: "Nessuna normativa - ha spiegato Grigion - richiede il permesso di soggiorno per poter fare gli esami di maturità. Se era una preoccupazione della preside dell’istituto Da Vinci si è rivelata una discriminazione". Sul fatto che gli studenti immigrati vicini a compiere 18 anni si trovino in una situazione più a rischio - dovrebbero chiedere a questo punto il permesso di soggiorno per motivi di studio - Grigion cita una recente sentenza della Cassazione la quale affermerebbe che il diritto all’esame scolastico finale "anche per gli stranieri maggiorenni, deriva dalla loro iscrizione alla scuola".

Svizzera: meno semiliberi, grazie a "braccialetto" e lavori sociali

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

Dal 2003 i detenuti che scontano le pene con il regime di semiprigionia (di giorno lavoro fuori dalla struttura di pena, dove si fa rientro per la notte) nel carcere aperto di Torricella-Taverne continuano a diminuire. Ciò è essenzialmente dovuto a tre motivi: alla prosecuzione del progetto degli arresti domiciliari con sorveglianza elettronica (il cosiddetto "braccialetto", in pratica una cavigliera applicata al condannato, collegata al telefono, che ne limita gli spostamenti all’esterno), sia al boom che ha conosciuto il lavoro di utilità pubblica (Lup) ed in parte alla costante diminuzione delle pene di breve durata, sostituite dal Tribunale anche con pene pecuniarie e multe.

Messico: maxi-evasione di 53 detenuti con complicità degli agenti

 

Ansa, 22 maggio 2009

 

In meno di tre minuti 53 detenuti appartenenti al temibile clan narcos degli "Zetas" sono evasi da un carcere messicano. I filmati tratti dalle telecamere a circuito chiuso del penitenziario di Cieneguillas, nello stato di Sinaloa, mostrano come la fuga record sia avvenuta con la complicità degli agenti carcerari e di presunte forze di polizia. Ora le autorità messicane hanno messo una taglia per la cattura degli evasi.

Nelle immagini, il carcere appare come un luogo in cui i detenuti circolano liberamente, nell’indifferenza totale delle guardie. Di lì a poco, però, appare chiaro che non si tratta di un giorno qualunque: il video mostra infatti i prigionieri in attesa dell’arrivo di un gruppo di presunti poliziotti che, dopo aver finto un’irruzione ad armi spianate nel penitenziario, prelevano i detenuti e li fanno entrare nei veicoli in cui erano giunti poco prima.

La maggior parte degli evasi fanno parte dell’organizzazione di narcos Zetas. Proprio per questa ragione, le autorità messicane hanno messo una taglia per la cattura dei fuggiaschi, mentre l’Interpol ha diramato un’allerta internazionale per 11 di loro. Nel frattempo sono stati arrestati l’ex direttore del carcere, il supervisore delle guardie, 44 secondini e cinque poliziotti.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva