Rassegna stampa 25 luglio

 

Giustizia: legge sulla sicurezza pubblicata in Gazzetta Ufficiale

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2009

 

Sui clandestini reato in stand by. Il Dl anticrisi sospende le contestazioni per colf e badanti. Per le ronde, ma anche per l’accordo d’ingresso e il test d’italiano occorrerà aspettare le norme attuative.

Debutta il reato di clandestinità. Anche se a efficacia limitata, almeno per ora. Per le ronde bisognerà aspettare come per altre misure cruciali: per esempio, l’accordo di integrazione e il test di italiano. La normativa sulla sicurezza entrerà in vigore l’8 agosto, un sabato: la pubblicazione della legge 15 luglio 2009, n. 94, sul supplemento ordinario 128/L alla "Gazzetta Ufficiale" del 24 luglio 2009 n. 170 scioglie almeno l’incertezza sui termini della fase applicativa.

Da subito ci sarà però bisogno di un coordinamento con altre disposizioni in arrivo. Sulla norma bandiera, quella che introduce nel nostro ordinamento il reato di clandestinità, sarà necessario verificare l’ampiezza della "sanatoria" per le badanti, inserita nel corpo delle misure anticrisi in via di approvazione. Perché di fatto la contestazione del reato dovrebbe essere sospesa per dare tempo di verificare la natura dell’attività e le condizioni di chi presta un’attività di assistenza.

Si tratterà quindi di una partenza dimezzata, sottoposta inoltre alla necessità di assicurare, come prevede la legge, il processo davanti al giudice di pace. Ed è probabile che prima della metà di settembre di processi non sarà proprio possibile celebrarne. La legge infatti non ha previsto il procedimento per direttissima e senza l’urgenza la precettazione dei giudici di pace sarà impossibile. Bisognerà così attendere che sia trascorso il tradizionale (malgrado qualche timido tentativo del ministro della Giustizia Angelino Alfano di accorciarlo) periodo di ferie e attendere che, appunto a metà settembre, riaprano le aule dei tribunali, per verificare anche l’impatto dei processi per il nuovo reato su una magistratura onoraria in sofferenza e che, pochi giorni fa, si è astenuta dalle udienze per una settimana.

E se alcune misure, come la stretta sul 41 bis, con il raddoppio del periodo di durata del carcere duro, da due a quattro anni (fatte salve le proroghe), oppure le sanzioni anti writers o le aggravanti "notturne" per chi guida sotto l’effetto di alcol o stupefacenti, o ancora l’obbligo di denuncia per gli imprenditori soggetti al racket, scatteranno già dall’inizio di agosto, per altre misure bisognerà attendere il chiarimento delle misure attuative.

È il caso delle ronde, uno degli elementi di maggiore frizione tra maggioranza e opposizione, che ha sollevato "mal di pancia".all’interno della stessa maggioranza, e tra i punti messi sotto osservazione dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ieri, il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, ha annunciato che il decreto con la definizione degli ambiti operativi e le modalità di tenuta degli elenchi da parte del Prefetto è in dirittura d’arrivo. Ma fino all’approvazione sul territorio le ronde non potranno operare.

In lista d’attesa ci sono la tassa soggiorno, di cui deve essere definito l’importo, oppure l’individuazione dei criteri e delle modalità per la sottoscrizione dell’accordo di integrazione o, ancora, la determinazione delle modalità di svolgimento del test di lingua italiana. E se Io spray al peperoncino rischia di diventare, come sottolineato dallo stesso Napolitano, un’arma nelle mani dei criminali, spetterà a un regolamento del ministero dell’Interno precisarne i requisiti tecnici. Stesso discorso per il registro dei clochard e per le modalità con cui i prefetti potranno entrare nei cantieri e acquisire documentazione in funzione antimafia (Testo della legge in Gazzetta Ufficiale - pdf)

Giustizia: lo "scudo fiscale" per i ricchi e le mazzate per i poveri

di Domenico Moro

 

Aprile on-line, 25 luglio 2009

 

Il governo Berlusconi è proprio il governo del "rigore" e dei "traguardi riformisti", come sostiene il quotidiano di Confindustria, il Sole 24 Ore, in un fondo non firmato e, quindi, opera dell’ineffabile direttore Gianni Riotta. Il governo è tanto determinato nella pratica del rigore che si è impegnato nel rimpatrio dei capitali dai paradisi fiscali.

I novelli figliuoli prodighi della finanza verranno tassati con una penale pari ad una aliquota del 5% ed in cambio potranno disporre dei capitali che nel frattempo hanno ben fruttato all’estero e, nello stesso tempo, essere protetti dagli accertamenti futuri del Fisco. Inoltre, l’aliquota non verrà, a quanto pare, applicata al capitale né ai rendimenti reali, bensì ai rendimenti medi.

Chi con pervicacia continua a criticare il provvedimento evidentemente non capisce che lo scudo è per il bene dell’Italia e fa bene Marini, ex segretario generale Cisl e ora padre nobile del Pd, a rammentare agli scettici del suo partito che "ben vengano 3 o 4 miliardi di tasse in più, è sbagliato dire solo no". D’ora in avanti, visto l’acume dimostrato, il vecchio "lupo marsicano", come è soprannominato dai suoi amici, dovrà essere più appropriatamente chiamato la "volpe marsicana". Del resto, lo stesso Tremonti ha dovuto scendere a patti con se medesimo, dato che, prima dell’ennesima avventura ministeriale e dopo l’esperienza dei due scudi fiscali del 2001-2003, aveva solennemente promesso "niente più condoni".

Tra i dubbiosi è ancora da annoverare il governatore della Banca d’Italia, Draghi, che, evidentemente poco baciato dall’amor di patria, ha rammentato come all’estero, a differenza che in Italia, lo scudo fiscale non garantisce l’anonimato e l’aliquota applicata è più alta. Infatti, in Germania questa è stata del 25%.

Malgrado tali riserve, anche Draghi è convinto che il provvedimento non faciliterà il rientro di capitali illegali o di "incerta" origine. Del resto, a scongiurare il pericolo si erge la vigilanza dei dottori commercialisti che, come noto, sono usi anteporre il bene dello Stato a quello dei propri clienti. In realtà, se fuoriusciamo dalla propaganda governativo-confindustriale non ci vuole molto a capire che lo scudo fiscale è l’ennesimo condono che santifica lo sport nazionale, che non è il calcio ma ignorare le regole.

Il Tremonti-ter è l’ennesimo provvedimento di un partito quale il Pdl, che si conferma ancora una volta come il partito dell’evasione fiscale. E, badate bene, non dell’evasione del piccolo artigiano o commerciante che fa il furbo e punta a sopravvivere (e che molto probabilmente i paradisi fiscali li vede solo in cartolina), ma dell’evasione del medio e grande capitale.

Non a caso, il plauso all’azione del governo viene proprio da Confindustria, ben contenta di coniugare la detassazione del 3% sull’aumento di capitale e soprattutto la detassazione del 50% sull’investimento in nuovi macchinari con il recupero dei capitali tenuti all’estero. Provvedimenti che stanno tutti nel "decreto legge anticrisi" e che sono tagliati su misura per gli obiettivi della grande impresa: dare avvio ad un nuovo ciclo di ristrutturazione delle aziende con conseguente espulsione di manodopera.

Ecco qui che, come d’incanto, la rogna della crisi viene trasformata in una preziosa occasione di nuova concentrazione della ricchezza. Intanto, per recuperare 3 o 4 miliardi su cinque anni di imposizione (questo il guadagno ipotizzato per lo Stato), si legittima di fatto la pratica dell’evasione fiscale, che nel nostro paese ammonta a 100 miliardi annui (il 7% del Pil), e che, se venisse recuperata, ridurrebbe a zero il deficit statale annuo, garantendo in sovrappiù un attivo che permetterebbe il potenziamento di sanità, istruzione, e infrastrutture. Ma tali limiti del governo, come ci ricorda il Sole 24 Ore, sono nulla di fronte ai passi fatti "nella linea del riformismo nordeuropeo studiato da Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi", (a quanto pare meno nord europei nel far pagare le tasse ai ricchi).

I due studiosi, infatti, stanno non solo portando a regime i nuovi "scalini" per l’età di pensionamento di anzianità ed il nuovo sistema di calcolo dei coefficienti, ma ci stanno conducendo anche ad un altro "traguardo riformista", l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Tale segnale di rigore, continua il Sole24ore, permetterà di tenere sotto controllo la spesa statale e, così facendo, il debito pubblico, consentendo in autunno di vendere meglio i Bot tricolori (e raggranellare altri fondi da elargire alle imprese).

Inoltre, oggi Brunetta può mostrarsi "rigoroso" e aumentare l’età pensionabile delle donne che lavorano nel pubblico, tanto sono "fannullone", e aprire così la strada all’aumento dell’età pensionabile per tutte le donne lavoratrici. Al proposito, andrebbe ricordato quanto scoperto dal professor Gallino dell’Università di Torino, e cioè che la spesa pensionistica appare alta solo perché si caricano sulle spalle dell’Inps spese improprie (assistenziali) che nulla hanno a che fare con le pensioni e soprattutto che, se il debito pubblico è alto, è perché c’è l’evasione fiscale. Ma che importa, tanto c’è chi le tasse non può fare altro che pagarle e, difatti, il governo Berlusconi si è guardato bene dal ridurre le aliquote fiscali ai lavoratori dipendenti. Contro la crisi il governo Pdl-Lega applica due pesi e due misure: lo scudo per le grandi imprese e i ricchi e le mazzate per i lavoratori, i pensionati e i disoccupati.

Giustizia: costituito il Comitato Radicale "Piero Calamandrei"

 

Agi, 25 luglio 2009

 

Ieri pomeriggio, davanti al Notaio, alla presenza del Presidente del Senato del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, Marco Pannella, delle Segretaria di Radicali Italiani, Antonella Casu, dei deputati radicali eletti nelle liste del Pd, Rita Bernardini e Maurizio Turco, del Presidente della Camera Penale di Roma, Giandomenico Caizza, dell’ex Capo del Dap Niccolò Amato, del Prof. Mario Patrono, docente di Diritto Pubblico presso l’Università "La Sapienza" di Roma, degli avvocati Giuseppe Rossodivita, Flavia Urciuoli e Alessandro Gerardi, del Segretario di Nessuno Tocchi Caino, Sergio D’Elia e di Antonio Cerrone, membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, ha preso ufficialmente il via il Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei (Presidente, Giandomenico Caiazza, Segretario Giuseppe Rossodivita, Tesoriere Mario Patrono).

Il Comitato - informa una nota dei radicali - oltre a promuovere la ricerca, lo studio ed il confronto sul tema del diritto, della giustizia e delle pene, intende estendere il sostegno intorno ad una riforma organica della Giustizia ispirata ai criteri costituzionali del "giusto processo"; a tal proposito organizza e sostiene ogni utile iniziativa politica e legislativa coerentemente con le battaglie promosse in questi decenni dal movimento radicale sul fronte-giustizia (separazione delle carriere, riforma del sistema elettorale del Csm, responsabilità civile dei magistrati, riduzione del numero dei magistrati collocati fuori ruolo, rafforzamento del processo accusatorio, depenalizzazione delle fattispecie di reato e potenziamento della legge Gozzini).

In Italia, infatti, lo stato della giustizia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente inaccettabili, sconosciuti in altri Paesi democratici. Da anni e in modo permanente il nostro Paese versa in una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime richiami da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, condanne che recentemente hanno riguardato anche il tema del sovraffollamento carcerario e delle condizioni in cui i detenuti scontano la pena all’interno dei nostri istituti penitenziari.

Questa situazione fallimentare, costantemente documentata e denunciata nel corso dei decenni dai Radicali, pur essendo oggi riconosciuta ovunque nel panorama politico italiano, continua ad essere affrontata con interventi legislativi settoriali e assolutamente inadeguati e non attraverso quelle riforme strutturali ed organiche che la situazione attuale richiederebbe.

Il neo costituito Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei si apre ora al sostegno e all’adesione di tutti quei cittadini convinti, come noi, che per avere un sistema giudiziario più efficiente e celere rispetto a quello attuale non bisogna necessariamente passare attraverso la menomazione delle garanzie e dei diritti della difesa o di chi deve scontare una condanna.

Giustizia: il giudice; "legge sulla sicurezza"... è inutile e razzista

 

Redattore Sociale - Dire, 25 luglio 2009

 

Il "pacchetto sicurezza" è ormai legge, ma continua a meritare attacchi. Anche autorevoli, come quello di Piero Di Bari, giudice della Corte d’Appello di Bologna, aderente a Magistratura democratica. "Siamo arrivati alla tolleranza doppio zero, esordisce Di Bari, uno dei relatori del convegno organizzato stamattina dalla Cgil di Bologna per riflettere sul complesso di misure ormai promulgate dal Capo dello Stato, seppure annotando "notevoli perplessità".

Ma per il magistrato Di Bari "con tutta serenità possiamo dire che queste norme non funzioneranno". Anzi: "avranno il pesante effetto di aumentare l’insicurezza ed il razzismo - dice chiaro e tondo - un problema che sta montando e che è molto serio, ma sottovalutato". Come il giudice, anche la Cgil stronca la crociata governativa sulla sicurezza: "Agitare il fantasma del clandestino serve, fa comodo", dice in apertura dei lavori Cristina Liverani, responsabile regionale delle Politiche sull’immigrazione del sindacato.

Di Bari demolisce punto per punto il pacchetto voluto dal governo Berlusconi. L’introduzione dell’aggravante della clandestinità significa letteralmente "criminalizzare" gli immigrati. Siluro anche per il permesso di soggiorno, declinato come "un diritto a pagamento", visto che il contributo richiesto dallo Stato può arrivare fino a 200 euro a pratica.

E poi dove finiscono i fondi accumulati dai permessi di soggiorno? "Il 50% - calcola Di Bari - va al Fondo per i rimpatri, invece che sostenere l’integrazione" degli stranieri. Ancora: l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro per lo straniero sorpreso illegalmente in Italia, "ha il suo percorso ideale non nella pena, ma nell’arrivare all’espulsione".

Così come il decreto flussi che apre e chiude le finestre per le regolarizzazioni "è un’ipocrisia", scandisce ancora il giudice. Che poi punta il dito contro la "procedura estremamente speciale" dell’espulsione dello straniero senza il nulla-osta dell’autorità giudiziaria. Perché, ragiona Di Bari, senza l’accertamento del reato "si rende il diritto penale asservito al diritto amministrativo".

Ma già in apertura della mattinata di studio, la Cgil non si era sottratta dall’attacco frontale sul pacchetto sicurezza. Liverani parla infatti di "norme di assoluta gravità, molto pericolose, oltre che inutili ed inefficaci per garantire la sicurezza dei cittadini".

La clandestinità assume così i connotati dell’"alibi: c’è tutto l’interesse - attacca Liverani - a mantenere una sacca di irregolarità, perché vantaggiosa". Da un lato gli immigrati irregolari garantiscono agli imprenditori più spregiudicati "una massa di lavoratori a basso costo da sfruttare". Dall’altro, per opportunismo politico, "i clandestini fanno comodo - è l’altra accusa di Liverani - perché rappresentano un fantasma da agitare per far leva sulla paura delle persone". Mentre dallo sfondo emerge sempre più forte l’equazione-slogan "clandestino uguale criminale".

Giustizia: legge-sicurezza; preti e suore si dichiarano "obiettori"

 

Redattore Sociale - Dire, 25 luglio 2009

 

Sono già un centinaio le adesioni all’appello "Onoriamo i poveri". "Intendiamo onorare i poveri. Se non lo facessimo negheremmo le nostre persone e la nostra missione e tradiremmo le nostre comunità".

Sono già circa 100 i preti e le suore che hanno fatto obiezione di coscienza sulla nuova legge sulla sicurezza. "La cosiddetta legge-sicurezza - affermano - sta già ottenendo risultati amari su una fascia sempre più grande di poveri. Per questo é importante e urgente, a botta calda, proporci non come oppositori politici, ma come portatori di una necessità pastorale e civile, dichiarandoci obiettori di coscienza".

"L’iniziativa - continua - non presenta niente di nuovo rispetto al modo di operare di tantissime/i religiose/i e preti con le loro comunità. Semplicemente di fronte a una legge scritta e sbandierata come successo di coerenza politica, starebbe, anche formalmente, la nostra presa di posizione con relativa assunzione di responsabilità". Tra i primi firmatari dell’appello ci sono don Albino Bizzotto, mons. Giovanni Nervo, don Gianfranco Zenatto, don Romano Frigo, don Maurizio Mazzetto, don Giuliano Giacon, suor Lucia Bizzotto, don Tiziano Dal Soglio, padre Zanotelli, etc.

Ma cosa dice l’appello vero e proprio, intitolato "Onoriamo i poveri"? Eccolo. "Come scelta e impegno di vita siamo stati chiamati e mandati a dare ed essere buona notizia per i poveri. La legge-sicurezza, emanata dal Governo in questi giorni, discrimina, rifiuta e criminalizza proprio i più poveri e i più disperati. Riteniamo strumentale e pretestuosa la categoria della clandestinità loro applicata. È lo Stato che rifiuta il riconoscimento. Per chi perde il lavoro a causa della crisi, è lo Stato che induce alla clandestinità, decidendo arbitrariamente l’interruzione della regolarizzazione. Di null’altro sono colpevoli queste persone se non di essere troppo bisognose. Per lo Stato italiano oggi è questo che costituisce reato".

Continua l’appello: "Molti di noi provengono da una situazione di indigenza. Con i fatti e non solo a parole ci riconosciamo nella umanità e nella dignità di tutte le persone, che vengono colpite da questa legge iniqua; intendiamo onorare i poveri. Se non lo facessimo negheremmo le nostre persone e la nostra missione e tradiremmo le nostre comunità. Perciò dichiariamo in coscienza la nostra obiezione pubblica. Vale anche per noi bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini (Atti 5, 29)".

E conclude: "Siamo incoraggiati in questa decisione, non solo in riferimento alla fede, ma anche come comuni cittadini, in ottemperanza alle leggi sottoscritte e vincolanti per lo Stato italiano: dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, alla Convenzione sullo stato dei rifugiati, alla Convenzione sui diritti dell’infanzia e alla nostra stessa Costituzione, che questa legge-sicurezza non ha tenuto in considerazione. Perciò la nostra disobbedienza non riguarda soltanto il nostro comportamento individuale, ma faremo quanto è in nostro potere, perché un numero sempre crescente di cittadini metta in atto pratiche di accoglienza, di solidarietà e anche di disobbedienza pubblica, perché nel tempo più breve possibile questa legge venga radicalmente cambiata".

Giustizia: Melis (Pd); detenuti romeni che vorrebbero il rimpatrio

 

Ansa, 25 luglio 2009

 

I detenuti romeni rinchiusi nel carcere romano di Rebibbia sognano le carceri del loro Paese. È quanto emerso da una visita del deputato del Pd, componente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Guido Melis e del presidente del Partito Identità Romena Giancarlo Germani ai detenuti romeni per verificare le loro condizioni di detenzione.

Nel corso della visita, riferiscono Melis e Germani, è emerso il desiderio, manifestato dai detenuti romeni di espiare la pena nelle carceri romene, perché le condizioni di detenzione per loro sono particolarmente difficili non potendo vedere e sentire i familiari per mesi se non anni. Diversi detenuti, inoltre, hanno lamentato la mancanza di medicinali e la difficoltà di accedere tempestivamente a cure mediche, come C.F., malato di tumore, al quale sinora non sono state prestate le necessarie cure del caso. Melis si è impegnato a presentare un’interrogazione specifica al ministro della Giustizia.

Non è vero - spiegano Melis e Germani - che i detenuti romeni si sentono come a casa loro o in albergo nelle carceri italiane, anzi, è esattamente il contrario visto che tanti stanno chiedendo di poter scontare la pena in Romania e che il moltiplicarsi di queste richieste rende urgente un coordinamento italo-romeno sul punto per evitare lungaggini o rimpalli burocratici.

Giustizia: D’Alia (Udc); il Governo ritoccherà la legge-sicurezza?

 

Asca, 25 luglio 2009

 

"Il Presidente del Consiglio e i ministri di indirizzo, anche alla luce di quanto segnalato dal Presidente della Repubblica all’atto della promulgazione della legge in materia di pubblica sicurezza, non ritengono di dover rivedere il provvedimento e prendere le opportune iniziative perché le norme producano reali effetti e rispondano a requisiti di omogeneità e comprensibilità?". È quanto chiede, in un’interpellanza al premier e ai ministri della Giustizia e dell’Interno, il presidente dei senatori dell’Udc, Gianpiero D’Alia.

Nell’interpellanza si fa riferimento alle recenti dichiarazioni del ministro Alfano sulla massiccia presenza di stranieri delle carceri e si chiede "come mai, a un anno dal varo delle disposizioni che prevedono l’espulsione e l’allontanamento degli stranieri condannati alla reclusione dal territorio nazionale, la popolazione carceraria abbia una percentuale di stranieri pari al 40%".

"Nella sostanza - afferma D’Alia - i provvedimenti fin qui varati sono stati di portata abbastanza ridotta. Il Governo non ha affrontato il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario e dopo il lodo Alfano ha lasciato che gli altri nodi della giustizia seguissero lentamente il loro iter parlamentare, per concentrarsi sull’inasprimento della repressione penale, tema elettoralmente e politicamente più incisivo".

Giustizia: non educa il figlio, 60 giorni di reclusione per il papà

 

Adnkronos, 25 luglio 2009

 

La Cassazione sancisce che l’educazione dei figli rientra tra gli obblighi di assistenza, al pari degli alimenti. E non ci si può "disinteressare delle vicende" relative alla vita del figlio. L’educazione dei figli rientra negli "obblighi di assistenza" di un padre, pertanto rischia una condanna penale il genitore separato che si disinteressa dell’educazione e delle vicende relative alla vita del figlio.

Parola di Cassazione che ha confermato la condanna a due mesi di reclusione, oltre a 200 euro di multa, nei confronti di un padre separato di Lucca, P.A.C., colpevole di essersi completamente disinteressato del figlio minore. L’uomo, denunciato dalla ex moglie alla quale aveva peraltro omesso di versare 200 euro di mantenimento, dopo la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Firenze (19 febbraio 2007) ha tentato di difendersi in Cassazione sostenendo di essere stato condannato per essersi sottratto agli obblighi di assistenza (reato punito dall’art. 570 c.p.) per poi essere condannato per essersi "disinteressato dell’educazione e delle vicende relative alla vita del figlio" in maniera tale da impedire la sua difesa.

La VI Sezione penale (sentenza 30747) ha respinto il ricorso del padre separato e ha evidenziato che P.A.C. è stato condannato in base al reato punito dall’art. 570 c.p. perché, oltre ad essere venuto meno agli obblighi di assistenza nei confronti del figlio minore, si è "disinteressato completamente a tutte le vicende riguardanti il figlio, venendo anche meno al dovere di educazione, che rientra tra gli obblighi di assistenza cui si riferisce l’art. 570 c.p.". Bocciata inoltre la richiesta di concessione delle attenuanti data la "gravità della condotta" del padre. Da qui il rigetto del ricorso contrariamente alle conclusioni della pubblica accusa della suprema Corte che aveva chiesto di annullare la condanna inflitta all’uomo.

Lettere: a proposito di fornellini a gas nel carcere di Sollicciano

 

Lettera alla Redazione, 25 luglio 2009

 

A proposito del problema dei fornellini a gas nel carcere di Sollicciano, è lecito auspicare che un giorno, intorno ai temi e ai problemi del carcere, si voli più alto, si badi non più basso, come i portatori sani di ideologismo amano far credere.

Ad esempio, non più tardi di pochi mesi or sono fui pubblicamente attaccata per avere sottolineato la funzione di asilo estremo della libertà che il carcere svolge a favore degli uomini senza padrone. Si pretendeva, al richiamo della letteratura antipsichiatrica degli anni 50-60, di considerare il carcere la causa di molti mali, l’ultima delle istituzioni chiuse da fare orgogliosamente fuori. Eppure, io che in carcere lavoro con testa e cuore, ricevo nell’ultimo anno confidenze, impensabili in passato, di reclusi che affermano di avere avuto proprio bisogno di fermarsi, di pensare a sé, di curarsi e quindi di essere infine non capitati, ma venuti in carcere. Una acquisita capacità di leggere nel proprio bisogno di un limite decisamente maggiore di quella di cui danno prova figure solo apparentemente amiche dell’uomo prigioniero, solo apparentemente generose e libertarie, in verità molto distanti da un adeguamento all’esame di realtà, poco flessibili rispetto al divenire della domanda, inchiodate a luoghi comuni che ben poco hanno a che fare con le necessità autentiche dell’hic et nunc.

I fornellini a gas a Sollicciano hanno cessato da un pezzo di essere lo strumento per la benamata tazzulella ‘e cafè. Sono smerciate e usate prevalentemente per sballarsi e a fare le spese di questa roulette russa della bomboletta sono i soggetti più deboli, inesperti e impreparati a gestirne le conseguenze. Tutto ciò mentre il personale è assottigliato al punto da non riuscire a contenere l’astuto fluire del mortifero gas. Questo è il quadro nel quale viene chiesto di abolire uno strumento diventato di morte.

Certo sarebbe auspicabile vedere crescere le misure alternative, assistere a una dinamica verso l’esterno favorita da un sistema di idee e investimenti indispensabili. Non alternative alla cieca, per intendersi, ma alternative reali. L’esperienza di Bollate pare interessante e sarebbe da esportare. Ma Bollate ha il doppio dei detenuti che sarebbe in grado di accogliere con la metà del personale? E inoltre, quali investimenti si fanno in quel carcere?

Senza lilleri non si lallera e senza attenzione alle solo apparenti bagattelle del quotidiano degrado urbano e civico, come sperare che il carcere riesca a vincere la sua battaglia di frontiera? Le strade sono piene di buche, le biciclette vanno contromano, ora anche motorini e auto. Queste ultime parcheggiano in tripla fila e davanti ai passi carrabili. Lo stalking e gli stupri lievitano. L’abuso di sostanze dilaga. La pedofilia non trova argine. Il tutto avviene in un mondo di poveri truffati che hanno smarrito la loro ingenuità, la fede nelle proprie credenze e dunque in se stessi e negli altri. Una diversa sensibilità per tale percorso obbligato, potrebbe aiutare il carcere più di ogni velleitarismo libertario.

Come si allinea il carcere a detta escalation del degrado prima urbano e quindi umano? Andando letteralmente in pezzi. Può dunque meravigliare che i testimoni della sfascio trasformino strumenti di piccolo piacere quotidiano in attrezzi di morte? Alla tragedia va posto un limite, non senza prima averne dato una lettura argomentata, senza cedere alla vergogna, che qualcuno vorrebbe insinuare, di essere spiacevoli, perché non lo si fa per essere spiacevoli. Privare gli aspiranti suicidi inconsapevoli del mezzo per raggiungere uno scopo dismetrico, è necessario qui e ora.

 

Gemma Brandi

Calabria: Sappe; taglio 30% a "straordinari", agenti penalizzati

 

Ansa, 25 luglio 2009

 

Il Segretario Generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Giovanni Battista Durante, secondo quanto riferisce una nota, ha interessato il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del taglio previsto per la retribuzione del lavoro straordinario per il personale della Polizia penitenziaria in servizio in Calabria.

La prima ipotesi di distribuzione del monte ore di lavoro straordinario per l’anno in corso - è detto nel comunicato - prevedeva, rispetto allo straordinario consumato lo scorso anno, una riduzione per la Calabria di 104.541 ore pari al 29,02%. È stata così elaborata - aggiunge la nota - una nuova ipotesi di distribuzione del monte ore di lavoro che penalizza ulteriormente il personale della Polizia penitenziaria in servizio in Calabria. È stata anche prevista una ulteriore riduzione di circa diecimila ore che porta il totale a 115.439 ore. Una situazione non sopportabile che porterà il sistema al collasso.

Della questione - afferma Durante - abbiamo interessato il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria perché riveda la distribuzione dello straordinario. La Calabria ha subito un forte incremento della popolazione detenuta e una consistente diminuzione di personale di polizia penitenziaria a causa dei pensionamenti.

Chiediamo inoltre - conclude il comunicato - che i magistrati facciano le udienze di convalida in carcere, così come prevede il codice di procedura penale, anziché ordinare la traduzione dei detenuti nelle aule di giustizia. Nello scorso anno a livello nazionale sono state fatte 58.000 traduzioni nelle aule di giustizia. Con l’impiego di due agenti per ogni traduzione abbiamo dovuto distogliere dai loro compiti 116.000 agenti, nei vari turni di servizio, per fare un lavoro che non è di nostra competenza.

Bollate (Mi): il criminologo; così curiamo pedofili e stupratori

di Alberto Giannoni

 

Il Giornale, 25 luglio 2009

 

Ogni maledetto giorno accendono il computer, digitano la loro password e cominciano a scrivere il loro "Raf", il Rapporto sull’attività fantasmatica. Nero su bianco umori e impulsi. Fantasie sessuali e pratiche di masturbazione. Vedono i loro dati e poi ne parlano.

Con gli altri o con gli psicologi. Perché il primo obiettivo è la fine della negazione. Sono oltre 2mila gli autori di reati sessuali in Italia, il 95 per cento di loro non ammette d’aver stuprato o violentato. Di aver distrutto la vita di una sconosciuta, di un bambino o di un familiare. E invece l’emersione di quella terribile colpa, di quell’orrore inconfessabile è la condizione non per "curare" - cosa spesso impossibile - ma per controllare. Per essere in condizione, una volta fuori dal carcere, di non cadere di nuovo nel demone della violenza.

È su questo che lavorano a Bollate. Nel carcere che sperimenta il primo trattamento intensificato per autori di reati sessuali. Da 4 anni. Sono 150 i detenuti passati dal progetto, 24 quelli attualmente sottoposti alle "terapie", 100 quelli in attesa di esserlo, gli "sfollati" dalle altre carceri in questa casa modello. Firmano un contratto. Superato il periodo di prova inizia il trattamento. Ore di lavoro sulla mente, tutti i giorni, per un anno. Poi fuori il "controllo benevolo", finanziato dal Comune nell’ambito delle politiche contro gli stupri.

E sembra che funzioni. La recidiva è al 5 contro la media del 20 o più. Ma non è solo la psicologia, o la psicoterapia. Non sono solo i colloqui e i diari. C’è anche un trattamento farmacologico. Non si tratta di anti-androgeni o inibitori, ma di ansiolitici, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi. Per psicosi, attacchi di panico e sindrome dissociative.

"La castrazione chimica? - riflette il capo dell’equipe, il criminologo Paolo Giulini - Messa così è un falso problema. Non si può dare la castrazione chimica in pasto all’opinione pubblica. E nella gran parte dei casi non servirebbe. Ma se mi propongono la sperimentazione con farmaci inibitoti dico "perché no?". Potrebbe integrare il trattamento in certi casi". "Solo un’autorevole opinione - mette i paletti la direttrice del carcere Lucia Castellano - servirebbero regole nuove e protocolli ministeriali".

Sono 18 gli specialisti dell’equipe di Giulini: "Anni fa nei convegni prendevamo fischi o risatine di scherno - ricorda uno di loro - lo scetticismo maggiore era sull’abbattimento dei muri interni al carcere. La subcultura che vuole ghettizzati i "protetti", i colpevoli di reati sessuali". Oggi gli altri detenuti sono informati del programma. Se non lo accettano possono andarsene, qualcuno lo ha fatto. Se restano devono vivere con loro. Non è facile, neanche per l’equipe, che conta 11 donne.

"Un lavoro durissimo - confessa la criminologa Francesca Garbarino - soprattutto all’inizio capita di identificarsi con le vittime, donne ma anche bambini. Poi ci si deve schermare davanti all’orrore. E la gratificazione è vedere dei pezzi di ghiaccio che riconoscono quel che hanno fatto, che ne parlano, che sono in grado di conoscersi. Che c’è una possibilità". Di fermare l’orrore.

Chiavari (Ge); la Regione farà lavori per spazi di cura sanitaria

 

Ansa, 25 luglio 2009

 

Completare i lavori per il trasferimento degli uffici, della mensa, della caserma con i relativi servizi e degli spogliatoi nel nuovo piano rialzato del carcere di Chiavari. È l’obiettivo della giunta regionale ha annunciato oggi l’assessore Claudio Montaldo in visita alla struttura per dare una migliore vivibilità ai detenuti e inserire in comunità alcune persone recluse attraverso l’erogazione dei finanziamenti da parte del ministero.

La visita dell’assessore presso la Casa Circondariale di Chiavari è funzionale al trasferimento, dal 1 aprile 2008, dal ministero della Giustizia al servizio sanitario regionale, dell’assistenza sanitaria in carcere. Claudio Montaldo ha verificato le condizioni di sovraffollamento, con 100 persone ospitate a fronte di una capienza di 70 posti: una situazione che rende problematica la vita all’interno delle mura carcerarie, non solo ai detenuti, ma anche a tutto il personale che vi opera dalla polizia penitenziaria al personale sanitario.

Gli spazi a disposizione dell’assistenza sanitaria - ha continuato Montaldo - sono limitati, si tratta infatti di due stanze attigue, la prima con funzioni amministrative e di infermeria, la seconda di ambulatorio polispecialistico, con la problematicità di ospitare in un’unica stanza il riunito odontoiatrico, il lettino per la visita dei pazienti e il riunito oculistico. I lavori - ha concluso l’assessore regionale alla Salute - per il completamento del nuovo piano rialzato sono fermi da due anni per carenza di fondi e portarli a termine vorrebbe dire trovare nuovi spazi da dedicare all’ assistenza sanitaria.

L’Aquila: il carcere di nuovo agibile, tornati i detenuti del 41-bis

 

Il Centro, 25 luglio 2009

 

Salvino Madonia, Nadia Desdemona Lioce e gli altri detenuti sottoposti al regime del 41-bis non sono più sfollati. Da ieri sono tornati nelle celle del carcere di massima sicurezza di località Le Costarelle di Preturo, da dove, subito dopo la scossa del 6 aprile, erano stati trasferiti per motivi di sicurezza. I 70 detenuti eccellenti del carcere aquilano entro la settimana saranno riportati tutti nel luogo dove stavano scontando la pena.

Il carcere, al termine di lavori di ristrutturazione post-sisma portati a compimento a tempo di record, è tornato completamente agibile e questo ha comportato l’avvio della fase-due, cioè del trasferimento. Il volteggiare degli elicotteri e le staffette della polizia penitenziaria dal casello autostradale dell’Aquila Ovest e poi lungo la statale 17 fino a Preturo non sono certo passati inosservati.

La scorta dei detenuti è stata organizzata secondo un piano di sicurezza che ha visto mobilitati centinaia di agenti. Finora i detenuti riportati nel carcere aquilano sono una quarantina, ma i trasferimenti saranno completati entro la fine della settimana. Il carcere di località Le Costarelle prima del terremoto ospitava circa 140 detenuti che in questo periodo sono stati collocati a Pescara ma anche fuori regione, come nei casi della brigatista Lioce, tornata da Rebibbia, e di Madonia, da Spoleto. Madonia sta scontando l’ergastolo definitivo per l’uccisione dell’imprenditore Libero Grassi. Lioce è stata condannata alla stessa pena per l’assassinio dell’esperto di diritto del lavoro Marco Biagi e del docente universitario Massimo D’Antona.

Roma: homeless in cella 3 mesi, per il furto di un pezzo di pane

 

Ristretti Orizzonti, 25 luglio 2009

 

È stato arrestato all’inizio di giugno all’Ospedale "Santo Spirito" di Roma perché aveva un carico penale di poco meno di tre mesi di carcere per il furto (commesso 3 anni fa) di un filone di pane in un supermercato di Monte Mario. Ora l’uomo - un italiano senza fissa dimora condannato anche ad una ammenda pecuniaria di 4 centesimi - si trova nell’infermeria del braccio G 14 del carcere di Rebibbia con un fine pena fissato al 3 settembre prossimo.

La vicenda è stata denunciata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui "la storia si Silvio è l’emblema dell’attuale confusione che regna nel sistema della sicurezza italiano, che pensa di punire ogni tipo di condotta difforme dalla legge con la reclusione, con conseguenze drammatiche in termini di sovraffollamento e di recupero sociale dei reclusi. Una funzione, quella del recupero, garantita dalla Costituzione ma ormai praticamente abbandonata nelle carceri, perennemente alle prese con l’emergenza sovraffollamento".

Di vicende come questa i collaboratori del Garante ne hanno gestite diverse nelle carceri di tutto il Lazio: ad esempio, sempre a Rebibbia, un detenuto affetto da poliomielite ha raccontato di aver scontato un residuo di pena di 10 giorni sempre su un letto ed ogni volta che doveva spostarsi per le necessità elementari, la sua sedia a rotelle doveva superare i controlli di sicurezza.

Secondo il Garante tutto ciò dovrebbe far riflettere sul fatto che, invece di contrastare il sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri, governo e Parlamento dovrebbero puntare ad una riforma del codice penale che preveda la reclusione per i casi veramente gravi e un sistema di misure alternative (ma non per questo meno penalizzanti del carcere) negli altri casi. Quello del sovraffollamento è, del resto, un problema evidente anche nel Lazio anche se con numeri in apparenza meno drammatici che altrove.

Nella regione, infatti, al 20 luglio scorso i detenuti reclusi erano 5.739 (5300 uomini e 439 donne), 2083 gli stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 4.765 posti. 1292 sono in attesa di primo giudizio, 979 gli appellanti e 521 i ricorrenti. Quelli definitivamente condannati sono 2755.

"Anche nel Lazio si pone un problema di sovraffollamento - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - che non è drammatico come altrove per il fatto che il Prap applica periodicamente una politica di sfollamenti di detenuti nel resto d’Italia, cosa che, peraltro, crea un problema di lesione del principio della territorialità della pena.

Ho già detto in passato di non essere contrario all’idea di realizzare nuove carceri ma non credo che sia il problema principale in questo momento. I detenuti in costante aumento per reati come quello commesso dal senza fissa dimora di Rebibbia, o legati alle tossicodipendenze, la carenza cronica di personale e di fondi, fanno si che, nelle carceri, si viva una situazione sempre più difficile caratterizzata sempre più spesso da atti di autolesionismo. La vera emergenza sociale non è l’aumento dei reati ma un sistema giudiziario che si basa su un carcere così".

Nuoro: dopo tre anni di richieste, il detenuto ottiene la dentiera

 

Agi, 25 luglio 2009

 

Sono stati necessari tre anni e diverse sollecitazioni per superare le difficoltà che impedivano a un detenuto non abbiente ristretto nel carcere di Bad’ e Carros di ottenere una protesi dentaria. Una soluzione ormai insperata che gli ha finalmente consentito di ripristinare la masticazione superando cosi i gravi problemi all’apparato digestivo provocatigli dalla mancanza dei denti. La vicenda è stata riferita da Maria Grazia Caligaris, ex componente della Commissione "Diritti Civili" e Presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" alla quale la vittima -protagonista del disservizio ha inviato una lettera la fine della sua "battaglia" per la dentiera.

Domenico Attorre, 50 anni di Taranto, che sta finendo di scontare 16 anni di carcere, ha ringraziato la professionista che ha eseguito ed impiantato la protesi dentaria rinunciando ad una parte dell’onorario, il garante dei detenuti del Comune di Nuoro e a chi gli è stato vicino nella lunga azione per il riconoscimento di un diritto.

La ripresa della masticazione e il funzionamento della protesi - sottolinea Attorre nella lettera - hanno anche consentito un miglioramento delle mie condizioni di salute. "Il caso Attorre - ha precisato la presidente di Socialismo Diritti Riforme - mette in evidenza due aspetti molto importanti nell’attuale grave situazione della mondo delle carceri.

Il primo è la conferma dell’importanza, nella tutela dei diritti riconosciuti dalla Costituzione, del buon funzionamento della sanità penitenziaria, che in Sardegna sta vivendo una fase delicata di passaggio dal Ministero della Giustizia al servizio sanitario regionale. Il secondo è il ruolo degli organismi di tutela dei diritti dei detenuti, tra i quali quello del Garante, che un recente provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in attuazione di una norma di legge che li istituzionalizza, ha burocraticamente limitato, anziché favorirli, l’indispensabile presenza ed i contatti con i detenuti".

Immigrazione: la paura dei migranti che non fanno la badante

di Luca Fazio

 

Il Manifesto, 25 luglio 2009

 

Le nostre mamme e le nostre nonne a una certa età sono insopportabili (vale anche per padri e nonni) e per questo nessuno batte ciglio per lo scandalo della regolarizzazione selettiva delle badanti, costrette a sopportare una vita di semi-schiavitù per risolvere i problemi delle nostre sacre sfasciate famiglie. Loro dentro, "sanate" da un governo razzista (tranne quelle che verranno cacciate perché qualche famiglia non vorrà regolarizzarle), e tutti gli altri fuori. Braccati, anche se lavoratori, come piace a un De Corate qualsiasi, "adesso che c’è il reato di clandestinità l’obiettivo è rendere Milano off-limits per i 38mila clandestini presenti in città". Gli stranieri non hanno mai avuto così paura.

La geografia antropologica di questo provvedimento ingiusto è già scritto: donne di etnie rassicuranti a fare le serve, giovani uomini minacciosi da sfruttare, umiliare e incarcerare. E la vita era già complicata prima. Jacques, senegalese, ha 27 anni. Scappa da quando è arrivato in Italia, vende merce contraffatta e quando capita lavora per un’impresa di pulizia.

Ha trovato un po’ di calore umano, e le scarpe - "ancora adesso ho problemi ai piedi, ho passato un inverno a piedi nudi" - quando è entrato in una squadra di calcetto. Vuole andare in Svezia, un sogno. Più o meno come l’unica soluzione che fino ad ora gli hanno prospettato. "Sono molto preoccupato - dice - il mio capo mi ha consigliato di trovarmi un anziano per fare il badante, lui è figlio di migranti italiani e vorrebbe aiutarmi. È assurdo che la sanatoria non riguardi anche i clandestini...io ho chiamato un amico prete".

Ci sono immigrati che trovano amici anche tra i "padroni", i datori di lavoro. Vorrebbero assumerli, ma non possono farci niente. Rauf, 31 anni, è egiziano, fa lo stuccatore nei cantieri di periferia, "in centro a lavorare non ci vado, troppo pericoloso". La domanda la fa lui: "Senti, sono le 7 di sera e sono qui dentro che non ho ancora finito di lavorare, mi dici che reato sto commettendo, me lo dici?". Difficile rispondergli, e a vergognarsi sono in pochi. Rauf ha un’idea solo apparentemente strana di questa sanatoria selettiva: "Hanno dato la possibilità solo ai ricchi che vogliono prendersi le colf...", e per lui i ricchi siamo noi, e a mettersi una mano sulla coscienza sono sempre gli stessi, troppo pochi.

Tocca a Mohamed recitare la parte del maschio delinquente, un marocchino di 32 anni, che fa lavoretti ogni tanto, ai mercati generali. In passato ha avuto dei "casini" con la polizia, ma adesso ha 2 figli piccoli che vanno all’asilo a Milano e una moglie che sta aspettando la cittadinanza italiana. Un veterano, che è arrivato a 14 anni e ancora viene trattato come uno scarto della società. "Io non posso fare la badante - s’incazza subito - io sono maschio e giovane, allora cosa faccio?".

Lavora ogni tanto nei cantieri, anzi, a Bergamo aveva anche la busta paga, poi l’hanno chiamato in questura ai tempi dell’ultima regolarizzazione, ma invece del permesso - che aveva potuto chiedere grazie al suo datore di lavoro - l’hanno sbattuto dentro per sei mesi. "Piccolo spaccio, una cazzata di quando ero ragazzino, pochi grammi di fumo". Anche uno come Mohamed, che trascorre le giornate nei mercati di periferia con merce di contrabbando, "mah, un po’ di tutto", ha paura. Molta. "Andare in giro è diventato impossibile, ti. fermano per niente e ti portano in questura, adesso che ho due bambini mi sento schiacciato, vivo perennemente cercando di schivare certe situazioni".

Ognuno scappa a modo suo, Cirante, per esempio, un cingalese di 30 anni, da quando è diventato un reato vivente si veste meglio per non dare nell’occhio, per darsi un tono. Anche lui potrebbe essere assunto, va a fare le pulizie da una signora due giorni alla settimana, la famiglia ha avviato tutte le pratiche ma dopo un anno ancora nessuno si è fatto sentire. Ha un po’ di paura la sera quando va a fare le pulizie in un ufficio di piazza San Babila: "Esco alle 21,30 e a quell’ora non ci sono in giro molte persone". E allora? Il problema è la polizia, qualunque divisa. Fa di tutto per stare lontano dalle situazioni a rischio. "Gli amici e i parenti vanno spesso a fare delle gite, sono andati anche in Francia, ma io preferisco restare a casa... meglio non farsi vedere in troppi". Umilmente. Tra le dieci fatidiche, c’è spazio per un’altra domandina-tormentone, o al "premier" non abbiamo più il coraggio di chiedere nient’altro?

Immigrazione: Save the Children; minori respinti verso carceri

 

Asca, 25 luglio 2009

 

In merito alle testimonianze pubblicate dall’Espresso, che parlano di circa 30 bambini rinchiusi in condizioni disumane, l’Organizzazione Save The Children torna a chiedere il blocco dei rinvii e che il governo riferisca in Parlamento.

Secondo quanto denunciato dal settimanale L’Espresso, a Bengasi, il Libia, in uno dei centri di detenzione per immigrati, ci sarebbero circa 800 persone tra cui 30 bambini detenuti in condizioni disumane. Save the Children esprime la sua preoccupazione e dichiara di essere sconcertata dal silenzio assordante del governo alle varie richieste di chiarimenti.

"La nostra Organizzazione ha reiteratamente espresso preoccupazione sui respingimenti verso un paese che non garantisce le dovute tutele a chi si mette in fuga in cerca di protezione e che non tiene in debita considerazione neanche i gruppi più vulnerabili come i minori", ha affermato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children.

Save the Children ribadisce che l’Italia non può porre in essere misure di controllo delle frontiere nelle acque internazionali che non tengano conto dei diritti umani dei migranti, nè può rinviare persone in Stati Terzi in cui tali diritti non sono ancora garantiti.

Pertanto Save the Children Italia "raccomanda al Governo italiano: di interrompere, qualora fossero ancora in corso, e di non effettuare in futuro, operazioni di rinvio in Libia di migranti rintracciati in acque internazionali; di promuovere, nell’ambito dell’accordo Italia - Libia, l’istituzione in Libia di un sistema di monitoraggio indipendente sulla conformità delle condizioni e delle procedure di accoglienza dei migranti e, in particolare dei minori non accompagnati e dei nuclei familiari con minori a carico, agli standard previsti dalla normativa internazionale in materia.

E di prestare particolare attenzione nell’ambito del monitoraggio, alle situazioni di detenzione e possibili violazioni dei diritti dei migranti e in modo specifico dei minori. In considerazione della responsabilità extra-territoriale dello Stato italiano in materia di divieto di refoulement e delle numerose e autorevoli denunce da parte di Agenzie delle Nazioni Unite e Ong su ripetute e sistematiche violazioni dei diritti umani in Libia (in particolare nei confronti di migranti, inclusi minori), di documentare se esiste e se è effettivamente applicato in Libia un sistema di protezione dei minori migranti conforme alla normativa internazionale, nonché di riferire in Parlamento e soprattutto alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza su tale accertamento e sulle modalità con cui è avvenuto.

Mondo: niente "numero verde", per italiani detenuti all’estero

 

Asca, 25 luglio 2009

 

Rispondendo ad una interrogazione dell’on. Zacchera di alcuni mesi addietro sull’eventuale istituzione di un numero verde per i cittadini italiani temporaneamente all’estero in caso di "urgenze" giudiziarie, per esempio per segnalare il loro arresto, eventuali pressioni indebite di pubbliche autorità locali o qualche personale situazione particolare, il Sottosegretario agli Affari Esteri con delega per gli italiani nel mondo, ha dato una risposta che chiude allo stato attuale ogni possibile ipotesi in questo senso.

"In merito a quanto rappresentato dall’interrogante nell’atto parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta. Come già ricordato dall’interrogante, a margine delle votazioni degli emendamenti al disegno di legge concernente la legge finanziaria 2008 nella precedente legislatura, la Camera dei deputati aveva approvato un ordine del giorno, a cura dello stesso onorevole Zacchera, concernente l’istituzione di un numero verde di emergenza per le situazioni giudiziarie.

Il Ministero degli affari esteri ha provveduto ad effettuare uno studio sulla fattibilità del progetto e sulla sua realizzabilità pratica, le cui conclusioni si riportano di seguito.

Si premette che, al 31 marzo 2009, i connazionali detenuti all’estero risultano essere 2.712 (2.194 in Europa, 419 in America, 43 nel Mediterraneo e Medio Oriente, 6 nell’Africa Sub-sahariana e 50 in Asia e Oceania). Di questi, 982 sono in attesa di giudizio, mentre 1.730 sono già stati condannati. Le rilevazioni fanno riferimento indistintamente a connazionali residenti e non residenti, cioè arrestati mentre si trovavano temporaneamente nel Paese straniero. Le richieste di assistenza di questi ultimi assumono particolare rilevanza, in quanto si tratta di persone non aventi legami con il Paese di detenzione, la cui famiglia e rete di connessioni sociali rimangono in Italia e che spesso non parlano la lingua del paese. I reati più frequenti sono, in ordine di maggiore diffusione: consumo, spaccio e traffico di stupefacenti; reati sessuali; violazione della normativa sull’immigrazione; a seguire, truffa, rapina, violenza, omicidio ed altri.

Alla delicata e complessa materia della tutela dei connazionali detenuti, la Farnesina attribuisce particolare rilevanza, perché si tratta di persone costrette a vivere - soprattutto in alcuni paesi - in condizioni umane, sanitarie e psico-fisiche difficili. Il diritto consolare attribuisce al console poteri specifici di assistenza del cittadino detenuto, sia nella fase istruttoria e processuale, sia quando la condanna è passata in giudicato. Naturalmente tali poteri debbono essere esercitati nell’osservanza dell’ordinamento locale e nel rispetto del sistema giudiziario del Paese ospite. Il Ministero degli affari esteri, in tale quadro, assicura il coordinamento con le sedi, fornendo periodicamente istruzioni e pareri di carattere generale, nonché intervenendo puntualmente sui singoli casi, per i quali svolge azione propulsiva e mantiene costanti contatti sia con i familiari dei detenuti in Italia, sia con i loro legali difensori.

In via generale, l’attuazione dell’ordine del giorno proposto nell’interrogazione parlamentare potrebbe costituire un ausilio all’attività istituzionale svolta in materia, perché permetterebbe di avere segnalazioni immediate da parte dei connazionali in difficoltà o dei loro familiari. L’esperienza dimostra infatti che un corretto approccio iniziale ed un tempestivo coinvolgimento dell’autorità consolare possono rivelarsi risolutori, soprattutto nei casi meno complessi, ovvero nei casi di non residenti al di fuori dell’Unione europea.

L’istituzione di un servizio di numero verde gratuito, tuttavia, non risolverebbe il problema di fondo relativo alla collaborazione necessariamente richiesta al Paese straniero in caso di arresto di un cittadino italiano. In molti Paesi infatti non è possibile telefonare nelle prime ore (spesso giornate) successive all’arresto; nei posti di polizia periferici è raro aspettarsi che i locali funzionari conoscano la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari e informino il cittadino straniero che è suo diritto rivolgersi al consolato del proprio Paese. Inoltre le difficoltà di comunicazione in lingua straniera rendono spesso impossibile al connazionale far capire la propria volontà di mettersi immediatamente in contatto con il consolato. A ciò si deve aggiungere il problema che il numero verde, per avere reale efficacia, dovrebbe formare oggetto di una massiccia campagna pubblicitaria affinché tutti i connazionali lo portino con sé al momento di varcare la frontiera. Il numero dovrebbe inoltre essere pubblicizzato anche presso tutti i posti di polizia stranieri.

Con la collaborazione delle strutture tecniche della Farnesina è stata effettuata con due compagnie telefoniche un’indagine sugli eventuali costi per la fornitura del servizio gratuito. È emerso che - considerando una tariffa media rispetto alle zone e alle fasce orarie e prevedendo quattro telefonate di quindici minuti l’una all’anno per circa 4.000 persone in stato di necessità e i loro familiari (2800 detenuti + 1200 persone la cui situazione si risolve nel corso dell’anno) - si arriva a una probabile spesa di circa 156.000 euro. Il servizio non sarebbe comunque possibile in tutti i Paesi del mondo e sarebbe utilizzabile solo mediante chiamata da telefono fisso. I costi aumenterebbero notevolmente nel caso di chiamate anche da telefono mobile.

Il competente ufficio del Ministero degli affari esteri - potenziato di almeno due unità aggiuntive - potrebbe far fronte al servizio in questione limitatamente al normale orario d’ufficio. Nel caso in cui il servizio dovesse essere invece attivo per 24 ore tutti i giorni, compresi i festivi, si dovrebbe ricorrere a una società di servizi, che fornisca l’adeguato supporto di personale. Al riguardo, una ditta specializzata, appositamente contattata, ha stimato una spesa di circa 300/350 mila euro l’anno per la prestazione del servizio mediante sei unità, che assicurerebbero le opportune turnazioni.

A tali oneri occorrerebbe aggiungere i costi (non stimati) di pubblicizzazione dell’iniziativa. L’Amministrazione degli affari esteri non dispone comunque al momento delle risorse per istituire tale servizio. Si ricorda che il problema dell’informazione tempestiva dell’autorità consolare si pone soprattutto per i connazionali non residenti all’estero e che vengono tratti in arresto al di fuori dell’Europa (quindi un residuo numero rispetto al totale di 2.712).

Il servizio, tuttavia, non potrebbe differenziare da detenuto a detenuto e sarebbe utilizzato da tutti i connazionali che si trovano in tali condizioni e che per di più lo utilizzerebbero anche per comunicazioni successive alla prima segnalazione, con notevole aumento dei costi.

I fondi disponibili per l’assistenza ai detenuti (sussidi erogati ai connazionali nei casi di comprovata indigenza e contributi alle spese legali necessarie per la difesa in casi eccezionali) gravano su un apposito capitolo, che è però di portata generale, in quanto riguardante l’intera assistenza direttamente erogata ai connazionali all’estero da parte degli Uffici della rete diplomatico consolare.

Si ricorda infine che, su impulso del Ministero degli affari esteri, il problema dei detenuti europei all’estero è attualmente al centro dei lavori del Consiglio dell’Unione europea in seno al gruppo Cocon (cooperazione consolare). Si sta procedendo ad una classificazione dei Paesi stranieri in cui sussistono i maggiori problemi relativamente alle condizioni detentive, con l’intento di effettuare passi o iniziative comuni per trovare intese tra l’Unione europea ed il Paese terzo interessato.

Belgio: Marc Dutroux in isolamento, dopo minacce dai detenuti

 

Asca, 25 luglio 2009

 

Il killer pedofilo Marc Dutroux può andare in palestra e uscire nel cortile del penitenziario solo ad orari diversi rispetto a quelli stabiliti per gli altri carcerati.

Marc Dutroux, conosciuto anche come il mostro pedofilo di Marcinelle, è stato posto in regime speciale di semi-isolamento fino al 31 agosto. Motivo? I suoi comportamenti all’interno del carcere di Nivelles, in Belgio, ma soprattutto l’odio e la rabbia che suscita tra gli altri detenuti, con tanto di minacce ed insulti. È quanto si legge sul sito internet dell’emittente francofona belga Rtl.

Nessuna attività comune, dunque, per il serial killer più famoso del Belgio, che può andare in palestra ed uscire nel cortile del penitenziario solo ad orari diversi rispetto a quelli stabiliti per gli altri carcerati. Per Dutroux, anche l’invio di lettere, l’uso del telefono e le visite sono regolate in modo speciale.

Nord Corea: donna messa a morte, perché distribuiva Bibbie

di Paolo Salom

 

Corriere della Sera, 25 luglio 2009

 

La legge applicata in Corea del Nord: una donna, madre di famiglia, è stata giustiziata pubblicamente per avere "distribuito Bibbie", libri tabù nell’ultimo regno comunista del pianeta. La notizia è stata diffusa da attivisti sudcoreani che hanno spiegato come Ri Hyonok, 33 anni, sia stata anche accusata di essere una spia "al soldo degli Usa e della Corea del Sud" e di aver incitato il "popolo alla sovversione".

Suo marito e i tre figli, il giorno dopo l’esecuzione, avvenuta il 16 giugno, sarebbero stati spediti in un campo di detenzione vicino alla città di Hoeryong, presso la frontiera con la Cina. Difficile che riescano a ritornare a casa loro: le condizioni di vita in questi lager sono spaventose. In Corea del Nord, quando qualcuno viene accusato di misfatti "controrivoluzionari", ditti i familiari più stretti in qualche modo ne condividono la sorte, secondo il principio che è il clan colpevole del comportamento sbagliato del singolo.

La relazione degli attivisti pubblicata a Seul cita documenti non identificati ottenuti dalla Corea del Nord, nei quali compare anche la foto della carta d’identità di Ri emessa dal governo nordcoreano. È impossibile verificare la notizia, dal momento che nessuno ha accesso diretto a informazioni in Nord Corea. Ma non deve sorprendere la severità della condanna: il regime punisce con la morte una grande varietà di "reati", dall’omicidio alla distribuzione di film stranieri. Per quanto ufficialmente la professione della fede cristiana non sia vietata dalla legge, e Pyongyang abbia autorizzato l’apertura di tre chiese "statali" (una cattolica è due protestanti), di fatto nessun suddito del Caro Leader può pensare di entrare in un simile luogo di culto, riservato in realtà alla striminzita comunità straniera.

Ciononostante, in Corea del Nord pare si trovino almeno 30 mila cristiani "occulti", che praticano la loro fede segretamente, nelle nuove "catacombe" del Ventunesimo secolo. Tuttavia, ogni tanto qualche "ligio cittadino" si insospettisce.

E allora gli sgherri di Kim Jong - li colpiscono: basta il possesso di una Bibbia per affrontare una sicura condanna alla pena capitale. "La Corea del Nord - spiega l’attivista Do Heeyoun - considera che i cristiani siano una minaccia potenziale per il regime". La Commissione d’inchiesta sui crimini contro l’umanità, con sede a Seul ha raccontato anche un altro episodio raccapricciante. Gli agenti della polizia politica, di recente, hanno arrestato una cristiana, Seo Kumok, 30 anni in una città vicino a Ryon-gchon.

Dopo averla torturata, l’hanno accusata di essere una spia pronta a rivelare i segreti nucleari della Corea del Nord. A chi? È chiaro: agli Usa e alla Corea del Sud. Suo marito è stato ugualmente arrestato, mentre i due figli sono scomparsi: nessuno sa dove si trovino.

La Commissione sta cercando di redigere un rapporto da sottoporre alla Corte penale internazionale per chiedere "l’incriminazione di Kim Jong". Per l’Ong sudcoreana, il Caro Leader "non può essere all’oscuro di tutti gli omicidi, gli arresti e le condanne ai lavori forzati" commessi in suo nome: il suo potere, a Pyongyang, è assoluto.

 

 

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