Rassegna stampa 23 luglio

 

Giustizia: in carceri condizioni disumane protestano gli agenti

di Giacomo Corticelli

 

Peace Reporter, 23 luglio 2009

 

Napoli, davanti al carcere di Poggioreale, l’ennesima manifestazione indetta da varie sigle sindacali, rappresentanti l’85 percento del personale di polizia penitenziaria sindacalizzato, per protestare contro la drammatica situazione rilevata all’interno degli istituti penitenziari italiani. Le manifestazioni programmate sono già in corso dal 30 giugno in tutta Italia e si concluderanno con un corteo nazionale a Roma il prossimo 22 settembre. Ieri il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ha rilanciato l’allarme sovraffollamento carceri, presentando i dati delle undici regioni che risultano fuorilegge per quanto concerne le condizioni di reclusione.

Dal Trentino alla Sicilia, è già stato superato il limite cosiddetto "tollerabile" previsto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), andando ben oltre la capienza regolamentare degli istituti di pena italiani. A livello nazionale, citando i dati forniti dal Sappe, il conto alla rovescia per l’esplosione delle prigioni è quasi scaduto: il livello di tollerabilità ha raggiunto il 99 percento dati i 63 mila e 661 reclusi rilevati il 20 luglio, a fronte di un massimo previsto in 64 mila 111 unità. E si fa riferimento al massimo "tollerato", poiché la capienza regolare fissata dal Dap è di 43 mila 327 posti.

La denuncia esposta dal segretario generale del Sappe, Donato Capece, assegna il record del superamento della capienza regolamentare alla Casa Circondariale di Caltagirone, Catania: sono attualmente presenti 259 detenuti, ma il limite tollerabile sarebbe di 150, ben il 345 percento in più rispetto alla capienza originaria fissata in 75 posti. La situazione più "intollerabile" si registra invece a San Severo, provincia di Foggia, dove si arriva al 213 percento della capienza tollerabile.

La situazione è evidentemente disumana e degradante, eppure l’articolo 27 della Costituzione prevede chiaramente che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

"Si continua a parlare di un piano sull’edilizia di prossima attuazione, ma in realtà ci vorranno anni prima che venga costruito un nuovo carcere", mette in evidenza Capece riferendosi alle volontà ministeriali, rimaste tutte sulla carta e prive di copertura finanziaria. La situazione sanitaria è definita "da terzo mondo" dal segretario del Sappe, data anche la presenza di malattie che nel nostro Paese si ritenevano debellate. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, branca ufficiale del Consiglio d’Europa, indica che lo spazio in una cella multipla per detenuto non può essere inferiore ai quattro metri quadri.

Ma in Italia si registrano casi di reclusione allucinanti, come ad esempio nel carcere di Bolzano, dove 10 metri di cella vengono condivisi da dodici prigionieri. Per Capece "l’unica via d’uscita sono le misure alternative alla detenzione", ma secondo l’associazione Antigone sono solo 9 mila 406 i privilegiati per questo tipo di provvedimenti.

L’aumento esponenziale dei detenuti è dovuto ad una maggiore repressione penale nei confronti di consumatori e trafficanti di droga, nonché verso gli immigrati illegali e i recidivi. Secondo i dati Dap dello scorso anno, i tossicodipendenti ed alcoldipendenti reclusi erano 18 mila 484: basterebbe l’affidamento ai servizi sociali di questi detenuti in adeguate strutture, dalle quali ne trarrebbero largo beneficio, per dare ai penitenziari un largo respiro.

Per quanto riguarda gli immigrati, quasi 14 mila risultano in stato di carcerazione preventiva e oltre 2 mila sono imprigionati per non aver rispettato l’obbligo imposto di espatriare fornito dalle questure. La nuova legge sulla sicurezza approvata lo scorso 2 luglio non farà che peggiorare questa situazione, in quanto si moltiplicheranno gli ordini di espulsione di cittadini senza documenti da parte dei prefetti che, se non ottemperati, li spediranno dritti in prigione.

Giustizia: una "emergenza carceraria"… che dura da 25 anni!

 

www.giustiziagiusta.info, 23 luglio 2009

 

L’altro ieri il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha dichiarato che "Le carceri italiane sono sovraffollate perché il 40% dei detenuti è straniero" aggiungendo di aver "posto il problema a livello di Unione Europea perché l’Ue non può chiudere gli occhi sul tema del sovraffollamento carcerario in paesi come l’Italia che sono stati-confine".

Auspicando che l’Ue non chiuda gli occhi, né sul sovraffollamento né, più in generale, sulla situazione a dir poco indegna in cui versano i detenuti italiani, facciamo notare al Ministro che la premessa del suo ragionamento ("le carceri italiane sono sovraffollate perché il 40% dei detenuti è straniero") è una sciocchezza clamorosa.

La situazione carceraria italiana ha raggiunto, da almeno 25 anni, uno stato d’emergenza che poco ha a che fare con il fenomeno migratorio. Per esser chiari, della condizione dei detenuti, la politica italiana se n’è costantemente fregata, ben prima che il Paese fosse meta di emigrazione. Il sovraffollamento, dunque, è una "eccellenza" tutta italiana. Un’eccellenza di cui andar davvero poco fieri.

Giustizia: Maroni; rimpatrio più rapido, per i detenuti romeni

 

Ansa, 23 luglio 2009

 

L’accordo sul trasferimento dei romeni condannati in via definitiva in Italia funziona. Lo ha detto oggi all’Ansa Maroni. Il ministro dell’Interno è intervenuto dopo l’incontro con il collega romeno Dan Nica sottolineando anche che in Italia i beni confiscati alla mafia sono stati utilizzati per finanziare il sistema di sicurezza.

"Abbiamo migliorato la cooperazione, i numeri sono ancora modesti, ma il sistema comincia a funzionare, ha aggiunto. Negli ultimi mesi sono stati trasferiti una decina di romeni sulla base delle richieste che la magistratura italiana e la polizia italiana hanno fatto e devo dire che i tempi sono molto più rapidi rispetto a qualche anno fa", ha concluso. Maroni ha riepilogato che nel 2007 sono stati sottratti alla mafia beni per 1,5 miliardi di euro e nel 2008 siamo arrivati a 4,3 miliardi di euro.

"Si tratta, ha specificato il ministro di soldi che abbiamo portato via alle associazioni criminali, nonostante la crisi siamo riusciti a mettere più risorse finanziarie a sostegno del sistema di sicurezza in Italia rispetto all’anno scorso", ha aggiunto il ministro. Intanto, la Commissione Ue sta esaminando con grande attenzione il pacchetto sicurezza adottato da poco in Italia e il vicepresidente dell’eurogoverno ha già chiesto al ministro Maroni chiarimenti in merito.

Lazio: contro il bullismo "crediti" a studenti che fanno volontari

di Chiara Righetti

 

La Repubblica, 23 luglio 2009

 

Portare gli adolescenti a rischio "dall’altra parte della barricata", a guardare in faccia e ad aiutare in prima persona quei "deboli" che spesso sono bersaglio privilegiato di bulli e prepotenti: disabili, anziani, senzatetto, stranieri. È l’obiettivo del protocollo d’intesa fra l’Ufficio scolastico regionale e il Campidoglio che apre le porte delle scuole superiori alle associazioni di volontariato. Garantendo "crediti formativi", validi anche al momento della maturità, ai ragazzi che mettono il loro tempo a disposizione degli altri.

Fra le associazioni che hanno già aderito la Caritas, le Acli, il Banco alimentare, Sant’Egidio. Le altre, purché riconosciute dalla Regione, potranno farlo, presentando progetti ad hoc, fino alla fine di agosto. Ogni associazione fisserà il numero di studenti da accogliere e offrirà loro un "tutor" per i primi passi nel mondo del volontariato. È previsto anche un percorso di formazione per le scuole partecipanti, mentre a vigilare sull’attuazione dell’accordo sarà un tavolo interistituzionale.

"In un periodo che vede crescere gli atti di bullismo - spiega l’assessore alle Politiche sociali Sveva Belviso - puntiamo a far crescere nei ragazzi il senso civico e la responsabilità. Siamo convinti che fare esperienze emotivamente sé nella vita e nella professione". "Questo protocollo - aggiunge l’assessore alle Politiche educative Laura Marsilio - fa parte di un percorso più ampio per la lotta alla devianza, con azioni che coinvolgeranno insegnanti, ragazzi e famiglie. Pensiamo che la scuola debba essere in prima linea nel proporre agli studenti modelli di vita più sani".

"A livello regionale - ricorda la direttrice dell’Ufficio scolastico Maddalena Novelli - esiste già un accordo per promuovere il volontariato nelle scuole con Cesv e Spes, operativo a Rieti, Viterbo e Latina. Ma il protocollo romano fa un passo oltre, chiedendo agli adolescenti un impegno attivo e portando le associazioni in classe per conquistare anche i ragazzi più difficili".

Milano: gli avvocati fanno "sciopero" dei colloqui con detenuti

 

Agi, 23 luglio 2009

 

Gli avvocati penalisti milanesi si asterranno oggi dai colloqui coi loro assistiti detenuti per protestare contro alcune norme contenute nel pacchetto - sicurezza che "limitano pesantemente e inopinatamente il diritto di difesa". In particolare, ai legali non piacciono le disposizioni che prevedono la limitazione dei colloqui coi detenuti e le restrizioni nei rapporti coi carcerati in regime di 41 bis.

"Non avremo la possibilità di vedere per più di 3 volte alla settimane i nostri assistiti - spiega Vinicio Nardo, presidente della Camera Penale di Milano - mentre prima non c’era nessuna restrizione". Inoltre, la creazione di un Tribunale di Roma che abbia competenza esclusiva per i reclami in tema di 41 bis "appare diretta a mortificare il diritto di difesa, rendendo più gravoso l’esercizio del diritto di reclamo da parte del detenuto".

Criticata anche la prevista creazione di carceri in aree insulari, sempre per il 41 bis, prevista dalla nuova legge perché non è tollerabile che esistano cittadini per i quali il diritto di difesa viene così pesantemente limitato. Gli avvocati annunciano che nei prossimi mesi verranno sollevato una serie di eccezioni di costituzionalità su norme che, a loro avviso, violano la carta fondamentale.

Spoleto: un Tavolo su carcere, dopo arresto dirigente sanitario

 

Asca, 23 luglio 2009

 

"Il fatto gravissimo che ha portato all’arresto del dirigente sanitario del carcere di Spoleto, fatto salvo il lavoro investigativo tuttora in corso, aggrava la situazione di tensione all’interno del penitenziario". È il capogruppo An-Pdl, Franco Zaffini a commentare così l’esito dell’indagine della Polizia penitenziaria e dei Carabinieri.

"Pochi giorni fa, insieme ai colleghi del Pdl - ha detto Zaffini - ho depositato una mozione per chiedere che la Regione mantenga gli impegni assunti con il Ministero di Grazia e Giustizia, in materia di assistenza socio-sanitaria per i detenuti. In particolare si chiede che la Regione, tramite l’Asl di competenza, prenda in carico il Centro Clinico di Capanne-Perugia, garantendone la corretta gestione, e allestisca nei nosocomi dei capoluoghi dei cosiddetti repartini riservati ai detenuti".

"Se l’avvio di un tavolo di confronto tra Regione e amministrazione penitenziaria - ha concluso Zaffini - era urgente, ora, alla luce di quanto accaduto, assume un carattere di emergenza e diventa improrogabile per stemperare la tensione tra le mura delle strutture carcerarie dell’Umbria. Garantire condizioni di lavoro ottimali per chi opera nelle carceri, significa garantire la società tutta".

La notizia dell’arresto del direttore sanitario del carcere di Maiano, Silvio Fiorani, 60 anni e da venti nella sua carica, con l’accusa di rilasciare falsi certificati ai detenuti in cambio di denari e regali, ha destato vasta eco. Su tutti i giornali locali si da ampio spazio all’indagine della magistratura, prima milanese, poi spoletina che ha disposto 11 provvedimenti (anche per 10 detenuti) e per 9 familiari il divieto a risiedere nello spoletino.

Gli episodi sotto la "lente" degli investigatori sarebbero otto: presunta corruzione individuata da carabinieri e agenti della penitenziaria. Dalle intercettazioni disposte dal magistrato, si avrebbe conferma anche di consigli del medico "fingi di essere sofferente; portati le stampelle". Nonostante i certificati "fasulli", i magistrati (procuratore Riggio e sostituti Casucci ed Albano) non avrebbero ravvisato, al momento, alcun beneficio per i detenuti, ma solo l’avvio delle pratiche per il riconoscimento delle infermità fasulle.

Enna: sciopero spesa, detenuti protestano contro affollamento

 

Ansa, 23 luglio 2009

 

I detenuti del carcere di Enna da giorni si astengono dall’acquisto di generi alimentare aderendo così e in maniera pacifica alla protesta delle carceri italiane. I reclusi lamentano il sovraffollamento della casa circondariale, dove in una cella che potrebbe ospitare sei reclusi ci sono anche 14 persone. La situazione di sovraffollamento è aggravata dal fatto che alcune celle sono state chiuse perché inagibili. In un documento i detenuti, oltre 180 tra comuni, alta sicurezza, protetti e donne chiedono l’intervento del ministro della Giustizia. Nelle carceri il sistema d’acquisto dei generi alimentari funziona con il sistema del sopravitto: i detenuti compilano una lista, che viene trasmessa a un ufficio che poi compie materialmente l’acquisto. Si valuta che lo "sciopero", iniziato oltre una settimana fa, abbia procurato mancati introiti per circa diecimila euro.

Venezia: interrogazione parlamentare sul carcere sovraffollato

 

La Nuova di Venezia, 23 luglio 2009

 

La deputata veneziana del Pd Delia Murer ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia sul sovraffollamento di detenuti e la carenza di organico della Polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Maggiore. Vuole sapere se e come Angelino Alfano "intenda intervenire sulla grave situazione, soprattutto nella direzione che appare irrinunciabile di adeguare l’organico del personale di custodia in servizio negli Istituti penali di Venezia e garantire un ulteriore stanziamento per il finanziamento dei posti di lavoro interni alla struttura e per fondi dedicati al sostegno del lavoro esterno; se il Governo stia valutando la fattibilità della ristrutturazione e restauro degli spazi dell’ex Sat maschile all’Isola della Giudecca, da destinarsi a detenuti definitivi sottoposti a misure di custodia attenuata, benefici di legge e misure alternative; se il Governo non ritenga di reintegrare le risorse necessarie al completamento dei lavori di ristrutturazione e messa a norma dell’Istituto femminile delle Giudecca".

Venezia: Garante detenuti; il Consiglio Comunale si "impegna"

 

La Nuova di Venezia, 23 luglio 2009

 

Mentre il ministro di Giustizia Angelino Alfano annuncia una visita a Santa Maria Maggiore, approda a Cà Farsetti l’emergenza carcere maschile: 320 detenuti laddove c’è posto solo per 111 e sorvegliati da agenti in gravissima carenza d’organico. "Abisso d’inciviltà", l’ha definita il sindaco Cacciari. Una mozione approvata da tutto il Consiglio comunale "impegna il sindaco, a intervenire sul ministro di Giustizia per un’adeguata integrazione dell’organico di custodia" e "affinché il governo valuti la ristrutturazione degli spazi dell’ex Sat maschile alla Giudecca, da destinarsi a detenuti definitivi sottoposti a misure attenuate, garantendo anche le risorse necessarie al completamento della messa a norma dell’Istituto femminile". Infine, chiedendo ai parlamentari veneziani di sostenere queste richieste, il Consiglio si impegna a valutare la possibilità di istituire un "garante comunale dei diritti della persona detenuta".

Roma: inaugurata oggi la sezione ristrutturata a Regina Coeli

 

Adnkronos, 23 luglio 2009

 

Oggi, alle ore 16, il carcere romano di Regina Coeli, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ed il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta inaugurano nel carcere romano di Regna Coeli, la ristrutturata IV sezione, a cinque anni dalla chiusura. La struttura ospiterà 120 detenuti tossicodipendenti con un’apposita area terapeutico-trattamentale. Dopo il taglio del nastro visita alla nuova struttura e, a seguire, conferenza stampa.

Treviso: il Vescovo; subito la nuova sede per il carcere minorile

 

La Tribuna di Treviso, 23 luglio 2009

 

"Spostiamo altrove il carcere minorile". Questo l’appello alle autorità locali del vescovo monsignor Andrea Bruno Mazzocato. Nel carcere, infatti, è emergenza sovraffollamento. Nella struttura penitenziaria sono 295 i detenuti contro i 134 al massimo previsti per capienza. Le stanze libere del carcere minorile potrebbero consentire di allargare gli spazi per la sezione adulti del Santa Bona, dove il sovraffollamento diventa di giorno in giorno un problema sempre più gravoso.

Condizione questa comune a tutte le carceri italiane e che rischia di far collassare il sistema penitenziario. Solo i numeri possono dare ragione della preoccupazione del vescovo e delle autorità competenti. All’istituto penale di Treviso la capienza prevista è di 134 persone ma i detenuti sono in tutto 295 distribuiti in 50 celle di diversa grandezza. Le stanze destinate a 8 persone ne ospitano 16 (per altrettanti metri quadri), mentre nelle micro-celle singole si vive in 2. A questo si aggiunge la carenza di personale di polizia penitenziaria: a controllare le pareti della vecchia struttura di fine anni Quaranta ci sono solo 130 addetti.

"Ce ne vorrebbero almeno 187 - dice il direttore dell’istituto Francesco Massimo - queste sono difficoltà comuni a tutti gli istituti d’Italia. Ogni giorno dobbiamo fare i conti con il sovraffollamento, le difficoltà economiche e la mancanza di personale. In ogni caso la situazione è sotto controllo". Il messaggio del vescovo è stato ribadito ieri alla cerimonia d’inaugurazione delle 4 nuove aule per la didattica del carcere per adulti, dopo essere stato lanciato per la prima volta alla festa della Polizia Penitenziaria dello scorso 17 giugno.

In merito al sovraffollamento dell’istituto penitenziario il vescovo avanza la proposta di rivedere la sistemazione dei ragazzi che affollano l’istituto minorile. "Questi giovani non hanno nemmeno uno scampolo di giardino per poter fare una partita a pallone", dice il vescovo riferendosi anche al vecchio campetto. Un messaggio rivolto alle autorità locali prima che al ministero della Giustizia. Nel corso della cerimonia il vescovo ha lanciato un messaggio anche sul problema delle stragi della strada. "Ci vogliono i giusti controlli e una coraggiosa prevenzione - dice - che dovrebbe andare oltre eventuali interessi economici. Parlo di norme su orari e alcolici".

Gorgona: le orate "galeotte" e tante altre attività per detenuti

di Beatrice Ramazzotti

 

www.ilsalvagente.it, 23 luglio 2009

 

Mare incontaminato, vegetazione soffice e odorosa, gabbiani sospesi nel cielo e la sensazione di trovarsi in un luogo vietato e sfuggente. A dispetto del nome e del profilo all’orizzonte, che ricorda un volto di donna emerso dalle acque, la Gorgona è un’isola di uomini.

La più settentrionale delle isole dell’arcipelago toscano (due chilometri quadrati e mezzo di superficie, distante 18 miglia dal porto di Livorno) è una colonia penitenziaria maschile dal 1869. In media, durante l’anno, vi abitano duecento persone, per lo più legate al carcere: circa ottanta detenuti, una trentina di poliziotti, pochissimi abitanti, ereditieri di una manciata di case che in realtà appartengono al demanio statale.

Sulle motovedette della polizia penitenziaria, che fanno la spola tra la darsena vecchia di Livorno e l’isola, invece, è un quotidiano via vai di persone: c’è il veterinario della Asl che presenzia alla macellazione dei bovini, l’assistente sociale (l’unica donna), l’educatore, il ragioniere, un sindacalista.

Periodicamente si aggiungono i familiari dei detenuti, piccoli gruppi di turisti che possono fermarsi solo poche ore, biologi marini, agronomi e un veterinario omeopata che su Gorgona ha scritto anche un libro. Insomma qualche donna arriva, ma solo di passaggio, fatta eccezione per l’anziana signora Luisa che a Gorgona vive da sola, da sempre, per 365 giorni l’anno.

La presenza umana qui è strettamente maschile dall’epoca medievale in cui l’isola era abitata dai monaci benedettini e cistercensi e prima di loro, a ritroso, i Romani e gli Etruschi che la chiamavano Urgon. Gli uomini lavorano senza sosta sull’isola che a quanto pare ha una missione ora et labora nel proprio dna, trasmessa dai monaci di un tempo ai carcerati di oggi. La colonia penale a indirizzo agro-zootecnico - così è definita - mette in pratica quanto sancito nell’articolo 27 della Costituzione, che prevede il vero recupero dei carcerati e non la loro repressione.

"Per scontare la pena alla Gorgona si deve fare domanda e passare una severa selezione - spiega il direttore del carcere Carlo Alberto Mazzerbo. Proprio per la sua natura di regime aperto e autodisciplina accoglie solo detenuti con un fine pena non superiore ai 10 anni. Inoltre non si accettano tossicodipendenti e alcolizzati, stupratori, né gli appartenenti alla criminalità organizzata o chi si è macchiato di crimini verso i bambini".

Chi rimane allora in questa "elite" carceraria? Persone che scontano la pena per omicidio, furto, spaccio, reati finanziari. Incrociando sulla stradina un detenuto dall’aspetto curato e gli occhiali da vista sorge l’interrogativo: reato finanziario? "No, no - assicura il direttore - Quello è un odontotecnico". Una risposta ermetica che non fa altro che aumentare la curiosità sulla storia di quel distinto signore atterrato qui. I lamenti dei gabbiani sono rotti dai rumori delle tante attività. Ci sono detenuti che ristrutturano edifici, elettricisti, meccanici, macellai, l’addetto al pollaio - un marocchino che ride indicando un gallo nato con tre gambe - il responsabile del grande orto, un anziano cinese col cappello di paglia che sarebbe perfetto in mezzo a un risaia.

Emilio Giusti, responsabile delle attività produttive della colonia, spiega che "Il carcere è quasi autosufficiente. I mille olivi producono l’olio necessario, il vino viene dalle nostre vigne, le verdure dall’orto e poi ci sono gli animali: galline, faraone, oche, capre, cavalli, asini, maiali, mucche Frisone, vitelli, per la produzione di latte, carne e formaggi". Ogni attività è finalizzata allo scopo didattico e produttivo. "Solo attraverso il lavoro si conosce a fondo un detenuto - è il pensiero di Mazzerbo - Imparare un lavoro per i carcerati è anche l’unico modo per avere un futuro una volta tornati in libertà".

Il mare della Gorgona è un mare illibato. L’isola è entrata a far parte del Parco dell’Arcipelago Toscano (presieduto dal geologo e conduttore televisivo Mario Tozzi, ndr) per cui le sue acque sono interdette alla navigazione che è ammessa solo alle motovedette della polizia e alla nave Toremar (che però si ferma a debita distanza), vettore di merce, visitatori e dei pochi liberi gorgonesi.

In queste acque nel 2001 è partito un esperimento unico al mondo: un impianto di acquacultura interamente gestito dai carcerati. A pochi metri dalla costa cinque grandi reti sommerse racchiudono orate che arrivano come avannotti e vengono alimentate con mangimi biologici, di origine non animale, privi di antibiotici; fino a quando, all’età di 16 - 18 mesi sono pronte per essere pescate.

In collaborazione con il Comune di Livorno È un progetto unico, nato con la collaborazione del Comune di Livorno e del dipartimento di biologia marina. Le gabbie sono fatte di rete e hanno forma cilindrica, 5 metri di diametro per 8 di altezza, saldamente ancorate al fondale marino, contengono fino a 15.000 pesci ciascuna. In un anno si arrivano a pescare circa 40 tonnellate di orate: un bendiddio che finora è stato consumato all’interno del carcere o distribuito nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria.

L’accordo con Unicoop Tirreno permette oggi a questo ottimo pesce di allevamento, ma con tutte le caratteristiche di un pescato di altura, di arrivare sui banchi di alcuni supermercati Coop dotati di pescheria delle province di Livorno e Grosseto. Un’esclusiva che permette di valorizzare un prodotto di alto livello, arricchendolo di contenuto sociale, volto a ridare dignità e opportunità di lavoro ai carcerati. Un progetto che si affianca a quello dei vini prodotti all’interno della casa circondariale di Velletri (Roma) e presenti in Unicoop Tirreno dal 2004 con l’etichetta "Il Fuggiasco".

Intorno alle gabbie, su una barchetta, due detenuti con le braccia tatuate spargono il mangime per le orate. L’acquacoltura a Gorgona impegna quattro uomini che hanno preso anche il brevetto di subacquei perché le reti devono essere controllate continuamente e protette dai pesci predatori (come i barracuda o la ricciola). La visita piena di curiosità a questa isola in balìa di tutti i venti nominati nella Rosa si chiude con un passaggio davanti alla torre mozzafiato del XIII secolo, che domina a picco su Cala di Pancia, e al piccolo cimitero, dove riposa anche un ex carcerato che nel testamento chiese di tornare a Gorgona.

I saluti sono farciti da frasi al condizionale: il desiderio di vendere i prodotti all’esterno, puntare sul turismo, coltivare erbe aromatiche, impiegare i cavalli avellinesi nella raccolta differenziata dei rifiuti. La richiesta di impianti fotovoltaici "Potremmo avere energia pulita con impianti fotovoltaici ed eolici e tornare a produrre gli avannotti qui sull’isola. Un nuovo progetto prevede anche la creazione di una nursery per le creature marine e un allevamento di pesci tropicali. Speriamo." conclude il direttore Mazzerbo.

La motovedetta aspetta sul piccolo molo, col suo carico di uomini e buona volontà. Per un’ora, fino al porto di Livorno, la nausea da mare grosso prenderà il sopravvento sullo stupore e l’emozione di aver scoperto un luogo tanto affascinante quanto struggente, dall’anima di donna e della natura maschile.

Agrigento: aperto il "Laboratorio per lo sviluppo nella legalità"

 

Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2009

 

Se fosse stato attivo forse l’arresto del sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis sarebbe stato evitato. Perché quel problemino lì, per il quale il sindaco avrebbe chiesto una tangente a un imprenditore, sarebbe stato risolto in tutta trasparenza.

Così il Laboratorio per lo sviluppo nella legalità creato dal prefetto di Agrigento Umberto Postiglione, che oggi debutta ufficialmente con la firma del protocollo cui parteciperà a nome della Regione siciliana l’assessore all’Industria Marco Venturi che è imprenditore schierato sul fronte della lotta per la legalità, dimostra di essere uno strumento formidabile contro le lungaggini e il malaffare, che da queste parti può voler dire anche infiltrazioni e interessi della mafia.

Un concetto ben compreso da Ivan Lo Bello, che di questo strumento (il primo in Italia) è stato grande fautore e ispiratore. Lui, il presidente di Confindustria Sicilia, continua a ripetere che bisogna togliere alle classi dirigenti siciliane qualsiasi "alibi per non fare e che soprattutto bisogna trovare il modo per rendere tutte le procedure il più trasparenti e condivise evitando così l’annidarsi di intermediazioni più o meno interessate, più o meno criminali, più o meno mafiose".

Insomma il protocollo evita definitivamente quell’odiosa espressione che si sente spesso ripetere chi vuole lavorare onestamente in Sicilia: "si cercasse un amico (si cerchi un amico ndr)" dove per amico si intende un esponente di quella zona grigia, di quell’area border line tra l’economia pulita e la criminalità spesso mafiosa.

Ed ecco materializzarsi in una provincia come quella di Agrigento dove sono in arrivo nei prossimi anni lavori per almeno quattro miliardi uno strumento pensato nell’ambito della Conferenza provinciale e che coinvolge tutti gli attori: dalla Provincia al Comune, ai sindacati, alle imprese, alla Regione, alla Camera di commercio, ai rappresentanti dei Patti territoriali e così via. Non la solita adunata ma un tavolo di confronto.

Spiega il prefetto Postiglione: "Insieme a Lo Bello e ai vertici di Confindustria come Antonello Montante abbiamo pensato di coinvolgere gli imprenditori e di metterli in contatto con l’amministrazione pubblica avviando un rapporto chiaro con l’obiettivo del fare". A proposito del metodo il prefetto poi spiega: "L’amministrazione agisce sulla base di obiettivi indicati dalla politica attraverso leggi e programmi. Ma c’è il rischio che ogni passaggio non controllato dalla coscienza collettiva possa apparire monopolio del singolo soggetto".

Vorrei essere preciso: questo non è un attacco alla burocrazia ma un modo per aiutare i burocrati a sollevarli dalla responsabilità spesso loro imputata del non fare, perché la realizzazione dei progetti (o la mancata realizzazione) sembra rimanere coperta da una sorta di mistero. Ecco il laboratorio vuole svelare questo mistero coinvolgendo tutti".

Già ieri in un comunicato congiunto Cgil, Cisl, Uil e Confindustria Agrigento che è guidata da Giuseppe Catanzaro hanno manifestato apprezzamento all’iniziativa del prefetto auspicando che "tutti i rappresentanti delle Istituzioni prendano atto della necessità di sviluppare i contesti di regole condivise ed applicate e che tutte le istituzioni interessate e il governo della Regione colgano questa rilevante opportunità grazie alla quale potere, fin da subito, sostituire le parole con fatti concreti con cui affrontare e definitivamente risolvere questioni che da troppo tempo vengono affrontate in maniera isolata e non programmata".

Roma: due dibattiti sul carcere e concerto dei "Presi Per Caso"

 

www.linkontro.info, 23 luglio 2009

 

Giovedì 23 e venerdì 24 luglio, nell’ambito della rassegna "I solisti del teatro 2009", presso i Giardini della Filarmonica Romana (via Flaminia 118) si terranno, a partire dalla ore 20.30, due incontri-dibattiti organizzati dall’associazione Antigone e dalla Casa della Legalità della Presidenza della Regione Lazio. Durante l’incontro di giovedì, dal titolo "Essere detenuto in Italia: due esperienze al confronto", verrà presentato il sesto Rapporto nazionale sulle carceri italiane curato da Antigone, già discusso lo scorso 30 giugno alla presenza del presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante.

Al dibattito, coordinato dal presidente di Antigone Patrizio Gonnella, parteciperanno la direttrice del carcere di Bollate - che dar Rapporto di Antigone emerge come uno degli istituti meglio gestiti in Italia - Lucia Castellano, il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Francesco Maisto, il garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni e la giornalista del Sole 24 Ore Donatella Stasio, che di recente ha pubblicato per il Saggiatore, proprio insieme a Lucia Castellano, un libro sulle carceri dal titolo Diritti e castighi.

A partire dalle 21.30 si terrà uno spettacolo della band romana dei "Presi Per Caso", nata all’interno del carcere di Rebibbia, con canzoni, gag e monologhi tratti dagli ultimi spettacoli realizzati. Venerdì 24, sempre alle 20.30, si parlerà di volontariato in carcere, in un incontro moderato da Francesco Forgione, coordinatore della Casa della Legalità della Presidenza della Regione Lazio, dal titolo "Ti regalo la mia libertà".

Interverranno Carmelo Cantone, direttore del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, altro esempio di buona gestione penitenziaria, la giornalista Rai Daniela De Robert, da molti anni impegnata nel volontariato in carcere, al quale ha dedicato saggi, Simona Filippi, avvocato operante presso l’ufficio del Difensore civico dei detenuti di Antigone, il disegnatore Sergio Staino e i due attori ex detenuti Fabio Rizzuto e Benneth Uche Emenike.

Porto Azzurro: Lippi "brevetta" i primi detenuti arbitri di calcio

 

Tirreno News, 23 luglio 2009

 

Il Ct della nazionale testimonial d’eccezione alla cerimonia a porto azzurro. Qualcuno dei ragazzi potrebbe presto dirigere partite fuori dal carcere. Il siparietto con Pulici sull’isola d’Elba.

Neanche il gran caldo di un pomeriggio di piena estate, nel campetto polveroso incastonato all’interno delle mura spagnole di Forte San Giacomo, ha scoraggiato gli oltre duecento "ospiti" della Casa di Reclusione di Porto Azzurro dall’assistere al mini torneo di calcio che ha fatto da cornice alla cerimonia di consegna degli attestati dei sette nuovi detenuti - arbitri.

Alla piccola cerimonia di chiusura del Corso - organizzato dalla sezione A.I.A. di Piombino in collaborazione con l’Unitre - l’Università della Terza età di Piombino - hanno partecipato anche autorità militari e civili dell’isola, oltre ad alcuni testimonial d’eccezione.

"È il terzo anno che vengo qui a Forte San Giacomo - ci ha detto il Ct della Nazionale di Calcio Marcello Lippi - lo faccio volentieri, sia per l’amicizia che mi lega al direttore Carlo Mazzerbo, con cui ho fatto anche altre cose a Gorgona; quando posso, vado a trovare i detenuti. Sono stato in tante carceri italiane, penso che faccia loro piacere fare due chiacchiere e ricevere la visita di qualcuno dall’esterno".

"Credo che per questi ragazzi che hanno scelto di fare gli arbitri - ha aggiunto Lippi - l’iniziativa possa essere non solo un modo particolare per impegnarsi nello sport; qui si vede la bravura di chi li dirige, i detenuti si sentono utili, importanti, e riescono ad impiegare bene il loro tempo, che altrimenti sarebbe davvero difficile da trascorrere".

"A noi non costa niente essere qui - ha detto Paolo Pulici, indimenticato bomber degli anni 70, proprietario di una casa a Porto Azzurro e da anni ospite abituale dell’Elba - sentirsi chiedere autografi, raccontare aneddoti di quando erano fuori, anche solo fare una foto con loro, ci regala soddisfazione, ma ci fa anche rendere conto di come la vita possa portarci davanti a situazioni diverse".

"Detenuti arbitri? Perché no - ha commentato Carlo Mazzerbo, Direttore della Casa Reclusione di Porto Azzurro - abbiamo approvato l’iniziativa, perché il principio di questa attività, innanzitutto, è quello del rispetto delle regole. I detenuti sono messi di fronte ad una responsabilità che nella vita di tutti i giorni hanno rifiutato, e questo serve a farli crescere, a dare un senso alla detenzione". Ma sarà possibile vedere qualcuno di loro arbitrare delle partite all’esterno delle mura? "In un futuro neanche troppo lontano forse si - ci ha detto il commissario Vincenzo Pennetti, Comandante del Corpo di Polizia Penitenziaria di Porto Azzurro - l’arbitro che sta arbitrando oggi, per esempio, ha dimostrato ottime qualità superando il corso a pieni voti, e anche stasera sta dimostrando bravura e fermezza, e potrebbe davvero avere le doti necessarie per arbitrare partite vere. Per coloro che hanno iniziato un percorso di trattamento, così come accade per altri detenuti che hanno accesso al lavoro esterno ed al volontariato, possono anche aprirsi le porte del carcere. Con un permesso speciale del magistrato di sorveglianza, dopo un periodo di osservazione in cui venga data dimostrazione di affidabilità, qualcuno di loro potrebbe arbitrare all’esterno del carcere, magari cominciando con le partite dei tornei giovanili".

Alla fine della giornata, un simpatico siparietto fra Pulici e Lippi. "Ci conosciamo bene - ha detto il bomber granata - lui è del ‘48 e io del ‘50, lui era il libero della Sampdoria, io il centravanti del Torino, spesso sono state scintille".

Ma - abbiamo chiesto a Lippi - uno come Pulici lo convocherebbe nella sua Nazionale? "Certo che si - ha detto il mister - giocatori come lui non ce ne sono più, ha avuto solo la sfortuna di avere davanti un certo Gigi Riva".

E non sono mancate neppure le battute sull’Elba: "Non cominciate a dire che prenderò la residenza qui - ha detto Marcello Lippi - non ora, almeno: vengo spesso perché mi piace, e perché ci abita il dottor Castellacci, che è mio carissimo amico ed è nato qui".

"No, non mi ha ancora chiesto informazioni immobiliari - ha aggiunto Paolino Pulici - del resto ha una bellissima barca... ma informazioni sull’isola, quello sì: gli ho già dato qualche consiglio sulle calette più belle da vedere con il gommone, ed è rimasto incantato. L’Elba gli piace, e come, uno come lui non è venuto per caso per tre anni di fila".

Treviso: ripreso laboratorio di video-teatro all’interno dell’Ipm

 

Ristretti Orizzonti, 23 luglio 2009

 

Il 6 luglio ha finalmente ripreso il via il laboratorio di video teatro all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Treviso. È già qualche anno che questa esperienza viene riproposta e, con lente trasformazioni, migliorata di volta in volta; all’incirca nove anni fa si offrì ai giovani detenuti la possibilità di partecipare ad un corso di video teatro condotto dai due trainer Valentina Paronetto (per la parte teatrale) e Nicola Mattarollo (per la parte video).

Questo primo "esperimento" ebbe successo tra i ragazzi, che trovarono nel teatro non certo un mero espediente per combattere la noia, ma la possibilità concreta di giocare con se stressi in un’attività coinvolgente che permetteva loro di esprimersi, sperimentando la recitazione sia improvvisata che con il supporto di un copione. Solo nel 2007 si decise di dare la possibilità anche ad alcuni studenti delle scuole superiori di prendere parte al progetto come attori.

In quell’anno tutti i partecipanti non si incontrarono mai se non nella giornata conclusiva del percorso, ma si capì che la partecipazione dei ragazzi esterni poteva arricchire l’esperienza favorendo relazioni positive, mostrando ai ragazzi detenuti dei modelli positivi oltre che apportare energia e stimoli al gruppo di partecipanti; dimostrazione di questo fu il risultato del laboratorio con la messa in scena di "Banana Show", un divertente cortometraggio scritto da uno dei minori detenuti (!) ed interpretato con entusiasmo da tutti i ragazzi. Nell’estate 2008 si decise quindi di continuare a giocare la carta dell’integrazione tra ragazzi di fuori e di dentro, e si permise ai ragazzi esterni (divisi in due gruppi) di entrare per la prima volta nella struttura di detenzione per partecipare al laboratorio una volta a settimana per tutti i tre mesi delle vacanze.

Anche in quell’anno i risultati furono più che positivi, il gioco teatrale si intrecciava perfettamente con l’attività educativa integrata, e le dinamiche che si instaurarono nel variegato gruppo contribuirono alla realizzazione di "Stanotte chissà" un cortometraggio dalle sfumature più serie, con una storia che mischiava realtà e fantasia, specchio delle ambizioni e dei sogni dei ragazzi.

Arrivati al 2009 ora si è sicuri che la strada della reciprocità fra ragazzi con percorsi di vita, culture e pensieri diversi è un ottimo modo per rendere l’esperienza del teatro estivo un’occasione di crescita e di divertimento, di confronto tra coetanei, di lavoro su se stessi assieme agli altri per raggiungere un risultato finale che dia soddisfazione. Quest’anno i ragazzi svolgeranno l’attività di teatro tre volte a settimana, a due di queste parteciperanno i ragazzi esterni, che per il primo anno entreranno tutti ed 8 in carcere.

Il progetto è in collaborazione con Uisp, Ctp Tv 2, Coordinamento delle Associazioni di volontariato e Coop. Pace e Sviluppo. Per lo spettacolo finale, bisognerà aspettare il 19 settembre... solo allora per un ristretto pubblico sarà possibile scoprire cosa si sono inventati quest’anno i ragazzi del laboratorio... e, se sarà come gli anni passati, non mancherà di stupire!

Volterra: teatro in carcere, detenuti in scena tra Alice e Amleto

di Daniele Magrini

 

www.intoscana.it, 23 luglio 2009

 

La processione finale, ritmata dalla melodia di una musica struggente, guidata da Armando Punzo, autore e regista, "regina della notte" in abito quasi talare, ha rappresentato il momento di massima suggestione dello spettacolo della Compagnia della Fortezza, allestito dentro il carcere di Volterra.

Un mesto pellegrinaggio, è sembrato, di conigli parlanti e Alici in un paese senza più meraviglie, seguiti, quasi incalzati, da personaggi in travestimenti volutamente eccessivi, o fantasmi sbiancati alle prese con l’oppressione di se stessi più che delle mura in cui sono costretti. Dentro il carcere, lo spettacolo, si allestisce e si frantuma di continuo.

I 200 spettatori vagano in un corridoio cupo e angusto, del tutto ricoperto da enormi fogli di carta vergati a mano dai detenuti, pieni di massime, di testi teatrali, di invettive. È soprattutto il coniglio, altissimo, che invita a defluire lungo il corridoio, su cui si aprono sei celle trasformate in piccole ribalte.

È all’interno di questi spazi, che i detenuti-attori declamano i loro monologhi, infarciti di ciprie e colori, di piume e stravaganze, personaggi impossibili da decifrare, destinati ad apparire e scomparire lungo il corridoio che fa da ribalta e palcoscenico. Ballano anche i personaggi, costretti nello spazio lasciato dal pubblico, fino alla processione finale, che si apre all’esterno, verso il cortile dove i detenuti passeggiano, ogni giorno, nell’ora d’aria. Armando Punzo, delinea così i tratti dello spettacolo: "Da Amleto ad Alice nel Paese delle meraviglie, dalla tragedia del potere nel chiuso di un palazzo all’anarchia di Carroll.

In questo primo studio l’immagine di partenza è la trasformazione, la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo definito per sempre. L’origine è nella realtà di questa compagnia che come un doppio sotterraneo offre una riflessione quotidiana su questo tema. È come se lo spirito dei personaggi di Shakespeare potesse sottrarsi alla propria funzione sociale. Come spiriti pensanti, in perenne trasformazione, attraversano libri di altri autori allontanandosi da quello che li conteneva come una prigione di ruoli immutabili. Cercano altre parole, altre azioni, un’altra possibilità, forse ancora non prevista, nemmeno ancora immaginata".

Palermo: "Notre Damè" al Pagliarelli; il musical per i detenuti

di Gabriele Isman

 

La Repubblica, 23 luglio 2009

 

L’Opera rock sbarca al Pagliarelli, nel carcere che entro tre anni avrà un padiglione nuovo che si aggiungerà ai tre esistenti e a quello, più piccolo, destinato alle detenute. Circa 250 persone, tra operatori e ospiti della struttura, hanno assistito ieri mattina a una versione ridotta di Notre Dame de Paris, l’opera di Riccardo Cocciante, con il testo italiano di Pasquale Panella. Il cast - una sessantina di artisti tra attori e ballerini - in questi giorni è in scena al Teatro di Verdura, ma ieri mattina ha voluto regalare una performance ai detenuti.

"Sono emozionata - dice Sabrina De Luca, 26 anni, da uno Esmeralda ufficiale, uno dei personaggi principali - perché quella del carcere è un’esperienza toccante. Speriamo di portare un messaggio positivo per queste persone che non possono venire a vederci a teatro".

Sono circa 1.300 i detenuti del Pagliarelli, appena 25 le donne. La maggior parte, 800, sono dentro per reati comuni, il resto per quella che si definisce alta sicurezza. Ieri, per la turnazione interna, erano i primi ad assistere allo spettacolo. "Portare qui questo tipo di attività rientra nel reinserimento nella società. Perché la detenzione può davvero rieducare.

Ho visto tante persone, soprattutto tra i detenuti comuni, specie tra i giovani, cambiare. Per questo non credo all’ergastolo: chi sa di restar dentro tutta la vita, non cambierà mai" dice Laura Brancato, che dal 2003 dirige il Pagliarelli.

Lunghi applausi dal pubblico nell’aula magna del carcere, tra le canzoni che raccontano l’amore tragico tra Esmeralda e Quasimodo e i momenti di danza moderna, nell’opera in scena in questi giorni al Teatro di Verdura, con repliche fino al 30 luglio. "Il teatro - dice il commissario Ada Lo Forte, 36 anni, comandante del nucleo provinciale Traduzioni e piantonamento, rientrata per un giorno dalle ferie per assistere allo show - è una forma di svago e di avvicinamento alla vita normale: per questo i detenuti partecipano molto volentieri".

Sono 750 gli operatori di polizia penitenziaria che lavorano nella struttura: "Pochi" dicono in tanti al Pagliarelli. La capienza ottimale del carcere sarebbe di 750 persone, ma, come in tutta Italia, i detenuti sono di più. Anche per questo è iniziata da pochi mesi la costruzione di un quarto padiglione. Con fondi del ministero della Giustizia, verranno realizzati spazi per altri 300 detenuti. Completamento previsto tra tre anni.

Libro: "Dieci storie d’amore e di morte…", di Nino Marazzita

 

Adnkronos, 23 luglio 2009

 

"Ho perso la testa per un detenuto". Dall’amore di un giovane architetto per Doina Matei, la romena che sta scontando 16 anni di reclusione per l’omicidio di Vanessa Russo uccisa due anni fa a colpi di ombrello nella capitale, alle 600 lettere di altrettante ammiratrici per il parricida Marco Caruso, sono sempre di più i casi di uomini e donne che si invaghiscono di chi ha perso la libertà e sta scontando la pena in carcere. A raccontare i casi più eclatanti di amori che difficilmente potranno essere vissuti, il noto penalista Nino Marazzita che ha potuto constatare l’incremento della tendenza con recenti casi di cronaca.

"Un giorno - racconta il penalista - si presenta a studio un giovane, sostenendo di essere un architetto interessato alla vicenda di Doina Matei", la romena detenuta in carcere a Lecce per omicidio preterintenzionale e difesa appunto da Marazzita. "Il ragazzo ha praticamente fatto da tramite tra me e la ragazza quando ancora era detenuta a Rebibbia e andava a trovarla quotidianamente - prosegue il racconto di Marazzita che sta scrivendo "Dieci storie d’amore e di morte" incentrate proprio su questo tema -.

"Le ha confessato pure il suo amore ma lei si è invaghita di un detenuto". Ciononostante il giovane architetto, che l’altro giorno era presente pure in Cassazione per assistere all’udienza, poi slittata, di convalida o meno della pena per la Matei, continua ad interessarsi alla detenuta romena. "Lui sa di non essere ricambiato nell’affetto - dice Marazzita - ma non desiste e continua a mantenere i contatti con Doina Matei e, soprattutto, con i suoi familiari. Viene periodicamente a studio per sapere se vi sono novità ed ora sta pensando pure di recarsi a Lecce per fare visita alla sua innamorata".

Tante le storie in cui Cupido ha lanciato gli strali a chi sta fuori dalle sbarre. "C’è stato un caso di diversi anni fa che riguardava un parricida della capitale, Marco Caruso, - racconta Nino Marazzita -. Un ragazzo molto carino che in carcere ricevette seicento lettere d’amore da ammiratrici di tutta Italia. Intervennero anche gli psicologi per dirmi di aiutarli ad interrompere questa catena di affettività perché il ragazzo, se la cosa non si arrestava, sarebbe arrivato al suicidio".

Durante la detenzione, Erika De Nardo, la giovane di Novi Ligure condannata per avere ucciso, nel 2001, a colpi di coltello la madre e il fratellino intraprese una fitta corrispondenza con un musicista veronese, Mario Gugole, che ebbe modo di dire che si trattava di una "storia seria". Un anno fa è morto in un incidente stradale. Ferdinando Carretta, che nel 1989 a Parma uccise i genitori e il fratello, si fidanzò con una ragazza conosciuta per corrispondenza quando era ricoverato nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Pietro Maso, il massacratore di Montecchia, ad un certo punto si ritrovò con una fidanzata e con una proposta di matrimonio. La fidanzata si chiamava Alessandra, bolognese, e lo seguiva di carcere in carcere. L’altra donna, dalla Puglia, gli inviava lettere quotidianamente in carcere firmandosi Rosanna Maso.

Amori veri, infatuazioni o pura mitomania? Il criminologo Francesco Bruno, spiega così la tendenza: "Per i casi noti che hanno avuto la ribalta è sicuramente una componente di mitomania che muove tutto. È un modo per esserci, per manifestarsi. Altre volte, quando l’amore viene riversato su detenuti che non hanno avuto gli onori della cronaca, può derivare dal desiderio di fare del bene".’’Anche io - riferisce - ho molti pazienti detenuti che si sono fidanzati con persone che stavano fuori. Per lo più è la solitudine che porta il detenuto a credere di avere trovato l’amore e così aspettano di uscire e per qualcuno può funzionare ma, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di fidanzamenti che naufragano".

Una tendenza, quella dell’innamoramento di un detenuto che, secondo l’esperienza del criminologo, colpisce più le donne: "Molte volte si inizia con un rapporto epistolare. Il detenuto, potendo disporre di tanto tempo, risponde e si manifesta nei lati positivi. E una volta fuori dal carcere - spiega Bruno - il rapporto può funzionare ma, il più delle volte, naufraga perché nasce in maniera sbilanciata e la coppia non si conosce abbastanza. Ci sono poi casi che finiscono drammaticamente e riguardano per lo più gli uxoricidi. Uomini finiti in carcere per avere ucciso la moglie, da dietro le sbarre tornano ad innamorarsi e una volta fuori tornano ad uccidere".

Immigrazione: l’Ue contro Maroni; i respingimenti sono illegali

 

Il Manifesto, 23 luglio 2009

 

Non si può respingere gli immigrati verso paesi in cui "rischiano la vita o di essere maltrattati". A spezzare una lancia a favore della Convenzione di Ginevra sui rifugiati è il commissario Ue alla giustizia ed interni Jacques Barrot. Dopo mesi di tentennamenti, il commissario esce allo scoperto e ammette di aver chiesto al governo italiano spiegazioni su come "alcune imbarcazioni con immigrati irregolari, tra cui ci potevano essere richiedenti asilo, sono state rinviate in Libia". La richiesta di chiarimenti è contenuta in una lettera inviata dallo stesso Barrot a Roma.

In un’altra missiva, indirizzata a Lopez Aguilar, socialista spagnolo presidente della Commissione libertà pubbliche del Parlamento europeo, lo stesso commissario chiarisce che il Codice Schengen per le frontiere "deve essere messo in atto in conformità con il principio di non respingimento". Su questo aspetto Barrot ha chiesto lumi a Roberto Maroni. Al di là della reprimenda al governo, il commissario ha però riconosciuto che la soluzione del problema passa attraverso la creazione di uffici per l’asilo in Libia, magari con l’intervento dell’Unhcr. Esattamente la via voluta da Maroni e Berlusconi.

Oltre ai respingimenti, dubbi europei esistono anche sul Pacchetto sicurezza, in particolare sull’iscrizione all’anagrafe dei figli degli immigrati e sulle informazioni da lasciare al momento di inviare le rimesse di denaro, considerate potenzialmente lesive della privacy. Barrot ha detto di esser stato rassicurato su questi punti da Maroni la scorsa settimana in Svezia, ma ha anche detto che attende conferma "scritta delle rassicurazioni". In linguaggio diplomatico vuol dire che non si fida del ministro.

Immigrazione: Friuli; legge anti-stranieri, rinviata a settembre

Elisabetta Reguitti

 

Liberazione, 23 luglio 2009

 

Il tentativo della Lega Nord di trasformare il Friuli Venezia Giulia in un vero e proprio laboratorio di razzismo applicato per ora è stato stoppato. Ma se ne riparlerà a settembre dopo la pausa estiva. Lo scontro sarà nuovamente sulla proposta di legge 39 sul welfare agli immigrati in Friuli Venezia Giulia discussa ieri in terza commissione e per ora sospesa.

La proposta leghista pretenderebbe di escludere gli immigrati dai contributi pubblici in materia di welfare. Nel dettaglio la legge 39 introdurrebbe il requisito di 15 anni di residenza o lavoro per i beneficiari di misure sociali quali mutui, abbattimento delle rette per gli asili nido, contributi per il trasporto ed i libri scolastici oltre naturalmente al fondo per l’autonomia dedicato ai disabili. E sarà battaglia vera assicurano dai banchi dell’opposizione regionale dopo che ieri il Partito Democratico, con una lettera, aveva invitato anche la Chiesa a mobilitarsi "contro".

"Stiamo diventando la regione più razzista d’Italia - afferma il consigliere regionale di Rifondazione comunista Roberto Antonaz presente ieri in commissione - La proposta di legge 39 tuttavia è solo uno dei tasselli della politica discriminatoria attuata in una regione che per tradizione e cultura al contrario è sempre stata ospitale".

Antonaz (già assessore alla Cultura durante la giunta guidata da Illy) ricorda come uno dei primi atti della nuova gestione Tondo sia stato quello di abrogare proprio la legge regionale sull’immigrazione.

"La Lega, così come avviene a livello nazionale, sta cavalcando politicamente ogni questione relativa alla presenza di stranieri. Peraltro è bene sottolineare come in Friuli non abbiamo mai avuto particolari problemi. Anzi direi che oggi il rischio è proprio quello di crearne".

La presenza di cittadini immigrati in Friuli Venezia Giulia, a differenza di altre regioni italiane, si attesta complessivamente attorno ad un 6% rispetto al milione e duecento mila di abitanti. Il picco di presenze (9 -10 %) lo si registra a Pordenone, Udine e Monfalcone.

Ma per il resto i lavoratori sono rappresentati per lo più dai cosiddetti "frontalieri": persone cioè che quotidianamente varcano gli "ex confini" che separavano Trieste e Gorizia dalla Slovenia. Entrando nel merito di quello che potrebbero essere eventuali motivazioni di natura economica è lo stesso Antonaz a ricordare come "ad oggi le case popolari assegnate agli stranieri, secondo i dati forniti dall’ Ater, sono il 3% mentre la spesa per l’assistenza sanitaria per quanti si presentano al pronto soccorso senza tessera sanitaria in un anno ammonta a circa 250 mila euro. Rispetto al bilancio regionale di 2 miliardi e 500 mila euro mi sembra una somma del tutto sostenibile".

Droghe: in Olanda il Governo rivede il suo approccio tollerante

 

Fuoriluogo, 23 luglio 2009

 

Limitare la vendita di cannabis ai consumatori locali, riconsiderare la distinzione tra droghe pesanti e leggere, innalzare il limite di età per il consumo di alcol da 16 a 18 anni e nominare uno zar delle droghe che coordini le politiche. Sono queste le raccomandazioni più importanti pubblicate giovedì 2 luglio da una commissione presieduta dal cristiano-democratico Wim van de Donk.

Il governo olandese ha chiesto alla commissione di gettare le basi per un nuovo memorandum sulle politiche olandesi sulle droghe, che sarà redatto in autunno. Il rapporto è in linea con le misure repressive già adottate negli ultimi anni, ma la commissione dice esplicitamente di non volere mettere fine alla cosiddetta "bedoogbeleid" (politica della tolleranza), né vuole legalizzare il commercio di cannabis completamente.

I tre partiti del governo di coalizione olandese - i cristiano-democratici, i laburisti e il Christen Unie (cristiani ortodossi) - sono concordi nel ritenere che l’attuale politica sulle droghe necessiti di una revisione. Il paese ha visto un aumento eclatante del turismo della droga e le esportazioni di cannabis coltivata in Olanda sono schizzate verso l’alto. Questo non sta causando solo problemi interni, ma danneggia anche altri stati membri dell’Ue insoddisfatti della politica olandese. Ma i partiti di coalizione non concordano su quale direzione prendere.

La attuale politica sulle droghe, nel migliore dei casi, è ambiziosa: i consumatori di cannabis non sono perseguiti e i coffee shops sono dotati di licenza, ma la coltivazione e la vendita all’ingrosso di cannabis sono ancora proibite. Il Partito laburista ha proposto di includere la produzione e la vendita all’ingrosso nella politica di tolleranza, ma i cristiano-democratici sono per la proibizione completa.

 

Lo scopo originario

 

Nonostante la sua reputazione internazionale di Mecca per le droghe legali, in Olanda l’uso o il possesso di erba o hascisc in realtà è ancora una condotta illecita. Ma da quando una revisione del 1976 della Legge sull’oppio ha separato droghe pesanti (ad es. cocaina, ecstasy) e droghe leggere (cannabis), l’uso personale di queste ultime non è più perseguito e anche i coffee shops che le vendono sono tollerati.

 

La tolleranza olandese

 

L’uso, il possesso o la vendita di cannabis non sono mai stati legalizzati in Olanda. Il possesso e la produzione per uso personale sono considerati condotte illecite. Tuttavia, il possesso di cannabis per uso personale non è perseguito fino a 5 grammi o 5 piante di cannabis.

I coffee shops possono avere in magazzino un massimo di 500 grammi di cannabis. La produzione su larga scala, l’esportazione o l’importazione di cannabis sono illegali, e devono essere sempre perseguite. In altre parole: i proprietari dei coffee shops possono vendere legalmente cannabis ma non possono comprarla legalmente.

La commissione Van de Donk ora vuole che i coffee shops tornino al loro scopo originario: dovrebbero essere limitati per numero e dimensioni, e servire i clienti locali, registrati, cessando di essere "strutture su larga scala per il rifornimento dei consumatori provenienti dai paesi confinanti" come avviene attualmente. Questo dovrebbe ridurre il disturbo arrecato dai turisti che attraversano i confini della Germania e del Belgio per acquistare droghe.

Una delle motivazioni della politica di tolleranza olandese era togliere le droghe leggere dalla sfera criminale separandole dalle droghe pesanti. Ma come ha osservato il professore di diritto Cyrille Fijnaut, membro della commissione van de Donk, in un articolo pubblicato lo scorso marzo, questo non è mai accaduto. Sebbene i coffee shops siano legali, la produzione e il commercio sono ancora in mano ai criminali, anche se una causa sta nel fatto che rifornire i coffee shops è per definizione illegale.

 

Un esperimento

 

La commissione Van de Donk non propone di cambiare questo stato di fatto. Essa suggerisce però un esperimento limitato nella regolazione della filiera dell’offerta per i coffee shops. Inoltre vuole innalzare il quantitativo massimo di cannabis che un proprietario di coffee shop può legalmente avere in magazzino; attualmente il tetto è 500 grammi. La commissione pone anche la questione se sia saggia la distinzione tra droghe leggere e pesanti, e suggerisce che sull’argomento sono necessarie ulteriori ricerche.

Secondo la commissione, il carattere criminale di larga parte del commercio di cannabis e gli alti valori dell’ingrediente psicoattivo tetraidrocannabinolo (Thc) individuati nell’erba olandese potrebbero costituire motivi per rivedere la distinzione. Comunque, gli esperti hanno detto che i livelli di Thc sono nuovamente scesi negli ultimi quattro anni e le ricerche suggeriscono che i consumatori adattano i quantitativi che fumano a seconda di quanto l’erba è forte.

 

I suggerimenti della commissione

 

Limitare la vendita della cannabis ai consumatori locali; sperimentare la produzione e l’approvvigionamento legali di coffee shops per i soli soci; commissionare ulteriori ricerche, eventualmente ripensare la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti; nominare uno zar delle droghe per coordinare tutte le iniziative.

Una parte sostanziale del rapporto è dedicata ai giovani e a come proteggerli dagli effetti nocivi delle droghe e dell’alcol. Van de Donk vuole innalzare il limite di età per l’alcol portandolo da 16 a 18 anni, che è anche la soglia di età per fumare la cannabis. Per la verità, le statistiche mostrano un calo del numero dei teenager olandesi che fanno uso di droghe leggere, dal 14% nel 1996 al 10% di oggi. Nella popolazione olandese compresa tra 15 e 64 anni, meno del 5% fuma droghe regolarmente.

 

Uno zar delle droghe

 

Non è chiaro se questo sia un risultato dell’approccio più duro recentemente adottato nei confronti delle droghe leggere. Sebbene a livello nazionale non siano state prese misure drastiche - a parte il bando dei funghi "magici" allucinogeni lo scorso anno - le autorità locali hanno introdotto un giro di vite sulla coltivazione, sulla vendita e sull’uso di droghe leggere.

Ad Amsterdam e Rotterdam, i coffee shops sono vietati nel raggio di 250 metri dalle scuole superiori. Le città di frontiera Bergen op Zoom e Roosendaal hanno chiuso tutti i loro otto coffee shops per mettere fine all’afflusso di turisti della droga provenienti dal Belgio che attraversano il confine per fare rifornimento. Il più grande coffee shop del paese, nella città di Terneuzen, è stato chiuso nel 2008 perché eccedeva le quantità consentite di marijuana comprata e venduta. Il suo proprietario è ora accusato di aver gestito una organizzazione criminale. La città di Maastricht, nel sud del paese, sta trasformando i suoi coffee shops in locali per soli soci. Tra il 1997 e il 2007 il numero dei coffee shops è sceso da 846 a 702.

Secondo il rapporto van de Donk, la diversità delle iniziative locali richiede una chiara direzione nazionale. Attualmente sono troppe le autorità che decidono le politiche connesse a questioni quali la giustizia, la sanità, la sicurezza pubblica, l’istruzione e anche la politica estera, imponendone il rispetto. Il rapporto chiede che uno zar delle droghe sovrintenda a tutte queste aree. Secondo Van de Donk "il problema giustifica una ambizione più vincolante, basata sulla leadership politica, che arrivi anche a connetterci con i nostri vicini e con gli Stati Uniti".

Giappone: un ergastolano scagionato, dopo 17 anni di carcere

 

Ansa, 23 luglio 2009

 

Toshikazu Sugaya, un giapponese di 62 anni, in prigione da 17 anni, vi sarebbe rimasto per tutta la vita, essendo stato condannato all’ergastolo per lo stupro e l’uccisione nel 1990 della bimba di 4 anni Mami Matsuda, ma incredibilmente a farlo proclamare innocente e tornare in libertà è stato un compassionevole e volenteroso avvocato con l’aiuto di un suo capello e un poco di sperma.

In seguito ad una serie di circostanze, la polizia mise gli occhi su Sugaya, un uomo solo, timido, lasciato dalla moglie perché impotente, avido consumatore di materiale pornografico con cui si masturbava e per giunta autista di uno scuola-bus per bambini e quindi - pensò la polizia - esposto a tentazioni pedofile.

I sospetti su Sugaya si trasformarono in certezza quando gli agenti, scoperto nella sua spazzatura un fazzoletto di carta impregnato del suo sperma, lo compararono con quello trovato nella biancheria della bimba uccisa e decisero in base ad esami del Dna, a quel tempo ancora imprecisi, che era lo stesso. Dopo un brutale interrogatorio, il povero Sugaya confessò il delitto non commesso, e anche se successivamente ritrattò la sua confessione, nel 1993 fu condannato all’ergastolo dopo che perfino il suo avvocato lo aveva abbandonato.

La salvezza di Sugaya è stato l’avvocato ed esperto di Dna Hiroshi Sato, che si offrì di aiutarlo gratuitamente, visto che il caso aveva suscitato notevole interesse sui media giapponesi. Sato disse a Sugaya di mettere un suo capello in una busta per eseguire un altro esame del dna, con tecniche ormai diventate assai più avanzate di quando non fossero nel 1990.

Il test di Sato ha dimostrato che né il dna del capello, né dello sperma di Sugaya ritrovato dalla polizia, combaciavano con lo sperma lasciato sulla sua vittima dal vero assassino, a tutt’oggi sconosciuto. La polizia deve ora trovarlo, e lo sospetta di essere un serial-killer, avendo forse ucciso anche la piccola Maya Fukushima, di 5 anni, trovata morta nel 1979.

Dopo 17 anni di carcere durante i quali ha subito terribili angherie da parte degli altri detenuti che lo ritenevano un mostro, Sugaya verrà risarcito, ma con una somma consistente ma che non vale certo 17 anni di vita: poco più di mezzo milione di euro.

 

 

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