Rassegna stampa 22 luglio

 

Giustizia: 63.661 detenuti; le carceri italiane da "terzo mondo"

 

Apcom, 22 luglio 2009

 

Il Sappe lancia l’allarme sovraffollamento nelle carceri. Al 20 luglio, secondo le ultime rilevazioni, sono 11 le Regioni "fuori legge" che ospitano un numero di persone superiore al limite "tollerabile": Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. La denuncia è del segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece. Alle undici regioni si aggiungono tutte le altre che "superano comunque il limite regolamentare".

I detenuti presenti in tutta Italia sono 63.661 a fronte di un limite regolamentare di 43.327 (146% rispetto al limite). La capienza tollerabile è di 64.111 unità, pertanto il livello di tollerabilità ha raggiunto il 99%; gli stranieri sono 23.518, pari al 36,94% del totale.

Nel dettaglio, la situazione più grave è in Emilia Romagna dove si è raggiunto il 202% della capienza regolamentare, in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta intorno al 130% della capienza tollerabile. Il record del superamento della capienza regolamentare spetta a Caltagirone: su 75 presenze previste e 150 di limite tollerabile, il 20 luglio erano presenti 259 persone (345% rispetto alla capienza prevista). Il record della situazione intollerabile è a san Severo in Puglia con il 213% della capienza tollerabile.

Per denunciare "queste gravissime criticità, che rischiano di far implodere da un giorno all’altro il sistema penitenziario e che ricadono principalmente sugli agenti di Polizia penitenziaria", il Sappe sarà a manifestare in piazza domani a Napoli, davanti al carcere di Poggioreale, insieme alle altre sigle sindacali: Osapp, Sinappe, Cisl Fns, Cgil FP ed Uspp per l’Ugl (in rappresentanza di oltre l’85% del personale di polizia penitenziaria sindacalizzato).

La situazione, spiega Capece, è pesante per i 39mila dipendenti in divisa - "Le cifre sono rilevate dal Dap che ovviamente se ne guarda bene dal presentarle all’opinione pubblica. Il capo del dipartimento Ionta - si legge in una nota - non ha fatto nulla di concreto per risolvere i gravi problemi penitenziari e si è limitato a lanciare slogan sull’edilizia penitenziaria per disinnescare la bomba ad orologeria delle carceri italiane".

"Si continua a parlare di un piano sull’edilizia di prossima attuazione, ma in realtà ci vorranno anni prima che venga costruito un singolo nuovo carcere". Il Sappe denuncia "situazioni sanitarie da terzo Mondo" e personale esposto a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, aggressioni da parte dei detenuti e tentativi d’evasione all’ordine del giorno. "L’unica via d’uscita da questa situazione sono - secondo Capece - le misure alternative alla detenzione, lo strumento migliore per garantire la vera sicurezza per i cittadini". Perché "soltanto chi ha la possibilità di allontanarsi dal carcere per una seria prospettiva di lavoro all’esterno non tenta di commettere altri reati".

Giustizia: operatori uniti, nella richiesta di più pene alternative

 

Ansa, 22 luglio 2009

 

Meno custodia cautelare più forme di pena alternative al carcere: "solo così si potrà limitare il sovraffollamento negli istituti di pena, garantire un efficace processo di risocializzazione e contribuire ad aumentare la sicurezza dei cittadini.

È il grido di allarme che penalisti, dirigenti, polizia penitenziaria, funzionari e volontari hanno deciso di lanciare insieme per la prima volta. "Oltre 64.000 detenuti in strutture che ne dovrebbero contenere 43.000: questa - è detto in una nota - è la misura del sovraffollamento carcerario, ai livelli più alti del dopoguerra.

Il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Oreste Dominioni; il presidente dell’Associazione Nazionale dei Dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria (Andap) e direttore dell’Istituto Penitenziario di Rebibbia Nuovo Complesso Carmelo Cantone; il segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) Donato Capece; il presidente dell’Osservatorio per i Diritti e le Garanzie nel Sistema Penale Antigone, Patrizio Gonnella, ed il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni, illustreranno critiche e proposte in una conferenza stampa a Roma, mercoledì 29 luglio, alle ore 11.30 in via del Plebiscito 102.

Giustizia: fa caldo fuori e fa ancora più caldo nelle 28.828 celle

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 22 luglio 2009

 

Fa caldo fuori. Ma fa ancora più caldo nelle 28.828 celle delle carceri italiane. Un caldo soffocante. Fatto di corpi ammassati e sudati. Di celle chiuse, vecchie e sovraffollate. Non ci si pensa mai. Eppure non deve essere facile resistere alle alte temperature estive chiusi in una cella con altri 8, 10, 11 e anche 15 detenuti.

Chiusi a soffocare per 21 ore al giorno in un piccolo spazio. C’è da impazzire. Non è un caso che d’estate aumentano i disagi nelle italiche prigioni. Disagi che quest’anno sono ancora più gravi, visto il livello record di sovraffollamento. Da Nord a Sud. Dal carcere di Torino fino a quello sperduto nell’isola di Favignana. I detenuti inventano innumerevoli rimedi per tentare di resistere all’afa.

C’è chi passa le ore più calde a bagnarsi con l’acqua. Oppure c’è chi cerca una folata di vento davanti alla finestrella della cella. Ovvero l’unica apertura, in quello spazio angusto, da cui arriva un po’ di aria. Infatti spesso le celle vengono chiuse, oltre che dal cancello, anche da una seconda porta chiamata in gergo "blindato". Una pesante lastra di ferro che impedisce un adeguato ricambio dell’aria.

"Comandà apriteci il blindato, qui si soffoca!" È la frase più ripetuta di questa estate galeotta. Qualcuno acconsente, altri no. Di notte non va di certo meglio. L’afa non concilia il sonno. E tanti detenuti chiedono le gocce, i tranquillanti, per riuscire a dormire qualche ora. Altri bagnano le lenzuola per trovare un po’ di sollievo. Rimedi temporanei e nocivi per resistere al degrado.

Giustizia: la Polizia Penitenziaria; contro le scelte del Governo

 

Comunicato stampa, 22 luglio 2009

 

Come deliberato dalle Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali Fp Cgil-Fns Cisl-Sappe-Osapp-Sinappe e Ugl, centinaia poliziotti penitenziari a Napoli per manifestare davanti al carcere di Poggio reale il proprio malcontento e l’insostenibile disagio lavorativo a cui vengono costretti negli istituti penitenziari a causa dell’inerzia del Ministro della Giustizia e delle scelte del Governo.

Sovraffollamento inumano delle strutture (quasi 65.000 i detenuti ristretti in spazi angusti), anche di quelle campane (sono circa 7300 i detenuti rinchiusi a fronte di circa 5400 posti disponibili), con un trend di crescita di mille ingressi al mese, carenza di circa 6.000 unità di Polizia Penitenziaria (in Campania sono circa 400 le unità mancanti), aggressioni quotidiane e pesantissime ai poliziotti, condizioni di lavoro difficili e disagiate, rese per lo più in ambienti insalubri e pericolosi o, anche, in strada con mezzi inadeguati, vetusti e insicuri; stipendi tra i più bassi d’Europa, contratto scaduto dal mese di dicembre 2007, diritti contrattuali negati, mancato pagamento degli emolumenti accessori maturati per l’espletamento degli insostenibili carichi di lavoro straordinari assegnati, degli aumenti contrattuali già percepiti dalle altre forze di Polizia, e molto altro ancora, sono solo alcune delle ragioni che spingeranno i poliziotti penitenziari a scendere domani in piazza e che testimoniano la distanza che intercorre tra la loro reale condizione e le parole del Ministro della Giustizia.

Da parte di quest’ultimo, come del governo, tante parole ma nessuna prospettiva di soluzione per l’immediato, non un programma o una indicazione per affrontare l’emergenza penitenziaria oggi, che sta ormai diventando ingestibile, come dimostra quanto accaduto e sta succedendo tra gli altri anche al carcere di Forlì, solo repressione e carcere.

Tutte le soluzioni vengono sempre rimandate all’attuazione del famoso/lacunoso piano carceri - a noi mai illustrato - che viene da più parti - sempre le stesse - reiteratamente evocato. Ma quando sarà concretamente avviato e con quale soldi, se da ultimo il Ministro Alfano è stato costretto ad appellarsi anche all’Unione Europea per realizzarlo?

 

Mauro Beschi, Segretario Nazionale Fp Cgil

Francesco Quinti, Coordinatore Nazionale Cgil Polizia Penitenziaria

Giustizia: Sappe; successo di manifestazione unitaria a Napoli

 

Il Velino, 22 luglio 2009

 

"È stata un successo la manifestazione della Polizia penitenziaria organizzata oggi a Napoli davanti al carcere di Poggioreale". Lo sostiene Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo sindacato di categoria tra i promotori della manifestazione.

"Dopo quelle di Milano e Bologna - aggiunge -, anche la manifestazione di protesta promossa dal Sappe insieme ad Osapp, Sinappe, Cisl Fsn, Cgil Fp e Uspp per l’Ugl (in rappresentanza dell’85 per cento del personale di polizia penitenziaria) che si è svolta oggi davanti al carcere di Napoli Poggioreale è stata un grande successo. Lo hanno dimostrato le centinaia di poliziotti provenienti dalla Campania e dal Molise che hanno testimoniato l’alto livello di disagio con il quale quotidianamente si confrontano le donne e gli uomini della polizia penitenziaria nelle oltre 200 carceri del Paese. Lo hanno dimostrano i cittadini di Napoli, che ci hanno espresso solidarietà e che ci hanno invitato a non mollare nella nostre rivendicazioni per ottenere migliori condizioni di lavoro, riforme strutturali del sistema carcere e nuove assunzioni".

"Una situazione ogni giorno sempre più drammatica - spiega Capece -, in cui a pagare il prezzo più pesante sono gli agenti di polizia penitenziaria impegnati nella prima linea delle sezioni detentive e dei molteplici impieghi operativi quotidianamente a contatto con i detenuti, caratterizzata da 64 mila detenuti presenti a fronte di 42 mila posti letto disponibili e ben cinquemila agenti di polizia penitenziaria in meno negli organici del corpo.

Una criticità emergenziale al limite dell’implosione, rispetto alla quale non sono ulteriormente tollerabili i silenzi di via Arenula e di largo Daga (sede del Dap). È bastato un solo anno per marchiare indelebilmente come fallimentare la conduzione dell’Amministrazione penitenziaria da parte di Franco Ionta, che probabilmente non ha trovato molti stimoli ad essere capo del Dap, capo della Polizia penitenziaria e commissario straordinario delle carceri".

"E allora - insiste il leader del Sappe -, avanti un altro. Magari dal curriculum meno prestigioso e quindi forse maggiormente motivato. Lo abbiamo già detto. Lo ribadiamo oggi, a margine delle proteste di Napoli: governo, ministero della Giustizia e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non possono continuare a ignorare l’emergenza nazionale delle carceri e le conseguenti gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari. Noi andremo avanti a manifestare nelle piazze per coinvolgere l’opinione pubblica su questo grave problema.

Ma se è il caso manifesteremo anche nei penitenziari con lo sciopero bianco, applicando cioè alla lettera i regolamenti e gli ordini di servizio interni. Bloccheremo le carceri, se è il caso, per rivendicare tutele e dignità per le donne e gli uomini del Corpo di Polizia penitenziaria". Al termine della manifestazione, una delegazione di sindacalisti è stata ricevuta dal provveditore regionale penitenziario della Campania Tommaso Contestabile al quale sono state rappresentate le ragioni della protesta.

Giustizia: il pacchetto-sicurezza e il destino delle leggi malfatte

di Fabio Lattanzi

 

www.radiocarcere.com, 22 luglio 2009

 

Non fare o fare male. Non pare esservi un’alternativa. La conferma di questo triste assunto è costituita dall’ultima fatica del legislatore, conosciuta ai più come "legge sulla sicurezza". Il Presidente della Repubblica l’ha promulgata ed ha inviato una missiva all’esecutivo, nella quale ha sottolineato l’esistenza di dubbi di "irragionevolezza e insostenibilità". Difficile non condividere. L’articolato contiene norme dal contenuto eterogeneo sprovviste di una minima coordinazione.

Nessun miglioramento è prevedibile per la "sicurezza". L’intervento legislativo produrrà più probabilmente un ulteriore declassamento del servizio giustizia e di conseguenza maggiore insicurezza. I rimedi proposti per affrontare tematiche quali l’immigrazione clandestina ed i reati a sfondo sessuale lasciano, a volere essere benevoli, perplessi.

L’acuto legislatore, per esempio, ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina, ma paradossalmente ha stabilito che il comportamento delittuoso sia punito con "l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro". Il paradosso celebrare un costoso processo ed al termine chiedere al nullatenente soldi.

La missiva del Capo dello Stato è sicuramente non usuale e segna un ulteriore passo di quella evoluzione che nell’ultimo decennio ha portato il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo attivo relativamente al procedimento legislativo. Un ruolo che hanno fatto proprio anche altre figure istituzionali del nostro sistema costituzionale. Il Consiglio superiore della magistratura diversamente dal passato ha sempre più di frequente espresso pareri relativi provvedimenti legislativi in itinere.

I magistrati, sia come singoli sia rappresentati dall’Associazione, hanno più volte manifestato la loro opinione o, più precisamente, il loro dissenso, con riferimento a progetti di legge relativi al sistema giudiziario. Il mutamento funzionale, se così si può definire, sembra essere causato dal fatto che la potestà legislativa, oggi sempre più frequentemente esercitata dall’esecutivo, ha prodotto provvedimenti che nella migliore delle ipotesi si possono definire malfatti. La Corte costituzionale d’altronde è intervenuta più volte per applicare alle leggi d’ispirazione governativa la sanzione più pesante: l’illegittimità costituzionale.

Al fare male però non sembra esserci alternativa. La critica è forte ma la proposta appare debole. Il nuovo è visto come un necessario peggioramento rispetto al vecchio. E allora è preferibile non fare. Per evitare di fare si giunge al paradosso della negazione del problema. Si nega che il nostro sistema giudiziario è incapace di trasmettere certezza, determinando una conseguente insicurezza.

Non è certa la pena, nel senso che si ha la convinzione che questa mai sarà totalmente eseguita. Se così non fosse non si giustificherebbe altrimenti il considerare una pena risibile sei anni di reclusione in un istituto penitenziario. Non è neppure certa la colpevolezza, nel senso che non vi è sicurezza che colui che è ritenuto tale al termine del processo lo sia effettivamente.

Non certo il diritto. L’interpretazione della legge muta di sovente ed è difficile prevedere quale sia quella corretta. Il processo penale viene vissuto come una cabala. Troppi coloro che condannati non scontano la giusta pena. Troppi coloro che sono condannati ingiustamente. Troppe soprattutto le custodie cautelari illegittime. I rumeni ingiustamente arrestati e lapidati. Il padre di Gravina ingiustamente arrestato e lapidato. Fatti trattati come disfunzioni fisiologiche del sistema. Minimizzare sembra preferibile al discutere, al riflettere.

La conseguenza è ovvia. Il superamento della soglia della tollerabilità costringe ad interventi emergenziali, non adeguatamente ponderati. Ed allora al non fare si sostituisce il fare male.

Giustizia: lodo Alfano e stretta pubblicazioni, dialogo in salita

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2009

 

"Direi che un minimo di disponibilità a percorrere una via mediana c’è; una via che se anche non soddisfa, non scontenta". Da siciliano, Roberto Centaro dosa le parole per dire che la maggioranza non sarà sorda all’appello al dialogo del Presidente della Repubblica sul Ddl intercettazioni.

Purché l’opposizione, aggiunge, "non pretenda di imporre le proprie scelte; altrimenti per noi sarebbe un suicidio". Peraltro, il relatore al Senato del provvedimento lascia intendere che non si entrerà nel vivo dell’esame prima di metà ottobre, cioè dopo che la Corte costituzionale si sarà pronunciata, il 6 ottobre, sul Lodo Alfano, lo scudo processuale per le alte cariche dello Stato.

"Onde evitare, anche lontanamente, che ci siano spunti per alzare la tensione - spiega Centaro - il termine per la presentazione degli emendamenti sarà fissato, verosimilmente, dopo il Lodo, verso metà ottobre". Prima di allora, ci sarà spazio per audizioni (si parte domani con giornalisti e editori e si continuerà la settimana prossima con Anm, avvocati, Procuratore nazionale antimafia) e poi seguiranno le repliche del relatore e del Governo.

Nel frattempo la "Consulta della giustizia del Pdl" (di cui Centaro fa parte) tenterà di trovare una linea unitaria tra le sue diverse anime: quella più dialogante, che spinge per un testo condiviso, rappresentata da Fini-Bongiorno, e quella più intransigente, rappresentata da Niccolò Ghedini, consigliere giuridico del premier. Certo è che le intercettazioni non figurano nell’agenda della maggioranza di qui alla fine di agosto, sebbene la tradizione voglia che, da anni, proprio ad agosto, Berlusconi abbia sempre rilanciato questo tema dalla sua villa in Sardegna.

Anche le parole di Gianfranco Fini sono state un preciso segnale politico alla maggioranza e, ovviamente, all’opposizione. Il presidente della Camera non è entrato nel merito delle correzioni, ma è ormai noto che tra i punti da rivedere ci sono anzitutto i presupposti in base ai quali si possono autorizzare le intercettazioni; presupposti talmente stringenti che, secondo l’Anm, depotenziano fortemente le indagini contro ignoti e persino quelle contro la mafia. Il testo della Camera parla di "evidenti indizi di colpevolezza" in luogo dei "gravi indizi di reato" previsti attualmente dal Codice, "che è come dire - ha osservato ieri Donatella Ferranti del Pd - che per fare una perquisizione si deve già sapere chi è il colpevole".

"Di tornare indietro, non se ne parla", dice Centaro, mentre i finiani sono molto più flessibili. Idem sulla possibilità di rivedere le multe salate previste per gli editori in caso di violazione del divieto di pubblicare le intercettazioni. Ancora da discutere la posizione sulla norma transitoria che, nel testo attuale, esclude l’applicazione delle nuove norme ai processi in corso, ma pone una serie di problemi (organizzativi e di costituzionalità) da far presagire il caos negli uffici giudiziari.

"E un problema di civiltà politica che riguarda tutti, nessuno è al sicuro" diceva ieri il vice capogruppo Pdl al Senato, Gaetano Quagliariello, a proposito della riforma, confermando che il rinvio all’autunno è stato determinato dalle parole di Napolitano. La Lega, con Matteo Brigandì sostiene che per dialogare è necessario che "una parte, della magistratura e i partiti di minoranza non si barrichino dietro le loro posizioni", ma l’Idv fa sapere che "non si può avere alcun tipo di dialogo se il governo non cambia la porcheria che ha portato in Parlamento".

Giustizia: tangenti sui rifiuti; arrestato sindaco di Lampedusa

 

Il Corriere della Sera, 22 luglio 2009

 

Un acconto di 9mila euro, e altri 60mila a saldo dopo l’approvazione della delibera: è la tangente chiesta dal sindaco Dino de Rubeis per far approvare dal Consiglio comunale il pagamento di un vecchio debito (circa un milione e mezzo di euro) nei confronti della ditta Seap che gestisce la raccolta rifiuti a Lampedusa.

Questo stando alla denuncia di uno dei soci della Seap, l’imprenditore agrigentino Sergio Velia, che ieri ha fatto finire in carcere il sindaco, già protagonista di un braccio di ferro col ministro dell’Interno Maroni dopo la decisione di istituire sull’isola un centro di identificazione ed espulsione per immigrati. A quella vicenda ha fatto riferimento De Rubeis quando la Guardia di finanza gli ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare per concussione. "È una manovra del governo nazionale", ha gridato prima di essere trasferito in elicottero ad Agrigento. Per la leghista Angela Maraventano "il governo non c’entra nulla. Chi ha sbagliato deve pagare".

Eletto nel 2007, da ex seminarista De Rubeis si è trasformato in capopopolo. A gennaio l’accusa di aver capeggiato la rivolta degli immigrati in fuga dal centro. "Accuse infondate del solito Maroni", si difese. Ora però inciampa su una presunta tangente nell’ambito di una più ampia inchiesta coordinata dal procuratore Di Natale e dall’aggiunto Fonzo. Velia dice di avergli già versato in contanti 7 mila euro e di avere appuntamento per i restanti 2 mila di acconto.

A fine giugno, al telefono col sindaco, chiede: "Per quella sanatoria edilizia, quegli ultimi due documenti te li devo portare?". De Rubeis: "Vieni, problemi non ce ne sono, piena disponibilità, sei una persona corretta". Per gli inquirenti è un messaggio in codice sui 2mila euro. "Anche perché - osservano - Vella non ha pendente alcun procedimento amministrativo di sanatoria".

Ma agli atti ci sarebbero intercettazioni e prove testimoniali. Anche il presidente del Consiglio comunale Vincenzo D’Ancona avrebbe raccontato di essere a conoscenza di versamenti a De Rubeis. Secondo la Finanza il sindaco aveva intuito di essere nei guai tanto da rifiutare contatti con l’imprenditore; in un’occasione, immaginando di essere intercettato, telefona a un capitano dei carabinieri parlando di "proposte indecenti fatte da Velia". Che ha spiegato: "Ho accettato di stare al gioco perché senza quei soldi la mia azienda rischiava di fallire".

Lettere: detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 22 luglio 2009

 

Caro Arena, mi trovo detenuto nel reparto G9 del carcere Rebibbia di Roma e volevo aggiornarti sulla tragica situazione che si sta vivendo anche in questo carcere.

Noi detenuti siamo sempre di più e la direzione non sa più dove metterci, così hanno chiuso alcune stanze dove facevamo attività trattamentali, per utilizzare come celle. Hanno trasformato in cella la sala ricreativa, dove andavano dalle 16 alle 18 e dentro ci hanno messo sei brande e sei detenuti. Hanno chiuso la sala della musica, e dentro ci hanno messo sei brande e sei detenuti. Stessa sorte è toccata alla stanza dove facevamo i corsi scolastici, anche lì sei brande e sei detenuti. Morale ora siamo costretti a restare in cella per 22 ore su 24.

Siamo tanti noi detenuti qui a Rebibbia, anzi siamo tantissimi e viviamo ammassati come animali.

Ma perché questo governo non fa un’amnistia? Conviene a tutti non solo ai detenuti ma anche agli agenti di custodia e ai giudici. Questo non è più un carcere, ma un braccio della morte. Ti informo anche che anche noi abbiamo iniziato la protesta pacifica con la battitura delle sbarre dalle 19 alle 20 e invitiamo tutti i detenuti d’Italia a unirsi a noi in questa lotta non violenta per il rispetto dei nostri diritti di esseri umani. Ciao e grazie.

 

Sergio, dal carcere Rebibbia di Roma

 

Caro Riccardo siamo i detenuti del carcere di Termini Imerese e ti scriviamo per informarti sulle condizioni disumane in cui siamo costretti a vivere ogni giorno. Pensa che in una cella grande 4 metri per 4 siamo rinchiusi in 8 detenuti. Ma qui c’è che sta peggio, infatti in altre celle ci stanno 10 o 11 detenuti. Nel carcere di Termini Imerese i letti a castello non sono a tre piani, ma a quattro piani! L’altra settimana un ragazzo è caduto dal quarto piano del letto a castello, ha sbattuto la testa e aveva bisogno di alcuni punti di sutura, ma siccome mancava il personale gli hanno solo fasciato la testa. Nessun medico lo ha visitato, quel ragazzo ancora oggi ha forti dolori alla testa ma loro si limitano a dargli dei tranquillanti.

Anche incontrare i nostri parenti diventa un incubo qui nel carcere di termini Imerese. Infatti la sala colloquio è squallida e sporca e c’è ancora il vetro divisorio che è vietato dalla legge. Questa è la nostra vita qui nel carcere di termini Imerese. Ti informiamo anche che abbiamo iniziato lo sciopero della fame e anche a fare la battitura per protestare contro le nostre condizioni di vita e vorremo anche esortare gli altri detenuti a protestare pacificamente, in modo non violento, perché ci possono togliere la libertà ma non la dignità. Ciao Riccardo!

 

Un gruppo di detenuti dal carcere di Termini Imerese

Sardegna: Ladu (Pdl); no a detenuti "speciali" in carceri regione

 

Agi, 22 luglio 2009

 

"La Sardegna non ha bisogno di detenuti speciali, ma di ben altri interventi". L’ha detto Silvestro Ladu (PdL), presidente della Commissione Politiche europee e Diritti Civili del Consiglio regionale della Sardegna, dopo il sopralluogo nel carcere di Macomer (Nuoro) che potrebbe ospitare presunti esponenti di Al Qaeda accusati di terrorismo e detenuti a Guantanamo. "Come Commissione abbiamo potuto verificare la pesante carenza di personale, sia militare che civile che andrebbe risolto al più presto perché questa situazione si ripercuote all’interno del carcere riducendo di molto di spazi di libertà per detenuti e operatori".

"Sappiamo che ci sono 8.000 sardi che lavorano nei penitenziari italiani e che da tempo hanno chiesto il trasferimento in Sardegna senza ottenere risposta. Crediamo che, se almeno una parte di queste richieste venisse soddisfatta", prosegue il presidente della Seconda commissione, "risolveremmo gran parte dei problemi delle carceri isolane. Per questo riteniamo vada fatto il possibile per dare risposte a questi nostri corregionali".

"Abbiamo verificato come, diversamente dalle colonie penali, nel carcere chiuso manca il lavoro per i detenuti. Una condizione indispensabile affinché la detenzione possa diventare, davvero, motivo di riscatto e di recupero sociale. Per questo motivo crediamo sia giusto valorizzare le colonie penali le quali, attraverso il lavoro, i detenuti possano trovare occasione di riscatto sociale e trasformarle in oasi verdi valorizzando l’ambiente e creando una importante fonte di reddito". "Tornando a Macomer - conclude Ladu - il carcere è costruito con caratteristiche che non consentono possa diventare di massima sicurezza da poter accogliere terroristi. Se ciò dovesse accadere, condizionerebbe molto la vita dei cittadini di Macomer".

Lazio: sanità penitenziaria, lo Stato deve 22 milioni a Regione

 

Ansa, 22 luglio 2009

 

Roma - Sono circa 22 i milioni di euro che la Regione Lazio attende dal ministero dell’Economia, nell’ambito del trasferimento alle Regioni delle competenze sanitarie delle carceri. Ad annunciarlo il vice presidente della Regione Lazio, Esterino Montino, che stamani ha consegnato 46 nuovi macchinari medici per il centro clinico di Regina Coeli. "Noi dovevamo avere 5 milioni di euro per il residuo del 2008- ha spiegato Montino- ma dal ministero non abbiamo ricevuto nulla. Così come ancora stiamo aspettando i 17 milioni di euro per il 2009. Sono fondi che la Regione sta anticipando con difficoltà, perché la sanità del Lazio non brilla certo sotto l’aspetto della disponibilità finanziaria, ma non potevamo non prenderci cura dei detenuti".

Lazio: i nuovi macchinari per il Centro Clinico di Regina Coeli

 

Iris, 22 luglio 2009

 

Nuovo look per il centro clinico del carcere Regina Coeli di Roma. Sono stati consegnati infatti oggi dalla Regione Lazio i nuovi macchinari che potenzieranno l’offerta sanitaria dello storico istituto penitenziario capitolino. Le apparecchiature sostituiranno di fatto le vecchie dotazioni del centro clinico e la Regione Lazio si è fatta carico della spesa rispettando il passaggio delle competenze sanitarie delle carceri, sancito nell’ottobre 2008, dal ministero della Giustizia ai servizi sanitari regionali. Le prime attrezzature consegnate oggi fanno parte di una dotazione complessiva di 110 nuovi macchinari medici per gli ambulatori sanitari degli istituti penitenziari del Lazio, per un totale di circa 2 milioni e mezzo di euro. Alla consegna era presente anche Esterino Montino, vicepresidente della Regione Lazio. Sono 46 le nuove attrezzature consegnate al Regina Coeli; altre 32 andranno a Rebibbia, 12 a Rieti, 9 a Frosinone, 7 a Civitavecchia e 4 a Velletri.

Al termine della conferenza di presentazione, il direttore generale dell’Asl Roma A, Carlo Saponetti, ha accompagnato Montino nella visita dei reparti, soffermandosi su quello di radiologia. "Rafforzare il settore dell’assistenza sanitaria nelle carceri - spiega il vicepresidente - è un atto di solidarietà. L’iniziativa sarà ora rivolta a tutti gli istituti regionali. Non potevamo non dare una risposta di questo tipo, visto che l’eredità avuta dal ministero della Giustizia ci ha dato circa l’80% dei macchinari fuori norma".

Tra le maggiori criticità che deve affrontare la Regione in questo settore, oltre alla vetustà delle apparecchiature, c’è anche il mancato trasferimento di fondi dal Ministero dell’economia alla Regioni: una cifra che supera il 22 milioni di euro. "Qui al Regina Coeli - conclude Montino - ci saranno anche due sale operatorie per i piccoli interventi che permetteranno di non dover più trasferire i detenuti negli ospedali, con tutto quel che comporta in termini di sicurezza e trasporto".

Viterbo: detenuti sono più del doppio; un carcere-pattumiera

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 22 luglio 2009

 

"La pattumiera del Lazio". Ecco come il carcere Mammagialla di Viterbo veniva definito qualche anno fa dagli stessi operatori di polizia che vi lavoravano. La situazione non è cambiata, come è emerso dalla visita all’istituto effettuata ieri da Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, accompagnato dall’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, dalla consigliera Anna Pizzo, dal presidente di Antigone Patrizio Gonnella e da Giancarlo Torricelli e Sara Bauli dell’Arci di Viterbo.

La capienza regolamentare del carcere è di 275 posti letto. Sarebbero qualcuno in più, ma una sezione è chiusa. La capienza giudicata dall’Amministrazione Penitenziaria come "tollerabile" è certamente più alta. Non sono i funzionari del Dipartimento a dormire sulle brande accatastate, e la loro tollerabilità dunque cresce assai. Ma i dati relativi ai singoli istituti sono spariti dal sito del Ministero della Giustizia e dunque non ci è dato sapere il numero preciso.

Del quale comunque poco ci importa: a noi importa constatare che, a fronte di 275 posti letto regolamentari, i detenuti che stanotte hanno dormito nel Mammagialla sono stati ben 690 dei 5.739 detenuti complessivi nei penitenziari laziali. Parecchio più del doppio. Una delle carceri più affollate d’Italia, ma purtroppo in buona compagnia. Al termine della visita di ieri Mauro Palma ha affermato: "vi è una preoccupante carenza di personale. È all’attivo solo il 60% di quello previsto. Ai detenuti è riservato inoltre un trattamento molto duro, come se tutti quelli presenti fossero soggetti ad alto tasso di pericolosità".

La pattumiera del Lazio, appunto. Viterbo è un cosiddetto "carcere punitivo", dove vengono mandati tutti quei soggetti cui per qualche motivo si vuole dare una lezione e riservare un trattamento particolarmente duro. E, follia tra le follie, vengono mandati al Mammagialla anche coloro che manifestano di avere problemi di carattere psicologico o anche psichiatrico. Soggetti da buttare. Nella pattumiera. "Le gravissime condizioni di affollamento", ha detto Luigi Nieri, "determinano condizioni di vita difficilissime per i detenuti".

Come ha affermato Anna Pizzo, "il numero delle ore destinate alla socialità e alle attività formative è ridotto all’osso". Poche le attività che si svolgono in carcere, pochi i momenti di socialità, poche le attività di studio e formazione. Molto l’ozio forzato. Molti gli ambienti fatiscenti: docce, corridoi, passeggi per l’ora d’aria.

Il sito Innocentievasioni.net, diretto da Luigi Manconi e Patrizio Gonnella, si diverte ogni giorno a pubblicare il numero complessivo raggiunto dalla popolazione carceraria italiana. Oggi i detenuti sono 63.661. La capienza delle nostre carceri è di 43.327. Quella che per il Ministero sarebbe tollerabile è di 64.111. Ovviamente, come Achille con la tartaruga, non la si raggiunge mai. Tutti dentro. Il carcere è la pattumiera della nostra società. Meno male che, anche durante l’estate, qualcuno non si è dimenticato della pattumiera laziale.

Bologna: al carcere Dozza nuova emergenza, rischio epidemie

 

www.viaemilianet.it, 22 luglio 2009

 

Lo denuncia il Garante dei detenuti: nel carcere di Bologna l’inverosimile numero di afflussi blocca i controlli. I quattro ragazzi arrestati per il G8 raccontano le condizioni disumane di detenzione.

Nascoste nella nebbia della disinformazione ormai dilagante, le prigioni italiane vivono una situazione di degrado senza precedenti. Dopo l’ultimo indulto, il numero dei detenuti è andato di nuovo crescendo a livelli senza precedenti. Le strutture scoppiano (in Emilia-Romagna le "presenze" sono il doppio dei posti disponibili). Cosa vuol dire in concreto? Oggi arrivano due "racconti". Non li chiamiamo denunce perché non sono analisi, o prese di posizione di parte. Sono proprio descrizioni obiettive della situazione esistente nel carcere della Dozza di Bologna.

Scrive Desi Bruno, Garante dei detenuti a Bologna, che "è ormai vanificato il progetto denominato ‘polo di accoglienzà che tanto apprezzamento aveva suscitato a livello nazionale". Infatti, spiega la garante, "laddove i detenuti nuovi venivano sottoposti ad un accurato screening infettivologico onde impedire la propagazione di eventuali malattie infettive, ora dato l’inverosimile numero di afflussi in carcere, i nuovi giunti vengono ammessi senza aver completato l’iter diagnostico-terapeutico o, addirittura, trasferiti direttamente nelle sezioni comuni". Una situazione che ha portato, prosegue Desi Bruno, "all’inesistenza di fatto del reparto infermeria, venendosi a configurare una situazione che ha il profilo dell’emergenza sanitaria".

Al posto dei detenuti malati o convalescenti, "ora è stato allocato chiunque, così una sezione che prima conteneva 40 persone, ne contiene, 115 con punte di 125", tanto che "il dirigente sanitario ritiene di dover richiedere la classificazione della sezione come comune e non più come infermeria".

Per ultimo la garante esprime preoccupazione per "il permanere dell’emergenza determinata dalla costante presenza di tossicodipendenti alle quali non è garantita, anche dove c’é richiesta, non solo possibilità di inserimento, ma neppure una possibilità di custodia attenuata dove prevalgano le esigenze di cura".

 

Dagli studenti arrestati una lettera alla città

 

Con una lettera aperta alla città di Bologna raccontano invece la loro esperienza in carcere i quattro studenti dell’Onda bolognesi arrestati nei giorni scorsi: Alessandro Boggia, Ernesto Rugolino, Marco Mattei e Francesco Zuanetti. Coinvolti nell’inchiesta della procura torinese, sono rimasti alla Dozza per due settimane.

I quattro giovani raccontano di aver vissuto "in prima persona una situazione di sovraffollamento di cui i soli numeri non riescono neanche minimamente a rendere ragione: un carcere pensato per 600-700 detenuti, ora si trova ad ospitarne quasi 1.200". i ragazzi sono stati accolti nell’infermeria, che (come testimonia anche il racconto del garante Desi Bruno) è , "un’ala del carcere che si trova ad essere in tutto e per tutto una zona di detenzione con permanenza fino a due mesi, usa come ‘zona di parcheggiò dei nuovi giunti".

Il sovraffollamento, raccontano gli studenti, "è causa di precarie condizioni igieniche" e "le celle si presentano piccole, con materassi vecchi e messi a terra per mancanza di letti, con forniture a singhiozzo di detersivi e igienizzanti e lenzuola cambiate solo una volta al mese". Gli universitari raccontano nella loro lettera di aver assistito "alla prescrizione, con una facilità disarmante, di psicofarmaci da parte degli psichiatri dell’istituto, come soluzione immediata delle difficoltà psicologiche". Inoltre, le zone colloqui con i familiari sono "stanze piccole con 20-30 persone per volta e nessuna privacy, sporche, con tavoli di plastica usurati e sanitari nelle zone di attese mai puliti". Ad aggravare la situazione, continuano nel loro racconto i quattro studenti dell’Onda, "è l’atteggiamento delle guardie penitenziarie che, non svolgendo nessun ruolo collaborativo o di sostegno alle esigenze del detenuto e dei propri famigliari, interpreta a propria discrezione il regolamento carcerario", tanto da "classificare i parenti dei detenuti come potenziali criminali".

Ancona: mancano anche le brande, i detenuti dormono a terra

 

Corriere Adriatico, 22 luglio 2009

 

Chi entra in manette nel penitenziario di Montacuto, da qualche settimana ormai, non ha una branda su cui dormire e deve arrangiarsi sdraiandosi su un materassino sul pavimento. Circa sessanta dei 361 detenuti della Casa Circondariale anconetana dormono a terra, stipati in tre per ogni cella da due posti.

Il sovrannumero nell’ultimo anno ha raggiunto livelli allarmanti e Montacuto registra una percentuale di esuberi del 109%: è omologato per ospitare 172 reclusi, ma attualmente ne conta più del doppio. Una situazione che potrebbe diventare ingestibile quando entrerà in vigore la norma del pacchetto sicurezza che prevede il reato di immigrazione clandestina. Con la frontiera del porto a due passi, dove i clandestini vengono scoperti a dozzine tutte le settimane, Montacuto dovrebbe fronteggiare una nuova ondata di arresti che rischia di mandare fuori giri il sistema carcerario.

Già ora la popolazione detenuta non ha abbastanza brande per dormire. A Montacuto ci sono poco più di 300 posti letto e un detenuto su sei si deve sistemare alla meglio, passando la notte sui materassini, che in carcere sono lastre di resina, appoggiati sul pavimento della cella. La direttrice del carcere, dottoressa Santa Lebboroni, ha chiesto da tempo nuove brande per fronteggiare l’emergenza, ma i "lettini" vengono realizzati in auto-produzione da detenuti di altre carceri italiane, che però negli ultimi mesi non riescono a star dietro all’aumento di domanda.

Montacuto aspetta e intanto c’è chi dorme con il naso rasoterra. E dire che poco distante, a Barcaglione, nell’altro carcere anconetano, scontano la pena solo 25 detenuti, mentre la struttura era stata concepita per ospitarne molti di più, in teoria fino a 180.

L’allora Guardasigilli Castelli, quando lo inaugurò nel febbraio 2006, aveva annunciato che Barcaglione - casa di reclusione per detenuti a bassa pericolosità - si sarebbe riempito progressivamente. Ma il carcere sopra il mare di Torrette, concepito come carcere minorile e poi nato già vecchio dopo quasi un ventennio da eterna incompiuta, sconta limiti strutturali che l’hanno fin qui condannato a un sottoutilizzo. Sono stati appaltati dei lavori di messa a norma di una parte del carcere (l’impianto elettrico era da rivedere) ma difficilmente si arriverà oltre quota 50 detenuti.

Se a Barcaglione gli ospiti espiano le loro condanne senza affanni da sovrannumero (oggi sono in 25, di cui 12 stranieri) i detenuti di Montacuto (361, di cui 181 immigrati) rischiano di pestarsi i piedi e dormono su giacigli rimediati.

Al momento - almeno da fonti ufficiali - non si registrano tensioni preoccupanti, "ma è chiaro che la situazione, per ora sotto controllo, va risolta in fretta". Perché Montacuto, pure se arriveranno nuove brande, non può aumentare la sua capienza, essendo già più affollato del previsto.

Anche perché intanto, se i reclusi aumentano, le guardie calano: ci sono 120 agenti di polizia penitenziaria, 40 per ogni turno. "Siamo preoccupati di questa situazione che abbiamo segnalato agli organi dell’amministrazione, per fortuna i colleghi si sacrificano tutti i giorni", dice Aldo Di Giacomo del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ricordando che il sovraffollamento di Montacuto "è del 109%, il più alto delle Marche".

Il dato regionale complessivo è di 1136 detenuti, di cui 476 (41,9%) stranieri, mentre la capienza regolamentare delle carceri marchigiane è di 753. "Va aggiunta poi la carenza di organico della polizia penitenziaria - dice il sindacalista del Sappe -. A Montacuto c’è una quota scoperta del 40% di agenti, che abbinata al sovraffollamento rende la situazione una bomba a orologeria".

Pisa: il Garante denuncia, troppi autolesionismi tra i detenuti

di Antonio Scuglia

 

Il Tirreno, 22 luglio 2009

 

Tentativi di suicidio, gravi atti di autolesionismo, scioperi della fame: la situazione al carcere Don Bosco (400 detenuti, quasi il doppio di quanti potrebbe contenerne la vecchia struttura) nei giorni scorsi è diventata davvero esplosiva. La settimana scorsa un giovane detenuto (è italiano, contrariamente a quanto era emerso in un primo momento) ha tentato di impiccarsi nella sua cella e solo il pronto intervento delle guardie lo ha salvato.

Anche due marocchini si sono feriti seriamente tagliandosi le vene dei polsi. I fatti sono stati confermati ieri dall’avvocato Andrea Callaioli, garante dei diritti dei detenuti: "La direzione del carcere mi ha confermato un tentativo serio di suicidio e due atti, meno gravi, di autolesionismo". Quella del Don Bosco è una situazione grave da tempo.

"E ora sta esplodendo, - spiega preoccupato Callaioli. - Il disagio è anche aggravato dall’alta temperatura e dal fatto che, iniziando le ferie, diminuisce il numero degli operatori e dei volontari. E tutto questo non fa che acuire i problemi già esistenti". Un altro detenuto ha annunciato con una lettera al Tirreno di avere iniziato lo sciopero della fame: "Ho contattato un’associazione per occuparsi del mio caso e spero di incontrare al più presto il Garante". Il quale a sua volta si muove su un terreno sempre più accidentato: "La circolare Ionta sulle visite ai detenuti - dice l’avvocato Callaioli - ha peggiorato molto le cose. Fino a qualche mese fa potevo recarmi ogni settimana al Don Bosco e visitare liberamente le sezioni, ora non posso più farlo nonostante la collaborazione del dottor Cerri, direttore dell’istituto penitenziario". Il Garante oltretutto sta operando tuttora in regime di prorogatio.

Locri (Rc): i detenuti "a lezione"... con i familiari delle vittime

 

Redattore Sociale - Dire, 22 luglio 2009

 

Si è conclusa ieri nella Casa Circondariale di Locri il laboratorio "Se Caino aiuta Abele", un percorso formativo che ha visto un gruppo di detenuti della media sicurezza confrontarsi sui temi della giustizia riparativa e del rapporto tra reato e vittime. Un’occasione per favorire un processo di revisione di vita da parte di soggetti che hanno pagato con il carcere gli errori commessi ma che si preparano a rientrare nella società libera, più coscienti delle loro responsabilità personali e familiari. L’iniziativa è stata promossa dall’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) e dal Centro servizi volontariato " I due mari" di Reggio Calabria, in collaborazione con la direzione della casa circondariale di Locri.

Il laboratorio che si è sviluppato su otto incontri è stato animato da un gruppo di assistenti sociali e da una psicologa; particolarmente significativi sono stati gli incontri dei detenuti con alcuni familiari di vittime della criminalità e con i volontari. Per concludere il percorso i detenuti che hanno partecipato al laboratorio, illustreranno i risultati del loro lavoro alle autorità presenti alla cerimonia di chiusura del progetto: dai responsabili della struttura penitenziaria al direttore dell’Uepe Mario Nasone; e ancora all’assessore alle Politiche sociali della Provincia Attilio Tucci, insieme ai referenti dell’associazione Libera Stefania Grasso, Deborah Cartisano e Francesco Rigitano.

L’evento si è svolto alla vigilia della commemorazione di Lollo Cartisano, il fotografo di Bovalino sequestrato e ucciso dalla ‘ndrangheta. Sarà la figlia Deborah a raccontare ai detenuti cosa significa stare dalle parte delle vittime, ma anche lanciare un messaggio di speranza per chi vuole uscire dalla illegalità e dalle mafie. "Se Caino aiuta Abele" è un progetto triennale il cui obiettivo è rendere operativo il concetto di "giustizia riparativa" e il dettato normativo secondo cui i soggetti che usufruiscono della misura alternativa "devono adoperarsi in favore della vittima del reato", che prevede all’art. 27 che "il condannato debba avviare una riflessione sulla condotta antigiuridica posta in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa".

Il progetto di giustizia riparativa parte, dunque, da questi dettami legislativi e prevede una serie di attività riparatrici svolte dal condannato nel corso dell’esecuzione penale esterna a favore della società, attraverso percorsi solidaristici e di volontariato. Percorsi rieducativi da svolgersi all’interno di enti, associazioni e cooperative. Il progetto individua gli attori coinvolti, che sono i soggetti sottoposti a misura alternativa alla detenzione, ovvero affidati in prova al servizio sociale, detenuti domiciliari e semiliberi. La " regia" dell’iniziativa è affidata al Tribunale di sorveglianza, all’Uepe e al Csv.

Treviso: inaugurate 4 nuove aule, per formazione dei detenuti

 

www.oggitreviso.it, 22 luglio 2009

 

Quattro nuove aule scolastiche sono state inaugurate stamani al carcere di Santa Bona. Così i detenuti potranno seguire i corsi in strutture idonee e non più in celle, come avvenuto finora. Per la prima volta, infatti, chi di loro si iscriverà ai corsi scolastici potrà seguire le lezioni del Ctp Treviso 2 della scuola media Coletti o dell’istituto per geometri Palladio, ma in locali certamente più idonei che sono il frutto della collaborazione tra i quattro Lions Club della città di Treviso e alcuni importanti soggetti del territorio.

La cerimonia di inaugurazione è avvenuta alla presenza del direttore del carcere, Francesco Massimo, del vescovo di Treviso, mons. Andrea Bruno Mazzocato, del dirigente scolastico della scuola media Coletti, prof. Afro Groppo, del dirigente scolastico dell’istituto Palladio, prof. Giuliano De Menech e dei presidenti del Lions Club sostenitori.

Si tratta di un’iniziativa che intende promuove e ribadire il valore dell’istruzione in carcere come elemento fondamentale nel percorso di rieducazione dei detenuti previsto dall’ordinamento penitenziario. Il progetto, partito nel giugno 2007, è stato realizzato e coordinato da un gruppo di professionisti soci dei club Lions di Treviso, in collaborazione con l’Associazione e Fondazione Geometri, con le due scuole, già citate, che lavorano all’interno della Casa circondariale e con il contributo di numerosi sponsor.

La manodopera è stata fornita dagli stessi detenuti, che hanno lavorato con grande impegno in un clima sereno e collaborativo. L’area del carcere riservata alla scuola comprende, oltre alle quattro aule (dotate delle più moderne attrezzature tecnologiche per le attività didattiche: aule contare su una predisposizione per realizzare una rete dati e per utilizzare la Tv e il Dvd per le attività didattiche).

Per i detenuti della Casa Circondariale di Treviso sono stati attivati per la licenza media 3 corsi e rilasciati 16 diplomi. i Attivati anche 4 corsi di lingua inglese e già rilasciati 23 attestati. Attivati anche 6 corsi di alfabetizzazione primaria e di italiano per stranieri con 32 attestati rilasciati. E ancora 18 corsi attivati di informatica e 113 attestati rilasciati e 3 corsi di cultura (Videoforum, scrittura creativa) con 15 attestati rilasciati, per un totale di 34 corsi e 199 diplomi e attestati rilasciati.

Spoleto (Pg): inchiesta antimafia, in arresto medico del carcere

 

Ansa, 22 luglio 2009

 

Il dirigente sanitario del carcere di Spoleto e 10 detenuti, appartenenti a vario titolo ad organizzazioni criminali di stampo mafioso, (nonché 9 loro familiari, questi ultimi con divieto di dimora nella regione Umbria), sono stati arrestati dal nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria e dei carabinieri della compagnia di Spoleto nell’ambito di indagini iniziate nel gennaio 2008, per permessi ad alcuni detenuti.

In totale sono stati colpiti dal provvedimento della magistratura (prima di Milano, poi confluita a Spoleto) 11 soggetti con ordinanze di custodia cautelare in carcere, mentre per altri 9 - i familiari dei detenuti - c’è divieto di dimora nel territorio umbro, per un totale quindi di 20 persone coinvolte, ritenuti responsabili a vario titolo, di "corruzione continuata per atti d’ufficio e contraria ai doveri di ufficio".

L’attività investigativa aveva avuto origine nel mese di gennaio 2008 con indagini da parte del reparto di polizia penitenziaria della casa di reclusione di Spoleto, proseguita dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano con i vari reparti della polizia penitenziaria e dei carabinieri di Spoleto e Milano. L’attività nel marzo 2009, è passata per competenza territoriale alla procura della repubblica di Spoleto, il cui procuratore Gianfranco Riggio fornirà dettagli, alle 11.30 in una conferenza stampa presso la procura spoletina.

Immigrazione: ributtò in mare naufrago, fu omicidio volontario

 

Redattore Sociale - Dire, 22 luglio 2009

 

Dodici anni di carcere in primo grado al comandante Ruggiero Marino. Rigettò in acqua uno dei passeggeri di un gommone alla deriva al largo di Lampedusa. La vittima era un 37enne somalo.

Omicidio volontario. Con questa accusa la Corte di Agrigento ha condannato oggi in primo grado un pescatore barese, il comandante Ruggiero Marino. Il 10 gennaio 2008 ributtò in mare uno dei passeggeri di un gommone alla deriva intercettato al largo di Lampedusa. La vittima, un 37enne somalo di nome Mohamud Ahmed Mohamed, detto Sanwà, morì annegato. Marino dovrà scontare 12 anni di carcere. La pena è stata ridotta di un terzo per il rito abbreviato e le attenuanti generiche. Marino è stato anche condannato a risarcire un gruppo dei compagni di viaggio di Sanwà, che si sono costituiti parte civile.

Il racconto dei fatti, reso dai testimoni oculari - migranti e marinai - è concorde. Sul gommone erano una sessantina, perlopiù somali e nigeriani. Partiti dalla Libia la notte tra il 6 e il 7 gennaio 2008, erano rimasti senza carburante alla terza notte di navigazione. Con la poca nafta rimasta, si avvicinarono a un peschereccio, per chiedere aiuto. Quel peschereccio era l’Enza D di Marino, che poco distante, alle prime luci dell’alba, aveva appena salpato le reti. Giunto sottobordo, il gommone spense il motore, e i passeggeri iniziarono a chiedere aiuto, in inglese. Ripetevano "Lampedusa" e poi "diesel", agitando in aria la tanica vuota. A un tratto Sanwà salì in piedi sulla camera d’aria del gommone e con un salto riuscì a aggrapparsi con le mani alla murata di poppa del peschereccio, con le poche forze rimaste. Uno dei marinai corse a aiutarlo. L’uomo era sospeso a mezz’aria e rischiava di cadere in mare. Afferrandolo per il giubbotto, con entrambe le mani, il pescatore riuscì finalmente a issarlo a bordo, mentre il comandante aveva rimesso in moto i motori per allontanarsi dal gommone e evitare che altri salissero a bordo. Il marinaio intervenuto era il cuoco, l’ultimo in grado a bordo, un tunisino di 53 anni.

La presenza dell’immigrato provocò una discussione tra i marinai e il comandante. I primi insistevano per riportarlo sul gommone e chiamare la guardia costiera. Il secondo voleva ributtarlo in mare. "In quel momento - racconta uno dei marinai - l’uomo mi ha puntato il dito e mi diceva please che io ho capito perché ho studiato l’inglese. L’uomo chiudeva gli occhi per la stanchezza". E ancora "Il comandante diceva: ‘Si passano guaì, ripeteva questa frase. Noi volevamo aiutarli, volevamo tornare verso il gommone". Marino - raccontano i testimoni - continuò a fare avanti e indietro tra la cabina dei comandi e la poppa. E ripeté più volte "Buttalo in mare!" rivolto al marinaio tunisino che lo aveva aiutato a salire. Intanto Sanwà giaceva a terra, aggrappato alla bitta di poppa, il petto poggiato sul ponte, una gamba dentro e l’altra fuori. Il gommone ormai era lontano.

Quando i marinai udirono il tonfo in mare, era troppo tardi. Qualche disperata bracciata e Sanwà scompariva per sempre, trascinato a fondo dal peso dei vestiti ammollati. I marinai non volevano credere a quello che avevano appena visto. Alcuni scoppiarono a piangere come dei bambini, altri andarono a nascondersi in coperta. Nessuno di loro era stato in grado di fermare il capitano. Ruggiero si rifece vivo un’ora dopo. Bisognava calare le reti. La pesca riprendeva.

Uno dei marinai chiese di chiamare la Guardia Costiera. Ma il rifiuto fu categorico. La sera al porto di Lampedusa, ad attendere l’equipaggio c’erano i carabinieri. La telefonata di uno dei marinai al 112 aveva denunciato l’accaduto. Ruggiero che oggi vive agli arresti domiciliari, a Mola di Bari (Ba), non ha mai ammesso di aver ucciso Sanwà. Ha dichiarato però che temeva "rogne". Che con un "clandestino" a bordo, gli avrebbero sequestrato il peschereccio e avrebbe perso tre o quattro giornate di lavoro. E invece è finita che ha perso 12 anni di libertà.

Immigrazione: caporalato; campagne in mano alla criminalità

 

Redattore Sociale - Dire, 22 luglio 2009

 

Il tema al centro del quarantennale di Flai Cgil che si apre domani a Bari. Deleonardis: "Esiste un sistema di collusione che legittima le impunità". Pesano le carenze legislative.

Un quarantennale che non ha solo il sapore del richiamo storico delle conquiste e delle lotte nelle campagne, ma che riporta in maniera urgente e forte l’attuale situazione di illegalità diffusa delle campagne pugliesi, ancora troppo spesso nelle mani della criminalità locale. È con questo obiettivo che si aprirà a Bari giovedì 23 luglio a Bari presso Villa Romanazzi Carducci a partire dalle ore 9, l’incontro dibattito per il quarantennale di Flai Cgil "Dalla conquista dei diritti contrattuali e del collocamento degli anni 70, alla destrutturazione del mercato del lavoro e diffuse illegalità nelle campagne oggi". E non è un caso che il quarantennale venga celebrato proprio in luglio, perché proprio in questo mese nel 1969 "si chiusero tutti i contratti dei braccianti" spiega Giuseppe Deleonardis, segretario generale di Flai Cgil Puglia. Ma la scelta del mese si luglio si collega anche all’iniziativa "Rosso pomodoro, dal reality alla realtà" che dal 3 al 12 agosto vedrà impegnata una delegazione di sindacalisti direttamente nelle campagne della Capitanata, al fianco dei lavoratori stagionali.

La situazione è di una gravità allarmante e va non solo denunciata, occorre anche utilizzare gli strumenti normativi e applicarli. "Dopo i clamori, pur meritori per aver portato alla luce queste situazioni, di alcune vicende delle campagne foggiane, le assunzioni continuano ad essere fatte dai caporali; questo porta come conseguenza un’illegalità diffusa, le campagne sono nelle mani della criminalità", denuncia Deleonardis. E dentro ci sono le responsabilità di tutti, anche di un sistema legislativo che funziona a marce ridotte.

In Puglia è stata varata la legge regionale "Disciplina in materia di contrasto al lavoro non regolare", la n. 28 del 2006, ma per la quale mancano ancora le misure attuative. "Mancano ad esempio gli indici di congruità, la banca dati, l’osservatorio che erano previsti nella legge Vendola - continua il segretario generale pugliese di Flai Cgil - anche se proprio nei giorni scorsi, in un incontro con il prefetto di Bari, il neo assessore alle politiche del lavoro Michele Losappio, ha garantito che verranno stabiliti gli indici di congruità nonostante la legge nazionale, la 133 del 2008, li abbia abrogati".

Ma quello legislativo non è il solo aspetto che verrà messo sotto la lente di ingrandimento del quarantennale barese. "Occorre anche analizzare le questioni dal punto di vista del sindacato - ribadisce Deleonardis - dove, in nome della flessibilità e del superamento dei lacci e dei lacciuoli, abbiamo solo precarietà. La legge 30 Maroni è solo l’esito finale: non abbiamo un controllo sia sui meccanismi dell’avviamento al lavoro, sia nei rapporti di lavoro, giacché non esiste un sistema che sanziona dal punto di vista ispettivo e non c’è un anello che renda efficace l’azione legislativa. Insomma, esiste un sistema di collusione che legittima le impunità".

Immigrazione la "ronda" sindacale sui campi dello sfruttamento

 

Redattore Sociale - Dire, 22 luglio 2009

 

Si svolge dal 3 al 12 agosto l’iniziativa della Flai Cgil: una delegazione contatterà gli stagionali nei campi della Capitanata. 70 mila i braccianti coinvolti in Puglia, il 40% irregolari.

In viaggio nelle campagne della Capitanata contro lo sfruttamento dei lavoratori stagionali in agricoltura. Si chiama "Rosso pomodoro, dal reality alla realtà", l’iniziativa promossa dalla Flai Cgil che vedrà dal 3 al 12 agosto circa 40, tra sindacalisti e delegati, girare le zone della provincia di Foggia, dove ogni anno, in questo periodo, riparte la raccolta dei pomodori. "Le condizioni del lavoro agricolo sono un problema che riguarda tutti e il nostro obiettivo è quello di portare la legalità nelle situazioni dove sono evidenti forme di sfruttamento - sottolinea Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale della Flai Cgil -. Pianificheremo la nostra presenza mattina per mattina, andremo nelle campagne a trovare i lavoratori in nero e contatteremo i datori di lavoro. Il nostro vuole essere un vero e proprio lavoro sindacale sul campo. Pensiamo, infatti che ci sia una sottovalutazione del problema. Molti italiani pensano che la questione degli stagionali sia più un reality che una realtà. Bisogna invece ritornare a un’etica nel produrre il pomodoro, uno degli ingredienti al centro della nostra cucina nazionale, che spesso ha alle spalle un retroterra di sudore e disgrazie".

Secondo Lo Balbo anche quest’anno la situazione dei braccianti agricoli in Puglia si manterrà stabile. "Costantemente in questa zona sono circa 70 mila i lavoratori stagionali. Una situazione che si porta dietro diversi problemi di legalità, come la clandestinità nel caso dei lavoratori stranieri - aggiunge il segretario della Flai Cgil -. Sappiamo già che dietro questa potente attività economica, che riguarda una materia prima fondamentale nella nostra cucina, ci saranno storie drammatiche di sfruttamento. E la stessa situazione si verificherà anche per la raccolta dell’uva da tavola e degli agrumi. È assurdo - continua Lo Balbo - che nel 2009 il lavoro agricolo continui a basarsi sull’ illegalità. Secondo le nostre stime sono irregolari circa il 40% dei braccianti che lavorano nei campi". Tra gli stagionali, rilevante rimane anche la presenza straniera. "Stime ufficiali non ce ne sono, ma sono molti, annualmente si arriva a toccare anche il mezzo milione solo in agricoltura - aggiunge - e in questo senso non si capisce perché il dibattito sollevato per le badanti, non possa valere anche per questi lavoratori che costituiscono una risorsa fondamentale per la nostra economia".

A livello territoriale la situazione non migliora neanche nelle altre regioni del centro sud. "Dal Lazio in giù le condizioni di lavoro sono più o meno le stesse. Qualche segno di miglioramento si vede nelle zone del nord - continua Lo Balbo -. Questo è dovuto alla mancanza di controlli e a un sistema ormai radicato. I datori di lavoro scelgono deliberatamente di non applicare le leggi, e questo rappresenta una mossa per loro vincente dal punto di vista del potere sociale. In questi casi non si può certo invocare la crisi del settore agricolo perché forme di sfruttamento vengono applicate anche per la produzione dei pomodori pachino, che pure costano tantissimo e sono molto richiesti sul mercato. Non è risparmiando sul costo del lavoro che si abbassa il prezzo dei pomodori".

Droghe: presto divieto assoluto di bere alcol per i neopatentati

di Cristina Marrone

 

Corriere della Sera, 22 luglio 2009

 

Divieto assoluto di bere alcol per i neopatentati, foglio rosa a 17 anni, narcotest sulle strade, carcere fino ai 15 anni per chi uccide guidando sotto l’effetto di droghe o alcol, insegnamento obbligatorio dell’educazione stradale nelle scuole e limite di velocità fino a 150 Km/h, ma solo se è presente il Tutor. Sono alcune delle novità del nuovo provvedimento del Codice della strada approvato ieri dalla commissione Trasporti della Camera.

n testo, votato in sede legislativa, passerà ora direttamente al Senato. Anche lì probabilmente sarà votato in commissione Trasporti in sede legislativa. In questo modo dovrebbe entrare in vigore entro fine mese, prima che inizi il grande esodo estivo. "L’approvazione è fondamentale per rendere più sicure le strade italiane" commenta il presidente della commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci.

È stato introdotto anche in Italia in narco-test, il test rapido della saliva per la rivelazione della presenza di droghe per chi guida, che affiancherà quello sul tasso alcolico. Con le forze di polizia dovrà essere presente personale sanitario e se chi viene fermato si rifiuta di essere sottoposto al prelievo, sarà accompagnato in strutture accreditate per il "prelievo forzoso", previsto anche in caso di incidenti. Le sanzioni sono le stesse per chi guida in stato di ebbrezza. Chi viene "beccato" al volante drogato rischia quindi la sospensione della patente e il carcere fino ai sei mesi, e non ci sono distinzioni tra le cosiddette droghe leggere (come la cannabis) e quelle pesanti (come eroina e cocaina).

Con le nuove regole chi ha preso la patente da meno di tre anni, chi ha meno di 21 anni e chi guida per professione non potrà bere neppure un goccio prima di mettersi al volante: per chi viene pizzicato alla guida dopo una birra, la prima volta scatta la multa ds 155 a 624 euro, la seconda arriva la revoca della patente. la licenza verrà immediatamente ritirata a chi inverte il senso di marcia, attraversa lo spartitraffico o percorre contromano strade e autostrade. Stop anche alla cattiva abitudine per i Comuni di "far cassa" attraverso gli autovelox.

Le amministrazioni pubbliche potranno utilizzarli solo in presenza dei vigili e solo di proprietà comunale. I proventi delle multe andranno ai proprietari delle strade, se quindi saranno extraurbane le multe non finiranno nelle casse del Comune ma in quelle dell’Anas o della Provincia. Parte degli introiti dovrà essere destinata alla sicurezza stradale e all’ammodernamento della segnaletica. Tra le novità in campo tecnico l’introduzione in via sperimentale della "scatola nera" sui veicoli per cui è necessaria la patente di guida C, D, E e il "casco elettronico" per chi viaggia in moto che ne permetterà l’accensione solo se è ben allacciato. La targa torna ad essere personale e chi investe un animale ha l’obbligo di soccorso: previste sanzioni oltre 1.500 euro.

Droghe: le morti per overdose a Torino e le colpe della politica

di Susanna Ronconi

 

Il Manifesto, 22 luglio 2009

 

Quest’anno ha il nome della black tar, un’eroina scura contenente monoacetilmorfina, una volta, già negli anni ‘80, detta la messicana. Le cifre si rincorrono, non verificate, e oscillano tra 14 e 20 morti per overdose, se non di più, da maggio ad oggi. I media puntano il dito sulla "nera" e, insieme, su un "piccolo chimico" (sic!) che, in qualche cantina sabauda, la confeziona e poi la butta sul mercato.

In realtà, la correlazione causa-effetto tra la black tar e un maggior rischio overdose non è così evidente. Quello che è evidente - che continua ad esserlo, in un rosario tragico di vite spezzate che si ripete ogni estate - è il numero dei morti delle estati torinesi, cui i servizi di strada fanno fronte con gli strumenti che hanno: contatto, informazione, distribuzione di narcan - il farmaco salvavita - ai consumatori, intervento di pronto intervento quando ce ne sia la possibilità, quando gli operatori si trovino vicino ai luoghi del consumo. Anche questa volta, prima che esplodesse la notizia sui media, nei drop in e sulle unità strada è partito il tam tam dell’allerta, grazie alle osservazioni degli stessi consumatori, ma il quadro non è stato da subito chiaro.

Il fatto è che - che sia la black tar, che sia la purezza, che sia il taglio - il mercato illegale è incontrollabile e mobile, tradizionalmente lo è di più d’estate, con il turn over degli spacciatori, e ancor di più se si aggiungono nuovi arresti, con continui cambiamenti delle sostanze in vendita.

È per questo che almeno da dieci anni quegli stessi operatori torinesi che hanno salvato tante vite, sanno che questo non è abbastanza, e chiedono misure più efficaci e nuovi strumenti d’azione. Lo chiedono almeno dal 2002, quando in poco più di un mese morirono undici consumatori, e si aprì il dibattito cittadino sulle stanze del consumo. Allora non si parlò di black tar, allora fu "solo" la dinamica del mercato illegale estivo.

Le azioni repressive sono un cucchiaino nel mare della illegalità e delle deregolazione del mercato, che può portare un contributo - del resto minimo, come dimostrano i dati - alla repressione del traffico, ma nulla porta in termini di tutela della vita e della salute dei consumatori. Per loro, serve solo la ragionevolezza e il pragmatismo di misure che, mettendo in conto la qualità oscillante delle sostanze, proteggano chi le usa dai danni correlati: essere informati tempestivamente sulla qualità delle dosi, per adeguare i propri comportamenti, usare in luoghi dove si possa essere soccorsi in modo che l’overdose che non si è saputo o potuto prevenire non sia infausta.

Perché il mercato può portare l’overdose, ma non è scritto che porti anche lo morte. E invece: a Torino per intere settimane tra procura, forze dell’ordine, e servizi non è passata la comunicazione, e mentre gli operatori raccoglievano in modo certosino informazioni dalla piazza, l’analisi della sostanza non passava dai luoghi della repressione a quelli della prevenzione.

A Torino, strade e anfratti dimenticati da dio sono di nuovo (dopo la dispersione della scena aperta di Parco Stura) popolati da consumatori che si fanno in condizioni disastrose e soprattutto nascoste, irraggiungibili. A Torino, come una litania della cattiva coscienza, ogni estate, compaiono per un attimo articoli in cronaca locale in cui si ricorda che esistono le stanze del consumo, luoghi in cui le vite si salvano in mezza Europa, servizio per cui da anni gli operatori si battono, trovando negli amministratori più che opposizione (come si fa a opporsi all’evidenza lampante?), il pantano dell’inazione e del mancanza di coraggio politico.

Domani qualcuno arresterà "il piccolo chimico", diventerà il nuovo mostro, brillante operazione e tutti saranno contenti, anche il Comune che si è inventato di farsi parte civile contro gli spacciatori, nel solco del simbolismo securitario e inutile. Ma chi arresterà il mostro dell’immobilismo e dell’inefficacia colpevole? Chi lo farà, oggi poi, che proprio l’analisi "in strada" delle sostanze e le stanze del consumo, sono state messe al bando - vietato anche solo discuterne - dal Dipartimento antidroga di Giovanardi e Serpelloni?

Stati Uniti: pena di morte; eseguita la millesima condanna dal 1976

 

Ansa, 22 luglio 2009

 

Con un’iniezione letale è stata eseguita a Lucasville, un carcere dell’Ohio, la millesima esecuzione dalla ripresa nel 1976 delle condanne a morte negli Stati Uniti. Il detenuto giustiziato era Marvallous Keene, condannato per avere ucciso nel Natale del 1992, quando era diciannovenne, cinque persone in una serie di rapine. Keene non ha tentato di bloccare la sua esecuzione con azioni legali all’ultimo momento, né ha rilasciato dichiarazioni.

 

 

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