Rassegna stampa 15 giugno

 

Giustizia: "parole fuori luogo" la politica e le accuse ai giornali

di Paolo Franchi

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

Dice il Presidente del Consiglio che la stampa "dipinge un’Italia che non è quella reale". L’affermazione è, come sempre, un po’ perentoria, ma contiene un elemento di verità: se mai un giorno venissero convocati, gli stati generali dell’informazione italiana farebbero bene a rifletterci su. Non sarebbe male, però, se nel frattempo Silvio Berlusconi ci dicesse pure, anche per capire meglio di che cosa stiamo parlando, qual è l’Italia vera che i giornali dovrebbero, a suo giudizio, raccontare.

Perché quella che ha raccontato lui ai giovani industriali troppo vera non sembra. Almeno a prima vista. Nessuno si era accorto, per esempio, che, mentre il governo (secondo Berlusconi, uno straordinario consiglio di amministrazione dell’azienda Italia) faceva miracoli, tra veline, Noemi, voli di Stato e caso Mills stesse prendendo corpo sui giornali, o su alcuni giornali, un complotto. Anzi, un "progetto eversivo" contro il premier, al fine di sostituirlo con qualcuno che, a differenza di lui, non è stato eletto dal popolo. Una specie di golpe bianco, fortunatamente sventato dal voto popolare. Come suole dirsi: urgono chiarimenti.

In ogni caso: nell’Italia che vorremmo, e dovremmo, raccontare ci piacerebbe non dover registrare appelli più o meno obliqui agli imprenditori di un capo del governo, fa nulla se di destra di centro o di sinistra, perché neghino la pubblicità alla stampa "catastrofista", complice o magari mosca cocchiera(in altre occasioni Berlusconi aveva preferito definirla scendiletto) di un’opposizione anch’essa malata di inguaribile disfattismo.

È vero che poi Palazzo Chigi ha corretto il tiro, spiegando che lo strale polemico era rivolto a Franceschini e non ai giornali. Ma, anche a voler prendere per buona la precisazione (peraltro smentita poche ore dopo), non ci siamo: il Presidente del Consiglio intendeva forse dire che i giornali dovrebbero concedere meno spazio o non concederne proprio, al leader del più grande partito di opposizione?

Non è solo questione di gaffe e, a guardar bene, non è nemmeno solo questione di Berlusconi. La politica (la politica di governo in primo luogo, ma anche quella di opposizione) non riesce a dimettere una volta per tutte l’usanza, antica e consolidata, di scrutare i giornali per scoprirvi più o meno ogni giorno ambigue trame, torbidi intrighi, oscuri complotti in suo danno; e di dividere i giornalisti in corifei da premiare e in nemici da stroncare.

E fatica, oggi più di ieri, a tenere nel dovuto conto quelle libertà fondamentali di una democrazia moderna che sono la libertà di opinione e la libertà di informazione. Anche quando ha buoni motivi per ritenere che vengano coscientemente esercitate in suo danno. Anche quando la tentazione di passare ai modi bruschi rischia di farsi irresistibile. Eppure da noi i giornali non fanno cadere i governi e, a quanto pare, non spostano nemmeno voti: per quanto possano essere vicini all’opposizione, se questa è politicamente latitante, non bastano a surrogarla.

Non è il caso di gridare al fascismo alle porte e alla stampa imbavagliata. Ma è il caso di ricordare che il clima è dei peggiori, e che il varo alla Camera del disegno di legge sulle intercettazioni, che la libertà di informazione senza dubbio la riduce, non lo migliora davvero. Proprio nelle stesse ore in cui Berlusconi parlava a Santa Margherita, ai valori fondamentali di cui abbiamo detto faceva aperto riferimento, a Napoli, intervenendo al vertice Uniti per l’Europa, il capo dello Stato. Per esprimere piena fiducia "nell’attaccamento delle opinioni pubbliche ai principi liberali, particolarmente a quelli della libertà e del pluralismo dell’informazione". Non sappiamo che cosa farà il capo dello Stato quando la legge sarà approvata definitivamente. Ma quella fiducia abbiamo il dovere di condividerla fino in fondo.

Giustizia: "non siamo lottizzati"; cresce protesta dei magistrati

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

"Signor ministro, non sono un lottizzato. Faccio il mio dovere con scrupolo e impegno...". Dopo l’affondo. del Guardasigilli Angelino Alfano - che ha accusato il Csm di attuare un "planning" sistematico per la spartizione degli uffici giudiziari tra correnti e, con questa mossa, ha innescato le dimissioni dalla V Commissione di tre "togati" e di un "laico" - si levano le voci di protesta di procuratori capo, procuratori generali, presidenti di tribunali e corti d’appello che respingono il cliché secondo il quale il magistrato è sempre lottizzato e quindi poco indipendente.

Giancarlo Caselli ha scritto al ministro: "La mia nomina a capo della procura di Torino non è dovuta ad accordi lottizzatori". E ora le accuse del Guardasigilli "hanno l’effetto, paradossale per un ministro della Giustizia, di creare confusione e di dare argomenti a chi vuole solo delegittimare la magistratura". Da Torino risponde anche il procuratore generale Marcello Maddalena: "Non mi sento toccato da una considerazione che ritengo sbagliata. Dico questo pur sapendo che, nonostante le scelte complessivamente oculate del Csm, sul correntismo una riflessione andrebbe fatta".

Corrado Lembo, procuratore capo a Santa Maria Capua Vetere, gode di grande prestigio: "Sono stato nominato con 19 voti contro 5. L’altro candidato appoggiato dai 5 rispettabilissimi colleghi del Csm era Franco

Roberti, un mio amico, che poi è stato collocato come meritava al vertice della procura di Salerno. È dunque da apprezzare il cambio di rotta del Csm che, grazie alla riforma (Castelli; ndr), non basa più le sue scelte solo sul criterio dell’anzianità". Va avanti Lembo: "È stato appena nominato all’unanimità a procuratore di Bari, preferito a candidati ben più anziani, il collega Antonio Laudati che è direttore degli Affari penali, ovvero il successore di Falcone al ministero, ed è, se vogliamo, uomo dell’entourage del ministro. Il che significa che c’è un’inversione di rotta...".

Lucia Lotti, procuratore di Gela da un anno, fa parte di un gruppo di magistrati lontani dai riflettori - tra gli altri, Filippo Vitiello e Roberto Cavallone finiti a dirigere le procure di Lamezia e di Sanremo - che non indossano casacche di corrente: "Personalmente non ho appartenenze correntizie, non ne ho mai avute come tanti colleghi che hanno sviluppato un loro percorso senza un impegno in prima persona da un punto di vista associativo.

E con questo non voglio certo demonizzare un meccanismo che poi è anche il frutto di un confronto culturale tra le anime della magistratura. Ecco, spero che mi abbiano scelto per la professionalità: sinceramente, non avendo appartenenze, non riesco ad immaginare altro".

La polemica viene riaccesa da Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato: "Sfido a dimostrare che il Csm non è lottizzato, che è indipendente". Replicano i procuratori dell’Emilia Romagna: "Quelle del ministro sono aggressioni ingiustificate". Firmato: Vito Zincarli, Silverio Piro, Lucio Bardi, Gerardo La Guardia, Rosario Minna, Roberto Mescolini e Paolo Giovagnoli. Ma dal Csm il togato Cosimo Ferri (Mi) si dissocia dai colleghi: "Dimissioni? Una risposta sbagliata".

Giustizia: riforma intercettazioni; la legge che piace alla casta

di Luca Ricolfi

 

La Stampa, 15 giugno 2009

 

Sembra che, sulle intercettazioni, si sia in dirittura di arrivo. Dopo un anno di aggiustamenti e di ritocchi, il relativo disegno di legge è stato approvato alla Camera giovedì (con il voto di fiducia), e da domani inizia il suo iter in Senato. La sostanza delle nuove norme si può riassumere in quattro punti. Primo: per un pubblico ministero diventerà molto più complicato richiedere e ottenere l’autorizzazione a intercettare (ci vorrà il parere di tre giudici, anziché di uno soltanto come oggi). Secondo: in molti casi le intercettazioni diventeranno semplicemente impossibili.

O perché il procedimento è contro ignoti (e manca l’autorizzazione della persona offesa), o perché non esistono "evidenti indizi di colpevolezza" (prima bastavano "gravi indizi di reato"). Terzo: dopo il 60° giorno le intercettazioni dovranno comunque essere interrotte. Quarto: la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni sarà sottoposta a forti restrizioni, con severe sanzioni a carico dei trasgressori (giornalisti e editori).

Indubbiamente la nuova disciplina rafforza la privacy e indebolisce il diritto di cronaca, uno scambio questo che fa imbufalire i giornalisti ma piace ai cittadini, almeno a giudicare dai risultati del sondaggio appena condotto da Ipsos per Il Sole - 24 Ore: i cittadini contrari alla pubblicazione delle conversazioni sono più del doppio di quelli favorevoli. Forse gli italiani sono meno assatanati di gossip di quanto li si immagina, o forse si sono convinti che in troppi casi la stampa non ha fatto un buon uso della libertà di cui godeva.

L’aspetto più importante del disegno di legge sulle intercettazioni, tuttavia, a me pare quello che riguarda la sicurezza. Qui è indubbio che l’effetto delle nuove norme sarà di rendere molto più difficile l’identificazione dei colpevoli di un delitto. Limitando l’uso di uno strumento investigativo fondamentale, le nuove norme aumenteranno la nostra privacy ma al prezzo di una minore sicurezza, di un minore contrasto nei confronti della criminalità in tutte le sue forme, da quella di strada a quella dei colletti bianchi e dei politici. E infatti i magistrati sono preoccupatissimi, come chirurghi cui è stato sottratto il bisturi, mentre i politici - pur non potendo sempre proclamarlo in pubblico - vedono assai bene una legge che ridurrà il rischio di essere "messi in piazza", e aumenterà il livello (già pericolosamente alto) di impunità nel caso commettano dei reati. Che la nuova legge piaccia ai politici, del resto, è rivelato da un fatto che ha sorpreso molti, e che dovrebbe farci riflettere: nel voto di fiducia di giovedì scorso, una ventina di deputati dell’opposizione hanno votato con il governo, ossia a favore delle norme che limitano la libertà dei magistrati di ricorrere alle intercettazioni. Quanto ai cittadini, il sondaggio citato rivela che in maggioranza stanno con i magistrati e contro il governo: preferiscono sacrificare un po’ di privacy pur di avere più sicurezza. Insomma: che i magistrati intercettino pure, ma che i giornalisti non esagerino con la diffusione del contenuto delle conversazioni.

Ci troviamo così di fronte a due fatti entrambi spiazzanti. Il primo è che la maggior parte dell’opinione pubblica è e resta giustizialista, nonostante i dati sulle intercettazioni mostrino in modo inequivocabile che vi è stato sia abuso sia arbitrio nel ricorso a esse: abuso, perché tra il 2001 e il 2007 (ultimo dato disponibile) il loro numero è esploso, senza un nesso plausibile con l’andamento dei delitti (le intercettazioni sono cresciute del 300%, i delitti del 30%); arbitrio, perché il ricorso alle intercettazioni è altissimo in alcuni distretti giudiziari e bassissimo in altri, con squilibri che non è possibile giustificare con le differenze nei "panieri" di reati tipici di ciascun distretto (il distretto che intercetta di più lo fa 13-14 volte di più del distretto che intercetta di meno). Peccato non esista un’opinione pubblica liberale: se ci fosse chiederebbe ai magistrati di darsi una regolata (meno intercettazioni, e più equità nella loro distribuzione fra i 29 distretti di Corte d’Appello), ma inorridirebbe di fronte al goffo tentativo dei politici di mettere sabbia negli ingranaggi della giustizia.

Il secondo fatto spiazzante riguarda il governo. Eletto anche grazie alla promessa di combattere la criminalità, sta per varare delle norme che ridurranno la sicurezza dei cittadini, e lo sta facendo in barba ai sondaggi, secondo cui la maggior parte degli italiani sono favorevoli alle intercettazioni come strumento di lotta al crimine.

Perché il governo, assai prudente in materia di riforme economico-sociali, nel caso della sicurezza pare invece deciso a correre il rischio dell’impopolarità?

Probabilmente per un complesso di ragioni. Una l’abbiamo già vista: questa legge piace ai politici, perché riduce il rischio di incorrere in guai giudiziari. Una seconda possibile ragione è che l’effetto della legge sarà di alleviare la pressione su un sistema carcerario avviato al collasso: meno intercettazioni significa meno colpevoli scoperti, quindi meno condanne, quindi meno ingressi in carcere. Una boccata d’ossigeno per un governo che non vuole varare un nuovo indulto, non osa depenalizzare parte dei reati, ma nello stesso tempo è incapace di aumentare i posti in carcere.

La vera ragione per cui il governo va avanti per la sua strada, però, a me sembra un’altra ancora, ed è la mancanza di concorrenza. A parole la sicurezza interessa a tutte le forze politiche, ma non vi è nessun partito importante pronto a sfidare il governo su questo terreno. La lotta al crimine resta, nonostante tutto, un tema "di destra", che ai partiti di sinistra non interessa, o interessa solo a parole, o interessa solo a condizione che le politiche anti-crimine siano cattivissime con i reati dei mafiosi e dei colletti bianchi, e buonissime con quelli di immigrati e criminali comuni. Così, quando fra quattro anni si farà il bilancio di questa legislatura, non ci sarà nessuno - dall’opposizione - che rimprovererà il governo di non essere stato abbastanza duro con la criminalità.

Dunque, dal suo punto di vista, Berlusconi fa bene a mettere in difficoltà la magistratura. Tutela se stesso. Tutela la casta, compresi i politici dell’opposizione inguaiati con la giustizia. Ha persino ragione su diverse cose. E comunque, quando verrà il momento di tirare le fila di cinque anni di governo, nessuno avrà le carte in regola per chiedergli il conto.

Giustizia: buste con bossoli, per minacciare Alfano e il suo vice

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Due buste contenenti ciascuna un bossolo di proiettile sono state recapitate lunedì mattina al ministero della Giustizia, indirizzate al Guardasigilli Angelino Alfano e al suo vice capo di gabinetto, Roberto Piscitello. Solo nel plico indirizzato a Piscitello (magistrato fino allo scorso anno sostituto procuratore presso la Dda di Palermo), oltre al bossolo di proiettile era allegata una lettera anonima in cui sono riportate anche minacce di carattere personale.

I vetri divisori - Nella lettera, inoltre, si chiede al vice capo di gabinetto di agire sul ministro "perché non metta i vetri divisori nelle carceri". Il riferimento, se pure non esplicitato, dovrebbe essere alle nuove misure antimafia di inasprimento del 41 bis contenute nel ddl sicurezza che, dopo il via libera della Camera, passa ora all’esame del Senato. Il giro di vite sul "carcere duro" ai mafiosi e agli esponenti della criminalità organizzata prevede, tra l’altro, l’obbligo del vetro divisorio durante i colloqui per evitare anche il passaggio di oggetti tra detenuti e familiari; misura, questa, già prevista dalle attuali norme ma non sempre attuata perché fino ad ora non vincolante. Dell’arrivo al ministero delle due buste contenenti bossoli e minacce è stata informata la Digos.

Giustizia: per le "nuove Br", condanne fino a 15 anni di carcere

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

La prima Corte d’Assise di Milano ha inflitto condanne fino a 15 anni di reclusione nel processo alle cosiddette "Nuove Br" del partito comunista politico-militare. Le pene inflitte vanno da 15 anni di reclusione ai 10 giorni d’arresto per 14 imputati, mentre tre sono stati assolti. Sono stati condannati a 15 anni Davide Bortolato e Claudio Latino, ritenuti rispettivamente i leader della cellula padovana e di quella milanese. A 13 anni e 10 mesi di reclusione è stato condannato Vincenzo Sisi, ritenuto a capo della cellula torinese. Slogan e canti hanno fatto seguito alla lettura della sentenza, che i neo brigatisti hanno accolto con pugni chiusi e intonando le note dell’Internazionale. Tra i slogan urlati dal pubblico - composto da parenti e amici degli imputati - e dagli stessi imputati chiusi in gabbia, i più ricorrenti sono stati "Contro la crisi dell’imperialismo guerra di classe per il comunismo" e "Contro il fascismo e la repressione, rivoluzione".

Risarcimento a Ichino - Alcuni degli imputati del processo sono stati condannati a risarcire in solido i danni al senatore e giuslavorista Pietro Ichino, liquidati dalla prima Corte d’Assise in via definitiva in 100 mila euro. Ichino, secondo l’accusa, era nel mirino del gruppo del Partito comunista politico-militare. Alla presidenza del Consiglio, costituita parte civile nel processo, la corte ha riconosciuto il danno condannando alcuni degli imputati a risarcire in solido un milione di euro. È la stessa cifra che era stata richiesta dall’avvocato della presidenza del Consiglio, Michele Damiani.

Il giuslavorista: discutiamone - Pietro Ichino ha simbolicamente teso la mano agli imputati del processo, condannati dalla Corte d’Assise a risarcirlo, rinunciando all’indennizzo in cambio di un incontro e di un riconoscimento reciproco. "Resta valida - ha spiegato - la proposta che ho fatto agli imputati fin dall’inizio del processo: incontriamoci, riconosciamoci reciprocamente come esseri umani, discutiamo delle nostre idee diversissime ma chiarendo che nessun dissenso politico può giustificare l’aggressione fisica gli uni contro gli altri".

Gli avvocati della difesa - Dure le reazioni dei difensori degli imputati che sono arrivati a dire che "il tribunale fascista era più rigoroso e più garantista, ormai si sono azzerati completamente gli spazi di democrazia". Uno dei legali, Ugo Giannangeli, commentando la sentenza ha sottolineato come "la Corte ha scelto la formazione", riferendosi alla sostituzione, nella penultima udienza, di tre giudici popolari che hanno giustificato la loro assenza in camera di consiglio con ragioni di salute o familiari.

"Chi ripagherà Andrea Tonello per aver subito più di un anno di carcere?" è invece la domanda che si pone l’avvocato che lo difende, Carlo Covi. Il legale ha spiegato che Andrea Tonello, assolto perché il fatto non sussiste, "ha passato due anni tra carcere e arresti domiciliari, si è rovinata la vita di un uomo di cinquant’anni". L’avvocato ha parlato inoltre di un "processo politico" e di "sostanziale ingiustizia di questo processo".

Il presidio dei centri sociali - Una quarantina di persone, tra parenti e amici dei detenuti nel processo alle nuove Brigate Rosse, perlopiù militanti del centro sociale "Gramigna" di Padova, ha svolto un presidio davanti agli uffici dell’amministrazione penitenziaria del carcere milanese di San Vittore. I partecipanti alla protesta inneggiano slogan per la "libertà dei compagni" e contro i trasferimenti da un carcere all’altro a cui sarebbero stati sottoposti, a loro dire ingiustamente, alcuni dei detenuti nell’ambito della inchiesta sulla formazione estremista. Sono presenti diversi agenti di polizia, ma, per il momento, non si registrano tensioni.

Giustizia: assolto dopo 2 anni di carcere duro; chi lo risarcirà?

di Enrico Ferro

 

Il Mattino di Padova, 15 giugno 2009

 

"Dovrei essere contento, in realtà sono sconvolto. Andrea Tonello ha trascorso due anni passando da un carcere all’altro, in un regime durissimo. La sua vita è cambiata radicalmente e forse non tornerà mai più come prima. Ora ha problemi di salute. Mi auguro soltanto che riesca a ritrovare se stesso, come il giorno in cui, alle 4 del mattino, sono entrati nella in casa sua gli agenti incappucciati. Quel giorno, per tutta Italia, lui è diventato un terrorista rosso. Ma, alla luce dei fatti, non era così".

Carlo Covi è l’avvocato del cinquantaquattrenne di Pontevigodarzere, ex dipendente Aps, arrestato il 5 luglio 2007 nell’ambito dell’inchiesta sulle nuove Br. Tonello ieri è stato assolto. Ora verrà richiesto un adeguato risarcimento. "Adeguato? - chiede Covi - quale può essere il risarcimento adeguato per un’esperienza come questa? Dopo l’arresto Andrea Tonello è stato trasferito al carcere di San Vittore senza poter parlare con i suoi legali e nel tardo pomeriggio l’hanno caricato su un aereo diretto all’Ucciardone a Palermo, dove ha vissuto in condizioni indicibili.

Successivamente è stato spostato a Vicenza, poi a Pavia e infine a Catanzaro. Ad un certo punto avevamo perso addirittura le sue tracce. Non sapevamo più in quale carcere fosse detenuto. Abbiamo dovuto scrivere al ministero per chiedere indicazioni". Carlo Covi e la collega Chiara Balbinot non vogliono nemmeno ipotizzare a quanto potrà ammontare il risarcimento. "Dovremo valutare attentamente - ripetono - tenendo conto che ora quest’uomo è malato.

È entrato in carcere iperteso e durante la detenzione è stato anche operato in ospedale a Padova, dove un commando di poliziotti armati fino ai denti vigilava all’esterno della sua stanza". Per queste ragioni, ultimamente, Andrea Tonello si trovava agli arresti domiciliari. Ieri mattina è stato raggiunto da una telefonata dal suo avvocato, che gli ha comunicato la notizia dell’assoluzione. "Per lui ovviamente è stata una bella notizia, ma non ha gioito. Credo non sia nemmeno più in grado di gioire. Ora gli si sono riaperte le porte del mondo, ma nell’immaginario comune, e per tutta la città, lui resterà un brigatista rosso".

A chi viene imputato questo errore di valutazione? "Non voglio accusare nessuno, ci tengo solo a ribadire ciò che ho detto in più di un’occasione: in casi come questi serve cautela. In gioco c’è la vita di una persona. Esco da questa esperienza con la consapevolezza che il quadro complessivo non è per niente rassicurante. Ho visto quello che può succedere ad un uomo accusato ingiustamente". Andrea Tonello era finito in cella perché considerato dagli inquirenti l’uomo addetto al supporto logistico del Pc-pm: una tesi formulata dopo l’analisi del materiale sequestrato.

Giustizia: ecco perché ho dato i domiciliari, al "boss depresso"

di Filippo Milazzo (Presidente della Terza Sezione del Tribunale di Catania)

 

La Sicilia, 15 giugno 2009

 

Adesso che il clamore è cessato e si sono svolte le elezioni (per un momento ho temuto che divenisse oggetto di propaganda elettorale) e siamo tutti più disponibili a ragionare, quale presidente della sezione del tribunale di Catania che ha concesso gli arresti domiciliari all’imputato Ieni Giacomo Maurizio, al fine di ristabilire un po’ di verità sul caso che tanta indignazione e ironia ha suscitato, le chiedo di dare il dovuto spazio a queste mie brevi considerazioni.

Non glielo chiedo per fatto personale, perché sono abituato a non dar conto delle opinioni degli altri (anche se non è piacevole per noi giudici essere derisi e insultati un giorno sì e un giorno no dal politico di turno, bravissimo come al solito a parlare di cose che non conosce). Glielo chiedo perché in materia di giustizia una non corretta informazione finisce con l’alimentare la sfiducia dei cittadini nei loro giudici e si risolve in una forma di delegittimazione pericolosa.

In termini semplici. L’imputato Ieni Giacomo Maurizio - allo stato soltanto imputato e quindi presunto innocente per legge, perché non si dimentichi - dopo circa tre anni di detenzione in regime di carcere duro, è da tempo (la prima perizia risale all’aprile del 2007) affetto da una grave forma di depressione cronica, di tipo melanconico.

Questo il giudizio espresso non da medici di parte, ma da cinque periti nominati in questo arco di tempo dal tribunale; per ultimo, da due medici di Parma appositamente nominati di quel posto onde evitare inquinamenti di vario genere. Non si tratta della "comune leggera depressione" che può colpire chi si trova in carcere o del disagio di chi per la prima volta viene privato della libertà. Tra queste forme di malessere e la malattia diagnosticata (perché di vera e propria malattia si tratta), c’è la stessa differenza che corre tra un raffreddore e una polmonite. È da aggiungere poi un calo ponderale di circa 40 chili, e qualche tentativo che non saprei definire se di autolesionismo o di suicidio, che comunque ha lasciato in tutti (anche nei dipendenti dell’amministrazione penitenziaria) la preoccupazione di un gesto inconsulto.

Dopo tre anni di tentativi per cercare di farlo uscire da quello stato di prostrazione, di cui fa fede il voluminoso carteggio in atti, il tribunale, una volta escluso che si trattasse di simulazione, ha dovuto prendere atto che la malattia si era cronicizzata e in un certo senso aggravata, a giudicare da quanto costatato in udienza; e ne ha derivato il convincimento di una chiara incompatibilità con la struttura carceraria.

È vero che nessun medico ha mai parlato apertamente di incompatibilità: ma è anche vero che hanno tutti detto che la cura era possibile "a condizione che ricevesse il necessario supporto psicoterapico"; una convinzione che il tribunale ha ritenuto di impossibile attuazione lontano dall’ambiente familiare. E dovendo conciliare opposte esigenze ha stimato misura idonea gli arresti domiciliari con divieto di conferire con persone estranee allo stretto ambiente familiare.

Ma come si può pensare - me lo consenta - che dei giudici che hanno la loro esperienza, che hanno a che fare di continuo con detenuti di ogni genere, potessero a cuor leggero concedere gli arresti domiciliari a un imputato di mafia! Se il metro di valutazione fosse quello che si è fatto credere alla gente, non ci sarebbero detenuti in questo Paese. Alla fine, quindi, non si tratta che di un caso umano come tanti altri; sì, di un caso umano; a meno che non si dica che un presunto mafioso non deve essere meritevole di attenzione e meno che mai di comprensione; pensiero che mi è sembrato di cogliere dietro tanti commenti (solo così infatti può spiegarsi l’indignazione). Orbene, se è questo il senso di quella indignazione, le dico subito che questa cultura non mi appartiene in quanto giudice e nemmeno appartiene ai colleghi che ne hanno condiviso la decisione.

Ho appreso che la Procura della Repubblica ha impugnato il provvedimento. È questo il modo corretto di risolvere simili contrasti, del tutto fisiologici e connaturali alla diversità delle funzioni; e non certo di dare la stura a campagne di stampa che finiscono con lo disorientare la gente e screditare un po’ tutti. Non abbiamo la presunzione di essere infallibili nei nostri giudizi; e non ci siamo mai sottratti al confronto.

Giustizia: regole per le "ronde"; niente divise o simboli politici

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

Il divieto è esplicito: "Le associazioni dei volontari non potranno utilizzare simboli e nomi che riportano a partiti politici". Proibito anche usare armi, strumenti di coercizione come corde o manette, inserire nelle squadre persone che abbiano precedenti penali.

Il regolamento del Viminale sulle ronde è pronto. Entrerà in vigore appena il Parlamento approverà in via definitiva il disegno di legge sulla sicurezza. E metterà "fuorilegge " tutti quei gruppi, come sono appunto le "ronde nere", che mirano a sostituirsi alle forze dell’ordine. Servirà, aveva detto qualche settimana fa il ministro dell’Interno Roberto Maroni, a "regolamentare un fenomeno che già esiste".

Ma non basterà, ed è questo il vero rischio, ad evitare che i cittadini prendano il posto di polizia e carabinieri. Perché è vero che le regole imposte dal ministero dell’Interno consentono soltanto "segnalazioni" e vietano esplicitamente "ogni tipo di intervento, sia esso per l’identificazione o il controllo delle persone", ma in caso di "flagranza di reato" l’articolo 383 del codice di procedura penale consente anche ai privati di procedere all’arresto.

Il testo già consegnato a Maroni delinea, come previsto dalla legge, "i requisiti, le modalità per la selezione e la formazione del personale, gli ambiti applicativi e il relativo impiego". Per partecipare alle "ronde" bisognerà iscriversi in un registro che sarà gestito dalle prefetture. Il via libera definitivo al rilascio del tesserino sarà invece delegato al Comitato provinciale e nella composizione delle squadre saranno privilegiate le guardie giurate e gli ex appartenenti alle forze dell’ordine.

Anche se sono persone in possesso della licenza, non potranno mai portare con sé alcun tipo di arma, anche "bianca". Divieto assoluto per manganelli, spray urticanti e "qualsiasi oggetto atto ad offendere". L’attività da svolgere sarà quella di "supporto al controllo del territorio" e per questo si è deciso di far dipendere le squadre dalla polizia locale. Ai Comandi dovrà essere comunicato preventivamente il luogo che si intende vigilare e la fascia oraria e poi attendere il via libera "in modo da evitare sovrapposizioni negli stessi luoghi".

I componenti delle squadre - che dovrebbero essere composte da un minimo di tre a un massimo di cinque persone - "dovranno limitarsi alla segnalazione" delle situazioni di pericolo e dunque saranno dotati di telefonini oppure radiotrasmittenti collegate direttamente con le centrali operative. Tra le attività da svolgere il regolamento fa riferimento esplicito ai casi di "degrado urbano" e di "inquinamento acustico".

Oltre a non poter esibire alcun simbolo ispirato a partiti, né attribuirsi nomi che abbiano lo stesso scopo, sarà proibito indossare uniformi militari o comunque ispirate a formazioni politiche. Vietato utilizzare mezzi a motore per effettuare i servizi di sorveglianza. L’unica concessione sono le biciclette, ma soltanto in alcune zone.

Questione controversa riguarda i finanziamenti. Nel testo del Viminale c’è il divieto di elargizione "di finanza pubblica", ma questo non basta ad impedire che - come già avvenuto a Verona - i sindaci decidano di mettere una parte dei propri stanziamenti a disposizione dei volontari. "Arriveremmo al paradosso - denuncia Claudio Giardullo del Silp Cgil - di tagliare le risorse alle forze dell’ordine e darle ai cittadini che, come si vede da quello che sta accadendo in questi giorni, possono provocare gravi pericoli al nostro Paese. È la dimostrazione che le sanzioni devono essere gravi se si vogliono evitare rischi seri".

La contrarietà dei sindacati di polizia è nota e viene ribadita, non soltanto con riferimento alle "ronde nere". Enzo Letizia, segretario dell’Associazione Funzionari Polizia si chiede "se con il blocco del turnover del personale diminuiscono volanti e gazzelle, chi interverrà rapidamente sugli allarmi lanciati delle ronde armate di telefonino? Il vero rischio è legittimare azioni incontrollabili di associazioni mafiose e camorristiche così come quelle di cittadini esaltati". Una linea che trova concorde il leader del Sap Nicola Tanzi: "Non siamo riusciti a evitare l’approvazione della legge - chiarisce -, adesso il regolamento deve evitare che i cittadini si sentano legittimati a farsi giustizia da soli".

Giustizia: a Milano le "ronde nere"; sul basco l’aquila imperiale

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

Sono pronte a debuttare le ronde della "Guardia nazionale italiana", già ribattezzate "ronde nere", pronte a pattugliare le strade 24 ore su 24, affiancando le "ronde padane" non appena sarà in vigore il disegno di legge sulla sicurezza approvato dal Parlamento.

L’Associazione "Guardia nazionale italiana" è stata presentata sabato mattina a Milano durante il primo convegno nazionale del Movimento sociale italiano - Destra italiana. Per ora, spiegano i vertici nazionali dell’Msi, ci sono a disposizione 2.100 volontari in tutto il Paese, concentrati soprattutto in Piemonte, Lombardia, Lazio, Campania e Sicilia. La Guardia nazionale è un’iniziativa apolitica, precisano, nell’ambito dell’attività del nascente Partito Nazionalista italiano guidato da Gaetano Saya, rinviato a giudizio nel 2004 per propaganda di idee fondate sulla superiorità e l’odio razziale.

In un’intervista realizzata da "Peacereporter" l’ispiratore politico Gaetano Saya, ha detto: "Abbiamo superato ampiamente le duemila adesioni. Ogni giorno ne arriva una valanga di nuove, soprattutto ex appartenenti alle forze dell’ordine". Saya ha descritto la divisa che indosserà chi farà le ronde: camicia grigia con cinturone e spallaccio neri, cravatta nera, pantaloni grigi con banda nera laterale, basco o kepi grigio con il simbolo dell’aquila imperiale romana. Il loro equipaggiamento completo prevede elmetto, anfibi neri, guanti di pelle e una grossa torcia elettrica di metallo nero.

"La nostra funzione sarà esclusivamente di segnalazione, per comunicare qualsiasi problema alle forze dell’ordine - spiega Giuseppe Giganti, coordinatore nazionale delle Guardie -. Costituiamo una Onlus, inquadrata come Protezione civile, a cui tutti possono accedere, anche chi è di sinistra perché la politica non c’entra". Dei volontari finora raccolti, circa il 30% sono ex appartenenti alle Forze dell’ordine, dislocati in tutto lo Stivale, dalla Lombardia alla Sicilia, con un’ottantina di iscritti fra Milano e Provincia.

Assicurano di non avere alcun pregiudizio razziale perché "che sia un italiano o un extracomunitario a creare problemi non fa differenza", né simpatie verso il fascismo, "un’ideologia anacronistica che fa parte della storia", dice Giganti. Simboli e divisa "dicono chi siamo, allo stesso modo di polizia e carabinieri, e servono a essere riconosciuti come ronde, non per spaventare, altrimenti siamo pronti a modificare l’abbigliamento" precisa Roberto Guerra, coordinatore delle Guardie di Genova.

A livello politico, l’Msi (insieme al nascente Partito Nazionalista Italiano che rimarrà però legato solo al Nord Italia) punta ad affermarsi come "la nuova destra conservatrice di Berlusconi che in Italia è tutta da rifare" spiega la neo-presidente nazionale Maria Antonietta Cannizzaro, moglie di Saya. "Sosteniamo il Pdl e manteniamo buoni rapporti con la Lega, con cui condividiamo tante idee e speriamo di collaborare" ha concluso la Cannizzaro.

"Come volevasi dimostrare. Adesso arrivano le camicie grigie promosse dall’Msi che si affiancano alle camicie verdi. Si sta rivelando del tutto esatta la previsione di una cattiva partitizzazione della sicurezza nel nostro Paese", afferma in una nota il responsabile Sicurezza del Pd Marco Minniti. "L’idea che il controllo del territorio possa essere affidata ad associazioni, milizie che si identificano con un colore politico, è un colpo al cuore ai principi di ogni democrazia liberale. La previsione era sin troppo facile. Ora si faccia qualcosa per fermare questo sconcertante delirio".

Per il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi, "a Milano è avvenuto un fatto gravissimo e pericoloso: le camicie grigie presentate dall’Msi ricordano le camicie nere e quelle di Ernst Rohm, che fondò le Sa, da cui nacquero le Ss. Le ronde dell’Msi rievocano la più terribile pagina della storia europea dell’ultimo secolo. Un’offesa alla nostra storia ed alla democrazia. Questo episodio rende ancor più evidente che il testo sulla sicurezza che legittima le ronde è sbagliato e che si sta avverando quanto avevamo previsto: il proliferare di gruppi d’azione di ispirazione politica". Alla luce di questo episodio "il governo deve fare marcia indietro: la sicurezza dei cittadini deve essere garantita dalle forze dell’ordine, cui vanno destinati più fondi. Le ronde sono inutili per tutelare i cittadini e pericolose".

Giustizia: con la riforma in arrivo più poteri per la polizia locale

di Gianni Trovati

 

Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2009

 

Archiviata la vacanza elettorale, il Parlamento riprende il filo dei discorsi interrotti e ritrova ai primi punti dell’ordine del giorno la costruzione del "sistema integrato di sicurezza" a livello locale. Il disegno di legge sulla sicurezza, che dà più poteri ai sindaci nel controllo su cambi di residenza e occupazioni abusive, regolamenta le ronde e porta a 500 euro le sanzioni minime delle ordinanze anti-degrado, aspetta l’ultimo via libera dal Senato.

E dietro di lui scalpita la riforma della Polizia locale (primo firmatario il senatore Maurizio Saia, Pdl), che ha già ricevuto un’incoraggiante pacca sulla spalla dallo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni e che promette di far entrare a pieno titolo i 60mila ex vigili urbani tra i corpi armati impegnati nella pubblica sicurezza e nelle funzioni di Polizia giudiziaria.

Di sicurezza porta a porta, insomma, si parlerà ancora molto, visto il sicuro dividendo di consenso che l’argomento si porta con sé. La conferma, puntuale e precisa è arrivata il 6 e 7 giugno; non solo dall’onda lunga della Lega, ma anche dalle realtà in cui il Pd ha limitato i danni conquistando ballottaggi o posizioni di testa tutt’altro che scontate alla vigilia.

Come a Bari, in Provincia di Milano o a Padova, dove l’insistenza sul tema da parte del sindaco Pd Flavio Zanonato (che è anche delegato Anci sulla sicurezza urbana) ha rialzato il partito di Franceschini fino a quota 28,4% (contro il magro 20,3% ottenuto a livello regionale), cioè la stessa percentuale ottenuta a livello regionale dalla Lega (che a Padova si ferma all’11%): e lo "sceriffismo" vero o presunto di Zanonato domina il dibattito verso il ballottaggio.

Mentre il Ddl sicurezza sta per aumentare di nuovo i compiti dei sindaci, la riforma della Polizia locale ora all’esame in commissione al Senato prova ad affinarne gli strumenti di intervento. Il blocchetto delle multe, infatti, va sempre più stretto ai poliziotti comunali, e le novità contenute nel Ddl provano a tagliare definitivamente l’identificazione degli ex vigili urbani con il verbale sotto il parabrezza.

Il cardine del progetto è nella volontà di far entrare a pieno titolo gli ex vigili urbani nel campo della "pubblica sicurezza", superando le timidezze che la legge attuale (la 65 del 1986) mantiene nell’attribuzione delle funzioni di Polizia giudiziaria e, soprattutto, nella dotazione di armi. Per centrare questi obiettivi, la norma in cantiere si muove sul crinale sottile dei rapporti con Regioni e autonomie, che sono i titolari della competenza sulla Polizia locale, per uniformare mezzi e organizzazione dei corpi, rompendo i confini regionali e locali che finora hanno limitato la dotazione di armi.

Il disegno di legge, dopo aver chiarito che i poliziotti locali "portano senza licenza le armi in dotazione", rimanda a un regolamento del Viminale, da adottare d’intesa con la Conferenza Unificata, la disciplina dell’armamento, precisando che il decreto dovrà individuare i requisiti psico-fisici per l’affidamento delle armi e gli obblighi di enti e personale sulla tenuta e sulla custodia di armi e munizioni. Un altro regolamento, con lo stesso iter, dovrà unificare le uniformi e il colore dei mezzi di servizio.

Anche sui compiti di Polizia giudiziaria, il progetto è quello di forzare le rigidità della vecchia legge, sulla base del presupposto che in molte procure la prassi ha già imposto di superare i vincoli territoriali e di materia imposti dalla legge del 1986. Tradotto in pratica, significa far lavorare i poliziotti municipali fianco a fianco con carabinieri e Polizia, permettendo loro l’accesso (previa individuazione dei soggetti autorizzati) alle banche dati del ministero dell’Interno, oltre a quelle di Pra, motorizzazione civile e Camere di commercio.

Se approvata in questi termini, la norma estenderebbe la platea di quanti possono consultare le informazioni del casellario giudiziario dei soggetti fermati, con l’unico limite fissato dai tradizionali vincoli di segretezza degli atti d’indagine, ampliando di conseguenza anche le esigenze di controllo sui flussi di informazioni.

Per completare il quadro, il progetto prevede la definizione di un contratto ad hoc per la Poli-zia locale, traghettando gli agenti municipali fuori dalle regole dei dipendenti di Regioni ed enti locali. In tempi di riduzione dei comparti pubblici, già annunciata dal ministro della Pubblica amministrazione, la cosa non è semplice, ma il confronto con Brunetta è già stato avviato e gli argomenti a sostegno non sono peregrini. Difficile, infatti, regolare (e remunerare) adeguatamente le indennità di rischio, di disagio, di servizio festivo o notturno dei poliziotti locali con un contratto che nasce per gli impiegati dell’anagrafe o della ragioneria comunale.

Accanto agli incrementi economici, la prospettiva contempla però anche la razionalizzazione organizzativa, con gli stessi criteri seguiti per altri ambiti locali dal Codice delle autonomie in arrivo dal ministero della Semplificazione. La leva è quella della gestione associata del servizio, che già oggi è seguita spontaneamente in molti Comuni ma che nel nuovo orizzonte diventerà obbligatoria. Per costituire un corpo, infatti, saranno necessari 15 dipendenti, e chi non metterà insieme le forze vedrà passare le competenze alla Provincia.

Giustizia: 83 reati al giorno delle eco-mafie, prima la Campania

 

La Repubblica, 15 giugno 2009

 

Ogni giorno 83 reati contro l’ambiente. Maglia nera alla Campania stabile al primo posto nella classifica dell’illegalità ambientale, seguita dalla Calabria: è in queste due regioni che si concentra il 30% degli illeciti registrati in tutta Italia. In totale, nel 2007 gli eco-reati sono aumentati del 27,3% rispetto al 2006; il giro d’affari è di 18,4 miliardi di euro; in aumento gli incendi boschivi dolosi e gli illeciti accertati nei cicli del cemento e dei rifiuti. Sparisce nel nulla una montagna di rifiuti speciali alta poco meno di 2000 metri.

Presa d’assalto anche l’agricoltura. Questa la fotografia scattata nel rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente presentato a Roma. In particolare Cosa nostra entra a pieno titolo nella gestione del ciclo dei rifiuti ed emerge la "multi funzionalità" del clan dei Casalesi, capace di spaziare dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dall’agricoltura al racket degli animali.

I clan dell’ecomafia salgono a 239 (36 in più rispetto allo scorso anno). Da qui la necessità per Legambiente di rinnovare l’appello "di introdurre i delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale" ha detto il presidente dell’associazione, Vittorio Cogliati Dezza ricordando che ci sono già proposte condivise ma che ora serve "volontà politica e tempo".

Illeciti: in totale quelli accertati dalle forze dell’ordine nel 2007 sono 30.124, il 27,3% in più rispetto al 2006; le persone denunciate 22.069, con un incremento del 9,7%; i sequestri effettuati 9.074 (più 19% rispetto al 2006);

Regioni: la Campania occupa stabilmente il primo posto seguita dalla Calabria al terzo posto si trova la Puglia, seguita dal Lazio e dalla Sicilia. La prima regione del Nord come numero di infrazioni è la Liguria;

Rifiuti: i reati accertati nel 2007 sono oltre 4800, il 36% dei quali commessi nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa. Sempre in testa la Campania, dove lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi, spesso di provenienza extraregionale, si è sommato alla catastrofica gestione commissariale di quelli urbani. Un balzo in avanti colloca, invece, il Veneto al 2° posto (era 6° lo scorso anno). La Puglia mantiene il 3° posto e il foggiano si conferma una terra dove si scaricano illegalmente nei terreni agricoli i rifiuti prodotti dal centro nord, scorie spesso spacciate per compost;

Fatturato: 18,4 miliardi di euro (quasi un quinto del business totale annuo delle mafie) pur contraendosi rispetto all’anno precedente di circa 4,4 miliardi di euro in seguito all’attività di prevenzione e repressione;

Inchieste: il 2007 detiene il record di inchieste contro i trafficanti di veleni. Grazie all’applicazione dell’art. 260 del Codice dell’Ambiente, che introduce il delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, sono 96 le indagini condotte nel 2007 e nei primi due mesi del 2008 (a oggi le inchieste sono 103) e dal gennaio 2002 al marzo 2008 sono state 600 le ordinanze di custodia cautelare emesse, 2.196 le persone denunciate, 520 le aziende coinvolte.

Cemento: sul fronte del ciclo illegale del cemento, cresce il numero d’infrazioni accertate dalle forze dell’ordine (7.978, il 13% in più rispetto al 2006), quello delle persone denunciate (10.074) e dei sequestri (2.240). Per l’abusivismo edilizio, le stime del Cresme parlano per il 2007 di 28.000 case costruite illegalmente contro le 30.000 del 2006 e le 32.000 del 2005;

Incendi boschivi: oltre 10 mila incendi, 225 mila ettari di boschi e foreste andati in fumo, 18 persone uccise dalle fiamme, 7 milioni e mezzo di tonnellate di Co2 rilasciate nell’aria;

Agricoltura: secondo le stime della Confederazione Italiana Agricoltura, il giro d’affari delle cosche nel settore agricolo si attesta sui 15 miliardi di euro, con oltre cento reati al giorno, e un agricoltore su 3 subirebbe gli effetti dell’illegalità;

Archeomafia: furti in leggero calo, dai 1212 casi del 2006 ai 1085 del 2007, con una flessione del 10,5%. Il Lazio, con 166 furti subiti, supera il Piemonte, tradizionalmente in testa;

Racket animali: stabile il mercato stimato dalla Lav nel 2007 sui 3 miliardi di euro circa, tra corse clandestine di cavalli, combattimenti tra cani, traffici di fauna esotica e protetta, macellazione clandestina.

Giustizia: il ministero non paga, sospese verbalizzazioni udienze

 

Comunicato stampa, 15 giugno 2009

 

Servizio di verbalizzazione delle udienze penali sospeso dal 15 giugno 2009.

Per poter comprendere la gravosa situazione in cui versano le imprese del Consorzio Astrea che, ad oggi, occupano su scala nazionale ben oltre 1.000 addetti, informiamo che le stesse si sono trovate a dover accettare l’iter che il Ministero della Giustizia ha portato avanti dall’anno 2004 avente l’obiettivo di "risparmiare" sulla spesa occorrente per la documentazione atti dibattimentali penali che fino all’anno 2005 è stata di circa 36.000.000 € + Iva.

Fino al 15 novembre 2006 il servizio viene gestito dal singolo ufficio giudiziario; successivamente, a seguito della modifica dell’art. 51 del c.p.p., la gestione del servizio è centralizzata e le competenze passano unicamente al Ministero della Giustizia che, a seguito di gara nazionale, e con una spesa di € 19.500.000 (quindi già con un risparmio di € 16.500.000), aggiudica il servizio al Consorzio Astrea.

Si passa quindi da una gestione polverizzata sul territorio connotata da contatto diretto tra le società operanti in loco e le cancellerie, alla gestione centralizzata del servizio che prevede come strumento di contatto il portale informatico. Le nuove procedure vengono adottate con notevole difficoltà dalle cancellerie che, spesso sfornite degli strumenti necessari per il corretto utilizzo del portale, sono restie ad abbandonare l’ormai superato modus operandi. Pertanto, l’attività che contrattualmente dovrebbe essere prestata dalle cancellerie, basilare per il funzionamento del servizio, viene necessariamente e suppletivamente effettuata dal Consorzio Astrea.

Il contratto ha avuto una durata di 30 mesi: dal 16.11.2006 al 15.11.2008, originaria durata prevista dal contratto; più il periodo che va dal 16.11.2008 a tutto il 30.04.2009, per il prolungamento contrattuale richiesto dal Ministero della Giustizia ed accettato dal Consorzio Astrea. Vale la pena di ricordare che solo il giorno 14 novembre 2008, giorno prima della scadenza contrattuale, il Ministero della Giustizia ha chiesto la proroga del contratto!

Nei 30 mesi di durata dell’appalto affidato al Consorzio Astrea, gli oneri maggiori rispetto alle previsioni contrattuali, sono stati stimati in 13.000.000 di euro, oggetto di una procedura transattiva tra il Consorzio Astrea e il Ministero della Giustizia ancora in corso. Le società dèi Consorzio Astrea hanno dovuto prestare anche servizi non previsti e non compresi nel contratto, richiesti dalle cancellerie attraverso il Centro Gestione Servizi; anche per questi ultimi servizi prestati vi sono procedure in corso per la richiesta del pagamento.

Il pagamento delle spettanze, così come previsto dal contratto, è bimestrale; ma il Ministero della Giustizia non ha mai pagato con puntualità e ciò ha indotto il Consorzio Astrea a richiedere, per decreto ingiuntivo gli interessi per ritardato pagamento delle fatture regolarmente presentate. È in corso di predisposizione analogo iter per il riconoscimento degli interessi per tardato pagamento delle ulteriori fatture.

Basti pensare che ad oggi il Consorzio Astrea attende ancora il pagamento dei servizi resi dal 16 gennaio 2009 al 15 marzo 2009, per un importo di oltre 4.000.000 di euro, nonché, i servizi resi dal 16 marzo 2009 a tutto il 30 aprile 2009 che ammontano a oltre 3.000.000 di euro e che dovrebbero essere pagati entro il 30 giugno. Per i primi 5 bimestri il Ministero della Giustizia ha pagato "a canone", così come previsto dal contratto; dal VI0 bimestre ha deciso unilateralmente di pagare a produzione, con un ricalcolo anche dei primi cinque bimestri liquidati. Ciò, in termini finanziari, ha significato un minor corrispettivo di € 2.562.714 per il primo anno, ed € 1.298.016 per il secondo anno.

Questo stato di cose, aggravato da arbitrarie trattenute di unilaterali penali per ulteriori € 3.500.000,00 circa, ha portato via via al depauperamento delle risorse delle società consorziate Astrea ed al progressivo impoverimento delle stesse, finanche alla chiusura di società storiche della verbalizzazione italiana: Andropolis, Stenotype 2000, Stenotype Center, Stenoflash, Delta Communications (si pensi che ciò che nel 2006 costava € 36.000.000,00 annui il Ministero pretende di pagare, per il 2007, solo € 15.283.343,43 e per il 2008 € 16.381.185,60).

In previsione della scadenza del contratto, nella primavera del 2008 il Ministero della Giustizia ha bandito una nuova gara di appalto; la gara è stata annullata in quanto viziata (ricorso al Tar Lazio). È stata quindi bandita, nel febbraio 2009, una nuova gara per lotti, dividendo l’Italia in tre fasce: nord, centro, sud. Al Consorzio Astrea vengono aggiudicati il lotto 2 (nord) e il lotto 4 (sud).

Il Ministero della Giustizia, a soli due giorni dalla scadenza e cioè in data 28 aprile 2009, chiede al Consorzio Astrea, una ulteriore proroga di un mese del contratto, giustificandola, tra le altre cose, anche per dare la possibilità ai nuovi aggiudicatari di poter organizzare la propria attività. Il Consorzio Astrea, aggiudicatario di due lotti su tre, dichiara la propria disponibilità a iniziare a lavorare con il nuovo contratto.

Dal 5 di maggio 2009 si dà corso al nuovo contratto, tra l’altro più oneroso rispetto al precedente. II Consorzio Astrea organizza il lavoro che viene immediatamente prestato a regola d’arte in tutti i tribunali di propria competenza. Manca però un tassello importantissimo per la gestione del servizio: il portale.

Il portale, si ribadisce, è l’unico strumento che consente la gestione del servizio come da contratto, che permette di pianificare e rendicontare l’attività; è l’unico strumento di verifica a posteriori dell’attività svolta; è l’unico strumento di monitoraggio per il Ministero della Giustizia e per le società del Consorzio Astrea.

Il Ministero della Giustizia con proprie note si è impegnato a fare in modo che il portale potesse entrare a pieno regime nel giro di pochi giorni. Nonostante ciò non sia accaduto, il Consorzio Astrea ha continuato sino ad oggi a prestare regolarmente la propria attività e ad assicurare un servizio indispensabile per la collettività.

Il Consorzio Astrea ha chiesto al Ministero della Giustizia di prendere impegni formali in ordine alla rendicontazione dell’attività svolta dal 5 maggio ad oggi e ha chiesto soprattutto come verranno liquidate le competenze maturate. Non vi è stata risposta in merito!

Nel passato, a fronte delle proteste del Consorzio Astrea per i mancati e tardati pagamenti, il Ministero della Giustizia "ha autorizzato" gli uffici giudiziari a far ricorso agli incarichi peritali. Senza entrare nel merito della regolarità o meno dell’affidamento di tale attività affidata a periti (vi era già stata una nota precedente del Ministero che aveva chiarito in modo inconfutabile che l’attività di verbalizzazione delle udienze non è in alcun modo riconducibile ad attività peritale!), è però certo che con gli incarichi non vi è il reale controllo della spesa pubblica e la stessa lievita in maniera esponenziale.

Proprio per ovviare a tutte le difficoltà sopra rappresentate, mosse dalla necessità di salvaguardare la vita stessa delle proprie consorziate, il Consorzio Astrea ha avviato un tavolo di confronto con il Ministero della Giustizia. Lo stesso Ministero della Giustizia ha fissato un appuntamento per il giorno 9 giugno 2009, al fine di portare a conclusione le problematiche ancora aperte. L’incontro si è risolto per l’ennesima volta con un nulla di fatto.

Tutto ciò premesso le imprese del Consorzio Astrea, riunite in assemblea il 9 giugno 2009, all’unanimità, hanno deliberato, a decorrere dal 15 giugno p.v., la sospensione dell’attività di verbalizzazione delle udienze fino a quando non riceveranno assicurazioni circa le problematiche su esposte.

 

Ufficio Stampa Consorzio Astrea

Giustizia: Polizia Penitenziaria; sospesa la manifestazione del 17

 

Agi, 15 giugno 2009

 

"Non possiamo non registrare favorevolmente l’intento del ministro di anticipare il necessario e dovuto incontro con le rappresentanze sindacali sulla grave crisi che attiene al sistema penitenziario italiano". E’ quanto dichiarano i segretari generali dei sindacati Sappe, Osapp, Uil Pa penitenziari, Cgil Fp PP e Ussp per l’Ugl, commentando l’anticipo a domani dell’incontro previsto per il 23 giugno con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Pur esprimendo una valutazione positiva sull’anticipo dell’incontro, per noi restano, per intero, tutte le questioni sul tappeto che hanno originato la richiesta d’incontro", proseguono i segretari dei sindacati penitenziari. "Parimenti occorre individuare un percorso deflattivo dell’attuale sovrappopolamento e ripristinare corrette relazioni sindacali con il Dap.

Su questi punti", concludono, "il ministro Alfano non può più esimersi dal fornire risposte concrete. Serve un progetto complessivo condiviso, che non sia solo quello edilizio". I segretari generali Capace, Beneduci, Sarno, Quinti e Moretti, comunicano anche la decisione di sospendere momentaneamente la manifestazione di protesta indetta per il 17 giugno, in contemporanea con la celebrazione dell’annuale Festa del Corpo.

Sicilia: intesa tra Garante detenuti e l'Associazione Pedagogisti

 

La Sicilia, 15 giugno 2009

 

Il rosolinese Corrado Cavarra, referente regionale dell’Anpe (Associazione nazionale dei pedagogisti italiani), ha firmato un Protocollo d’intesa con il sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale della Regione Sicilia.

Tale protocollo di durata triennale, che rappresenta un importante riconoscimento dell’opera svolta dall’Associazione dei pedagogisti, prevede una serie di interventi per tendere la mano ai soggetti dell’area penale e alle loro famiglie.

"Verrà attuato - spiega il dott. Cavarra - un piano che prevede azioni pedagogiche atte a motivare e sostenere le proposte legislative concernenti questo settore di intervento; iniziative educative per costituire opportunità concrete di prevenzione e reinserimento nel contesto sociale; percorsi operativi per facilitare la responsabilizzazione e la partecipazione sociale e per sperimentare modelli organizzativi nonché modalità di intervento educativo di tipo innovativo.

Si realizzeranno inoltre - aggiunge il referente dell’Anpe - azioni di tutoraggio in grado di offrire continuità formativa ai giovani dell’area penale che transitano dai Centri per la Giustizia Minorile all’Amministrazione Penitenziaria; consulenza alla progettazione e realizzazione di aggiornamento professionale per il personale, anche con la collaborazione in stage formativi; infine sarà dedicata grande attenzione alle famiglie dei detenuti cui sarà garantito un adeguato supporto attraverso specifici progetti. Il tutto per raggiungere l’obiettivo finale ossia il recupero di questi soggetti ed il loro reinserimento nella società".

Genova: il volontariato penitenziario in Commissione Consiliare

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Oggi nella Sala Consiliare si è riunita la V Commissione Consiliare, presieduta da Maria Rosa Biggi con la partecipazione dell’assessore Papi, per audire le associazioni che si occupano delle tematiche relative al carcere: Veneranda Compagnia di Misericordia, Arci, Sant’Egidio, Cooperativa Pontedecimo, Afet Aquilone, Casa Speranza, Diritti e Libertà.

Sono stati affrontati una serie di temi: dal reinserimento sociale di chi esce dal carcere e che si trova in una situazione di estremo disagio, quando non abbia punti di riferimento, al reinserimento abitativo, ai problemi del lavoro e alle nuove forme di povertà, al tema degli stranieri e delle dipendenze, alla famiglia del detenuto.

L’obiettivo dell’audizione è quello di dar vita a una Consulta carcere-città e di sensibilizzare il Consiglio Comunale e la cittadinanza sui temi del carcere, da molti considerato come un mondo a parte, ma che in realtà è anche un problema che riguarda la città, sia per la prevenzione che per la recidiva e per la possibilità che il carcere diventi un percorso educativo che faciliti un reinserimento nella vita sociale.

Palermo: ministro Alfano a presentazione portale Ansa legalità

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Il Portale Ansa Legalità, un’iniziativa, realizzata col sostegno del ministero dell’Istruzione, viene presentato oggi, nell’aula Baviera dell’istituto penale minorile Malaspina a Palermo.

Obiettivo dell’iniziativa è diffondere tra gli studenti e le scuole la cultura della legalità, del rispetto dei diritti e i temi del contrasto alle mafie e alla criminalità. Alla manifestazione partecipa il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sindaco di Palermo Diego Cammarata, il procuratore presso il tribunale per i minorenni Caterina Chinnici, il presidente del tribunale per i minorenni Concetta Sole, il dirigente del Centro per la giustizia minorile Michele Di Martino e il vicedirettore dell’Ansa Paolo Corallo.

Durante l’incontro viene presentato il Progetto In&Out, promosso dal Centro per la giustizia minorile della Sicilia, finanziato dall’assessorato regionale alla Famiglia e rivolto ai minorenni detenuti nei quattro istituti di pena dell’Isola. Tra le iniziative di In&Out, che si propone il reinserimento sociale e professionale dei giovani detenuti, la realizzazione di un giornalino telematico curato dai minorenni degli istituti di pena siciliani, in collaborazione con i giornalisti dell’Ansa. Alcuni ragazzi che fanno parte della redazione del periodico presentano l’iniziativa. Spazio anche alle domande al Guardasigilli Alfano.

 

Il messaggio del ministro Alfano

 

"Considero l’iniziativa del Portale Ansa Legalità particolarmente apprezzabile e innovativa. Si tratta, infatti, di uno straordinario esempio di positiva sinergia collaborativa tra il mondo della multimedialità e dell’informazione e importanti istituzioni dello Stato, come quella scolastica e quella giudiziaria specificamente preposta al recupero della devianza minorile".

Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in occasione della presentazione, oggi all’Istituto Penale Minorile Malaspina di Palermo, del Portale Ansa Legalità. "Il Portale della Legalità - aggiunge il ministro in un messaggio - sarà in grado di diffondere tra i giovani la cultura delle regole e dell’antimafia, ma anche la consapevolezza del diritto di ciascun ragazzo a sviluppare la propria personalità e le proprie potenzialità, con l’impegno che questo comporta per gli adulti e le istituzioni".

Per Alfano "l’informazione e il confronto di idee coltivati all’interno di uno strumento interattivo, potente e aperto a tutti come un portale internet, sembrano la ricetta giusta per cogliere importanti risultati anche rispetto alle peculiari specificità del disagio giovanile: dal bullismo al sempre crescente abuso di alcool; dal rispetto delle regole della sicurezza stradale all’etica sportiva, sociale e politica".

Il Guardasigilli considera "di altissimo significato simbolico la scelta dell’Albero Falcone come logo di ingresso dei contributi esterni che arricchiranno lo stesso portale. È straordinariamente coerente, infatti, con il messaggio forse più famoso che Giovanni Falcone ci ha lasciato, affermando che gli uomini muoiono, ma le loro idee e le loro passioni restano, destinate a camminare sulle gambe di altri uomini". "Sono convinto - conclude Alfano - che proprio le gambe, il cuore e la passione dei nostri giovani rappresentano la scelta migliore per fare rivivere e camminare queste idee. Auguro, pertanto, a tutti voi un proficuo dibattito nella certezza del pieno successo dell’iniziativa sul fronte del rafforzamento dei principi di giustizia e di legalità, di cui vi è particolare bisogno nella nostra terra".

 

Il messaggio del ministro Gelmini

 

"Con il portale Ansa Legalità nasce un nuovo, importantissimo strumento per la diffusione della cultura della giustizia e del rispetto della legge. Sono molto felice quindi di portare il mio saluto alla presentazione di questa iniziativa che è stata sostenuta con grande convinzione dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e che è stata realizzata grazie all’impegno di molti".

Lo afferma il ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini, in un messaggio inviato in occasione della presentazione, oggi a Palermo, del portale Ansa Legalità. "La rete - osserva il ministro - è lo strumento di comunicazione e il canale di informazione privilegiato dalle giovani generazioni, dunque anche sulla rete le istituzioni educative hanno una sfida da vincere: le idee della civiltà, della legalità e del rispetto degli altri e di se stessi devono raggiungere i ragazzi là dove trascorrono, spesso da soli, gran parte del loro tempo". Il ministro sottolinea che "da oggi tutti disponiamo di una risorsa in più per avviare i giovani sulla strada della legalità.

Uno spazio in cui i ragazzi potranno informarsi sulla vittoriosa battaglia delle istituzioni sulle mafie e comprendere i loro diritti e doveri di futuri cittadini. Le numerose campagne ed attività che sono pubblicizzate sul portale aiuteranno i ragazzi a percepire le istituzioni non come qualcosa di lontano e astratto ma come una presenza vicina e utile".

Per Gelmini il portale è "un importante sostegno, tramite il progetto In&Out, anche per tutti i ragazzi che oggi si trovano in stato di detenzione, per capire che un’alternativa per una vita diversa esiste sempre e che devono iniziare a costruirla ora, mentre si trovano in strutture che hanno comunque come fine ultimo il loro recupero ed il loro reinserimento, naturalmente attraverso il principale mezzo di elevazione sociale: l’istruzione".

Napoli: progetto "Esco Dentro", l’occasione per gli ex-detenuti

di Cristina Zagaria

 

La Repubblica, 15 giugno 2009

 

Cappellino, giubbotto giallo fosforescente e tesserino. Ogni giorno quando indossano la divisa di "operatori per la sicurezza turistica urbana" lo fanno "con orgoglio". Sono ex detenuti, con condanne per omicidio, rapina, spaccio. Sono uomini con un passato violento, illegale, terribile. Sono recidivi, sorvegliati speciali e detenuti ai domiciliari.

"Ma quando indossiamo la divisa siamo solo operatori di sicurezza e facciamo il nostro lavoro con serietà, perché questa è la prima vera occasione che abbiamo per dimenticare il passato e non vogliamo sprecarla". E aggiungono: "Siamo ex carcerati, non lo nascondiamo. Ma non siamo solo questo".

Parlano i 70 ex-detenuti coinvolti nel progetto "Esco Dentro", della Regione, un progetto voluto dall’assessore Corrado Gabriele e realizzato grazie alla Teleservizi e ad altri 5 istituti di formazione. Gli operatori con il giubbotto giallo hanno il compito di scortare i turisti nelle zone a rischio della città, aiutarli ad attraversare la strada, fornire informazioni.

I 70 fanno parte di un gruppo più ampio di 426 ex detenuti che hanno seguito varie attività di formazione da operatore per l’assistenza agli immigrati ad addetti per le operazioni di pulizia. "Hanno frequentato un corso teorico di 72 ore - spiega Alessandro Vecchione, direttore della Teleservizi - La nostra prima sfida è stata fare un percorso dall’illegalità alla legalità. Tra i docenti avvocati, criminologi e psicologi.

L’obiettivo è pratico: aiutare l’inserimento nel mondo del lavoro di disoccupati di lunga durata. Ma è anche culturale. Cerchiamo di fornire un’alternativa concreta e strappare queste persone e le loro famiglie alle sottili maglie della criminalità". Gennaro C. ha 46 anni e una figlia di 18: "La prima volta che sono entrato in carcere avevo 19 anni. Da allora sono entrato e uscito. L’ultima condanna era per un reato un po’ grave. Omicidio. Ho scontato sei anni, più l’indulto. Sono pregiudicato, ma non per questo devo essere vittima a vita del pregiudizio".

La moglie di Gennaro lavora in nero, così anche la figlia. La famiglia paga 360 euro d’affitto per una casa in piazza dei Miracoli. "Conosco bene l’inglese, perché ho vissuto tre anni a Londra, nel negozio di antiquariato di uno zio di mia moglie, lavorare per strada, accogliere i turisti e sentirmi utile mi piace". Anche Massimo D., 34 anni (uscito dal carcere per indulto dopo una condanna per spaccio), conosce l’inglese e pure lo spagnolo.

"So usare anche il computer e sono istruito - precisa Massimo -. Con la fedina penale macchiata, però, nessuno mi dà un lavoro. Ho due figli, di 12 e 9 anni. Per me dalla vita non mi aspetto più niente, ma voglio un lavoro "vero" per il futuro dei miei ragazzi". I 426 corsisti hanno addirittura fatto una riunione interna: "Prima di uscire in strada - raccontano - ci siamo visti da soli e abbiamo chiarito le regole: il corso e il tirocinio si fanno seriamente, perché se sgarra uno pagano tutti. Chi non era d’accordo poteva alzarsi e strapparlo il tesserino. Chi oggi è in strada ha le migliori intenzioni".

Ma se c’è un’emergenza cosa accade? Se ci sono dei turisti in pericolo, qual è la procedura? "I corsisti si muovono in gruppi di 10 persone, seguiti da un tutor, dotato di un palmare e ricetrasmittenti - è la risposta ufficiale di Vecchione - I percorsi sono stati tracciati in anticipo e comunicati a commissariati e Municipalità.

Se c’è una emergenza è il tutor, cioè una guardia giurata, a dare l’allarme a polizia e carabinieri. I corsisti non intervengono. La loro è una funzione di accoglienza per i turisti e di deterrente. Nulla di più". "Chi meglio di noi, conosce i borseggiatori, i ladri, gli spacciatori? - spiega Giovanni C. 42 anni, sorvegliato speciale, finito in carcere la prima volta a 15 per una tentata rapina con pistola - Abbiamo l’occhio allenato. Se notiamo qualche sospetto, basta uno sguardo. Abbiamo lo stesso codice e ci capiamo al volo. Può sembrare paradossale, ma i turisti con noi sono davvero sicuri".

E l’assessore Corrado Gabriele pensa già al futuro: "Se il corso funziona e troviamo altri fondi ci piacerebbe allargare l’esperimento ad altri 100. Noi abbiamo dato solo il via e mi auguro che tutte le istituzioni ci aiutino, dalla Procura alle forze dell’ordine. Sia chiaro, il nostro compito non è fare sicurezza, quella spetta a polizia e carabinieri. Il nostro obiettivo è dare un lavoro a fasce disagiate. Non dimentichiamoci l’articolo 27 della Costituzione".

Chieti: il giornale "Voci di dentro" inaugura una sede "esterna"

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Una nuova possibilità di lavoro e reinserimento nella vita sociale per i detenuti che saranno impegnati in attività lavorative presso l’associazione di volontariato "Voci di dentro", la cui sede a Chieti è stata inaugurata questa mattina.

L’iniziativa - frutto di una convenzione che prevede il recupero e il reinserimento dei detenuti tra l’associazione e l’Ufficio di esecuzione penale esterna di Chieti, Pescara e Teramo del Ministero di grazia e giustizia - è stata presentata in una conferenza stampa dal presidente dell’associazione "Voci di dentro" Francesco Lo Piccolo e dal comandante della Casa Circondariale di Chieti Valentino Di Bartolomeo.

Nell’attività presso l’associazione, finalizzata innanzitutto alla redazione del periodico "Voci di dentro", sarà impegnato dal primo luglio prossimo un ex detenuto affidato ai servizi sociali il quale scriverà testi, farà fotografie e ricerca di informazioni; da settembre, nell’iniziativa sarà coinvolto un detenuto ammesso al lavoro all’esterno che potrà usufruire di una borsa lavoro messa a disposizione dal Comune di Chieti.

Nell’ambito delle attività della onlus "Voci di dentro", domani dieci ospiti degli istituti di pena di Chieti e Pescara visiteranno Ari, il "paese della memoria", e saranno accompagnati dal sindaco neo eletto Elena Di Biase lungo l’itinerario delle sculture che Ari ha dedicato a coloro che hanno perso la vita per difendere la legalità, la democrazia e la libertà.

Venezia: ai detenuti 300 kit, di prodotti per la pulizia personale

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Martedì 16 giugno, alle ore 12, a Cà Farsetti, si svolgerà una conferenza stampa per illustrare un’iniziativa a favore dei detenuti del carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. Si tratta della consegna di 300 kit contenenti prodotti per la pulizia personale: lo scopo é migliorare la vivibilità negli istituti penitenziari, attenuando le criticità causate dall’aumento della popolazione detenuta. Tale iniziativa è sostenuta dalla Presidenza del Consiglio comunale di Venezia in collaborazione con l’associazione "Il granello di senape".

Interverranno alla conferenza stampa il presidente del Consiglio Comunale di Venezia, la direttrice degli istituti penitenziari di Venezia, Gabriella Straffi, la presidente dell’associazione "Il Granello di senape", Maria Teresa Menotto.

Firenze: detenuto di 20 anni evade dall'Istituto Penale Minorile

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Uno slavo di 20 anni, detenuto nell’Istituto penitenziario minorile di Firenze, è evaso intorno alle 18.30 di ieri dopo aver scavalcato il muro di cinta della struttura. Lo si è appreso oggi.

Secondo quanto emerge, il giovane doveva finire di scontare una condanna al cui termine mancavano alcune settimane; da poco era stato riportato nell’istituto, che si trova nel centro di Firenze vicino alla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, poiché era evaso dagli arresti domiciliari.

Asti: è terminato il Progetto "Viaggio intorno alla mia stanza"

 

www.gazzettadasti.it, 15 giugno 2009

 

Hanno parlato di doping con il calciatore Matteo Paro, di razzismo con la ricercatrice Nicoletta Fasano, di Fabrizio De André con l’inviato della Stampa Marco Neirotti e l’esperto di musica Franco Testore, ma l’incontro più toccante è stato quello con Ombretta Fassone, madre di un ragazzo astigiano morto di droga e scrittrice con "Piccola idea".

Per i detenuti della Casa Circondariale di Quarto si è da poco concluso "Viaggio intorno alla mia stanza", promosso dalla Direzione dell’istituto insieme all’Associazione culturale Comunica e alla Provincia (Assessorato alle Politiche Sociali). Per un anno i partecipanti al laboratorio, condotto dalla giornalista Laura Nosenzo, hanno approfondito ogni mese un tema di attualità: prima di incontrare l’ospite, lettura di libri e giornali, visione di filmati, analisi delle proprie esperienze personali.

Il tema della salute in carcere è stato trattato con i medici del "Cardinal Massaia" Cesare Bolla e Paolo Crivelli, con cui si è parlato di malattie infettive e di Aids, e con Maurizio Ruschena, direttore del Dipartimento delle Dipendenze dell’Asl AT. Altri temi hanno riguardato le nuove povertà e i meccanismi dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina, la sicurezza sul lavoro, la donazione di organi, la raccolta differenziata e il caso di inquinamento alle falde di San Fedele, la solidarietà e la storia del Banco alimentare.

Il tratto innovativo del progetto è stato rappresentato dalla lettura della Costituzione e dalla riscrittura dei detenuti "a modo loro", con un’analisi cioè sui diritti e i doveri nella realtà carceraria che li ospita.

"Viaggio intorno alla mia stanza - commenta Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale - ha registrato un buon coinvolgimento dei detenuti perché, per tutti i temi trattati, ha messo al centro la testimonianza personale degli ospiti, favorendo così la comprensione di questioni particolarmente impegnative. Oggi i reclusi sono sicuramente più informati e hanno un’idea più precisa della realtà che li circonda e che li accoglierà una volta tornati in libertà". Il progetto ha coinvolto soggetti sia italiani che stranieri (marocchini, rumeni, albanesi, tunisini, cingalesi e colombiani) tra i 23 e i 47 anni.

Salerno: nel film "L’orchestra di Pettini" detenuti-sceneggiatori

 

La Città di Salerno, 15 giugno 2009

 

A collaborare alla stesura della sceneggiatura sono stati tanti giovani detenuti napoletani. Che, con l’ausilio di terapeute e assistenti sociali, hanno liberato la propria creatività, esercitandosi a dare un nome alle emozioni.

Il film è "L’orchestra di Pettini", per la regia della salernitana Maria Pia Cerulo, ex-assistente di Lina Wertmuller. Il prodotto è in lavorazione e doge del sostegno della Provincia e del Parco del Cilento. Le location sono state scelte tra il Cilento e i luoghi del Ravello festival. L’anno è il 1999 e Giuseppe, un giovane architetto, riceve l’incarico di realizzare un’installazione luminosa nella città di Berlino che commemori il decennale della caduta del muro.

Mentre inizia la sua riflessione sul significato del valore della libertà, Giuseppe scopre di dover superare ancora degli ostacoli per diventare un uomo libero e poter realizzare la propria opera. Lo riporta indietro nel tempo una telefonata, con cui è invitato a partecipare al festival di Ravello, come vincitore di una delle passate edizioni. E così riaffiorano nella mente del protagonista i ricordi legati a suo padre Vittorio, un pescatore cilentano dotato di una grande dose di creatività.

In una notte d’estate, osservando la pesca delle alici, Vittorio compone una struggente musica dedicata all’ascesa delle alici al cielo, e lo fa attraverso un insolito strumento, che è lo stesso utilizzato per catturare le alici, ovvero un pettinino a maglia larga, ricoperto di una carta velina. Insieme, padre e figlio metteranno in piedi una piccola formazione che parteciperà al festival di Ravello: l’orchestra di pettini.

La sceneggiatura del film è ispirata agli studi della dottoressa Margherita Spagnuolo Lobb, direttrice dell’istituto di Gestalt Terapy "Hcc Italy", con sede a Siracusa e Palermo, tra le più apprezzate gestaltiste italiane nel mondo, che, didatta internazionale, terrà il 2 luglio, a Napoli un seminario su: "Nuove forme di sofferenza psicologica".

Aderendo al concetto che la devianza giovanile sia una psicopatologia, e non una mera forma di cattiveria, si è pensato di far scrivere ai ragazzi in stato di semilibertà e di detenzione di Napoli, tra cui persone che scontano la pena per abusi sessuali, scene del film tra i due protagonisti diciottenni.

Sostenuti con affetto dalle assistenti sociali che li accompagnavano, al termine dell’esperienza si sono mostrati contenti, entusiasti dell’opportunità di esprimere sentimenti più aderenti al loro vero, profondo sentire. Solo la scena d’amore più bella doveva essere inserita nel film, ma vista la forza degli elaborati, saranno inseriti pezzetti di ognuna e tutti i ragazzi saranno attori in piccoli ruoli sul set, in cui però non interpreteranno delinquenti ma persone di buoni sentimenti e capaci di provare emozioni positive. E poi tutti a Cinecittá per una meritata gita negli studios.

Immigrazione: terzo mondo sta morendo di sovrappopolazione

di Giovanni Sartori

 

Corriere della Sera, 15 giugno 2009

 

Per chi non lo sapesse, il pozzo di San Patrizio è un pozzo senza fondo, e quindi un pozzo che non si riempie mai. Finora risultava che la terra fosse un pianeta tondo e racchiuso in se stesso. Ma per i "popolazionisti" e per chi si occupa di migrazioni di massa è, si direbbe, un pozzo di San Patrizio. Siamo più di 7 miliardi? Nessun problema, il pozzo li ingurgita tutti. Sarebbe lo stesso se fossimo 77 miliardi: provvederebbe sempre San Patrizio. Un Santo del VI secolo che la Chiesa dovrebbe rivalutare.

Ma procediamo con ordine. Di recente Alberto Ronchey ricordava su queste colonne che un secolo fa gli africani erano 170 milioni, mentre oggi si ritiene che siano 930 milioni. La sola Nigeria potrebbe arrivare, nel 2050, a 260 milioni di abitanti; e le Nazioni Unite stimano che Paesi come l’Etiopia, il Congo e il Sudan, già stremati da ricorrenti carestie, rischiano di raddoppiare, entro il 2050, la loro popolazione. E mentre la popolazione cresce a dismisura, le risorse alimentari del continente africano sono state malamente dilapidate dall’erosione del suolo e dalla desertificazione.

Questi sono, all’ingrosso, i numeri della "pressione dell’Africa" richiamata da Ronchey, che è la pressione a noi più vicina e quindi più minacciosa. Una pressione che si ascrive alla categoria degli "eco-profughi", e correlativamente degli "eco-rifugiati". Che fare? Come accoglierli? Finora si è parlato di diritto di asilo. Ora si comincia a parlare di "profughi ambientali ". La prima categoria è impropria e difficile da accertare, mentre la seconda è davvero troppo larga, troppo onnicapiente: presuppone che il mondo sia quel pozzo di San Patrizio che non è.

Il diritto di asilo è stato, nei millenni, una protezione, una immunità religiosa dalla "vendetta del sangue " (i parenti di un ucciso, o simili) per chi si rifugiava in un luogo sacro. Questo asilo trova la sua massima espansione nell’Europa medievale, per poi venir meno. E il punto è che l’asilo non è mai stato riconosciuto come "diritto " di intere comunità e tanto meno per motivi politici. Pertanto il diritto di asilo concepito come titolo di entrata in un Paese per i rifugiati politici è una recente invenzione. E andiamo ancora peggio con la nozione di "vittime ecologiche". Questa categoria è davvero smisurata e sconfitta dai numeri. Gli eco-profughi sono già centinaia di milioni; e basterebbe che il dissesto del clima spostasse i monsoni per ridurre alla fame mezzo miliardo di indiani.

Il rimedio certo non può essere di accogliere tutti e di un Occidente che si prende carico dei diritti di asilo e dei profughi ambientali. Per l’Africa un’idea sarebbe di "rinverdirla", di renderla di nuovo fertile e vivibile. Un po’ tardi, visto che l’agricoltura è già per metà perduta, che i laghi si prosciugano e che la desertificazione è irreversibile. Per carità, l’Africa va aiutata. Ma tutto è inutile se e finché non apriremo gli occhi alla realtà, al fatto che l’Africa (e non soltanto l’Africa) muore di sovrappopolazione, e che la crescita demografica (ovunque avvenga) va risolutamente affrontata e fermata.

Immigrazione: è "allarme xenofobia"; l’Europa reagisca subito

di Andrea Tarquini

 

La Repubblica, 15 giugno 2009

 

"L’Europa non può restare indifferente all’ascesa dell’estrema destra. La democrazia è a rischio e va difesa". Ecco il grave monito del primo ministro cèco Jan Fischer, che guida il paese presidente di turno dell’Ue.

 

Signor primo ministro, l’ultradestra ha volato alle europee. Che ne dice?

"Sono allarmato. Con posizioni estremiste e xenofobe hanno raggiunto alti consensi a livello europeo. Bisogna chiedersi se è un fenomeno sistemico o legato all’attuale situazione economica internazionale. Da noi per fortuna non hanno colto grandi successi, ma è un problema anche qui. L’ultradestra è di un’estrema brutalità xenofoba e antisemita. Attacchi sono stati rivolti anche contro di me personalmente, ciò è inaccettabile".

 

Come reagire?

"È fondamentale che l’opinione pubblica non diventi indifferente. I politici reagiscano duri, tempestivi ed efficienti contro ogni estremismo, uguale se di destra o di sinistra. È in gioco la democrazia, e la democrazia va difesa. Non possiamo permetterci mai di stare a guardare e di assistere a una ripetizione di pagine orribili della Storia".

 

Quanto è grande il pericolo del contagio di casi come Budapest?

"Dobbiamo reagire decisi, difenderci, non aspettare l’infezione. Non possiamo tollerare, stare a guardare, dire "passerà, è un fatto transitorio", sottovalutare. In molti luoghi la Storia ci ha insegnato che alcuni fenomeni iniziano inosservati, o sembrano umoristici. Ma poi persone di cui si rideva hanno creato una situazione in cui non si poteva mai più ridere né accennare un sorriso".

 

La scarsa partecipazione alle europee poco prima del vertice Ue, non le sembra un altro allarme?

"Non piace a nessuno. È un trend, in molti paesi. Dobbiamo chiederci cosa l’Europa, le sue istituzioni, i suoi cittadini, devono fare. Non sempre astensionismo ed euroscetticismo convivono, ma anche dove l’Europa è bene accolta, è difficile mobilitare".

 

Estrema destra e astensionismo saranno temi al vertice Ue?

"Non formalmente, ma non escludo che informalmente ne parleremo".

 

A Praga il capo dello Stato euroscettico, Vaclav Klaus, non ha ancora firmato il trattato di Lisbona. Processo bloccato?

"No, va avanti. Il Parlamento ha ratificato, tocca al presidente firmare. Ma c’è un ricorso contro il Trattato alla nostra Corte costituzionale. E il presidente, com’è suo diritto, attende. Dobbiamo aspettare".

 

La crisi internazionale ha colpito duramente il centro-est dell’Ue. Teme un nuovo Muro est-ovest?

"Non facciamo d’ogni erba un fascio. La Polonia è il paese meno colpito, Praga ha un sistema finanziario sano, ma problemi nella real economy, come Berlino. Bene anche la Slovacchia. Difficoltà pesanti in Lettonia o in Ungheria. Ma la crisi deve diventare l’occasione per l’Europa: reagire sfruttando i benefici dell’integrazione".

Immigrazione: i medici-spia… la questione non è affatto risolta

di Marco Togna

 

www.rassegna.it, 15 giugno 2009

 

La Camera aveva stralciato l’emendamento. Ma il pacchetto sicurezza prevede tuttora il "reato di ingresso e soggiorno illegale". Il che rende obbligatoria la denuncia da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, medici inclusi.

Sembrava risolta la questione dei medici-spia. Appunto, sembrava. La Camera, infatti, a fine aprile aveva stralciato l’emendamento introdotto al Senato (proposto dalla Lega) che eliminava il "divieto di segnalazione", dando così al personale del Servizio sanitario nazionale la possibilità di denunciare gli immigrati senza permesso di soggiorno che si fossero presentati nelle strutture pubbliche. Uno stralcio chiesto dall’opinione pubblica intera, cui si erano accodati anche esponenti del centrodestra. La questione, in verità, è ancora tutta lì. E intanto si avvicina la data della definitiva approvazione.

Il pacchetto sicurezza, infatti, prevede tuttora il "reato di ingresso e soggiorno illegale" (art. 21 del ddl 2180): questo renderebbe "obbligatoria" la denuncia del migrante che si trovi in Italia illegalmente da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (artt. 361-362 del codice penale) che ne venga a conoscenza. Quindi anche medici, infermieri, impiegati dei pronto soccorso e dei servizi territoriali.

Le due norme (divieto di segnalazione e conseguenze del reato di clandestinità) sono in evidente contrasto: da qui il busillis. "Abbiamo consultato numerosi giuristi - spiega Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil Medici - ottenendo risposte diverse. Alcuni sostengono che prevarrebbe il divieto, altri l’obbligo di denuncia. L’unica cosa certa è l’enorme pasticcio che sta facendo il governo. Per questo, assieme a tutti i sindacati degli operatori sanitari, chiediamo con forza di fare chiarezza".

La Cgil legge l’intera questione sotto la lente dei diritti, il primo è quella alla salute: "La Costituzione - continua - parla di individuo, non di cittadino, dicendo che qualsiasi persona si trovi nel nostro territorio ha questo diritto, al di là della sua cittadinanza. E poi c’è il codice deontologico: i medici hanno il dovere di curare, senza alcuna distinzione tra le persone, non hanno certo il dovere di denunciare i propri pazienti".

Qualora il provvedimento venisse approvato, le conseguenze sarebbero gravi. I primi a saperlo sono gli operatori di Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione internazionale di soccorso e assistenza, dal 1971 attiva in tutte quelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito. "L’immigrato irregolare - spiega Rolando Magnano, vice responsabile dei progetti per l’Italia - tenderà a non rivolgersi alle strutture pubbliche, questo favorirà l’invisibilità di questa fetta di popolazione straniera, sottraendola a qualsiasi tutela sanitaria.

Oppure arriverà in ospedale soltanto in presenza di patologie gravissime o croniche, con conseguenze pericolose per la propria salute, per la salute collettiva e per il Servizio sanitario nazionale, che si troverebbe a gestire casi complicati, con aggravio di costi e di impegno". È presumibile, conclude Magnano, che a risentire maggiormente di questa ambiguità giuridica "saranno le categorie più vulnerabili, cioè i minori o le donne in gravidanza. Quest’ultime, ad esempio, in virtù del loro stato hanno diritto al permesso di soggiorno, ma debbono prima farselo certificare dall’ospedale, quando sono ancora clandestine. Potrebbero quindi non rivolgersi alle strutture pubbliche".

Un ultimo problema, già denunciato dai sindacati e dagli ordini professionali, è quello della nascita di percorsi sanitari paralleli, quindi al di fuori del controllo e della verifica pubblica "Abbiamo notizie di ambulatori clandestini (riportate anche dalla stampa nazionale, ndr), e questo ci preoccupa moltissimo" conclude il segretario nazionale della Fp Cgil Medici Massimo Cozza: "Ma occorre anche segnalare che il semplice annuncio di un simile provvedimento ha già provocato la diminuzione del 15-20 per cento dell’accesso degli immigrati al Servizio sanitario nazionale. È passato il messaggio che l’ospedale non è più un luogo sicuro, questo è inaccettabile".

Immigrazione: Tajani, non solo rimpatri, serve lotta a povertà

 

Il Tempo, 15 giugno 2009

 

"I respingimenti sono solo il primo passo di una strategia di lotta all’immigrazio-ne clandestina che ha come punto di snodo fondamentale la cooperazione tra l’Europa e i paesi africani per dare sviluppo economico e stabilità politica all’Africa". Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione europea, condivide l’ottimismo del ministro Maroni sull’efficacia della strategia dei respingimenti e sottolinea anche l’azione svolta di concerto con la Libia da dove, appunto, ha origine una quota importante dei flussi migratori clandestini.

 

Maroni si dice soddisfatto ma quanto possono durare i respingimenti? E poi, alla lunga, sono davvero così efficaci?

"Con il tempo assisteremo sempre più a fenomeni di immigrazione clandestina. Vanno rafforzate tutte le iniziative come quella denominata Frontex che è un programma europeo per riaccompagnare i clandestini in patria. Va rafforzato anche il documento elaborato dal Commissario alla giustizia europeo Jacques Barrot approvato dalla Commissione Ue nel quale c’è una sezione dedicata all’immigrazione. Qui si parla appunto di collaborazione tra i Paesi".

 

Vuol dire che l’Europa deve rivedere tutta la sua politica di cooperazione con i Paesi africani?

"In un certo senso sì. Bisogna puntare allo sviluppo dell’Africa. Il 25 giugno presenterò alla Commissione europea una comunicazione sulle infrastrutture africane e sul ruolo che l’Europa può giocare in questo settore".

 

Il problema dell’immigrazione richiede quindi risposte economiche?

"Esattamente. Chi lascia il proprio Paese lo fa perché spinto da una condizione di povertà ma spesso anche dalle turbolenze sociali legate all’instabilità politica. Per questo se l’emergenza si può affrontare con i respingimenti, nel medio-lungo periodo bisogna affrontare il problema economico dell’Africa".

 

Questo vale anche per i rifugiati politici?

"Per i rifugiati politici il discorso e un po’ diverso. Se ne devono far carico tutti i Paesi europei non solo quelli dell’area mediterranea. Questo tema è all’ordine del giorno del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi".

 

Il rapporto con la Libia di Gheddafi approfondito con la visita a Roma del leader, è un aiuto nella lotta ai clandestini?

"Certamente. La collaborazione con la Libia è soprattutto economica e di sviluppo. Gheddafi garantisce stabilità alla Libia e noi dobbiamo lavorare per garantire la stabilità per tutta Africa. Va ricordato infatti che Gheddafi è anche presidente dell’Unione africana. Il vertice romano ha chiuso il capitolo del contenzioso tra i due Paesi e avrà un risvolto positivo in tutta Europa. La Libia sarà la piattaforma per agevolare i rapporti con tutta l’Africa. Gheddafi ha fatto una grande apertura alle nostre imprese per la realizzazione delle infrastrutture".

 

In che modo questi progetti influiranno sulla qualità dell’immigrazione?

"A fine settembre e inizio ottobre a Napoli ci sarà una grande conferenza sulle reti trans europee. È una iniziativa del ministero dei Trasporti di Matteoli e della Commissione Ue. Le reti trans europee aprono le porte verso l’Africa. L’obiettivo è di ridurre i flussi migratori".

 

Come mai in Italia a differenza della Spagna, la politica dei respingimenti ha incontrato così tante ostilità?

"È stato tutto molto legato alla campagna elettorale".

 

Ma anche la Chiesa si è detta contraria…

"La Chiesa aveva il timore che non fossero rispettati i diritti umani. Ma in questa normativa non c’è nulla in contrasto con le normative europee".

India: Giovanni Falcone; liberate mio figlio, o mi lascerò morire

 

www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15 giugno 2009

 

Vuole portare alle estreme conseguenze la sua lotta Giovanni Falcone, padre di Angelo, 29 anni, detenuto, con l’amico Simone Nobili, in un carcere dell’India dal 10 marzo 2007 per una condanna a 10 anni per traffico di stupefacenti. Un’accusa contestata dai due connazionali che hanno parlato di un tranello loro teso dalla polizia indiana.

"Sono arrivato al dodicesimo giorno di sciopero della fame. Ho perso 6 chili ed ho le vertigini. Attuerò anche lo sciopero della sete. Ma, dalla Asl di Matera nessun controllo anche se ho segnalato la protesta a Comune, prefettura, Provincia, presidenza della Repubblica. Mi lascerò morire...".

Vuole portare alle estreme conseguenze la sua lotta Giovanni Falcone, padre di Angelo, 29 anni, detenuto, con l’amico Simone Nobili, in un carcere dell’India dal 10 marzo 2007 per una condanna a 10 anni per traffico di stupefacenti. Un’accusa contestata dai due connazionali che hanno parlato di un tranello loro teso dalla polizia indiana. Ora, tra luglio e agosto prossimi, ci sarà l’appello. Giovanni ha denunciato a più riprese violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale nei confronti del figlio. Da qui i suoi appelli ad una soluzione diplomatica del caso resa difficile dalla mancanza di trattati tra Italia ed India.

"Ed Angelo e Simone, per accuse inverosimili - ha concluso il nostro interlocutore - da 26 mesi sono costretti a dormire per terra su una coperta in una cella di due metri e mezzo per lato. E non posso telefonargli da mesi. Sì, mi lascerò morire".

Usa: inchiesta di Vanguard su reinserimento degli ex-detenuti

 

Il Velino, 15 giugno 2009

 

"C’è libertà oltre le sbarre?": questo è il titolo dell’inchiesta Vanguard realizzata da Laura Ling in onda domani martedì 16 giugno alle ore 23 su Current (130 Sky).

La giornalista autrice del reportage, vicepresidente dell’unità Vanguard Usa - dipartimento giornalistico del network di Al Gore dedicato a questioni globali significative -, è attualmente detenuta in un carcere in Nord Corea, assieme alla sua collega Euna Lee.

Le due giornaliste di Current, l’8 giugno scorso, sono state condannate a 12 anni di lavori forzati per un non meglio specificato "grave crimine" contro la nazione e per aver attraversato illegalmente la frontiera della Corea del Nord. Il processo è avvenuto in assoluta segretezza, come è consuetudine nel paese.

Laura Ling, circa sei mesi fa, ha realizzato un reportage nelle carceri americane soffermandosi, in particolare, sul programma di reinserimento di tre detenuti in libertà vigilata nel carcere di Cocoran in California. Nell’inchiesta in due puntate (la seconda in onda martedì 23 giugno alle ore 23 sempre su Current), Laura Ling ha affiancato con la telecamera un periodo del difficile reinserimento nella società di Selena, Justin e Lucio continuamente divisi tra la volontà di ricominciare una nuova vita all’insegna della legalità e le loro "tentazioni criminali". "La prigione è una fabbrica che trasforma gli uomini in animali. Le probabilità che uno esca peggiore di quando c’è entrato sono altissime."

Laura apre la sua inchiesta citando Edward Bunker, attore, scrittore, sceneggiatore statunitense con un passato da criminale, annoverato oggi tra i più importanti autori crime-noir e scomparso a Los Angeles nel 2005. Negli Stati Uniti i detenuti sono più di 2 milioni. Di questi, 3 su 5, una volta usciti dal carcere, tornano a delinquere dopo poco tempo.

Nella maggior parte dei casi, una volta scontata la pena, gli ex-detenuti non riescono a reintegrarsi nel tessuto sociale, non hanno una casa, non hanno soldi e in pochi sono disposti a dare lavoro a qualcuno con la fedina penale sporca. Non solo: la vita fuori dal carcere è veloce e frenetica e con queste premesse le tentazioni di tornare a frequentare le vecchie amicizie e delinquere ancora una volta diventano altissime.

Al termine della prima parte del reportage americano firmato da Laura Ling, Davide Scalenghe presenta l’approfondimento Vanguard realizzato in Italia. Le telecamere di Current sono entrate nel carcere di San Vittore di Milano, per raccontare la storia di Angelo e Maruska, due dei 54.604 detenuti italiani che seguono un programma di reinserimento, per scoprire se anche in Italia - come diceva Edward Bunker - una volta usciti di prigione ci si debba preparare ad una vita anche peggiore.

Laura Ling, 32 anni, nata in California da una famiglia di origini cinesi, si è costruita una carriera nel giornalismo alternativo perché crede che la sua generazione sia alla ricerca di qualcosa di nuovo e più autentico. Tra i reportage più significativi che Laura ha prodotto ci sono Undercover in Myanmar, sorprendente viaggio nei paesi più isolati del mondo e Toxic Villages dove Laura ha seguito la traccia dei rifiuti elettronici fino alle discariche di rifiuti tossici in Cina.

Laura Ling è l’attuale vicepresidente dell’unità Vanguard, la divisione giornalistica del network Current che si occupa di questioni globali considerate significative per un pubblico giovane. Ling è anche corrispondente per Current Tv. Ha raccontato storie come l’epidemia d’influenza dei polli in Asia, lo sfruttamento di schiavi nella foresta amazzonica in Brasile, l’esplosione dell’industria del sesso in Cina e le piantagioni di marijuana nelle foreste della California.

Prima di iniziare a lavorare per Current nel febbraio del 2005, Ling era producer per Channel One news e con loro ha realizzato reportage da più di venti paesi diversi. Dalla Corea del Nord all’Iran dei giovani iraniani underground, e ha intervistato i leader dell’esercito dello stato di Wa in Myanmar - una delle più grandi organizzazioni armate che controllano il traffico di droga. Ling ha scritto "breaking it down", una serie di documentari trasmessi su Mtv tra il 1999 e il 2001. I suoi lavori sono stati trasmessi anche da Nighline su Abc, da Nbc, Pbs e da Warner Bros.

Gran Bretagna: 5 giorni di caccia a evasa, nascosta in carcere

 

Ansa, 15 giugno 2009

 

Si pensava che fosse fuggita dal carcere, e per cinque giorni la polizia l’ha cercata in ogni dove. Ma in verità era molto più vicina di quanto si pensasse: nel carcere stesso.

Aishatu Ishaku, una nigeriana di 35 anni nata in Russia, è stata trovata in una specie di soppalco, all’interno del centro educativo dell’istituto di pena. Subito dopo essersi accorti della sua assenza, venerdì scorso, i poliziotti hanno fatto partire una caccia all’uomo, con tanto di elicottero. La sua foto segnaletica è stata distribuita nei porti e negli aeroporti. Ma della donna, che doveva scontare una condanna per frode, non c’era nessuna traccia.

Tra l’altro, la sua evasione era la prima dopo 12 anni, nel carcere di Holloway (a Londra). Alla fine, l’amara sorpresa, con tanto di comunicato stampa del ministero della Giustizia inglese: la prigioniera era stata trovata nell’istituto stesso. Nei cinque giorni, si era nutrita con acqua e cibo di cui aveva fatto ampia scorta. Il carcere, intanto, ha fatto partire un’indagine interna per capire come sia potuto accadere qualcosa del genere.

 

 

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