Rassegna stampa 13 giugno

 

Giustizia: "lontano dagli affetti", una storie di ordinaria galera

di Fiorentina Barbieri (Difensore civico dei detenuti per l'Associazione Antigone)

 

www.linkontro.info, 13 giugno 2009

 

Lui ha quasi 61 anni, è attualmente detenuto in un grande carcere del Centro Italia a causa di un arresto per truffe risalenti a diversi anni fa. Appare una persona mite e comprensiva, a detta di tutti un detenuto modello.

Lei ne ha 32 di anni, vive in un’importante città dell’estremo Nord Est d’Italia, ha dovuto lasciare il lavoro che aveva all’estero e ora non ha un lavoro fisso, né soldi per pagarsi il lungo viaggio per venire a visitarlo: finora ha potuto una sola volta, dopo tanti mesi, e ogni volta lo trova cambiato, più stanco e sofferente e ogni volta separarsi è odioso.

Sono sposati da 11 anni, ma stanno insieme da 16 e sono molto legati uno all’altra, hanno vissuto sempre uniti, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, anche quando, hanno lavorato, insieme e per vari anni, in uno stato dell’Est europeo.

Con un grosso sacrificio economico lei ha dovuto attivare la linea telefonica domestica perché da un cellulare in carcere non si può essere chiamati, ma per molti mesi, fino a quando il contratto non è stato attivo, il carcere non autorizzava le telefonate. Così, spesso, sono separati del tutto, non possono parlarsi. Lei gli scrive quasi tutti i giorni, ma poi si attiva per lui in ogni modo. Non chiede clemenza, ma solo di potergli stare vicino, nelle condizioni economiche di chi non ha (quasi) nulla: va bene la pena, va bene il carcere, anche per storie lontane e ormai passate, ma perché laggiù? Perché non vicino a casa? Alla fine, però, ogni volta lei si sente impotente e ansiosa, anche perché è in cura farmacologica per attacchi di panico e depressione, e specie di notte ha incubi che le levano le forze. La lontananza è durissima.

Lui è molto cambiato negli ultimi anni: ha spesso momenti di disperazione, teme per lei e soprattutto soffre di disturbi asmatici che si aggravano con il caldo e con l’inquinamento della grande città. In gennaio ha fatto domanda di trasferimento lassù, al Nord, fornendo la documentazione richiesta.

A maggio ha saputo che c’era un’udienza in Tribunale, per una (auspicata) diminuzione della pena. Sperava di poterla raggiungere, almeno per qualche giorno. Ha fatto istanza, ma no: era solo una camera di consiglio, la sua presenza non era richiesta. Come sarebbe semplice, se solo fosse applicato il regolamento penitenziario: i detenuti sono assegnati in istituti situati "nell’ambito della regione di residenza", e se proprio non è possibile (come capita in questi tempi di sovraffollamento) "in località prossima".

Giustizia: il Ministero blocca i permessi dalla "Casa di Lavoro"

 

La Gazzetta di Modena, 13 giugno 2009

 

"Casa di Lavoro? No, ora la struttura di Saliceta è un vero e proprio carcere visto che noi internati non possiamo più uscire per lavorare. Il sovraffollamento qui dentro ha raggiunto livelli allarmanti, anche sotto il profilo sanitario".

È il grido d’allarme lanciato dagli internati che in un lungo documento inviato ai magistrati e al presidente Napolitano, parlano di situazione insostenibile. Oggi a Saliceta gli "ospiti", se così vogliamo chiamarli, sono 104 quando il massimo previsto è di 60. Il fabbricato che ospita gli ex detenuti sottoposti alla misura di sicurezza è quello costruito due secoli fa dal duca. Ai primi dell’800 Francesco IV fece costruire un centro di detenzione "per oziosi e vagabondi".

Oggi gli internati vivono come allora in camerate con dieci letti, il bagno alla turca e i muri che distillano umidità, con tutte le conseguenze del caso. Il punto di rottura, per una struttura destinata al reinserimento lavorativo e sociale, è arrivato pochi mesi fa quando gli ispettori del Ministero della Giustizia hanno capovolto i criteri di gestione: niente uscite esterne, niente contatti con le famiglie, niente possibilità di lavoro.

"In effetti - ammette sconfortata la direttrice della Casa di Lavoro, Federica Dallari - moltissimi qui dentro mi hanno chiesto di tornare in carcere". La polemica degli internati è immediatamente arrivata anche ai piani alti del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che gestisce tutti i reclusori italiani; e ieri un’ispezione è arrivata a Modena per capire cosa succede. I numeri parlano da soli. Quel che è peggio è che la ragione su cui si fonda una struttura come quella viene a cadere. La casa di Saliceta è unica in Italia e ha una sezione staccata a Castelfranco Emilia, dove vige un regime di detenzione attenuata; eccettuate due piccole sezioni a Favignana e in Sardegna non esistono altri posti dove il migliaio di condannati alle misure di sicurezza possa trovar posto.

È vero che provvedimenti come questi non esistono nel resto d’Europa, ma comunque nel nostro ordinamento la Casa di Lavoro accoglie detenuti a fine pena che, dopo adeguati percorsi, cominciano a lavorare con continuità fino a che non sono in grado di mantenersi: nel frattempo vengono sorvegliati e seguiti dalla pubblica sicurezza e dai servizi sociali.

Ora tutto questo meccanismo di rotazione di ex reclusi, in grande maggioranza in arrivo da Campania e grandi città, è stato bloccato da un provvedimento amministrativo di cui nessuno conosce la ragione. C’è chi ipotizza una punizione collettiva dopo l’omicidio di Pescara di due anni fa, l’unico caso in cui un internato in permesso da Saliceta ha compiuto un reato così grave. Ma da Roma non ci sono spiegazioni ufficiali.

Giustizia: Sappe; emergenza-carceri, Governo mandi l’Esercito

 

Il Velino, 13 giugno 2009

 

La segreteria del Sappe, sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, ritiene che sia giunto il momento in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, così come ha fatto per altre emergenze verificatesi nel Paese, si interessi personalmente della più grande crisi che ha investito il sistema carcerario degli ultimi 30 anni.

"La situazione è preoccupante - afferma il segretario nazionale del Sappe Federico Pilagatti - poiché il sovraffollamento dei detenuti aumenta in maniera insostenibile (oltre 63.000 di cui quasi 4.200 in Puglia, a fronte di 2.200 posti disponibili) mentre diventa sempre più difficile gestire le carceri anche per la fatiscenza delle strutture penitenziarie, e per la cronica carenza degli organici della Polizia Penitenziaria. È incredibile che mentre vengono violate leggi e diritti che offendono la dignità umana, le istituzioni e mass-media tacciono".

Il Sappe ritiene che sia giunto il momento in cui anche il ministro della Giustizia Alfano ed il Commissario straordinario per le Carceri Ionta, (che in questi mesi hanno proposto di tutto e di più a partire dalla privatizzazione delle carceri, alla costruzione di nuovi penitenziari o a folkloristiche idee quali le carceri galleggianti, tutte misure che hanno bisogno di tanti soldi e tempi medio-lunghi) lavorino in maniera concreta sull’attualità affinché si eviti che la situazione degeneri con risvolti pericolosi all’interno ed all’esterno delle carceri.

"Il Sappe - spiega il suo segretario generale Pilagatti - ritiene che allo stato sia impensabile cercare di reperire altri posti ove ospitare i detenuti, considerata la grave carenza di organico in cui versa la Polizia Penitenziaria che in questi ultimi mesi è stata sottoposta ad uno stress lavorativo che incomincia a mostrare le prime conseguenze, con molti lavoratori penitenziari che non c’è la fanno più a sostenere ritmi incessanti, costretti finanche a rinunciare a riposi e ferie".

"In questa situazione di grave emergenza - dichiara Federico Pilagatti - c’è bisogno di una risposta chiara e forte invece di chiacchiere e parole in libertà, per cui il Sappe chiede al Governo un atto concreto che autorizzi l’impiego immediato di almeno 4.000 militari (di cui almeno 250 in Puglia) da utilizzare sui muri di cinta delle carceri, o in servizi di vigilanza all’esterno dei penitenziari al fine ridare ossigeno al personale di Polizia Penitenziaria stremato, nonché rinforzare le sezioni detentive che stanno per esplodere per l’alto numero di detenuti (90 o anche 100)".

"L’impiego di militari nelle carceri - spiega Pilagatti - libererebbe poi le risorse umane necessarie per aprire alcune strutture penitenziarie dismesse o mai aperte, dando così anche uno sfogo ad una situazione di sovraffollamento di detenuti ormai fuori controllo e con un emergenza sanitaria preoccupante".

"Il Sappe - conclude Pilagatti - ritiene che se c’è la volontà di affrontare in concreto la grave situazione carceraria, questo sia il primo provvedimento che il governo deve adottare con la massima urgenza, poiché l’estate è cominciata è già si avvertono le avvisaglie (gravi tensioni, aggressioni, proteste, suicidi, possibili epidemie, etc.) di tutto quello che potrebbe accadere con conseguenze nefaste non solo per gli operatori penitenziari, ma anche per l’ordine e la sicurezza pubblica".

Giustizia: Cgil; le "fantasie informatiche" di Alfano e Brunetta

 

Comunicato stampa, 13 giugno 2009

 

Apprendiamo che il Ministro Alfano e il Ministro Brunetta hanno annunciato, in una conferenza stampa, la digitalizzazione del sistema giustizia entro il 2011. Proprio 20 giorni fa abbiamo chiesto un incontro per parlare dell’informatica nel Ministero della Giustizia, visto che in alcuni uffici, a causa dei tagli alle risorse previsti dal Governo, non si riesce più a far fronte alle emergenze relative all’assistenza tecnica.

L’assistenza è stata da tempo esternalizzata e molti lavoratori delle ditte sono stati licenziati o rischiano a breve il proprio posto di lavoro. A causa dell’esaurimento delle risorse economiche, non si può neanche assicurare la sopravvivenza dei progetti pilota del Processo Civile telematico e penale. A fronte di questa situazione i ministri suddetti, allegramente e con molta fantasia, parlano di digitalizzazione di tutto il sistema.

La situazione reale è stata messe in evidenza durante le numerose "Giornate per la Giustizia" tenutesi su tutto il territorio nazionale, in cui per la prima volta tutti gli operatori, OO.SS. del personale, Anm e rappresentanti degli Avvocati, hanno discusso insieme presentando delle proposte per migliorare il servizio. Se il Ministro, sempre invitato, non si fosse sottratto al confronto, avrebbe più cognizione della realtà e avrebbe potuto dare risposte concrete.

 

Fp-Cgil Polizia Penitenziaria

Giustizia: pescatori di frodo, scambiati per terroristi e arrestati

 

www.gazzettino.it, 13 giugno 2009

 

Avevano a casa dell’esplosivo che veniva usato per le battute di pesca di frodo, vennero scambiati per terroristi, indicati come una pericolosa cellula di Al Qaeda, arrestati e detenuti per quasi due anni. Ora, per due egiziani, arriva però il risarcimento dello stato per "ingiusta detenzione": 280mila euro. Un terzo egiziano è in attesa di una analoga sentenza.

Nessuna connivenza con ambienti dell’estremismo islamico, né prove che potessero giustificare la detenzione in carcere di tre presunti terroristi egiziani arrestati ad Anzio nel 2002 e assolti in via definitiva nel 2005 da tutte le accuse formulate dalla Procura di Roma, che in realtà erano pescatori di frodo che detenevano esplosivo. Per questo motivo i giudici della IV sezione penale della Corte d’Appello di Roma hanno disposto il risarcimento per ingiusta detenzione (quasi due anni di carcere) in favore di El Gammal Ali Salah Abdel Fattah e Shalabej Magdi Mohamed Ahmed, per oltre 280mila euro.

Insomma un errore giudiziario che potrebbe presto aumentare, non appena verrà preso in esame il ricorso presentato dal terzo egiziano sotto accusa ingiustamente, El Zahed Mohamed Khaled Mohamed. Secondo i giudici, "non era stata fornita alcuna dimostrazione della costituzione a Roma o altrove di un gruppo eversivo di cui avrebbero fatto parte gli imputati e che non vi era traccia di una qualsiasi attività eversiva riconducibile alla ipotetica organizzazione". Shalabej, 55 anni, El Gammal, 50, e Mohamed El Zahed, 41, erano stati condannati, in appello, a cinque anni per detenzione di circa un chilo e mezzo di tritolo, ma era stata esclusa l’ipotesi del terrorismo: erano solo pescatori di frodo.

La Corte di Cassazione il 7 giugno 2005 aveva prosciolto i tre da tutte le accuse. Nell’ordinanza firmata dal presidente Guido Catenacci, si quantifica il danno da risarcire a El Gammal, attraverso la "riparazione giornaliera in euro 240" da moltiplicare "per il periodo di carcerazione pari a giorni 574". L’accusa di terrorismo, continuano i giudici "non può essere valorizzata neppure al limitato fine di individuare un comportamento, anche solo gravemente colposo, che possa essersi posto come fattore condizionante o concorrente del convincimento, sia pure errato, dell’autorità giudiziaria nel momento dell’adozione e del mantenimento del provvedimento restrittivo della libertà personale, a seguito del rinvenimento, peraltro dopo oltre un anno, del materiale più volte ricordato, sul presupposto di una connessione di esso con quella non provata connivenza".

"La decisione dei giudici - ha spiegato l’avvocato Giovanni Destito, difensore di El Shalabej - accoglie un nostro ricorso e restituisce, in qualche modo, un po’ d’onore al mio assistito, che venne privato della libertà senza alcuna ragione e per chissà quali trame". Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici accreditarono pesanti sospetti di una montatura investigativa da parte dei servizi segreti e dei carabinieri.

L’avvocato Carlo Corbucci, difensore di El Gammal, dagli atti del processo ha ricavato il libro "Il terrorismo islamico in Italia: realtà e finzione".

Giustizia: torture a Bolzaneto; vittime chiedono pignoramento

di Massimo Calandri

 

La Repubblica, 13 giugno 2009

 

Le vittime della caserma di Bolzaneto chiedono il pignoramento dei beni dei loro "torturatori", che nonostante la sentenza di condanna si rifiutano di risarcire i danni. A nove anni dai fatti di Genova e dopo le scuse ufficiali dello Stato, nessuno dei colpevoli ha ancora pagato. Non il ministero dell’Interno, non quello di Giustizia.

Nemmeno gli agenti, le guardie carcerarie, i medici personalmente responsabili dei soprusi e delle violenze nella prigione del G8. Penalmente, la prescrizione ha già cancellato i reati. Ma undici mesi fa il tribunale del capoluogo ligure aveva fissato in due milioni di euro la provvisionale da versare - subito - a circa duecento no-global.

Un anticipo sulla somma complessiva da definire civilmente. A gennaio l’Avvocatura dello Stato aveva appellato la decisione, chiedendo ai giudici la sospensione del risarcimento: la risposta non arriverà prima di questo autunno. Nel frattempo i condannati avrebbero comunque dovuto mettere mano al portafogli, o almeno contattare formalmente le vittime. Invece, nulla. Due volte umiliati da questo silenzio, i duecento e passa di Bolzaneto hanno avviato attraverso i loro avvocati le esecuzioni civili. Chiedono il pignoramento dei beni dei ministeri fino al raggiungimento del valore dovuto: scrivanie, computer, persino "volanti" o furgoni per il trasporto dei detenuti, compresi eventuali depositi bancari presso la Tesoreria. Renato Delucchi, presidente della terza sezione, riconoscendo l’esistenza di un "campo" aveva ammesso la sconfitta della giustizia italiana. Ma nel luglio passato il tribunale era stato costretto ad applicare le leggi italiane a disposizione - che non disciplinano il reato di tortura e aveva escluso il dolo e l’aggravante dei "futili motivi": condanne per 23 anni e 9 mesi, più il risarcimento. Meno di un terzo di quanto chiesto dalla pubblica accusa.

Lo Stato italiano aveva preso le distanze da poliziotti e agenti di custodia: sostenendo che in quei giorni del G8 era cessato il "nesso organico" tra le forze dell’ordine e il ministero di appartenenza, Viminale e Ministero di Giustizia si erano rifiutati di essere considerati responsabili in solido, proprio perché i loro uomini non si erano comportati come "servitori dello Stato".

Una tesi però rifiutata dalla corte, che aveva presentato il conto anche ai ministeri. All’inizio di quest’anno, tutti i protagonisti del dibattimento hanno fatto appello alla sentenza. Soprattutto i pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati, che nella loro richiesta hanno sottolineato la matrice "politica" della barbarie di Bolzaneto, denunciando che le "azioni illegali" delle forze dell’ordine erano "dirette al disprezzo, all’umiliazione e alla vessazione di queste persone proprio per la loro appartenenza ideologica". La data del nuovo processo, affidato alla seconda sezione della corte d’appello, non è ancora stata fissata. Con ogni probabilità se ne parlerà in autunno.

Giustizia: il ddl 733 sulla "sicurezza"; ecco cosa ne pensa il Csm

di Bruna Iacopino

 

www.articolo21.info, 13 giugno 2009

 

Il disegno di legge 733, già passato alla Camera, dal 23 giugno approderà nuovamente al Senato per l’approvazione definitiva. Nel frattempo però arriva anche la nuova relazione del Csm, che dopo aver espresso numerose perplessità in merito al decreto legge, varato qualche mese fa, non solo torna a sottolineare alcuni punti, ma ne evidenzia altri, di non poca problematicità. Sotteso a tutto, il rischio concreto di una vera e propria paralisi giudiziaria a causa della carenza di organico, della lentezza della macchina della giustizia e del sovraffollamento nelle carceri.

Ad, oggi, si legge nella relazione, la popolazione carceraria ha superato le 63.000 presenze giornaliere, a fronte di una capienza regolamentare di 43.201 posti. Tuttavia, il dato che va fatto emergere è che già ad oggi il 37% della popolazione carceraria è costituita da stranieri: secondo un rapporto Ismu di qualche anno fa, quasi il 10% di loro si trovava in carcere per violazione della legge Bossi-Fini, un’altra buona parte perché non avendo residenza, non poteva usufruire degli arresti domiciliari.

Dato che preoccupa non poco palazzo dei Marescialli, sia in rapporto al nuovo reato di immigrazione clandestina che in merito alla reintroduzione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale... "in ordine al quale - si legge nella relazione - deve evidenziarsi l’ovvio incremento di attività giudiziaria che discenderà da una fattispecie di frequente realizzazione."

Dunque un aggravio di lavoro per dei tribunali già sommersi da migliaia di pratiche, e dove in media un processo dura 1.210 giorni, contro i 394, della Germania, facendo scivolare il nostro paese agli ultimi posti della classifica mondiale.

Paura dell’ulteriore ingolfamento di una macchina già lenta, dunque, ma non solo... a trapelare è anche qualche dubbio in merito alla liceità della norma, su cui già in precedenza c’era stato un alt da parte dello stesso Csm, perché la detenzione amministrativa, contrariamente alle direttive europee, può essere applicata non solo in caso di resistenza a pubblico ufficiale e diniego di identificazione, ma anche qualora i tempi legati al rimpatrio dell’irregolare subiscano dei semplici "ritardi di carattere burocratico".

Per non parlare, infine, della scarsa o nulla utilità di una simile disposizione, già la normativa vigente (sottolinea il rapporto) prevedeva l’espulsione per l’immigrato irregolare; se questo non avviene (ulteriore precisazione) è "non già per carenze normative ma per difficoltà di carattere amministrativo e organizzativo."

Altro punto controverso è l’attribuzione dei casi di reato di "immigrazione clandestina" interamente ai giudici di pace, procedura definita "anomala" in quanto al giudice di pace non spettano pronunciamenti inerenti la "privazione della libertà personale".

Il rilievo principale è sicuramente legato alla sfera dei diritti: il diritto alla salute e il diritto dell’infanzia.

Come già fatto emergere da voci differenti il reato di "clandestinità" implica l’obbligatorietà della denuncia da parte di un pubblico ufficiale, quindi anche personale medico sanitario, con un grave rischio non solo per l’inalienabile diritto alla vita da parte del migrante, ma anche in prospettiva della creazione di "circuiti illegali alternativi che offrano prestazioni non più ottenibili dalle strutture pubbliche".

Per quanto concerne invece l’obbligatorietà dell’esibizione del permesso di soggiorno anche per il riconoscimento di un figlio, il Csm tira in ballo l’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge del 27 maggio 1991 n. 176 che sancisce "il diritto della persona minore di età alla propria identità personale e alla cittadinanza da riconoscersi immediatamente al momento della sua nascita".

Oltre all’immigrazione il rapporto affronta altri punti, fra cui la sezione inerente il 41 bis: fortemente criticata l’ipotesi di concentrare tutti i provvedimenti al solo Tribunale di sorveglianza di Roma, provvedimento che, oltre a comportare una mole di lavoro insostenibile per il Tribunale romano, creerebbe " una particolare esposizione personale dei magistrati ad esso addetti".

Un accenno infine alle "ronde", per le quali si rinvia ad un precedente pronunciamento, quello che aveva causato una vera e propria spaccatura all’interno dello stesso organo... da una parte i laici del Pdl che avevano espresso voto contrario, dall’altra Mancino e alcuni esponenti di Magistratura indipendente che avevano preferito astenersi, ritenendo il pronunciamento come "ingerenza in materia politica".

Giustizia: ddl sulle "intercettazioni", molti i dubbi del Quirinale

di Liana Milella

 

La Repubblica, 13 giugno 2009

 

Al Colle non andava bene un anno fa, ma non va bene neppure ora. Per via di quegli "evidenti" indizi di colpevolezza obbligatori per ottenere un ascolto e per quelle indagini contro ignoti (quasi sempre quando avviene un delitto) bloccate dall’impossibilità di mettere un telefono sotto controllo. È quello che, in una frase, sintetizza il procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, "un siluro alla sicurezza dei cittadini".

Napolitano, l’ha ripetuto spesso nelle ultime ore, non vuole essere tirato per la giacchetta. Per adesso ha detto una frase ("Prenderò la decisione che mi compete") esattamente quando il ddl stava passando dalla Camera al Senato, per evitare che gli si potesse contestare un’indebita interferenza. Ma la legge sulle intercettazioni l’ha monitorata fin dall’inizio e, per gli abituali canali diplomatici che fanno comunicare Quirinale e palazzo Chigi, non ha mancato di far sapere che il testo licenziato il 3 giugno 2008 dal consiglio dei ministri non andava bene.

Un’evidente esagerazione il tetto di dieci anni, la lista dei reati tra cui non c’era la corruzione, il blackout per la stampa (non si pubblica nulla, neppure per riassunto). Con il sottosegretario Gianni Letta il Colle fu esplicito, "cambiatela o non passa". Mesi di tira e molla, An e Lega sulle barricate, Berlusconi furioso perché il testo "si ammorbidiva".

È caduto il tetto, si è ampliata la lista, la stampa è stata ammessa almeno al riassunto (ma non delle intercettazioni fino al processo), ma nei vertici di maggioranza ecco spuntare, come contropartita imposta da Angelino Alfano e Nicolò Ghedini, i "gravi indizi di colpevolezza", che i pm ritengono sufficienti per arrestare una persona. Non basta: se il magistrato procede contro ignoti non potrà chiedere intercettazioni.

Il Csm boccia la legge. E dal Colle fanno intendere che i due articoli potrebbe celare profili di incostituzionalità perché di fatto inficiano il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Si cambia aggettivo, gli indizi da "gravi" diventano "evidenti". Ma così che cosa cambia? "Evidenti" ha lo stesso peso di "gravi". L’ultimo compromesso è sugli ignoti: i falchi della maggioranza cedono su un altro pezzetto, adesso si potranno richiedere almeno i tabulati.

Al Quirinale però non sono soddisfatti. Napolitano rende pubblica la sua continua attenzione sulla legge. Il Guardasigilli Alfano finge indifferenza e non vede l’annuncio di un rinvio alle Camere. "È una sua prerogativa" minimizza il ministro della Giustizia.

Che punta a un rush al Senato, ma non fa i conti con i dissensi nella sua maggioranza. Alla Camera un voto "coperto" dall’opposizione visto che, oltre ai 17 voti in più arrivati da sinistra, se ne aggiungerebbero almeno un’altra ventina, perché tanti sarebbero i dissidenti di An che hanno optato per il no. E al Senato il presidente della commissione Giustizia Berselli, An anche lui, annuncia che "il testo non sarà licenziato in sette giorni visto che la Camera se l’è tenuto un anno". E poi: "Partiremo dall’inizio e valuteremo anche possibili modifiche".

Decisiva sarà la moral suasion del Colle che, tra intercettazioni e Csm, negli ultimi due giorni ha visto infrangersi il suo appello per riforme condivise, ad evitare la fiducia e gli scontri. Invece sulle intercettazioni ecco fiducia, insulti in aula, giornalisti che pensano allo sciopero, toghe in rivolta. Al Csm i consiglieri vanno sull’Aventino.

Giovedì sera le dimissioni di tre consiglieri dalla commissione per gli incarichi direttivi (Berruti, Maccora, Siniscalchi) furiosi per gli insulti di Alfano al Tg2 che li accusa di nominare i capi degli uffici con "l’agenda delle correnti sotto mano". Ieri si dimette anche Riviezzo. Ma Alfano li sbeffeggia, "tanto dovevano lasciare la commissione tra un mese".

Per tutta risposta altri 14 colleghi, tra togati e laici, firmano un documento in cui lo accusano di "grave scorrettezza istituzionale" e si riservano "altre e opportune iniziative". Le dimissioni in massa con un anno di anticipo? Dai capi nominati è in arrivo un documento di protesta. Napolitano, da Napoli, raccoglie elementi e si occuperà di tutto lunedì. Ma c’è chi lo descrive come veramente infuriato.

Giustizia: Caselli; il ddl di Alfano bloccherà la metà dei processi

di Alberto Gaino

 

www.antimafiaduemila.com, 13 giugno 2009

 

Gian Carlo Caselli ha chiesto all’ufficio di calcolare gli effetti del disegno di legge sulle intercettazioni approvato l’altro ieri alla Camera: "Il 50 per cento dei procedimenti torinesi si dovrà fermare. Purtroppo il dato di cui dispongo non è disaggregato per tipologia di reato. Ma, siccome le intercettazioni per mafia e terrorismo proseguiranno quasi tutte, è di evidenza che la percentuale del 50 per cento è destinata salire per tutti gli altri fascicoli aperti per omicidio, stupro, rapina, pedofilia e corruzione. I nostri governanti parlano tanto di sicurezza, il risultato è la produzione di insicurezza".

 

C’è comunque una logica?

"Senza intercettazioni i grandi delinquenti resteranno impuniti e il carcere continuerà a riempirsi di persone che hanno commesso reati molto meno gravi per cui le intercettazioni non servono".

 

Il carcere, più che un luogo di detenzione, sembra essere diventato una discarica umana…

"Intanto c’è da osservare che le strade percorse dal legislatore in questi ultimi tempi portano ad affrontare tutti i problemi di maggior e minore disagio con lo strumento penale, incluso il carcere: dalla scritte sui muri alle donne per strada, dalle violenze negli stadi all’immigrazione clandestina. Magari è così solo di facciata, in ogni caso non si danno risposte efficaci ai problemi. E così si riempie il carcere di tossicodipendenti e folli con il venir meno del welfare. Così si ritiene di poter affrontare il problema complesso della migrazione. Sappiamo trovare soltanto risposte repressive e non mirate sui casi gravi. Rispetto all’efficacia i dati sono eloquenti.

 

Quali dati?

"Nel mese di maggio sono entrate in carcere, a Torino, 513 persone che a fine mese si erano ridotte a 53. Gli arresti facoltativi erano stati 210 e 74 quelli relativi alla legge sull’immigrazione. Tutti detenuti per poche ore e giorni, per cui scatta un meccanismo complicato e costoso: immatricolazione, visita medica, colloquio psicologico, esami ematochimici ed ematologici di screening, fornitura di gavette e coperte. Si è così pensata una soluzione, affidata al prefetto Padoin: la ristrutturazione delle camere di sicurezze delle aule bunker alle Vallette, gestite dalle forze dell’ordine, insieme all’amministrazione penitenziaria, sino al processo per direttissima e al successivo ingresso in carcere di quel 10 per cento che risulta dalle statistiche".

 

Stiamo parlando di un carcere con sempre meno risorse, come accade per l’intera amministrazione pubblica. Di un carcere che potrebbe esplodere con una media di 1.650 detenuti…

"Si tratta di una struttura in cui convivono più carceri: quello "fiumana" di chi entra ed esce sovraffollando le sezioni dei nuovi giunti, la palestra. Con la soluzione delle camere di sicurezza si può limitarne l’ingresso restituendo dignità ad un ambiente di detenzione invivibile. Altra problematica acuta la condizione di chi attende il giudizio: di indeterminatezza e scarse relazioni rispetto a cui si hanno meno strumenti di intervento e dove si realizza il carcere dell’ozio che porta all’80 per cento dei gesti di autolesionismo. In queste condizioni solo la professionalità del personale di custodia e l’aiuto del volontariato evitano che il carcere esploda".

Piemonte: firmato l’accordo tra Regione e Medici Penitenziari

 

Ansa, 13 giugno 2009

 

Sanità penitenziaria: firmato l’accordo tra Regione Piemonte e sindacati sui contratti di lavoro dei medici.

Accordo raggiunto tra Regione e sindacati sull’inquadramento del personale medico che lavora nelle carceri, passato nel settembre scorso dalla dipendenza del ministero della Giustizia a quella delle Asl.

È stato infatti siglato la scorsa settimana tra l’Assessorato regionale alla tutela della salute e sanità e i rappresentanti di Fimmg, Snami e Federazione medici / Smi un protocollo d’intesa che definisce un percorso di graduale omogeneizzazione delle forme contrattuali in essere con quelle del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto della salvaguardia delle professionalità maturate in ambito penitenziario e soprattutto ai fini del mantenimento del servizio.

All’interno degli istituti di pena saranno impiegate due tipologie di medici: gli incaricati e gli addetti al servizio integrativo di assistenza sanitaria (Sias). Gli appartenenti alla prima categoria, collocati in apposito elenco nominativo ad esaurimento presso le aziende sanitarie di riferimento, dovranno svolgere attività in carcere per 18 ore settimanali, mantenendo le prerogative previste dalla legge 740 del 1970. A loro, quindi, non saranno applicabili le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale e potranno continuare a svolgere la loro professione anche al di fuori dal carcere, con un tetto massimo di 48 ore settimanali, come da direttiva dell’Unione europea. Se titolari di convenzione come medici di medicina generale potranno conservare l’attuale situazione lavorativa, con l’obbligo comunque di arrivare entro sei mesi al rispetto dei massimali stabiliti dai contratti collettivi nazionali.

Per i medici addetti al servizio integrativo di assistenza sanitaria, invece, in attesa di una definizione dei profili specifici per tale funzione in sede di contrattazione collettiva nazionale, nell’accordo siglato si stabilisce di applicare il contratto previsto per i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica), integrato con una specifica indennità di rischio e di disagio ambientale, pari a 2 euro l’ora, con valorizzazione complessiva di 30 euro l’ora.

In questa fase transitoria e per un periodo non superiore a sei mesi, inoltre, ai professionisti con incarichi concomitanti (guardia medica/118/assistenza primaria/medicina dei servizi), sarà consentita un’attività all’interno degli istituti penitenziari pari a 12 ore settimanali, con possibilità - in caso di necessità - di essere autorizzati dall’Asl a effettuare un turno ulteriore di 12 ore nell’ambito del monte-ore settimanale.

Soddisfatto del risultato raggiunto l’assessore alla tutela della salute e sanità: "L’accordo conferma l’impegno concreto del Piemonte nel processo di riforma della sanità penitenziaria, con l’obiettivo di una sua piena integrazione nel Servizio sanitario regionale". Impegno che si concretizzerà anche in un ciclo di visite che l’assessore effettuerà presso tutti gli istituti penitenziari piemontesi, definito insieme all’amministrazione carceraria. Prima tappa: il Ferrante Aporti di Torino, in programma il 19 giugno.

Napoli: le "ronde" degli ex-detenuti, per la sicurezza dei turisti

 

La Repubblica, 13 giugno 2009

 

Progetto della Regione per 426 ex reclusi che diventano "operatori per la sicurezza urbana", di Cristina Zagaria.

Arrivano le ronde. Ronde per i turisti, fatte da ex detenuti. Hanno tutti una casacca gialla, un cappellino e un tesserino di riconoscimento e sono ovunque, sguinzagliati in città. Sono ex detenuti, liberi grazie all’indulto o agli arresti domiciliari, con permesso del giudice, impegnati sul territorio come "Operatori per la sicurezza turistica urbana".

A portare in strada gli ex carcerati è il progetto della Regione che si chiama "Esco Dentro", coinvolge 426 ex detenuti, sei istituti di formazione e una miriade di aziende, cooperative, società, su sette progetti differenti. Uno dei primi a partire, in questi giorni, è proprio quello rivolto ai turisti. "Sono esattamente il contrario delle ronde padane - precisa l’assessore alla Formazione della Regione, Corrado Gabriele - Sono ronde partenopee, cioè puntiamo sui soggetti più deboli e diamo loro dignità di accogliere e rappresentare la città". L’assessore previene anche le possibili polemiche. "È vero sono ex detenuti a cui affidiamo i turisti, ma hanno seguito un corso c’è sempre un tutor che li segue - attacca l’assessore - E poi chi meglio di un ex detenuto conosce i rischi della città?".

Gli operatori per la sicurezza con le casacche gialle, coordinati da "Teleservizi", sono nei punti strategici della città: Molo Beverello, Avvocata, porto, Mercato Pendino, San Lorenzo Vicaria. Sono una settantina e danno informazioni turistiche. Aiutano i gruppi ad attraversare la strada. Scortano le comitive che vogliono avventurarsi nei vicoli. L’esperienza sul campo arriva dopo 60 ore di teoria e durerà sei mesi. Ogni operatore riceve una borsa di accompagnamento di 500 euro al mese, mentre gli istituti di formazione hanno un contributo di 1000.

"È un progetto da oltre un milione di euro rivolto a soggetti svantaggiati - chiarisce Gabriele - che portiamo avanti insieme a una miriade di altri progetti per aiutare i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro. La settimana scorsa sono, per esempio, partiti i corsi di formazione per hostess e steward per le navi da crociera".

Cosa fanno gli ex detenuti del progetto "Esco Dentro"? "Sono vere e proprie scorte per i turisti" spiega Vincenzo Minopoli, della Mirea-group, uno degli istituti di vigilanza in campo. "Questi ragazzi hanno tanta voglia di fare - aggiunge Minopoli - I primi giorni c’è stato qualche problema per affiatare il gruppo e renderli meno irruenti con i turisti, ma se hanno un passato difficile, hanno anche tanta voglia di lavorare". "Noi siamo i primi, ma speriamo che altri ex detenuti possano entrare a far parte del progetto - dice Pietro Ioia, portavoce dei Don, Detenuti organizzati di Napoli - La Regione deve strapparli alla strada, deve fare prima della camorra".

 

Il Questore: le ronde non convincono, serve la polizia, non loro

 

Meglio andarci piano con l’idea delle ronde campane. Non fosse altro perché l’iniziativa, a sentire una serie di addetti ai lavori, appare più chiara nella sua natura sociale, di recupero degli ex detenuti, che non in quella funzionale di aiuto ai turisti e alla sicurezza cittadina. "Noi non abbiamo ricevuto nessuna richiesta su questo", dice subito il questore Santi Giuffrè. Dunque le forze dell’ordine non sono coinvolte.

Ed è la premessa a un giudizio che si divide in due: "È cosa giusta offrire una sponda a chi deve essere traghettato fuori da esperienze come il carcere. Non so invece quanto possa essere utile su strada gente non raccordata, senza divisa. Forse lo scopo principale è dare un lavoro agli ex detenuti e magari anche un appoggio alle guide turistiche, che possono trarne beneficio. E se questo può essere fatto con poco costo è già una cosa positiva".

Sembra voler dire un "non scherziamo" Pasquale Gentile, presidente degli albergatori napoletani: "Non conosco nel dettaglio il progetto, e quindi ho difficoltà a esprimere un giudizio. Posso solo dire che l’assistenza ai turisti è più compito delle forze dell’ordine. Insomma andrebbe affidato al presidio territoriale di queste ultime.

Diciamo che sotto l’aspetto sociale la cosa può avere anche un fine positivo, sono un po’ più scettico sulla sua utilità sul campo". Scetticismo che trapela anche dalle labbra di Maurizio Marinella, uno dei napoletani più noti all’estero grazie alle sue cravatte: "Non riesco a dare un giudizio. Posso solo dire che qui dalle nostre parti, a piazza Vittoria, non si è visto nessuno, e la zona continua a essere in queste condizioni, con turisti abbandonati a se stessi e qualche sparuta pattuglia di servizio solo la sera".

È un altro tipo di scetticismo quello che espone invece Giovanni Laino, professore a Architettura, impegnato sul territorio con l’Associazione Quartieri Spagnoli, uno dei luoghi più a rischio della città. "In linea generale - dice - questi progetti di traghettamento di disoccupati o detenuti verso una stabilizzazione del reddito sono rischiosi, anche perché quella stabilizzazione poi non si può fare, il che significa ingenerare un circuito perverso, dannoso anche sul piano della spesa pubblica.

Poi bisognerebbe sapere come avvengono le selezioni. Troppo spesso queste cose si risolvono in potere di ricatto sotto elezioni e in attività fittizie. Non avrei preconcetti sulla funzione, il tipo di utilizzo proposto può essere utile, e queste azioni di sviluppo locale che legano reddito a utilità sociale ci sono in tutta Europa. Ma noi tendiamo a farle male e a produrre situazioni in cui poi nessuno fa nulla, specie se l’intervento si rivolge a molte persone".

Assume i panni di un San Tommaso anche l’assessore cittadino al turismo Valeria Valente, anch’essa all’oscuro del progetto: "Il tipo di funzione può essere utile. Poi però tutto dipende dal tipo di formazione fatta. Se si è prodotta una qualificazione, una competenza, nulla in contrario. Ma bisogna vedere con quali modalità si è agito, come sono stati selezionati. C’è stata selezione dopo la formazione? Parliamo pur sempre di un servizio di accoglienza, che richiede gentilezza, un minino di conoscenza delle lingue, una capacità di relazionarsi al prossimo che può variare da singolo a singolo".

Porto Azzurro (Li): i detenuti vanno a lezione di prevenzione

di Gianni Gorini

 

Il Tirreno, 13 giugno 2009

 

Nell’ambito del progetto "Processi riabilitativi e prevenzione del disagio sociale nelle carceri" organizzato dal Circolo interculturale Samarcanda di Piombino e finanziato dal Cesvot, si sono svolti nella Casa di reclusione di Porto Azzurro quattro incontri del professor Luca Bresciani, docente di Diritto penitenziario dell’Università di Pisa con un gruppo di detenuti.

A due di questi incontri ha partecipato anche il professor Federico Procchi docente all’Università di Pisa e alla Scuola di formazione forense. Anche un gruppo di 50 studenti universitari del corso di Diritto penitenziario ha seguito uno di questi incontri. Gli studenti accompagnati dal dottor Pennetti, commissario della Polizia penitenziaria della Casa di reclusione di Porto Azzurro hanno potuto visitare alcune parti della struttura penitenziaria: ufficio matricola, la vecchia zona ristrutturata e destinata a laboratorio informativo, alcune celle che verranno prossimamente utilizzate per ospitare detenuti.

Il responsabile dell’Area educativa dottor Domenico Zottola nel suo saluto ha ribadito che la conoscenza dei propri diritti è di grande importanza per i detenuti ma anche per gli amministratori del carcere. Vittorio Pineschi, presidente del Circolo Samarcanda di Piombino ha ricordato tra l’altro come il rispetto dei diritti dei cittadini nella società dei "liberi" sia strettamente legato al rispetto della legalità all’interno delle strutture penitenziarie.

Negli incontri il professor Bresciani dopo un’analisi della situazione carceraria in Italia si è soffermato sul superaffollamento e le conseguenti disfunzionalità nonché sulle politiche governative indirizzate verso la costruzione di nuove carceri. Parlando dell’attuale ordinamento penitenziario ha poi sottolineato il grande cambiamento della condizione dei detenuti dopo il 1975 con la legge 354/75 e affrontato anche in risposta alle richieste di approfondimento poste dagli stessi detenuti l’applicabilità dell’indulto e dei benefici di legge alla pena dell’ergastolo, della recidiva e aggravanti che nei derivano, della condanna in contumacia e delle norme che ne stabiliscono l’applicazione e le possibilità di ricorso.

Altro argomento trattato è stata la funzione della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa alle possibilità di ricorso per il singolo detenuto condannato in un Paese d’Europa e quindi l’eventuale revisione del processo stesso. Ha affrontato anche l’articolo 3 di questa normativa in merito al trattamento umanitario della pena, al divieto di tortura nel rispetto della dignità delle persone detenute.

Il professor avvocato Federico Procchi ha nelle sue due relazioni affrontato il concetto di legalità con particolare riferimento al momento esecutivo della pena. Si è soffermato anche sulle condizioni prescritte dalla legge per accedere alle misure alternative alla detenzione in carcere, sulle formalità e requisiti per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e sulle modalità di presentazione di tali richieste.

Gli appuntamenti hanno suscitato vivo interesse sottolineato anche dal crescente aumento dei partecipanti e dai frequenti interventi dei detenuti che hanno posto molte questioni pratiche di carattere generale ai relatori dando vita ad un dibattito certamente proficuo. Particolarmente significativo è stato l’incontro tra studenti e detenuti che dopo un iniziale momento di imbarazzo hanno sviluppato un dialogo sulla vita quotidiana del carcere e le sue problematiche. Si è discusso anche della pena dell’ergastolo sulla quale si fronteggiano da sempre punti di vista differenziati. Per gli studenti è stata certamente un’esperienza molto importante per la conoscenza dell’ambiente carcerario.

Pistoia: agente assolto, non fu colpa sua se un detenuto evase

 

Il Tirreno, 13 giugno 2009

 

Assolto. Non fu assolutamente sua la responsabilità se quel giorno del marzo 2003 il giovane albanese Zadrima Sokol evase dal carcere di Santa Caterina, dove si trovava in seguito a dei furti. La decisione della seconda sezione della Corte di appello di Firenze, martedì scorso, ha restituito piena dignità a Moreno Barbonetti, 46 anni, agente di custodia alla casa circondariale di Pistoia, condannato il 23 maggio dell’anno scorso ad un mese di reclusione per aver favorito, dimenticandosi una porta aperta, l’evasione del detenuto, che poi era stato nuovamente catturato tre settimane dopo.

Quell’accusa l’aveva ferito nell’intimo, Moreno Barbonetti, un agente abituato ad ottenere i massimi punteggi di merito, uno che lo stesso direttore del carcere, testimoniando, non esitò a definire il suo "braccio destro". Uno che in tanti anni di lavoro a Santa Caterina ha insegnato un mestiere - e anche i valori che contano nella vita - a decine di detenuti. "E solo uno l’ho poi rivisto dietro le sbarre" sottolinea con soddisfazione. Per uno così, sentirsi definire negligente da quello Stato per cui ha sempre lavorato con dedizione, è stato peggio di una pugnalata.

Pistoia: "Anime buone e anime dannate"; il teatro nel carcere

di Francesca Garra

 

Il Tirreno, 13 giugno 2009

 

"Anime buone e anime dannate" è il titolo dello spettacolo messo in scena martedì pomeriggio nella palestra della casa circondariale di Santa Caterina in Brana. Nove anime buone e dannate, nove detenuti hanno recitato sul palco, spesso improvvisando, brani di Pirandello, testi scritti di loro pugno, squarci e frammenti di vita vissuta, davanti a un pubblico formato da una cinquantina di compagni e da un ristretto gruppo di rappresentanti delle istituzioni e di giornalisti.

Il progetto "Teatro in carcere", finanziato dalla Regione, è stato condotto da Gianfranco Pedullà, regista della compagnia aretina "Teatro popolare d’arte", insieme ai suoi collaboratori Francesco Rotelli, Roberto Caccavo e Marco Magistrali. Il laboratorio teatrale è iniziato a novembre ed è proseguito con non poche difficoltà, hanno riferito gli operatori, dettate soprattutto dai continui spostamenti dei detenuti, trasferiti da un carcere all’altro per problemi di sovraffollamento.

Il risultato finale è stata una sorta di prova aperta di un gruppo che comunque, alla fine, è riuscito a costituirsi e a misurarsi salendo sul palcoscenico. La fatica di recitare con una lingua diversa da quella del paese di origine è emersa immediatamente nel primo monologo alla luna di Benhadir Issan. Ma i nove, tutti vestiti di bianco, sono riusciti lo stesso a divertire e a coinvolgere il pubblico soprattutto con la gestualità. Ne è stato un esempio la storia dell’orrore sulla villa stregata della vedova Munciatti nella zona del Piestro.

Il racconto, scritto e interpretato dal detenuto Claudio Grillo e sottolineato parola per parola dal toscano Daniele Gelli con comici gesti scaramantici, ha fatto scoppiare di risate i compagni di carcere. I detenuti raccontano brevi storie a metà tra realtà e sogno, tra incubi e voglia di leggerezza, dove la luna (uno dei testi messi in scena è stato appunto "Il mal di luna" di Luigi Pirandello) o il fiume dei pensieri diventano i colpevoli istigatori della follia dell’uomo e di ogni sciagura.

Su tutto ha prevalso la voglia di esprimersi, di liberarsi e di divertirsi, anche tra le file del pubblico, assistendo in certi momenti a un coinvolgimento degli spettatori simile a quello provocato una volta dai Living Theatre. E così, ad esempio, mentre il maghrebino Faouzi, soprannominato "Nafta" per semplificare, presentava la sua storia in piedi da solo sul palco dicendo: "Io sono un uomo semplice, non possiedo niente...", qualcuno nel buio della platea ha dato il suo contributo gridando in risposta il consiglio: "Vai a rubare!".

"Non abbiamo altro che questo - dice Giuseppe Reggina, catanese di 22 anni - È l’unica attività che ci è permessa per uscire dalla cella". "Il problema più grosso è riuscire a creare una memoria e una cittadinanza di questi laboratori nel carcere - ha spiegato il regista Pedullà - Questo è un porto di mare. Siamo riusciti adesso a creare un gruppo. Speriamo di poter continuare a lavorare in futuro per costruire qualcosa che sia per i ragazzi sempre più radicato".

Padova: alla Rai "La noce del Santo", il dolce fatto dai detenuti

 

www.padovanews.it, 13 giugno 2009

 

La presentazione de "La Noce del Santo" in carcere La festa di sant’Antonio lascerà le sue tracce anche sulle testate televisive nazionali. Sabato 13 giugno infatti qualche minuto prima della mezzanotte Tg2 Mizar, rubrica culturale del Tg2, sarà dedicata al nuovo dolce a lui ispirato, "La Noce del Santo".

La nuova specialità, che va ad aggiungersi agli ormai celeberrimi panettoni lodati dal gastronauta Davide Paolini e dal presidente di Papillon Paolo Massobrio, alle colombe insignite dall’Accademia italiana della cucina, ai biscotti e ai dolci tipici, è stata realizzata nel carcere di Padova dai detenuti assunti dal Consorzio Sociale Rebus.

È frutto di un’accurata ricerca storica sulle materie prime e i procedimenti in uso nel Duecento: le noci, le mandorle, le nocciole e il miele, prodotti tipici di un’economia silvo-pastorale ancora in uso ai tempi del Santo; e in aggiunta, la farina integrale di frumento, frutto invece della nuova produzione di tipo agrario che prendeva piede proprio in quei decenni.

Anche la radio tratterà del nuovo dolce che va ad inaugurare la linea di "I dolci di Antonio", seconda in ordine cronologico dopo "I dolci di Giotto". La trasmissione Oggi2000 su Radio Uno Rai, che va in onda la domenica prima e dopo l’Angelus del Papa da San Pietro, domenica 14 giugno trasmetterà pochi minuti prima delle 12 un’intervista a Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus, in cui si racconteranno le peculiarità del nuovo dolce.

Da notare che "La noce del Santo" rappresenta una possibilità - per così dire - di sdebitarsi con il Santo senza nome da parte dei detenuti pasticceri. Un anno fa infatti, precisamente il 9 e 10 giugno 2008, nella casa circondariale e nella casa di reclusione entrano per la prima volta le reliquie di Sant’Antonio. "Un avvenimento che ha lasciato un segno indelebile", ha raccontato il rettore della Basilica del Santo, padre Enzo Poiana, "avvenimento imprevisto e inaspettato che attraverso la preghiera e la devozione sincera di tanti tra detenuti, agenti di polizia penitenziaria e operatori ha portato molti frutti, tra cui il cambiamento del cuore di alcuni. Un fatto accaduto lontano dai riflettori della ribalta, ma in un clima di rispetto e di discrezione da parte di tutti, anche di persone di religioni diverse".

Immigrazione: sulla mina-stranieri, troppi slogan e poche idee

di Alberto Alesina

 

Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2009

 

In un periodo di forte recessione con disoccupazione in aumento, ci si poteva aspettare una vittoria della sinistra, teoricamente più attenta alle esigenze dei più poveri e dei disoccupati. Invece le elezioni europee di domenica scorsa le hanno vinte le destre, in qualche caso xenofobe. In Italia ha vinto più la Lega che il Popolo della libertà, per non parlare del Partito democratico.

L’interpretazione è chiara: gli europei si sentono abbastanza tranquilli per quanto riguarda la crisi perché protetti dà un wel-fare state già generoso (altrove meglio che in Italia) mentre ciò di cui sono veramente preoccupati è l’immigrazione. Finché il centrosinistra europeo non dimostrerà di avere qualche idea concreta su come affrontare questo problema, o almeno di riconoscerlo come tale, è destinato a un continuo declino.

Ma non è solo per il futuro della sinistra che non si può più aspettare a comprendere e affrontare il fenomeno immigrazione e il fatto che l’Europa, Italia compresa, sta diventando sempre più multietnica. Non possiamo lasciare che il problema sia trattato a slogan: da una parte rozze chiusure, dall’altra una Chiesa cattolica che aprirebbe le porte a tutti. Anche se comprensibile da un punto di vista morale, ciò è impossibile in pratica, dato che vi sono 700 milioni di africani potenziali migranti a poche miglia dalle nostre coste.

Bisogna partire dai dati e raccoglierne altri. Gli immigrati legali in Italia producono la loro fetta di reddito nazionale in misura più che proporzionale al loro numero. Molti di loro sono al Nord, e nonostante le grida della Lega aiutano l’economia del Centro Nord che da anni è vicina alla piena occupazione, e in cui molti lavori non sarebbero svolti comunque dagli italiani. Fra l’altro, in anni recenti i salari degli immigrati sono scesi molto di più della media.

È inutile che ci si illuda, come fa la sinistra, che solo per il fatto che una persona diventi italiana, francese o olandese si assimili immediatamente e che l’idea di "stato-nazione" prevalga come per magia. Difficoltà di rapporti tra gruppi etnici continueranno a lungo, come dimostra la storia degli Stati Uniti, dove tutti si sentono americani ma anche, almeno in parte, italiani, irlandesi, latinoamericani, cinesi, neri. I paesi europei sono storicamente lontani dal Melting Pot, ma saranno sempre più multietnici e in parte già lo sono.

Qualche tempo fa la Lega propose classi differenziate per immigrati, per facilitarne l’apprendimento dell’italiano. È una buona idea? Non lo so, ma so che la risposta dovrebbe venire da studi e da esperimenti in cui alcuni bambini vengano messi in classi differenziate e altri no, per poi valutare i risultati. Così si studia un problema sociale e così si trovano politiche adeguate. Invece il dibattito procede a colpi di slogan. Da una parte (sinistra e Chiesa) un’alzata di scudi preconcetta come se questa fosse una proposta necessariamente discriminatoria. Dall’altra posizioni rozze che finiscono con l’alimentare i sospetti.

Spesso l’immigrazione clandestina e quella legale sono mescolate in un unico discorso, come si trattasse in fondo dello stesso fenomeno. Non lo sono. Politiche, anche vigorose, di eliminazione dell’immigrazione illegale sono perfettamente compatibili con politiche di apertura all’immigrazione legale in funzione delle necessità del mercato del lavoro, in un paese, fra l’altro dall’andamento demografico assai avverso. Sappiamo quale tipo e quanti immigranti il nostro mercato del lavoro può assorbire? Studiamolo.

Le elezioni europee confermano ciò che da tempo si sospettava. Il problema dell’immigrazione in Europa rischia di esplodere se le forze più ragionevoli di centrodestra e centrosinistra non lo portano al centro delle loro analisi e di proposte concrete e realistiche.

Droghe: nel Veneto 10 mln di euro, in 3 anni, per la prevenzione

 

Redattore Sociale - Dire, 13 giugno 2009

 

Il fondo servirà a finanziare progetti che dovranno rispondere a criteri ben precisi e più mirati rispetto al passato, in un’ottica di rete e sinergia tra tutti i soggetti coinvolti.

Riparte da un Fondo di 10 milioni di euro per i prossimi tre anni la lotta alle droghe della regione del Veneto. Il finanziamento, attraverso cui si tenta una svolta nelle iniziative contro le dipendenze, servirà a finanziare progetti che dovranno rispondere a criteri ben precisi e più mirati rispetto al passato, in un’ottica di rete e sinergia tra tutti i soggetti coinvolti.

"I progetti inseriti nel precedente Fondo regionale hanno affermato proposte positive e importanti - sottolinea l’assessore veneto alle Politiche sociali, Stefano Valdegamberi -, tuttavia si può fare ancora di più e continuare ulteriormente nella lotta". L’obiettivo da oggi in poi sarà dunque di finanziare progetti realmente efficaci e di area vasta, che siano inseriti e rispondenti a una logica di sistema: "Tutti i soggetti che operano nel settore, dalle aziende Ulss ai comuni, alle province, alle scuole, al privato sociale, alle famiglie, alle associazioni, dovranno essere coinvolti in modo coordinato e continuativo - incalza l’assessore -. Solo in questo modo si potrà ottenere un valore aggiunto e un effetto sociale, culturale, operativo moltiplicatore delle azioni di prevenzione messe in atto". Non ci sarà più spazio, dunque, a tanti progetti isolati e senza coordinamento. Il bando per partecipare sarà aperto a breve.

L’inversione di rotta della regione - unica in Italia secondo Valdegamberi ad aver mantenuto questa voce specifica del fondo - è stata presentata oggi davanti ai membri del Rotary club della provincia di Vicenza, che a loro volta hanno anticipato le linee di un progetto dal titolo "Drive - Guidando le emozioni" che propone percorsi di prevenzione al consumo di sostanze e in particolare dell’alcol tra i giovani vicentini. Il progetto si basa su tre percorsi fondamentali: il primo punta all’educazione dei genitori e degli allievi delle seconde e terze superiori, con percorsi di abilità sociale. In secondo luogo si vogliono promuovere interventi rivolti ai guidatori di veicoli a motore, alle autoscuole, ai gestori di locali e campagne informative sui rischi del consumo di alcol associato alla guida. Infine, si punta alla promozione del "guidatore designato", figura già affermata nell’Europa del nord, che punta ad affidare la guida del veicolo a chi si impegna a non fare uso di alcol.

"Il problema dell’abuso di alcol tra i nostri giovani è profondo e preoccupante - è la conclusione di Valdegamberi - e potrebbe essere un rischio di autodistruzione per queste giovani generazioni che rappresentano il nostro futuro. Lo testimoniano i risultati delle indagini nazionali diffusi dall’Istat che ha evidenziato consumi smoderati e mix alcologici paurosi in età sempre più giovane".

 

 

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