Rassegna stampa 12 giugno

 

Giustizia: per i ricchi il diritto di privacy, per i poveri la galera

di Enrico Pugliese

 

Liberazione, 12 giugno 2009

 

Una volta tanto abbiamo una legge berlusconiana che non è ad personam in senso stretto. Finalmente si tratta di un provvedimento legislativo che non protegge un solo individuo e neppure la sola mafia. Tutti coloro i quali hanno qualcosa di rilevante da nascondere alla giustizia e all’opinione pubblica possono permettersi un buon avvocato perché questa prerogativa venga garantita. Da normale cittadino da oggi mi sento molto minacciato. Si pone effettivamente un problema di sicurezza nel nostro paese. Se mi trovassi a essere vittima di una estorsione o di una minaccia (e questo può capitare a tutti) avrei un grado di protezione legale molto più modesto.

Non bisogna essere insensibili alle istanze garantiste per concordare con l’Associazione Nazionale dei Magistrati che il provvedimento di legge per il quale è stata richiesta la fiducia darà un grave colpo all’azione investigativa.

La maggioranza e i suoi giornali nel salutare questa legge vantano di proteggere in questo modo la privacy dei cittadini. E questa scoperta dei valori superiori della privacy insospettisce, non solo perché rimanda alle foto delle ragazzine seminude pubblicate dal Pais ma anche perché riguarda questioni generali di malaffare e intrecci tra criminalità e politica che sono state oggetto delle intercettazioni (e relative divulgazioni) più contestate.

La cosa è più grave del solito, peggio del lodo Alfano, legge ad personam per eccellenza. In questo caso non si tratta, infatti, solo di difendere il capo, come nel caso Mills o nel caso Letizia. Qui il silenzio deve proteggere chiunque faccia dei grossi affari sporchi.

Bisogna che tacciano - anzi che non sappiano proprio - i magistrati - e che tacciano soprattutto i giornali.
"La mafia ringrazia" titolavano ieri giustamente Liberazione in prima pagina e l'editoriale di Peppino Di Lello sul manifesto che illustrava i meccanismi volti a ritardare o sospendere o spostare altrove la decisione sulle intercettazioni e soprattutto la possibilità di uso da parte della magistratura. Per questo è ragionevole supporre che i grandi trafficanti, soprattutto se tra i loro clienti o consoci hanno politici di rilievo, la faranno franca nei traffici di stupefacenti.
La scelta è di classe. Mentre le carceri si riempiono di poveri disgraziati che, soprattutto se immigrati, vi sono rinchiusi per reati di spaccio, i loro datori di lavoro e di morte staranno tranquilli perché non si potrà usare contro di loro ciò che avranno detto per telefono. Per i piccoli, si sa, non c'è bisogno di intercettazioni, basta acchiapparli per strada.
Rispunta così il garantismo di classe della destra berlusconiana dopo che per un certo periodo era stato messo un po' da parte quando bisognava diffondere nel paese la sindrome dell'insicurezza con argomenti speciosi contro gli immigrati. E anche qui il carattere di classe dell'azione governativa è risultato lampante.
Immigrati e Rom, regolari e non, sono stati dipinti come potenziali criminali. Ogni loro garanzia è stata sospesa (fino all'indecente iniziativa delle impronte digitali per i Rom). Le superiori ragioni delle sicurezza sono state invocate per giustificare discriminazione e oppressione.
Si è introdotto il reato di clandestinità, contrabbandandolo come lo strumento per frenare i criminali stranieri (diffondendo nell'immaginario collettivo l'identità immigrato=potenziale criminale" ) e poi si è finito per tradurre questa iniziativa - che, se applicata, avrebbe riempito in maniera inverosimile le nostre patrie galere - in un'ammenda da cinquemila euro.
E' evidente che, se fossero davvero autori di reati e di crimini, gli immigrati irregolari non sarebbero dissuasi da una multa di cinquemila euro. Intendiamoci: si tratta di un mucchio di soldi per un povero disgraziato che sarà costretto a lavorare al nero di più e in condizioni di maggiore insicurezza.
Ma la cosa non ha nulla a che fare con la sicurezza. Insomma in questo, come in molti altri campi dell'azione governativa, la discriminante di classe è netta. Sicurezza per i ricchi, insicurezza per i poveri. E, ovviamente, la mafia ringrazia.

Giustizia: Comunità Papa Giovanni XXIII; abolire l’ergastolo

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

Il responsabile generale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXII, Giovanni Paolo Ramonda, è stato il primo firmatario di una lettera d’appello al presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, per sollecitare la discussione del ricorso proposto nel 2008 dagli ergastolani ostativi ai benefici per il reinserimento sociale, per denunciare che in Italia esiste una pena che non finisce veramente mai (art. 4 bis o.p.).

Ramonda, nella relazione sullo stato della Comunità ha dichiarato: "L’ergastolo ostativo è come una condanna a morte, non prevede alcun beneficio, sconto, né permesso, niente. Il detenuto non è la sua pena, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Non si tratta di evitare le pene, né di dare facili regali e neppure di fare finta che non abbiano commesso reati pesantissimi. Ma bisogna garantire senza buonismi il recupero di chi ha sbagliato. Chi è in carcere deve pagare il proprio debito, ma avere il diritto di riabilitarsi. Questo tipo di ergastolo va abolito".

La Comunità Papa Giovanni XXIII sostiene l’abolizione dell’ergastolo ostativo (art. 4 bis o.p.), affinché ogni detenuto possa avere la possibilità di dimostrare il proprio cambiamento e possa svolgere un progetto personalizzato che gli dia la possibilità di essere reinserito nella società.

Scrive il responsabile generale dell’associazione - che l’ergastolo senza benefici per il reinserimento sociale è incostituzionale, perché l’art. 27 della nostra Costituzione recita: "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato". Invece - continua - le persone condannate all’ergastolo ostativo con la motivazione di aver agevolato l’attività dell’associazione criminosa (divieto di concessione di benefici: art. 4 bis L. n. 354 del 1975), anche se hanno già scontato 20-30 anni di reclusione e hanno ampiamente dimostrato il loro cambiamento interiore di vita all’interno degli istituti carcerari, non potranno uscire mai veramente dal carcere e, dunque, non si può parlare del fine rieducativo della pena. Noi crediamo - conclude Ramonda - che la rieducazione contenga in sé il principio di reinserimento sociale della persona. Senza reinserimento non c’è rieducazione".

Giustizia: Sappe; nelle carceri sovraffollate, si rischiano rivolte

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

"Se non si interviene, con l’estate rischiamo delle rivolte incontrollabili". Donato Capece, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, lancia l’allarme e chiede al governo di intervenire dopo mesi di assoluto immobilismo.

Mentre si impone la fiducia sul decreto per le intercettazioni, le carceri italiane vivono un’emergenza drammatica. Ospitano 20mila detenuti in più e stanno scoppiando. "Nelle celle si dorme per terra, a turni, perché letti non ce ne stanno più". Ma non è tutto. L’amministrazione penitenziaria ha oscurato la sua intranet per nascondere gli aggiornamenti sulle detenzioni. E continua a non voler ricevere i sindacati degli agenti di custodia. Il prossimo 17 giugno ci sarà una mobilitazione nazionale mentre, su tutto il territorio, la polizia penitenziaria è in stato di agitazione. In diverse carceri rifiutano la mensa in segno di protesta.

Giustizia: Ugl; riforma sanità penitenziaria non porta benefici

 

Adnkronos, 12 giugno 2009

 

"Il decreto che trasferiva la Sanità penitenziaria alle Asl, a distanza di oltre un anno dall’attuazione, si è rivelato di nessuna utilità, né per i detenuti, né per il personale e, tantomeno, in termini di efficacia e di costi". Lo afferma il segretario nazionale Ugl Ministeri, Paola Saraceni, preannunciando una lettera al Governo chiedendone il ripristino delle competenze alla Giustizia. L’Ugl evidenzia come siano "oltre 500 i medici e gli infermieri interessati e che sono stati trasferiti alle Asl. Per loro ci sono solo disagi così come per la polizia penitenziaria sempre più costretta a compiti di staffetta tra istituti di pena e ospedali".

Toscana: con il "Piano carceri" 500 nuovi posti; no del Garante

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

Per la Toscana il Piano carceri prevede la realizzazione di tre padiglioni con 500 nuovi posti per i detenuti degli istituti di Firenze (200), Livorno (100) e Pisa (200): un quadro, questo, bocciato da Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze: "Bisogna rifiutare - ha detto - la logica del puro deposito dei corpi. Il Dap ci deve dire che caratteristiche avranno i nuovi padiglioni". Il Piano, è stato spiegato, prevede per Firenze Sollicciano la realizzazione di 200 nuovi posti entro il giugno del 2012, con un costo 10 milioni di euro; 100 posti invece per Livorno, entro settembre 2011 con un investimento di 7,8 mln e 200 per Pisa, entro dicembre 2012, con una spesa di 10 mln.

"Sono molto preoccupato - ha spiegato Corleone - del cosiddetto Piano carceri avanzato dal Dap per rispondere al sovraffollamento nelle carceri italiane con una prospettiva secondo la quale il governo pensa che ci saranno 90-100 mila detenuti in Italia; quindi, una cosa pazzesca. In questi anni - ha aggiunto - c’è stato tutto il tempo per affrontare il tema della ristrutturazione delle carceri, per renderli più vivibili, e della costruzione di nuovi carceri, al posto di quelli assolutamente invivibili, e in parte è stato fatto: ad esempio, a Rieti c’è un carcere nuovo, che sostituisce quello vecchio, ma attende di essere aperto. L’amministrazione penitenziaria - ha concluso - sostiene che ci sono problemi di mancanza di personale".

"Sfido il Dap e il Ministero della Giustizia a dire che a Firenze c’è bisogno di un nuovo carcere: in questo caso bisognerebbe aprire una discussione pubblica con la nuova amministrazione comunale per ragionare dove, come, quando e perché costruire la nuova struttura". Lo ha detto il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, che oggi ha duramente criticato la realizzazione di un nuovo padiglione da 200 posti nel carcere fiorentino di Sollicciano, ma non ha escluso l’apertura di un dibattito pubblico sull’ipotesi della costruzione di un nuovo carcere.

"Il Comune di Firenze - ha aggiunto Corleone, che ha anche annunciato che il 13 giugno si terrà nel Giardino degli Incontri di Sollicciano il seminario Gli spazi della pena e l’architettura del carcere - non può essere tagliato fuori da queste scelte. È una questione che porrò al nuovo sindaco. La nuova struttura dovrebbe essere un carcere giudiziario, lasciando Sollicciano come carcere penale: questo sarebbe un modo limpido di porre la questione".

"Un padiglione - ha continuato - toglierebbe spazio al campo sportivo o all’azienda agricola e peggiorerebbe ancora di più la vivibilità e il trattamento dei detenuti. Non si sa con quali criteri edilizi e architettonici sarà costruito e se sarà solo un deposito di corpi. Questo non lo accettiamo". Corleone ha anche spiegato di aver inviato una lettera a Franco Ionta, Capo del Dap, denunciando le difficili situazioni all’Opg di Montelupo e soprattutto a Sollicciano: "Ho indicato - ha detto - molte soluzioni per far diminuire le presenze nel carcere di Sollicciano, utilizzando alcune strutture in Toscana che sono semivuote: Gozzini, Empoli, Pontremoli, Massa Marittima, Gorgonà. Al 9 giugno, è stato spiegato, a Sollicciano erano presenti 934 detenuti (447 è la capienza regolamentare, 765 quella tollerabile) e il garante ha confermato che a quota 1.000 detenuti comincerà uno sciopero della fame.

"Il carcere - ha detto con un sorriso - sta facendo di tutto per non arrivare a questa cifra, probabilmente anche spostando dei detenuti". Corleone, infine, ha reso nota una lettera di risposta dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana in cui si conferma che il complesso di Santa Teresa, che ospita detenuti in semilibertà, è stato richiesto dal Comune di Firenze.

Campania: Antigone; in 1 solo giorno sono morti due detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2009

 

Due detenuti morti in un giorno nelle carceri campane, lo ha denunciato l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone Campania. Il rappresentante dell’associazione Dario Stefano Dell’Aquila ha sottolineato che le morti avvenute lunedì "evidenziano il momento di crisi che vive il sistema penitenziario".

Una delle due morti è avvenuta nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dove è deceduto V.N. 65enne di origini napoletane. Dell’Aquila ha riferito che la storia dell’internato ad Aversa "ha dell’incredibile. Gravemente malato - racconta - è stato ricoverato in una struttura sanitaria esterna, poi è rientrato in Opg per essere nuovamente ricoverato, ormai in fin di vita, solo poche ore prima della morte. Dal 2006 - conclude - si trovava in regime di proroga delle misure di sicurezza". L’altro decesso è avvenuto nel carcere di Secondigliano, dove è morto per cause naturali, un uomo di 79 anni.

Firenze: tragedia a Sollicciano, muore una detenuta di 43 anni

 

Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2009

 

Anna Nuvoloni è il nome della detenuta morta per soffocamento da cibo, ieri pomeriggio nel carcere di Sollicciano. La denuncia viene da Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti di Firenze.

Era ospite dal febbraio 2008 presso il reparto "Casa di Cura e Custodia" e sarebbe uscita per fine pena tra un mese e mezzo. Si trovava in questo reparto che è destinato normalmente per le detenute dichiarate seminferme di mente, non per una misura di sicurezza, ma per una decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Da anni chiedo che la Casa di Cura e Custodia sia abolita e comunque trasferita dal carcere di Firenze. Recentemente ho riproposto la questione al Capo del Dap, Dott. Franco Ionta, sottolineando che delle 10 ospiti solo 2 donne sono toscane, che potrebbero quindi essere affidate in misura alternativa a strutture diverse dal carcere o affidate in cura ai servizi psichiatrici territoriali. Questo lutto conferma lo stato di difficoltà della vita in carcere per i detenuti e per chi vi lavora. Mi auguro che il suicidio avvenuto 15 giorni fa e questa morte "accidentale" spingano tutti a offrire maggiore attenzione al destino del carcere ridotto a contenitore di corpi.

 

Franco Corleone

Garante dei diritti dei detenuti

del Comune di Firenze

Marsala: Buscemi (Garante); ho visitato un carcere da incubo

 

www.livesicilia.it, 12 giugno 2009

 

"Un incubo, una cosa assurda. E questo non è un atto d’accusa nei confronti del personale o del direttore del carcere che fanno quello che possono in condizioni disperate. È che, davanti a certe scene, è impossibile parlare di rieducazione". Lino Buscemi è l’occhio e l’orecchio dell’ufficio del garante siciliano per i diritti dei detenuti. Un’istituzione che conduce battaglie di civiltà per migliorare il livello dell’amministrazione penitenziaria, da quando a presiederla è stato chiamato l’onorevole Salvo Fleres.

Buscemi e la sua abituale compagna di viaggio Gloria Cammarata hanno visitato il carcere di Marsala. Ecco le impressioni tratte da un immaginario diario: "Ci sono due specie di box che fungono da sala colloqui. Mancano gli assistenti sociali. C’è una professoressa che insegna qualcosa ai detenuti, nel limite del consentito. Ci sono cinquanta detenuti e ce ne dovrebbero essere venti, non di più".

"Non è possibile svolgere alcun tipo di attività - spiega Buscemi -. Il carcere è vecchio e fatiscente. Siamo andati lì per parlare di lavoro e di reinserimento. Ci siamo sentiti quasi ridicoli al cospetto dello sfacelo che abbiamo trovato. C’è un cortile con sette celle e una sala docce. I detenuti devono spogliarsi in cella e poi andare in doccia, nudi. Nella sala colloqui non possono entrare tutti, ma venti per volta. Il direttore compie degli sforzi encomiabili.

Vorrebbe trasferire le docce in cella e adibire la sala docce per i colloqui. Però mancano i soldi, non si può fare". Il commento del dirigente è amaro: "Siamo contrari ai provvedimenti di benevolenza. Non ci sono pene accessorie perché mancano i giudici di Sorveglianza. Ci riempiamo la bocca di paroloni e di discorsi sul reinserimento. Ma alla luce di spettacoli indecenti, come quelli che verifichiamo continuamente, parlare di reinserimento suona come una beffa atroce".

Vicenza: 190 detenuti di troppo, così il carcere sta scoppiando

 

Giornale di Vicenza, 12 giugno 2009

 

La Camera penale ha preso pubblicamente posizione perché la situazione sta diventando insostenibile. Ormai si è superato di 40 unità anche il limite definito di tollerabilità fissato in 290 Al S. Pio X solo 140 agenti.

È una soglia mai raggiunta prima. Attualmente nel carcere di San Pio X ci sono 336 detenuti, gran parte dei quali stranieri, per una situazione che gli avvocati penalisti con un manifesto pubblico dal titolo "denuncia pubblica" definiscono senza giri di parole esplosiva. Siamo oltre l’emergenza, anche perché, come sottolineano il presidente della Camera penale Lino Roetta e il collega Paolo Mele senior che si occupa dell’osservatorio carcere, a fronteggiare questo alto numero di persone ci sono soltanto 141 agenti. Il paradosso è che il personale di guardia è proporzionato alle dimensioni di un penitenziario costruito per 146 detenuti. Il rischio, come sta succedendo in altre carceri, è quello delle esplosioni di rabbia e delle ribellioni violente.

Il disagio è palpabile per chi frequenta ogni giorno il S. Pio X, anche perché a causa dell’elevato numero di detenuti e della scarsità degli agenti, sono negati i colloqui tra gli operatori delle comunità terapeutiche e delle associazioni di volontariato. "Questi incontri - spiega Roetta - sono indispensabili per favorire il recupero e il futuro reinserimento sociale degli individui privati della libertà e non possiamo non denunciare questo stato di cose allarmante. Il sovraffollamento è molto pericoloso".

L’emergenza di Vicenza è uguale a quella delle altri carceri. "Con 336 detenuti - aggiunge Mele - la struttura ha 190 persone in più della capienza regolamentare. E già adesso ci sono 40 detenuti in più rispetto alle condizioni di estrema tollerabilità. Non stupisce che a livello nazionale aumentano i casi di suicidio non solo tra i detenuti, perché gli agenti sono costretti a un lavoro veramente duro". Gli avvocati della Camera penale chiedono il sollecito intervento del ministero di Giustizia, il quale "già più volte è stato sollecitato dal provveditorato degli istituti di pena veneti e dai locali sindacati di polizia penitenziaria".

I penalisti berici chiamano in causa i politici e le istituzioni cittadine affinché, per quanto di propria competenza, si facciano carico dell’emergenza, consapevoli dei pericoli "che una simile situazione può in futuro generare, non escluso in termini di ordine pubblico". Di fatto si è tornati a riproporre i numeri del quadro che c’era prima dell’indulto nell’estate 2006, quando la popolazione carceraria italiana scesa da 60 a poco più di 40 mila unità.

"Adesso nelle carceri della penisola ci sono 63 mila individui - analizza l’avv. Mele - e la polizia penitenziaria ha difficoltà a gestire numeri di questa importanza, sopportando uno stress notevole che mette a repentaglio la qualità del servizio. Ricordiamoci che la finalità costituzionale della detenzione è la rieducazione e le persone che per periodi più o meno lunghi vivono in cella devono essere trattati in maniera dignitosa. Questo adesso non avviene". Di qui la denuncia pubblica.

Belluno: Gidoni (Ln); 3,3 mln per ristrutturazione del carcere

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

È di 3,3 milioni di euro lo stanziamento deciso dal Ministero della Giustizia a favore della Casa Circondariale di Belluno. Lo rende noto il deputato della Lega Nord Franco Gidoni. Il finanziamento deciso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria servirà a completare la ristrutturazione dei reparti detentivi già avviata ma limitata a un solo reparto a causa della ridotta disponibilità di fondi a bilancio. L’importo di 3,3 mln è stato inserito nel programma ordinario di edilizia penitenziaria per l’esercizio finanziario del 2010. Restano esclusi, per ora, i soldi per la manutenzione straordinaria del muro di cinta, la sostituzione delle garitte, il rifacimento degli impianti elettrici e di sicurezza penitenziaria. La spesa prevista, in questo caso, è di 1,5 mln.

"Fa piacere - commenta Gidoni - che il Ministero della Giustizia abbia risposto, in pochissimo tempo, alla mia richiesta, avanzata su sollecitazione della direttrice della Casa Circondariale e d’intesa con il Prefetto di Belluno. Si tratta di uno stanziamento importante che servirà a risolvere, almeno in parte, i problemi del Carcere di Baldenich. Problemi di spazio, innanzitutto. Per ultimare la ristrutturazione della Casa Circondariale di Belluno - conclude - mancano all’appello 1,5 milioni di euro. Il Ministero della Giustizia, tuttavia, mi ha fatto sapere che il finanziamento arriverà non appena le risorse finanziarie lo consentiranno".

Mantova: carcere e imprese, collaborano per il reinserimento

 

La Gazzetta di Mantova, 12 giugno 2009

 

"È importante che il rapporto tra carceri ed imprese diventi il più collaborativo possibile: così imprenditori e detenuti potranno crescere e migliorarsi". Con queste parole, il segretario della Camera di commercio Enrico Marocchi presenta il progetto "Responsabilità sociale d’impresa: lavoro, carcere imprese" sottolineando da subito che "questo seminario è volto a sensibilizzare al tema dell’inserimento sociale dei detenuti nelle aziende.

Sono tre i principali obiettivi: il primo è lo sviluppare le azioni di collaborazione tra Camera di commercio e amministrazione penitenziaria per poter mettere in contatto l’offerta di lavoro dei detenuti con la domanda di occupazione delle imprese. Il secondo è l’informare le imprese sui vantaggi fiscali e contributivi previsti e accrescere a livello generale gli investimenti destinati al reinserimento sociale dei detenuti.

La coordinatrice della commissione regionale per il lavoro penitenziario Francesca Valenzi spiega che: "L’amministrazione penitenziaria ha il compito di orientare e investire sui detenuti, creare occasioni grazie a cui possano trarre qualche conoscenza in più dal periodo di reclusione. A gennaio 2009, grazie al pieno appoggio della regione, è stata inaugurata l’agenzia "Articolo ventisette", un’agenzia regionale di promozione al lavoro penitenziario".

Lavorare con il carcere deve essere vista dalle imprese come una nuova opportunità e per questo si è mobilitata anche l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, rappresentata da Valentina Langella che mette in primo piano il problema: "Sono aumentate negli ultimi anni, ma risultano ancora troppo poche le imprese che adottano politiche di responsabilità sociale a causa della scarsa informazione. Le imprese spesso non sono a conoscenza dei numerosi vantaggi derivanti dal rapporto con le carceri, queste collaborazioni devono essere inquadrate in un’ottica imprenditoriale e strategica tenendo conto delle potenzialità presenti nelle prigioni".

Trieste: proposta per apertura di laboratorio dentro il carcere

di Claudio Ernè

 

Il Piccolo, 12 giugno 2009

 

Una imprenditrice si è detta disponibile a realizzare all’interno del carcere del Coroneo un laboratorio per costruire sacche adatte ad accogliere emoderivati. Se l’iniziativa andrà in porto vi potranno lavorare 16 detenuti, divisi su due turni. Percepiranno lo stipendio contrattuale da cui l’amministrazione penitenziaria dedurrà le spese di mantenimento.

Ieri il direttore del Coroneo Enrico Sbriglia ha informato di questa iniziativa i consiglieri comunali che fanno parte della Prima commissione affari sociali. Erano in visita al penitenziario nell’ambito dalla propria attività istituzionale per verificare di persona la gravità dell’emergenza che attanaglia da mesi tutto il sistema carcerario del nostro Paese.

Da mesi tutte le carceri italiane sono sovraffollate e di fronte a una capienza massima di 160 persone, il Coroneo ne deve giocoforza ospitare ben 250. In alcune celle costruire per quattro sono rinchiusi per 20 ore al giorno dieci uomini. Alcuni dormono a terra perché non c’è più posto per inserire le brande. Il presidente della Prima Commissione Andrea Pellarini e i colleghi Roberto De Carli e Alfredo Racovelli si sono impegnati, assieme agli altri colleghi, a portare all’attenzione del Consiglio una mozione con cui il Municipio si impegna a stanziare attraverso una variazione di bilancio i cinquemila euro necessari per realizzare il sistema di aereazione del laboratorio e per l’acquisto di un "muletto" per trasportare le sacche.

"Entro quindici giorni questo provvedimento sarà in aula" ha assicurato ieri in serata il presidente Pellarini. Nel carcere la commissione ha potuto visitare la palestra, la sala riunioni, le celle singole e il braccio femminile, dove una ragazza stava festeggiando il recentissimo conseguimento del diploma di interprete. "Non abbiamo avuto contati diretti con i detenuti. Ci siamo reciprocamente salutati per evidenti ragioni" ha spiegato Roberto De Carli.

"Gran parte della nostra visita è stata occupata dall’incontro col direttore, che ha spiegato quale è la situazione del Coroneo" ha aggiunto Racovelli. Su 250 persone rinchiuse in cella, ben 51 sono in attesa di giudizio. Le statistiche dicono che almeno la metà verrà assolta. Abbiamo parlato anche del problema delle cosiddette "porte girevoli", di chi viene rinchiuso per un paio di giorni e poi rimesso in libertà. Molto deve essere cambiato a livello di legge. Il sistema è sotto pressione e potrebbe coi caldi estivi anche scoppiare" ha concluso Racovelli.

Pavia: i detenuti creano bambole di pezza per bambini malati

 

La Provincia Pavese, 12 giugno 2009

 

Ci sono bambini con disturbi visivi che fanno riabilitazione al Mondino con le bambole di pezza dai vestiti colorati. Altri, ricoverati in un reparto di ospedale, che ci giocano trascorrendo così qualche ora serena. E ancora bambini stranieri che, usando le pigotte di stoffa al posto delle parole, riescono a spiegare al medico il loro malessere.

A cucirle, sagome stilizzate di stoffa candida, sono Carluccia, Kella e Maria Luisa - volontarie dell’oratorio di Ceranova - mentre i detenuti di "Torre del Gallo" le imbottiscono. Il Kivanis distretto Italia-San Marino ne ha commissionate 2mila al carcere di Pavia, con l’aiuto della cooperativa "Il Convoglio" che opera dal 2000 all’interno di Tore del Gallo per il reinserimento sociale dei detenuti.

"È un’opportunità molto importante - spiega Iolanda Vitali, direttrice della casa circondariale pavese -. Crea un ponte tra chi sta dentro e il mondo esterno. Con uno scopo benefico, quello di aiutare i bambini costretti a stare in ospedale. Anche il carcere è un luogo in cui le persone sono costrette a stare, un luogo di grande sofferenza in cui però si incontra anche una grande solidarietà. Di progetti come questi ne servirebbero molti di più".

La richiesta di lavorare, di creare un "contatto" con l’esterno, di fare qualcosa di utile è alta tra i detenuti. Mancano però le commesse da fuori, spiega la direttrice. C’è il forno, dove tre detenuti si alternano ogni notte per preparare il pane. Ne producono per soddisfare il fabbisogno interno al carcere e lo preparano anche per i tre istituti dell’Azienda servizi alla persona (Santa Margherita, Gerolamo Emiliani e Pertusati). "Ma se ce lo richiedessero anche altre strutture potremmo potenziare la produzione" spiegano a Torre del Gallo.

E poi c’è la falegnameria, pure avviata con Il Convoglio (fondato da don Stefano Penna e oggi presieduto da Sergio Contrini). Lavora il legno ma restaura anche i mobili. E potenzialmente potrebbe avere un certo mercato sul territorio. "Noi siamo aperti alle proposte della società civile, delle istituzioni, delle imprese, delle organizzazioni di volontariato - dice Vitali -. È importante per chi sta qui dentro avere un’attività a cui dedicarsi. Anche in prospettiva, a pena scontata".

Lo dimostrano i sorrisi e l’entusiasmo dei tre detenuti che confezionano le bambole di pezza - Francesco Pistillo, 36 anni, di Andria, Mario Peli, bresciano e Pierino Marchio di Lecco - che ieri hanno potuto incontrare nella biblioteca gli "ambasciatori" del Kiwanis (il pavese Franco Gagliardini e il governatore per l’Italia Sergio Rossi) e i volontari e il presidente del Convoglio.

"Sapere che stiamo creando qualcosa di buono che poi servirà ai bambini malati ci riempie di gioia - dice Pistillo -. A noi basterebbe anche riuscire a strappargli un sorriso". "Ci sono duemila bambini malati che prenderanno in braccio queste bambole - gli fa eco con entusiasmo Mario Peli. Fare qualcosa di utile ci riempie di orgoglio, ci dà la sensazione di essere liberi, ci distrae per qualche ora dall’oppressione di stare tra queste mura".

Milano: sindacati denunciano; situazione dell’Uepe molto grave

 

Comunicato stampa, 12 giugno 2009

 

Le OO.SS., con il presente documento, intendono denunciare la grave situazione in cui versa il personale dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Milano e Lodi.

I lavoratori lamentano il venir meno delle essenziali condizioni lavorative per svolgere le ordinarie attività istituzionali. In particolare risulta ormai insostenibile la cronica carenza di organico sia nell’area di servizio sociale che nell’area amministrativa; carenza mai colmata, aggravata dai carichi di lavoro di gran lunga superiori alla media nazionale, resa ancor più complessa dai numerosi distacchi di personale, concessi dal Dap, verso altri uffici dell’Amministrazione. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, dall’area di servizio sociale sono state distaccate alcune unità anche presso il locale Prap.

Si evidenzia anche che le richieste di trasferimento del personale non rientrano soltanto in un normale turnover. Talvolta risultano essere la conseguenza del malcontento e della sofferenza dei dipendenti che non sono valorizzati nella loro professionalità oltre che non considerati per il ruolo ricoperto e in alcuni casi ostacolati da rapporti conflittuali con la Direzione.

L’indulto, per l’Uepe di Milano, si è rivelato uno strumento di normalizzazione dei carichi di lavoro, poiché questo Ufficio a differenza di altri Uepe d’Italia ha sempre mantenuto un consistente carico di lavoro. L’effetto indulto è da tempo comunque concluso, come dimostrano i dati, dove le misure alternative e le indagini, aumentano in modo esponenziale; peraltro la situazione è nota al Dap avendo il Prap stesso fornito un report al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Ionta, in occasione della sua visita a Milano.

Il personale, nello svolgimento quotidiano della proprie mansioni, deve inoltre misurarsi con i tagli di spesa consistenti che sono stati effettuati ai fondi dell’Amministrazione Penitenziaria; fondi che sono necessari per permettere l’espletamento delle funzioni istituzionali. Tali tagli hanno già messo in crisi le risorse per l’acquisto del carburante per le auto di servizio con una ricaduta sul personale al quale viene richiesto di effettuare il più possibile interventi esterni con i mezzi pubblici anticipando le somme sostenute per le spese di viaggio. Tale situazione sta ulteriormente incidendo gravemente sulla funzionalità di questo Ufficio già gravato dai problemi sopra evidenziati.

Si osserva che l’Amministrazione, da una parte richiede prestazioni professionali ottimali e dall’altra mortifica l’attività professionale in sé, nel momento in cui non fornisce gli strumenti che costituiscono "l’essenza" del lavoro dell’Ufficio. Stante la situazione sopra denunciata risultano paradossali e difficilmente realizzabili le richieste del Dap di seguito elencate:

Il Piano Esecutivo di Azione 2003 dal titolo "miglioramento della qualità del lavoro dei Cssa per quanto concerne le inchieste sociali e l’elaborazione di progetti di intervento nell’esecuzione delle misure alternative" presentato dalla Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna al Ministero della Giustizia.

Lettera circolare n. 0091537 del 2007 "attività conseguenti alla riduzione delle persone prese in carico" che suggerisce ottimale un incontro personale dell’affidato una volta alla settimana con l’affidato nei vari contesti possibili (abitazione, luogo di studio o lavoro, sede di ufficio); sufficiente un incontro quindicinale.

Il progetto in itinere sulla redazione del programma di trattamento in favore degli affidati per l’elaborazione del quale è necessaria una profonda conoscenza del soggetto nel suo contesto di vita. Il lavoro per progetti che vede il personale di servizio sociale sempre più impegnato sul territorio in un’attività di rete.

In considerazione di quanto su esposto, il personale ritiene che non si possono conciliare le esigenze della Pubblica Amministrazione, di una maggiore produttività e qualità professionale, con la carenza di strumenti e risorse indispensabili per rispondere a tali richieste. Pertanto il Personale esprime il suo profondo disagio per le difficoltà sempre maggiori di garantire i propri compiti istituzionali e per le condizioni di lavoro precarie, di rischio oltre che lesive della dignità del lavoratore.

Per tutto quanto sopra esposto il personale dell’Uepe di Milano chiede agli Organi Superiori, che leggono, di predisporre ogni intervento utile, per quanto di competenza, alla risoluzione delle problematiche a tutela dei lavoratori. In mancanza di una sollecita ed esaustiva risposta, entro la fine del mese in corso, le scriventi OO.SS. saranno costrette a proclamare lo Stato di Agitazione del personale dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Milano e Lodi.

 

Cgil Fp Milano - Cisl Fps Milano - Rdb Milano - Rsu Uepe Milano

Asti: Uil; in due tentano di evadere, il carcere è in emergenza

 

Il Velino, 12 giugno 2009

 

"Non è certamente casuale se eventi critici di una certa gravità accadono con maggiore frequenza proprio in quelle realtà dove il sindacato ha segnalato, per tempo e in tempo, gestioni discutibili o gravi deficienze operative. È certamente il caso di Asti dove nei mesi scorsi le organizzazioni sindacali hanno manifestato e protestato per chiedere, purtroppo vanamente, interventi da parte dell’amministrazione per risolvere le gravi deficienze organiche e operative. Ieri mattina un detenuto ha tentato di evadere dal tribunale di Acqui Terme e nel pomeriggio un detenuto ha tentato di soffocare l’agente in servizio, salvato dal pronto intervento di altri detenuti".

Con queste parole Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa Penitenziari ha iniziato il racconto di due distinti episodi che hanno visto protagonisti due detenuti ristretti nella stessa cella della Casa Circondariale di Asti. Entrambi albanesi di 24 e 27 anni. "Che i due coabitanti abbiano scelto lo stesso giorno per tentare di evadere e di attentare alla vita di un agente - afferma Sarno - potrebbe essere fattore indicativo di un disegno preciso, di cui la magistratura certamente vorrà occuparsi. Resta, comunque, il fatto che due detenuti giovani, atletici, connazionali hanno potuto pianificare insieme eventi criminosi di preoccupante spessore".

Il primo fatto si è verificato nella mattinata di ieri presso il tribunale di Aqui Terme. D.A. (24enne pluripregiudicato albanese detenuto per furto, ricettazione ed altro) dopo l’udienza e in procinto di essere ritradotto al carcere all’improvviso si è divincolato e ha cominciato una fuga verso l’esterno del tribunale. Il personale di scorta senza ricorrere all’uso delle armi lo ha inseguito, bloccato, arrestato e ritradotto in carcere.

Nel tentativo di bloccare l’evaso un agente della scorta ha riportato la frattura di un piede (30 giorni di prognosi). Nel pomeriggio G.A. (27enne albanese, già detenuto A.S. e attualmente in custodia cautelare per legge droga) coabitante nella stessa cella del connazionale che aveva tentato l’evasione in mattinata ha aggredito alle spalle l’agente in servizio con una morsa al collo. Solo l’immediato intervento di altri detenuti che si sono prodigati per liberare l’agente ha evitato una tragedia.

"Ancora una volta si è sfiorata la tragedia all’interno di un carcere. Ancora una volta l’ordine e la sicurezza pubblica hanno rischiato di essere violati e vilipesi. Questo, però, è lo stato delle cose. Esattamente ciò che avevamo previsto accadesse nelle carceri sta avvenendo: l’escalation di proteste con relative violenze. Purtroppo delle indegne e incivili condizioni in cui versano i nostri penitenziari pare non interessare ad alcuno.

Men che mai trovano attenzione nella politica e nei politici le umilianti, afflittive, mortificanti e degradanti condizioni in cui è costretto ad operare il personale penitenziario. Ci chiediamo se davvero dovrà capitare il peggio perché l’emergenza penitenziaria trovi finalmente spazio nell’agenda parlamentare.

"La Uilpa Penitenziari con altre organizzazioni sindacali ha indetto una manifestazione di protesta per il prossimo 17 giugno in contemporanea con la celebrazione della festa del corpo di polizia penitenziaria. "Al presidente Napolitano, alla presidenza del consiglio, al ministro Alfano giungerà, alta e forte, l’eco della nostra rabbia, della nostra delusione, della nostra demotivazione, della nostra frustrazione. Mentre - conclude Sarno - loro consumeranno l’inutile rito di una celebrazione che nulla può festeggiare, noi faremo sentire le nostre ragioni. Ragioni che rivendicano diritti, dignità e civiltà".

Agrigento: carcere Contrada Petrusa, nessun detenuto al voto

 

La Sicilia, 12 giugno 2009

 

Di certo non potranno mai contestare loro di essere andati al mare o in gita sul monte Cammarata con figli e amici. Ai detenuti del carcere di contrada Petrusa, aventi diritto al voto come tutti i cittadini italiani, delle ultime elezioni europee e amministrative non interessava proprio nulla.

Se i dati sull’affluenza alle urne all’esterno delle patrie galere hanno fatto registrare un palese disamore della popolazione verso la democratica scelta di chi mandare a rappresentare il popolo, era difficile aspettarsi analoga disattenzione tra chi non ha altri impegni più piacevoli da assolvere. E dire che la sempre solerte e disponibile Prefettura, con il proprio efficiente ufficio elettorale aveva pensato a tutto per mettere in condizione i detenuti di esprimere "liberamente" la loro preferenza.

Al Petrusa è stata inviata una commissione di scrutatori degna di questo nome, con al seguito le indispensabili scatole di cartone nelle quali infilare la scheda elettorale. Si saranno annoiati fino allo sfinimento fisico quei "poveri" scrutinatori, chiamati a trascorrere un paio di giorni nel penitenziario agrigentino, ad attendere che qualche recluso si presentasse per scegliere chi mandare a Strasburgo o indicare come sindaco del proprio paese d’origine.

Ebbene, alle urne non si è presentato alcun inquilino delle celle. "Astensione pari al 100 per cento" direbbero gli esperti di exit pole anche se parlare di exit pole in questo caso non è certo il massimo. È infatti bastato girare la scatola destinata alla raccolta delle schede, per ammirarne il vuoto assoluto. Tutti aventi diritto, compresi alcuni stranieri, tutti appartenenti al partito degli astensionisti. Almeno in questo i detenuti del Petrusa hanno avuto un punto in comune con chi è uomo o donna in libertà. Il menefreghismo per chi cerca i voti. Con la differenza però di non essere andati al mare o in montagna tra sabato e domenica.

Reggio Emilia: laboratorio teatrale; follia vista dietro le sbarre

 

La Gazzetta di Reggio, 12 giugno 2009

 

Domenica prossima alle 17, nella sala polivalente della scuola elementare, il laboratorio teatrale dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio (Opg) presenta lo spettacolo "Sulle ali della follia" a cura di Monica Franzoni, coadiuvata da Riccardo Paterlini. L’evento è organizzato dall’assessorato comunale alla cultura in collaborazione con Legambiente. Attori della pièce, otto detenuti che seguono il corso di teatro tenuto all’interno dell’Opg.

Lo spettacolo dura 45 minuti ed è ambientato nel cortile dell’aria del luogo di detenzione in cui vivono, 6 metri per 6, circondati da altissime pareti di cemento armato che li dividono dalle persone "normali". Ogni paziente racconta un episodio di vita che può portare all’Opg: rancori repressi, violenze quotidiane, storie d’amore finite male, di depressione, di droga e di alcol o di come i pensieri ad un tratto comincino ad incastrarsi nel cervello, a farsi ossessivi e di come alla fine ti vincano.

Lo spettacolo è come un registratore calato nel pozzo: raccoglie le voci, le ossessioni e i pensieri che ristagnano nei sei metri per sei del cortile d’aria. Il rischio maggiore cui va incontro un detenuto dell’Opg è il rinchiudersi in se stesso e diventare incapace di interagire con gli altri. I corsi di teatro così come altre attività organizzate all’OPg, aiutano i pazienti a re-instaurare i rapporti con gli altri. Dopo lo spettacolo Monica Franzoni presenta la mostra fotografica "Via Crucis" e il libro-manifesto Wunderkammeret.opg con immagini di vita scattate all’Opg. Ingresso gratuito.

Libro: "La deriva autoritaria delle democrazie", di M. Salvadori

 

La Repubblica, 12 giugno 2009

 

Esce in questi giorni "Democrazie senza democrazia" di Massimo L. Salvadori (Laterza, pagg. 96, euro 14). "Bisogna porre sotto controllo le oligarchie economiche, garantire la libertà dell’informazione e la voce delle minoranze, tutelare i diritti sociali dei più deboli". Qui anticipiamo alcune pagine dell’Introduzione.

Quando oggi parliamo di democrazia, usiamo un termine che è sinonimo di liberaldemocrazia o democrazia liberale. Infatti la democrazia diretta dell’Atene del V secolo a. C. e quella a cui in tempi moderni si è tentato di dar vita prima nell’effimera Comune di Parigi del 1871 e poi nella Russia bolscevica tra il 1918 e l’inizio degli anni ‘20 non sono modelli ed esperienze attivi nella nostra società: l’una perché espressione di una realtà troppo arcaica, l’altra non foss’altro perché soffocata dalle sue contraddizioni interne e da quelle stesse forze che, dopo averla proposta e agitata come modello universale, hanno rapidamente costruito una dittatura di partito sfociata nel totalitarismo.

La democrazia di cui parliamo e a cui facciamo riferimento è dunque il sistema politico e istituzionale che si è formato dal connubio con il liberalismo: un connubio non facile e segnato da molte tensioni, su cui mi sono soffermato analizzando tre tipi di regimi. Il primo è il sistema liberale a suffragio ristretto e basato sui partiti, sui parlamenti e sul governo dei notabili di matrice aristocratica e borghese. Il secondo - il primo regime liberaldemocratico - è caratterizzato dal suffragio allargato o universale, dall’avvento sulla scena pubblica dei partiti organizzati di massa, dal dispiegarsi di acuti conflitti sociali e ideologici tra le classi e le loro rappresentanze politiche e parlamentari.

Il terzo - il secondo regime liberaldemocratico - è segnato, nel quadro dell’indebolimento e per aspetti importanti dalla scomparsa della sovranità degli Stati, dallo strapotere di oligarchie dominanti della finanza e dell’industria a livello internazionale, dal venir meno delle precedenti antitesi di classe e ideologiche, dalla trasformazione dei grandi partiti di massa organizzati sul territorio in "partiti leggeri" che si mobilitano essenzialmente in vista delle tornate elettorali e non poggiano più su quadri intermedi e gruppi di militanti sempre attivi e distribuiti capillarmente nel territorio, dalla formazione di una opinione pubblica inerte, forgiata prioritariamente dai mezzi di informazione di massa. Si tratta non già di un sistema in cui i cittadini costituiscono le primarie cellule viventi di regimi dotati di una sostanziale natura democratica, bensì di un sistema in cui i governi ricevono una sorta di passiva incoronazione dal basso, sono "governi a legittimazione popolare passiva".

Constatata la crisi strutturale della democrazia, chi scrive si è posto in conclusione l’interrogativo se sia dato o meno credere nella possibilità di un suo rilancio, diciamo pure di una sua rinascita all’altezza dei problemi di un mondo in continua trasformazione con ritmi che non fanno precedenti nella storia. Lo spero ma non m’azzardo a dare una risposta. Occorre nondimeno cercare di stabilire qualche punto fermo, qualche parametro.

Tre paiono i presupposti principali di questa rinascita: 1) la capacità delle autorità politiche dei singoli Stati e degli organismi internazionali di porre sotto controllo le oligarchie economiche, in modo da togliere loro il potere di agire pressoché indisturbate nel perseguire i propri interessi particolari e da impedire il ripetersi di crisi catastrofiche come quella scoppiata nell’autunno del 2008; 2) la sottrazione ai potentati della finanza e dell’industria di un dominio sui mass media che vanifica la possibilità stessa di una opinione pubblica informata in maniera veritiera e realmente pluralistica, e il conferimento del dovuto spazio anzitutto alle minoranze quotidianamente minacciate di essere ridotte al silenzio o all’irrilevanza; 3) un’energica azione volta a combattere l’eccesso di disuguaglianze economiche che rendono una parola vuota la solidarietà, minano la coesione sociale e pongono i non tutelati, i poveri, gli emarginati in una posizione che non è di cittadini ma, agli estremi, di veri e propri paria di nuova generazione. Il che vuol dire il ritorno alle politiche di protezione e potenziamento dei "diritti sociali" e delle istituzioni del welfare che nell’ultimo trentennio il neoconservatorismo liberistico ha frontalmente combattuto e il cui ambito e la cui incidenza sono stati fortemente ridotti. Insomma, una robusta combinazione di elementi tale da dare alla democrazia un volto insieme liberale e sociale.

Immigrazione: il razzismo non è solo cronaca… è anche legge

 

Redattore Sociale - Dire, 12 giugno 2009

 

L’associazione Lunaria ha presentato un documento: 319 casi sulla stampa in poco più di due anni (di cui 187 casi di violenze fisiche) e "un processo di criminalizzazione degli immigrati di cui anche le istituzioni sono protagoniste".

"Cronache di ordinario razzismo". E le discriminazioni sono "un’emergenza: non si tratta più di casi isolati ma di fatti sociali che accadono spesso, alimentati anche da un processo di legittimazione culturale e politica, nonché di criminalizzazione degli immigrati, di cui pure le istituzioni e i media sono protagonisti".

A dirlo è il Libro bianco sul razzismo in Italia realizzato da Lunaria, un’associazione che si occupa di ricerca, formazione e comunicazione sui temi dell’economia solidale, del Terzo settore, delle migrazioni e della globalizzazione, presentato oggi a Roma nella sede della provincia. Un libro che cerca di ricostruisce l’evoluzione del razzismo in Italia negli ultimi due anni a partire dal diritto "speciale" riservato all’immigrazione, come lo definisce Lunaria, fino alla raccolta di 319 casi di razzismo sulla stampa in poco più di due anni (di cui 187 violenze fisiche e con molti giovani tra i protagonisti sia tra le vittime sia tra gli aggressori), così suddivisi: 119 nel 2007, 124 nel 2008 e 76 nei primi tre mesi e mezzo del 2009.

Il Libro bianco sul razzismo in Italia cita sia le leggi approvate sia anche solo le questioni di cui si è discusso a livello politico, istituzionale e normativo. Dal censimento dei campi rom al "reato di clandestinità", dall’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno per l’accesso ai pubblici servizi (si è parlato anche di segnalazioni da parte dei medici e dei dirigenti scolastici) alle "classi ponte" per i bambini stranieri, dalla "tassa" sulla cittadinanza e sui permessi di soggiorno all’istituzionalizzazione delle ronde, passando per il prolungamento del periodo massimo di trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione (ex Cpt) da 60 a 180 giorni e fino ad arrivare alle ordinanze dei sindaci contro lavavetri, venditori abusivi e senza fissa dimora.

"Questa legittimazione - dicono da Lunaria -, che ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e delle istituzioni europee, ha alimentato e continua ad alimentare quei sentimenti diffusi di intolleranza e di ostilità che costituiscono l’humus per le azioni e gli atteggiamenti razzisti.

Inoltre, produce un’immagine stigmatizzante dei cittadini di origine straniera e dei rom, piena di pregiudizi e stereotipi veicolati anche dal discorso pubblico e dai media". E allora non deve stupire l’uccisione di Abdul Guiebre, originario del Burkina Faso, a Milano, avvenuta l’anno scorso a colpi di spranga per mano di un padre e un figlio titolari di un bar, oppure la violenza subita da Navtej Singh, un cittadino indiano di 35 anni aggredito mentre dormiva su una panchina dell’atrio della stazione ferroviaria di Nettuno (Roma) nella notte fra il 31 gennaio e l’1 febbraio di quest’anno. "Tutto ciò mette a rischio sia l’integrazione sia le politiche di inclusione sociale", commentano da Lunaria.

Droghe: Gb; dipartimento salute chiede legalizzazione di eroina

di Katia Moscano

 

Notiziario Aduc, 12 giugno 2009

 

Il professore John Ashton, direttore del Dipartimento di salute pubblica della regione di Cumbria ritiene che le droghe pesanti dovrebbero essere legalizzate e disponibili in farmacia, aggiungendo che: "La guerra alle droghe è stata un fallimento. Occorre un diverso approccio". Partecipando alla conferenza sulle droghe "Tackling Drugs, Changing Lives", ha paragonato la situazione attuale inglese a quella del proibizionismo americano degli inizi del secolo scorso. "Malgrado l’illegalità, le droghe di Classe A sono ovunque disponibili".

Il professore ha chiesto un cambiamento radicale nell’affrontare il problema, affermando che dovrebbe essere considerato un reato promuovere la sostanza, non consumarla. "Cosa abbiamo fatto con l’illegalità è simile a quello che fece l’America con l’alcol negli anni ‘30. All’epoca c’era al Capone e una enorme attività criminale intorno. "L’alcol e la nicotina hanno un florido mercato, con pop stars e atleti che ne promuovono ovunque l’uso. Questo è ciò che vorrei limitare. Dovrebbe essere un reato promuovere il consumo di alcol, nicotina e droghe". Inoltre chiede un controllo sulla disponibilità delle droghe di classe A, per uso personale e per gli adulti.

"Vendendo le droghe in farmacia si conoscerebbero i nomi dei consumatori. Si eliminerebbe il mercato nero. Sono certo che si arriverà a questo. Siamo così concentrati sulla parte criminale che ignoriamo la prevenzione. Finanziamo carceri e forze straordinarie di polizia, ma è in prigione che molti iniziano a cons umare droghe. Abbiamo così ricchi signori delle droghe e interi quartieri dominati dai crimini connessi alle droghe. Controllare la disponibilità significa togliere risorse a questi criminali e al mercato illegale".

Il commissario della polizia di Cumbria, Paul Carter, in disaccordo con il professor Ashton, ha dichiarato: "Le droghe di Classe A distruggono le persone e intere famiglie. Dobbiamo fare del nostro meglio per tenere lontane le persone dall’eroina e dalla cocaina". Hanno partecipato alla conferenza: Addiction Dependency Solutions, la polizia di Cumbria, il Cumbria Alcohol and Drug Advisory Service, Cumbria Drug and Alcohol Action Team. La conferenza ha segnato l’inizio della settimana nazionale contro le droghe.

Stati Uniti: detenuti Guantanamo, raggiunto l’accordo con l'Ue

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo sulle condizioni per il trasferimento dei detenuti di Guantanamo in Europa, che per ora non impegna Washington ad accoglierne alcuno. Lo hanno riferito fonti comunitarie. L’accordo sarà approvato formalmente e senza dibattito lunedì dai ministri degli Esteri, prima di un comunicato congiunto con Washington.

La decisione di accogliere qualsiasi ex detenuto spetterà a ciascun governo europeo (ma considerato che molti Paesi europei fanno parte della zona-Schengen, l’accordo impegna tanto gli Usa che i Paesi riceventi a scambiarsi tutte le informazioni "confidenziali" e di intelligence con le altre nazioni europee). Su quello che riguarda la possibilità che anche gli Stati Uniti accolgano ex prigionieri (come avrebbero voluto alcuni Paesi europei), l’intesa non si sbilancia, sottolineando soltanto che "la responsabilità primaria di chiudere Guantanamo e trovare una residenza ai detenuti che saranno liberati ricade sugli Usa".

Il testo ha ricevuto gli ultimi ritocchi in una riunione di ambasciatori presso l’Ue e dopo una serie di negoziati in videoconferenza con i responsabili statunitensi. Alcuni Paesi europei avrebbero voluto che anche gli Usa accogliessero qualche detenuto, ma Washington non ha potuto impegnarsi per iscritto (perche l’amministrazione Obama trova grande resistenze non solo tra i repubblicani). Ecco perché è stata cambiata la precedente versione - appoggiata da Paesi come l’Austria e la Germania - che prevedeva un passaggio in cui gli Stati Uniti riconoscevano "la loro responsabilità di accettare alcuni ex detenuti".

"È un compromesso", ha ammesso un diplomatico europeo, "considerando che la questione è molto delicata al momento". Il documento congiunto parla anche dell’auspicio di "aiutare gli Stati Uniti a voltare pagina" su Guantanamo. Sei Paesi hanno già detto che sono disponibili ad accogliere ex detenuti: oltre all’Italia, Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Spagna, e recentemente il Belgio. Il documento segnala inoltre che gli Stati Uniti considereranno la possibilità di contribuire, caso per caso, ai costi che gli Stati dell’Ue sosterranno per ricevere i detenuti. Tutti gli ulteriori aspetti legati al ricevimento degli ex detenuti saranno trattati in forma bilaterale tra Washington e i Paesi interessati.

Usa: Guantanamo; liberato dopo 7 anni, il detenuto più giovane

 

Ansa, 12 giugno 2009

 

Mohammed El Gharani, fu arrestato quando aveva appena 14 anni in Pakistan. Oggi 21enne è stato liberato cinque mesi dopo che un tribunale americano ne aveva ordinato la scarcerazione giudicando insufficienti le accuse mosse a suo carico.

Dopo sette anni di prigione, è tornato in libertà il più giovane detenuto di Guantanamo e anche l’unico mai intervistato da un media: Mohammed El Gharani, arrestato quando aveva appena 14 anni in Pakistan. La notizia è stata resa noto il suo avvocato, Clive Stafford Smith, direttore e fondatore di "Reprieve" ("sospendi" nel senso della sospensione di una pena e della sentenza capitale), un’organizzazione di avvocati britannici a difesa dei diritti civili; ma non confermata dalle autorità statunitensi. Gharani è stato liberato cinque mesi dopo che un tribunale americano ne aveva ordinato la scarcerazione giudicando insufficienti le accuse mosse a suo carico.

Il giovane - oggi 21enne e già ritornato nel suo Paese, il Ciad - era stato arrestato in durante una perquisizione in una moschea pakistana; e dopo qualche mese era stato trasferito a Guantanamo dove, secondo Reprieve, era stato sottoposto a una serie di violenze.

Ad aprile Gharani, probabilmente approfittando delle chiamate settimanali alla famiglia, era riuscito a telefonare ad al-Jazira (prima intervista concessa da un detenuto di Guantanamo a un media) e a denunciare le violenze e i maltrattamenti a cui era stato sottoposto.

 

 

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