Rassegna stampa 11 giugno

 

Giustizia: piano carceri di Alfano, madre di tutte le... illusioni!

di Beppe Battaglia

 

Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2009

 

"Abbiamo attuato una politica di contrasto alla criminalità organizzata molto severa, che non ci lascia presumere un abbassamento degli indici statistici mensili di aggiunta di nuove presenze nelle carceri. Per tale ragione individuiamo come la madre di tutte le soluzioni quella della realizzazione di nuovi istituti di pena…".

Così si è espresso il Ministro della Giustizia alla Camera dei deputati enunciando il "Piano carcere". Saranno anche tempi brutti, difficili, babilonici, dove tutto e il contrario di tutto sembra lecito e persino onesto. Ne abbiamo viste e continuiamo a vederne di tutti i colori, ogni giorno. Il "volo della quaglia" riguarda tutta la classe politica, si può stare indifferentemente in questo o quel partito, su questa o quella barca, dipende dal... miglior offerente! Tutto questo si accentua in vista delle tornate elettorali. Così possiamo vedere un comizio sulle macerie di un terremoto o consegnando i migranti ai campi di concentramento libici; qualcuno la spara ancora più grossa auspicando treni ed autobus con posti o scompartimenti riservati agli italiani ed altri agli stranieri, e via di questo passo.

Ma che il ministro della giustizia venga a dirci che il sovraffollamento carcerario dipende dal severo contrasto alla criminalità organizzata davvero è troppo! Evidentemente il ministro vuole offendere la nostra intelligenza. D’altra parte i numeri e la composizione sociale delle carceri escono dallo stesso ministero.

Il 27% della popolazione detenuta è composto da persone tossicodipendenti dunque afferenti alla legge cosiddetta Fini-Giovanardi: un flusso d’incarcerazione senza soluzione di continuità. Il 38% della popolazione detenuta è invece composto da persone migranti, dunque afferenti alla legge cosiddetta Bossi-Fini, ora aggravata dal cosiddetto "pacchetto sicurezza" che lascia presumere ragionevolmente un incremento rapido della percentuale fin qui realizzata.

Se a queste percentuali ci aggiungiamo una quota legata alla microcriminalità spicciola, va a finire che il tanto decantato "contrasto alla criminalità organizzata" quale elemento determinante il sovraffollamento carcerario è null’altro che un pretesto teso a celare le altissime percentuali di carcerazione sociale (persone migranti e tossicodipendenti). Per molto meno ministri e capi di governo di altri paesi democratici hanno lasciato le loro poltrone e se ne sono andati a casa evitando così meritati "processi" per aver consapevolmente mentito alla cittadinanza contribuente.

Anche sulla "madre di tutte le soluzioni" davvero il ministro ci lascia senza parole. Si tratta, ci racconta il ministro, di costruire dei capannoni aggiuntivi all’interno degli istituti di pena, dove lo spazio lo consente; ristrutturare parti di istituti inutilizzati perché inagibili; costruzione di nuove carceri ex novo. Addirittura chiatte galleggianti da ancorare in alcuni porti italiani.

Quello che il ministro non dice è che queste cose riguardano i tempi medio-lunghi, per l’immediato presente ed il prossimissimo futuro... i letti a castello già toccano i soffitti delle celle. Ma c’è di più. Aggiungere nuovi padiglioni, ripristinare nuovi reparti, costruire nuove carceri, accettare cioè l’idea - come dice il ministro ed in questo possiamo credergli - che i numeri delle persone recluse continueranno a crescere, senza minimamente mettere in discussione i meccanismi che fanno crescere in modo sistematico quei numeri, anzi incrementando quei meccanismi e dunque i numeri, significherebbe logicamente incrementare i costi di gestione, il personale penitenziario, ossia quei costi che in bilancio hanno subìto tagli drastici.

Ammesso e non concesso che in qualche modo il ministro troverà i soldi necessari per la madre di tutte le soluzioni, ossia l’edilizia carceraria, come farà lo stesso personale a gestire numeri che crescono al ritmo di 800 unità al mese? È ragionevole supporre che il numero degli ingressi s’incrementerà di parecchio a partire dai prossimi giorni, con l’entrata in vigore del cosiddetto "pacchetto sicurezza". Di più. Supponendo che la madre di tutte le soluzioni riesca a mantenere tempi di realizzazione rapidi, i diecimila ingressi all’anno continueranno senza attese per la costruzione dei nuovi posti, talché a realizzazione compiuta dei diciassettemila posti nuovi che il ministro ci dice, avremo trentamila detenuti in più. Insomma, una rincorsa con saldo sempre in rosso! Altro che madre di tutte le soluzioni!

Un paio di domande però le vogliamo fare al ministro della giustizia: lei crede davvero che le "quantità" possono drasticamente modificarsi senza toccare le "qualità"? Già, perché questa storia dell’affollamento carcerario non lascia spazio alla qualità di questo carcere drammaticamente precipitato verso livelli che richiamano l’attenzione internazionale, e segnatamente europea, relativamente al rispetto dei diritti umani che caratterizzano le democrazie o le dittature.

Del resto, il numero dei morti in carcere forse è un indicatore della qualità di vita che riposa in questo carcere. Ci sono i morti (28 nei primi cinque mesi dell’anno in corso) e sono davvero troppi, anche se sarebbe troppo uno soltanto, se fosse vero che lo Stato garantisce la vita delle persone in suo totale dominio! Prima di morire, però, c’è tempo e spazio per aggressioni, autolesioni, pregiudizio per la salute fisica e mentale collettiva. Questo carcere non si limita più a produrre disabilitazione sociale, ora punta deciso alla disabilitazione dalla vita mediante la follia e la morte fisica! Che sia questa la madre delle soluzioni?

Se il numero delle persone che fanno l’esperienza del carcere, com’è ragionevole supporre, segnerà un trend in costante espansione (almeno pari all’impoverimento di fasce sempre più larghe della popolazione italiana), quale sarà l’esito in termini di coesione sociale o, per converso, di pericolosa conflittualità? In altri termini, le persone che escono dal carcere (e tolta una piccola minoranza seppellita viva come quella con l’ergastolo ostativo di cui davvero varrebbe la pena discuterne… tutti gli altri prima o poi tornano liberi) ameranno le istituzioni e la giustizia di questo paese o metteranno in discussione ulteriormente la sicurezza ed i privilegi di chi sa solo punire, mortificare, umiliare, annientare? In breve e onestamente, ministro, la sua madre di tutte le soluzioni (posti carcere purché siano), casermoni dove i diritti umani sono ormai un ricordo, saranno un bene o un guaio ulteriore per il paese? Immagino già la sua risposta, sicuramente parente della… madre di tutte le soluzioni!

Non è questione di bontà o di cattiveria, come suggerisce "acutamente" il suo collega degli interni relativamente al popolo dei migranti ("bisogna essere più cattivi"!). È una questione di giustizia, di credibilità etica, politica, legale, istituzionale, di responsabilità, di misura: la mappa perduta!

Lei dovrebbe dirci, ministro, non solo come e perché le persone finiscono in galera, chi ed in che misura, in quali condizioni. Dovrebbe anche dirci se l’esito da questa prigione (perché le condanne brevi, medie e lunghe prima o poi finiscono. In ogni momento, di ogni giorno, ci sono persone che escono per fine pena da molte carceri.

Persone che sono state incarcerate pochi giorni fa, un anno fa, dieci anni fa, vent’anni fa o anche trenta anni fa, stanno uscendo di diritto ora, in ogni momento del giorno, di ogni giorno) produce maggiore o minore sicurezza per i cittadini contribuenti. La sua madre di tutte le soluzioni ci parla di come incarcerare, della predisposizione di discariche umane più o meno capienti e la cui qualità è, per lei, trascurabile. Ma non ci parla assolutamente dell’uscita da quelle discariche e di quale sicurezza o pericolo per la collettività partorisce questa madre di tutte le… illusioni! Se si trattasse di uno spot pubblicitario sicuramente potremmo parlare di pubblicità ingannevole. E qui non si tratta di… vendere saponette!

Giustizia: gli spazi del carcere, determinano il senso della pena

di Mauro Palma

 

Il Manifesto, 11 giugno 2009

 

Discutere di organizzazione dello spazio negli Istituti penitenziari e di architetture possibili per una diversa idea di esecuzione penale è terreno difficile in questo momento. Non solo perché gli spazi vitali minimi vengono a mancare, dati i numeri dell’affollamento in carcere, ma anche perché le velleità edilizie con cui l’amministrazione penitenziaria sembra voler affrontare un problema che ha radici nelle politiche e non già nel mattone, rischiano di far uscire la riflessione dal binario corretto.

Se ne parlerà a Firenze, sabato prossimo, in un seminario della Società della ragione su "Gli spazi della pena e l’architettura del carcere" che si terrà nel "giardino degli incontri" che Giovanni Michelucci progettò per il carcere di Sollicciano. E se ne parlerà muovendo dalla relazione fra l’architettura del carcere e il senso in evoluzione della pena, fra lo schema spaziale del contenitore e la concezione che si ha del suo contenuto: sempre l’organizzazione dello spazio fisico è conseguenza e motore del mutamento concettuale di ciò che in esso si realizza. Ne è conseguenza perché avviene dopo la riflessione teorica sui significati e le funzioni del suo contenuto; ma ne è anche consolidamento perché dà al mutamento una connotazione fisica, concreta.

Una caratteristica accomuna i luoghi di pena post-illuministi: la totale visibilità interna e l’altrettanta opacità da e verso l’esterno. Luoghi destinati alla sorveglianza e, quindi, concepiti in modo tale che da uno o più punti sia possibile vedere e controllare le celle, dove i detenuti sono dislocati per la gran parte del tempo quotidiano, e i pochi altri ambienti destinati a funzioni svolte al di fuori di quel ristretto spazio. Ma anche luoghi ove alla visibilità interna corrisponde l’invisibilità dall’esterno e l’impossibilità di vedere il mondo al di là del recinto della segregazione.

Così sono stati disegnati, a partire dalla Casa d’ispezione proposta dal fratello di Jeremy Bentham, molti istituti penitenziari del secolo scorso: un Panopticon, il cui scopo è "tanto più perfettamente raggiunto se gli individui che devono essere controllati saranno il più assiduamente possibile sotto gli occhi delle persone che devono controllarli".

È il paradigma del controllo occhiuto in una società razionalmente disciplinare in cui l’assoluta visibilità - o quanto meno la sensazione di essere sotto continua vigilanza - è condizione essenziale per l’esecuzione della propria funzione regolativa. Non è soltanto un modello architettonico, ma una metafora della stessa funzione punitiva. Le varianti sono state diverse, dalla struttura radiale che conservano ancora molti dei nostri istituti, a quella a croce, volutamente evocativa, utilizzata in paesi nordici; a volte addirittura sovrastata da una croce, a ricordare come non solo si contengano i corpi, ma si voglia anche purgare le anime.

Negli ultimi decenni del secolo scorso - e in Italia soprattutto attorno agli anni settanta - invece, la costruzione di nuovi istituti penitenziari ha seguito un modello diverso, quale riflesso delle riforme avviate in vari paesi: lingue di corridoi che introducono a padiglioni con maggiori spazi per la cosiddetta socializzazione, ma anche accentuata distanza tra il luogo della gestione/direzione e quello della detenzione. Una distanza fisica che in alcuni casi è stata anticipatrice di una distanza concettuale. Luoghi comunque un po’ più vari, frutto di concezioni più articolate.

In Italia però il percorso verso spazi architettonici più articolati è stato monco, così come monca è stata l’applicazione della riforma avviata più di trent’anni fa. Non si è voluto andare verso l’ipotesi di uno spazio responsabilizzante, dove i soggetti, sebbene reclusi, esprimano soggettività, svolgendo attività e assumendo compiti volti alla gestione del loro presente. Si è mantenuta invece l’idea di uno spazio infantilizzante, dove al soggetto è richiesto di obbedire e di recepire ordinatamente quanto a lui fornito e proposto: dal luogo, al cibo, all’attività avviata dal volontariato, alla pratica burocratica che scandisce la quotidianità. Tutto è passività, nulla è organizzazione responsabile. Lo spazio è rimasto così, sebbene fisicamente diverso, un mero contenitore muto, pronto a essere riconvertito come recettore di brande e nient’altro, in caso di necessità. Così sta ora avvenendo.

Giustizia: 63.217 detenuti, oltre 20 mila in più della "capienza"

 

Redattore Sociale - Dire, 11 giugno 2009

 

La metà è in attesa di giudizio, quasi un terzo ha una pena residua inferiore a tre anni. Carenza di polizia penitenziaria: -13,8%. Rielaborazione di Ristretti Orizzonti su dati Dap al 9 giugno.

Sono arrivati a quota 63.217 i detenuti reclusi nelle carceri italiane, oltre 20mila in più rispetto alla capienza regolamentare che prevede 43.177 persone. Il dato sull’affollamento carcerario, aggiornato al 9 giugno 2009, è stato diffuso oggi dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti, la rivista telematica della Casa di Reclusione di Padova e dall’Istituto di Pena Femminile della Giudecca. Quasi uno su due degli oltre 63 mila detenuti (esattamente 31.232) risulta in attesa di giudizio, e ben 19.558 sono i detenuti condannati con pena residua inferiore a 3 anni, mentre quelli con pena residua inferiore a un anno sono invece 3.214. I detenuti con almeno un almeno un figlio sono invece 22.096.

Il tasso complessivo di sovraffollamento è dunque pari al 146% fa sapere Ristretti Orizzonti che ha rielaborato i dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del ministero di Giustizia, mentre il personale di polizia si ferma ad appena l’86,2% dell’organico previsto, che in altri termini vuol dire che manca all’appello il 13,8% delle forze ritenute necessarie. La regione con maggiore tasso di sovraffollamento è l’Emilia Romagna (197%), quella con più carenza di personale di polizia penitenziaria la Liguria (-31,6%).

Giustizia: il 23 giugno Alfano incontra i Sindacati penitenziari

 

Agi, 11 giugno 2009

 

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha convocato i sindacati del personale di polizia penitenziaria per il 23 giugno prossimo, per discutere della "razionalizzazione del personale in relazione all’emergenza penitenziaria".

Ne dà notizia il segretario della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno, secondo il quale "la determinazione del ministro Alfano ad incontrare le rappresentanze sindacali è un segnale di apertura di cui tenere debito conto, anche se la riteniamo una naturale conseguenza delle proteste in atto. Durante l’incontro non mancherà l’occasione per approfondire anche altri aspetti che non siano solo la razionalizzazione del personale, che pure è un punto importante e determinante. Occorre, ci pare evidente, ragionare su una rideterminazione complessiva degli organici con relativa implementazione e definire una strategia per deflazionare l’insopportabile e gravissimo sovrappopolamento degli istituti penitenziari".

Sarno, però, auspica che il Guardasigilli "trovi il modo di anticipare la convocazione del 23 a prima della celebrazione della Festa del Corpo e quindi prima del 17 giugno: sarebbe importante per il ministro, e per l’intero sistema, poter annunciare in tale contesto l’individuazione di soluzioni condivise con le organizzazioni sindacali perché in assenza di motivi per festeggiare ci siano almeno motivi per sperare".

La Uil Pa Penitenziari, poi, lancia un invito "bipartisan" alla politica perché l’emergenza penitenziaria sia calendarizzata nell’agenda parlamentare: "a campagna elettorale chiusa, auspichiamo che i responsabili dei partiti di maggioranza ed opposizione trovino, in forma bipartisan, il tempo per discutere, approfondire e risolvere una emergenza che non tarderà, in tempi brevi, a trasformarsi in una questione di ordine pubblico.

Per questo rinnoviamo l’appello ai gruppi parlamentari a voler calendarizzare una discussione di merito. Voglio sperare - conclude Sarno - che il tema delle carceri non trovi posto solo in sterili dibattiti e passerelle varie. Il presidente Fini certamente può fare molto di più che limitarsi ad esternare giudizi e considerazioni varie che non incidono a modificare la drammatica realtà penitenziaria. L’indulto fu una necessità determinata anche da quella disattenzione al problema penitenziario che ancora oggi impera. È certo il presidente Fini che un nuovo provvedimento di clemenza non possa essere nuovamente necessario?".

Giustizia: Osapp; ministro è responsabile del "dramma carceri"

 

Il Velino, 11 giugno 2009

 

"Lo scopo di promuovere un polpen day non era quello di strappare una convocazione in extremis al ministro della Giustizia Alfano ma quello di sollecitare imprese immediate se qualcuno ha le idee confuse è meglio che se le chiarisca adesso, o sarà già troppo tardi".

Lo ha detto il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria), Leo Beneduci, a una settimana esatta dalla protesta organizzata dai maggiori sindacati della categoria. "Alfano ci ha convocato per il 23 giugno e per quella data ci saremo, più animati e agguerriti che mai, non interrompendo però la nostra protesta. Anche perché le aperture del nostro ministro non ci interessano, soprattutto quando sono strumentali e conseguenti ad un disagio che è giusto esprimere e che, secondo i nostri propositi, è regolare che continui, persino con forme più clamorose".

"Portiamo avanti i nostri propositi perché - ha spiegato il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - a fronte di una condizione carceraria drammatica che è poi sotto gli occhi di tutti, si ha la sensazione che il Guardasigilli viva tutto questo con estrema inamovibilità, come se non lo sfiorasse affatto, per rispolverarne piena consapevolezza solo nei momenti ufficiali.

Una responsabilità vissuta giorno per giorno, senza alcun programma e che scivola lentamente verso un aggravamento di cui riteniamo lui il diretto responsabile. Un’inamovibilità che non riguarda certo le leggi che continua a promuovere su espressa indicazione del premier iniziative che non vedono alcun segnale nuovo verso implementi di organico del personale, risorse finanziarie, o politiche decongestionanti per il sovraffollamento. Tutto questo la dice lunga su quello che andremo a fare il 23".

Giustizia: Pd; ddl sicurezza, Csm conferma nostre preoccupazioni

 

Redattore Sociale - Dire, 11 giugno 2009

 

"Bene ha fatto il Consiglio superiore della magistratura, il supremo organo di autonomia della magistratura italiana, a sottolineare tutte le questioni di diritto che solleva il ddl sicurezza e tutti i problemi che creerà all’amministrazione della giustizia".

Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, sottolineando che "si tratta di un parere che conferma tutte le nostre preoccupazioni e contrarietà al provvedimento: l’introduzione del reato di immigrazione clandestina in Italia non solo lede i diritti delle persone migranti e dei loro figli, ma incepperà il sistema giudiziario italiano". Insomma, prosegue Finocchiaro, "spiace dover rilevare che la destra non si arrenda e si scagli contro il Csm, strumentalizzando persino le parole del capo dello Stato, pur di difendere un provvedimento inadeguato, inefficace, incivile e demagogico. La verità è che ci troviamo di fronte a un parere del tutto legittimo del Csm: questo è un ddl che rischia di creare più insicurezza nel nostro paese e di paralizzare il sistema giudiziario italiano che è già al collasso".

Giustizia: Osapp; ddl sicurezza, denuncia del Csm è sacrosanta

 

Redattore Sociale - Dire, 11 giugno 2009

 

"I rischi che denuncia oggi il Csm sono sacrosanti, ma non ci stupiscono affatto". A parlare è il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, che sottolinea: "Sono mesi che i sindacati della Polizia penitenziaria, con in testa l’Osapp, stanno lanciando l’allarme di un possibile aggravamento della situazione penitenziaria a causa dell’introduzione del reato di clandestinità oltre che l’introduzione di altre norme che stabiliscono maggiori sanzioni o nuovi reati, come sta facendo il governo in questo ultimo periodo".

Infatti, spiega Beneduci, "le galere ormai parlano una lingua straniera e lo testimonia una presenza registrata di 21.400 extracomunitari (tra cui 2.500 albanesi, 3.900 marocchini, 1.950 tunisini e 1.100 algerini) che rappresentano un terzo del complesso della popolazione carceraria".

Secondo il segretario generale dell’Osapp si tratta di "una condizione drammatica, che non può non essere letta nel suo complesso assieme a quella sanitaria: sono 16.000, infatti, i tossicodipendenti (di cui 2.167 in trattamento metadonico), 5.200 affetti da epatite virale cronica (hbv e hcv), 2.500 sieropositivi per hiv, 6.500 disturbati mentali".

È quindi "inutile sottolineare lo stato di abbandono da parte delle istituzioni e da parte di chi continua ancora a indignarsi per considerazioni, e ci riferiamo al senatore Gasparri, che sono di lampante evidenza. Probabilmente - conclude il leader sindacale - non si riesce ancora a comprendere che il principio di legalità sventolato oggi dal presidente dei senatori del Pdl è dappertutto tranne che negli istituti penitenziari italiani".

Giustizia: intercettazioni; passa la fiducia, opposizioni critiche

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2009

 

Dopo la fiducia incassata ieri sul maxiemendamento, il voto finale su contestatissimo disegno di legge Alfano, che limita il ricorso alle intercettazioni e l’esercizio al diritto di cronaca, sarà segreto. Ieri Pd, Idv e Udc, hanno lanciato l’appello al presidente delle Repubblica esprimendo "disagio" per il ricorso al voto di fiducia.

Un appello giudicato "immotivato" dal Guardasigilli Alfano. Critiche al provvedimento sono arrivate anche dal procuratore antimafia Piero Grasso che ieri è tornato a denunciare i rischi connessi alla riforma: "minore potenzialità investigativa" e "notizie ritardate e raffreddate".

Per l’Anm, il Ddl intercettazioni e quello sul processo penale (all’esame del Senato) produrranno la "morte della giustizia penale in Italia". Secondo le toghe, con queste norme polizia e magistrati non avrebbero potuto individuare i responsabili dei recenti stupri di Roma, delle violenze nella clinica di Milano, delle scalate bancarie alla Antonveneta e alla Bnl; l’equiparazione delle videoriprese alle intercettazioni non consentirà di individuare gli autori di rapine in banca, lo spaccio di stupefacenti nelle piazze, la violenza negli stadi, ecc..

Il ddl Alfano, scrivono in una nota congiunta Fnsi e Fieg, "introduce limitazioni ingiustificate al diritto di cronaca" e "sanzioni sproporzionate a carico di giornalisti ed editori", previsioni che "violerebbero il fondamentale diritto della libertà d’informazione garantito dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo". I contenuti del provvedimento: l’ultima novità è emersa ieri nel maxiemendamento su cui il governo ha chiesto la fiducia: le videoriprese saranno assoggettate alle stesse limitazioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Oltre alle videoriprese, anche i tabulati telefonici sono equiparati alle intercettazioni e, quindi, potranno essere acquisiti solo se "assolutamente indispensabili" e in presenza di "evidenti indizi di colpevolezza". I reati intercettabili sono quelli con pene superiori a 5 anni ma le cimici potranno essere piazzate solo nei luoghi in cui si sta consumando il reato; gli ascolti non potranno durare più di 60 giorni e non potranno essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli per cui sono stati disposti. Tutto ciò tranne che nelle indagini di mafia e terrorismo.

Ogni Procura informerà il ministero sule spese per le intercettazioni che, in ogni caso, dovranno rientrare in un budget annuale,superato il quale saranno sospese. Il Ddl impone al Pm che voglia intercettare un agente segreto di informare entro 5 giorni il presidente del consiglio, il quale potrà opporre il segreto di Stato.

La stretta resta anche per il diritto di cronaca con i divieto assoluto di pubblicare fino al rinvio a giudizio le intercettazioni anche se non più coperte da segreto. È vietato altresì pubblicare le richieste e le ordinanze in matteria cautelare finché l’indagato o il difensore non ne siano venuti a conoscenza: a quel punto se ne potrà pubblicare il contenuto, fatta eccezione per le intercettazioni.

Che non sono mai pubblicabili quando ne sia stata ordinata la distruzione o se irrilevanti (la violazione del divieto è punita con carcere da 6 mesi a 3 anni) tutti gli atti di indagine, caduto il segreto sono pubblicabili (per riassunto): non lo sono i nomi e le foto dei magistrati titolari delle inchieste, salvo che l’immagine sia indispensabile al diritto di cronaca (violazione punita con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda. Il giornalista iscritto nel registro degli indagati, è deferito la Consiglio dell’ordine per una sospensione dalla professione di 3 mesi mentre all’editore si applica la multa da 200 a 300 quote.

Giustizia: riforma intercettazioni un pasticcio senza vie d'uscita

di Ennio Fortuna

 

Italia Oggi, 11 giugno 2009

 

Siamo infatti, certamente, il paese che intercetta di più, e che spende di più, né è detto che i risultati, in termini di successi investigativi, premino sempre e su tutta la linea gli sforzi dei magistrati inquirenti. E tuttavia il testo del governo sulle intercettazioni appare certamente punitivo delle esigenze investigative e, sotto alcuni profili, addirittura grottesco.

Si potrà intercettare solo a patto che vi sia almeno un indagato raggiunto da gravi indizi di colpevolezza. Lo strumento investigativo finora è stato utilizzato soprattutto per scoprire l’autore del fatto, ora dovrà invece servire esclusivamente a consolidare una prova già acquisita al processo. Se il colpevole è già individuato e, per di più, iscritto nel relativo registro, l’intercettazione è, in realtà, del tutto inutile, sia perché la prova è già raggiunta, e il pm può chiedere il rinvio a giudizio, o l’ordinanza di custodia cautelare, sia perché l’indiziato iscritto (e che sa quindi di essere inquisito) non parla al telefono, e l’eventuale intercettazione lo favorisce, e comunque non lo danneggia. Si è parlato di sostituire l’espressione "gravi indizi" con "indizi obiettivi o evidenti", ma è chiaro che non è così che si cambia la sostanza.

Se il presunto colpevole è già stato scoperto e il suo nome figura nel registro degli indagati, l’intercettazione o è inutile o è addirittura pregiudizievole alle indagini. Ma il grottesco emerge nel caso di reato commesso da autori ignoti. Per evitare di conferire un premio alla criminalità la legge si è vista costretta a escogitare una sorta di singolare compromesso.

L’intercettazione diventa esperibile se viene richiesta direttamente dalla vittima. Ciò significa che nei numerosi casi di reati senza offeso individuato l’intercettazione rimane preclusa in partenza, mentre negli altri casi si costringe la polizia giudiziaria a rivolgersi all’offeso, sollecitandolo all’istanza e così esponendolo alle ritorsioni o vendette della criminalità.

Un reato ad azione pubblica, come sono tutti i reati punibili con la reclusione oltre i cinque anni (salvo eccezioni), diventa quindi concretamente perseguibile solo a istanza della vittima che, ovviamente, non è a conoscenza dei possibili obiettivi dell’eventuale intercettazione, se non gli vengono comunicati dagli investigatori.

Ma la legge esige anche l’autorizzazione di un collegio di tre magistrati in sede distrettuale, con grave rischio per la tenuta del segreto, e soprattutto con grave rischio di ritardo. Insomma, il testo del governo si pone solo come un grave inestricabile pasticcio che sacrifica pesantemente le esigenze investigative, senza neppure premiare la riservatezza e la dignità della persona.

Giustizia: Anm; riforma intercettazioni, un favore ai delinquenti

 

Il Messaggero, 11 giugno 2009

 

È bufera sul ddl intercettazione sul quale il governo ha incassato la fiducia di Montecitorio. L’Associazione nazionale dei magistrati boccia con parole di fuoco il provvedimento, mentre tutte le opposizioni rivolgono un appello al capo dello Stato perché fermi il ricorso ai voti di fiducia che rappresentano "un bavaglio" per il Parlamento.

A giudizio dell’Anm, la riforma delle intercettazioni unita a quella del processo segnano nei fatti "la morte della giustizia penale in Italia" visto che tratta di norme "che rappresentano un oggettivo favore ai peggiori delinquenti". In particolare, le norme sulle intercettazioni "impediranno alle forze di polizia e alla magistratura inquirente di individuare i responsabili di gravissimi reati".

In sostanza è come se "governo e Parlamento chiedono alle forze dell’ordine e alla magistratura inquirente di tutelare la sicurezza dei cittadini uscendo per strada disarmati e con un braccio legato dietro la schiena". Sarebbe allora "più serio e coerente - sostiene la giunta dell’Anm - assumersi la responsabilità politica di abrogare l’istituto delle intercettazioni piuttosto che trasformarle in uno strumento non più utilizzabile".

I magistrati si dicono "sgomenti" che il Parlamento compia queste scelte proprio "in un momento in cui la sicurezza dei cittadini è evocata come priorità del Paese". "È semplicemente assurdo pensare - aggiungono - che si possano fare intercettazioni solo nei confronti del colpevole già individuato. Ed è del tutto irragionevole prevedere che le intercettazioni debbano sempre essere interrotte dopo 60 giorni, anche nei casi, come un sequestro di persona, un traffico di stupefacenti o di armi, in cui il reato sia in corso di esecuzione".

Ma non basta: "La equiparazione delle riprese visive alle attività di intercettazione rappresenta un grave danno per la lotta al crimine. Con queste norme non saranno possibili riprese visive per identificare gli autori di rapine in banca, spaccio di stupefacenti nelle piazze, violenza negli stadi, assenteismo nei pubblici uffici".

Anziché ricercare un "punto di equilibrio tra esigenze investigative, tutela della riservatezza delle persone e diritto alla informazione", governo e Parlamento - lamenta l’Anm - "sacrificano del tutto le esigenze investigative e il diritto di informazione". Un quadro ancora più preoccupante se letto insieme alla riforma del processo penale in discussione in Senato; una proposta che "non introduce le riforme necessarie ad assicurare l’efficienza del processo e la sua ragionevole durata, ma addirittura inserisce nuovi, inutili formalismi, che determineranno un ulteriore allungamento dei tempi del processo".

Non più tenera è l’opposizione. Che si rivolge direttamente al presidente della Repubblica: "Stavolta la misura è davvero colma". Pd, Idv e Udc si mettono insieme e scrivono a Giorgio Napolitano per esprimere il "proprio disagio" contro il ddl intercettazioni e contro "questo modo di legiferare della maggioranza, di fatto un mercato delle vacche" tra Lega e Pdl.

Il voto di fiducia sul provvedimento, assicura il capogruppo del Pd Antonello Soro, "ha come unico obiettivo impedire una libera espressione da parte dei parlamentari della maggioranza". "L’Udc è molto gelosa della sua specificità di opposizione - aggiunge il Vice Capogruppo Vietti - ma stavolta la situazione è tale che occorre un’azione congiunta per far capire ai cittadini quanto la situazione stia diventando pericolosa. E noi chiediamo a Napolitano di valutarla bene questa situazione per capire se non ci sia un rischio per gli equilibri costituzionali".

Crotone: detenuto 32enne suicida, era in carcere da 1 settimana

 

Ansa, 11 giugno 2009

 

Antonio Chiaranza, 32 anni, si è tolto la vita impiccandosi nella cella della Casa Circondariale di Crotone nella quale era detenuto da qualche giorno dopo l’assassinio della moglie.

Antonio Chiaranza, 32 anni, si è tolto la vita impiccandosi nella cella della Casa Circondariale di Crotone nella quale era detenuto da qualche giorno dopo l’assassinio della moglie Raffaella Giuseppina Gentile, insegnante di 37 anni, nella loro abitazione di Pallagorio.

L’uomo, che già il mattino successivo aveva confessato il delitto e per questo era stato sottoposto a fermo, era rinchiuso da solo in una delle celle del "transito", il settore nel quale i detenuti al loro arrivo in carcere rimangono per qualche tempo in attesa di essere trasferiti.

Chiaranza, sempre sorvegliato a vista dagli agenti di polizia penitenziaria, questa notte ha approfittato del momento in cui le guardie controllavano gli altri reclusi, e si è impiccato con le lenzuola della sua branda. L’uomo, evidentemente, non ha retto al rimorso per quanto aveva fatto una settimana prima, quando aveva ucciso la moglie con dodici coltellate, una delle quali alla gola, mentre i due figlioletti, di 3 e 4 anni, dormivano nella stanza accanto. L’uomo, aveva raccontato agli inquirenti, era stato colto da un raptus sospettando un tradimento della moglie ma anche per alcune parole umilianti che la donna avrebbe proferito nei suoi confronti a causa dell’incapacità di trovarsi un lavoro.

Napoli: la Procura chiede a Dap trasferimento di detenuti al nord

 

Agi, 11 giugno 2009

 

"Spero che il Ministero e il Dap provvedano al più presto al trasferimento nelle carceri del nord più libere, soprattutto di quei detenuti che non devono stare necessariamente a Napoli". Lo ha detto, a margine dell’incontro con la stampa per gli arresti nel clan Vollaro, il procuratore capo di Napoli Giandomenico Lepore, commentando la situazione di sovraffollamento delle carceri napoletane, in particolare dell’istituto di pena di Poggioreale. Il procuratore ha aggiunto che è una situazione che deve essere risolta rapidamente, soprattutto in vista dell’estate, "ma che certo noi non possiamo smettere di arrestare perché Poggioreale è pieno". "La soluzione sta nei trasferimenti - ha ribadito il sostituto della Dda Rosario Cantelmo - non certo nell’indulto".

Venezia: emergenza sanità; c’è solo un medico tre ore al giorno

di Silvia Zanardi

 

La Nuova di Venezia, 11 giugno 2009

 

Troppi detenuti aumentano il rischio di infezioni virali, scabbia e Hiv all’interno del carcere. Con la crisi, la chiusura delle piccole imprese - dove è impiegato il 70 per cento degli immigrati regolari - il mancato rinnovo di contratti e il conseguente aumento della clandestinità, la situazione è destinata ad aggravarsi.

Lo dice la Cgil, che riflette sulla necessità di potenziare - all’interno del carcere di Santa Maria Maggiore - almeno i servizi sanitari, che da ottobre sono di competenza del distretto sanitario 1 di Cà Giustinian e non più del Ministero di Giustizia. I detenuti, che nei giorni scorsi hanno protestato contro il sovraffollamento, sono 310: il triplo rispetto alla capienza del carcere.

"Il 6 marzo, in una cella, un detenuto marocchino di 30 anni si è impiccato - ricorda Salvatore Lihard, segretario confederale Cgil - questo ci deve far pensare a come si sarebbe potuta evitare una morte del genere. Il carcere maschile è sovraffollato, ci sono troppi detenuti e, in proporzione, pochi agenti di vigilanza e servizi sanitari che, per quanto presenti, non sono sufficienti a tenere sotto controllo la situazione".

Il Provveditore per i penitenziari del Triveneto, Felice Bocchino, ha già parlato di tagli all’amministrazione penitenziaria pari a 133 milioni di euro e gli agenti penitenziari sono sotto di almeno 40 unità. Il servizio sanitario della Asl 12, come spiegato dai medici, si svolge regolarmente ogni giorno con l’assistenza di medicina generica ogni mattina per 3 ore, ed infermieristica dalle 8 alle 20. Ma per le visite generiche c’è un solo medico a disposizione Poi, in base alle segnalazioni, intervengono dermatologo, psichiatra, infettivologo e odontoiatra.

Del virus dell’Hiv, dicono i medici dell’Asl al servizio dei detenuti, soffrono specialmente gli italiani, tossicodipendenti nella maggior parte dei casi, che vengono seguiti dal servizio del Sert. Sono state talvolta riscontrate epatiti, solo un caso di tubercolosi grave, ma si sono già verificati casi di scabbia.

"Il servizio sanitario, con un solo medico presente, non è sufficiente - dice Lihard - specialmente ora che sempre più immigrati regolari perdono il lavoro e, dunque, il permesso di soggiorno. Dovremo far fronte ad un grande aumento di clandestini, a un ulteriore affollamento del carcere e al moltiplicarsi dei batteri in spazi ristretti, che fanno ammalare loro e il personale addetto alla vigilanza".

Altro capitolo, in tema di sanità, è la mobilità di medici e infermieri dal distretto 1 alla casa circondariale: "Troppo spesso - continua il segretario - viene a sproposito impiegato del personale, già in grave carenza, per trasportare, in barca, i detenuti dal carcere al distretto per effettuare le visite. È un’assurdità, oltre che uno spreco di denaro".

E il disagio sarebbe ancor maggiore di notte: "Se un detenuto sta male e deve essere portato in ospedale, si toglie personale di guardia all’interno del carcere". Ciò a cui punta il sindacato, inoltre, è la presenza di un reparto ospedaliero riservato ai detenuti. "Con un tale affollamento, l’azienda sanitaria dovrebbe mettere a loro disposizione un reparto all’interno dell’Ospedale - dice ancora Lihard - considerato anche che sono soggetti sotto continua sorveglianza degli agenti e, per questo, non dovrebbero essere curati insieme agli altri pazienti".

Roma: 89enne, scarcerato per salute, vuole tornare in Canada

 

Ristretti Orizzonti, 11 giugno 2009

 

Gravemente ammalato, a 89 anni - gli ultimi dieci dei quali passati a Regina Coeli e Rebibbia per un duplice omicidio commesso, in tarda età, in Calabria - ha avuto la pena sospesa per incompatibilità con il regime carcerario. Ora, da quattro mesi, senza casa e affetti, attende che sia autorizzata l’estradizione in Canada, dove vivono i familiari, per trascorrere serenamente l’ultimo periodo della sua vita. Protagonista della vicenda - segnalata dal Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni - un detenuto calabrese di 89 anni Antonino P.

Nato in Calabria nel 1921, emigrato negli anni 50 in Canada in cerca di fortuna, Antonino è stato arrestato nel 1997 per un duplice omicidio, commesso già in età avanzata, legato a questioni patrimoniali. "L’uscita dal carcere lo scorso febbraio per motivi di salute - ha detto il Garante - ha segnato l’inizio di una odissea. Senza documenti, né alloggio, né riferimenti familiari, quest’uomo, che chiamava casa il carcere di Rebibbia, si è trovato di colpo perso con serie ripercussioni psicologiche".

Vista l’età avanzata in carcere Antonino aveva una cella con il campanello: negli anni aveva socializzato con i detenuti e con il personale che garantivano anche un controllo sulla sua salute. Fuori dal carcere l’uomo si è trovato senza sistemazione, né cure mediche indispensabili. Con una carta d’identità italiana scaduta nel 1957, per i servizi territoriali era, infatti, inesistente. Per questo il Garante si è adoperato con il Comune di Roma per assicurare all’uomo un documento d’identità necessario per iscriverlo al Servizio Sanitario Regionale.

Antonino ha vissuto gli ultimi mesi - in attesa di un passaporto per tornare in Canada dove finirà di sconterà la pena in un carcere - tra Caritas, ospedali, centri di accoglienza e strutture onlus. Una situazione, questa, paradossale se si pensa che il Ministro della Pubblica Sicurezza canadese, Peter Van Loan, ha approvato il suo trasferimento ed ha inviato il relativo decreto al Ministero di Giustizia italiano oltre un mese e mezzo fa. Per far tornare Antonino, anche se in carcere, in Canada dove vivono i familiari, manca solo il nulla osta del Tribunale di Reggio Calabria.

"Ha 89 anni ed è gravemente ammalato: non credo che quest’uomo possa più nuocere alla società - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni. Noi, come ufficio, abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per consentirgli di vivere dignitosamente questi mesi di attesa. Ora spero che chi di dovere faccia in fretta. Autorizzarlo a tornare in Canada, peraltro ad espiare in carcere il suo fine pena, non sarebbe un atto di debolezza da parte dello Stato ma solo un gesto di umana pietà".

 

L’Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio

Brindisi: agenti penitenziari protestano, organico è insufficiente

 

www.senzacolonne.it, 11 giugno 2009

 

In stato di agitazione i poliziotti penitenziari del carcere di Brindisi: a breve sarà aperto un nuovo padiglione ma l’organico non sarà incrementato. Più detenuti ma pochi poliziotti, quindi, una situazione inammissibile. Nella mattinata di ieri ha avuto inizio una protesta "pacifica" da parte degli uomini della polizia penitenziaria davanti alla sede della casa circondariale brindisina, ubicata in via Appia. Si chiede l’intervento degli organi competenti affinché, insieme all’apertura di una nuova sezione, siano inserite nuove unità nell’organico oppure siano rimandate a Brindisi le 60 unità che diversi anni fa furono destinate ad altre carceri per la chiusura temporanea della casa circondariale brindisina.

"Nella giornata di ieri ci hanno informato che a breve verrà riaperto un reparto chiuso cinque anni fa ma non ci hanno confermato la contemporanea assunzione di nuovo personale - spiega Claudio Foggetti, segretario provinciale della Federazione Nazionale della Sicurezza Cisl e poliziotto penitenziario - far arrivare a Brindisi nuovi detenuti senza il personale addetto al loro controllo significherebbe mettere a rischio la sicurezza di poliziotti e cittadini.

Oltre tutto, poi, si è deciso di rimettere in funzione reparti non agibili e privi di ogni comfort e lasciare chiusi, invece, quei locali che furono ristrutturati diversi anni fa ma che non sono mai stati messi a disposizione della casa circondariale brindisina. Una vera e propria incongruenza". Al momento nel carcere di Brindisi sono reclusi 160 detenuti il cui controllo è affidato ad altri e tanti poliziotti che si dividono in turni e in altri compiti istituzionali come, ad esempio, accompagnare i carcerati in tribunale o trasportarli in altri istituti. Lavorano già sotto organico rispetto alle necessità e si ritrovano continuamente a dover affrontare situazioni poco piacevoli, come i tentati suicidi o le diverse malattie di cui spesso si soffre stando in carcere. Accogliere nuovi detenuti con lo stesso organico significa dover far fronte a una vera e propria situazione di emergenza.

Firenze: nell’Opg di Montelupo videogame a scopo terapeutico

 

Redattore Sociale - Dire, 11 giugno 2009

 

I detenuti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario fiorentino potranno giocare con la console Nintendo Wii a fini terapeutici grazie a "Dritto e Rovescio", progetto vincitore del bando "Percorsi di Innovazione" 2009, organizzato da Cesvot.

La console Nintendo Wii entra nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino, in questi giorni al centro delle polemiche in seguito alla denuncia di sovraffollamento da parte della senatrice Donatella Poretti. Grazie al progetto Dritto e Rovescio, uno dei progetti vincitori del bando "Percorsi di Innovazione" 2009 organizzato da Cesvot (Centro Servizi Volontariato Toscana), la struttura penitenziaria ha deciso di introdurre all’interno dell’istituto il gioco tecnologico a fini terapeutici. Si tratta di un progetto sperimentale unico in tutta Italia.

Dopo i militari feriti in Iraq, tocca ai detenuti dell’Opg di Montelupo utilizzare la console di gioco per sviluppare gli stimoli cognitivi che la console grazie ai suoi giochi riesce a dare. L’ambito su cui il progetto agirà è il possibile uso e beneficio che la Wii potrà avere sui detenuti, in particolar modo su quelli che devono necessariamente essere sedati. La speranza è quella di riuscire a stimolare e mantenere vigili le funzioni cognitive e percettive.

Il progetto è stato ideato dall’Associazione "I Lupi del Monte" di Montelupo Fiorentino. L’idea è quella di introdurre all’interno dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, uno dei sei presenti in tutta Italia, la console di gioco Wii. Si tratta di un progetto sperimentale ed ambizioso che nasce dall’esigenze di riuscire a superare le difficoltà oggettive di un luogo come un ospedale giudiziario.

Le limitazioni e l’impossibilità spesso ad uscire all’aperto hanno portato i volontari dell’associazione, nata all’interno dell’istituto stesso, a inventare un progetto che potesse coinvolgere i detenuti stimolando i movimenti, le loro attività fisiche e attivando le capacità motorie celebrali soprattutto dei degenti necessariamente sedati. Un modo nuovo di vivere ed intendere un oggetto ludico di grande consumo soprattutto cogliendone delle possibili finalità terapeutiche. La console sarà utilizzata quando per cause meteorologiche o per questioni di sicurezza non sarà possibile fare attività all’aperto e per superare i problemi legati alla mancanza di spazi adeguati all’interno.

Roma: Festa della Musica; i detenuti di Rebibbia eseguono Vivaldi

 

Il Velino, 11 giugno 2009

 

Le musiche del Magnificat di Antonio Vivaldi varcano le porte del carcere di Rebibbia. E nel coro polifonico che accompagnerà l’orchestra ci saranno anche alcuni detenuti della Casa Circondariale. È con un concerto sui generis che il penitenziario romano celebrerà la Festa della musica, l’evento che ogni anno celebra con celebra il solstizio d’estate.

Un’iniziativa non nuova, tuttavia, per il complesso di Rebibbia, che da un decina d’anni vanta un laboratorio polifonico che alla fine dell’anno si esibisce in uno spettacolo in cui confluiscono anche compagini esterne. Quest’anno insieme ai reclusi sul palco saliranno infatti anche i volontari del coro Cima, dell’associazione Panharmonikon, la Schola Cantorum della Basilica di San Clemente e il coro del centro diurno Villa Lais, che annovera al suo interno pazienti psichiatrici.

In tutto, una sessantina di persone, più 22 componenti dell’orchestra. Un’esperienza, quella di offrire la possibilità di coltivare la musica classica, unica nel panorama carcerario nazionale. A guidare il laboratorio polifonico dal 2003 è un 38enne di Acerra, diplomato a Santa Cecilia, da anni impegnato a diffondere e insegnare i grandi compositori in ambienti insoliti o difficili. Come l’esordio, nel 2005, alla discoteca Linux club con la sinfonia n. 40 di Mozart e la Quinta di Beethoven, spettacolo poi replicato allo Snia Viscosa, centro sociale romano del Prenestino. In quell’occasione si mobilitò perfino Radio onda rossa, la "voce" degli antagonisti della Capitale, che trasmise in diretta tutto il concerto, abbandonando la consueta programmazione tutta reggae.

Eppure, assicura Puopolo al Velino, è proprio quella del carcere l’esperienza umanamente più formativa. "Ma senza sentimentalismi, perché metto subito le cose in chiaro, specificando che vado a Rebibbia non perché ci sono i detenuti ma per proporre il laboratorio. Non faccio gesti di carità, chi vuole partecipa: sono come un medico, non è che solo perché sono presente qualcuno si deve ammalare.

A volte le situazioni sono difficili, perché non siamo all’oratorio, ma è comunque bello vedere come molti, che all’inizio nemmeno sanno cosa sia un coro polifonico, riescano a progredire solo con l’impegno - prosegue -. La musica ha tanti vantaggi: essendo una lingua e non un linguaggio abbatte le barriere etniche e poi di fronte al latino del Magnificat siamo tutti stranieri. Quest’anno, per esempio, hanno partecipato un romeno, un tunisino e un nigeriano che non parlano l’italiano ma riuscivano a intendersi alla perfezione".

"Il recupero della persona ha tante componenti e questa è una buona occasione per fare buone cose e insieme impiegare bene il tempo - afferma il direttore del carcere di Rebibbia, Carmelo Cantone. Ma abbiamo tante attività per i 1.500 clienti del complesso: laboratori teatrale al reparto alta sicurezza e reclusione, attività lavorative con datori esterne, formazione e collaborazioni con aziende importanti come Telecom o Società Autostrade". Per immortalare il concerto, il Magnificat di Rebibbia sarà registrato secondo le licenze Creative Commons e poi pubblicato sul web attraverso il progetto Wikimedia, che renderà possibile scaricarlo gratuitamente agli utenti della rete. E per una volta i detenuti avranno modo di "cantare" liberamente senza timore di ritorsioni.

Milano: il musical dei detenuti come raccolta fondi per l'Abruzzo

 

Ansa, 11 giugno 2009

 

I detenuti del carcere milanese di "Opera", scendono in campo per l’Abruzzo, organizzando un musical per raccogliere fondi in favore delle "vittime" del terremoto. Lo spettacolo andrà in scena il 12 e il 13 giugno prossimi davanti a un pubblico che per la prima volta sarà esterno. Dal titolo "I 10 mondi", il musical è stato preparato con la collaborazione della cantautrice Isabeau che ha scritto il testo e vedrà" protagonisti attori e cantanti speciali: i reclusi del reparto Alta sicurezza del carcere milanese. L’iniziativa è stata patrocinata dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia. L’incasso dello spettacolo sarà" devoluto al comune di San Demetrio, in provincia de L’Aquila, per la ricostruzione del parco sportivo. L’appuntamento è alle 20.30 al teatro del carcere Opera di Milano.

San Gimignano (Si): la nuova esperienza di teatro tra i detenuti

 

Ansa, 11 giugno 2009

 

Torna l’annuale rappresentazione ad opera dei detenuti attori del carcere di Ranza a San Gimignano. Una nuova iniziativa, dunque, nel programma che da tempo caratterizza in Valdelsa l’attività dell’associazione Clover.

Sabato prossimo, 13 giugno, a partire dalle 9, un gruppo di quindici detenuti dell’alta sicurezza metterà in scena "La giara", una pièce tratta dalla celebre novella di Luigi Pirandello che ha conosciuto diverse trasposizioni anche a livello cinematografico e che adesso viene riadattata da Folco D’Amelio per la regia di Alessandro Scavone. Ancora una volta, dunque, i detenuti di Ranza si cimentano nei progetti di carattere culturale con il fondamentale sostegno di Clover.

L’associazione presieduta da Annamaria Giorli ha saputo dare vita negli anni a una serie di importanti collaborazioni fino a ricevere anche dei prestigiosi riconoscimenti proprio per il lavoro compiuto insieme con i detenuti e con alcuni attori e registi di professione. "Ringraziamo anche la Polizia penitenziaria - spiega la presidente Annamaria Giorli - perché ci fornisce sempre un notevole aiuto, pur nelle fasi di disagio dovute alle carenze nell’ organico". L’appuntamento di sabato mattina nella casa di reclusione di Ranza si avvale del contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra e del patrocinio delle amministrazioni comunali di Colle e di San Gimignano.

Immigrazione: Unhcr; per i media italiani immigrato=criminale

 

Redattore Sociale - Dire, 11 giugno 2009

 

Il mea culpa dell’informazione nel consolidare pregiudizi durante un incontro tra Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e Aldo Maria Valli del Tg1.

Se romeni e marocchini sono tutti stupratori è colpa della stampa e della tv? Pare di sì. "Il sistema dell’informazione italiana ha bucato - come si dice in gergo giornalistico per dire non avere la notizia o averla sbagliata - l’immagine dell’immigrazione nel nostro Paese", restituendo ai cittadini solo un lato della medaglia: "gli stranieri sono una minaccia per la sicurezza".

Un’affermazione che arriva da Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Unhcr (l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite), ma che è stata ribadita anche da Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e da Aldo Maria Valli del Tg1-Rai.

"Se la Lega è il partito delle persone spaventate è colpa anche dei media", ha detto Stella. Il mea culpa dell’informazione italiana scaturisce dall’incontro "Non sono razzista ma… lo dice anche la tv" organizzato dal Centro Astalli, servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, che si è svolto ieri sera a Roma in occasione della Giornata mondiale del rifugiato in programma il 20 giugno.

"Se prevale la politica dei luoghi comuni, quella delle emozioni e non della realtà, è perché la televisione gioca un ruolo determinante: racconta solo i fatti più eclatanti di cronaca - ha detto Aldo Maria Valli -. Ma così facendo consolida gli stereotipi e i pregiudizi".

E allora i "clandestini sono tutti delinquenti, gli zingari tutti ladri e i musulmani tutti terroristi", recitano alcuni slogan del Centro Astalli. "Secondo una ricerca del Censis, nel 57% dei casi le notizie che in tv riguardano gli stranieri sono legate al discorso criminalità/illegalità mentre nel 13% dei casi riguardano l’assistenza o la solidarietà", ha continuato il giornalista del Tg1. Ma la realtà è un’altra: "Il 70% delle violenze alle donne, ad esempio, viene fatto da persone conosciute o parenti, non da romeni", ha spiegato la portavoce italiana dell’Unhcr.

"Nella televisione degli esperti, dove sono i cittadini stranieri quando si parla di immigrazione? - si è chiesta Laura Boldrini -. Vorremmo, da parte dei media, più disponibilità ad essere ascoltati, al di là dei litigi che si vedono e si sentono nei talk-show, e più attenzione nel linguaggio. Se un ragazzino di 10 anni viene mandato dalla madre in un altro Paese perché nel suo rischia morte certa, e fa un viaggio della speranza che dura 9 anni, avrà qualcosa da raccontare, no? E anche i politici dovrebbero stare a sentire queste storie di rifugiati".

Secondo il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha fatto arrivare un messaggio durante l’incontro di ieri sera, "occorre potenziare l’accoglienza e la collaborazione con il Centro Astalli, coinvolgere tutte le forze sociali e ragionare con gli altri Stati su quali sono i motivi delle migrazioni, agendo non solo sui respingimenti alle frontiere". Ma per uscire dagli stereotipi, più o meno razzisti, "serve anche uno sforzo culturale", ha concluso il giornalista del Corriere della sera.

Immigrazione: le Associazioni; rivedere l’accordo tra Italia e Libia

 

www.unimondo.org, 11 giugno 2009

 

"Chiediamo che sia rinegoziato l’accordo tra Italia e Libia sull’immigrazione perché mancano garanzie sui diritti umani". Lo ha affermato il portavoce di Amnesty International per l’Italia, Riccardo Noury, intervenendo ieri alla manifestazione "Io non respingo" in piazza Farnese. "Lo stato italiano, con il respingimento di 500 immigrati in Libia ha già violato i principi internazionali in materia di diritti umani" - ha spiegato Noury. "Abbiamo rilevato gravi violazioni dei principi internazionali in materia di diritti umani degli immigrati che coinvolgono sia l’Italia nella fase di respingimento che la Libia nella detenzione".

"Il primo ministro Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi stanno costruendo il loro accordo di amicizia a spese di individui, di altri paesi, ritenuti sacrificabili da entrambi" - ha detto Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch, nel giorno della visita del leader libico in Italia. L’associazione Human Rights Watch denuncia da tempo le violazioni dei diritti dei migranti nei centri di detenzione libici e le complicità della polizia libica con i trafficanti. Riguardo al "Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia" - firmato l’anno scorso a Tripoli da Berlusconi e Gheddafi e ratificato - nonostante le numerose critiche delle associazioni umanitarie - lo scorso febbraio, Bill Frelic ha aggiunto che "Più che un trattato di amicizia si direbbe uno sporco accordo per permettere all’Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi".

Ieri in occasione della visita in Italia del leader libico Muammar Gheddafi, le associazioni Fortress Europe e Melting Pot hanno promosso a Roma e in numerose città italiane diverse manifestazioni e iniziative per promuovere l’appello "Io non respingo" e per protestare contro i respingimenti, il Trattato Italia-Libia e a favore della tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

Per l’occasione, l’ampio cartello di Associazioni del Tavolo Asilo ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, "per chiedere attenzione verso i diritti umani e il diritto d’asilo, il quale risulta profondamente a rischio a seguito della politica perseguita dall’Italia nel Mediterraneo".

Nella lettera aperta, le associazioni esprimono "profonda preoccupazione e rammarico per la mancanza di trasparenza" che ha caratterizzato le operazioni di effettuate dalla Marina militare italiana che ha ricondotto forzatamente in Libia alcune centinaia di persone, 471 secondo quanto riferito dal Ministro dell’Interno durante un’interrogazione parlamentare.

Nella lettera le associazioni - tra cui il Centro Astalli del Jesuit Refugees Service (Jrs), il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), Amnesty International e la Società italiana di medicina delle migrazioni - sottolineano che numerose convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, ma anche il Testo unico sull’immigrazione nella legislazione italiana, "vietano le espulsioni, i respingimenti e ogni forma di rinvio, diretto o indiretto, verso luoghi nei quali esista un serio rischio che le persone rinviate possano essere vittime di tortura, persecuzione, altre gravi violazioni dei diritti umani e conflitti armati o condizioni di violenza generalizzata".

Le associazioni firmatarie evidenziano infine che "nonostante le ripetute richieste di trasparenza, non sono stati resi pubblici gli accordi tecnici in materia d’immigrazione stipulati tra Italia e Libia negli ultimi anni". La nota del Tavolo Asilo si conclude con un appello affinché sia "assicurata una prassi basata sul soccorso, la prima accoglienza e l’identificazione dei gruppi vulnerabili tra cui i richiedenti asilo, le vittime di tratta e i minori e che i migranti intercettati vengano portati a terra in Italia dove possano essere identificati, presentare richiesta di protezione internazionale e ricevere adeguate cure mediche, con un’analisi dei casi individuali svolta in conformità con le norme vigenti".

Immigrazione: "io non respingo", a scuola nessuno è clandestino

 

Melting Pot, 11 giugno 2009

 

Il Comitato genitori e insegnanti per la scuola pubblica di Padova aderisce alla campagna nazionale contro i respingimenti "Io non respingo", promossa dal 10 al 20 giugno 2009 in decine di città italiane, in occasione della visita di Gheddafi in Italia.

Lunedì 15 giugno 2009 è in programma un momento informativo e di approfondimento aperto a tutti presso il Cinema Torresino, via del Torresino - Padova, promosso in collaborazione con il circolo the Last Tycoon.

Alle ore 21.00 ci sarà la proiezione del film-documentario "Come un uomo sulla terra" di Riccardo Biadene, Andrea Segre, Dagmawi Yimer. "Come un uomo sulla terra" è un viaggio di dolore e dignità, attraverso il quale viene data voce alla memoria quasi impossibile di sofferenze umane, rispetto alle quali l’Italia e l’Europa hanno responsabilità che non possono rimanere ancora a lungo nascoste. Alla proiezione seguirà una discussione con Annalisa Frisina e Devi Sacchetto, ricercatori presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova e con insegnanti e genitori impegnati sui temi dell’accoglienza a scuola.

Io non respingo, a scuola nessuno è clandestino e all’università non si laureano i dittatori! Promuoviamo questa iniziativa per proporre una riflessione sui temi dei respingimenti e più in generale dell’immigrazione, perché riguardano da vicino la scuola.

La questione dei respingimenti ci ha toccati tutti in queste settimane. Chi conosce quale destino attende i migranti e i rifugiati respinti al largo di Lampedusa e imprigionati nelle carceri libiche, non può rimanere indifferente e complice. In Libia ogni giorno centinaia di persone in fuga dalla guerra o dalla miseria provenienti da ogni parte dell’ Africa vengono arrestati, torturati, venduti e rivenduti come schiavi con la complicità delle autorità locali, qualche volta lasciati al loro destino sulle carrette del mare, infine bloccati e riaccompagnati nei centri di detenzione libici.

In questi giorni vediamo accogliere con tutte le onorificenze Gheddafi, un dittatore che governa il proprio paese in maniera dispotica. Una università italiana, con una apposita delibera, addirittura lo ha proposto per il conferimento di una laurea ad honorem in diritto. Baci e abbracci in nome di accordi bilaterali che violano la legalità internazionale, nascondono ipocritamente una triste e pesante realtà di violenza e negazione di diritti, rispondono a chiari interessi di potere.

Pensiamo che i respingimenti siano solo uno degli aspetti di una politica che non si fa scrupolo di fomentare paure, alimentare diffidenze, creare allarme, per poi "mostrare i muscoli" offrendo ai propri cittadini lo spettacolare respingimento dei barconi in nome del mito della "sicurezza".

Vista "da scuola" la questione ci fa riflettere. A scuola viviamo e tocchiamo con mano le scelte del governo italiano di togliere risorse all’istruzione e diminuire le opportunità formative e di crescita per i bambini di oggi, cittadini di oggi e di domani: il primo dei tre anni di tagli previsti lo sperimenteranno i nostri figli e alunni già dal prossimo settembre 2009.

A scuola viviamo un clima culturale che vorrebbe alimentare pregiudizi e osserviamo una classe politica inventarsi delle improbabili motivazioni "pedagogiche" per approvare in parlamento una mozione per "isolare" i bimbi immigrati in apposite "classi" allo scopo di "insegnare loro l’italiano"

A scuola tocchiamo gli effetti di questo clima sulla pelle dei ragazzi quando un dirigente scolastico chiede pubblicamente a uno studente il permesso di soggiorno o quando si vorrebbero chiamare tutti i funzionari di pubblico servizio - e quindi anche gli insegnanti - a denunciare i figli di immigrati irregolari.

Vediamo un paese che invecchia, che si riduce demograficamente. Pensiamo che nel mondo la solidarietà, la cooperazione e la legalità internazionale possano costruire qualcosa di migliore di quanto non possano fare le politiche dei muscoli e gli interessi di potere.

Pensiamo che gli immigrati siano una risorsa per il nostro paese e che i loro figli sono bambini come i nostri. Bambini che vivono, giocano e studiano insieme. Basta fare un giro per le nostre scuole per capire il valore aggiunto e la ricchezza di questo crescere insieme.

A scuola vediamo una bambina africana spiegare le parole con le doppie ad un bambino veneto o un bambino filippino ballare una samba brasiliana nella festina di fine anno. Sentiamo nostro figlio tornare a casa e dirci "Sai, abbiamo un nuovo compagno di classe, è rumeno e non parla italiano. Ma noi glielo stiamo insegnando!".

É semplice. É nei banchi di scuola che si coltiva e si costruisce la sicurezza, la condivisione, il rispetto. Scuola, diritti e istruzione oggi significano coltivare un futuro libero dalla paura e dalla disperazione. E in quanto genitori e insegnanti, impegnati nell’educare e crescere i nostri bimbi, non abbiamo dubbi: il futuro non è nelle politiche della paura e dei tagli di bilancio all’istruzione ma nel dare forza e risorse alla scuola, alle nuove generazioni, all’accoglienza.

Per questo aderiamo alla campagna "Io non respingo". Per questo sottoscriviamo la lettera di centinaia di docenti italiani contro la laurea ad honorem al dittatore libico Gheddafi. Per questo vogliamo manifestare il nostro dissenso, per non rimanere indifferenti, e per essere migliori di chi ci rappresenta. Per questo continueremo a batterci, per una scuola di qualità, di tutti e per tutti.

Per una scuola capace di accogliere e di condividere. Un bacio ugandese, un abbraccio filippino e una stretta di mano rumena!

 

Comitato genitori e insegnanti

per la scuola pubblica di Padova e provincia

Immigrazione: decreto del 1931, e il metrò non assume immigrati

di Luigi Ferrarella

 

Corriere della Sera, 11 giugno 2009

 

Ai sociologi, oltre che frugare nella spazzatura o studiare l’architettura urbana, di questo passo converrà calarsi come speleologi nelle viscere di umori profondi disvelati dalla quotidianità spicciola di talune memorie difensive nei procedimenti giudiziari.

Un giorno in Tribunale a Milano si alza l’avvocato civilista della grande assicurazione: e, per cercare di ridurre l’indennizzo da liquidare ai familiari di un egiziano investito da un italiano, argomenta che "il risarcimento dovrebbe ispirarsi a criteri diversi a seconda che sia un cittadino straniero che vive in prestigiose città europee o in scenari africani", e ciò a motivo della "diversità del costo della vita".

Un altro giorno si alzano i legali di un organismo di diritto pubblico come l’Azienda di trasporto pubblico milanese (Atm): e, tra le ragioni per sostenere che tre leggi non abbiano implicitamente abrogato il Regio decreto del 1931 che impone la cittadinanza italiana (oggi europea) per essere assunti, trovano pertinente rimarcare che il trasporto "involge delicati aspetti di sicurezza pubblica ed è particolarmente esposto a rischi di attentati", e quindi valorizzare "la notizia proprio di questi giorni sui giornali di 5 terroristi maghrebini che avrebbero organizzato un attentato nella metropolitana milanese prima delle elezioni del 2006".

Come se la sicurezza dei bus dipendesse dalla nazionalità di chi li guida. Nonostante già ogni giorno, in analoghe aziende pubbliche, lavoratori stranieri puliscano treni, carichino bagagli sugli aerei, guidino camion di nettezza urbana. E a dispetto perfino del fatto che il presidente stesso dell’Atm in marzo avesse definito "antistorico" e "da rivedere" il Regio decreto.

Ma sarebbe del resto inutile inforcare gli occhiali della razionalità per leggere la tesi delle "gabbie risarcitorie del dolore" o l’evocazione dell’emergenza terroristica pure alla guida del tram. Lì dentro, al di là delle intenzioni degli estensori, le carte forensi respirano l’aria che tira, nella quale maturano talune norme sull’immigrazione o certe dichiarazioni politiche sui sedili di bus da riservare ai milanesi doc. Urge una Rosa Parks (in toga da avvocato o magistrato che sia), che, almeno sul bus della giustizia, si rifiuti di cedere il posto del buon senso.

India: mio figlio detenuto... processo inverosimile e diritti violati

di Giulio Sardi e Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 11 giugno 2009

 

Angelo Falcone e Simone Nobili sono detenuti in India da più di due anni, dal marzo del 2007. Ne abbiamo parlato di recente, quando abbiamo raccontato anche un’altra drammatica storia di un cittadino italiano detenuto all’estero. Allora tacemmo volutamente il Paese di detenzione. Oggi, dopo che è stato raccontato durante la puntata de Il tuffatore andata in onda giovedì scorso su Radio Popolare Roma da Simona Filippi, avvocato che lavora presso gli uffici del Difensore civico dei detenuti dell’associazione Antigone e che in prima persona si è occupata del caso, possiamo dire che si tratta dell’Ecuador. Ma torniamo all’India.

Nell’agosto del 2008, Angelo e Simone sono stati condannati in primo grado a dieci anni e di carcere e al pagamento di una multa per detenzione e spaccio di hashish. Sia l’accusa che la difesa hanno chiesto di andare in appello, la prima perché vuole addirittura una pena maggiore. La famiglia di Angelo si è affidata a uno dei più noti studi legali di Nuova Delhi, che di recente ha avuto l’assoluzione di quattro ragazzi italiani in una situazione simile. Come possiamo immaginare, le spese legali sono altissime. Il tuffatore ha voluto contribuire a dare voce a queste storie di cittadini italiani detenuti all’estero, che di voce - come denunciano gli stessi protagonisti, che si sono organizzati in un’associazione dal nome Prigionieri del silenzio - ne hanno molto poca. Ecco cosa ci ha raccontato Giovanni Falcone, padre di Angelo.

 

Signor Falcone, sappiamo che lo scorso aprile è andato in visita da Angelo. Innanzitutto ci racconti in che condizioni ha trovato suo figlio.

Quando sono andato a trovare Angelo per la seconda volta, accompagnato dall’onorevole Elisabetta Zamparutti in visita ufficiale autorizzata dal Parlamento, mio figlio ha fatto presente che ancora oggi, a distanza di 26 mesi, dorme per terra su una coperta. In via del tutto eccezionale hanno concesso a lui e a Simone di non stare nel camerone ma in una cella da due. Una celletta di due metri e mezzo per due metri e mezzo. Mangiano solo una ciotola di riso con crema di lenticchie, che è il mangiare dei poveri. Queste sono le condizioni di vita. Questa è la situazione attuale.

 

È stata finalmente fissata la data dell’udienza per l’appello?

Sì, da pochissimo. Proprio una settimana fa mi hanno comunicato che i giudici, avendo preso visione della domanda presentata dai nostri avvocati per l’appello e avendo letto le motivazioni, pare abbiano immediatamente deciso il periodo dell’udienza. Momentaneamente, almeno, sappiamo il periodo: tra luglio e agosto di quest’anno.

 

Questa è una buona notizia, no?

Senz’altro. Il fatto stesso che il giudice, solo guardando agli atti con cui si chiedeva di fissare una data nel più breve tempo possibile, abbia deciso in questo senso lascia ben sperare. Basti pensare che quando sono stato in India ad aprile gli avvocati mi avevano detto che sarebbero stati contenti se la data fosse stata fissata per ottobre o novembre. L’averla addirittura anticipata potrebbe essere un segnale positivo. Speriamo.

 

Qual è la strategia difensiva? Che margini di legge ci sono?

Guardi, è tutto l’insieme dell’accusa che non regge. I ragazzi, entrambi incensurati, sono stati accusati di detenzione e di narcotraffico di 18 chilogrammi di ciaras. Il valore commerciale di questa maledetta droga, da un documento del 2004 che sono riuscito a trovare, era già allora di 20.000 euro al chilo. Mio figlio era la prima volta nella sua vita che andava in vacanza all’estero, la prima volta che usciva fuori di casa. Angelo e Simone avevano trovato alloggio in una casa privata nella quale dormivano e mangiavano per due euro al giorno. Vi pare possibile che due ragazzi che per vivere spendono due euro al giorno abbiano poi la possibilità di spenderne 360.000 per la droga? E ancora: la polizia ha asserito di averli fermati in macchina a tarda notte, a 650 chilometri da Nuova Delhi, insieme ad altre due persone, il proprietario della casa e un altro ospite. Afferma che erano diretti a Nuova Delhi per andare all’aeroporto e far rientro in Italia con i 18 chili di droga. Per percorrere 650 chilometri in India possono servire anche 20 ore di macchina e più.

 

Le sembra tutto inverosimile, insomma...

Sì, mi sembra tutto molto inverosimile. Se io fossi un narcotrafficante internazionale a quei livelli, non mi sarei sporcato le mani. Anche ammesso che avessi voluto visitare l’India, mi sarei fermato in un hotel lussuoso di Nuova Delhi, avrei vissuto quattro o cinque giorni tra donnine e champagne, mi sarei goduto la vita mentre gli altri lavoravano. Che ci voleva a trovare due pusher che per 50 euro mi portavano vagoni di droga? I ragazzi effettivamente dovevano far rientro in Italia, ma non il 9 marzo, come ha asserito la polizia, bensì il 16, come si legge sulla prenotazione aerea.

 

Lei ha sostenuto che nei confronti di Angelo e Simone si sono verificate gravi violazioni dei diritti umani.

Vi racconto come sono andate le cose al momento del fermo. Intanto va detto che Angelo e Simone hanno fatto un esposto-denuncia intestato all’ambasciata italiana di Nuova Delhi e che questo esposto sono riusciti a farlo recapitare con moltissimi problemi. Solo alla seconda o terza volta che lo hanno redatto, sono riusciti a consegnarlo nelle mani di un parente di Simone che era in India e che lo ha portato all’ambasciata. Le versioni precedenti date alla polizia sono state cestinate e mai inviate. I ragazzi hanno firmato questa dichiarazione, questa denuncia, nella quale dicevano che la polizia è intervenuta nell’abitazione dove alloggiavano la sera verso le dieci o le dieci e mezza, mentre erano intenti ad andare a letto. La polizia fa irruzione in casa e sottopone tutti gli astanti a perquisizione personale e degli effetti personali senza rinvenire alcunché. A quel punto Angelo e Simone vengono rinchiusi in una stanza per circa due ore, senza capirne il motivo e senza capire cosa stesse facendo la polizia fuori dalla stanza con le altre persone presenti.

 

E trascorse le due ore?

Tutti e quattro vengono portati in centrale di polizia e qui trattenuti per circa 24 ore. Angelo chiede più volte di poter comunicare con l’ambasciata o con me a casa. Faccio presente che sono un brigadiere dei carabinieri in pensione, ho comandato stazioni dei carabinieri, ho redatto atti giudiziari, so bene qual è l’iter. Cosa ancor più rilevante, ho prestato servizio per quattro anni presso l’ambasciata di Belgrado, per cui conosco bene tutti i meccanismi. Ecco perché Angelo voleva chiamarmi.

 

La mancanza di comunicazione è una delle violazioni che lei denuncia.

Certo. Nelle 24 ore in cui i ragazzi sono stati trattenuti in caserma, con modi fisicamente e psicologicamente coercitivi, Angelo ha chiesto ripetutamente di poter chiamare me o l’ambasciata per avvisare di quanto stava succedendo e la polizia glielo ha sempre impedito. E sapete cosa ha detto loro? Ha detto: abbiate ben chiaro che non farete nulla fino a che non ci firmerete questa dichiarazione. Era una dichiarazione preparata antecedentemente dalla sola polizia e scritta in lingua Indi, una lingua a loro sconosciuta.

 

Queste cose le ha fatte presente alle autorità italiane?

Certo, c’è una denuncia.

 

Sappiamo che ha scritto più volte anche al presidente della Repubblica. È vero?

Ho scritto a tutti.

 

Lei ha mosso accuse pesantissime alle autorità italiane. Quali erano le sue richieste? Cosa si aspettava che facessero?

Innanzitutto, se le autorità italiane presenti lì in India fossero intervenute immediatamente, uno o due giorni dopo, si sarebbero accorte che questi ragazzi erano trattenuti in stato di fermo. Infatti sono stati in caserma per tre o quattro giorni, fino al lunedì successivo, quando sono stati condotti davanti al giudice il quale ha confermato il fermo e l’arresto. Sono stati trattenuti nella centrale di polizia privi di ogni sostegno civile o giuridico e in violazione di tutti i diritti internazionali. Non è stato dato loro un avvocato (sono stati interrogati continuamente senza l’avvocato) e sono stati costretti a firmare la dichiarazione in lingua Indi senza la presenza dell’avvocato e senza quella di un interprete. Sono due violazioni gravissime.

 

E alle autorità che stanno in Italia cui lei si è rivolto cosa chiedeva?

Ho fatto presente tutte queste incongruenze. Ho fatto presente tutte queste violazioni. Ho fatto presente come sono stati trattati e come continuano a essere trattati.

 

Lei sperava in una ripercussione di tipo diplomatico?

Le autorità indiane non hanno mai dato avviso alle nostre autorità dell’avvenuto fermo di cittadini italiani né ovviamente delle motivazioni. Questa è un’altra violazione gravissima alla Convenzione di Vienna, già violata in precedenza, che tratta i rapporti tra Stati. Speravo in una ripercussione diplomatica perché quel che chiedo è giustizia per Angelo, per Simone, per tutti gli italiani che si trovano detenuti nel mondo. Abbiamo tutti gli stessi problemi: assenza, indifferenza e silenzio. Basti dire che io ancora oggi non riesco ad andare in una trasmissione televisiva seria, dove vorrei avere un confronto con le autorità politiche, con esponenti della magistratura, con giornalisti del settore. E vorrei far capire tutto quello che succede all’estero, tutto quello che non viene fatto e dovrebbe invece essere fatto. Tutto quello che poi, per paradosso, viene fatto per i cittadini stranieri qui in Italia. E io di questo sono orgoglioso. E lo ribadisco con forza: sono orgoglioso della democraticità del mio Paese, che fa questo per i cittadini stranieri che si trovano qui. Però pretendo che la stessa cosa sia richiesta con forza dallo Stato italiano agli altri Stati. Non chiedo niente altro se non che venga messo in atto un rapporto di reciprocità.

Albania: Ue; le carceri sono migliorate, ma rimangono problemi

 

Ansa, 11 giugno 2009

 

Il Comitato anti-tortura del Consiglio Europeo, ha pubblicato il rapporto sulla visita avvenuta nel giugno del 2008, sulle condizioni delle reclusioni nelle carceri in Albania. Secondo questo rapporto, il Paese ha fatto un progresso sensibile nella gestione dei centri di reclusione dei detenuti, prima di accedere al carcere vero e proprio, pur ammettendo l’esistenza di numerosi problemi.

Il Consiglio Europeo ha considerato che i miglioramenti nella gestione delle reclusioni si sono concentrati solamente in alcuni campi, ma c’è ancora molto da fare e molti problemi da risolvere. Secondo gli osservatori della delegazione, le reclusioni in Albania non sono più nelle stesse condizioni del passato, anche se restano insufficienti. Sono evidenti i casi di maltrattamento dei prigionieri e le pessime condizioni delle celle dei commissariati. Il Comitato anti-tortura del Consiglio Europeo ha raccomandato alle autorità albanesi di raddoppiare i fondi per la gestione dei prigionieri da parte della polizia, e di migliorare urgentemente le condizioni di vivibilità delle carceri.

Congo: moratoria apre la strada a abolizione della pena di morte

 

Ansa, 11 giugno 2009

 

La Conferenza contro la pena di morte nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), organizzata a Kinshasa da Nessuno tocchi Caino sotto l’Alto Patrocinio del Presidente dell’Assemblea Nazionale e del Presidente del Senato congolesi e con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, si è conclusa con l’annuncio da parte della Presidenza del Senato dell’avvio del processo legislativo volto ad abolire la pena di morte in Congo, stabilendo nel frattempo una moratoria legale delle esecuzioni.

Negli stessi termini si era espresso nel suo intervento inaugurale il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Evariste Boshab, secondo il quale le norme penali ordinarie vanno uniformate alla nuova Costituzione congolese che non prevede pi la pena di morte. A tal fine sono state gi depositate due proposte di legge al Senato e alla Assemblea Nazionale, rispettivamente da Leonard She Okitundu e da Nyabirungu Mwene Songa.

Intervenendo alla conferenza, il Ministro della Giustizia Luzolo Bambi ha parlato di abolizione responsabile, ponendo l’attenzione sulla necessità, in vista della fine della pena capitale, di migliorare le condizioni delle carceri del Paese. Positivo il giudizio della Vice Presidente del Senato Emma Bonino presente a Kinshasa: La Conferenza ha recepito in pieno metodo e contenuti della Risoluzione per la moratoria approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu in uno dei paesi-simbolo del martirio dell’Africa e al contempo della sua capacità di lanciare al mondo segnali di speranza e di nonviolenza.

Secondo la deputata radicale Elisabetta Zamparutti, organizzatrice della conferenza di Nessuno tocchi Caino, con l’abolizione della pena di morte il Congo dimostra di sapere voltare pagina, interrompendo l’assurda catena dell’odio e della vendetta che in quella parte del continente ha avuto la sua rappresentazione pi tragica e attuale.

Conclusa la conferenza, si aperto oggi un seminario di tre giorni rivolto agli addetti all’informazione provenienti da diverse province del Congo con l’obiettivo di realizzare una campagna multimediale di sensibilizzazione dell’opinione pubblica contro la pena di morte.

Patrocinato dall’Unione Nazionale della Stampa congolese e dal Segretariato Sociale della Rai presente a Kinshasa con il suo Direttore Carlo Romeo, il seminario coordinato da Oliviero Toscani che con La Sterpaia, la bottega dell’arte della comunicazione multimediale che ha fondato in Toscana, ha in mente di realizzare una versione africana della notissima campagna We, on death row realizzata nel 2000 sulla pena di morte negli Stati Uniti.

 

 

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