Rassegna stampa 22 gennaio

 

Giustizia: Berlusconi; subito nuove carceri, per evitare rivolte

 

Asca, 22 gennaio 2009

 

Intervenire con urgenza per costruire nuove carceri, che saranno più "leggere" per i detenuti non pericolosi in attesa di giudizio. All’indomani del vertice di maggioranza finito con un rinvio della discussione con Lega e An sugli emendamenti al ddl intercettazioni e con uno slittamento del provvedimento sulla riforma del processo penale a uno dei prossimi consigli dei ministri, il premier Silvio Berlusconi intende portare a casa e subito un risultato sulla giustizia.

Perciò, mentre negli incontri frenetici tra Camera e Palazzo Grazioli si tenta di trovare la "quadra" sulla lista dei reati intercettabili o sull’elezione popolare dei giudici di pace (voluta dalla Lega ma su cui il "no" di An è netto), il premier annuncia che nel Consiglio dei ministri di domani spera di portare un decreto legge sulle carceri: "Il sistema - dice - è sotto pressione", occorre dunque agire un fretta in modo da evitare che "a luglio e ad agosto" possano scatenarsi "rivolte nelle carceri".

Il provvedimento - che già lo scorso dicembre il Guardasigilli avrebbe voluto portare in Cdm - è in corso di limatura da parte dei dicasteri della Giustizia e delle Infrastrutture. Il Consiglio dei Ministri convocato domani mattina alle 9 a Palazzo Chigi prevede al primo punto dell’Odg "Disposizioni urgenti per contrastare l’emergenza carceraria".

Giustizia: domani il via libera alle "carceri leggere" di Ghedini

 

Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2009

 

Un Commissario straordinario per le carceri. Con l’obiettivo di sbloccare le procedure e favorire la costruzione di nuovi istituti di pena. Anche con un decreto legge da portare domani in Consiglio dei ministri. Lo ha annunciato ieri il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: "Il sistema è sotto pressione. Lo Stato può togliere la libertà ma non la dignità. Con l’estate la situazione potrebbe diventare insostenibile e alimentare rivolte".

Toni preoccupati che trovano eco al ministero delle Giustizia che a fine anno stimava fossero recluse poco più di 58mila persone, a fronte di una capienza di 43.066 e un limite tollerabile di 63.586. Una situazione che nel 2006, passata la soglia delle 60mila presenze, aveva spinto l’allora Governo Prodi a varare l’indulto e che adesso il centrodestra intende affrontare con misure anch’esse d’urgenza, ma di segno diverso. Sulle quali tra l’altro la maggioranza si è compattata. Per Roberto Cota (Lega): "L’emergenza delle carceri si affronta con la costruzione di nuovi istituti, non con interventi di clemenza o di depenalizzazione. Il numero dei detenuti italiani non è eccessivo. Se avessimo la stessa proporzione degli Stati Uniti in carcere ci sarebbero 400.000 persone".

Il provvedimento ha la veste di una legge obiettivo e vede coinvolti i ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture: figura chiave quella del commissario che avrà il compito di accelerare procedure di costruzione destinate altrimenti a insabbiarsi, quando, per esempio un’impresa che ha perso la gara d’appalto fa ricorso al Tar. Il commissario dovrà individuare anche procedure alternative come il project financing in grado di coinvolgere i privati. Nella realizzazione si potrà poi tenere presente, sottolinea Niccolò Ghedini consigliere giuridico del premier, la possibilità di prevedere un circuito carcerario alternativo da riservare ai detenuti in attesa di giudizio o, comunque, meno pericolosi.

Giustizia: Ionta (Dap) sarà commissario per l'edilizia carceraria

 

Ansa, 22 gennaio 2009

 

Sarà Franco Ionta, attuale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria previsto dal provvedimento per contrastare l’emergenza sovraffollamento che domani sarà all’esame del consiglio dei ministri. Lo si è appreso in ambienti governativi.

A Ionta saranno attribuiti poteri speciali così da superare pastoie burocratiche e contenziosi amministrativi che rallentano la costruzione di nuovi istituti penitenziari, ritenuti indispensabili vista l’emergenza sovraffollamento (nelle 206 carceri ci sono 58.127 detenuti, contro una capienza regolamentare di 43.066 posti e un limite tollerabile di 63.586).

Il capo del Dap avrà 60 giorni di tempo per redigere un programma per l’accelerazione dell’edilizia penitenziaria. Il provvedimento arriverà domani all’esame del Consiglio dei ministri non come decreto legge, ma come norma da inserire nel Decreto Milleproroghe sottoforma di emendamento.

Il provvedimento ha la veste di una Legge Obiettivo, grazie alla quale la costruzione di istituti penitenziari non verrebbe bloccata (talvolta anche per dieci anni) se la ditta che ha perso la gara di appalto presenta ricorso al Tar. Investito di questi nuovi poteri speciali, simili a quelli di Guido Bertolaso nella gestione dell’emergenza rifiuti, Ionta dovrà individuare anche procedure alternative alla costruzione di nuove carceri, come ad esempio il project financing con il coinvolgimento dei privati. Tra le ipotesi anche quella di costruire "carceri leggere" in strutture prefabbricate per detenuti in attesa di giudizio o comunque meno pericolosi.

Cinquantotto anni, magistrato, Ionta ha assunto l’incarico di capo del Dap l’estate scorsa, quando ha lasciato il posto di procuratore aggiunto di Roma. In passato ha coordinato importanti inchieste nella lotta al terrorismo di matrice brigatista, internazionale e islamica.

Tra le ultime, in particolare, quelle sull’omicidio di Nicola Calipari e sul delitto di Massimo DAntona. Titolare degli accertamenti sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, Ionta scoprì a distanza di anni il cosiddetto quarto uomo della prigione di via Montalcini, Germano Maccari, morto in carcere nel 2001.

Giustizia: Osapp; Ionta commissario per le carceri? è una beffa

 

Redattore Sociale - Dire, 22 gennaio 2009

 

Il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sarà nominato nuovo commissario straordinario per la costruzione delle carceri, e ad essere utilizzati saranno anche quei 150 milioni giacenti nella Cassa delle Ammende: a riferirlo è l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria.

"La notizia è attendibile e arriva da ambienti sicuri", spiega in una nota Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, che non nasconde lo "sconforto di una scelta così singolare". Singolare perché, "indipendentemente da quello che si può pensare, è certamente discutibile che il Governo incarichi, chi, in questi 9 mesi di mandato, non ha di certo dimostrato di saper organizzare un Dipartimento che ha proprio la gestione dei fondi per la costruzione degli istituti di pena". Ancora due giorni fa - spiega Beneduci - "di comune accordo con tutte le organizzazioni sindacali di categoria, chiedevamo un incontro al ministro Alfano perché la situazione non era più sostenibile".

Nel confermare l’esigenza di aprire un confronto urgente "sottolineavamo come fosse del tutto evidente che il piano straordinario di edilizia penitenziaria non potesse non coniugarsi con l’implementazione delle dotazioni organiche". Oggi "abbiamo denunciato per l’ennesima volta la condizione di inoperosità, sofferenza e di inaccettabile silenzio dell’amministrazione penitenziaria a partire dal capo del Dap Franco Ionta".

"La beffa, a questo punto, è che a coordinare un’attività che richiede competenza, capacità di decisione, e non certo inoperosità - conclude l’Osapp - sarà proprio quel Franco Ionta che abbiamo contestato, e con il quale non si vede alcuna via d’uscita".

Giustizia: polizia penitenziaria; il governo ci ascolti, o proteste

 

Ansa, 22 gennaio 2009

 

"Nel prendere atto che nel Consiglio dei ministri del 23 gennaio prossimo saranno assunte iniziative intese a decongestionare il sovraffollamento delle carceri", le Oo.Ss. - Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cgil, Uspp, Fsa/Cnpp, Siappe - rappresentative di tutto il personale penitenziario, ribadiscono "l’esigenza di aprire un confronto urgente con il responsabile politico del dicastero della Giustizia, stante anche una condizione di inoperosità, sofferenza e di inaccettabile silenzio nell’amministrazione penitenziaria a partire dal capo del Dap Franco Ionta.

Sussiste, infatti, il rischio che le scelte effettuate in sede politica si dimostrino gravemente errate e pregiudizievoli per tutti gli addetti al settore". In assenza di tale confronto, "già ripetutamente richiesto", i sindacati sono pronti a dichiarare lo stato di agitazione nazionale del personale rappresentato ed assumeranno le conseguenti iniziative di protesta".

Giustizia: a Gela, 50 anni per costruire un carcere con 48 celle!

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 22 gennaio 2009

 

1959 - 2009. Cinquant’anni. È il tempo che ci è voluto per costruire un carcere in Italia. Il carcere di Gela. Cinquant’anni durante i quali si sono succedute 14 legislature e ben 48 governi. Mezzo secolo. Un tempo che sarebbe stato lunghissimo anche per una riforma complessiva dell’edilizia penitenziaria. Figuriamoci per la costruzione di un solo carcere. Un carcere peraltro piccolo, fatto di 48 celle e pensato per appena un centinaio di detenuti. Un’opera semplice che ben poteva essere realizzata in pochi anni. E invece no. Ci sono voluti cinquant’anni. Un ritardo ingiustificabile e un ingente spreco di denaro pubblico. Fino ad oggi per la realizzazione del piccolo carcere siciliano sono stati spesi 6 milioni e mezzo di euro. E i lavori sono ancora in corso.

Tutto inizia nel 1959. Quando è stato presentato il progetto per il "nuovo" carcere di Gela. La riflessione sul progetto deve essere stata assai complessa. Infatti dopo 19 anni, nel 1978, il progetto viene finalmente approvato. I lavori iniziano nel 1982. Una decisione lampo, visti i precedenti.

Nel novembre del 2007, dopo appena 25 anni, i lavori sembrano finiti. E il comune di Gela, durante una pomposa cerimonia, consegna le chiavi del carcere a Clemente Mastella, allora Ministro della Giustizia. Ma ecco che dopo pochi mesi si scopre che c’è qualcosa che non va. Il carcere di Gela infatti non passa il vaglio degli ispettori del Ministero. La causa: l’impianto di sicurezza è inadeguato e deve essere aggiornato. Cosa prevedibile dopo 50 anni!

Nel frattempo cade il Governo Prodi e arriva Berlusconi. Così spetta al Ministro della Giustizia Angelino Alfano risolvere l’infinita storia del carcere di Gela. Nell’ottobre del 2008, il Ministro Alfano decide di stanziare 1 milione e mezzo di euro per completare e adeguare il sistema di sicurezza del carcere di Gela.

Morale: il cantiere viene riaperto e il carcere di Gela ancora non è pronto. A via Arenula dicono che, forse, il carcere di Gela sarà completato entro quest’anno. Una previsione ministeriale di cui, dopo cinquant’anni di lavori, è lecito dubitare. Anzi, dopo il caso di Gela, verrebbe quasi da consigliare al Guardasigilli di non commissionare più nuovi progetti per le carceri, senza aver prima attuato i progetti già esistenti. Una precauzione, per non rischiare un "caso Gela 2".

Un caso che ha dell’incredibile, ma che a pensarci bene tanto incredibile non è. La vicenda del carcere di Gela è invece una vicenda significativa. Nel senso che rappresenta bene l’incapacità della politica ad amministrare con efficienza la questione dell’edilizia penitenziaria. Il caso di Gela è il caso di una politica che ha disseminato il Paese di strutture carcerarie nuove di zecca. Strutture mai utilizzate e abbandonate a marcire.

È il caso di una politica che ha lasciato invecchiare così tanto le nostre galere da renderle ormai inadeguate alla detenzione. È lo stesso Ministro Alfano ad affermare che circa il 50% delle 205 carceri italiane devono essere chiuse perché costruite tra il 1200 e il 1800.

Il caso di Gela è il caso di una politica che è rimasta e rimane inerte di fronte all’illegalità, al non rispetto della legge che regna sovrana nelle carceri italiane.

Giustizia: la Lega "punta i piedi" e Berlusconi rinvia la riforma

 

Ansa, 22 gennaio 2009

 

Per Silvio Berlusconi, fare la riforma della giustizia non è poi così facile. Dopo aver annunciato con una certa enfasi che sarebbe stato il primo Consiglio dei ministri del 2009 a licenziare un disegno di legge, ieri il premier ha dovuto prendere atto che è meglio discutere tutti i dettagli dell’intervento riformatore "per poi non avere sorprese in Aula".

In sostanza, il presidente del Consiglio vuole che la sua maggioranza sia compatta fin dall’inizio dell’iter legislativo sul testo di riforma in modo da fronteggiare il confronto con l’opposizione. Da qui il lavorio su cui è impegnato Angelino Alfano, ministro della Giustizia, e i due vertici di maggioranza che si sono svolti martedì e ieri mattina.

Chi punta i piedi è ancora una volta la Lega, che sembra esercitare il ruolo di opposizione all’interno della maggioranza. Ai rappresentanti del Carroccio - Umberto Bossi in testa - non convince per esempio l’idea di abolire le intercettazioni telefoniche. Stessa posizione in alcuni settori di An, nonostante la scelta di confluire nel Pdl a marzo.

A questo proposito, il premier - cogliendo l’occasione di una conferenza stampa a Palazzo Chigi che era in programma con il ministro Renato Brunetta - ha voluto chiarire che le intercettazioni di sicuro resteranno per le imputazioni più gravi e per i reati che prevedano almeno dieci anni di reclusione. Dunque, le intercettazioni resteranno possibili per i reati di corruzione, concussione e peculato.

Berlusconi ha inoltre precisato che in ogni caso si eviteranno abusi nell’uso di questo strumento di indagine. In caso di fuga di notizie, verranno puniti i responsabili e gli editori ma "non i giornalisti". La sensazione è che il premier abbia dovuto fare un passo indietro rispetto alle sue posizioni iniziali.

Chi non ha peli sulla lingua è Ignazio La Russa, ministro della Difesa e "reggente" di An: "Si è deciso, tutti d’accordo, di non prevedere più alcuna limitazione alle intercettazioni se non per i reati minori di nessuna importanza". Sono parole che fanno dire a Lanfranco Tenaglia, ministro ombra del Pd: "È una marcia indietro per coprire le divisioni nel centrodestra".

Da Berlusconi non sono invece venuti chiarimenti sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura e sulla separazione delle carriere dei magistrati, che dovrebbero restare i punti cardine della riforma proposta dal centrodestra. Nessun riferimento anche ai rapporti con l’opposizione (ricercarne o meno l’accordo, come propone Gianfranco Fini, presidente della Camera).

Sul fronte del Pd continua intanto a prevalere la posizione del ministro ombra Tenaglia (no a riforme costituzionali sui temi della giustizia, no alla riforma del Csm) ma anche su questi problemi c’è da fare i conti con le posizioni dell’Udc, come sta avvenendo al Senato dove si sta discutendo in Aula il federalismo fiscale.

A Tenaglia non convincono le proposte emerse nei giorni scorsi da un seminario promosso dalle fondazioni Italianieuropei e Liberal, che ha avuto per protagonisti Massimo D’Alema e Pier Ferdinando Casini. In quella occasione, si è convenuto sull’incarico a tempo per i pubblici ministeri, lo sdoppiamento del Csm e l’introduzione di un budget per le intercettazioni.

Il segretario Walter Veltroni, come Tenaglia, vorrebbe invece intervenire sul Csm con legge ordinaria: riforma delle normative di composizione, un massimo di trenta membri, sezione disciplinare autonoma e pratiche di tutela da affidare al Parlamento.

Per stabilire qual è la linea ufficiale del Pd, sono molti gli esponenti di questo partito a chiedere una riunione di vertice al più presto in modo da orientare il giudizio sulle proposte di riforma che verranno annunciate dal governo.

D’Alema ha precisato che il documento scaturito dalla riunione delle due fondazioni ha come obiettivo quello di avere un sistema giudiziario più efficiente che garantisca tempi ragionevoli per la giustizia civile, insieme alla ridefinizione dei rapporti potere giudiziario e altri poteri dello Stato. Al Consiglio dei ministri di domani, stante l’ennesimo rinvio del disegno di legge sulla riforma della giustizia, non resterà che discutere del provvedimento sull’edilizia carceraria.

Giustizia: intercettazioni anche per reati corruzione e peculato

 

Il Messaggero, 22 gennaio 2009

 

Sulla riforma delle intercettazioni la maggioranza sembra andare verso un’intesa. Più o meno su queste basi: come ha spiegato il premier Silvio Berlusconi potranno essere utilizzate "come strumento eccezionale, in sintonia con quanto prevede la Costituzione", quando già esistono "indizi di reato per aggiungere altre prove" e in ogni caso "solo per un periodo limitato" e "prevedendo severi controlli" per evitare ogni abuso. In caso di fuga di notizie, saranno puniti responsabili ed editori, "ma non i giornalisti".

Quanto al tipo di reati intercettabili, il premier assicura che "resteranno possibili per la corruzione, la concussione e il peculato e per tutti i reati che prevedono pene sopra i dieci anni". Una "marcia indietro" per coprire le divisioni nel centrodestra, commenta Tenaglia, ministro ombra del Pd per la giustizia.

Dopo il vertice di martedì notte a Palazzo Grazioli tra i leader del centrodestra (dedicato praticamente solo al nodo intercettazioni) e la riunione di ieri mattina tra i tecnici di Pdl e Lega, la soluzione si trova facendo un passo indietro rispetto anche al testo del governo e rinunciando ad ogni limitazione, così come avevano chiesto Carroccio e An. Sul punto è chiarissimo il ministro della Difesa, La Russa: "Si è deciso, tutti d’accordo, di non prevedere più alcuna limitazione se non per i reati minori, quelli bagatellari, di nessuna importanza. Per tutti gli altri, invece, si potranno autorizzare, ma con limiti temporali ben precisi e prevedendo rigorosissimi controlli anche sui magistrati".

Alla fine, dunque, passa la linea sostenuta dalla Lega e da An, mentre il premier - che aveva chiesto di limitare le intercettazioni solo ai reati di mafia e terrorismo - deve rivedere le sue posizioni. Ora il confronto continua su quali potranno essere i "controlli severi" necessari per reprimere ogni abuso.

Anche ieri, a Palazzo Grazioli gli incontri sono continuati: instancabile, Berlusconi continua ad adoperarsi per cercare di armonizzare le diverse anime della sua coalizione per portare a casa al più presto una riforma complessiva della giustizia che possa superare l’esame del Parlamento senza intoppi e senza sorprese.

"È chiaro che ogni forza politica è portatrice di alcune istanze, come la proposta di elezione dei giudici di pace e dei pm voluta dalla Lega, che però non è ancora condivisa da tutti", spiega il Cavaliere che ieri ha preso parte, insieme con il ministro Renato Brunetta, alla presentazione del piano e-government 2012, un progetto da un miliardo e 400 milioni che, tra l’altro, dovrebbe eliminare completamente la carta nella pubblica amministrazione nel giro dei prossimi tre anni. Berlusconi ha negato che ci sia uno scontro con nel Pdl: "Stiamo esaminando punto su punto: non voglio emendamenti in Parlamento che vengano presentati da questa o quella parte politica senza preventiva discussione. Andiamo avanti con molto buonsenso".

Giustizia: sulle intercettazioni il Pd presenta 70 emendamenti

 

Il Messaggero, 22 gennaio 2009

 

Il Pd presenta 70 emendamenti al disegno di legge sulle intercettazioni e, in una conferenza stampa convocata a Montecitorio per illustrarli, commenta positivamente l’apertura del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alla richiesta della Lega e di An di non inserire nel testo ulteriori limitazioni a questo "importantissimo strumento di investigazione".

"Qualcosa si muove sul fronte delle intercettazioni - dice il capogruppo del Pd alla Camera, Antonello Soro - Il governo, infatti, sembra che abbia deciso di accogliere una nostra richiesta da sempre che è quella di poter intercettare anche i reati contro la Pubblica amministrazione". Il ddl Alfano già consente di ricorrere allo strumento dell’intercettazione per questo tipo di reato, ma il premier, più volte, aveva chiesto che questa parte del provvedimento venisse modificata per restringere il campo d’azione di questo strumento di indagine "ai soli reati di mafia e terrorismo".

"Da quello che emerge in queste ore - incalza però il ministro della Giustizia del governo ombra, Lanfranco Tenaglia - risulta che l’attuale governo non ha una politica della giustizia e che la maggioranza è profondamente divisa. La politica della giustizia di questo governo, infatti è fatta di volta in volta dai voleri e dalle ubbie del premier. Perché, se è vero che c’è stata un’apertura di Berlusconi a non limitare le intercettazioni solo per reati gravissimi, è anche vero che se si prevederanno tempi troppo stretti per la loro durata, per noi sarà inaccettabile. Se fosse vero, infatti, che l’intenzione è quella di ridurle a solo 45 giorni, noi ci opporremo con tutte le nostre forze. Provenzano, in questo modo, sarebbe ancora libero".

"I nostri 70 emendamenti - dice il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Donatella Ferranti, "tengono conto delle audizioni fatte e puntano a velocizzare i processi e ad assicurare un maggiore equilibrio tra le parti. Limitando però il ricorso alle intercettazioni ai reati con condanne non inferiori ai 7 anni. Gli emendamenti del Pd puntano ad ampliare al massimo la categoria dei reati per i quali possono essere richieste e stabiliscono che le intercettazioni, se rilevanti, possano essere utilizzate anche in altri procedimenti penali. Se poi risultino comprovate esigenze di indagine, non potranno essere limitate nel tempo".

Il Pd, con alcune proposte di modifica, recepisce anche le preoccupazioni espresse dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso in una sua audizione in Commissione Giustizia. Il ddl Alfano, infatti, abroga un articolo di un decreto legge (il numero 152 del 1991) che consente di utilizzare strumenti più agili ed efficaci per le intercettazioni telefoniche ambientali quando si tratta di reati di mafia. Il Pd chiede che questo articolo non venga abrogato. I Democratici puntano ad ottenere poi un equilibrio tra il divieto assoluto di pubblicare ogni atto di indagine anche per riassunto fino al dibattimento, come previsto nel ddl Alfano, e gli abusi che si sono avuti finora. "La nostra intenzione - osserva Ferranti - è quella di mantenere il divieto di pubblicazione anche parziale o per riassunto degli atti di indagine coperti dal segreto e di mantenere il divieto di pubblicazione delle intercettazioni finché non siano concluse le indagini preliminari. Non potranno mai essere divulgate, quindi, tutte le intercettazioni considerate irrilevanti".

E si propone di istituire un archivio riservato per la conservazione dei dati presso la procura della Repubblica. Il Pd dice no al carcere per i giornalisti, come prevede il testo del governo, ma propone "sanzioni pecuniarie consistenti" per tutti i responsabili della violazione del segreto. Gli esponenti dell’opposizione, infine, sono contrari a che anche l’acquisizione di riprese visive e audiovisive e dei tabulati telefonici venga equiparata in tutto e per tutto al regime delle intercettazioni.

Giustizia: Brigandì (Ln); Pd non usi la magistratura come arma

 

Il Velino, 22 gennaio 2009

 

"Sulla giustizia la maggioranza è compatta. È normale che ci sia un dibattito quando si cercano delle soluzioni condivise". Così il deputato Matteo Brigandì capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia a Montecitorio risponde al ministro ombra Tenaglia secondo il quale ci sarebbe una spaccatura nella maggioranza sul tema della giustizia.

"Preoccupante - spiega Brigandì - è invece che la sinistra affidi il dicastero ombra della giustizia ad un magistrato, quindi ad una persona che appartiene ad un potere diverso da quello che sta esercitando e che a mio giudizio di conseguenza non sarà certamente in grado di valutare l’assoluta necessità che c’è adesso riguardo alla separazione delle carriere.

"Il concetto che pervade la maggioranza - sottolinea Brigandì - è unico: tenere lontano i magistrati dalla politica, da tutta la politica tanto quella interna quanto quella esterna alla magistratura. L’indipendenza è infatti il fulcro su cui ci battiamo, indipendenza non della magistratura ma dei singoli magistrati. Ovviamente siamo disponibili a confrontarci con chiunque, purché questo chiunque, abbandoni l’idea di utilizzare la magistratura come un’arma del proprio partito".

Per quanto riguarda l’affollamento delle carceri prosegue Brigandì "se gli ex colleghi di Tenaglia facessero i processi invece di preoccuparsi di partecipare a conferenze e dibattiti, ritenendoli come parte essenziale del loro lavoro, così come è stato scritto da un illustre magistrato, ci sarebbero in carcere meno detenuti, in quanto spesso persone detenute per carcerazioni preventive, vengono poi rimesse in libertà poiché solo dopo anni si scopre che non avevano commesso quel reato".

Giustizia: ergastolo è crudele e disumano, quando l’abolizione?

di Stefano Anastasia

 

Il Manifesto, 22 gennaio 2009

 

"E, per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua: l’ergastolo, che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte".

Così parlava Aldo Moro ai suoi studenti, nella Facoltà di Scienze politiche, a Roma, solo due anni prima di essere sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse.

Nell’Italia di oggi, invece, la pena dell’ergastolo non sembra fare più scandalo, stretti come siamo tra ossessione per la sicurezza e risposte giustizialiste. E anzi sembra troppo poco, al punto che sia da destra che da sinistra si chiede che il regime speciale del 41-bis diventi ordinaria forma di punizione dei condannati per fatti di criminalità organizzata.

Su iniziativa dell’associazione Liberarsi, 739 detenuti, nel novembre scorso, si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani, ciascuno con il proprio ricorso individuale, per la violazione dei diritti umani che sarebbe propria dell’ergastolo.

All’attenzione della Corte di Strasburgo sono anche i casi provenienti dai Paesi del Consiglio d’Europa che prevedono l’ergastolo senza possibilità ordinarie di revisione (actual lifers sono chiamati i malcapitati): violerebbero il divieto di pene inumane o degradanti.

Eppure, nel dibattito pubblico italiano appare così stramba la encomiabile iniziativa di Antigone e de La società della ragione di dedicare un pomeriggio di discussione a "la pena dell’ergastolo nella Costituzione e nel pensiero di Aldo Moro" (oggi, a partire dalle 15, a Roma, in via di Santa Chiara 4).

Dieci anni fa, quando il Senato approvava il disegno di legge Salvato per l’abrogazione dell’ergastolo (colpevolmente mai esaminato dalla Camera nei successivi tre anni di legislatura), e le forche non andavano di moda quanto oggi, l’argomento preferito dagli oppositori dell’iniziativa abolizionista era che l’ergastolo, di fatto, non esiste più, perché - normativamente - anche gli ergastolani possono accedere ai benefici penitenziari e, in modo particolare, alla liberazione condizionale, dopo aver scontato 26 anni di pena.

Con questa stessa motivazione, nel 1974, la Consulta salvò l’ergastolo, giudicandolo costituzionalmente legittimo tanto quanto non più effettivamente tale, e cioè rimediabile grazie alla liberazione condizionale. Un po’ la preoccupazione che ha ora la Corte europea di fronte ai Paesi che conservano gli ergastoli senza sconti.

Argomento suggestivo (per quanto capzioso), ma insufficiente. Scoprimmo infatti, durante quella discussione parlamentare, che non erano pochi gli ergastolani che avevano superato il limite per l’accesso alla liberazione condizionale senza godere di quel beneficio. Addirittura uno, il povero Vito De Rosa, era sepolto in un ospedale psichiatrico giudiziario da 47 anni (e ci sarebbe rimasto ancora, prima di essere graziato per andare a morire in un istituto di cura).

E così ora, secondo Liberarsi, ci sono ergastolani detenuti da 38 a 42 anni: non sono actual lifers questi? O dobbiamo passare alla macabra contabilità di chi l’ergastolo lo sconta per davvero: quanti sono stati, nell’Italia repubblicana che vieta le pene contrarie al senso di umanità, i condannati alla pena a vita che sono morti in stato di detenzione? Non sono loro i "veri" ergastolani?

La Commissione Pisapia, nella scorsa legislatura, propose - tra l’altro - l’abolizione dell’ergastolo nella riforma del codice penale, ma il Ministro Mastella - dimentico della lezione di Moro - non trovò di meglio da criticare, nel lavoro della Commissione da lui stesso istituita, che questa basilare previsione di civiltà.

Intanto, in omaggio all’uso simbolico della giustizia penale, le condanne all’ergastolo si moltiplicano (erano poco più di 200 nei primi anni ‘90, circa 800 quando se ne discusse l’abrogazione, intorno a 1300 oggi), moltiplicando i potenziali actual lifers e il riprodursi di una pena "crudele e disumana", secondo le parole di Moro. A quando l’abolizione?

Giustizia: processo Br; un legale accusa Dap di abuso d’ufficio

 

Apcom, 22 gennaio 2009

 

I difensori di alcuni dei presunti appartenenti alle nuove Br sotto processo a Milano accusano in aula il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) di abuso d’ufficio in riferimento al trasferimento di diversi imputati detenuti da prigioni del territorio lombardo a Catanzaro. Gli avvocati Giuseppe Pelazza e Ugo Giannangeli chiedono alla corte d’Assise di acquisire il provvedimento formale con il quale il Dap aveva disposto lo spostamento dei reclusi, lamentando tra l’altro la violazione del diritto di difesa.

Pelazza e Giannangeli fanno notare che gli imputati, riportati a Milano solo in tarda nottata, sono stati costretti a rinunciare alla presenza in aula. Di conseguenza i legali chiedono la nullità dell’udienza di oggi e di quelle immediatamente successive.

Il pm Ilda Boccassini spiega che la corte aveva disposto che i detenuti restassero a disposizione in carceri vicini al capoluogo lombardo, ma dà parere contrario alla dichiarazione di nullità dell’udienza. "Non è certo l’aula del dibattimento il luogo per indagare sui trasferimenti dei detenuti, i loro avvocati come qualsiasi cittadino presentino denuncia formale" sono le parole del magistrato. La corte d’Assise rigetta l’eccezione di nullità perché "il Dap può procedere al trasferimento dei detenuti per ragioni più ampie e complessive". Nello stesso tempo i giudici decidono di trasmettere in procura gli interventi dei difensori per eventuali indagini

Giustizia: Cassazione; sì a critica sentenze, ma senza esagerare

 

Il Velino, 22 gennaio 2009

 

Il diritto di criticare le decisioni dei magistrati va rispettato ma non bisogna esagerare. Il richiamo alla "continenza" viene dalla Cassazione che ha respinto il ricorso di due avvocati che avevano inviato diversi esposti contro il provvedimento di un Magistrato di Sorveglianza relativo a un loro assistito.

I due legali erano stati condannati in primo grado dal tribunale di Roma che aveva ritenuto diffamatorio il contenuto di una denuncia inviata in copia al vicepresidente del Csm, al ministro della Giustizia e al presidente del Tribunale di Torre Annunziata.

Nell’esposto gli avvocati definivano "odiosi e disumani" i provvedimenti di un magistrato di sorveglianza che non aveva autorizzato un detenuto agli arresti domiciliari a partecipare alla veglia funebre per la morte del padre. I giudici d’appello avevano invece assolto i penalisti parlando però di "eccesso colposo nell’esercizio del diritto di critica" e di "imprudenza dovuta allo stato emotivo".

Una pronuncia che non è piaciuta ai legali, perché con questa motivazione poteva restare aperta la questione risarcitoria, che hanno perciò chiesto alla Cassazione un’assoluzione totale. Richiesta respinta dai giudici della quinta sezione penale che con la sentenza 2066 hanno sottolineato, tra l’altro, come non ci sia "alcun dubbio sul fatto che i provvedimenti giudiziari possano essere oggetto di critica, anche aspra, in ragione della opinabilità degli argomenti che li sorreggono, ma non è lecito trasmodare in critiche virulente", arrivando al "dileggio di colui che li ha redatti".

La Cassazione spiega anche perché è giusto che le critiche non diventino "strumento di livore" e di rancore: "Un comportamento di questo tipo - scrive la Corte - gioverebbe solo a elevare il tasso di conflittualità nella dialettica processuale, con esiti perniciosi per la definizione dei procedimenti trattati". Insomma, l’interesse alla giustizia dovrebbe venire prima di ogni altra cosa.

Giustizia: Silvia Giralucci; Curcio, la lotta armata e la pensione

di Luca Telese

 

Il Giornale, 22 gennaio 2009

 

Silvia Giralucci aveva solo tre anni quando le Br le uccisero il padre. Il "fondatore" rivendicò l’omicidio, per il quale fu poi condannato. "Rispetti la legge come tutti. Quando ho saputo che sarebbe venuto a tenere una conferenza a Padova sono quasi svenuta".

A volte, quando dicono di Renato Curcio: "non si è mai macchiato di reati di sangue", ha voglia di ruggire. Se non altro perché lei, Silvia Giralucci, sua padre non l’ha mai conosciuto. Graziano fu ucciso nel 1974, a Padova. Il primo delitto delle Br, il primo rivendicato. A scrivere quel comunicato fu proprio Curcio. Per quel delitto è stato condannato: "Concorso morale in omicidio".

Ho conosciuto Silvia scrivendo un libro che raccontava (anche) la storia della sua famiglia, nel 2003: aveva tre anni il giorno del delitto, ora 37. In questi anni ha parlato in pubblico raramente. È giornalista, madre di due figli. Ma non ama discutere di quelle storie. Anche la memoria le provoca dolore: "Per me sono ferite ancora aperte". Silvia non è animata da spiriti di vendetta, non sogna la legge del taglione, ma tiene a un principio: "La mia famiglia, le vittime degli anni di piombo, la società, hanno subito lutti irreversibili. Io mi porterò il mio peso per sempre. Credo che, anche scontato la pena, gli ex Br dovrebbero sapersi portare dietro il loro".

Silvia mi ha raccontato che da bambina, a volte sveniva. Così le fecero un encefalogramma. Per giustificare tutti quei fili le dissero: "Serve a capire perché non stai bene. Così, mentre era attaccata alla macchina, lei pensava intensamente: "Voglio-voglio-voglio il mio papà".

Quando l’esame fu concluso guardò il referto e pensò, delusa: "È pieno di scarabocchi. La macchina non ha capito". Aveva solo sei anni. Si parla spesso di Curcio. Per le polemiche legate alle sue conferenze. E ora anche per il fatto che non abbia diritto a una pensione. Si parla anche di Battisti, di pene, di soluzioni politiche. Quando riesco a convincerla a questa intervista, mi spiega: "Il dibattito è impostato male".

 

Lei si considera figlia di una vittima, ma anche vittima.

"Di mio padre io non ho nemmeno un ricordo. Non ho potuto conoscerlo. Non so che cosa significhi, un padre. Questa è una delle più grandi privazioni che si possano subire".

 

Ha desideri di vendetta?

"Nessuno. Ma voglio che si applichi la legge, che si scontino le pene".

 

Ha perdonato?

"La parola non ha significato".

 

Perché?

"Perché per me, al di fuori di una relazione, il perdono non esiste".

 

Ha incontrato Curcio?

"Mai. Al processo per mio padre e Mazzola non è mai venuto".

 

Lui, e altri ex Br denunciano un ergastolo bianco oltre alla pena.

"Quando ho saputo che veniva a parlare a Padova, leggendo il giornale per strada, sono quasi svenuta".

 

Non doveva venire?

"No. E fossi in lui non andrei a tenere conferenze. Esiste la discrezione"

 

È giusto definirlo omicida anche se non ha sparato?

"Sapeva che un commando sarebbe entrato nei locali dove erano mio padre e Mazzola. Erano armati, a volto scoperto, con pistole silenziate, di giorno. Potevano andare di notte...".

 

Curcio sapeva che ci sarebbe stato un duplice omicidio?

"A giudizio del Tribunale sapeva che sarebbe potuto accadere. E dopo che è accaduto, ha voluto, con gli altri capi, una rivendicazione. Per la legge è concorso in omicidio".

 

Curcio ha definito quel delitto un "incidente di percorso".

"Non entro nella brutalità di questa definizione. Ma non credo fosse sincero"

 

Aveva già altre condanne, pensa che ne volesse evitare una?

"Molti brigatisti tengono a questa immagine: non hanno commesso delitti, pagano per dei reati politici".

 

Accade anche per Battisti.

"Condannato a quattro omicidi, ha scontato un anno di carcere. Come si può farlo passare per vittima".

 

Curcio ha diritto alla pensione?

"Solo nel rispetto della legalità".

 

Ovvero?

"Se non ha versato i contributi minimi per averne diritto, no".

 

Non ha maturato il minimo perché ha fatto quasi venti anni...

"Allora forse dovrebbe chiedersi che lavoro faceva prima".

 

Lei lo sa: faceva la lotta armata.

"È questo il nodo. Non avere contributi è frutto delle sue scelte. È una delle conseguenze che deve affrontare".

 

Non le pare due volte punitivo?

"No. Perché è così per tutti gli altri cittadini. Se vale per una precaria, o un commerciante, perché non dovrebbe valere per lui?".

 

Molti ex Br rischiano indigenza.

"Curcio no: non ha diritto alla pensione sociale, quindi sua moglie ha un reddito. Anche questo vale per tutti gli italiani, perché non deve valere per lui?".

 

Se lui leggesse queste righe la considererebbe ostile?

"Non mi importa cosa pensa Curcio, ma non do la caccia ai terroristi. Se dopo la pena un detenuto trova senso nella vita per me è un dono. Vale per tutti, anche per gli ex Br. Ma le conseguenze le devono assumere. Gli assassini di mio padre non mi pare l’abbiamo fatto".

 

In che senso?

"Ad agosto sono stati condannati, nella causa civile, a un risarcimento del danno per 350mila euro. Non li avremo mai. Ma il punto è: non hanno pagato neppure le spese processuali!".

 

Perché?

"Ma molti Br sono nullatenenti. Le case in cui vivono, per evitare problemi, non sono intestate a loro".

 

Curcio desidera la pensione...

"Vorrei tanto che fosse un segnale che è tornato a rispettare lo Stato".

 

In che senso?

"Dopo aver cercato di abbatterlo, adesso vogliono le sue tutele".

 

Anche qui non lo crede sincero?

"Spero che lo sia. Molte di queste persone, che non rispettano la legalità, hanno una certa disinvoltura nell’arraffare quello che possono".

 

Lo Stato fa abbastanza per voi?

"Non l’ha fatto in passato. Non abbiamo avuto, per anni, assistenza: né economica né psicologica"

 

Come si definisce?

"Una donna, una madre. Ma anche una vittima. Ho in me un vuoto che con gli anni, invece di diminuire, cresce. Mi sento mutilata".

Sardegna: 2.144 detenuti in isola e super-lavoro per gli agenti

 

Sardegna Oggi, 22 gennaio 2009

 

Nel carcere cagliaritano di Buoncammino la situazione del personale della Polizia Penitenziaria è "esplosiva". Lo ha detto il commissario Giuseppe Atzeni durante il sit in dei lavoratori organizzato questa mattina all’esterno della casa di detenzione del capoluogo sardo da Sinappe, Cgil-Fp, Cisl e Osapp per denunciare le condizioni in cui operano gli agenti della Polizia Penitenziaria del carcere.

Secondo i rappresentanti sindacali negli ultimi cinque anni, a fronte si 67 pensionamenti, non vi è stata nessuna assunzione e sono ormai circa 12mila i giorni di congedo che dal 2006 al 2008 i circa 200 agenti hanno accumulato e che di cui non possono usufruire per la carenza d’organico.

Inoltre, fanno sapere ancora i sindacati, occorre fare i conti con il sovraffollamento di Buoncammino che ha già superato la capienza regolamentare e che, con 467 detenuti, sta per sorpassare quella tollerabile. "Grazie alla responsabilità ed al lavoro degli agenti non siamo al collasso - spiega il commissario Atzeni - occorre poi pensare che oltre ai diritti dei lavoratori si abbassa anche la sicurezza con un uomo per 80 detenuti su ogni piano e attività collaterali che rimangono ferme. Nella crisi generalizzata degli istituti di pensa sardi - ha aggiunto - Cagliari è una delle carceri che sta più male".

In questi giorni la preoccupazione è maggiore a causa dell’influenza che sta colpendo la popolazione. "Non ci possiamo ammalare - dicono gli agenti - perché se no i nostri colleghi in turno rischiano di non poter smontare dal servizio". L’appello dei sindacati per trovare una soluzione al problema è rivolto non solo all’amministrazione penitenziaria regionale, ma anche al prefetto di Cagliari.

Sono 2.144 i detenuti rinchiusi nelle 12 carceri della Sardegna. I dati, aggiornati al 20 gennaio, sono stati forniti dai sindacati durante il sit-in degli agenti della Polizia Penitenziaria davanti al carcere cagliaritano di Buoncammino. Gli uomini sono 2.079, mentre le donne sono 65 ed il 50% del totale - dicono i rappresentanti dei lavoratori - è rappresentato da stranieri o extracomunitari.

Complessivamente gli istituti di pena dell’Isola possono contenere al massimo 1.957 detenuti in base alla capienza regolamentare, mentre il margine di tollerabilità è stato stabilito in 2.643 reclusi (2.565 uomini e 78 donne).

Ad Alghero vi sono 195 detenuti (tutti uomini) su una capienza regolamentare di 145 ed una tollerabile di 207; Nella colonia penale di Arbus "Is Arenas" vi sono 165 detenuti (tutti uomini) su una capienza massima di 176 ed una tollerabile di 228; A Cagliari si contano 467 reclusi (444 uomini e 23 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 324 ed una tollerabile di 472; Ad Iglesias i detenuti sono 112 (tutti uomini) su una capienza regolamentare di 59 ed una tollerabile di 114.

Nella colonia penale di Isili i detenuti sono 160 (tutti uomini) mentre la capienza regolamentare prevede al massimo 192 reclusi e quella tollerabile 197; Il carcere "San Daniele" di Lanusei ospita 44 uomini, su un massimo regolamentare di 31 ed uno tollerabile di 40; A Lodè, il carcere di "Mamone" ospita 277 detenuti maschi su una capienza regolamentare di 378 ed una tollerabile di 485; A Macomer i carcerati sono 94 (tutti maschi) su una capienza regolamentare di 46 ed una tollerabile di 92.

Nell’istituto di Nuoro vi sono 310 detenuti (290 uomini e 8 donne) per una capienza massima di 273 detenuti ed una tollerabile di 367; Ad Oristano il carcere contiene 120 persone che stanno scontando la pena su un massimo regolamentare di 92 ed uno tollerabile di 116. Sono 179 (156 maschi e 14 donne) i detenuti all’interno del carcere di Sassari a fronte di una capienza regolamentare pari a 188 ed una tollerabile pari 259; A Tempio Pausania la popolazione carceraria è composta da 14 uomini su un massimo di 29 posti regolamentari e 42 tollerabili.

Pavia: detenuto di 27 anni morì in cella, due medici a processo

 

La Provincia Pavese, 22 gennaio 2009

 

Una consulenza di decine di pagine è bastata al giudice per prendere una decisione. E la decisione è che il processo a carico dei due medici del carcere si deve fare. Paolo Caparello, 39 anni, difeso dall’avvocato Maria Grazia Stigliano, e Pasquale Alecci, 42 anni, difeso da Giacomo Pitrelli e Girolamo De Rada, si presenteranno in aula il 16 aprile per rispondere di omicidio colposo.

Erano stati iscritti nel registro degli indagati in relazione alla morte di Tomas Libiati, il detenuto di 27 anni deceduto ad agosto del 2007 a Torre del Gallo per la somministrazione di un farmaco. Il giovane si era sentito male nella notte a cavallo tra i mesi di luglio e agosto, due giorni dopo il suo trasferimento da San Vittore.

Libiati era stato portato al pronto soccorso del San Matteo, da cui era stato dimesso con la prescrizione di non assumere benzodiazepine. Il giorno dopo era morto nella cella dell’infermeria del carcere. Un decesso causato da due iniezioni di metadone, secondo gli esami tossicologici. Un farmaco con cui il ragazzo, con un passato da tossicodipendente, era stato curato, ma a cui aveva rinunciato definitivamente a partire dal mese di marzo del 2006.

Sulla somministrazione del farmaco come causa del decesso coincidono sia la perizia di parte che quella disposta dal magistrato Maura Ripamonti. Ma da chi il farmaco sia stato somministrato non è stato chiarito. Dall’inchiesta sono emersi solo due nomi.

Due medici del carcere con compiti differenziati all’interno della struttura. Gli avvocati hanno presentato ieri mattina, nel corso dell’udienza preliminare davanti al giudice Erminio Rizzi, le loro eccezioni. L’avvocato Stigliano ha insistito sull’assenza di una prescrizione o autorizzazione da parte di Caparello per quel farmaco.

I legali De Rada e Pitrelli hanno sottolineato invece che Alecci, direttore sanitario del carcere, era intervenuto solo dopo che Libiati si era sentito male ed era stato già visitato dai medici del pronto soccorso e del Ser.T.. Il giudice, dal canto suo, ha ritenuto necessario un approfondimento della vicenda in dibattimento, rimandando tutto al processo.

Genova: a Marassi 100 agenti in meno... con 300 detenuti in più

di Renzo Parodi

 

Secolo XIX, 22 gennaio 2009

 

La voce, un lungo grido lamentoso, fuoriesce da un finestrone sul lato nord del carcere di Marassi. "È un detenuto islamico in preghiera", informa il comandante delle guardie penitenziarie, il vicecommissario Luca Morali, laurea in giurisprudenza, master di specializzazione alla scuola di Catania.

Eccole, finalmente viste dall’interno, le Case Rosse, come le chiamavano i genovesi d’antan, che rosse più non sono, riverniciate ton sur ton nelle tonalità del beige. Nonostante oltre un secolo di vita sulle spalle, hanno un’aria di decorosa vetustà. "Avrebbe dovuto vederle prima della ristrutturazione degli anni Novanta", mi bisbiglia all’orecchio una guardia.

Da Roma hanno già annunciato che il budget del 2008 (610 mila euro) nel 2009 sarà drasticamente ridotto a 350 mila euro e allora via ai tagli. La crisi finanziaria rimbalza anche oltre i camminamenti e le torrette di guardia dell’antico carcere dal quale, un tempo, dai cammini di ronda lato sud e dalle celle del quarto e ultimo piano si riusciva pure a sbirciare scampoli delle partite disputate da Genoa e Sampdoria nell’adiacente stadio Luigi Ferraris che ora, ricostruito ex novo, è uno scatolone inaccessibile e bisogna accontentarsi di immaginare i gol e le prodezze di Milito e Cassano.

Nei primi anni Ottanta il Comune di Genova perse un regalo di 80 milioni dallo Stato per non essere riuscito ad indicare un’area sulla quale edificare il nuovo carcere. Le Case Rosse, conficcate in un quartiere ad alta densità abitativa, a ridosso dello stadio, sono una contraddizione patente. Ma tant’è.

Immaginare è un esercizio naturale, per uomini ristretti in poche decine di metri quadrati, ammassati in sette in celle da quattro, impilando lettini a castello in ogni angolo. I benefici logistici dell’indulto sono già finiti. 750 detenuti vivono accatastati nei quattro bracci della costruzione a raggiera imperniata su quella che guardie e reclusi chiamano la Rotonda, la torretta che svetta al centro dell’edificio. Degli ospiti circa il 70% sono stranieri, provenienti dal Nordafrica, dall’Albania, dall’Est europeo, dal Sudamerica.

Li sorvegliano 290 agenti, che in realtà sono un centinaio di meno per via di distacchi e missioni. Secondo la pianta organica dovrebbero essere cento in più, ossia 401! Qua dentro anche la matematica diventa un’opinione. Gli ospiti della sezione a custodia attenuata - dove si pratica un percorso di recupero in vista dell’inserimento nelle strutture protette o nei Sert - sono appena dodici. Ai detenuti sieropositivi è riservata un’intera sezione.

Enzo Paradiso è il criminologo responsabile della sezione di custodia attenuata che ospita, per periodi da sei mesi a un anno, detenuti tossicodipendenti avviati al recupero. "Il trattamento è cominciato dieci anni fa e ha riguardato finora 220 individui. Le statistiche, da prendere con le pinze, indicano percentuali di successo del 74%. A Genova manca una struttura esterna riservata a chi potrebbe usufruire di misure alternative alla detenzione ma deve rinunciarci proprio a causa di questa carenza che toccherebbe colmare agli enti locali".

A Marassi la burocrazia fa altri danni. Un detenuto in semilibertà, già assegnato al lavoro esterno (panettiere al mercato di Sampierdarena) non può iniziare l’attività perché il Comune non ha firmato la concessione. La panificazione è realizzata all’interno del carcere dalla Cooperativa Italforno, presieduta da Pietro Civello, che ha affittato i locali (un ex magazzino), acquistato i macchinari, realizzato i corsi professionali, e dà lavoro a cinque detenuti e a due liberi. Pane, focaccia, pizza, sono venduti alla cucina del carcere e venduti sul mercato esterno, al vicino centro commerciale il Mirto.

La focaccia genovese è esportata in Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna. Con lo stesso schema sta per prendere avvio il laboratorio di falegnameria, dove la cooperativa si avvarrà di macchinari acquistati dalla direzione del carcere.

"A noi interessa offrire ai detenuti opportunità di lavoro che possano fornire loro anche una adeguata formazione professionale da sfruttare una volta scontata la pena", spiega il direttore del carcere genovese, Salvatore Mazzeo, che respinge le lagnanze sul sopravvitto. "Le tariffe degli alimenti fornite dai supermercati sono controllate da noi e devono essere in linea con i prezzi praticati alla clientela ordinaria".

Sulla vita recente del carcere si è allungata l’ombra della tragica fine di Manuel Eliantonio, 22 anni, trovato morto alcuni mesi fa nel bagno della sua cella. Eliantonio aveva denunciato in una lettera di essere stato vittima di ripetute percosse. L’inchiesta del pm Francesco Cardona Albini, avviata a conclusione, dirà una parola definitiva.

Genova: Prc; sovraffollamento e l'assistenza sanitaria a rischio

di Angelica Giambelluca

 

Secolo XIX, 22 gennaio 2009

 

Nel giorno in cui Berlusconi annuncia che domani il consiglio dei ministri sarà concentrato sulla questione carceraria, l’eurodeputato indipendente del Prc, Vittorio Agnoletto e il consigliere comunale sempre di Rc, Antonio Bruno, hanno visitato il carcere di Marassi, riscontrando non pochi problemi: sovraffollamento delle celle, assistenza sanitaria a rischio e anche lo sciopero dei detenuti contro il caro prezzi dello spaccio del carcere.

"Lo Stato può togliere la libertà ma non la dignità, stiamo anche pensando a nuove carceri, a differenziarle secondo della pericolosità degli individui" dice il premier. E dai detenuti arriva una risposta a tono, con la protesta contro lo spaccio interno del carcere, perché, secondo loro, i prezzi dei generi alimentari sono superiori del 20% rispetto a quelli applicati in altri spacci di carceri italiane.

"Il fatto è stato denunciato da alcuni detenuti provenienti da altri penitenziari italiani - spiega Agnoletto - per i quali lo spaccio di Marassi praticherebbe prezzi alti rispetto agli altri. Abbiamo segnalato il fatto alla direzione che ci ha spiegato che lo spaccio, gestito da una ditta esterna, pratica gli stessi prezzi del supermercato più vicino al carcere".

Ma Antonio Bruno ha sottolineato: "Saranno anche quelli i prezzi, ma se una ditta compra all’ingrosso, per 500 persone, di certo spende meno rispetto al singolo che acquista prodotti individualmente".

Oltre al caro prezzi i detenuti hanno a che fare con altri problemi: "Le celle ospitano 7 persone anziché 4 come richiesto dalla legge - dice Agnoletto - e nelle due sezioni che abbiamo visitato abbiamo contato un sovraffollamento eccezionale: nella sezione circondariale si trovano 268 persone anziché 152, e nella sezione reclusi i detenuti sono 246 anziché, anche qui, 152".

Ci sono problemi anche per l’assistenza sanitaria che, benché funzioni adeguatamente, rischia di essere drasticamente diminuita nei prossimi mesi: "Questo governo ha deciso che la sanità penitenziaria deve passare sotto il controllo del servizio nazionale. Ciò significa che gli attuali 15 medici, il cui contratto scade il prossimo 14 giugno, diventeranno di meno.

Questo perché i contratti della Asl prevedono salari maggiori e dal momento che il governo ha previsto che l’operazione sia a costo zero, mi domando dove verranno presi i soldi per consentire a questi medici di continuare a lavorare". Di questo Agnoletto intende parlare con le istituzioni, la Regione in primo luogo, per verificare se ci sono i finanziamenti necessari per consentire il rinnovo del contratto per tutti i medici.

Agnoletto esprime preoccupazione per la situazione dei detenuti immigrati clandestini: se fino ad oggi all’interno del penitenziario ricevevano le stesse cure dei cittadini italiani, con il passaggio al sistema sanitario nazionale i detenuti immigrati sarebbero sottoposti al trattamento previsto per gli irregolari: assistenza solo per pronto soccorso o patologie infettive. "Per tutti gli altri casi - continua l’europarlamentare - l’immigrato non potrebbe ricevere assistenza. Occorre immediatamente risolvere la situazione".

C’è poi la questione dei malati di Hiv. All’interno del carcere sono circa una ventina: "Ma non possono stare in cella - aggiunge Bruno - devono invece essere ricoverati in apposite strutture esterne. Come Comune ci stiamo muovendo per individuare locali appositi".

Palermo: sette detenuti dell’Ucciardone a scuola di floricoltura

 

La Sicilia, 22 gennaio 2009

 

I detenuti dell’Ucciardone a lezione di floricoltura grazie all’iniziativa "Oltre il Giardino", avviata dall’assessorato all’Ambiente della Provincia, guidato da Vito Di Marco. Sette ospiti della Casa Circondariale sono stati coinvolti in un’esperienza di educazione ambientale con un programma di formazione che comprende lezioni teorico-pratiche di floricoltura.

I detenuti, che sono stati selezionati in base alle loro attitudini dalla stessa casa penitenziaria, al termine del corso di formazione si sposteranno oltre le mura del carcere, nei giardini del Centro Direzionale di S. Lorenzo, per dedicarsi alla cura dei fiori e per sistemare gli spazi a verde della sede della Provincia, il cosiddetto "Pirellone".

"Dopo i soddisfacenti risultati della prima fase dell’iniziativa che ha una grande valenza sociale - ha detto il presidente della Provincia, Giovanni Avanti - proseguiamo nel percorso che intende favorire il processo rieducativo dei carcerati. Si tratta di un progetto pilota per un lavoro di gruppo finalizzato al reinserimento sociale dei detenuti che vanno considerati come una risorsa". Al progetto, promosso anche dall’Uisp (Unione italiana sport per tutti), hanno collaborato i vertici dell’Ucciardone.

Volterra: "Cene galeotte" raccolti 25mila euro per beneficenza

 

Il Tirreno, 22 gennaio 2009

 

Ottocento persone che varcano la porta del carcere di Volterra, socializzano con detenuti in veste di chef e fanno beneficenza contribuendo a raccogliere 25mila euro da devolvere. Portano con sé un bastimento carico di solidarietà le cene galeotte organizzate alla casa di reclusione di Volterra.

Un appuntamento unico che ha permesso a tante persone di vivere un’esperienza intensa come quella di entrare in un carcere e avvicinarsi ai detenuti. All’interno della casa di reclusione di Volterra una volta al mese da aprile a dicembre (luglio escluso), le cene galeotte hanno trasformato il maschio della fortezza medicea durante i mesi estivi, e la cappella sconsacrata del carcere in suggestivi luoghi dove i carcerati hanno preparato e servito un menù d’autore.

In cucina presente ogni volta uno chef affermato differente individuato dall’enogastronomo Leonardo Romanelli, che ha messo la sua esperienza a disposizione dell’originale iniziativa. Un momento importante per molti carcerati, che, grazie anche all’esperienza formativa in cucina con gli chef e in sala con la Fisar di Volterra, sono riusciti ad acquisire un bagaglio lavorativo che in ben otto casi, si è tradotto in un vero impiego in ristoranti locali, secondo l’art. 21 che regolamenta il lavoro al di fuori del carcere.

Le cene galeotte sono state promosse da Unicoop Firenze, che oltre a fornire le materie prime ha retribuito i detenuti regolarmente, e realizzate in collaborazione con il Ministero di Grazia e Giustizia, Fisar, Slow Food e la direzione della Casa di reclusione di Volterra.

Il ricavato è stato integralmente devoluto alla campagna internazionale "Il Cuore si scioglie" (www.ilcuoresiscioglie.it), che dal 2000 vede impegnata Unicoop Firenze, insieme al mondo del volontariato laico e cattolico.

Gli oltre 25mila euro raccolti saranno impiegati quindi in progetti di solidarietà per realizzare scuole e centri di accoglienza, per garantire cure mediche, per creare opportunità di lavoro e per promuovere l’adozione e l’affidamento a distanza dei bambini in otto paesi del Sud del mondo: Brasile, Burkina Faso, Camerun, Filippine, India, Libano, Palestina e Perù.

Immigrazione: Lampedusa; reportage dal girone dei disperati

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 22 gennaio 2009

 

"Respira, respira ancora, quindi è viva" dice, Odemije, 22 anni, nigeriano, subito dopo essere uscito dal pronto soccorso di Lampedusa dov’era stato portato per "l’ultimo saluto" alla sua compagna, Vivede, 19 anni, appena intubata e subito dopo trasferita con l’elicottero del 118 a Palermo, dove i medici disperano di salvarla. È in coma, ricoverata in rianimazione, ha ustioni su tutto il corpo ed una sindrome di assideramento gravissima. Sono davvero poche le speranze che possa cavarsela, dopo una settimana in mare aperto senza acqua e senza viveri, per raggiungere Lampedusa. L’inferno di Lampedusa dove Odemije è arrivato con la sua compagna ieri mattina con un gommone. Insieme con altri 61 disperati, con i loro racconti dell’orrore: 10 dei loro compagni di viaggio, spiegano, sono morti di stenti e di freddo durante la traversata e buttati in mare dai sopravvissuti. Ma tutti loro, come altre centinaia dei 1900 clandestini che attualmente si trovano nel centro di accoglienza, dormiranno all’aperto.

In ripari di fortuna, tende improvvisate con teli leggeri, perché il centro è al collasso. Sporcizia, escrementi, gabinetti e fognature intasate, camere di tre metri per tre che ospitano fino a 15 persone, oltre 100 minori stipati per terra su finti materassi, senza coperte e senza teli, con bottiglie di plastica ed altri rifiuti sparsi ovunque. Anche gli uffici dei dirigenti del Centro di accoglienza non ci sono più. Ospitano decine e decine di immigrati, appollaiati uno sull’altro.

"Voglio andare via, ritornare in Tunisia, non ne posso più. Sono qui da 30 giorni. Speravo di trovare la libertà ed un po’ di serenità, ma qui è peggio che all’inferno". L’esterno del centro di accoglienza che sorge su una vecchia base dell’Aeronautica Militare è circondato da bersaglieri, dentro una cinquantina di carabinieri e poliziotti che a turno sorvegliano quella piccola città della speranza che da settimane si è trasformata in una bolgia. I responsabili del centro alzano le spalle, fanno tutto il possibile. "Ma miracoli non ne possiamo fare - dicono - i posti letto sono 800, loro sono quasi duemila. Come possiamo fare a sistemarli in maniera un po’ più decente? Riusciamo a farli mangiare tutti, a vestirli tutti, ma non possiamo trovare un letto ed un riparo per tutti". Al ministero dell’Interno, alle prefetture, sono state inviate relazioni che segnalano la grave situazione. Hanno paura che possano scoppiare delle rivolte, delle risse per conquistare un letto o un riparo.

Quanto durerà ancora, si chiedono gli operatori e i militari che lavorano nel centro di accoglienza. Temono, e non ne fanno un mistero, che "prima o poi ci scapperà il morto". E mentre dentro il centro la tensione aumenta, fuori, tra i cittadini di Lampedusa, la protesta contro il ministro degli interni Maroni che ha deciso di non trasferire i clandestini in altri centri, monta ogni ora di più. Accusano di "tradimento" anche la loro ex pasionaria, Angela Maraventano che ha conquistato una poltrona da senatrice proprio con la Lega.

Il sindaco Rino De Rubeis le ha revocato l’incarico di vice sindaco, molti suoi concittadini la chiamano già "giuda" perché asseconda le scelte del ministro Maroni. E i lampedusani minacciano azioni eclatanti, dopo la conferma di quello che un paio di giorni fa l’ex sindaco dell’isola, Totò Martello, aveva denunciato pubblicamente: la realizzazione di un altro centro di accoglienza nella base Loran della Marina Militare di Lampedusa. Una decisione che ieri sera ha provocato altre tensioni e minacce di bloccare il porto e l’aeroporto: oltre duecento abitanti dell’isola hanno inscenato una manifestazione davanti all’ingresso del Cpt, guardati a vista dai militari della sorveglianza.

Immigrazione: Prc; giusta protesta del sindaco di Lampedusa

 

Apcom, 22 gennaio 2009

 

"Le affermazioni del sindaco di Lampedusa, Dino De Rubeis, sul centro di detenzione amministrativa dell’isola sono assolutamente condivisibili e la decisione di licenziare la vice-sindaca è apprezzabile. Per questa ragione ho telefonato al primo cittadino per esprimere la mia solidarietà". Lo afferma Giusto Catania, eurodeputato di Rifondazione Comunista e vice-presidente della Commissione Giustizia del Parlamento europeo.

"Da anni - aggiunge l’europarlamentare - denunciamo le condizioni degradanti e disumane del centro di Lampedusa e ribadiamo la nostra contrarietà a trasformare l’isola in una sorta di prigione a cielo aperto, dove i migranti vengono detenuti per essere deportati senza le corrette garanzie procedurali e il rispetto delle leggi".

"Sosterrò, in tutte le sedi - conclude Catania - le iniziative in difesa dei diritti umani che saranno promosse nei prossimi giorni dai cittadini di Lampedusa e quelle che andranno nella direzione di impedire il perverso disegno del governo Berlusconi e del ministro Maroni".

Droghe: Zaia; il tasso di alcol a 0,2 per tutti? è solo demagogia!

 

Ansa, 22 gennaio 2009

 

Sul problema della sicurezza stradale e dell’utilizzo dell’alcol "la mia posizione è di estrema preoccupazione, perché il problema è cogente, ma da qui a dire che con due bicchieri di vino" in corpo si diventa "ubriachi, ce ne passa".

Lo afferma il ministro delle politiche Agricole, Luca Zaia, intervenendo davanti alla Commissione Agricoltura di Montecitorio. Per il ministro, dunque, "ridurre la tolleranza del tasso alcolemico a tutti da 0,5 a 0,2" grammi per litro, così come proposto da alcuni rappresentanti del Governo, "significa fare demagogia. Il problema - aggiunge - è quello di inasprire le pene, non di abbassare la tolleranza del tasso".

Zaia, invece, si dice disponibile a "ragionare" sulla proposta di "tolleranza zero" all’alcol per i neo-patentati e i giovani fino a 21 anni, come avanzato l’altro ieri dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi.

Usa: Obama chiude Guantanamo, ma chi darà asilo ai detenuti?

 

Il Riformista, 22 gennaio 2009

 

Guantanamo chiuderà. Il discorso d’insediamento aveva dettato un’aspra sentenza, e l’epoca Obama comincia in fretta, mettendo le mani sul simbolo stesso dei metodi dell’amministrazione Bush, il carcere sull’isola di Cuba. La decisione è arrivata nel mezzo dei festeggiamenti per l’insediamento: la presidenza Obama ha raccomandato la sospensione di tutti i processi dei tribunali speciali inventati dall’amministrazione Bush per i detenuti di Guantanamo, in attesa di una revisione dei casi delle 245 persone ancora nella base militare. In risposta alla richiesta della pubblica accusa, oggi, a catena, i magistrati hanno sospeso le udienze. Il segretario alla Difesa Robert Gates ha indicato che il Pentagono rivedrà le procedure di incarcerazione dei "guantanameri".

E infine è circolata una bozza dell’ordine esecutivo di Obama ottenuta dalla Associated Press: parla di una chiusura di Guantanamo prevista entro il 2009. È solo la prima tappa e non si sa quando questa bozza diventerà realtà concreta. Ma si chiuderà allora con Guantanamo uno sconcio giuridico che viola il concetto stesso di habeas corpus alla base del diritto anglosassone: in nome della guerra al terrorismo, l’amministrazione Bush ha arrestato - per lo più in Afghanistan - e detenuto per anni centinaia di sospetti senza processi né incriminazioni, alcuni minorenni, chiamandoli "nemici combattenti" e tentando di sostenere che Guantanamo, non essendo su territorio statunitense, non era tenuto a rispettare la giurisdizione Usa.

Un sospiro di sollievo internazionale ha accolto la decisione. Il commissario Ue alla Giustizia Barrot ha detto che Obama vuole "girare la pagina di questo triste episodio". Ma chiudere Guantanamo significa risolvere, anche con l’aiuto europeo, il nodo del futuro delle 250 persone che ci vivono, poche delle quali sono state incriminate e sono davanti alle "commissioni militari speciali" che dovrebbero giudicarle. Si tratta di coloro nei cui confronti ci sono indizi effettivi di una qualche attività terroristica (fra cui i 5 sospettati per complicità negli attentati dell’11 settembre). E gli altri?

Nel corso degli anni, circa 500 persone sono state liberate da Guantanamo e rimandate quietamente a casa, in numerosi paesi, a volte semplicemente scarcerati. I restanti, in seguito a uno sfiancante tiro alla fune con la Corte Suprema che ha cercato di riaffermare almeno in parte il principio del diritto al processo, sarebbero appunto dovuti passare davanti alle commissioni militari speciali. Alcuni sono considerati pericolosi, gli altri corrono il rischio di essere perseguitati in patria.

Non è chiaro se gli Stati Uniti di Obama siano disponibili a liberarli sul proprio territorio. Mentre l’Unione europea sarebbe pronta a dare una mano, ma con grande cautela. La chiusura del carcere ‘extragiudiziariò di Guantanamo "è un problema americano", ha sottolineato il Rappresentante Ue per la politica estera, Javier Solana.

Ma se l’Unione europea può contribuire a risolverlo il più rapidamente possibile "proverà a dare il suo aiuto". All’Ue, in particolare, gli Stati Uniti chiedono una mano per ospitare i prigionieri che non possono essere rimpatriati per il rischio che vengano sottoposti a tortura.

Il Portogallo si è dichiarato disponibile, e la Gran Bretagna sarebbe pronta a fare lo stesso, mentre mentre Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Spagna hanno escluso tale eventualità. Difficile la posizione della Germania, che in settembre va alle elezioni. Mentre il ministro degli Esteri socialdemocratico Steinmeier si dice pronto a offrire asilo, le componenti cristiano democratiche del governo, fra cui proprio la "cancelliera" Angela Merkel, sono assai più reticenti.

Usa: Guantanamo chiude, Cina chiede consegna suoi detenuti

 

Asca, 22 gennaio 2009

 

La Cina ha ribadito che tutti i detenuti cinesi del carcere di Guantanamo devono essere consegnati a Pechino in seguito alla decisione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama di chiudere la prigione della "guerra al terrore".

"Queste persone sono membri dell’organizzazione terroristica del Movimento Islamico del Turkestan dell’Est, inclusa nella lista nera del Consiglio di Sicurezza dell’Onu", ha detto ai giornalisti il portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu, aggiungendo che "dovrebbero essere consegnate alla Cina, che gestirà il caso secondo la legge".

I sospetti terroristi cinesi detenuti nel carcere sono 17. Pechino sostiene che appartengano all’Etim, un gruppo sulla lista dell’Onu delle organizzazioni terroristiche che vuole creare una patria indipendente nella regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang. Jiang ha anche ribadito la contrarietà di Pechino all’ipotesi che altre nazioni accolgano detenuti cinesi di Guantanamo, dopo che alcuni governi europei hanno fatto sapere di essere disposti di ospitare dei detenuti se gli Stati Uniti chiuderanno la prigione.

Iraq: con amnistia generale nel 2008 rilasciati 127mila detenuti

 

Ansa, 22 gennaio 2009

 

Sono oltre 127 mila i detenuti che hanno beneficiato dell’amnistia generale approvata dal parlamento iracheno lo scorso anno. "In totale, 127.431 detenuti nelle carceri irachene sono stati rilasciati in virtù dell’amnistia, fino al 15 gennaio scorso, mentre altri 30.879 non avevano i requisiti per poterne beneficiare", ha detto il giudice Abdul Settar al Bayraqdar. L’amnistia non includeva reati connessi al terrorismo, alla corruzione finanziaria e al genocidio.

Iran: impiccati 10 uomini, 26 le esecuzioni dall’inizio dell’anno

 

Agi, 22 gennaio 2009

 

Esecuzione di massa a Teheran: dieci uomini tra i 21 e i 42 anni condannati a morte per omicidio sono stati impiccati nel penitenziario di Evin. Lo ha riferito un quotidiano filo-governativo iraniano, secondo cui le esecuzioni sono avvenute mercoledì mattina. Altre 12 condanne a morte sono state eseguite in altre città della repubblica islamica da martedì scorso, portando a 26 il totale dall’inizio dell’anno.

Nel 2008 le impiccagioni erano state 246. Tra gli ultimi giustiziati a Teheran anche un afghano, Molagol Hassan, accusato di aver ucciso nel 2004 un connazionale, dopo averlo derubato. Un venticinquenne è stato invece graziato a pochi metri dal patibolo dopo che all’ultimo momento la famiglia della vittima ha accettato un indennizzo economico, come previsto dalle legge islamica. La legge iraniana prevede che la pena di morte possa essere applicata per omicidio, violenza sessuale, rapina a mano armata, traffico di droga e adulterio.

 

 

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