Rassegna stampa 21 gennaio

 

Giustizia: in ricordo di Mario Gozzini, uno che ci ha provato

di Stefano Anastasia e Luigi Manconi

 

www.innocentievasioni.net, 21 gennaio 2009

 

"Quando entro in albergo e ho l’imprudenza di tirar fuori la tessera del Senato invece della carta d’identità del Comune, capita che l’albergatore, letto il nome, mi chieda se per caso non sia proprio "quello della legge" e, alla mia risposta rassegnatamente affermativa, mi squadri con occhio diffidente (e io tema, per un istante, d’esser cacciato come persona indesiderabile)".

Così Mario Gozzini, di cui oggi cade il decimo anniversario della morte, raccontava le conseguenze personali della sua identificazione con la legge che ne porta il nome. Identificazione riduttiva, per un intellettuale di grande rilievo nel mondo cattolico fiorentino, legato negli anni ‘50 e ‘60 a Giorgio La Pira ed Ernesto Balducci, e per questo - poi - eletto senatore per quattro legislature come indipendente nelle liste del Pci.

Ma a questa identificazione Mario Gozzini, "per nulla "pentito"" di quanto aveva fatto per il mondo penitenziario, non si sottrasse mai, ribadendo punto per punto le sue ragioni ogni volta in cui le circostanze lo richiesero, dal giorno successivo all’approvazione della fatidica legge, fino agli ultimi anni della sua vita. Stiamo anche noi, dunque, a questa obbligata identificazione, certi di non fare un torto alla sua memoria.

Nella vulgata giornalistica e nelle chiacchiere da bar - e nel senso comune più torvo - la "legge Gozzini" è tutto ciò che rende inefficiente il nostro sistema penale, non assicurando la certezza della pena e assicurando, anzi, l’opposto: l’impunità per i delinquenti. Questo, ancora oggi, sostiene da un pulpito istituzionale non irrilevante, addirittura un avvocato - un "uomo di legge"! - come il presidente della Commissione giustizia del Senato, Filippo Berselli, autore di un disegno di legge dichiaratamente "anti-Gozzini".

Invece, la legge Gozzini non solo è mirabilmente efficace (come spiegheremo più avanti), ma non è altro che - né più né meno - l’inveramento dei principi costituzionali in materia di esecuzione della pena: "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", e dunque devono prevedere istituti, misure e alternative al carcere, idonei a facilitare il reinserimento sociale dei condannati.

Ci aveva provato la legge di riforma penitenziaria, nel 1975, ad adeguare il nostro sistema penitenziario alla Costituzione e ai principi di un moderno stato di diritto, ma alle resistenze culturali si aggiunsero gli anni bui del terrorismo e delle "leggi d’emergenza". Furono anni di carceri speciali e di rivolte, di violenze e di lutti: non certo il contesto adatto a una riforma tanto ambiziosa, che venne - invece - pezzo a pezzo sterilizzata, quando non cancellata.

E proprio dalle carceri speciali partì Mario Gozzini, e dalla necessità di un loro superamento. Per poi arrivare, tra molte sollecitazioni (non ultime, quelle dell’allora Ministro della giustizia, Mino Martinazzoli), a una legge che riapriva la porta alla speranza, la speranza di una nuova vita, dopo il delitto e la pena, la speranza della riconciliazione, la speranza di una riduzione della recidiva.

Da allora, nulla è stato più come prima. Il carcere è cambiato, profondamente. La legge Gozzini è stata un punto di non ritorno. Intanto: la riduzione della violenza. Endemica, in carcere, fino ad allora. Tra custodi e custoditi. Tra detenuti e detenuti. Non mancherà, negli anni a seguire, la violenza in carcere. Non può mancare. La stessa costrizione fisica del recluso negli spazi ristretti della detenzione è una violenza. Una violenza che sembra legittimare agli occhi dei più inconsapevoli altre forme di sopraffazione, minute o eclatanti che siano. Ma la violenza endemica, quella delle rivolte e delle punizioni corporali, no: le une scomparse, le altre, come giusto, perseguite legalmente (certo, oggi più di ieri).

E poi, l’efficacia. Come lo stolto che continua a guardare il dito, invece della luna, la chiacchiera da bar, o da salotto televisivo, continua a scambiare per "incerta" la pena "flessibile", che invece prevede procedure, passaggi, valutazioni minuziosamente scandite dalla legge, e che non dà mai luogo a impunità: ma a forme via via più attenuate di controllo e di punizione, fino alla completa libertà che, in Italia, non si ha mai prima della "riabilitazione", per la quale devono passare almeno tre anni dalla fine della pena. Altro che incertezza!

Invece, la pena flessibile, la progressione nel trattamento sanzionatorio, i permessi, il lavoro all’esterno, la semilibertà, l’affidamento in prova al servizio sociale, la liberazione condizionale hanno prodotto dei veri e propri miracoli per quella che viene definita "sicurezza pubblica".

Se la percentuale dei beneficiari delle alternative alla detenzione che commettono nuovi delitti durante l’esecuzione della pena si aggira intorno allo 0,30%, la recidiva nei cinque anni successivi alla fine della pena scende drasticamente da circa il 68% tra coloro che scontano l’intera pena in carcere al 19% tra coloro che usufruiscono di alternative alla detenzione.

Nonostante tutti gli attacchi, tutte le limitazioni e le marce indietro che si sono susseguite negli ultimi vent’anni, avremmo potuto sperare in qualcosa di meglio? In risultati maggiormente positivi? Sì, certo. Ma solo con una maggiore determinazione e una più ampia collaborazione tra tutti i soggetti interessati e , soprattutto, con un più rilevante investimento nelle alternative e nelle pene esterne al carcere. In nome della sicurezza, e in nome di una - per quanto gracile - speranza.

Giustizia: 59mila detenuti; un Commissario per nuove carceri

 

Il Velino, 21 gennaio 2009

 

Il prossimo Consiglio dei Ministri con ogni probabilità varerà nuove norme per rendere molto veloce l’iter di costruzione delle carceri. Si faranno sotto la guida di un "Commissario Straordinario" che non dovrà fermare i lavori neppure in caso di ricorsi e richieste di sospensione. Il sistema penitenziario, infatti, è al collasso assediato da ritardi e procedure che non consentono di aumentare i 206 istituti di pena sparsi su tutta la penisola, né di ristrutturali in tempi rapidi.

A giorni la popolazione carceraria supererà le 59 mila unità contro una capienza di 43.066 e in pochi mesi sarà difficile trovare posto per i nuovi arrestati. Una situazione aggravata dall’aumento di stranieri ospitati nei nostri istituti di pena: alla fine del 2007 erano 18.252, oggi sono quasi 21.700 e cioè quasi il 37 per cento dell’intera popolazione carceraria.

A San Vittore la percentuale si alza al 58 per cento, e supera il 70 per cento a Verona e Pordenone.

Ma non sono soltanto gli stranieri a pesare: nei 206 istituti di pena, infatti, ci sono ben 14.671 persone in attesa del primo giudizio e soltanto 20.500 circa sono i detenuti che scontano una pena definitiva.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano è alla ricerca di soluzioni e in attesa di poter contare su un maggior numero di celle (ma ci vogliono non meno di tre anni), sta tentando di dar seguito ai numerosi accordi che il nostro Paese ha firmato con gli altri Stati affinché accettino di far scontare la pena in patria ai loro concittadini, ma i risultati sono stati fino ad oggi scarsi per la mancanza di collaborazione degli altri governi. Se alcuni Stati realizzassero gli accordi si renderebbero liberi diecimila posti: gli albanesi detenuti sono infatti 2.610, gli algerini oltre mille, 4.714 i cittadini del Marocco, 2.670 quelli romeni e 2.500 i tunisini.

Giustizia: in bozza del ddl Alfano più garanzie per gli imputati

 

Ansa, 21 gennaio 2009

 

"Disposizioni in materia giusto processo e garanzie dell’imputato, qualità della organizzazione e dei servizi relativi alla giustizia, efficienza delle indagini preliminari e accelerazione del processo".

È l’ultima titolazione data all’ultima versione della bozza di ddl che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intende portare al Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo. Sempre che, dopo il vertice di maggioranza di ieri sera a Palazzo Grazioli, sia stata trovata un’intesa con An e Lega sui reati da includere o escludere dalla lista di quelli intercettabili previsti nel ddl dello scorso giugno (il termine per presentare gli emendamenti in Commissione giustizia alla Camera scade giovedì prossimo).

La trentina di articoli dell’ultima bozza di ddl sul processo penale saranno oggetto di ulteriori modifiche nei prossimi giorni ma, rispetto alle ipotesi circolate nei giorni scorsi, sono state introdotte delle novità (nuovi motivi di ricusazione del giudice, modifiche all’ordinamento giudiziario, sospensione dei processi a carico degli imputati irreperibili accusati di reati di minore gravità). Ecco in sintesi, i principali punti:

Astensione e ricusazione del giudice che ha espresso giudizi fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie nei confronti delle parti del procedimento e tali da recare pregiudizio all’imparzialità del giudice.

Il diritto alla prova esteso - L’ipotesi è di prevedere il diritto dell’imputato all’esame e al controesame di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati in procedimenti connessi nelle stesse condizioni del pubblico ministero, e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a favore dell’imputato. Il giudice provvederà senza ritardo. "A pena di nullità assoluta" ammette le prove ad eccezione di quelle vietate dalla legge e di quelle manifestamente irrilevanti. Ampliate anche le indagini difensive compiute dagli avvocati.

Competenze - Criteri più certi per determinare il giudice territorialmente competente se non è individuabile il luogo in cui è stato commesso il reato. In caso di "eccezionali situazioni di contrasto tra gli uffici del pubblico ministero", come quelle sorte tra Catanzaro e Salerno sul caso De Magistris, interverrà il Pg della Cassazione, trasferendo il procedimento.

Polizia giudiziaria e Pm - Entrambi "svolgono le indagini preliminari nell’ambito delle rispettive attribuzioni". In particolare, la Pg "prende di propria iniziativa e riceve notizia di reati. Il pm riceve le notizie di reato". In altre parole, il pm potrà solo ricevere la notizia criminis senza più poter aprire fascicoli sullo spunto di articoli di giornale o di una confidenza privata. E ancora: una volta comunicata la notizia di reato al magistrato, la pg continua a svolgere "di propria iniziativa" le attività di indagine e assicura nuove

fonti di prova, "informandone il pubblico ministero" (non più "prontamente" come previsto sino ad oggi). Non può essere fatto alcun uso delle notizie iscritte in registri diversi dal registro delle notizie di reato.

Chiusura indagini preliminari, proroghe, durata massima - Previste modifiche al codice di procedura penale per scandire con più certezza i termini delle indagini (che rimangono gli stessi: sei mesi per le indagini preliminari, prorogabili su richiesta fino a un massimo di 18 mesi o di due anni per reati di mafia, terrorismo etc.). Il procuratore generale è obbligato ad avocare l’inchiesta se, passati 120 giorni dalla scadenza dei termini, il pm non ha esercitato l’azione penale.

Sospensione procedimenti per gli irreperibili - Ma solo nei confronti di coloro che sono accusati di reati meno gravi (vale a dire tutti quelli che il codice consente come a citazione diretta da parte del Pubblico Ministero senza la necessità di andare davanti al Gip).

Impugnazioni - Entro tre giorni dalla lettura del dispositivo, Pm, imputato o parti civili devono subito dire se faranno appello. Se nessuno decide di impugnare, allora il giudice motiverà la decisione con una sentenza breve.

Corsi formazione obbligatori per capi uffici giudiziari - Le "toghe" devono dar prova di conoscere i criteri di gestione delle organizzazioni complesse, oltre alla gestione dei sistemi informatici, e i modelli di gestione delle risorse umane. La valutazione positiva di idoneità è valida per cinque anni. Modifiche all’ordinamento giudiziario anche nella parte in cui è previsto come illecito disciplinare la "reiterata e grave inosservanza" delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi informatici.

Messa alla prova - Rispunta la sospensione del procedimento con l’estinzione del reato nel caso in cui, l’imputato per reati punibili con pene non superiori a due anni (e non più quattro, come previsto in un precedente ddl al quale An e Lega diedero lo "stop"), abbia svolto lavori di pubblica utilità, non retribuiti, a favore della collettività.

Revisione delle sentenze in caso di condanna Corte europea diritti uomo - Viene introdotta la possibilità di chiedere la revisione delle sentenze di condanna se la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione del diritto di difesa.

Giustizia: la maggioranza in affanno, il Cdm la riforma "slitta"

 

Il Mattino, 21 gennaio 2009

 

La riforma della giustizia penale, promessa per il prossimo Consiglio dei ministri, slitta. Il vertice di maggioranza si è infatti concluso nella tarda notte di ieri senza che ministri e tecnici siano riusciti a trovare un’intesa sia sul pacchetto Alfano, sia sul disegno di legge che dovrebbe regolare le intercettazioni telefoniche. Al consiglio dei ministri di venerdì, arriverà quindi soltanto il provvedimento sulle carceri.

Il Guardasigilli resta comunque ottimista. Spiega di aver ieri notte "illustrato le linee guida della riforma del processo penale" e di aver riscontrato "un’ampia condivisione su quelle che sono le nostre priorità e cioè il giusto processo e la qualità e l’efficienza degli uffici giudiziari". La trentina di articoli di cui è composto il ddl illustrato ieri sera da Alfano, è sostanzialmente diverso dalle bozze circolate in questi giorni, ed è probabile che venga sottoposto ad ulteriori cambiamenti visto che i singoli partiti lo debbono ancora approfondire e studiare.

Al vertice, iniziato a tarda sera a palazzo Grazioli con una cena, hanno partecipato corpose delegazioni dei partiti alleati. Umberto Bossi si è presentato con il figlio Renzo e con i ministri Maroni, Calderoli e Castelli e il capogruppo Cota. An ha aggiunto alla ormai rodatissima coppia di ministri La Russa e Matteoli, l’espertissima Giulia Bongiorno. Berlusconi era invece assistito, oltre che dal consulente in materia Niccolò Ghedini, anche dal ministro Guardasigilli. Un’ora di colloquio e il Senatur con il figlio erano già nel cortile di palazzo Grazioli inseguiti dal Cavaliere. Poco prima delle undici ha salutato il ministro Matteoli, e così il restante gruppo si è dedicato al secondo punto dell’ordine del giorno.

Ovvero la lista dei reati intercettabili da inserire, con apposito emendamento, nel testo che è in discussione in Commissione Giustizia. Tra la voglia del premier di restringere la rosa dei reati relativi alla pubblica amministrazione che potranno essere intercettati e quella di Lega e An di ampliare le maglie della norma anche ai reati propri della microcriminalità, si è deciso di rinviare ad oggi la discussione. Il tempo stringe, visto che domani scadono i tempi di presentazione degli emendamento.

Berlusconi punta a siglare un’intesa di ferro dentro la maggioranza prima di aprirsi, con tutte le cautele del caso, al dialogo con le forze dell’opposizione. Il Cavaliere non si fida e rimane scettico sulla possibilità di un accordo a differenza di quanto invece sostiene l’ex leader di An e attuale presidente della Camera. Nel consiglio dei ministri di venerdì si discuterà invece del piano carceri con l’istituzione di un Commissario per l’edilizia penitenziaria, che avrà poteri speciali tali da superare le difficoltà burocratiche e amministrative che rallentano la costruzione di nuovi carceri.

Un provvedimento ritenuto indispensabile, in particolar modo dalla Lega, vista l’emergenza dovuta al sovraffollamento degli istituti di pena e alla scarsa voglia del Carroccio di procedere al varo di provvedimenti "svuota-carceri" più o meno simili a quello che fece nel 2006 il governo Prodi con il voto favorevole anche dell’attuale premier.

Ovviamente sull’intera vicenda pesano anche le tensioni interne alla maggioranza. La Lega è sul piede di guerra perché vede slittare il varo del federalismo fiscale. An non ha ancora risolto i modi del suo ingresso nel Pdl e continua ad attendere segnali sul fronte della democrazia interna al partito.

Giustizia: An e Lega sul vertice; meno limiti alle intercettazioni

di Dino Martirano

 

Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2009

 

Ammonimento al premier: ascolto delle conversazioni, va combattuto l’abuso e non l’uso fatto dai Pm corretti.

Tre ore di vertice tra alleati e Silvio Berlusconi per chiudere l’accordo di maggioranza sulla giustizia che ha ancora bisogno di alcuni ritocchi sul capitolo intercettazioni. Tra le novità presentate ad An e alla Lega ci sono gli ultimi 4 punti che il ministro Alfano ha inserito nel ddl sulle modifiche alla procedura penale (30 articoli) in arrivo venerdì al consiglio dei ministri: la possibilità di ricusare con più facilità il giudice che esterna fuori del processo, corsi obbligatori per i magistrati che aspirano a dirigere un ufficio, l’esclusione della traduzione in carcere per gli arrestati in flagranza (che attenderanno la direttissima nelle camere di sicurezza), la delega al governo per l’istituzione di un Gip collegiale per autorizzare gli arresti (come chiesto dal Pd) e un’eventuale riforma delle circoscrizioni giudiziarie accorpando i piccoli tribunali.

Alla cena offerta da Berlusconi a Palazzo Grazioli, An ha schierato una delegazione asciutta (La Russa, Matteoli e Bongiorno) mentre la Lega si è presentata in massa (Bossi con il figlio Renzo, Cota, Maroni, Calderoli e Castelli). La discussione è stata scandita dagli interventi degli alleati che hanno ripetuto al presidente del Consiglio (affiancato dal sottosegretario Letta, dai ministri Alfano e Tremonti e dal consigliere giuridico Ghedini) la necessità di ritoccare i testi predisposti dal governo soprattutto su due nodi: intercettazioni e rapporti tra pm e polizia giudiziaria.

Infatti domani, alla Camera, prende corpo con gli emendamenti la versione aggiornata del ddl Alfano sulle intercettazioni: la Lega ha tenuto il punto sui reati predatori (furto in appartamento e violenza sessuale) mentre An ha insistito su quelli tipici della criminalità organizzata (estorsione, sequestro di persona semplice, rapina) che la lista Alfano esclude dalle fattispecie soggette a intercettazioni. La Russa e Bongiorno hanno poi puntato i piedi sui reati contro la pubblicazione amministrazione "che devono rimanere nel loro complesso" tra quelli intercettabili "perché va combattuto l’abuso e non l’uso che ne fanno i magistrati corretti".

Senza Bossi, che ha lasciato la cena a causa di un lieve malore, Alfano ha dunque scoperto il testo che ha ricadute sul rapporto pm-polizia giudiziaria e sul riequilibrio dei diritti processuali a favore della difesa. Tutti d’accordo nel separare con più paletti la polizia giudiziaria (che dovrà cercare la notizia criminis e trasmetterla al magistrato non più "senza ritardo" solo quando sarà vestita con prove sicure) e quello del pm che non potrà più aprire fascicoli a raffica magari prendendo spunto dalla stampa.

Intesa sull’ampliamento delle indagini difensive, senza però concedere agli avvocati la possibilità di paralizzare il processo con una raffica di testi, e sulla messa alla prova (sospese le pene fino a 2 anni e non più fino 4). Sulla costruzione di nuove carceri, con la creazione di una commissario ad hoc, non sono stati sciolti i nodi di bilancio illustrati da Tremonti. Per il ministro Matteoli il vertice "è andato molto bene".

Giustizia: sullo stalking prima legge bipartisan della legislatura

di Claudio Sardo

 

Il Mattino, 21 gennaio 2009

 

È cominciata ieri nell’aula di Montecitorio la discussione generale sulle misure contro gli atti persecutori (stalking). Il disegno di legge che porta la firma del ministro Carfagna è il frutto di un lavoro comune e integra diverse proposte di iniziativa parlamentare. Dovrebbe essere la normalità nella vita delle Camere. In questa legislatura invece è una primizia assoluta.

Delle 45 leggi fin qui approvate 44 sono di esclusiva produzione governativa: 25 conversioni di decreti legge, 4 leggi di bilancio, 14 ratifiche di trattati, più il cosiddetto lodo Alfano. La 45esima legge è l’istituzione della commissione Antimafia: formalmente ha una natura parlamentare, ma si tratta di una legge sui generis. Tanto che viene ritualmente approvata in Commissione, senza passare per l’aula.

Si dirà che l’iniziativa governativa ormai prevale in tutti i sistemi. Tuttavia lo stato della produzione legislativa non può soddisfare neppure il governo. È vero che l’esecutivo, usando le norme a disposizione e la forza dei numeri, è riuscito così a imporre le sue politiche. Ma è anche vero che sta pagando dei prezzi. E altri prezzi li pagano i cittadini in termini di qualità della legislazione. Produrre leggi quasi esclusivamente per decreto genera disfunzioni. Il decreto entra in vigore prima dell’esame delle Camere. Ma il Parlamento può emendarlo.

E spesso lo emenda proprio su iniziativa del governo, che corregge i suoi errori o media con le varie istanze sociali. In questi mesi è capitato anche che successivi decreti abbiano corretto norme di precedenti decreti, magari approvati con la fiducia. Il vanto del ministro Tremonti è l’anticipo della Finanziaria con il decreto 112 del luglio scorso.

Indubbiamente si è trattato di un successo politico, oltre che di un importante segnale di rigore lanciato ai mercati prima della tempesta. Sul piano parlamentare però il dl 112 anziché ridurre la decretazione d’urgenza ne ha prodotta un’inflazione. E sempre quel decreto ha subìto almeno 17 modifiche successive. L’opposizione, come sempre, diffida delle maggioranze che vogliono riformare i regolamenti parlamentari.

Alle resistenze istintive si aggiunge nel Pd il timore che il Pdl voglia usare la riforma dei regolamenti per incidere sulla forma di governo e forzare ulteriormente il sistema in senso bipartitico. Timore più che legittimo (anche perché una parte minoritaria del Pd fa sponda al Pdl). Ma sarebbe autolesionista se questa giusta obiezione si trasformasse in una mera posizione conservatrice. L’esigenza di ridurre all’assoluta eccezionalità la decretazione d’urgenza non è solo una raccomandazione costante del Quirinale. È anche un obiettivo interesse comune del governo (che, come si vede, è costretto così a inseguire continue correzioni) e dell’opposizione (che alla fine vede ridursi il proprio spazio istituzionale).

Nelle proposte di riforma dei regolamenti parlamentari di Pdl e Pd c’è un punto di convergenza: la disponibilità a fissare tempi certi per le iniziative legislative che il governo giudica necessarie al proprio indirizzo politico. Restano divergenze sui dettagli e sui tempi. Le leggi che il governo considera importanti dovrebbero essere votate dalle Camere entro due mesi, come attualmente i decreti: le norme però entrerebbero in vigore solo alla fine del percorso parlamentare e, si spera, dopo un esame più attento anche sulla qualità.

Forse è necessario per le leggi più complesse un tempo superiore ai due mesi. Le opposizioni però non hanno interesse a dire di no. Piuttosto potrebbero chiedere in cambio il diritto di mettere ai voti in aula una propria proposta di legge (senza gli emendamenti che la maggioranza può imporre in commissione). Una più ampia riforma dei regolamenti parlamentari può essere rinviata a dopo le riforme costituzionali.

Ma una correzione, limitata alla produzione legislativa, è necessaria e forse possibile in tempi brevi. Correzione magari da estendere alla riforma della sessione di bilancio: perché il problema della Finanziaria non è stato risolto una volta per tutte con il dl 112. Anche qui vanno aumentati responsabilità e poteri del governo, in cambio però va definitivamente esclusa la combinazione maxiemendamento-voto di fiducia, che umilia opposizioni e maggioranza. Il Parlamento potrebbe essere compensato della minore emendabilità del testo di bilancio con poteri di controllo assai più penetranti degli attuali. Questa sì che sarebbe una buona occasione per imitare il modello inglese.

Giustizia: sindacati penitenziari chiedono incontro con Alfano

 

Adnkronos, 21 gennaio 2008

 

"Un confronto sulle criticità in atto che investono il sistema penitenziario nella sua interezza e, di riflesso, tutti gli operatori penitenziari". Lo chiedono, in una nota congiunta inoltrata al ministro della Giustizia Angelino Alfano, i sindacati della Polizia Penitenziaria: Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Osapp, Sinappe, Uspp, Cnpp e Siappe, sottolineano che "è del tutto evidente che il piano straordinario di edilizia penitenziaria, su cui pur si nutrono motivate riserve, non può non coniugarsi con l’implementazione delle dotazioni organiche".

L’assunzione della vigilanza da parte della Polizia Penitenziaria a strutture giudiziarie e l’assunzione di nuovi compiti, per i sindacati, "hanno compresso le reali disponibilità da impiegare nei servizi istituzionali in prima linea".

Giustizia: Sappe; ampliare area penale esterna e… assumere!

 

Adnkronos, 21 gennaio 2008

 

Le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria iscritti al Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa della Categoria, si aspettano dal Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo il varo di provvedimenti concreti per la rivisitazione delle politiche penitenziarie italiane, che contemperino gli aspetti punitivi e rieducativi della pena con il miglioramento delle condizioni lavorative dei Baschi Azzurri del Corpo.

Diciamo sì alla costruzione di nuove carceri ma necessariamente solo dopo aver adeguato gli organici della Polizia penitenziaria, carente già oggi di 4mila unità. E siamo anche favorevoli ad una espansione dell’esecuzione penale esterna, che può essere incentivata offrendo garanzie di sicurezza credibili sia dal giudice che le dispone sia dalla stessa collettività, avvalendosi anche di sistemi di controllo tecnologici, come ad esempio, il braccialetto elettronico, da dare in gestione e controllo alla Polizia penitenziaria che dovrà svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative.

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, in previsione dell’annunciata discussione, nel Consiglio dei Ministri di venerdì, di un piano carceri.

Capece sottolinea che se la strada del Governo sembra essere quella di costruire nuove carceri, questo vuole dire necessariamente assumere nuovo Personale, di Polizia e del Comparto Ministeri (oggi entrambi nettamente sotto organico), vuol dire stanziare fondi e risorse. Se le attuali dotazioni organiche sono già insufficienti per le esigenze relative all’epoca della loro individuazione, non vi è dubbio che la situazione sia andata ancor di più aggravandosi a seguito dell’apertura, dopo il 2000, di nuove strutture penitenziarie, della realizzazione dei nuovi padiglioni detentivi e della ristrutturazione di sezioni detentive inutilizzate. L’auspicio del Sappe è quindi quello che il Governo preveda concretamente nuove assunzioni per il Corpo, cominciando dagli idonei non vincitori del concorso per Agente riservato ai volontari delle Forze Armate recentemente conclusosi per giungere ad un nuovo concorso pubblico per almeno 1.500 agenti.

Il SAPPE auspica infine che il ministro Alfano definisca quanto prima con il Ministro dell’Interno Roberto Maroni quel decreto interministeriale Interno e Giustizia, incomprensibilmente sospeso, finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia Penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe).

Ci sono già stati diversi incontri tra Amministrazione penitenziaria e Sindacati del Corpo per definire il ruolo della Polizia penitenziaria negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia proprio la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Venerdì si potrebbe discutere anche di questo per un concreto "piano carceri".

Giustizia: Cassazione; indulto non s'applica a isolamento diurno

 

Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2008

 

All’isolamento diurno, che deriva da più condanne all’ergastolo, non si applica l’indulto. La Cassazione (sentenza 149/09) liquida così la questione dell’estensione dello sconto di pena a un "accessorio" della condanna.

L’isolamento diurno, spiegano i Supremi giudici, ha una funzione sanzionatoria per i delitti, commessi in concorso con altro reato punito con l’ergastolo, che resterebbero altrimenti impuniti (perché la pena sarebbe in concreto inapplicabile). In linea generale è stata spesso riconosciuta la natura di sanzione penale dell’isolamento diurno, anziché di modalità di esecuzione della pena.

Nel caso di specie, tuttavia, la Cassazione non dice se, posta la questione in tali termini, l’indulto sia applicabile o meno. Perché, quale che sia la tesi cui si voglia aderire, nel caso di isolamento diurno come conseguenza di più condanne all’ergastolo, è impossibile scindere il cumulo delle pene, e dunque intervenire, con l’indulto, sul peso della relativa misura accessoria.

Giustizia: 566 in regime 41-bis; vietato anche leggere i giornali

di Camilla Pallavicino

 

www.targatocn.it, 21 gennaio 2008

 

È tuttora molto aperto e vivace il dibattito in merito all’efficacia e all’effettiva applicazione del regime del 41-bis, il cosiddetto "carcere duro" per gli appartenenti ad organizzazioni mafiose. Molti fra gli addetti ai lavori lamentano il fatto che il 41-bis, così come è applicato adesso, non produrrebbe più quegli effetti che avevano ispirato la legge varata dopo le stragi in cui morirono i magistrati Falcone e Borsellino. Secondo alcuni Procuratori di Tribunali calabresi e siciliani, i detenuti sottoposti a determinate restrizioni, sarebbero in realtà in grado di mantenere i contatti con l’esterno, un fattore determinante per la vita stessa delle organizzazioni criminali.

Molto c’è ancora da chiarire del resto in merito alle polemiche seguite alle revoche del 41-bis avvenute negli ultimi mesi per circa 36 (in totale sarebbero 566 detenuti in 12 carceri di massima sicurezza) appartenenti ad organizzazioni criminali; le motivazioni addotte dai Tribunali di Sorveglianza in questi casi si basano sul fatto che "non è dimostrata la persistente capacità del detenuto di mantenere contatti con l’associazione criminale di appartenenza".

I Magistrati di Sorveglianza del resto non decidono in base ad elementi aleatori, ma sulla scorta di dati investigativi tesi a confermare o meno la sussistenza di rapporti diretti del detenuto con la propria organizzazione criminale ed in base anche alla condotta specifica all’interno del carcere. Ai detenuti sottoposti al regime del 41-bis sono limitate le "ore d’aria" e le ore di socialità con un massimo di cinque persone; possono fare solo un’ora di colloquio al mese e possono ricevere solo due pacchi l’anno.

La legge 354 del 75 all’articolo 18-ter dispone per loro il controllo e la censura della corrispondenza, da applicare con provvedimento motivato su richiesta del Pubblico Ministero o su proposta del Direttore dell’Istituto. Ed è proprio in questo ambito che il Tribunale di Sorveglianza di Cuneo ha di fatto ristretto le possibilità di contatto dei detenuti con il proprio territorio di appartenenza vietando la ricezione dei quotidiani locali dell’area geografica di appartenenza.

Al Cerialdo in questo momento ci sono circa 80 detenuti in regime di 41 bis su una capienza massima di cento posti. A novembre scorso il Giudice di Sorveglianza Mara Falcone dispose per uno di questi, su segnalazione della direzione del carcere, il divieto di ricevere e acquistare quotidiani locali delle propria area geografica di provenienza.

"Non sappiamo - ha commentato la dott. Falcone - se in altri Tribunali di Sorveglianza sono stati adottati provvedimenti di questo genere, ma a nostro avviso la lettura dei quotidiani locali può favorire e rafforzare un collegamento diretto del detenuto con la propria organizzazione criminale, in quanto forniscono una descrizione particolarmente dettagliata degli episodi di cronaca locale. I detenuti potrebbero avvalersi di queste informazioni in tanti modi e per le più diverse finalità".

Ai detenuti non manca del resto la possibilità di informarsi attraverso la lettura dei quotidiani nazionali. Il provvedimento di novembre scorso, che dovrà essere rinnovato con apposito provvedimento ad aprile, potrà essere poi prorogato ancora due volte con cadenza trimestrale per un totale di 12 mesi. Dopo un anno, quando e se verrà prorogato al detenuto il regime di 41 bis, la censura dei giornali verrà riapplicata con le stesse modalità.

Degli ottanta detenuti in 41 bis la metà circa ha fatto ricorso contro questo provvedimento del magistrato al Tribunale di Sorveglianza. Prosegue così, in un incessante batti e ribatti fra provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria e contestazioni dei detenuti tramite i ricorsi dei loro avvocati, il percorso del 41-bis, il "carcere duro" per i mafiosi; decisioni come quelle del Tribunale di Cuneo dimostrano che un’applicazione ragionata dell’articolo di legge consente di dare efficacia ad un provvedimento che in tanti casi si è rivelato determinante nella lotta alla criminalità organizzata.

Giustizia: custodire i "corpi di reato", affare da decine di milioni

 

Corriere della Sera, 21 gennaio 2008

 

Nemmeno fosse stata una bottiglia di gran vino d’annata. Anzi, nemmeno fosse stata una bottiglia: a restare per più di otto anni nel deposito di una ditta privata per conto del Tribunale è stato un "collo di bottiglia ", cioè il coccio di vetro superstite alla rissa tra due cittadini marocchini, custodito appunto dal maggio 1999 al dicembre 2007 prima che il relativo processo per lesioni personali andasse serenamente in prescrizione. Custodia cara. Carissima: al prezzo, appunto per 8 anni in un capannone "al coperto, video sorvegliato e protetto da impianto d’allarme", di 2.383 euro più Iva.

Quanti ha ritenuto, tabelle alla mano, di poter chiedere il custode giudiziario al giudice di turno. Che però, leggermente scandalizzato, come traspare dal "decreto di pagamento di indennità di custodia", gli ha falciato la nota spese, liquidandogli soltanto 45 euro. Per farlo, però, paradossalmente il giudice Paolo Ielo ha dovuto arrampicarsi sugli specchi della normativa del 2002 e della giurisprudenza di Cassazione del 2005, per valorizzare il fatto che "il bene ha un valore pressoché nullo", ritenere che "proprio la differenza tra il valore del bene e il valore della somma richiesta esprime l’inaccettabilità della richiesta", e valutare "negativamente la mancanza da parte del custode" di comunicazioni che in questi "10 anni segnalassero la situazione": cioè il permanere dell’inutile sequestro, e, con esso, l’ingrassare del portafoglio del custode giudiziario con il passare del tempo.

Nella sua modesta dimensione, casi come questo sono però la punta dell’iceberg di un problema serissimo e solitamente ignorato: l’impatto economico, sugli esangui bilanci della giustizia, degli oneri di custodia dei corpi di reato presso i depositi di ditte private, negli anni riempitisi man mano che non soltanto gli uffici giudiziari ma anche le Civiche Depositerie Comunali non riuscivano più a trovare posto alla montagna di materiale: auto, vestiti, borse, computer, giocattoli, merce peraltro troppe volte mantenuta in custodia (se non addirittura "dimenticata " nelle pieghe delle carte dei fascicoli) anche ben oltre il tempo realmente necessario alle indagini e ai dibattimenti.

Adesso che il piatto della giustizia piange, e anche senza bisogno di futuribili "manager dei tribunali", nella consapevolezza della magistratura affiorano dosi di sempre maggiore sensibilità. A Milano, ad esempio, gli uffici giudiziari hanno da poco concluso una maxitransazione con una delle maggiori ditte del settore che, per una decina d’anni di custodia di beni, chiedeva ben 12 milioni di euro.

Alla fine il negoziato è valso un "taglio" della metà della richiesta, dunque con un risparmio per lo Stato di circa 6 milioni di euro. E grandi manovre sono in corso anche nel Tribunale presieduto da Livia Pomodoro, attorno alla bonifica dell’"Ufficio Corpi di reato", saturo di reperti sequestrati sin dagli anni ‘80 e parcheggiati da molto tempo in depositi esterni, dove nemmeno più si sapeva bene che cosa ci fosse. Gli esiti sono stati impensabili: sono stati censiti e aperti 19.850 plichi riferibili a 8.544 procedimenti penali, con il risultato di avviare una tonnellata e sessanta quintali di merce ormai inutilizzabile alla distruzione presso l’inceneritore di Brescia, e di recuperare invece 33 bancali di merce ancora idonea alla vendita, messa infatti all’asta e con il ricavato andato allo Stato.

Stesso lavoro è in corso per il materiale conservato nelle Civiche Depositerie Comunali dal 1987: qui sono già stati conteggiati altri 18.500 reperti. Ma l’aspetto più surreale è che il Tribunale si è scoperto "seduto" su una santabarbara: 1.642 armi non più collegate alle necessità dei processi ma sulle quali mancava qualunque determinazione dei magistrati, e altri 4.358 reperti pericolosi (bombole gas, acidi, oli, batterie di auto, pneumatici) avviati a delicata distruzione.

Lazio: 5.300 detenuti e solo 890 ammessi a misure alternative

di Emilio Fabio Torsello

 

Il Sole 24 Ore, 21 gennaio 2008

 

Per le carceri laziali si sta esaurendo l’effetto indulto. A quasi tre anni dal provvedimento del Governo Prodi dei 2.663 detenuti usciti dagli istituti di pena della regione (1.618 italiani e 1.045 stranieri), quasi la metà, 1.048 (di cui 736 italiani e 312 stranieri), sono stati nuovamente arrestati. E solo per fare un esempio, nella capitale le presenze pre-indulto a Rebibbia e Regina Coeli erano 3.360. Scese subito dopo a 2.221, a gennaio 2009 sono tornate a quota 3mila. Ma non solo. Nei 14 istituti del Lazio aumentano i detenuti e diminuisce anche lo spazio a loro disposizione.

Da febbraio 2008 a oggi, infatti, il numero dei carcerati è passato da 4.908 a 5.349 (+9%), a fronte di una notevole riduzione sia della capienza regolamentare sia di quella tollerata degli istituti di pena legata a lavori di manutenzione, ristrutturazione o a problemi logistici. All’inizio dell’anno scorso, infatti, nelle carceri della regione erano disponibili 4.604 posti, oggi ce ne sono 4.449 (150 in meno). In flessione anche la capienza tollerata: da 6.578 a 6.486 posti.

Critica la situazione nel penitenziario di Latina, dove a fronte di un numero regolamentare di 86 posti e un massimo di 137, vengono ospitati 160 detenuti, quasi il doppio della capienza regolamentare. Mentre a Roma il sovraffollamento delle carceri sta creando non pochi problemi al Nuovo Complesso 1 di Rebibbia, struttura da 1.194 posti, che con 1.440 detenuti si appresta a superare anche la capienza massima tollerabile di 1.501 ospiti.

La situazione nel Lazio potrebbe forse migliorare grazie all’apertura del nuovo carcere di Rieti, una struttura da 250 posti, con una capienza massima fino a 400 detenuti: "Entro il 2009 il nuovo penitenziario di Rieti verrà aperto - spiega Angelo Zaccagnino, provveditore regionale del Lazio per l’amministrazione penitenziaria - i ritardi sono dovuti ai tempi di collaudo e alle esigenze di arredamento dei locali. Completata questa fase - aggiunge - verrà definito l’organico e messo in funzione il carcere".

Per gestire il sovraffollamento dei penitenziari, conclude il Provveditore, "ci sono due soluzioni: un completo e razionale utilizzo degli spazi detentivi esistenti in regione e il trasferimento verso altri istituti della Penisola dei carcerati che non hanno vincoli di territorialità".

Una soluzione che non convince il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: "Per costruire nuove strutture sono necessari diversi anni e non si potrà spostare per sempre i detenuti da un penitenziario all’altro. Il Governo dovrebbe pensare a creare un sistema di pene alternative che alleggerisca il carico dei penitenziari".

A oggi nella regione 437 detenuti usufruiscono dell’affidamento ai servizi sociali, 61 sono in regime di semilibertà, 244 ai domiciliari e 148 in libertà vigilata. In tutto 890 persone, quasi il doppio rispetto allo scorso anno quando erano appena in 434 a scontare pene alternative.

Tra le cause principali del sovraffollamento c’è poi la massa di persone in attesa di giudizio. Se alla fine del 2007 erano 2.836, oggi il numero di chi attende un pronunciamento definitivo nel Lazio è salito a 2.987, oltre la metà del totale dei carcerati della regione.

Scende invece la percentuale dei carcerati stranieri: nel 2007 erano il 44%, oggi sono il 32,8% sul totale dei detenuti, con picchi che superano il 50% nei penitenziari romani di Regina Coeli (58,18%), di Rebibbia "femminile" (50,77%) e nel carcere di Civitavecchia "Nuovo Complesso" (52,57%).

Discorso a parte meritano i suicidi che nel 2008 hanno coinvolto anche una guardia carceraria. Rispetto all’anno precedente, quando se ne erano accertati cinque (4 stranieri e 1 italiano), nel 2008 sono state sei le persone che si sono tolte la vita (1 secondino e 5 detenuti, di cui 2 stranieri e 3 italiani), un terzo delle morti avvenute nei penitenziari laziali.

Marche: denuncia sindacati; mancata assunzione di 100 agenti

 

Apcom, 21 gennaio 2008

 

Tra le tremila assunzioni mancate denunciate questa mattina da tutti i sindacati di polizia penitenziaria, in un fax inviato da Roma al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, circa un centinaio riguardano gli istituti marchigiani e in particolare la nuova struttura di Ancona: il Barcaglione. Le carceri marchigiane sono sette. La nota dolente principale degli istituti della regione è la mancanza cronica di personale, in particolare nell’area trattamentale: un educatore a metà tra Fermo e Ancona-Barcaglione, un educatore ad Ascoli, su tre previsti e via dicendo. Con l’indulto approvato dal Governo Prodi complessivamente sono uscite dalle carceri marchigiane quasi 290 persone.

Milano: nasce l'Agenzia di promozione del lavoro penitenziario

 

Affari Italiani, 21 gennaio 2008

 

Nasce una nuova Associazione a San Vittore. Si chiamerà Articolo 27. E sarà un’agenzia regionale di Promozione del lavoro penitenziario.

"Ci siamo sentiti naturalmente obbligati a battezzare questa Agenzia rifacendoci, alla lettera, alla Carta Costituzionale, a quell’articolo che, accanto a un principio universale di civiltà, afferma la necessità di attribuire finalità positiva alla sanzione comminata - spiega il Provveditore Regionale Luigi Pagano -.

L’Amministrazione Penitenziaria, il cui mandato istituzionale da quella norma deriva, attraverso questo nuovo organismo si propone di incentivare o contribuire a realizzare, presso gli istituti o all’esterno, concrete iniziative d’impiego nella convinzione che il lavoro sia uno degli elementi determinanti su cui fondare percorsi di inclusione sociale non aleatori".

Insomma, Luigi Pagano prosegue nella sua opera di profondo innovatore della politica carceraria in Italia. "È un obiettivo da tutti auspicabile perché l’integrazione, il reinserimento del condannato nella comunità si traduce in riduzione dei rischi di recidiva contribuendo, così, a elevare, in maniera significativa, il livello di sicurezza sociale - spiega Pagano - L’Agenzia non intende, né potrebbe, sovrapporsi con le diverse altre realtà già presenti sul territorio, ma con loro relazionarsi per sviluppare un processo comunicativo costante e creare una rete organizzativa valida e funzionale".

Pagano anticipa poi la riparazione del grande orologio carcerario, fermo ormai da trent’anni. "Il via a questo nuovo progetto lo abbiamo voluto affidare a quello che, nell’immaginario collettivo, dà la rappresentazione dell’immobilità del tempo carcerario: il grande orologio, oramai fermo da oltre trent’anni, posto all’ingresso della rotonda di San Vittore - spiega Pagano - Il "Maestro del tempo" Giorgio Gregato l’ha restaurato e giovedì 29, alle ore 10 in punto, le sue lancette saranno riavviate. La nostra speranza è che non si fermino più, ma non dipende solo da noi impedirlo".

Catania: Fleres; carcere di Piazza Lanza è un lager e va chiuso

 

Ansa, 21 gennaio 2009

 

Dopo aver denunciato che le carceri siciliane hanno raggiunto i settemila detenuti, il doppio di quanti ne potrebbero contenere, il garante per i diritti dei detenuti siciliani, Salvo Fleres, intervistato da Rei tv sulle precarie condizioni del carcere catanese di Piazza Lanza, ha detto che "la Casa Circondariale di Catania andrebbe immediatamente chiusa, all’interno i topi convivono con i reclusi e con le guardie e l’acqua calda non è sufficiente, questo non garantisce i livelli minimi di igiene".

"La situazione che riguarda il trattamento rieducativo - ha aggiunto il senatore del Pdl, secondo quanto si legge in una nota dell’emittente - è assolutamente precaria per mancanza di personale. Tutto ciò fa del carcere di piazza Lanza uno dei lager di cui si serve lo Stato per tentare di ridurre la criminalità; invece, purtroppo, una condizione come questa esaspera i rapporti. L’amministrazione penitenziaria, relativamente al personale impiegato registra carenze drammatiche".

Bologna: il Sindaco; presto Ordinanza per carcere del Pratello

 

La Repubblica, 21 gennaio 2008

 

Il sindaco Cofferati interviene sulla gravissima situazione del carcere minorile del Pratello, che la direttrice Paola Ziccone ha definito "un campo di concentramento" per via delle pessime situazioni strutturali: pochi spazi, camere anguste e fatiscenti, guardie sotto organico, aggressioni e un taglio ai fondi del 40 per cento previsto per quest’anno.

Lo strumento utilizzato sarà un’ordinanza, utilizzando il medesimo schema di quella firmata l’anno passato da Cofferati per affrontare le condizioni del carcere della Dozza. "Nei prossimi giorni - annuncia il sindaco - farò un’ordinanza sul carcere del Pratello, così come avevo fatto per la Dozza. I contenuti e le modalità le decideremo dopo aver sentito anche la Garante dei detenuti, sulla base degli elementi acquisiti".

Uno strumento, quello dell’ordinanza, di cui il sindaco può avvalersi, nella sua veste di massima autorità sanitaria cittadina. Il sindaco ascolterà dunque Desi Bruno, che ha visitato la struttura il 16 gennaio insieme al presidente della commissione politiche sociali Sergio Lo Giudice.

Ieri al "Pratello" sono andati anche i parlamentari del Pd: Sandra Zampa, Donata Lenzi e Rita Ghedini, accompagnate dalla radicale Rita Bernardini, parlano di una "situazione gravissima e di condizioni precarie. I detenuti non possono essere trattati in questo modo, devono essere trasferiti. Alcuni stanno in un prefabbricato in mezzo a un campo dove il fango arriva alle ginocchia".

Zampa accusa poi il centrodestra e il Governo di essere totalmente disinteressati. "Sono assenti. Raisi e Galletti dove sono? Ci sono solo quando c’è da parlar male di Bologna perché è governata dal centrosinistra".

Viterbo: Osapp; problemi per garantire l’ora d’aria ai detenuti

 

Il Messaggero, 21 gennaio 2008

 

"Di questo passo, non potremo neanche garantire l’ora d’aria ai detenuti". Anno nuovo, problemi vecchi al Mammagialla: la carenza d’organico ormai cronica, stando all’ennesima denuncia dell’Osapp - il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria - metterebbe a serio repentaglio la sicurezza interna.

Il mix è davvero esplosivo: nessuna nuova assunzione, il personale andato in pensione mai sostituito e continui nuovi ingressi. Meno di 400 agenti per 620 carcerati: "Se continua così, ci vorrà l’esercito", denunciano. E per il 2009 a rischio anche le ferie.

"L’ora d’aria dei detenuti? È possibile solo reperendo personale da altri servizi. Ma di questo passo, è difficile che riusciremo a garantirla". Anno nuovo, problemi vecchi, anzi cronici al carcere di Viterbo. Con lOsapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che torna a lanciare l’allarme: "Se dal ministero non arriveranno rinforzi, qui ci vorrà l’esercito per garantire la sicurezza".

Mammagialla scoppia di detenuti. Mentre gli agenti scivolano verso il basso, i nuovi ingressi non conoscono crisi. L’indulto, che nel 2006 aveva aperto le sbarre a circa 220 carcerati della casa circondariale viterbese contribuendo a restituire una parvenza d’equilibrio tra controllati e controllori, è stato ben presto aggirato. "Ora - dicono dall’Osapp - siamo giunti a quota 620, con un progressivo aumento che ha portato la situazione sull’orlo dell’implosione". Basti considerare che la capienza regolamentare è di 285 posti.

La bilancia all’interno del carcere, intanto, pende progressivamente verso i detenuti. Infatti, al loro aumentare non ha fatto seguito alcun rafforzamento degli organici. "Anzi, negli ultimi mesi - continua il sindacato - abbiamo registrato una ventina di pensionamenti. Ebbene, nemmeno questo personale è stato sostituito, così che gli organici continuano a restringersi non riuscendo più a far fronte alle attività quotidiane". Di esempi, non ne mancano. "Per riuscire ad accompagnare i detenuti che ne hanno diritto nel cortile all’aperto - spiegano - dobbiamo arrangiarci, andando a pescare agenti assegnati ad altre mansioni. Così, capita che rimangano scoperti alcuni servizi, specialmente negli uffici".

Dal ministero, intanto, per il 2009 parlano della necessità di aumentare il personale di 39 unità. "Troppo pochi - accusano dall’Osapp - perché, per ristabilire standard minimi di sicurezza, servirebbero almeno altri 100 agenti". E le stesse direttive del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria come pianta organica regolamentare per un istituto come Mammagialla - che, ricordiamo, ospita anche una sessantina di detenuti nel reparto di massima sicurezza del 41 bis - prevede 570 unità. Insomma, per essere a norma il rapporto interno dovrebbe essere di un agente per ogni detenuto. Ora, ce n’è poco più di uno ogni due.

A riprova delle oggettive difficoltà incontrare dal personale, anche l’organizzazione delle ferie. "Quest’anno - dicono - il rischio è che non riusciremo a goderne, perché non ci sono abbastanza agenti per sostituire gli assenti". Tant’è che ormai pure i turni, che solitamente sono di sei, nella maggioranza dei casi diventano di otto ore. "Figuriamoci - rilanciano - cosa accadrebbe se l’Eiv, il reparto ad elevato indice di vigilanza, dovesse aprire. Allora non resterebbe che chiamare l’esercito".

A soffrire della carenza d’organico, anche il personale medico. A oggi, nell’istituto a garantire il diritto alla cura dei detenuti all’interno del presidio sanitario ci sono un medico, un infermiere di ruolo e due non di ruolo. "Il nostro timore - conclude l’Osapp - è che chi di dovere si accorga dell’insostenibilità della situazione solo quando sarà troppo tardi". Perché, a Mammagialla, si sta scherzando col fuoco.

Cagliari: agenti in protesta davanti al carcere di Buoncammino

 

Ansa, 21 gennaio 2008

 

Un sit-in davanti al carcere di Buoncammino per rivendicare la dignità del proprio lavoro. L’iniziativa è degli agenti della Polizia Penitenziaria della Casa circondariale di Cagliari aderenti a Cgil-Fp, Cisl e Osapp che questa mattina presidieranno gli ingressi del carcere cagliaritano. "La situazione delle carceri sarde in generale - si legge in una nota - e in particolare della casa di reclusione di Buoncammino è ormai insostenibile".

"Nonostante le roboanti promesse del governo - prosegue il documento dei sindacati - sono costantemente messi in discussione i diritti, sia quelli relativi alla salute e sicurezza del lavoro che quelli di cittadinanza, da una carenza oramai strutturale dell’organico, dalla inesistenza degli investimenti". Cgil-Fp, Cisl e Osapp hanno chiesto un incontro con il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per affrontare la problematica delle carceri sarde.

Porto Azzurro: ergastolano si laurea in filosofia, tesi su Platone

 

Il Tirreno, 21 gennaio 2008

 

Si è laureato con 110 e lode il detenuto-filosofo del carcere di Porto Azzurro. Dimitri Ghiani, 47 anni, condannato all’ergastolo, ha concluso nel migliore dei modi il faticoso percorso cominciato nel 2003, quando decise di iscriversi alla facoltà di filosofia dell’università di Pisa. Con gli occhi lucidi dall’emozione, ha stretto la mano ai membri della Commissione, mentre nella saletta del carcere i presenti lo hanno salutato con un applauso affettuoso.

Dimitri Ghiani, durante la discussione della tesi, di fronte ai professori Bruno Centrone, Maria Michela Sassi, Anna Belgrado, Cesare Letta e Mauro Mariani dell’università di Pisa, non ha mai pronunciato la parola "carcere" ma, al di là di Platone e Socrate, la sensazione era che stesse raccontando la sua storia, quella di un uomo rinchiuso nella "caverna", sprofondato nelle tenebre, in cerca della luce.

"Perché ha scelto di iscriversi a filosofia?", gli chiese un professore, durante uno dei suoi primi esami. "Perché prima di giudicare l’uomo, bisogna conoscerlo". "Sono riuscito a raggiungere un obiettivo sofferto - ha dichiarato Ghiani al termine della discussione - ho passato dei momenti davvero difficili, legati alla mia condizione di uomo e di detenuto. So che devo affrontare ancora prove dure, ma ho voluto questa laurea con tutta la mia forza.

Studiare in cella, da solo, è molto complicato perché non puoi confrontarti con nessuno, per questo la mia tesi è molto personale, quasi autobiografica. Adesso mi iscriverò alla specialistica "Forme del sapere antico"". Dimitri guarda avanti, gli occhi dolenti e il viso scavato testimoniano l’autenticità della sua sofferenza, ma anche la curiosità per un futuro che non sarà fatto soltanto di sbarre e silenzio.

Ghiani adesso è il simbolo dell’efficacia di misure carcerarie che puntano soprattutto al recupero dei detenuti attraverso la scuola. Iniziò a frequentare il primo anno di superiori nel 1996, quando ancora la scuola a Porto Azzurro era portata avanti dai volontari dell’associazione Dialogo, in primo luogo dagli insegnati Licia Baldi e Nunzio Marotti.

Dal 1997 fu istituito il liceo scientifico e Ghiani si diplomò nel 2002. Adesso sono circa ottanta i detenuti che seguono i corsi della scuola dell’obbligo e del liceo scientifico. Sette di loro sono iscritti a varie facoltà universitarie. "Tutto questo conferma - ha dichiarato al termine della cerimonia il direttore del carcere Carlo Mazzerbo - che studio e lavoro sono gli elementi fondamentali della detenzione".

Milano: 6 homeless morti di freddo... appelli e scambi di accuse

 

La Repubblica, 21 gennaio 2008

 

"Bisogna fare di più, di più, di più". Non si trincera dietro frasi di rito, il cardinale Dionigi Tettamanzi, di fronte ai sei clochard morti di freddo dall’inizio dell’inverno. Per evitare altre tragedie, spiega davanti all’altare della chiesa di San Sebastiano, "bisogna sviluppare la creatività, l’umanità. Va bene pensare alle grandi cose, al grande futuro di Milano.

Ma bisogna anche avere sollecitudine e attenzione per affrontare le situazioni umane più disperate, delle quali alla fine rischiano di non accorgerci". L’arcivescovo parla alla fine della messa nel tempio civico di via Torino, una celebrazione in occasione della festa patronale dei vigili urbani. In prima fila, in chiesa, ci sono l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli e il comandante della polizia municipale, Emiliano Bezzon, pronti per andare a fare il giro delle nuove tende riscaldate allestite da ieri sera all’Arco della Pace, di fronte alla stazione Centrale e al cimitero Monumentale dalla Croce rossa e dalla Protezione civile.

Una misura per affrontare l’emergenza, che potrebbe non essere l’ultima. Per risolvere il problema dei senzatetto che rifiutano l’accoglienza nei dormitori, il prefetto Gian Valerio Lombardi ha una proposta: "Se il problema persiste potremo organizzare squadre di emergenza notturne formate da personale volontario".

"Bisogna fare di più", esorta il cardinale. Che durante l’omelia invita con calore "gli amministratori a mettersi al servizio di tutti i cittadini". E sempre a loro si rivolge quando, a margine della messa, continua il discorso: "È finito il tempo delle grandi parole e dei grandi slogan. Ci sono persone che rischiano di restare abbandonate nonostante gli investimenti, nonostante tutti gli sforzi che pure sono stati fatti".

E allora? "Allora - dice - ciascuno di noi deve interrogarsi nella sua coscienza e interrogarsi con tanta semplicità, con tanta audacia, su tutto quello che si può fare per aiutare davvero queste persone". Ma per l’assessore Moioli "il cardinale ha ragione e infatti le stiamo inventando tutte. Adesso abbiamo provato con le tende per vedere se, magari, chi non vuole andare nei dormitori può passare qualche ora lì. Siamo talmente creativi che abbiamo inventato anche un’unità mobile diurna e un numero di telefono per i cittadini che possono aiutarci. Anche la Protezione civile sta cercando, per quello che è umanamente possibile, di mettere in campo risorse nuove".

Da ieri, in "punti strategici della città", ci sono anche tre tensostrutture, che potranno ospitare 30 persone ciascuna: aperte dalle 21 alle 6 del mattino, offriranno un riparo, ma anche cibo e bevande calde. Un attacco al Comune arriva dalla Provincia, che con l’assessore ai Diritti dei cittadini Francesca Corso accusa: "Davanti a sei morti in quindici giorni non ci si può consolare dicendo che è stato fatto il massimo. Quelle vittime sono la drammatica prova che il piano freddo è fallito". Palazzo Isimbardi ha messo a disposizione dei City Angels un camper per la prima accoglienza di gruppi di sei-sette clochard.

Ma la critica di Mariolina Moioli è dura: "L’atteggiamento dell’assessore Corso è vergognoso e avvilente: l’ho incontrata il giorno prima e non si è neppure sognata di chiederci se poteva essere utile. La Provincia non ha mai fatto niente per i suoi Comuni, mentre ogni sera da due mesi a Milano il 40% di chi riceve accoglienza proviene dall’hinterland". I posti nei dormitori ci sono, assicura l’amministrazione.

Il prefetto esclude che chi non ha permesso di soggiorno rischi una segnalazione: "In questi giorni non viene chiesta alcuna generalità - dice Lombardi - perché siamo in una fase di emergenza assistenziale". Sollevando dubbi sull’ipotesi del ricovero coatto: "Forse il trattamento sanitario obbligatorio è praticabile solo su chi ha gravi squilibri mentali".

Immigrazione: in 1.800 nel Cie di Lampedusa, isolani in rivolta

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 21 gennaio 2008

 

LAMPEDUSA - L’isola è in rivolta. Dentro e fuori il centro di accoglienza di Lampedusa c’è grande tensione. La struttura che ospita gli extracomunitari sta letteralmente scoppiando. Fino a ieri sera erano in 1800, metà dei quali dorme all’addiaccio, in ripari di fortuna, sotto la pioggia ed il freddo perché la capienza del centro è di 800 persone e non ci sono letti per tutti. Fuori, davanti al centro e nell’isola la popolazione protesta e minaccia azioni più eclatanti se non si provvederà a stabilire una situazione più civile. E nel mirino dei lampedusani ci sono il ministro degli interni, Roberto Maroni e, soprattutto, la "pasionaria" della Lega nell’isola, Angela Maraventano, adesso senatrice e vicesindaco di Lampedusa che, prima di arrivare a Palazzo Madama era in prima fila a guidare la protesta dei suoi concittadini che contestavano l’istituzione del centro di accoglienza. Al quale tra l’altro ora si è aggiunto un centro di identificazione voluto proprio da Maroni, che ha deciso di trattenere nell’isola gli immigrati per il rimpatrio immediato.

Se oggi o domani dovessero sbarcare sull’isola altre centinaia di persone com’è accaduto negli ultimi due giorni, la situazione potrebbe degenerare. "Siamo seriamente preoccupati: fino a questo momento siamo riusciti a fronteggiare l’emergenza, inventandoci soluzioni provvisorie come l’utilizzo di tende e altri ripari di fortuna.

Ma se ci si saranno altri arrivi, allora non sapremo più dove metterli" ammette Cono Galipò, amministratore delegato della cooperativa che gestisce il Cpt. Quello che non dice, lo dicono, ufficiosamente, i suoi collaboratori. "Se scoppiano dei tafferugli, come potremmo fare a fronteggiare la situazione? C’è un serio pericolo, anche per la nostra incolumità, dei carabinieri, dei poliziotti".

Ieri un gruppo di abitanti, riuniti nel comitato Sos Lampedusa, ha organizzato un presidio permanente davanti al Centro di contrada Imbriacola per contestare la direttiva annunciata da Maroni dieci giorni fa, all’indomani della sua visita sull’isola.

Dagli altoparlanti piazzati sul tetto di un’auto viene diffusa a tutto volume musica di alcuni artisti arabi. Sugli striscioni si legge tra l’altro: "Presidente Napolitano ci aiuti", "Se lo Stato vuole lo scontro, eccolo".

Una protesta che ha messo in serio imbarazzo la senatrice Angela Maraventano che è stata sfiduciata dal sindaco De Rubeis. "Queste manifestazioni - replica Maraventano - sono fomentate dal sindaco. Si tratta di una strumentalizzazione politica di cui dovrebbe vergognarsi. Io sto con Maroni. Se davvero si vuole bloccare il fenomeno dell’immigrazione clandestina questa è l’unica strategia da adottare".

Secca la risposta di De Rubeis: "Si prepari ad andare a casa perché le tolgo la delega. Forse dimentica che il sindaco sono io. Lampedusa non può diventare una caserma a cielo aperto. Quanti ne devono arrivare ancora perché il governo intervenga? Duemila, tremila o seimila, come l’intera popolazione dell’isola?".

Droghe: Sacconi; "zero alcol" alla guida, per giovani under 21

di Carla Massi

 

Il Messaggero, 21 gennaio 2008

 

I giovanissimi dovrebbero cominciare a prepararsi fin dal prossimo fine settimana. Chi ha sotto i 21 anni non mandi giù neppure una goccia di alcol se ha voglia di mettersi al volante per tornare a casa. E, nemmeno una goccia, significa proprio questo. Neppure un sorso. Se si trasgredisce, si vada a piedi o si chieda un passaggio nella macchina di un amico che ha bevuto solo bibite analcoliche. Il pianeta degli under 21 e quello dei neopatentati è avvisato: in tempi non troppo lunghi per loro ci sarà un’ ulteriore stretta.

Un dato per tutti: secondo un rapporto dell’Aci di un anno fa e basato su 4mila interviste, il 7,3% dei ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni include tra le proprie abitudini la guida in stato di ebbrezza. Lo ha proposto il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: "Per chi ha sotto i 21 anni, i neopatentati e tutti i conducenti professionisti il limite assoluto di concentrazione alcolica dovrà essere pari a zero". Un limite, ha ricordato il ministro durante l’audizione alla commissione Trasporti della Camera, che riguarderà chi guida mezzi pubblici e gli autotrasportatori. Con particolare attenzione a chi ha il compito di trasportare merci pericolose. Novità anche per gli adulti che non si sottraggono all’uso delle droghe e poi salgono in macchina. È in arrivo il "drug test" per riuscire a fare controlli veloci su strada. Una verifica al volo per fermare chi è sotto effetto di sostanze stupefacenti.

"La linea della tolleranza zero - spiega Sacconi - potrebbe essere anche sperimentale. Anche reversibile. Vedremo se potrà dare una risposta positiva lasciando inalterato l’attuale tasso limite dello 0,5". In vari paesi europei, infatti, il livello massimo di concentrazione di alcol nel sangue, è sceso (per tutti, giovani e meno giovani) a 0,2. Per ora, dunque, nel mirino del governo ci sono solo quelli che hanno sotto i ventuno anni e quelli che hanno preso la patente da meno di tre anni. A guardare le statistiche i maggiori colpevoli degli incidenti stradali causati da eccesso di alcol.

"Non ritengo indispensabile - precisa ancora Sacconi - un intervento teso ad una riduzione degli attuali limiti di alcolemia stabiliti dalla legge". Una decisione che avrebbe un impatto non da poco sull’intera popolazione. E, secondo il ministro, "non si tradurrebbe in un’azione mirata sulle categorie e sulle situazioni veramente a rischio.

Per le quali ribadisco la necessità di un livello di tolleranza zero". Una stretta simile, spiegano gli esperti di alcol, non vorrà dire non bere più ma cominciare, in modo serio come fanno da anni e anni in Gran Bretagna, a scegliere uno che non tocca alcol e poi, a fine serata, riporta tutti a casa. Basterebbe questo per evitare, ogni domenica mattina, di contare dai tre ai quattro incidenti mortali di giovanissimi al ritorno dalle discoteche.

Il ministero annuncia che nasceranno gruppi di intervento misti per permettere anche agli ispettori del lavoro di fare verifiche sulle strade. Un rinforzo da mettere in campo soprattutto nei giorni, meglio le notti, "calde".

I primi ad essere super controllati saranno gli autotrasportatori. "Il progetto - dice ancora Sacconi - è in linea con le ispezioni in materia di autotrasporto tese a far crescere la sicurezza stradale attraverso controlli degli orari di lavoro, tempi di guida e riposo dei conducenti". Controlli preventivi, fanno sapere dal governo, "finalizzati a far sì che i soggetti che fanno uso abituale di alcol e droghe non possano beneficiare della patente".

Un dato è certo: la guida sotto gli effetti dell’alcol rappresenta il più potente fattore di rischio per gli incidenti. In Italia si contano circa 4 milioni di "consumatori eccessivi" di alcol e, di questi, un milione è definito alcol-dipendente. Tra il 30 e il 50% delle tragedia della strada è causata da overdose di alcol. Il rischio aumenta esponenzialmente con l’aumento del tasso alcolico. I tempi di reazione peggiorano progressivamente fino a livelli facilmente diagnosticabili anche da profani della materia.

L’alcol riduce la capacità di reazione già a livelli molto bassi di alcolemia e il calo di prestazione è, ovviamente, via via più rapido quanto più aumenta l’alcolemia. In Italia si prevede che nel 2020 gli incidenti (oggi sono responsabili di 5.000 morti all’anno) diventeranno la terza causa di disabilità dopo la cardiopatia ischemica e la depressione maggiore.

Usa: Obama sospende per 120 giorni processi di Guantamamo 

 

Apcom, 21 gennaio 2008

 

Poche ore dopo il suo giuramento, il presidente Usa Barack Obama ha chiesto la sospensione per 120 giorni di tutti i processi militari in corso nella base Usa di Guantanamo, in vista di un loro riesame da parte della nuova amministrazione. Obama ha già espresso l’intenzione di chiudere il carcere militare di Guantanamo.

La richiesta di Obama verrà esaminata oggi dai due giudici militari impegnati nei processi a carico di cinque persone accusate di aver progettato l’attentato dell’11 settembre agli Stati Uniti, e di un canadese, Omar Khadr, accusato di aver ucciso nel 2002 in Afghanistan un soldato Usa con una granata. La nuova amministrazione ha tenuto a precisare che la richiesta, avanzata dal Presidente e dal ministro della Difesa Robert Gates, riguarda tutti i processi in corso. Nel documento si afferma che l’immediata sospensione dei processi è "nell’interesse della giustizia", perché consentirà "al nuovo presidente e alla sua amministrazione di avere il tempo di riesaminare il sistema delle commissioni militari in generale e i due dossier in corso in particolare". Il sistema delle commissioni militari venne creato nel 2006 per giudicare i detenuti di Guantanamo, definiti "combattenti nemici". Al momento sono 21 i prigionieri accusati di crimini di guerra, tra cui i cinque sotto accusa per l’11 settembre, su 245 detenuti rinchiusi nel carcere, stando a quanto precisato dal Pentagono. Obama ha affermato che la chiusura della prigione di Guantanamo sarà una delle sue prime decisioni da Presidente.

Uganda: per 400 detenuti respinto l'appello contro pena morte 

 

Apcom, 21 gennaio 2008

 

La Corte Suprema dell’Uganda ha opposto il suo rifiuto alla richiesta in appello dell’abolizione della condanna a morte per oltre 400 detenuti. Ma i giudici hanno definito irragionevole la detenzione dei condannati nelle celle della morte per più di tre anni e così la maggior parte di essi potrebbe vedere la propria condanna commutata nella prigione a vita.

Nonostante la pena di morte non sia più utilizzata dal 1999, si legge sulla Bbc, la corte ha fatto sapere che essa ha avuto una funzione di deterrenza. La possibilità di una modifica della condanna per gli oltre 400 detenuti interessati da questo caso giudiziario è emersa durante l’ultima seduta davanti alla corte d’appello nella capitale Kampala, alla quale hanno partecipato quattro di loro. La richiesta in appello per l’annullamento della condanna a morte è stata fortemente sostenuta dai gruppi per i diritti umani.

Turchia: detenuto morì per torture, 60 carcerieri sotto processo

 

Adnkronos, 21 gennaio 2008

 

Sono 60 gli imputati a vario titolo nel processo che si è aperto oggi a Istanbul sulla morte per torture in carcere dell’attivista Engin Ceber. Nel gruppo alla sbarra, oltre a guardie carcerarie e agenti di polizia, anche un medico del penitenziario che ha firmato il certificato di morte di Ceber senza aver visto il suo cadavere. Ceber era stato arrestato a settembre a Istanbul durante una protesta contro l’assassinio, da parte della polizia, di un altro attivista. Secondo quanto emerso nell’inchiesta, era stato torturato una prima volta nel commissariato di Istinye, e poi nel carcere di Metris. Trasferito in ospedale per trauma cranico il tre ottobre, il detenuto era morto il dieci.

Quattro giorni dopo la sua morte erano stati arrestati 19 dipendenti del penitenziario e il ministro della Giustizia, Mehmet Ali Sahin, annunciando provvedimenti disciplinari e una inchiesta rigorosa, si era scusato con i parenti di Ceber. In occasione dell’apertura del processo, un centinaio di persone si sono radunate fuori del tribunale con cartelli su cui è scritto: "vogliamo giustizia, non le scuse".

 

 

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