Rassegna stampa 4 dicembre

 

Giustizia: così si muore di sotto organico in un carcere minorile

di Sofia Basso

 

Left, 4 dicembre 2009

 

Ci sono posti dove le carenze di personale non si traducono in lunghe attese ma possono costare la vita. È il caso delle carceri minorili, dove i buchi di organico superano il 15 per cento. "Sia a livello di educatori sia di polizia penitenziaria - denuncia Bruno Brattoli, capo del dipartimento della giustizia minorile - la scopertura di organici in alcuni casi è marcata. Su mille agenti penitenziari previsti, ne abbiamo solo 850. Sono necessari sforzi ulteriori, non solo per umanità ma perché la pena deve tendere alla rieducazione. Non si tratta di soldi di serie B ma di serie A, a compimento dell’interesse collettivo".

Quest’anno sono stati già due i ragazzini che si sono suicidati mentre erano sotto la custodia dello Stato: il 25 luglio si è tolto la vita un diciannovenne rinchiuso nell’istituto penale per minori di Bari; il 17 novembre è stata la volta di Yassime, un marocchino di 17 anni che si è impiccato con un lenzuolo nella doccia del Meucci di Firenze. Due sui circa 500 ragazzi detenuti in tutt’Italia (per il 94 per cento maschi).

Perché se gli adolescenti tra, i 14 e i 17 anni che compiono reati sono 18mila, quelli che finiscono dietro le sbarre sono meno di un terzo. Circa la metà di loro sono stranieri, denuncia il capitolo sui minori del rapporto 2009 di Antigone: per gli immigrati "la detenzione rimane ancora lo strumento privilegiato di controllo e di sanzione", mentre gli italiani riescono a evitare la prigione grazie a prescrizioni, permanenza in casa o collocamento in comunità.

"Il carcere minorile in Italia - osserva Antigone - appare riservato a tre categorie di persone qualificate da una condizione di emarginazione economica, sociale, culturale: gli stranieri, i cosiddetti "minori nomadi" e i minori provenienti dalla aree disagiate del Meridione". Un percorso che per gli autori del rapporti "smentisce gli intenti professati dalla riforma del 1988", che aveva scelto un indirizzo garantista rafforzando i meccanismi di messa alla prova e di mediazione.

Per Brattoli la giustizia minorile ha funzionato bene ma bisogna investire "ulteriori energie professionali ed econo-miche", perché "ci vuole un’attenzione assidua". A differenza degli adulti, i detenuti ragazzini non stanno quasi mai in cella, spiega il capo del dipartimento dal suo ufficio alla Balduina, Roma nord: si spostano dai laboratori di computer alle aule per la scolarizzazione di base, dai campi di pallone ai luoghi della formazione professionale. Basta una distrazione, e qualcuno può tentare la fuga. In primavera le carceri minorili di Bologna, Firenze e Potenza hanno registrato sette evasioni, il 26 ottobre quattro giovani detenuti sono scappati dall’istituto di Airola (Benevento), e altri tre hanno tentato di fuggire dal Beccaria di Milano.

Uno dei problemi più difficili da gestire è quello del sovraffollamento perché non è prevedibile: "Il dipartimento tenta di arginarlo attraverso i trasferimenti, che a loro volta creano ulteriore sovraffollamento. Senza contare il fatto che lo spostamento dei ragazzi comporta un’ulteriore ricaduta negativa sui familiari e va fatto con l’accordo di tutti". Su 18 istituti penali minorili (Ipm), quelli in funzione sono 16: quello de L’Aquila è stato evacuato dopo il terremoto mentre quello di Lecce è stato chiuso per ristrutturazione quando alcuni agenti penitenziari sono stati denunciati per abusi sui ragaz-zi. Presto, anticipa Brattoli a Left, sarà aperto un nuovo Ipm a Pontremoli, "di grande utilità per il Nord-ovest, perché alleggerirà il sovraffollamento negli istituti di Milano, Torino e Bologna".

Anche la deputata Radicale Rita Bernardini, che a ferragosto ha visitato due carceri minorili (Nisida, in provincia di Napoli, e Casal del Marmo, in provincia di Roma), punta il dito sulle carenze d’organico: "Questi istituti sono migliori di quelli per gli adulti ma non adeguati alle necessità di ragazzi e ragazze, tutti più facilmente recuperabili. Mancano educatori e agenti. Spesso sono state ridotte anche le attività di formazione. Se non si investe di più, non si segue quel percorso privilegiato previsto per i minori".

La deputata snocciola quelle che definisce le "cifre dell’emarginazione": sui 50 detenuti di Roma, 34 erano stranieri e la metà era tossicodipendente. Se poi si aggiungono i rom, si ha un "chiaro spaccato dei disagi della società". Per Brattoli, la ragione della sovra rappresentazione degli immigrati in carcere è legata anche al fatto che molte volte non hanno una casa o una famiglia e quindi le misure alternative spesso non sono applicabili. "Spesso chi compie reati viene da una condizione economica e culturale medio bassa ma la nuova delinquenza a volte prescinde dal censo e dalla cultura: è una forma di insoddisfazione che porta a delinquere non per necessità o nell’impeto ma, come nel caso del bullismo e delle piccole gang organizzate, per mancanza di valori fondamentali. Come i tre ragazzi del litorale romano che hanno dato fuoco a un clochard indiano".

Brattoli è convinto che i suicidi siano essenzialmente legati alle carenza di organico: "Non si può, non si deve morire in carcere. Ma siccome non si tratta dì megastrutture è possibile agire con tempestività se i turni non sono troppo onerosi, troppo gravosi. Le evidenze di disagio vanno opportunamente seguite. Oltre ai casi di suicidio, ci sono anche verso la messa alla prova, ovvero con un percorso fortemente riabilitativo e rieducativo".

Ad aumentare, spiega, non sono i reati dei minori ma la violenza con cui vengono commessi e quelli compiuti in gruppo: "I ragazzini, sempre più fragili, si rafforzano nella condotta deviante stando in più: sei o sette". Sei tribunali italiani privilegiano la messa alla prova e impongono la pena detentiva solo nei casi più gravi, rimane il problema della mancanza delle strutture per minori con problemi psichiatrici.

"Spesso non sappiamo dove mettere i ragazzi borderline - denuncia la presidente del tribunale - non solo quelli del penale ma anche dell’area civile, tolti alle famiglie inidonee. Siccome le strutture adeguate sono poche, finiscono in centri con operatori inadeguati. In molti casi la fuga non è ostacolata perché la loro presenza rompe l’equilibrio con gli altri ragazzi. Una volta scappati, o li prendi o li hai persi per sempre. Saranno degli adulti sbandati, dei delinquenti, saranno degli sfruttati o sfrutteranno".

Le poche strutture attrezzate sono sempre piene. Costano molto, perché ci vogliono operatori particolarmente preparati, "che sappiano agganciare il rapporto con ragazzi cresciuti per strada, che hanno avuto esperienze di abusi o maltrattamenti. Ragazzi sofferenti che non credono nell’adulto, non hanno fiducia, si fanno beffa. Se ci fossero più strutture, potremmo recuperare di più".

Per i più piccoli, sottolinea Melita Cavallo, bisogna essere veloci a trovare una collocazione: "Ci vogliono idee chiare per decidere della vita dei bambini. Bisogna capire subito se la famiglia d’origine è recuperabile, altrimenti vanno dati in affido o in adozione. Non devono stare nelle case-famiglia più di un anno". Se anche Brattoli ritiene che il processo penale minorile funzioni bene, chiede, però, che si agisca anche "sui tempi della giustizia". Perché se una sentenza tardiva rischia sempre di essere inutile, coni ragazzi lo è per definizione.

Giustizia: Franceschini (Pd); la Camera discuta mozione carceri

 

Il Velino, 4 dicembre 2009

 

Con una lettera al presidente della Camera Gianfranco Fini, il capogruppo dei democratici Dario Franceschini ha preannunciato la richiesta del Pd di inserire nel calendario dei lavori del mese di gennaio l’esame delle mozioni concernenti la grave situazione di vita nelle carceri italiane. Franceschini ha ricordato al presidente della Camera che da settimane è in atto "una lotta non violenta con digiuno dal cibo" da parte di Rita Bernardini e di altri dirigenti e militanti radicali proprio per ottenere la calendarizzazione di tali mozioni già sottoscritte da decine di deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione. "Confidando nella sua sensibilità e in quella degli altri colleghi presidenti di gruppo - ha aggiunto Franceschini nella sua lettera al presidente Fini - sono fiducioso nella possibilità di riuscire a concordare per gennaio, nella prima seduta utile, tempi e modi per un dibattito parlamentare approfondito sulla situazione delle carceri in Italia".

Giustizia: dopo richiesta Pd, sospeso sciopero fame di Radicali

 

Apcom, 4 dicembre 2009

 

"Apprendiamo con molta soddisfazione la notizia dell’iniziativa del capogruppo Pd alla Camera dei deputati Dario Franceschini che stamane ha inviato una lettera al presidente della Camera Gianfranco Fini nella quale preannuncia la richiesta da parte del gruppo Pd di inserire nel calendario dei lavori dell’Assemblea del mese di gennaio, l’esame delle mozioni concernenti la grave situazione di vita nelle carceri italiane".

Lo afferma Rita Bernardini anche a nome di coloro che assieme a lei hanno condotto per 16 giorni uno sciopero della fame per la calendarizzazione della mozione sulle carceri che ha raccolto le firme di 89 deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari. "Con Irene Testa, Claudia Sterzi, Annarita Di Giorgio, Riccardo Magi, Luisa Simeoni, Donatella Trevisan e Donatella Corleo, abbiamo condotto questa prima parte della lotta nonviolenta, che oggi decidiamo di sospendere, per il ripristino della legalità e della dignità nelle carceri italiane".

"Il dialogo nonviolento - prosegue l’esponente radicale - ha, ancora una volta, dato i suoi risultati. Ne siamo convinti: le armi della nonviolenza sono davvero le uniche efficaci contro le illegalità protratte dello Stato nei confronti di tutta la comunità penitenziaria. Ora si tratterà di vigilare a che dalle parole si passi ai fatti e alle soluzioni che non possono più essere rimandate. Anche queste sono le ore scandite dalle morti in carcere; un detenuto è morto all’Ucciardone e due a Secondigliano. Sono 168 dall’inizio dell’anno di cui 66 suicidi: questo stillicidio di vite che se ne vanno impongono a tutta la classe politica di mobilitarsi e di agire per rendere le carceri, come afferma Franceschini nella sua lettera a Fini, degne di un paese civile".

Giustizia: Pd; mobilitazioni per nuovi fondi destinati alle carceri

 

Apcom, 4 dicembre 2009

 

Per documentare la drammatica situazione in cui versano le carceri italiane, un gruppo di parlamentari del Partito democratico, insieme al responsabile Giustizia del Pd, Andrea Orlando, visiteranno 11 istituti in tutta Italia.

Il prossimo 7 dicembre i parlamentari del Pd visiteranno le carceri di Bari e Catania, l’11 e 12 dicembre si recheranno negli istituti di Firenze, Torino, Venezia, Sassari e Palermo mentre la settimana successiva saranno effettuate visite nelle prigioni di Milano,Genova, Roma e Napoli. Con questa iniziativa il Pd si mobilita per "chiedere al governo nuovi fondi per il comparto giustizia, alla luce delle condizioni di emergenza in cui vive l’amministrazione penitenziaria. Situazione che sarà per altro ulteriormente aggravata dagli ingenti tagli al comparto Giustizia che questo governo ha previsto in Finanziaria".

Giustizia: Dap; Cucchi è morto in modo disumano e degradante

 

Corriere della Sera, 4 dicembre 2009

 

Stefano Cucchi "ha concluso la sua vita in modo disumano e degradante", mentre era nelle mani dello Stato e della sua burocrazia. Gli elementi che il 22 ottobre hanno portato alla morte del trentunenne detenuto in un reparto d’ospedale, a una settimana dall’arresto per qualche grammo di hashish, sono l’esempio "di una incredibile, continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei diritti, in tutte le tappe che hanno visto Stefano Cucchi imbattersi nei vari servizi di diversi organi pubblici". Mancanze che "si sono susseguite in modo probabilmente non coordinato e con condotte indipendenti tra loro", ma questo non assolve nessuno. A cominciare dal personale dell’amministrazione penitenziaria, agenti compresi. Le possibili colpe di "altri organi e servizi pubblici" dai quali Cucchi è transitato, non attenuano "la responsabilità di quanti, appartenendo all’amministrazione penitenziaria, abbiano partecipato con azioni e omissioni alla catena della mancata assistenza".

Sono le conclusioni a cui è giunta l’indagine della Direzione generale delle carceri sulla fine del tossicodipendente arrestato dai carabinieri e deceduto all’ospedale "Sandro Pertini" di Roma, dov’era stato ricoverato per le fratture subite. Picchiato nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma dagli agenti penitenziari, secondo l’ipotesi della magistratura; non si sa dove, quando e da chi, secondo l’Amministrazione penitenziaria che ha potuto acquisire solo alcuni atti giudiziari, non tutti quelli richiesti. Ora la relazione della commissione formata da Sebastiano Ardita, Maria Letizia Tricoli e Federico Falzone e altri funzionari del Dap è stata inviata alla Procura di Roma, che la valuterà e ne trarrà eventuali conseguenze.

 

Vomito e sporcizia nelle celle

 

Sugli agenti carcerari l’ispezione dà atto delle "condizioni lavorativamente difficili" in cui gestiscono gli arrestati e i detenuti in attesa di giudizio nei sotterranei del tribunale di Roma. Ma spiega che "risulta difficile accettare che il personale non sia stato posto a conoscenza neppure dell’esistenza della circolare per l’accoglienza dei nuovi giunti (quella con le regole sulla prima accoglienze ai detenuti, ndr)". Non c’era, ad esempio, il registro coi nomi degli arrestati e l’annotazione dei movimenti con gli orari. "Appare incomprensibile - prosegue la relazione - la mancata attuazione di alcuni requisiti minimi di ordine amministrativo già previsti, e la mancata segnalazione di taluni gravi aspetti disfunzionali su carenze di carattere igienico sanitario e sulla gestione degli arrestati".

Tradotto dal linguaggio burocratico, significa che le camere di sicurezza del tribunale di Roma versano in condizioni degradate e degradanti, perché hanno spazi ridotti, non ci sono servizi igienici, non prendono aria né luce dall’esterno ed è possibile che lì vengano richiuse persone rimaste a digiuno anche da ventiquattro ore: "All’atto del sopralluogo le condizioni igieniche presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scritte. Sul pavimento, negli angoli, si rilevano accumuli di sporcizia".

 

La notte dell’arresto

 

Lì, secondo gli elementi d’accusa raccolti finora dalla Procura di Roma, Stefano Cucchi è stato aggredito dagli agenti penitenziari, subendo le fratture che hanno portato al ricovero sfociato nella morte del paziente-detenuto. Gli ispettori del Dap non traggono conclusioni sul pestaggio (per cui sono indagate tre guardie carcerarie e non i carabinieri che avevano arrestato Cucchi la sera prima dell’udienza in tribunale, i quali hanno riferito e dimostrato di non essere stati presenti nelle camere di sicurezza del tribunale) rimettendosi alle conclusioni dell’indagine giudiziaria. Però indicano la cronologia degli eventi attraverso le testimonianze, a cominciare da quella dell’infermiere del Servizio 118 che visitò Cucchi la notte dell’arresto, tra il 15 e il 16 ottobre, nella stazione dei carabinieri di Torsapienza. Trovò il giovane interamente coperto, e poco o per nulla collaborativo. "Ho cercato di scoprirgli il viso per verificare lo stato delle pupille e guardarlo in volto... C’era poca luce perché nella stanza non c’era la luce accesa... Ho potuto notare un arrossamento, tipo eritema, sulla regione sottopalpebrale destra. Non potevo vedere la parte sinistra perché il paziente era adagiato su un fianco".

L’infermiere, visto che Cucchi "comunque rispondeva a tono e rifiutava ogni intervento", se n’è andato dopo mezz’ora. I carabinieri avevano chiamato il 118 "riferendo di una crisi epilettica", ma il neurologo dell’ospedale "Fatebenefratelli" che ha visitato il detenuto la sera del 16 ottobre riferisce che Cucchi "precisò che l’ultima crisi epilettica l’aveva avuta diversi mesi fa". Al dottore, come ad altri, Cucchi disse che era "caduto dalle scale", ma nella relazione del Dap sono riportate anche testimonianze di altro tenore.

 

Viso tumefatto

 

L’assistente capo della polizia penitenziaria M.D.C. ricorda che lo vide passando nelle celle degli arrestati "nella tarda mattinata, tra l’una e le due", del 16 ottobre: "Aveva il viso appoggiato sullo spioncino aperto, ho notato che aveva il viso tumefatto, di un evidente colore marrone scuro". Un altro assistente capo, L.C., che portò il detenuto dal carcere di Regina Coeli al "Fatebenefratelli" e al "Pertini" ricorda: "In un momento in cui sono rimasto solo con Cucchi gli ho chiesto cosa era successo, mi ha risposto con una voce alterata e forte è successo fuori, voglio parlare urgentemente col mio avvocato. Io non ho detto più niente".

C’è poi la testimonianza dell’ispettore capo A.L.R., su Cucchi che disse come "durante la notte", dopo l’arresto, aveva avuto un incontro di box, e gli altri detenuti risposero ironici: "Sì, ma tu facevi il sacco". E c’è la deposizione dell’assistente capo B.M., che perquisì Cucchi già pesto e dolorante il pomeriggio del 16 ottobre, all’ingresso a Regina Coeli: "Gli ho detto, in maniera ironica e per sdrammatizzare, "hai fatto un frontale con un treno", e lui mi ha risposto che era stato pestato all’atto dell’arresto". Quanto al ricovero nel reparto carcerario dell’ospedale "Pertini" - a parte l’odissea vissuta dai genitori di Cucchi che non sono riusciti a vederlo né ad avere notizie, e hanno saputo della morte solo dalla notifica del decreto che disponeva l’autopsia - il giudizio finale è che "le regole interne dell’ospedale abbiano finito per incidere perfino su residui spazi che risultano assolutamente garantiti nella dimensione penitenziaria. Ragione per cui il trattamento finale del degente-detenuto è risultato essere la somma di tutti i limiti del carcere, dell’ospedale e della burocrazia".

 

Giustificazioni inqualificabili

 

Per gli ispettori questa vicenda "rappresenta un indicatore di insufficiente collaborazione tra responsabili sanitari e penitenziari", e certe giustificazioni avanzate da alcuni responsabili "non meritano qualificazione". In conclusione, "risulta censurabile l’operato complessivo nei confronti del detenuti Cucchi e dei suoi familiari, in particolare nell’ambito del Pertini, laddove non è stata posta in essere delle prescrizioni volte all’accoglienza e all’interpretazione del disagio del detenuto tossicodipendente".

 

Giovanardi: se responsabilità agenti, noi parti civili

 

Se emergeranno responsabilità o di carabinieri o di agenti della polizia penitenziaria, ci costituiremo parte civile. Lo ha detto il sottosegretario con delega alle politiche familiari, Carlo Giovanardi, a proposito della morte di Stefano Cucchi.

Nel caso Cucchi, o nel caso che ho letto stamattina sui giornali di quel ragazzo sieropositivo in carcere, - ha poi aggiunto Giovanardi, a margine della conferenza stampa per i 20 anni della comunità di recupero "L’Aquilone" di Assemini - non bisogna dire che la droga non c’entra, perché le vite di questi ragazzi sono state segnate fin da piccoli dall’uso della droga che ha segnato la loro vita e quella delle loro famiglie ed è la causa prima che porta a tutti questi scompensi.

La droga è la causa prima, ma certo - ha aggiunto - che poi c’è stata una mancata assistenza medica, che va chiarita. Ma quello che i medici sono obbligati a fare quando si trovano in queste situazioni, va chiarito attraverso un dibattito parlamentare.

Riguardo poi al presunto pestaggio, Giovanardi ha sottolineato che per quello che è successo a monte, attendo di verificare che la magistratura mi dica che cosa è successo realmente. Se poi emergeranno delle responsabilità o di carabinieri o di agenti della polizia penitenziaria ci costituiremo parte civile, però occorre molta cautela prima di dare sentenze o lanciare croci addosso a qualcuno, dichiarandolo colpevole prima ancora di sapere cosa è successo.

Giustizia: vecchie carceri ai privati, in cambio dei nuovi edifici

di Carlo Lania

 

Il Manifesto, 4 dicembre 2009

 

L’idea è semplice. Cedere ai privati parte del patrimonio immobiliare a disposizione dell’amministrazione penitenziaria in cambio della realizzazione di nuove e più capienti strutture in grado di risolvere il sovraffollamento delle carceri. Ex conventi e immobili storici, da decenni utilizzati come penitenziari e situati spesso nei centri cittadini, potrebbero così essere ceduti a imprenditori insieme alla possibilità di trasformare edifici oggi spesso fatiscenti in lussuosi condomini.

È il progetto pensato dal governo e messo nero su bianco in un emendamento alla Finanziaria presentato martedì al Senato e subito giudicato inammissibile, ma che l’esecutivo penserebbe di ripresentare la prossima settimana durante la discussione in aula della manovra di bilancio.

Dopo che negli anni scorsi è fallito un primo tentativo di coinvolgimento dei privati chiedendo loro di costruire e poi affittare allo Stato le nuove prigioni, ecco che oggi il governo ci riprova nella speranza di mettere fine a una situazione di sovraffollamento giudicata ormai non più sostenibile da tutti. E il metodo prescelto sembra essere quello di rendere l’offerta allettante per gli imprenditori privati lasciando intravedere loro la possibilità di potersi impossessare di immobili di prestigio oggi di proprietà del ministero della Giustizia. "Si va verso la privatizzazione delle carceri - denuncia Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera -, con la presa in carico da parte di imprenditori privati delle strutture carcerarie, la cui costruzione e gestione dovrebbe invece spettare allo Stato, al pari della sicurezza pubblica".

È stato lo stesso capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta a fornire, all’inizio di novembre, gli ultimi numeri dell’emergenza carceri. Il numero complessivo dei detenuti ammonta a 65.225, contro un limite di "tollerabilità massima" fissato dalla stesso Dap in 63.568 posti letto. Di questi 24.085 sono stranieri, mentre 31.346, pari al 50% del totale, sono in attesa di giudizio. Troppi, e soprattutto costretti spesso a vivere per forza di cose in condizioni igienico sanitarie insopportabili.

Nel tentativo di far fronte a questa emergenza lo stesso Ionta, nominato a gennaio scorso commissario straordinario per l’edilizia carceraria, ha messo a punto un piano che dovrebbe portare entro il 2012 al reperimento di nuovi 21.479 posti letto in più grazie alla costruzione di 24 nuovi penitenziari. Un piano che Ionta, in qualità di commissario straordinario, potrà realizzare contando anche sui poteri eccezionali che gli derivano dalla sua carica, come quelli di secretare le procedure di affidamento dei contratti pubblici per la costruzione delle nuove carceri, selezionando le aziende e le imprese interessate agli appalti.

Perché il piano possa realizzarsi, però, necessità di ingenti finanziamenti. Secondo un calcolo fatto dallo stesso capo del Dipartimento, infatti, per realizzare l’intera operazione carceri servirebbero 1.4 miliardi di euro, cifra ingente che però al momento non c’è.

L’emendamento dichiarato inammissibile due giorni fa serviva proprio a mettere riparo a questa carenza di finanziamenti. In due modi. Prima prevedendo uno stanziamento di 500 milioni di euro destinati alla "realizzazione delle nuove infrastrutture carcerarie" oppure per ampliare quelle già esistenti. Ma anche aprendo la strada alla possibile cessione delle attuali carceri ai privati. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è scritto infatti nell’emendamento, in virtù dei poteri di cui dispone in qualità di commissario, "individua le infrastrutture carcerarie ovvero le aree aventi la medesima destinazione, la cui proprietà possa costituire, per le particolari caratteristiche architettoniche o di allocazione, corrispettivo in sostituzione parziale delle equivalenti somme di denaro, nei contratti per la realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie".

Insomma, via le vecchie carceri dai centri cittadini. Un po’ come previsto dal progetto, finora mai passato, che vuole il trasferimento in periferia del carcere di San Vittore a Milano e la riqualificazione dell’area, centralissima e a meno di un chilometro dai navigli, oggi occupata dal penitenziario.

 

Finanziaria: no a piano vendita vecchie carceri in cambio nuove

 

Niente da fare per il piano del governo sull’edilizia carceraria nella parte in cui si dava potere al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di vendere vecchi istituti in cambio di nuove strutture. Il presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti ha ritenuto la norma inammissibile perché di natura ordinamentale. Il testo prevedeva, tra l’altro, la possibilità di individuare infrastrutture carcerarie che, per le particolari caratteristiche architettoniche o di allocazione, potessero essere cedute ai costruttori in cambio di nuove in totale o parziale permuta.

Giustizia: Alfano; con nuove carceri assunzione di 2mila agenti

 

Il Velino, 4 dicembre 2009

 

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha detto che, per venire alla Fiera di Rimini e al Salone, ha disertato il Consiglio dei ministri. "Ho visitato uno splendido Salone, il primo da sempre in questo genere di manifestazioni. E lo dobbiamo alla grande intuizione del senatore Filippo Berselli, a quella sua idea di radunare qui a Rimini, al di là delle tante divisioni, sotto lo stesso tetto tutti i componenti del sistema Giustizia, e metterli in campo tutti con la stessa maglia che si chiama Italia". Alfano ha sottolineato che la grande sfida in atto è quella tra chi manifesta una assoluta passione per il cambiamento e chi punta allo status quo.

"Noi puntiamo alle riforme perché non è possibile che i processi durino più di dieci anni, che il 38 per cento dei detenuti siano stranieri, che esistano ancora statuti professionali vecchi di 80 anni". Passando a esaminare le riforme compiute, Alfano ha voluto ricordare come sia stato cambiato in durissimo il carcere duro previsto per i boss mafiosi, ai quali ora la legge consente di sequestrare tutti gli arricchimenti illeciti.

"Con quei soldi siamo riusciti a finanziare la difesa d’ufficio delle donne violentate - ha detto -. Abbiamo sequestrato alla grande criminalità oltre un miliardo di euro in soldi liquidi e beni immobili per oltre cinque miliardi di euro, tutti confluiti nel fondo unico per la giustizia. Abbiamo abolito il gratuito patrocinio per i mafiosi nullatenenti, annullato la possibilità che andassero agli eredi i beni acquisiti illecitamente".

"Non esiste una leva tirando la quale si risolvono tutti i mali della giustizia - ha spiegato, inoltre, il ministro della Giustizia -. Ma vogliamo che questa legislatura sia ricordata come quella che ha avviato la riforma costituzionale, epilogo e compimento di quelle riforme che abbiamo provveduto a fare.

Abbiamo ottenuto dalla comunità europea che le carceri fossero comprese nel programma di Stoccolma. Non è colpa nostra se l’Europa finisce a Lampedusa e se noi siamo la frontiera meridionale dell’Europa. La Ue ha accolto che questa materia diventasse un problema europeo, anche perché gli stranieri detenuti da noli sono circa 24 mila. In carcere ce ne sono oggi in tutto circa 65 mila. Se togliessimo gli stranieri, i nostri penitenziari avrebbero una capacità sufficiente a una detenzione dignitosa. Comunque il piano carceri che abbiamo allo studio consentirà di costruire 47 nuovi padiglioni. E abbiamo trovato le risorse per assumere duemila nuovi agenti di polizia penitenziaria".

Alfano ha concluso il proprio intervento lanciando un appello ai magistrati italiani affinché accolgano l’invito a ricoprire quelle che vengono definite sedi disagiate. "Ci sono posti bellissimi, come Sciacca in Sicilia, dove i turisti vanno in vacanza per il mare. O postini Calabria che abbiamo anche incentivato con soldi e facilitazioni di carriera. Chiediamo a tutti i magistrati di farsi avanti e coprire quegli organici scoperti".

Giustizia: Ionta; la comunicazione corretta è l'obiettivo del Dap

 

Ansa, 4 dicembre 2009

 

Comunicare correttamente quello che avviene nei carceri è, secondo il direttore dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta uno degli obiettivi principali del suo dipartimento. Lo ha ribadito al Salone della Giustizia di Rimini, dove ne ha parlato in un dibattito sul tema del delicato rapporto fra mondo del carcere e comunicazione.

Con particolare riferimento agli ultimi episodi di cronaca, a cominciare dal caso di Stefano Cucchi. "È giusto però - ha ribadito Ionta - che l’informazione sia completa e che non ci sia una semplificazione eccessiva. È importante per questo il linguaggio che si usa, evitando termini come carceriere o secondino, ma anche affrontando l’idea che spesso la società rifiuta o rimuove il tema".

Ionta ha annunciato che commissionerà ad una società di ricerca un sondaggio per misurare la fiducia dei cittadini verso l’amministrazione penitenziaria e che lo replicherà dopo un anno per valutare l’effetto delle nuove forme di comunicazione che il Dap intende intraprendere per far conoscere meglio, all’esterno, il mondo del carcere che troppo spesso rischia di essere chiuso e autoreferenziale.

Il Dap è presente al salone riminese con un proprio stand dove è stato riprodotto un carcere, comprese le celle del carcere duro (41 bis). Nell’ambito dell’iniziativa sono stati presentati il nuovo furgone della polizia penitenziaria che serve per il trasporto dei detenuti (realizzato con tecnologie che consentono un maggiore comfort per chi viaggia, che si traduce in una maggiore attenzione per chi lavora) e il calendario della polizia penitenziaria che, quest’anno, è dedicato alle donne.

Giustizia: Pd; con legge Finanziaria solo spiccioli per le carceri

 

Il Velino, 4 dicembre 2009

 

"Quelle di Alfano sono solo parole: non è vero che nella finanziaria ci sono misure adeguate per superare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri". Afferma la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, che aggiunge: "i pochi spiccioli stanziati per l’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile sono appena la metà di quello che è stato preventivato dal capo del Dap, Ionta, e non sono in grado neanche di compensare i pesanti tagli operati con la finanziaria dello scorso anno. Quelle del ministro sono purtroppo solo parole a cui non seguono mai atti concreti. In più, questa Finanziaria contiene al suo interno il primo passo per una privatizzazione incontrollata delle carceri anche mediante la dismissione di patrimoni architettonici o comunque di valore economico-commerciale notevole. È un modo di concepire la gestione della cosa pubblica - conclude Ferranti - lontano dai principi di trasparenza ed economicità".

Giustizia: "Anrel" riceve 6 milioni di €, per reinserire i detenuti

 

Redattore Sociale, 4 dicembre 2009

 

Dal "Polo" siciliano di Caltagirone il progetto di Rinnovamento nello Spirito si estende a Campania, Lazio, Veneto e Lombardia. Opportunità di lavoro anche per i carcerati a fine pena con meno di tre anni da scontare.

Ex carcerati "accompagnati" in un percorso di ritorno nel mondo del lavoro. Per evitare il rischio di recidiva. Fa passi avanti e si allarga dalla Sicilia ad altre quattro regioni il progetto dell’Anrel, l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro ex detenuti, frutto di una convenzione firmata lo scorso primo ottobre dal ministro della Giustizia Angelino Alfano con il movimento Rinnovamento nello Spirito.

Finanziato con oltre 6 milioni di euro per i primi tre anni, il progetto punta a creare una vera "agenzia di collocamento nazionale" e un incubatore d’impresa per gli ex detenuti e anche per i detenuti che devono scontare pene residue inferiori ai tre anni. Per loro è previsto un percorso di formazione al lavoro e tutoraggio già partito in Sicilia, e che ora sarà esteso a Campania, Lazio, Veneto e Lombardia, regioni che da sole rappresentano il 53% della popolazione carceraria. Si tratta, in fasi successive, di creare una banca dati nazionale per avere una mappa delle capacità professionali e delle competenze degli ex detenuti; di aprire nelle carceri spazi di consulenza per i detenuti e i loro familiari, con colloqui gestiti dagli operatori della Fondazione Mons. Di Vincenzo (legata a Rinnovamento nello Spirito).

Di avviare per gli ex carcerati, infine, percorsi di lavoro sul modello del Polo di eccellenza "Mario e Luigi Sturzo", già attivo dal 2003 a Caltagirone, in Sicilia: qui detenuti prossimi alla fine pena o già usciti dal carcere lavorano in una tenuta agricola di 52 ettari coltivando agrumi, olivi, grano o producendo ceramiche e oggetti artigianali in ferro battuto in laboratori. Si tratta per ora di 8 detenuti con le loro famiglie, ma altri 26 sono in arrivo all’inizio del 2010. Il progetto di recupero in Sicilia è gestito dalla Fondazione Di Vincenzo insieme alla Caritas e col sostegno della Conferenza episcopale italiana. Quattro sedi per nuovi "Poli d’eccellenza" sono state individuate a Venezia, Milano, Napoli e Roma. Sono previsti anche programmi di microcredito per gli ex detenuti che decidono di avviare un’impresa. A gennaio, poi, è previsto a Roma l’insediamento del comitato direttivo dell’Anrel.

"Non basta sfollare le carceri o costruirne altre per risolvere il problema dell’alta percentuale di recidiva - commenta Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito -: l’unico vero antidoto è il lavoro nelle carceri per il recupero spirituale e sociale dei detenuti. Le statistiche dimostrano che le persone a cui viene data un’opportunità di ricostruirsi una vita scelgono di non tornare a delinquere". Per Marcella Reni, direttrice di Rinnovamento, l’attuale sovraffollamento delle carceri italiane "è un motivo in più per creare percorsi di recupero e ritorno al lavoro esterni agli istituti di pena", come il progetto dell’Anrel e quello per le madri detenute con figli piccoli che sta per partire a Villarosa (Enna).

 

Detenuti e vittime si incontrano: dagli Usa il progetto Sicomoro

 

Far incontrare le vittime e gli autori di reati. È questa l’idea alla base del progetto Sicomoro: piccoli gruppi di 8 o 12 persone che si confrontano per qualche settimana all’interno del carcere per capire le motivazioni, la vita e le azioni degli uni e degli altri. Obiettivo, la "giustizia restitutiva" per chi ha subito un crimine e la riabilitazione morale e spirituale per chi l’ha commesso.

Ideato negli Stati Uniti dall’associazione Prison Fellowship International, il progetto è attivo in oltre 100 paesi, fra cui Ruanda, Iran e Afghanistan, e ora arriva anche in Italia. L’iniziativa sarà presentata nel corso della conferenza nazionale degli animatori di Rinnovamento nello Spirito Santo, dal 5 all’8 dicembre al Palacongressi di Rimini, movimento già attivo nelle carceri italiane con altri progetti. Per l’occasione inaugura anche il ramo italiano di Prison Fellowship, e nella città romagnola arriverà il presidente dell’associazione, Ronald W. Nikkel.

"Il progetto partirà in cinque regioni (Sicilia, Lazio, Campania, Veneto e Lombardia) - spiega Marcella Reni, direttrice di Rinnovamento nello Spirito Santo e presidente italiana di Prison Fellowship -. A febbraio formeremo i volontari con due weekend a Ravenna e Castellamare di Stabia, in modo da essere pronti a partire per marzo". Ma in cosa consiste il progetto Sicomoro? "Si chiede ai detenuti di identificarsi nelle vittime per capire il danno causato - continua Marcella Reni -, ma allo stesso tempo si chiede a chi ha subito un reato di capire la storia di chi l’ha commesso e le condizioni di vita in carcere".

La riabilitazione dei detenuti si accompagna così alla "giustizia restitutiva" per le vittime. "Il metodo è stato usato anche in casi molto complessi, ad esempio relativi al genocidio in Ruanda (due donne hanno incontrato gli assassini dei loro familiari, esperienza raccontata nel documentario As we forgive) - spiega la direttrice - anche se raramente si riesce a mettere insieme il colpevole e la vittima dello stesso reato".

A partire dal nome, la componente religiosa e spirituale nel progetto Sicomoro è molto forte. Gli incontri prevedono per esempio un momento dedicato alla confessione, e il perdono (in senso cristiano) è ovviamente uno degli obiettivi da raggiungere. "La partecipazione però è aperta a tutti i detenuti, anche a quelli di altre religioni - precisa Marcella Reni -: in questi casi ci richiamiamo al Dio che è comune a tutti, o comunque alla dimensione spirituale". La partecipazione al progetto è volontaria e può essere sospesa in qualsiasi momento. Il progetto verrà illustrato nel dettaglio il 7 dicembre a Rimini, dove Ronald W. Nikkel porterà alcune testimonianze e dove sono attese circa 4mila persone. La conferenza sarà l’occasione per rilanciare tutti i progetti di Rinnovamento nello Spirito Santo relativi al carcere.

 

Sicilia: nasce un "carcere senza sbarre" per le detenute con figli

 

"Mai più bambini nelle carceri italiane". Con questo obiettivo sta per partire un progetto del movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito che, grazie a una convenzione col ministero di Giustizia, prevede di far uscire 50 donne detenute con i loro figli sotto i tre anni e di dare loro un’opportunità di lavoro e riabilitazione sociale mentre scontano la pena. Le prime otto detenute e i loro bambini saranno trasferite all’inizio del 2010 nella "prigione senza sbarre" di Villarosa, Comune siciliano in provincia di Enna, dove vivranno in due ville confiscate alla mafia. Qui lavoreranno alla creazione di una linea di vestiti per bambini, con i macchinari forniti dall’imprenditrice Marina Salomon, presidente dell’azienda Altana. La struttura detentiva esterna al carcere si trasforma così in un centro di formazione professionale, che vuole offrire alle donne una possibilità di lavoro e in prospettiva di reinserimento, e ai loro figli l’opportunità di crescere in un ambiente diverso da quello penitenziario.

"Sono circa una sessantina in Italia - spiegano infatti i volontari di Rinnovamento - i bambini che vivono in carcere con le loro madri. Ma anche nelle situazioni migliori, come gli istituti di pena dove sono state create delle sezioni nido, il carcere non può essere compatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo dei più piccoli: sovraffollamento, regole e tempi delle strutture creano nei bambini stati di stress, insonnia, disturbi che ne compromettono la crescita e tensioni che si ripercuotono nel rapporto madre-figlio". Malgrado una risoluzione del Parlamento europeo (13 marzo 2008) e le leggi italiane sull’assistenza all’esterno dei figli minori delle detenute, è stato quasi impossibile finora applicare queste misure: soprattutto nel caso di donne recidive, in carcere per reati di spaccio e contro il patrimonio.

"Così di fatto - osserva Rinnovamento - ai bambini nei primi anni di vita non è garantita la convivenza nello stato di libertà con la madre detenuta". Di qui il progetto "Maternità e fraternità nella legalità": il primo "carcere senza sbarre" in Sicilia è un modello che il movimento spera poi di poter esportare in altre regioni. L’iniziativa è frutto di una convenzione tra la Fondazione Di Vincenzo, braccio operativo di Rinnovamento nello Spirito, il ministero della Giustizia, il Commissariato per i beni confiscati alla mafia, il Comune di Villarosa e la prefettura di Enna. Se ne parlerà tra l’altro dal 5 all’8 dicembre a Rimini, dove si tiene la conferenza nazionale animatori di Rinnovamento: un appuntamento di formazione per 4mila volontari del movimento, e un’occasione per lanciare i progetti sociali di un’organizzazione che conta oltre 200mila aderenti.

Giustizia: Capece (Sappe); non siamo né aguzzini né torturatori

 

Redattore Sociale, 4 dicembre 2009

 

Il segretario generale, Capece: "Non è accettabile una rappresentazione del sistema penitenziario come luogo al di fuori dalle regole. La magistratura accerti le responsabilità: questo gioco al massacro non è più accettabile".

"Non è accettabile, come emerge da molte cronache giornalistiche odierne, una rappresentazione del sistema penitenziario italiano come luogo al di fuori dalle regole in cui accade di tutto e di più, con aguzzini e torturatori al posto del personale di Polizia penitenziaria. Non è accettabile perché è una rappresentazione falsa, non è vera: non è infatti in alcun modo risponde alla realtà ed anzi mortifica la straordinaria professionalità delle donne e degli uomini del Corpo che in carcere lavorano ogni giorno con umanità, professionalità, senso del dovere ed abnegazione". Così Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), che commenta i recenti fatti di cronaca ed i dati penitenziari nazionali aggiornati alla data di ieri.

Afferma infatti Capece: "Oggi celebriamo l’ennesimo record di capienza raggiunto: 65.225 persone detenute, il 51% in più di quelle previste, controllate da poco più di 35 mila agenti, divisi in turni di lavoro massacranti, a contatto di malattie che si ritenevano del tutto marginali in Italia, ma che in carcere sono all’ordine del giorno, come tubercolosi, epatiti, Aids, etc. La magistratura faccia dunque piena luce ed accerti le responsabilità - a qualunque livello ed a qualsiasi categoria professionale dovessero appartenere - di coloro che eventualmente hanno sbagliato (responsabilità che comunque non possono che essere personali). Il nostro auspicio è che lo faccia al più presto: non è infatti accettabile questo continuo gioco al massacro all’onorabilità della polizia penitenziaria e dei suoi appartenenti, che lavorano ogni giorno dell’anno con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane".

Per Capece, "non ci si può lasciare andare a facili e inaccettabili pregiudizi sulla polizia penitenziaria e poi non indignarsi su di una situazione di sovraffollamento e contestuale carenza d’organico che denunciamo da mesi e che avevamo previsto più di tre anni fa, subito dopo il provvedimento d’indulto. Cosa hanno ad esempio fatto di concreto per intervenire sul sistema carcere tutti quei parlamentari che si sono esibiti in passerella nelle giornate dello scorso Ferragosto quando si sono recati in visita nelle carceri?

Tutti, nessuno escluso. Anche quelli che ieri sostenevano il Governo di centro-sinistra, che però nulla fece per modificare il sistema penitenziaria ed anzi sponsorizzarono l’indulto che fece uscire 30 mila detenuti, e quelli che oggi sostengono l’attuale maggioranza di centro-destra, di fatto inerte sulle riforme penitenziarie. Noi, come primo e più rappresentativo sindacato della polizia penitenziaria, dopo quelle visite dello scorso Ferragosto che definimmo storiche, avevamo chiesto 100 giorni di riflessioni, di incontri, di dibattiti tra tutti i componenti dell’arco parlamentare, per porre rimedio all’imminente tracollo del sistema penitenziario. Invito che abbiamo rinnovato più volte, dimostrando con i numeri come il ventilato per l’edilizia penitenziaria fino ad ora solo sbandierato non è assolutamente adeguato a fronteggiare l’emergenza che noi e solo noi Poliziotti Penitenziari stiamo arginando 24 su 24, ogni giorno dell’anno. Sono mesi che ripetiamo che l’unica soluzione perseguibile, necessaria, indispensabile per evitare il collasso del sistema penitenziario, è quello di ricorrere alle misure alternative per le persone che ora scontano in carcere delle pene per reati di lieve pericolo sociale".

"Oggi ci sono più di diecimila persone che hanno meno di un anno ancora da scontare - conclude -. Tra queste, la stragrande maggioranza sono in carcere per reati di lievissima entità, che potrebbero usufruire degli arresti domiciliari a patto di utilizzare adeguati strumenti tecnologici come i braccialetti elettronici che fino ad ora, come denunciato dal Sappe, sono costati allo Stato più di 100 milioni di euro per essere tenuti in una cassaforte. Cosa si aspetta allora ad intervenire?".

Giustizia: Osapp; Alfano e Ionta lascino posti a persone idonee

 

Il Velino, 4 dicembre 2009

 

"I dati sulle presenze carcerarie che ci stanno pervenendo non confortano affatto, confermano infatti la ripresa di un trend carcerario negativo senza precedenti nella storia del nostro Paese. Se fossimo in un qualsiasi altro Stato d’Europa a questo punto il ministro della Giustizia e lo stesso capo del Dap dovrebbero dimettersi e lasciare il posto ad altre figure più idonee".

Lo ha dichiarato Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) che ha aggiunto: "Di fatto i dati illustrano una situazione peggiorativa che si attesterà alla fine dell’anno a 68 mila detenuti presenti con solo 41 mila posti disponibili: in assenza di qualsiasi progetto concreto poi è quanto di peggio potevamo aspettarci come poliziotti penitenziari e come servitori dello Stato.

Un bel regalo di Natale a tutto il Corpo di polizia penitenziaria schierato per l’ordine e per la sicurezza delle carceri. Un bel dono natalizio che il Guardasigilli Alfano e il capo dell’Amministrazione Ionta hanno pensato bene di fare a quegli uomini e a quelle donne che invece dovrebbero amministrare e tutelare. Campania, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Veneto e perfino il Trentino sono le regioni dove il sold out carcerario è stato dichiarato da tempo: una situazione omogenea oramai - prosegue l’Osapp - che presto sarà completata anche dalle restanti regioni con il Lazio in testa".

Giustizia: l'Osapp; l’effetto-Cucchi triplica i ricoveri ospedalieri

 

Apcom, 4 dicembre 2009

 

Le carceri italiane iniziano ad avere quale denominatore comune "il disagio di tutti coloro che nel carcere vivono, siano essi poliziotti penitenziari o detenuti": a dirlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, che riferisce anche che a Regina Coeli da giorni manca l’acqua calda nelle celle e nelle caserme, i detenuti oggi hanno ripreso a protestare in tutto l’istituto e stanno per essere distribuite bombolette di gas per riscaldarla sui fornelli, mentre il personale pendolare e che arriva da fuori non può prendere neanche una bevanda calda perché il bar è chiuso per mancanza di uomini.

"Ma la situazione di Regina Coeli non è dissimile da quella sul restante territorio nazionale - continua Beneduci - li come negli altri istituti penitenziari, dopo il caso Cucchi, sono triplicati i ricoveri perché i medici delle Asl al primo malessere dispongono il trasferimento dei detenuti negli ospedali ed è altro Personale, almeno 4 unità per recluso, che esce dal carcere ogni giorno per il piantonamento, cosicché chi assume servizio all’interno non sa più quando potrà smontare".

"Tutto questo - prosegue Beneduci - mentre i poliziotti penitenziari in servizio diminuiscono e si aspettano la cancellazione di ferie e riposi per il periodo Natalizio ovvero, come avviene in questi giorni in occasione delle proteste in alcune carceri, che venga persino impedito loro di uscire dagli istituti penitenziari per fare ritorno dalle famiglie. Il problema non sono le proteste dei detenuti fino ad oggi assolutamente pacifiche e logiche, bensì l’assenza di prospettive e di progetti, visto che anche i 500 milioni in Finanziaria, se saranno approvati e quando e se saranno utilizzabili, rappresenteranno solo una goccia nel mare del disastro penitenziario del 2010. Per il sindacalista il ministro Alfano ha fallito preannunciando un piano carceri che non è realizzabile con quelle cifre. Altrettanto ha fallito il capo del Dap Ionta che ha fatto affidamento pressoché esclusivamente al medesimo piano e ad una situazione risolutiva che di questo passo appare sempre meno credibile, e stessa gaffe è arrivata persino dal Presidente del Consiglio Berlusconi".

Giustizia: Sappe; bene piano assunzioni, serve per dare segnale

 

Adnkronos, 4 dicembre 2009

 

"Finalmente. Ci auguriamo che tutto questo si traduca presto in fatti". Questo, a CNRmedia, il primo commento del segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe all’annuncio del piano carceri fatto ieri sera dal Ministro per la Giustizia Alfano". La polizia penitenziaria - aggiunge - sta soffrendo la mancanza di attenzione politica. Ben vengano queste 2mila unità e speriamo che possano essere messi presto in servizio per dare una boccata d’ossigeno agli agenti, che specialmente al Nord soffrono il sovraffollamento degli istituti. Del resto - ha concluso Capece - il governo pensa di arrivare nei prossimi anni ad avere una popolazione carceraria fissa di circa 80mila detenuti. 500 milioni non bastano e sono pochi, ma ora serve iniziare, serve dare un segnale.

Giustizia: per il ripristino della legalità… dove la legalità non c’è

di Stefano Anastasia

 

Terra, 4 dicembre 2009

 

Giacomo è uno che sa il fatto suo: il 17 dicembre, nel Palazzo di giustizia di Udine si discuterà il suo ricorso contro il provvedimento disciplinare che gli è stato inflitto a luglio, quando protestò con la direzione del carcere di Tolmezzo perché nella sua cella di nove metri quadri era stato appena elevato il terzo piano a castello.

E giù a spiegare (come se fosse un militante di Antigone) che la Corte europea dei diritti umani aveva appena deciso che tre metri quadri a testa sono il minimo sotto il quale qualsiasi forma di detenzione si configura come un trattamento inumano e degradante, e che - seppure proprio al limite - certamente tale sarebbe stato giudicato il suo, di trattamento (non fumatore dichiarato sin dall’immatricolazione, costretto da allora a convivere con un fumatore in una cella progettata per uno, e ora insardinato in scatola con un terzo).

Aveva le sue buone ragioni, ma niente: il terzo letto non l’hanno levato (e fortuna che non c’è lo spazio verso l’alto per mettercene un altro). Piuttosto, Giacomo si è beccato un bel "rapportino", come vezzeggiativamente si dice in galera, e che a conti fatti vuol dire 45 giorni in più di carcere effettivo.

Ma Giacomo sa il fatto suo, e non ci sta. Ricorre e scrive. Al Procuratore della Repubblica di Udine, e anche a noi. Lamenta quel rapporto disciplinare, ma non solo. Contesta la costrizione al fumo passivo e la sbrigativa indifferenza con la quale vengono gestiti i colloqui con i familiari in quell’Istituto. Giacomo ha la famiglia (moglie e tre figli) a circa 600 chilometri da Tolmezzo: non possono andarlo a trovare tutte le settimane. Quindi, chiede un "colloquio lungo", per cumulare più ore in un giorno solo. La direzione (da regolamento) acconsente. Poi, però, quando arriva il fatidico giorno, dopo un’ ora di colloquio un gruppo di agenti si presenta, con un savoir faire che speravamo desueto, e intima alla famiglia di finirla lì, che ne avevano già avuto abbastanza.

Giacomo sa il fatto suo, ma chiede - udite, udite - il "ripristino della legalità", minacciando ricorsi fino alla Corte europea dei diritti umani: ma che? non lo sa che, se la legalità fosse ripristinata, le grande maggioranza delle carceri italiane dovrebbero essere chiuse? E non certo dagli organismi internazionali di giustizia, basterebbe l’azione congiunta di asl e tribunali di casa nostra. Il paradosso delle nostre carceri sta tutto qui: dovrebbero "rieducare" alla legalità, muovendosi però nella illegalità diffusa. Scuole di avviamento al lavoro criminale, si diceva una volta; quanto meno alla pratica quotidiana della illegalità, si potrebbe dire oggi.

Giustizia: pesa 230 kg; detenuto trasferito all’ospedale "Pertini"

 

Il Velino, 4 dicembre 2009

 

È stato temporaneamente ricoverato nella struttura protetta per detenuti dell’ospedale "Sandro Pertini" di Roma per sottoporsi ad alcuni accertamenti medici ma anche per consentire all’amministrazione penitenziaria di capire quale sia il carcere più adeguato ad accoglierlo. Protagonista della vicenda un detenuto italiano di oltre due metri di altezza e 230 chili di peso, Stefano D., la cui storia è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

Stefano, romano di 38 anni, che dovrà finire di scontare la sua pena il 24 agosto del 2011, è tornato da poco in carcere per un nuovo reato. La mole e l’altezza creano oggettive difficoltà. A quanto riferito dai collaboratori del Garante che stanno seguendo la sua storia, Stefano non entra nel letto (a casa ne aveva uno speciale) e non può stare seduto sulle sedie a disposizione dell’istituto perché troppo deboli per la sua mole. Afflitto da problemi di tossicodipendenza, in passato ha raggiunto anche i 300 chili di peso e proprio per le sue dimensioni e per la sua dipendenza dalla droga nel tempo ha avuto problemi cardiaci e di ulcere alle gambe. Vista la sua condizione di ammalato grave dovrebbe fare anche delle lunghe passeggiate per aiutare la circolazione. In carcere, invece, è costretto ad abbassarsi per entrare in cella. Usa con difficoltà il bagno e crea oggettivi problemi di convivenza a quanti sono costretti a condividere con lui la cella.

"Quello di Stefano è un caso limite - ha detto il Garante dei detenuti Marroni - ma è anche un altro segnale delle difficoltà in cui versano le carceri. È evidente che chi compie un reato deve essere punito, ma l’unica pena non può essere il carcere soprattutto per un ammalato con difficoltà oggettive. Ho già segnalato il caso al Prap affinché si adoperi per trovare una soluzione che soddisfi sia l’esigenza di garantire l’esecutività della pena che il rispetto del diritto alla salute. Stefano ha chiesto di scontare la pena in condizioni più umane, magari in una struttura sanitaria adeguata. So che ci sta prodigando per trovare una struttura in grado di assisterlo, ma occorre farlo in tempi brevi perché, malgrado il prodigarsi del personale medico e paramedico dell’ospedale Pertini e della loro ricerca perché questo malato sia ospitato in una struttura capace di ospitarlo al meglio, la condizione di Stefano crea problemi insolubili a chi lo deve assistere".

Sardegna: avviato trasferimento Sanità penitenziaria a regione

 

Agi, 4 dicembre 2009

 

"Il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario regionale è entrato finalmente nella fase conclusiva. La nomina dei rappresentanti del Governo nella Commissione paritetica Stato-Regione per la definizione delle norme di attuazione dello Statuto Speciale di autonomia consentirà, infatti, di definire nel dettaglio le modalità per garantire ai cittadini privati della libertà il diritto alla salute sancito dalla Costituzione e dalla legge sull’ordinamento penitenziario".

Lo afferma Maria Grazia Caligaris presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme che aveva lamentato il gravissimo ritardo accumulato nell’attuazione di una legge dello Stato che rischia di compromettere il normale funzionamento del complesso sistema della sanità penitenziaria. "La Sardegna - sottolinea l’ex consigliera regionale socialista - è rimasta l’unica regione italiana a non aver completato l’iter per l’acquisizione di questo particolare settore della sanità pubblica che purtroppo vive una lunga fase di confusione e inadeguatezza a cui stanno sopperendo con senso di responsabilità gli operatori. La buona volontà e l’abnegazione però non possono più garantire il servizio ai cittadini detenuti".

"I componenti della Commissione Paritetica dovranno trasformare - ha precisato Caligaris - in norme di attuazione le direttive che da alcuni mesi i gruppi di lavoro, appositamente costituiti dall’assessorato alla sanità, stanno elaborando per adeguare alle esigenze specifiche della Sardegna i contenuti del decreto ministeriale di oltre un anno fa. La questione non riguarda solo il Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino, dove sono ricoverati oltre una trentina di detenuti con gravi patologie e dove trovano ospitalità i disabili, ma più in generale tutti i reclusi moltissimi dei quali sieropositivi e immunodepressi.

L’assenza di certezze sul futuro crea inoltre un clima di diffusa preoccupazione in tutto il personale e tra gli Agenti di Polizia Penitenziaria costretti, anche per l’assurdo sovraffollamento, a turni aggiuntivi, a rinunziare ai permessi ed alle ferie e a protrarre le ore di servizio per far fronte alle emergenze.

Nell’ambito del passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della giustizia alle Asl dovrà tra l’altro essere considerato - ha concluso l’ex consigliera socialista - il ruolo di alta specializzazione degli operatori. Un punto particolarmente problematico è quello relativo alla funzione dei medici e degli infermieri penitenziari che dopo un’esperienza pluriennale acquisita dentro le strutture carcerarie non possono essere assimilati con automatismi agli altri colleghi. Ovviamente ciò comporterà il loro utilizzo a tempo pieno come i bisogni dei detenuti, spesso malati, richiedono".

Palermo: aveva rubato 2 teli da mare, detenuto muore in cella

 

Apcom, 4 dicembre 2009

 

Era finito in carcere per avere rubato in spiaggia due teli da mare ed era stato condannato a 8 mesi: ieri è stato trovato morto probabilmente a causa di un infarto nella sua cella all’Ucciardone di Palermo. L’uomo, Roberto Pellicano, 39 anni, era un tossicodipendente e da 12 anni era sieropositivo.

Lo scrive il quotidiano La Repubblica edizione di Palermo: per due volte il suo avvocato aveva presentato richiesta di scarcerazione per "gravi motivi di salute". La Procura di Palermo ha aperto un’inchiesta sulla vicenda e il pm Francesco Del Bene ha disposto l’autopsia per domani. La famiglia del carcerato, assistita dall’avvocato Tommy De Lisi, intanto, ha presentato una denuncia ipotizzando l’omicidio colposo.

L’uomo aveva rubato i teli da bagno il 2 luglio scorso sulla spiaggia di Capaci, a 20 chilometri da Palermo, per venderli e comprarsi la droga: il processo per direttissima, il 13 luglio, si è chiuso con il patteggiamento della condanna a 8 mesi, lo stesso giorno il legale ha presentato la richiesta di sostituzione con gli arresti domiciliari. Dieci giorni dopo, il responso del perito incaricato dal giudice indica la possibilità del trasferimento in ospedale. Due mesi più tardi, il 9 settembre, la direzione carceraria comunica che Pellicano "rinuncia a sottoporsi ad accertamenti clinici". Il 10, il magistrato rigetta la richiesta dell’avvocato che presenta ulteriore istanza il 16 settembre ribadendo che il detenuto era affetto dal virus Hiv. Il giudice risponde nominando un altro perito per ulteriori accertamenti. E due mesi dopo, il 13 novembre, l’avvocato riceve la comunicazione dal magistrato che i risultati della perizia tardano ad arrivare "nonostante ripetuti solleciti". Intanto, la sentenza diventa definitiva e il caso passa al magistrato di sorveglianza e ieri l’uomo è morto.

 

Famiglia presenta denuncia

 

Pare sia l’infarto la causa dell’ultimo decesso registrato all’interno delle carceri siciliane. Si tratta di un giovane di 39 anni, Roberto Pellicano, detenuto all’Ucciardone di Palermo. L’uomo era colpevole del furto di due teli da mare e con il ricavato della loro vendita si sarebbe procurato la dose di droga della quale necessitava. Per questo motivo si trovava da cinque mesi in cella. La famiglia, che nell’ultima visita in carcere aveva notato le precarie condizioni del congiunto, ha deciso di presentare una denuncia per omicidio colposo.

"Ciò che colpisce maggiormente, oltre alla giovane età del detenuto - dice il garante regionale dei diritti dei detenuti Salvo Fleres - è la motivazione della sua carcerazione. Il furto è un reato ed in quanto tale va punito, ma è necessario commisurare la pena al reato stesso. Ritengo che il ricorso a misure alternative alla detenzione, laddove possibile, sia quanto mai necessario anche per contenere il numero dei ristretti e fronteggiare l’ormai insostenibile sovraffollamento. Ritengo che il signor Pellicano più che del carcere avesse bisogno di cure che sicuramente potevano essergli somministrate ai domiciliari". Fleres ha annunciato che i suoi uffici hanno chiesto agli organi competenti maggiori dettagli sull’accaduto.

Terni: detenuti protestano da 3 giorni, pentole contro le sbarre

 

Ansa, 4 dicembre 2009

 

Da tre giorni nel carcere di Terni è in corso la protesta di una quarantina di detenuti che sbattono coperchi e pentole sulle sbarre delle finestre. La direzione della casa circondariale sottolinea che si tratta di una esigua minoranza di detenuti e che la maggior parte di loro è tranquilla e rispettosa dei regolamenti. Attualmente nel carcere di Terni sono ospitati circa 300 reclusi mentre la capienza massima è di circa 180.

I detenuti protestano per l’affollamento del carcere, la mancanza di iniziative per l’inserimento nel mondo del lavoro, per la impossibilità di lavorare dentro il penitenziario, per la diminuzione del vitto e per la difficoltà di usufruire dei servizi educativi. La direzione replica che tutte le attività vengono svolte nel rispetto delle leggi e dei regolamenti e che non sono pochi i servizi di inserimento al lavoro disponibili per i carcerati.

Foggia: Provincia; protocollo d’intesa sul reinserimento sociale

 

Agi, 4 dicembre 2009

 

È stato sottoscritto, presso la Sala Giunta di Palazzo Dogana, il protocollo d’intesa tra la Provincia di Foggia, l’Ufficio esecuzione penale esterna di Foggia e l’associazione San Gaspare di Foggia riguardante il progetto relativo al recupero ed al reinserimento sociale di persone coinvolte in attività criminose.

La convenzione avrà lo scopo di promuovere azioni concordi di sensibilizzazione nei confronti della comunità locale rispetto al sostegno e al reinserimento di soggetti in esecuzione penale; promuovere la conoscenza e lo sviluppo di attività riparative a favore della collettività; favorire la costituzione di una rete di risorse che accolgono i soggetti in esecuzione di pena che abbiano aderito ad un progetto riparativo.

La convenzione, della durata di un anno, impegna l’ufficio di esecuzione penale esterna a collaborare con la Provincia di Foggia e l’associazione San Gaspare per sensibilizzare l’ambiente in cui i condannati saranno inseriti; verificare con cadenza periodica con l’Uepe ed il condannato l’andamento dell’inserimento per valutare l’opportunità di eventuali variazioni dell’attività, la sua prosecuzione o l’eventuale interruzione; comunicare trimestralmente all’Uepe la presenza del condannato; segnalare tempestivamente eventuali assenze, inadempienze o comportamenti non idonei del condannato; rilasciare al soggetto in esecuzione di pena un attestato relativo alla durata e tipologia di attività prestata.

"Il recupero ed il reinserimento sociale di persone coinvolte in attività criminose passa anche attraverso la partecipazione di istituzioni ed associazioni al fine di sostenere la costruzione di legami sociali improntati alla legalità - ha evidenziato l’assessore provinciale alle Politiche Sociali, Antonio Montanino.

Obiettivo del progetto, dunque, è quello di offrire a questi cittadini una possibilità di riscatto svolgendo attività in favore della collettività, di quella stessa società dalla quale, attraverso l’attività criminale, si sono esclusi ma in cui hanno la possibilità di rientrare come risorsa utile. La Provincia di Foggia, dunque, si mostra ancora una volta attenta a queste tematiche promuovendo una ulteriore iniziativa volta al recupero sociale dei detenuti".

Siracusa: Osapp; esplode un fornelletto a gas, 4 detenuti feriti

 

Ansa, 4 dicembre 2009

 

Quattro detenuti del carcere di Siracusa sono rimasti ustionati - due in forma grave - in un’esplosione, avvenuta ieri sera nell’istituto di pena, causata da una perdita di gas da un fornellino usato per cucinare. Lo ha reso noto il vice segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria Domenico Nicotra, sottolineando come l’episodio "è l’ennesimo segnale della pericolosità delle strutture carcerarie. La pericolosità dei fornellini a gas è stata più volte segnalata - aggiunge Nicotra - ma negli istituti si continuano ad usare. La vita dei detenuti e del personale di polizia penitenziaria è in continuo pericolo. Le carceri rischiano di trasformarsi in vere e proprie bombe. Al momento dell’esplosione - conclude Nicotra - nella sezione dove è avvenuto l’incidente c’erano 150 detenuti ed un solo agente di polizia Penitenziaria. Altri commenti a questo sembrano inutili".

Roma: Marroni; i detenuti, senza acqua calda e riscaldamento

 

Apcom, 4 dicembre 2009

 

Oltre mille detenuti di Regina Coeli senza acqua calda e senza riscaldamenti. La denuncia viene dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Nella struttura di via della Lungara si osserva una situazione "spiacevole - afferma in una nota - che speriamo venga risolta al più presto ma che, intanto, mette i detenuti, soprattutto quelli più deboli in una situazione di rischio concreto proprio mentre si avvicina il picco più elevato dell’influenza stagionale".

A lasciare al freddo detenuti, agenti di polizia penitenziaria e personale del carcere, è un contenzioso con l’impresa incaricata nei mesi scorsi di rifare l’impianto di riscaldamento e le tubazioni del carcere. Il contratto con questa impresa "sarebbe già stato risolto per inadempienze contrattuali. Ma, in attesa che l’amministrazione penitenziaria individui una nuova impresa - dice Marroni -, la popolazione di Regina Coeli è rimasta al freddo".

La direzione del carcere ha intanto avviato un piano di emergenza. Sono state acquistate e distribuite gratuitamente circa 1.200 bombolette di gas per i fornelli dei detenuti e oltre 400 coperte, 250 delle quali fatte arrivare dal carcere di Rieti, non ancora attivato, e 150 dalla Terza Casa di Rebibbia. Marroni fa notare che un carcere nuovissimo come quello di Rieti, pronto ad ospitare oltre 250 detenuti, sia chiuso mentre in 900 sono costretti a patire il freddo in una struttura che ha oltre duecento anni di vita".

Usa: pena di morte; ritardato mentale messo a morte in Texas

 

Ansa, 4 dicembre 2009

 

Bobby Woods, un uomo bianco di 44 anni gravemente ritardato mentale, è stato messo a morte in Texas dopo che la Corte Suprema ha deciso di non riaprire il suo caso. Woods era stato riconosciuto colpevole di aver ucciso brutalmente nel 1997 una ragazzina di 11 anni.

Già nel 2002 la Corte Suprema ha affrontato il quesito se una persona con problemi mentali possa essere condannata a morte o meno, senza però dare una risposta definitiva.

In quell’occasione, il club dei nove decise infatti che i detenuti minorati non potessero essere messi a morte. Tuttavia quella sentenza lasciava alle singole Corti Statali il potere di stabilire se un singolo detenuto poteva essere definito tale o no. Woods aveva un quoziente di intelligenza pari a 70 e il livello di scrittura di un bambino di sette anni. Ha ricevuto l’iniezione letale ed è stato dichiarato morto alle 18:48, il 24/o condannato giustiziato in Texas nel 2009.

India: Angelo Falcone e Simone Nobili, assolti da accusa droghe

 

Adnkronos, 4 dicembre 2009

 

Oggi la sezione dell’Alta Corte di Shimla, composta dai giudici Surinder Singh e Surjit Singh, ha assolto l’italiano Angelo Falcone e gli altri coimputati dall’accusa di traffico internazionale di droga, ordinandone l’immediato rilascio dalla prigione di Nahan. A riferirlo, in una nota, sono i Radicali.

Angelo Falcone era stato arrestato con Simone Nobili il 9 marzo 2007, al loro primo viaggio all’estero nella località di Mandi dalla polizia locale che sosteneva fossero in possesso di 18 chili di hashish e per questo condannati a 10 anni di carcere in primo grado.

Giovanni Falcone, padre di Angelo, ed Elisabetta Zamparutti, la deputata Radicale che ha seguito il caso anche recandosi in visita alla prigione indiana dove era detenuto Angelo e gli altri connazionali, hanno così commentato la notizia: "Siamo sempre stati certi dell’innocenza di Angelo e di Simone Nobili e diamo atto alle autorità indiane di avere accertato la verità. L’esito positivo della vicenda è stato anche il frutto di iniziative nonviolente, tra cui un lungo sciopero della fame, e di dialogo con le autorità italiane che ringraziamo per quanto hanno fatto. Certo è che l’attenzione che ha avuto Angelo deve essere non un’eccezione ma la regola per tutti i nostri connazionali detenuti all’estero e troppo spesso dimenticati".

 

Farnesina: soddisfazione per i due italiani assolti

 

La Farnesina accoglie con "soddisfazione la notizia dell’assoluzione, da parte dell’alta corte di Shimla, dei cittadini italiani Angelo Falcone e Simone Nobili, detenuti in India dal 9 marzo con l’accusa di traffico di stupefacenti".

"Si tratta di un importante passo per la soluzione della dolorosa vicenda" ha commentato il portavoce del ministero, Maurizio Massari in un incontro con i giornalisti "auspichiamo fortemente che Falcone e Nobili possano ora raggiungere al più presto la nostra sede diplomatica a Nuova Delhi e fare rapidamente rientro in Italia".

"Il risultato di oggi - ha proseguito Massari - è frutto dell’impegno su un caso che è stato seguito personalmente dal ministro degli Esteri Franco Frattini, grazie al cui assiduo e convinto interessamento la Farnesina, anche attraverso le autorità diplomatiche in India, ha prestato ai nostri connazionali continua assistenza sia consolare che legale. In particolare, Frattini ha compiuto personalmente passi al più alto livello a favore dei due connazionali".

"Teniamo a ringraziare anche tutti quelli che si sono interessati alla vicenda - ha detto il diplomatico - e, tenendo alta l’attenzione dell’opinione pubblica, hanno contribuito a questo risultato e ribadisco la nostra vicinanza ai familiari di Falcone e Nobili".

Il portavoce ha poi fatto notare che "l’assistenza e la tutela dei cittadini italiani detenuti all’estero sono oggetto di prioritaria attenzione da parte della Farnesina, che mette in opera tutti gli strumenti a sua disposizione: sia quelli diplomatici, sensibilizzando le autorità di paesi interessati, che quelli consolari e legali a diretto beneficio dei nostri connazionali".

"Siamo pienamente consapevoli - ha concluso - del fatto che le condizioni di detenzione sono in alcuni casi particolarmente dolorose e difficili. È un aspetto dell’opera di tutela dei cittadini italiani all’estero molto delicato per i suoi risvolti umanitari, al quale Frattini riserva una cura particolare".

 

Basilicata: la Regione lo aiuterà

 

"Siamo sempre stati certi dell’innocenza di Angelo Falcone e di Simone Nobili e diamo atto alle autorità indiane di avere accertato la verità". Così il presidente della giunta regionale della Basilicata ha commentato la notizia di assoluzione degli italiani da parte dell’Alta Corte di Shimla che ha anche ordinato l’immediato rilascio dei due giovani rinchiusi in un carcere indiano dal 2007 con l’accusa di traffico di droga.

"Questa sentenza - ha detto De Filippo - dà ragione a quanti, fin dall’inizio, hanno rimarcato l’innocenza del giovane lucano e si sono impegnati, anche a livello istituzionale, affinché Angelo Falcone potesse far rientro subito in Italia e nella sua terra.

L’esito positivo della vicenda - continua il presidente - è stato anche il frutto di iniziative nonviolente, tra cui un lungo sciopero della fame, e di dialogo con le autorità italiane che ringraziamo per quanto hanno fatto. Certo è che l’attenzione che ha avuto Angelo deve essere non un’eccezione ma la regola per tutti i nostri connazionali detenuti all’estero e troppo spesso dimenticati". Per quanto riguarda il giovane Falcone, De Filippo ha detto che "la Regione Basilicata gli sarà ora vicina per aiutarlo a dimenticare questa brutta avventura".

 

 

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