Rassegna stampa 28 dicembre

 

Giustizia: le carceri sono incivili, servono interventi non parole

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

"La calendarizzata discussione della mozione parlamentare sullo stato e sulle criticità del sistema penitenziario, prevista per i prossimi 11 e 12 gennaio, sarà il banco di prova su cui testare la concreta volontà dei parlamentari e del Governo per tentare di risolvere il dramma che quotidianamente si consuma dentro le prigioni italiane, al netto delle consuete dichiarazioni di intenti, dei solenni proclami e degli inutili annunci. Definire oggi il sistema penitenziario incivile e illegale non è esercizio di violenza verbale quanto una rappresentazione reale della situazione al di la delle mura di cinta".

Non usa perifrasi il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che traccia un bilancio degli "eventi critici" verificatisi all’interno degli istituti penitenziari in questo 2009.

"Quest’anno oramai agli sgoccioli sarà ricordato come un vero anno sabbatico. E non solo per il record di presenze detentive mai toccato nella storia repubblicana, quant’anche per una incredibile serie di suicidi,proteste, violenze ed evasioni. Agli effetti del sovrappopolamento (65.736 detenuti presenti a fronte di una capienza massima di 43.480) infatti, si debbono coniugare gli effetti delle gravi deficienze organiche del personale di polizia penitenziaria (- 5.000 unità) e del personale addetto alle aree trattamentali e socio - pedagogiche (- 900 unità).

Queste carenze - denuncia Sarno - di fatto impediscono al personale penitenziario di rendere concreto il tentativo di rieducazione e risocializzazione dei detenuti previsto e sancito dalla Carta Costituzionale. Oggi, di fatto, le nostre carceri non sono altro che discariche sociali dove sversare, in nome di un malinteso concetto di certezza della pena, il disagio, l’emarginazione, la povertà. È auspicabile, quindi, che le indegne , incivili, illegali condizioni detentive nonché le infamanti, penalizzanti e insicure condizioni di lavoro del personale siano oggetto di profonda analisi. Il Parlamento ed il Governo definiscano un vero e proprio piano Marshall per le carceri. Solo attraverso ingenti investimenti in termini di risorse, mezzi, tecnologie e attraverso una vera riforma della giustizia sarà possibile porre rimedio a ciò che oggi appare irrimediabilmente compromesso".

Da qualche settimana la Uil Pa Penitenziari ha cominciato a monitorare tutti gli eventi critici che si verificano nei penitenziari. A frequenza quotidiana gli aggiornamenti della pagina web Diario di Bordo pubblicata sul sito www.polpenuil.it.

"Abbiamo deciso di surrogare in fatto di comunicazione, informazione e trasparenza un’Amministrazione Penitenziaria troppo oscurantista - dichiara il Segretario della Uil Pa Penitenziari - che nasconde i numeri ed opacizza la comunicazione. Noi siamo consapevoli di non dover nascondere nulla; in tal modo si favorisce il proliferare dei misteri e si alimenta quella gogna mediatica che si abbatte come una mannaia sul personale penitenziario. Tutto questo nell’indifferenza e nel silenzio del Ministro Alfano".

La Uil Pa Penitenziari elenca una serie di numeri che testimoniano la gravità della situazione. "Dal 1 gennaio ad oggi sono 70 i suicidi di detenuti, 3 quelli di agenti penitenziari (di cui due omicidi-suicidi). Un agente in servizio a Torino è stato assassinato, nei pressi di Latina, in circostanze ancora da chiarire. A Catania un Ispettore del Corpo ha ucciso, senza ragioni apparenti, un assistente in servizio in portineria. I tentati suicidi di detenuti sono stati 864 (di cui il 40% sventati dalla polizia penitenziaria).

Numerosissime le proteste poste in essere contro il sovraffollamento, alcune delle quali particolarmente violente. Molte anche le maxi risse scoppiate tra detenuti, prevalentemente tra gruppi ed etnie diverse. Frequenti i tentativi di appiccare fuoco ai materassi ignifughi (che sprigionano fumi densi e tossici) con conseguenti ricoveri di persone ed evacuazioni di ambienti. Gli agenti penitenziari che hanno dovuto ricorrere a cure sanitarie a seguito di aggressioni, con prognosi superiori ai tre giorni, assommano a 148.

Le tentate evasioni sventate dal personale nel corso dell’anno ammontano a 15, mentre sono 13 i detenuti evasi (tra cui 8 minori). Questi numeri - chiude Eugenio Sarno - più che di commenti hanno bisogno di interventi. E sono quelli, non le parole, che ci aspettiamo dalla classe politica. Per questo abbiamo, e rivogliamo, appellarci al Capo dello Stato perché richiami ognuno alle proprie responsabilità. Sono certo che il Presidente Napolitano nel suo discorso di fine anno non mancherà di toccare questo tema di estrema attualità e drammaticità".

Giustizia: da Manconi ad Alfano; 10mila detenuti in più nel 2010

di Luigi Manconi (Presidente dell’Ass. "A Buon Diritto")

 

Corriere della Sera, 28 dicembre 2009

 

Signor ministro della Giustizia, l’annus horribilis del sistema penitenziario si va concludendo nel modo peggiore. E più tragico. Le cifre del disastro, ormai sufficientemente note, rappresentano altrettanti picchi di uno stato di perenne emergenza e danno la misura di una istituzione al collasso. Due dati colpiscono in particolare. L’elevatissimo numero delle morti in carcere, dovute, in percentuale, rilevante, a "cause da accertare". L’altissimo numero di quanti si tolgono la vita: 71 (le statistiche ufficiali indicano una cifra minore ed è segno ulteriore dell’opacità del sistema).

Ne consegue che la frequenza dei suicidi in carcere (mai così tanti negli ultimi decenni) è 16-18 volte maggiore di quella rilevata nell’intera popolazione. Ciò ha una stretta relazione con il sovraffollamento: oggi il circuito penitenziario custodisce il 50% di detenuti in più rispetto alla capienza prevista. Ne deriva maggior carico di lavoro per la polizia penitenziaria e per il personale e livelli di servizi ancora più bassi di quelli già oggi gravemente deficitari: dall’assistenza sanitaria (in alcuni istituti per ogni detenuto la disponibilità dello psicologo è di 10 minuti al mese) all’istruzione scolastica, alle attività lavorative, fino allo spazio fisico, sempre più ridotto e promiscuo.

Da qui uno "squallore intollerabile" (cardinale Dionigi Tettamanzi). Tutto ciò può sembrare un semplice, si fa per dire, peggioramento della qualità di un sistema già degradato. Ma c’è di più. Quello che dovrebbe davvero far tremare le vene ai polsi, innanzitutto a lei, signor ministro, ma anche a ciascuno di noi, è la prospettiva futura. Nel corso degli ultimi due anni il ritmo di crescita della popolazione detenuta è stato di 700-800 unità al mese. Non c’è ragione perché nel 2010 quel ritmo si riduca.

Anzi: l’introduzione di nuove fattispecie penali, che qualificano come reato l’immigrazione irregolare, è destinata a incrementare ancor più, e più rapidamente, il sovraffollamento. Si tratta di un elementare calcolo matematico: tra dodici mesi ci saranno circa 10 mila detenuti in più. Dove intendete metterli? È escluso che le attuali strutture possano accoglierli, anche se si accettasse di rendere il sistema persino più illegale e disumano di quanto già sia oggi. L’unica risposta finora abbozzata dal governo è, nelle attuali condizioni, semplicemente irrealizzabile. Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri (in un piano più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno) è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. E, nella più ottimistica delle previsioni, i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità. Sia chiaro: non penso che esistano soluzioni semplici, ma quello che colpisce è la totale assenza di soluzioni. Anche le più ragionevoli. Un esempio: tutti gli anni entrano in carcere, magari per un breve periodo, migliaia di semplici consumatori per una dose di sostanza stupefacente eccedente il limite previsto. Nulla si fa per ovviare a tanta irrazionalità: così come nulla si fa rispetto a quanto è stato indicato, in maniera univoca, dalle diverse commissioni per la riforma del codice penale, istituite dai governi di centrodestra e di centrosinistra. Ovvero la riduzione del numero degli atti qualificati come reati e la riduzione del numero dei reati che prevedono come sanzione la reclusione in cella. Se non si mette mano a questo, tutto il resto è niente più che una utopia negativa.

Giustizia: detenuti nei Cie; come in carcere peggio del carcere

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 28 dicembre 2009

 

"Dai suoi capelli sfilo le dita/quando le macchine puntano i fari/sul palcoscenico della mia vita/dove tra ingorghi di desideri/alle mie natiche un maschio s’appende/nella mia carne tra le mie labbra/un uomo scivola l’altro si arrende".

Scorreva così, "sotto le ciglia degli alberi", nel chiaroscuro dei viali milanesi, la vita di Carlos S., transessuale brasiliana di 34 anni. Fino a domenica 20 dicembre, quando è rimasta impigliata in una retata della polizia, un tempo si sarebbe detto della "buon costume".

Carlos, non conosciamo il nome che si era scelta, era sprovvista dei documenti necessari per la sua permanenza in Italia. Per questo è stata fermata e poi deportata insieme con altri viados nel Cie di via Corelli. Di umiliazioni, dolore e discriminazioni, lei, come le altre, ne aveva conosciute e sopportate tante. Non l’ultima però. Non la degradazione e l’abisso dei "campi di concentramento" di cui sono disseminate le democrazie occidentali.

Non questi luoghi dove vige lo stato d’eccezione, dove si è sottoposti a "detenzione amministrativa", una coercizione dei corpi che l’ipocrisia di Stato non ha saputo nemmeno designare con un nome. Altrove sono stati coniati singolari neologismi. I francesi meno restii nel riconoscere esplicitamente il ricorso all’eccezione, parlano di rétention per distinguerla dalla detenzione.

Campi di permanenza temporanea dove una persona straniera in situazione amministrativa irregolare è trattenuta a forza in attesa di "identificazione ed espulsione", come recita l’ultima dizione legislativa. Luoghi vuoti di diritto, buchi neri che hanno ridotto a un colabrodo le nostre democrazie tanto decantate. In uno di questi recinti Carlos ha smesso di mescolare "i sogni con gli ormoni".

L’ultima fermata è arrivata il giorno di Natale. L’hanno trovata appesa ad un lenzuolo, intorno alle 15.30, quando il resto del Paese era seduto attorno a tavole imbandite di cibo, panettoni e spumante. Carlos se n’andava per fuggire all’orrore di una prigionia senza reato, di una punizione senza colpa, se non quella di esistere, di voler essere donna. Se n’è andata liberandosi anche di quel corpo che l’aveva imprigionata ad una identità sessuale che non era sua.

"Il 33% delle persone transessuali sono a rischio di suicidio a causa della discriminazione che subiscono", hanno spiegato in un comunicato Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, responsabili di EveryOne, associazione per i diritti umani. Nonostante ciò, prosegue sempre il testo del comunicato, "i transessuali vengono rinchiusi nei Cie, che sono vere e proprie carceri. L’Italia è il primo Paese europeo per discriminazioni, morti e violenze transfobiche: un terribile primato che rende le persone transessuali e transgender cittadini vulnerabili ed esclusi".

"L’Italia sta violando i diritti umani senza porsi il problema del rimedio", sottolinea Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che annuncia come già mille detenuti, da agosto ad oggi, abbiano chiesto il sostegno dell’associazione nella procedura di ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro le condizioni di vita che sono costretti a subire negli istituti di pena italiani. "Mille richieste di indennizzo, dunque, contro lo Stato italiano - spiega Gonnella - per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani, quello che vieta le torture e le pene inumane o degradanti".

Proprio a partire da quest’ultima vicenda, "l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere" ha ritenuto opportuna la creazione di un’apposita "Sezione" per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale al di fuori del sistema penitenziario. Nella società odierna si può essere privati della propria libertà senza per questo ritrovarsi in carcere. Il carcere diffuso rappresenta ormai una tendenza sempre più affermata. Fuori dalle mura di cinta delle prigioni, ci sono i Cie, le camere di sicurezza delle questure e delle stazioni dei carabinieri; esiste poi un’area penale esterna che avviluppa in una sorta di "blindato sociale" la vita di centinaia di migliaia di persone sottoposte a misure alternative e di prevenzione; ci sono inoltre le case lavoro e gli Opg e infine i Tso, i trattamenti sanitari obbligatori. Ogni morte, violenza o discriminazione subita da persone private della libertà all’esterno del carcere sfugge alle statistiche.

Il rischio è che quanto avviene in queste zone dove vige uno stato di diritto attenuato, per non dire inesistente, resti confinato in un cono d’ombra, al riparo dalla percezione pubblica. "Nei centri di identificazione ed espulsione (ex Cpt), come pure nelle "camere di sicurezza" delle questure e delle caserme - afferma il comunicato stampa diffuso ieri dall’Osservatorio - le persone non sono "detenute", quindi paradossalmente possono risultare meno tutelate rispetto a chi entra nel circuito penitenziario (regolato da un apparato normativo che prevede anche una serie di "strumenti di garanzia" per i detenuti)".

Nelle tabelle rese note il suicidio di Carlos è il secondo che avviene in un Cie dall’inizio dell’anno, oltre ad un decesso per "causa da accertare" nel Cie di Roma. Nel 2008 nei Cie si sono registrati due morti per malattia, mentre nel 2007 altri 3 suicidi (di cui 2, nel Cie di Modena, a distanza di un solo giorno l’uno dall’altro). Per quanto riguarda le persone "fermate" e poi morte nelle Questure, "l’Osservatorio" ha raccolto informazioni su tre decessi avvenuti tra il 2007 e il 2008 nella questura di Milano e altri due avvenuti nella questura di Roma nel 2002.

Giustizia: 9 disegni di legge per introdurre il crimine di tortura

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

www.innocentievasioni.net, 28 dicembre 2009

 

Nove disegni di legge pendono alle Camere per introdurre il crimine di tortura nel codice penale. L’ultimo in ordine cronologico è stato presentato a Palazzo Madama dal senatore Luigi Li Gotti (Idv). Gli altri otto sono così distribuiti: cinque al Senato e tre alla Camera dei Deputati.

Complessivamente vi sono quattro disegni di legge targati Pd, due targati Pdl e due Idv. Uno è invece trasversale. Ed è anche il più fedele ai contenuti della Convenzione Internazionale contro la tortura delle Nazioni Unite. La prima firmataria è Donatella Poretti, radicale eletta nelle liste del Pd. La proposta risale al 26 novembre del 2008.

Fu contestuale alla presentazione di un emendamento depositato durante la discussione del pacchetto sicurezza. L’emendamento - così spiegò allora la senatrice radicale - era funzionale ad assicurare la sicurezza delle persone in custodia dello Stato. Esso definiva il crimine di tortura e lo introduceva nel codice penale. Fu scelta la procedura del voto segreto.

L’emendamento non passò per soli cinque voti. Segno che dentro la maggioranza si era creata una piccola frattura. Il testo della Poretti è firmato da circa quaranta senatori. Spicca vedere insieme tra i cofirmatari l’ex pm milanese Gerardo D’Ambrosio, la radicale Emma Bonino, l’ex presidente della provincia di Milano Ombretta Colli, l’ex giudice veneziano Felice Casson, Pietro Ichino del Pd e Nicola Di Girolamo del Pdl, il presidente della Commissione sui diritti umani Pietro Mercenaro, il candidato alla segreteria del Pd Ignazio Marino e Adriana Poli Bortone dell’Udc.

Il testo prevede che dopo l’articolo 593 del codice penale sia inserito il 593-bis. La definizione di tortura è quella del Trattato Onu del 1984 ratificato dall’Italia nel 1987. Commette tortura - secondo il disegno di legge - il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge a una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere segnatamente da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su di una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di discriminazione. La sanzione consiste nella reclusione da quattro a dieci anni. La pena è raddoppiata se ne deriva la morte.

Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del fatto, o che si sottrae volontariamente all’impedimento del fatto, o che vi acconsente tacitamente. La proposta della Poretti si fa carico anche dell’ipotesi che il governo italiani neghi l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro Paese o da un tribunale internazionale prevedendone l’estradizione. Infine viene istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un "Fondo per le vittime dei reati di tortura utile ad assicurare un risarcimento finalizzato a una completa riabilitazione".

Gli altri testi depositati in Senato presentano alcune variazioni sostanziali. Sia quello dei senatori siciliani del Pdl Salvo Fleres (che è anche garante siciliano dei diritti dei detenuti) e Mario Ferrara, che quello del democratico Di Giovan Paolo, prevedono che il delitto di tortura sia generico ossia commettibile anche da colui che non è un pubblico ufficiale. Il massimo della pena è in entrambi i casi di dodici anni. Diminuisce il minimo edittale nella proposta pidiellina.

In uno dei due testi vengono specificate le ragioni di discriminazione - razziale, politica, religiosa o sessuale - che possono essere alla base delle violenze psicologiche o fisiche inferte. Alla Camera i testi che hanno quali primi firmatari Salvatore Torrisi del Pdl, Pino Pisicchio dell’Idv e Gianclaudio Bressa del Pd sono più o meno corrispondenti a quelli presentati al Senato da Fleres e Ferrara. Nei giorni scorsi la capogruppo del partito democratico Anna Finocchiaro ha chiesto la calendarizzazione dei disegni di legge sulla tortura.

Qualora fosse accordata bisognerà arrivare a un testo unico e sostanzialmente decidere se propendere per una ipotesi delittuosa specifica (ossia crimine che può essere commesso solo da addetto alle forze dell’ordine o affini) oppure generica (ad esempio tortura commessa da un sequestratore nei confronti del sequestrato) con un’aggravante nel caso di fatto commesso da un pubblico ufficiale. Infine va ricordato che l’Italia non ha ancora ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione sulla tortura pur avendolo firmato nel lontano 2003 per volontà del precedente governo Berlusconi. La firma fu apposta dall’allora sottosegretaria agli esteri Margherita Boniver.

Giustizia: Uil; nelle carceri un’altra settimana di "emergenza"

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

"La situazione nelle carceri italiane è talmente grave che serve davvero uno straordinario impegno economico, politico e progettuale per ricondurre il sistema penitenziario nell’alveo della legalità e della civiltà". Lo sostiene il segretario della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno, che a dimostrazione dell’emergenza che si vive negli istituti di pena elenca gli ultimi fatti accaduti nelle carceri questa settimana. "Abbiamo avuto - dice - 13 agenti penitenziari che hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere per sintomi di asfissia e intossicazione dovuti ai fumi tossici sprigionatisi da materassi dati alle fiamme da detenuti a Monza, Lanciano, Palermo Pagliarelli; il suicidio di due detenuti uno a Rebibbia e l’altro a Vicenza; un tentativo di suicidio sventato in extremis dalla polizia penitenziaria a Imperia e una maxi rissa con il ferimento di un detenuto extracomunitario a Vicenza". "Sul fronte delle proteste - sottolinea Eugenio Sarno - c’é da registrare la battitura a oltranza ogni tre ore da parte dei detenuti ristretti alla Casa Circondariale di Vicenza contro la gestione dell’istituto e le penalizzanti condizioni di vita all’interno della Casa Circondariale". Il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari sarà martedì in visita alla casa Circondariale dell’Aquila.

Toscana: le cure sanitarie ai detenuti ancora non funzionano

di Patrizio Pesce

 

Il Tirreno, 28 dicembre 2009

 

In materia di sanità penitenziaria, ritengo che la Toscana non sia all’altezza dei giusti e civili parametri sociali. Sovraffollamento e scarsità di operatori sanitari sono criticità comuni a tutte le carceri della nostra regione ed in modo particolare per la Casa Circondariale di Pistoia.

La riforma della medicina penitenziaria per essere credibile ed efficiente deve essere realizzata con strumenti adeguati e con il pieno coinvolgimento degli operatori, valorizzandone le competenze e le esperienze specifiche del settore ed incentivando la crescita professionale con adeguate specializzazioni. È condivisibile il trasferimento di tutte le funzioni sanitarie svolte dal ministero della Giustizia al Ssn, e quindi alle Regioni, per garantire ai detenuti ed agli internati nelle carceri, come si afferma nella Costituzione ed in una direttiva europea, la tutela della salute alla pari degli altri individui in stato di libertà.

A circa un anno da tale passaggio sarebbe necessario valutare l’organizzazione della medicina penitenziaria aumentando e riqualificando l’organico degli operatori sanitari e dando loro l’opportunità di svolgere la loro "missione" in condizioni adeguate. Ricordo che la salute, in carcere, è una priorità assoluta, un diritto riconosciuto e non un’eventuale concessione. Pensare alla salute della popolazione carceraria non significa solo prestare cure, ma anche costruire un percorso relazionale tra operatori sanitari e pazienti che possa essere d’aiuto ai detenuti anche al di fuori delle quattro mura del carcere.

Sardegna: "Made in Jail", offre una nuova vita per i carcerati

 

La Nuova Sardegna, 28 dicembre 2009

 

Il nome vero è "Seriarte Ecologica". Ma è più conosciuta come "Made in Jail" (fatto in carcere). È una cooperativa formata da ex carcerati che - a partire dalla fine degli anni 80 - opera per favorire il reinserimento sociale e lavorativo al di fuori delle sbarre. In che modo? Con una serie di corsi di serigrafia ai detenuti. Che ora vorrebbe realizzare anche nelle carceri di Tempio e Mamone.

L’obiettivo è insegnare ai detenuti un mestiere attraverso la creazione di t-shirt con scritte e slogan che trasformano in ironia la realtà carceraria ("Chi crede nella giustizia sarà giustiziato", "Sono troppo sexy per lavorare", "Dubitare, disobbedire, trattare".

E adesso Made in Jail sbarca in Sardegna. Due componenti della cooperativa vorrebbero infatti attuare i corsi alla Rotonda di Tempio e nel carcere di Mamone. I fratelli romani Carlo e Simone de Renzi, di 35 e 38 anni, hanno deciso di stabilirsi a pochi chilometri da Olbia (dove hanno aperto un laboratorio di serigrafia) ma si stanno già attivando per raggiungere il loro obiettivo. "Una decina di anni fa, nel carcere minorile di Quartucciu, Made in Jail aveva tenuto con successo una serie di lezioni estive, ma ora vorremmo estendere il nostro progetto: sappiamo che i direttori delle carceri di Tempio e Mamone sono particolarmente sensibili alle iniziative con finalità sociali e quindi ci auguriamo di raggiungere il traguardo". Non è difficile imparare la serigrafia.

"Quando si conoscono le tecniche base, è semplice creare scritte e stampe sulle magliette. E da ciascun detenuto cerchiamo di tirare fuori un’idea: all’inizio per stimolarlo e poi per fargli capire che, una volta fuori, potrà crearsi una sua piccola impresa. Quando il carcerato finisce di scontare la pena, si trova di fronte al passo più difficile. E noi, con i nostri corsi, vogliamo agevolare il ritorno alla vita normale". Made in Jail svolge la sua attività in diverse carceri italiane, come Casal Del Marmo, la terza Casa Penale di Rebibbia a Roma o Villa Andreini a la Spezia. "Con le nostre magliette si è fatto fotografare Benigni, Piero Pelù ha indossato in concerto quella con su scritto "Regole zero" e, da anni, collabora con noi anche la figlia del grande Totò che ci ha autorizzato a usare l’immagine di suo padre".

Liguria: il Sappe; droghe nelle carceri, introdurre unità cinofile

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

Oltre il 39% dei detenuti in Liguria è tossicodipendente. Quella ligure è la percentuale più alta in Italia dove la media nazionale si attesta intorno al 25% circa. Pertanto, se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga.

"Alcuni recenti fatti di cronaca hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Spesso la professionalità della Polizia Penitenziaria consente di individuare i responsabili e di denunciarli all’autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Per questo auspichiamo si provveda ad istituire anche in Liguria, in analogia a quanto già avviene in altre Regioni, un distaccamento di unità cinofile del Corpo di Polizia Penitenziaria" spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.

Martinelli ha anche preannunciato che una richiesta in tale senso sarà formalizzata nelle prossime ore al Provveditorato ligure dell’Amministrazione Penitenziaria ed alla sede centrale del Dap. "Gli ultimi dati disponibili in nostro possesso (riferiti al 30 giugno scorso) evidenziano l’alto numero di tossicodipendenti tra i reclusi liguri: ben 300 a Marassi (su 715 presenti), 100 a Sanremo, 55 a La Spezia, 44 a Pontedecimo, 42 a Chiavari, 40 a Imperia e 37 a Savona" aggiunge il segretario generale del Sappe.

"I numeri di quanti sono in trattamento metadonico sono abbastanza contenuti: 59 a Marassi, 19 a Sanremo, 9 a La Spezia, 10 a Pontedecimo, 8 a Chiavari, 5 a Imperia e 3 a Savona. Vi è chi (detenuti appena arrestati o amici e familiari ammessi a colloquio) tenta di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari, ma grazie alla professionalità della Polizia Penitenziaria ciò viene impedito. Noi riteniamo si possa e si debba fare un ulteriore sforzo per contrastare con forza queste possibilità" spiega Martinelli.

"Il nostro Contratto di Lavoro del 1995 prevede, tra le specializzazioni del Corpo di Polizia Penitenziaria, i conduttori di unità cinofili; tale servizio è già stato attivato in sette regioni d’Italia, da ultimo in Emilia Romagna proprio in questi giorni, per cui chiederemo al Provveditore della Liguria di attivarsi presso il Dipartimento centrale penitenziario al fine di avviare l’iter per l’istituzione di un distaccamento di unità cinofile del Corpo anche nella nostra Regione" conclude l’esponente del Sappe.

Aosta: detenuto 60enne muore durante trasporto all’ospedale

 

La Repubblica, 28 dicembre 2009

 

Dramma nel carcere di Brissogne: la vittima aveva 60 anni. Detenuto nonostante avesse l’Aids, muore mentre lo portano in ospedale. Fax al dipartimento penitenziario: "Morte per cause naturali, non è avvenuta in cella".

Di carcere si continua a morire, uno stillicidio senza fine. Alle 10 di ieri mattina il cuore di Fiorenzo Sarchi, detenuto nella casa circondariale di Brissogne, è andato fuori giri. L’uomo, 60 anni segnati pesantemente dall’Aids e un passato da ladro di macchine e autoradio, è stato soccorso dal medico di guardia e caricato su un’ambulanza diretta verso l’ospedale di Aosta. Ci è arrivato senza vita, spirato per strada, abbastanza lontano dal portone blindato dell’istituto per non rientrare nella drammatiche statistiche dei decessi dietro le sbarre. Poco cambia. La sua morte sembra una certificazione della incompatibilità tra le condizioni fisiche e la carcerazione.

Alla casa circondariale, dove da tempo manca un direttore fisso e le redini sono affidate ai funzionari via via inviati in missione dal provveditorato dell’amministrazione penitenziaria, viene confermato solo che "si è trattato di una morte per cause naturali, non in cella". Non è invece dato sapere se il detenuto, in carico al tribunale di sorveglianza di Torino, avesse chiesto o meno il differimento della pena per motivi di salute, ipotesi che il codice prevede per chi è in condizioni pessime. Il rinvio, per chi ha l’Aids in stadio avanzato e gravissime deficienze immunitarie, è obbligatorio.

Milano: Pagano; la cittadella della giustizia serve con urgenza

di Sandro De Riccardis

 

La Repubblica, 28 dicembre 2009

 

Luigi Pagano, provveditore regionale alle carceri, che valore hanno per lei le parole pronunciate dal cardinale Dionigi Tettamanzi nella sua tradizionale celebrazione natalizia a San Vittore?

"La presenza dell’arcivescovo in carcere a Natale è nella tradizione di ogni anno. Dal cardinal Martini fino a oggi, l’attenzione della Chiesa non è mai mancata. È la testimonianza di chi crede che San Vittore è il cuore di Milano".

 

Quest’anno Tettamanzi è entrato nelle celle. E ha parlato di condizioni "offensive della dignità umana".

"Il cardinale ha visitato le celle e parlato coi detenuti per quattro ore. Anche dopo la messa è stato accompagnato nei reparti. La situazione di San Vittore è conosciuta, è quella di una struttura vecchia. Non c’è divisione tra la zona detentiva e gli spazi comuni, che sono minimi".

 

Anche la celebrazione di Natale si è tenuta in rotonda, all’imbocco dei sei reparti.

"Il problema di San Vittore è il sovraffollamento, un problema storico. Dalla fine degli anni ‘80 fino a Mani Pulite c’erano 2400 reclusi. Oggi i reparti aperti sono scesi a tre e la popolazione carceraria è di 1500 unità. La struttura è migliorata dopo i lavori al terzo e quinto raggio, il sesto è ancora problematico, ma lo spazio è quello che è. Non si possono creare laboratori, campi sportivi, aree di socializzazione".

 

Un altro mondo rispetto a Opera o Bollate.

"Bisogna considerare che San Vittore è un carcere circondariale, dove ci sono tra i venti e i trenta ingressi al giorno. Persone che, in media, dopo tre giorni vanno via. A Bollate, che è una casa di reclusione, il numero dei detenuti può essere programmato. A San Vittore, in sei mesi, c’è un avvicendamento del 60 70 per cento delle persone".

 

Per questo è difficile intraprendere percorsi di reinserimento?

"Bisogna tentare proposte diverse. Abbiamo da poco firmato una convenzione con le istituzioni per far lavorare cento detenuti di San Vittore nei cantieri e nelle manifestazioni dell’Expo. E trenta sono già impegnati con Amsa".

 

In un decennio la tipologia dei carcerati è molto cambiata?

"Oggi due terzi dei detenuti sono stranieri, spesso irregolari, senza domicilio, e non conoscono l’italiano. È davvero arduo programmare un percorso di reinserimento".

 

Come si può risolvere il problema del sovraffollamento?

"C’è il progetto della cittadella della giustizia dove si potrebbero creare gli spazi che San Vittore non può avere. Noi da sempre abbiamo puntato sull’accoglienza dei detenuti. Basti dire che nel carcere di piazza Filangieri abbiamo avuto solo un suicidio in quattro anni. Merito del lavoro e della preparazione degli agenti, degli psicologi e dei medici. Il personale penitenziario spesso non merita la brutta reputazione che ha".

 

Cosa chiede al nuovo anno?

"Mi sento kennediano: sono io che devo fare qualcosa. Penso a far andare a regime il protocollo firmato col ministero per il lavoro ai detenuti. Abbiamo un impegno: mai dimenticare che ogni persona che entra in carcere è una persona come le altre. E che la sua sicurezza va sempre tutelata".

Teramo: Uzoma Emeka è vittima comunque del penitenziario

di Andrea Boraschi

 

L’Unità, 28 dicembre 2009

 

"Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra di sotto. Abbiamo rischiato la rivolta. C’era il negro che ha visto tutto". Così si sarebbe espresso, il 22 settembre scorso, l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Teramo, Giuseppe Luzi, poi rimosso dal suo incarico dal ministro Alfano dopo che la frase in questione, recapitata come file audio ai media locali, fu pubblicata aprendo la strada a un’indagine tutt’ora in corso.

Nel giorno in cui vengono emanati sei avvisi di garanzia per quei fatti (uno per il Luzi, quattro per altrettante guardie presunte esecutrici del pestaggio al quale si fa riferimento in quell’audio, uno per il detenuto italiano che ne sarebbe vittima, a sua volta denunciato dagli agenti per aggressione), il "negro" muore dietro le sbarre nel carcere del capoluogo abruzzese.

Si chiamava Uzoma Emeka, 32 anni, nigeriano: se ne è andato prima di poter raccontare la sua verità in un’aula di giustizia. Non sappiamo se sia un esercizio paranoico o un atto di ragionevole pessimismo il mettere in relazione la morte di Emeka con la storia dalla quale sarebbero emerse le pratiche brutali in uso a Castrogno. Stando alla prima ricostruzione l’uomo si sarebbe sentito male al mattino, verso le 8.30; portato in infermeria per le prime cure, con il peggiorare del quadro clinico ne sarebbe stato disposto il trasporto in ospedale, ormai nel pomeriggio; è poi morto sull’ambulanza, dopo una prima inefficace defibrillazione praticatagli nel penitenziario.

Può darsi che tutto ciò corrisponda al vero, può darsi che dagli accertamenti che verranno eseguiti non emergano omissioni e negligenze tanto da parte del personale di sorveglianza quanto da parte di quello medico. Ma questa morte, l’ultima di una serie che fa del 2009 l’annus horribilis della storia repubblicana quanto a decessi nelle carceri, non può essere compresa se non si fa mente a quanto ricorda meritevolmente Rita Bernardini.

Il carcere di Castrogno è senza direttore; vi sono stipati 400 detenuti rispetto a una capienza effettiva di 230; vi sono in servizio 155 agenti rispetto ai 203 previsti; gli educatori sono solo 2, oltre il 50 per cento dei reclusi è malato e molti sono affetti da malattie psichiatriche incompatibili con il regime di detenzione; l’assistenza psichiatrica e psicologica è pressoché nulla; le celle sono malmesse, fredde e umide e i detenuti vi passano tutto il giorno perché non è prevista alcuna attività trattamentale. Manca persino il cappellano a Castrogno. Se Uzoma Emeka è vittima di un semplice malore, egli è al contempo vittima di un sistema detentivo incompatibile con il benessere e la dignità della persona.

Teramo: Pannella; in carcere la situazione è da Codice penale

di Gennaro Della Monica

 

Il Centro, 28 dicembre 2009

 

"Da codice penale". Marco Pannella definisce così la situazione del carcere di Castrogno. Il leader radicale, accompagnato da due militanti teramani Orazio Papilii e Renato Ciminà, e dalla parlamentare Rita Bernardini, ha trascorso il giorno di Natale nella struttura detentiva. Durante la visita, alla quale ha partecipato anche il deputato dell’Italia dei valori Augusto Di Stanislao, Pannella ha verificato la condizione strutturale.

L’ex parlamentare, tornato per un giorno nella sua città di origine, raccontando ai microfoni di Radio Radicale quello che ha visto nella casa circondariale teramana ha lanciato accuse pesanti sulla morte di Emeka Uzoma, il detenuto testimone di un presunto pestaggio in carcere.

"Abbiamo tutti scoperto che il "negro", dice Pannella usando proprio la parola ascoltata nella registrazione audio che ha svelato l’aggressione, "aveva un tumore al cervello. Qualcuno l’ha visitato? Aveva dei segni? Sappiamo che vomitava da tempo, che barcollava all’improvviso. Il sospetto è che in fondo, se crepava un testimone, non sarebbe stato molto grave".

L’autopsia ha accertato che Uzoma è stato stroncato dalla grave malattia ma sulla sua morte la procura di Teramo ha aperto un’inchiesta destinata ad accertare se il detenuto sia stato sottoposto a cure adeguate o se si ci siano stati colpevoli ritardi nei controlli medici. Le stesse domande a cui dovranno rispondere i risultati delle indagini sono rilanciate, sotto forma di dubbio, dal leader radicale. "Mi sono fatto un’idea abbastanza chiara della situazione di questo carcere", prosegue Pannella, "i dati gravi che abbiamo verificato sono soprattutto riferiti all’assoluta mancanza d’iniziativa di carattere strutturale".

L’ex parlamentare cita alcune delle carenze riscontrate. "Non manca certo lo spazio, eppure le visite si fanno in un localetto indegno", spiega, "manca il servizio sanitario e il personale che esiste può fare miracoli ma se non c’è la struttura, non può fare molto. C’è solo la scuola elementare. Credo sia una situazione da codice penale". La struttura, come sottolinea Rita Bernardini, ospita 411 persone nonostante una capienza massima regolamentare di 250 detenuti.

L’Aquila: detenuto 41-bis; "Salvatemi, vogliono ammazzarmi"

di Nazareno Dinoi

 

Corriere della Sera, 28 dicembre 2009

 

"Se vi diranno che mi sono impiccato nella cella non credetegli perché mi hanno ucciso loro". Il drammatico avvertimento raccolto dai famigliari l’ultima volta che sono andati a trovarlo il carcere, dove è rinchiuso da 26 anni, è di Vincenzo Stranieri.

L’ex boss della Sacra corona unita è stato capobastone di Giuseppe Rogoli per la provincia di Taranto e cofondatore con la cosca leccese De Tommasi-Cirfeta dell’organizzazione mafiosa, "La Rosa dei Venti". Dal supercarcere di L’Aquila dove è rinchiuso in regime di 41 bis (carcere duro riservato a mafiosi e terroristi), l’irriducibile uomo d’onore ha paura di essere ucciso e punta il dito sulle guardie carcerarie. Un timore serio che ha fatto preoccupare anche i suoi avvocati, Carlo Petrone di Taranto e Lorenzo Bullo di Manduria che lo hanno visitato di recente.

È toccato all’avvocato manduriano presentare una denuncia alla procura della Repubblica del capoluogo abruzzese con la testimonianza della moglie e del nipote del boss. Nell’esposto si parla esplicitamente di "malessere fisico e psicologico causato da innumerevoli vessazioni, minacce e torture attuate nei suoi confronti da parte del personale della polizia penitenziaria". Stranieri, in carcere dal 1984 quando fu arrestato per il rapimento di Anna Maria Fusco, figlia dell’imprenditore del vino Antonio, è ristretto in isolamento ininterrottamente da 17 anni quindi sotto la stretta sorveglianza degli agenti speciali del Gom, il gruppo operativo mobile istituito dal Ministero per garantire l’ordine e la sicurezza nella sorveglianza di detenuti sottoposti al regime speciale.

Sarebbero loro con la complicità di alcuni camorristi napoletani, accusa Stranieri, ad aver deciso per la sua morte. "Gli agenti di polizia penitenziaria - si legge nella denuncia - lo annientano moralmente e psicologicamente rivolgendosi a lui tutte le ore del giorno e della notte con parole come mafioso del c…o, mezzo uomo, ti troveranno morto nella doccia, ti uccideremo, ti buttiamo dalle scale". Ed ancora: "Se parli con i tuoi famigliari o gli avvocati sono guai per te, ti facciamo morire e nessuno ne saprà niente, reagisci così ti massacriamo ma non in sezione ma nella cella di giù".

La moglie riferisce che sino a dieci giorni prima il marito stava bene. L’appello di Stranieri è stato già raccolto dal Sergio D’Elia, segretario dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, il quale è andato a trovarlo in carcere insieme ad un parlamentare dei radicali. L’ex deputato della Lista Pannella lo ha trovato "agitato, impaurito e in evidente stato di stress emotivo e fisico". La famiglia Stranieri ora è convinta che "le guardie gli faranno fare la fine del giovane Stefano Cucchi" per cui hanno lanciato un drammatico appello a tutti i gruppi che si battono per la sicurezza dei detenuti. "Siamo convinti che vogliono ucciderlo - dice al moglie Paola - è dimagrito, non è più lui, non mangia e non prende più le medicine perché teme siano avvelenati".

Stranieri che oggi ha 49 anni, ne aveva 24 quando fu arrestato. Sta scontando 42 anni di pena senza nessuna condanna di omicidio. Nonostante la lunga prigionia che lo ha praticamente portato in tutte le carceri d’Italia, l’ex numero due della Scu non ha mai voluto collaborare con la giustizia. Una decisione questa che lo trattiene in stato di isolamento secondo lo schema del 41, bis sin dalla sua istituzione avvenuta nel 1992. Sposato con Paola Malorgio, è padre di due figli di 31 e 33 anni che ha visto crescere dietro le sbarre prima e, con l’introduzione del carcere duro per i mafiosi, attraverso il vetro che gli impedisce ogni contatto con l’esterno.

Ultimamente il Tribunale di sorveglianza di Roma gli ha rinnovato la misura del 41 bis. Condannato definitivamente a 42 anni per reati di droga, armi e sequestro di persona con l’aggravante dell’associazione mafiosa, ha ancora un sospeso con la giustizia che riguarda il processo nato dall’inchiesta "Corvo" dove è imputato in qualità di trafficante di sigarette. Reato che, secondo alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe commesso in carcere sino al 2000. Già affiliato alla camorra di Raffaele Cutolo, Stranieri, secondo le sentenze passate in giudicato, aderì alla Scu di Rogoli quando era già in carcere per il sequestro di persona della maestrina manduriana liberata dopo il pagamento del riscatto che fruttò ai rapitori la somma di seicento milioni di lire.

Rovigo: il Garante; detenuto con la dentiera rotta da sei mesi

di Milena Furini

 

Il Resto del Carlino, 28 dicembre 2009

 

Da mesi un detenuto del carcere di Rovigo non riesce a toccare cibo perché ha la dentiera rotta. Il Garante ha chiesto aiuto all’Ulss, inutilmente.

Da oltre sei mesi non tocca cibo perché la sua dentiera si è rotta, costringendolo a nutrirsi solo ingurgitando alimenti liquidi. Se fosse un cittadino libero, questo problema l’avrebbe già risolto, in qualche modo, ma trattandosi di un detenuto della Casa circondariale di Rovigo, al quale l’Asl 18 rifiuta di fornire una nuova protesi dentaria, il problema si trascina da mesi senza trovare soluzione, tanto che anche il Garante dei diritti dei detenuti ha deciso di scendere in campo.

"Rimango stupito di una risposta da parte dell’azienda sanitaria che penalizza una (e non solo una) persona che ha necessità relative alla salute personale a cui non viene data una risposta - commenta Livio Ferrari - Non è possibile che la normativa in materia non tuteli la salute delle persone chiuse in carcere".

Era l’11 dicembre quando il Garante, visto il protrarsi di una situazione così critica, aveva deciso di rivolgersi direttamente all’Asl con una lettera indirizzata al direttore generale, Adriano Marcolongo, e per conoscenza anche alla direttrice della Casa circondariale Tiziana Paolini, al magistrato di sorveglianza di Padova, Giovanni Maria Pavarin, al medico incaricato dell’Asl 18 per il carcere, Rosaria Romano, e al detenuto stesso. Anche in base alla relazione della dottoressa Romano che, si legge nella lettera, conferma "l’impossibilità (del detenuto, ndr) ad avere una normale nutrizione in quanto la dentiera che gli serviva per la masticazione è inservibile e rotta in diversi punti", Ferrari chiedeva all’azienda sanitaria la fornitura di una nuova protesi.

La risposta, giunta sempre via posta dopo poco più di un mese, il 15 dicembre scorso, non è stata però quella sperata. Secondo l’Asl, in poche parole, dal momento in cui le competenze della sanità penitenziaria sono state trasferite dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale (in aprile dell’anno scorso), i diritti dei carcerati sono stati parificati a quelli di qualsiasi altro cittadino. Nella pratica, ciò significa che nei livelli essenziali di assistenza (Lea) garantiti a tutti, non rientra il tipo di intervento sollecitato dal Garante.

"I livelli essenziali di assistenza specialistica ambulatoriale - cita la lettera risposta, a firma del direttore generale dell’Asl 18 - in odontoiatria prevedono l’assistenza terapeutica limitatamente a tre categorie di utenza: programmi di tutela della salute odontoiatrica in età evolutiva, assistenza odontoiatrica e protesica ai soggetti vulnerabili, urgenze infettivo-antalgiche. Con la stessa Dgr (n. 2227/02, citata in precedenza, ndr) - si conclude la comunicazione - è stato definito che le spese di laboratorio e di materiale per l’apparecchio protesico sono a carico dell’utente". Dunque l’Asl non può provvedere né a riparare la vecchia protesi dentaria né, tantomeno, a fornirne una nuova.

Ma è una risposta che non soddisfa il Garante: "Se un detenuto, impossibilitato a muoversi e da mesi anche a mangiare, non è un soggetto vulnerabile non capisco chi si possa definire tale - ribatte Ferrari amaramente - quella dell’Asl mi sembra una interpretazione troppo restrittiva della legge. In ogni caso, se la legge prevede tali limitazioni, è una legge che va cambiata, perché le persone che stanno in carcere non possono perdere anche il diritto alla salute".

Torino: l’Asl 1 capofila nord-ovest in assistenza minori detenuti

 

Agi, 28 dicembre 2009

 

L’impegno dell’Azienda Sanitaria Locale Asl Torino1 si sviluppa non solo sui minori detenuti presso l’Istituto Penitenziario "Ferrante Aporti" del capoluogo piemontese ma anche sulle funzioni del cosiddetto "Penale Esterno"(misure alternative al carcere), la cui utenza è costituita da soggetti indagati o sottoposti a provvedimenti penali, anche a carattere non detentivo fino al compimento dei 21 anni(per reati commessi da minorenne) e per soggetti sottoposti a sospensione del processo con messa alla prova, fino al compimento dei 25 anni.

"La decisione dell’Asl To1 di costituire una task force multi professionale per occuparsi di questo tipo di utenti è stata decisamente innovativa - spiega Ferruccio Massa, direttore generale dell’Asl To1 - tanto che addirittura il Ministero di Giustizia ci ha inviato un riconoscimento formale. All’interno della struttura di detenzione Ferrante Aporti sono coinvolti i servizi di Neuropsichiatria Infantile, delle Tossicodipendenze, della Salute Mentale, della Medicina Legale, con il servizio Materno infantile, per valutare appieno i diversi aspetti del recupero giovanile".

Roma: Mariani (Lista Civica) in visita agli operatori penitenziari

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

"In questi ultimi tempi, molte persone autorevoli, tra le quali il Cardinale Dionigi Tettamanzi, hanno avuto modo di constatare le condizioni disumane in cui gravano le carceri nel nostro Paese". Lo dichiara in una nota Peppe Mariani, Presidente della commissione "Lavoro, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e Politiche Sociali" della Regione Lazio. "Da cinque anni noi denunciamo, senza soluzione di continuità, la situazione drammatica di degrado e sovraffollamento che caratterizza queste strutture, nelle quali è recluso, soltanto nel Lazio, il 24% in più di detenuti di quanto consentirebbe la capienza regolamentare, e lavorano operatori penitenziari con un sotto organico scandaloso".

"Per la prima volta in queste feste natalizie - prosegue Mariani - durante la mia visita alle carceri di Regina Coeli e Rebibbia Femminile, accompagnato dai coordinatori delle strutture e da Daniele Nicastrini della Uil Penitenziari, ho rivolto la mia attenzione, seguendo una scelta cosciente, esclusivamente verso gli operatori penitenziari. Questi lavoratori, tra i quali in 10 anni i suicidi sono arrivati a 67, fanno parte di quel mondo degli "invisibili", che tutti in realtà vedono, ma dei quali a nessuno interessa veramente parlare. Purtroppo - continua Mariani - troppo spesso l’esagerazione mediatica costituisce l’agenda politica in modo ipocrita ed effimero, mentre poi, a riflettori spenti questo mondo vede i diritti degli operatori e dei detenuti quotidianamente e sistematicamente calpestati.

"Finalmente a Milano, il Cardinale Tettamanzi ha avuto modo di partecipare al pranzo di Natale nel carcere di San Vittore, e a Roma la Comunità di S. Egidio ha organizzato il 26 dicembre il pranzo con i detenuti del carcere di Regina Coeli, però le gravi condizioni di lavoro degli operatori penitenziari restano ancora sotto un inaccettabile cono d’ombra".

"Parliamo - aggiunge Mariani - di un operatore ogni cento detenuti, di conseguenza di turni di lavoro massacranti, che non permettono di applicare le misure trattamentali, né quelle sanitarie, o quelle riferite alla sicurezza negli spostamenti e nei piantonamenti. Tutto questo avviene grazie, soltanto, alla piena disponibilità e professionalità di degli operatori penitenziari, che vanno avanti senza l’aiuto e il conforto da parte di nessuno, e che qualora dovessero venir meno ai loro compiti, sono anche passibili di denuncia penale. Ho potuto constatare personalmente le condizioni di questi lavoratori, molti dei quali peraltro pendolari, che di loro iniziativa e con le loro risorse devono sopperire alla assoluta incertezza di Istituzioni assenti, abbandonati, senza che nessuno se ne accorga, in una situazione che ha ormai nettamente superato i limiti dell’emergenza, dove l’impegno, il sacrificio, anche quello degli affetti familiari, e la competenza sono puntualmente occultati da eventi tragici o comunque negativi.

Un atto urgente dovrebbe essere, intanto, quello di bloccare immediatamente la dispersione di personale che risulta in organico presso le strutture carcerarie, e che, invece, presta servizio nei vari uffici di competenza. "Devo dire che questa visita - conclude Mariani - ha creato un clima di forti emozioni, condivise da tutti e che per un momento ci hanno distolto da una vergognosa normalità, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di lavoratori sequestrati dentro un inferno che è il pianeta carcere in Italia.

Verona: il Vescovo in visita al carcere, per ascoltare i detenuti

di Elena Cardinali

 

L’Arena di Verona, 28 dicembre 2009

 

Il capo della Diocesi ha celebrato la messa con 200 reclusi e poi si è recato dai carcerati in isolamento, nella sezione femminile e in infermeria. Il vescovo: "Qui le emergenze si chiamano sovraffollamento e difficoltà di reinserimento dopo l’espiazione della pena".

"Quando si guarda in faccia questa gente e si vedono in mezzo a loro tanti giovani ci si domanda perché sono qui. E dobbiamo fermarci a riflettere sui motivi, sul vivere di oggi, sui modelli sociali e culturali che portano queste persone verso percorsi sbagliati". Riflessioni dal carcere di Montorio i cui cancelli ieri si sono aperti ieri mattina per ricevere un ospite particolare, il vescovo Giuseppe Zenti.

Una mattinata intensa, iniziata alle 9 e terminata dopo mezzogiorno, scandita da una serie di appuntamenti: la messa con i detenuti comuni, l’incontro con quelli in stato d’isolamento (circa un centinaio provenienti anche da altre province), il passaggio in infermeria e la visita alla sezione femminile, accompagnato del personale di polizia penitenziaria (che a fine visita ha donato al vescovo per mano del vicecomandante Carlo Taurino il modellino di un’auto di servizio), dai volontari della Fraternità, il gruppo che da molti anni segue i detenuti, e dai sacerdoti della cappellanìa di Montorio guidati da don Maurizio Saccomani.

A Montorio ci sono quasi 900 detenuti ma era stato costruito per accoglierne poco più di 400. In teoria dovrebbe esserci un ospite, al massimo due, per cella ma, ora, si ritrovano in quattro o cinque, perché una sezione è chiusa per lavori da oltre un anno. Inoltre anche il personale di polizia penitenziaria è ridotto. Una situazione diffusa in molte carceri italiane, come in quello di San Vittore a Milano, dove nel giorno di Natale si è recato il cardinale Dionigi Tettamanzi, il quale ha dichiarato senza mezzi termini: "Le condizioni abitative che ho potuto rilevare in tante celle sono offensive della dignità umana. Penso che tutti, e non solo il sistema generale delle carceri, ma anche le persone che in qualche modo devono sentire il carcere non come un corpo estraneo alla vita sociale, devono fare qualcosa in più perché queste condizioni siano davvero migliorate".

Su questa linea anche il vescovo Zenti:"Vedendo in quali condizioni vivono i detenuti si capisce che c’è bisogno di una grande riforma della giustizia, globale, non a spicchi. Non servono nuove carceri ma altre alternative, come lavori protetti, centri d’accoglienza specializzati, tipologie diverse di risposta a chi ha commesso atti illegali. Penso alle detenute con bambini, ai giovani che si sono resi responsabili di reati minori, ai tossicodipendenti. Non devono finire nello stesso calderone".

"Ma anche fuori del carcere", ha precisato il vescovo, "bisogna che tutti lavorino per prevenire i reati, famiglie, scuole, parrocchie, per educare i bambini e i giovani alla cultura della legalità e della responsabilità. La vita è fatta di salite, di difficoltà, di rispetto verso gli altri e le cose altrui. E ai genitori chiedo un maggior confronto con i propri figli".

Durante la messa, a cui hanno partecipato 200 detenuti, italiani e stranieri, si è pregato in diverse lingue. Il coro di Santa Maria in Stelle ha accompagnato la celebrazione. I partecipanti hanno chiesto al vescovo di farsi interprete delle loro istanze con il mondo esterno: più ascolto da parte delle istituzioni, evidenziare il grave problema del sovraffollamento, una più puntuale applicazione delle misure alternative al carcere, più vicinanza ai problemi delle famiglie dei detenuti e possibilità di reinserimento sociale attraverso il lavoro. "Mi farò portavoce delle vostre richieste con le istituzioni, in particolare per quanto riguarda l’accoglienza e la possibilità di trovare lavoro dopo l’espiazione della pena, una condizione fondamentale per tornare a una vita normale e per evitare di ricadere negli errori del passato", ha promesso il vescovo Zenti, dichiarando, alla fine della mattina in carcere, di "essere stato molto colpito dall’umanità trovata in carcere, di aver vissuto la visita con emozione".

Per Natale i detenuti di Montorio hanno adottato a distanza una bambina brasiliana di Quixadà, per poterle permettere di studiare, ripetendo così un gesto fatto con un altro bambino di un Paese in via di sviluppo. Un gesto simbolico d’amore come simbolo di fiducia nel futuro.

Pesaro: incontro "Lontano dagli occhi, carcere e diritti umani"

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

L’Osservatorio permanente sulle carceri, in collaborazione con le associazioni "Un mondo a quadretti" di Fossombrone, "Isaia - Volontari col carcere" di Pesaro e con la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia delle Marche, promuove un incontro sul tema "Lontano dagli occhi… carcere e diritti umani".

L’incontro si terrà martedì 29 dicembre 2009 a Pesaro, alle 17.30, nella Sala del Consiglio provinciale "W. Pierangeli" in viale Gramsci, 4. Monia Caroti e Stefano Danti, volontari del carcere di Pesaro, parleranno del tema con Alessio Scandurra, ricercatore e membro del direttivo dell’associazione Antigone onlus e Samuele Animali, Ombudsman e Garante dei diritti dei detenuti della Regione Marche.

Le domande da porsi sono tante e nell’occasione si cercherà qualche risposta: "Emergenza: le carceri sono piene! È perché si stanno commettendo più reati? Le carceri sono piene! Ma non c’era stato l’indulto, che aveva svuotato le celle? A proposito, dove sono finiti? Saranno tornati tutti dentro, vero?

Nessuno ne parla, quali saranno i dati? Quante persone sono tornate a delinquere, quante no? Le carceri oggi sono ancora più piene! Ma piene di chi? Tossicodipendenti? Ma non vanno in comunità? Immigrati? Ma non vengono espulsi? Comunque, le carceri sono piene. Cosa vuol dire stare in carceri sovraffollate? Come ci vivono i detenuti? Riescono a sopravvivere? Come ci vivono gli agenti, gli operatori? Riescono a sopravvivere? Le carceri sono piene. Quali sono i rimedi? E, poi, la domanda più grossa: come è possibile, qui in Italia, una morte come quella di Stefano Cucchi?".

Stati Uniti: Madoff è ricoverato in ospedale, forse ha un cancro

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

Bernard Madoff è ricoverato da venerdì scorso nell’ospedale del carcere del North Carolina. L’autore della più grande truffa della storia, da 65 miliardi di dollari, sta scontando una condanna a 150 anni di carcere. I motivi del ricovero non sono stati resi noti dalle autorità carcerarie. Indiscrezioni sullo stato di salute di Madoff si susseguono da mesi. Secondo alcuni rumors il finanziere sarebbe da tempo malato di cancro.

Lo scorso agosto il New York Post aveva riportato che a Madoff restavano pochi mesi di vita in seguito al suo stato di salute. Le autorità carcerarie avevano però seccamente smentito le indiscrezioni riportate dal quotidiano, sottolineando che nessun "cancro gli era stato diagnosticato" e che "non era un malato terminale".

Madoff è stato condannato al massimo della pena che poteva essergli inflitta, lo scorso 29 giugno, per aver attuato uno schema Ponzi multimiliardario per decenni. A bloccare l’ascesa del re della finanza americana ed ex presidente del Nasdaq l’11 dicembre 2008 sono stati i figli, che lo hanno denunciato una volta venuti a conoscenza dello schema a piramide attraverso il quale operava la società del padre. Nel corso della sua deposizione in tribunale Madoff ha chiesto scusa alle sue vittime, senza però riuscire a impietosirle: l’aula del tribunale è esplosa in un scroscio di applausi non appena la sentenza a 150 anni di reclusione è stata pronunciata. Il finanziere sconta propria pena nel penitenziario di Burton, a circa 650 chilometri da New York: il carcere non è di massima sicurezza ed è provvisto delle migliori attrezzature mediche.

Iraq: Nassiriya; 40 detenuti iraniani da ieri in sciopero di fame

 

Ansa, 28 dicembre 2009

 

Circa quaranta iraniani detenuti in un carcere iracheno sono in sciopero della fame per ottenere una revisione del loro caso da parte della autorità di Teheran. Lo ha reso noto un avvocato della Commissione diritti umani in Iraq, Mohammed Radhi, che ha sottolineato che la protesta è iniziata ieri e finora è stata pacifica. La Commissione è un organo del governo iracheno. Gli iraniani sono detenuti a Nassiriya, 320 chilometri circa a sudest di Baghdad. Un funzionario di polizia ha riferito che i prigionieri non sono stati finora autorizzati a parlare con l’ambasciata iraniana. I detenuti sono stati incriminati per aver varcato il confine illegalmente per compiere attacchi terroristici.

 

 

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