Rassegna stampa 27 dicembre

 

Giustizia: la doppia punizione nelle condizioni di vita in carcere

di Giovanna Zincone

 

La Stampa, 27 dicembre 2009

 

Che le condizioni di vita nelle carceri italiane siano intollerabili è cosa nota da fin troppo tempo.

Le ragioni sono molte e si collegano tra loro a catena. La più ovvia è la insufficiente capienza delle strutture penitenziarie esistenti, accoppiata alla loro obsolescenza. È un’insufficienza che si riproduce puntualmente, e alla quale troppo spesso si è posto rimedio con amnistie e indulti. In questo momento ci sono circa un terzo di posti in meno rispetto al fabbisogno. Il sovraffollamento è certamente un’ovvia causa del degrado delle condizioni di vita dei detenuti, sia perché riduce gli spazi fisici nelle celle, sia perché riduce la sia pur limitata e controllata libertà di cui in carcere ancora si dovrebbe godere.

Dove i detenuti sono troppi, anche il tempo e la possibilità di movimento all’aria aperta nei cortili si riducono, i colloqui con i parenti sono contratti, il lavoro in carcere (colpito anche dalla crisi) diventa un miraggio. A sua volta l’affollamento ha varie cause. Quindi affrontarlo, come ha previsto il governo, con un piano speciale di edilizia è una misura necessaria, troppo a lungo rinviata, ma non sufficiente. Costruire nuove carceri, costruirle in modo che siano più vivibili, differenziare i luoghi di detenzione, ridurre il ricorso alla detenzione sono rimedi necessari. Bisogna smettere di applicare l’etichetta "reato" a qualunque comportamento che non risponde appieno alle aspettative della cultura prevalente, mi riferisco ad esempio al consumo personale di sostanze stupefacenti. Si pensa così di soddisfare la richiesta di sicurezza e di ordine che viene dall’opinione pubblica, lo si fa con la speranza di incassare qualche consenso elettorale in più, ma i costi della penalizzazione a oltranza poi si pagano.

Ma c’è un costo più alto che si paga con una corsa gridata, e non meditata, alla repressione. Un ragionevole richiamo all’ordine può trasformarsi e si sta trasformando in qualcosa di culturalmente molto rischioso: da una parte la disumanizzazione del reo, reale o anche solo potenziale, dall’altra l’innalzamento al di sopra delle regole del tutore dell’ordine. Si raffigura come pericolo pubblico il criminale incallito e poi, allargando il cerchio, chi ha commesso solo una piccola infrazione della legge e poi, allargandolo ancora, chi ha lo stigma di potenziale delinquente perché ha l’aspetto fisico di un immigrato o perché è vestito come i ragazzi dei centri sociali - e nel corso di questo processo tutte queste ben diverse figure sociali vengono più o meno consapevolmente percepite come individui spogliati del diritto al rispetto, persino del diritto alla integrità fisica.

Quella persona perde il diritto a non essere umiliato, a non essere picchiato, a non essere privato di assistenza medica. Al contrario, se a commettere violenze e soprusi sono esponenti delle forze dell’ordine, scatta l’obbligo di solidarietà, a cui si aggiunge spesso anche un occhio di riguardo da parte delle corti che se non altro "derubricano" il caso facendolo slittare verso un reato meno grave. Alcuni eventi recenti, con il caso del giovane Cucchi picchiato brutalmente e non curato, hanno finalmente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica, altri sono stati sollevati in anni recenti dalle madri delle vittime, ma chiunque abbia avuto anche una conoscenza marginale delle carceri sa che non si tratta di episodi isolati. Così come non può non suonare allarmante il dato alto dei suicidi in carcere: è un segnale di condizioni intollerabili. Più in generale, alcune carceri sono luoghi dove troppo spesso il più forte, ad esempio il gruppo di detenuti più potente, può esercitare un potere arbitrario, distruttivo nei confronti dei compagni più deboli, in assenza di una vigilanza neutrale e forte.

D’altra parte ci sono carceri italiane gestite con metodi innovativi, competenza e umanità. Si capisce quindi che, proprio in questi giorni in cui il Natale dovrebbe dare maggiore luce al messaggio cristiano di riconoscimento comunque e verso chiunque delle ragioni dell’umanità, siano alti esponenti della Chiesa a fare sentire la loro voce a difesa di chi vive tragicamente indifeso nelle carceri italiane. Accanto ai cardinali Bagnasco e Tettamanzi, si sono fatti sentire i radicali di "Nessuno tocchi Caino". Rivendicano giustamente il diritto al rispetto umano anche per chi non ne ha avuto per gli altri. Un apparato statale che lasciasse i colpevoli diventare vittime di violenze e soprusi acquisterebbe il loro stesso volto. E dovremmo allora chiederci: chi è davvero Caino?

Giustizia: il grido delle carceri arriva ai Palazzi, ma chi ascolta?

di Marco Neirotti

 

La Stampa, 27 dicembre 2009

 

Braccia dentro i maglioni e teste ricoperte da berretti di lana, tesi avanti fra le sbarre di ferro e ruggine del quarto raggio di San Vittore per salutare il cardinale Tettamanzi, il 23 dicembre, potevano esser simili a Manila, Bangkok, New Delhi. A quei visi e mani, allo striscione con scritto "Abbiamo sete di una giustizia autentica", il cardinale ha risposto che "la giustizia autentica è una virtù che deve essere coltivata da tutti e tutti riguarda". E poi: "So che è paradossale, ma è possibile coltivarla anche qui e la cosa più bella è che voi volete essere uomini di giustizia".

Fuori dall’emozione del contatto diretto, aveva aggiunto: "Le condizioni sono offensive della dignità umana. Il carcere non è un corpo estraneo alla vita sociale". Non lo è, però sta coperto e nascosto, salvo casi clamorosi di cronaca nera, dal pestaggio alla rivolta, dal fuoco al suicidio. Sono detenute quasi 66 mila persone (ogni giorno il numero cambia) in spazi previsti per 40 mila o poco più. In un anno si sono ammazzati settanta reclusi, le settimane dell’anno sono cinquantadue. Altri hanno tentato il suicidio, altri sono morti per mali che, probabilmente o forse, in ospedale non sarebbero stati trascurati o, al più, recuperati per tempo. Le agenzie li centellinavano mentre arrivava Natale. Nella guerra dei numeri, del sovraffollamento, perde anche la fragilità di organici degli agenti penitenziari: ne mancano 5 mila, sostengono le forze sindacali, e per il prossimo triennio prevedono l’uscita di 2.500 persone da contrastare con l’assunzione di 1.800. Il Sappe, il sindacato autonomo, ha diffuso cifre regione per regione: detenuti totali, stranieri, capienza regolamentare e quella "tollerabile", personale previsto e personale presente. Sono i numeri di una fatica sommersa delle uniformi assimilabile, durante il servizio, a quella dei detenuti.

Nella vicinanza del Natale si è infittito il viavai di esponenti politici in visita, quella che spesso durante l’anno accende i malumori: "Vengono a vedere come stanno quelli di Garlasco, Perugia, Erba, dei fatti clamorosi". Ora no, ora sono arrivati per l’allarme rivolte e suicidi. Politici e Garanti dei detenuti, come in Lazio e in Sicilia. I radicali al Castrogno di Teramo dopo la morte del nigeriano Uzoma Emeka, 32 anni, testimone di un pestaggio poi finito in una registrazione. I Pd a Regina Coeli e Rebibbia di Roma, a Marassi di Genova. Escono cifre tutte allarmanti, proposte tutte rincuoranti. Il ministro Alfano diffonde via agenzia la soddisfazione per l’inasprimento del 41 bis, la stretta di giro per i mafiosi. Ma i non mafiosi vogliono sapere di un’altra stretta di giro, quella della loro "dignità umana", che non finisce mai.

Ha riempito giornali e telegiornali Stefano Cucchi morto in ospedale a metà ottobre, secondo l’accusa per una valanga di botte. Ma nel calendario di fine anno molti giorni sono grani di un rosario angosciante. A Teramo si sente male e poi muore Emeka. Il 9 dicembre, ad Alessandria, si impicca in cella il pentito di camorra, appena trasferito, Ciro Ruffo, 35 anni. Venerdì 18, a Salerno (a Sorrento, dicono altre agenzie in questo turbine di echi raccolti e rilanciati) si appende dietro le sbarre Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente (il sessantanovesimo dell’anno, specifica l’Archivio, superato il "record" del 2001).

E la conta impazzisce due giorni prima di Natale: in Liguria cerca di farla finita Paolo Arrigo, commerciante di 24 anni, indagato con la compagna per la morte del figlioletto. A Rebibbia si ammazza il collaboratore di giustizia Ciro Giovanni Spirito, killer della camorra. A Vicenza se ne va strozzato da un lenzuolo un sessantenne accusato di reati contro i minori. È un conteggio che, a guardare le pagine di ciascuno sparse sul tavolo, ti intontisce come un capogiro fra le lapidi d’un camposanto. Si può andare a cercare nella psicologia delle festività, più incisive di altri momenti sulla depressione, con l’aggiunta di perdita della libertà, lontananza dei famigliari. Ma è troppo semplice. Perché gli altri fogli-lapidi sono il controcanto, il coro della resistenza fiaccata: "Battitura delle sbarre", "incendio dei materassi", "esplosione delle bombolette di gas", "aggressione agli agenti". Mari di tempesta, ovunque. Come nella poesia di un detenuto torinese: "Noi che muti tra queste mura / siamo silenzio del mare di sbarre / le nostre urla le sentirete soltanto / nel movimento dei manganelli / nelle fiamme di una cella / o nel lenzuolo che dà sonno per sempre".

Giustizia: Quagliariello (Pdl); le carceri priorità per il Governo

 

Apcom, 27 dicembre 2009

 

La situazione delle carceri italiane sarà una delle "priorità" per il Governo nel 2010. Lo dice il vice-presidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello: "Il tema posto dal cardinale Tettamanzi sulla condizione delle carceri non può restare senza risposta. La perfezione, come il cardinale sa, non è di questo mondo. Ma oggi esiste un macroscopico problema di uguaglianza di fronte alla pena in quanto la stessa punizione, a seconda delle condizioni nelle quali viene scontata, può assumere caratteri completamente diversi".

Aggiunge Quagliariello: "Chiunque conosca non occasionalmente l’universo delle carceri italiane sa che questa è una priorità, per i carcerati così come per gli agenti della polizia penitenziaria: l’altra faccia della luna della quale troppo spesso non si considerano le crescenti difficoltà. Per queste ragioni il miglioramento della condizione carceraria dovrà essere una delle priorità del nuovo anno per il governo e per la maggioranza".

Campania: protocollo d’intesa per le cure sanitarie ai detenuti

di Ettore Mautone

 

Il Denaro, 27 dicembre 2009

 

La salute nelle carceri: il passaggio delle competenze dall’amministrazione penitenziaria alle Aziende sanitarie locali sta richiedendo una serie di atti e di protocolli d’intesa indispensabili a fissar regole certe per garantire al meglio i bisogni assistenziali della popolazione carceraria. Questo l’oggetto della conferenza stampa che l’assessore alla sanità Mario Santangelo, terrà lunedì 28 alle 10,30 nella sede dell’assessorato al quinto piano di Palazzo Santa Lucia a Napoli a margine della sigla dell’accordo di programma che sarà sottoscritto dall’assessore alla sanità, dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Campania, Tommaso Contestabile, e dal dirigente regionale della giustizia minorile Sandro Forlani.

Palazzo Santa Lucia vara lo schema di accordo di programma per la realizzazione di forme di collaborazione tra ordinamento sanitario e ordinamento penitenziario e della giustizia minorile e per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi sanitari mirati all’attuazione delle linee di indirizzo del decreto del 1 aprile del 2008.

L’accordo si compone di cinque parti: la prima dedicata a definire le finalità dell’accordo di programma, la seconda dedicata ai compiti e alla composizione dell’osservatorio permanente sulla Sanità penitenziaria, la terza dedicata alla collaborazione tra ordinamento sanitario e penitenziario, la quarta dedicata alle convenzioni per l’utilizzo dei locali e per le prestazioni medico-legali in favore del personale del corpo di polizia penitenziaria e la quinta per il monitoraggio e l’attuazione dell’accordo di programma.

Viene invece rinviato ad un futuro provvedimento l’istituzione, la composizione, la regolamentazione, l’organizzazione e il funzionamento dell’Osservatorio permanente sulla Sanità penitenziaria che sarà costituito da rappresentanti della Regione, delle Aziende sanitarie locali, dell’amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile competenti territorialmente. L’osservatorio dovrà inoltre procedere alla attivazione di uno specifico gruppo di lavoro relativo agli Ospedali psichiatrici giudiziari e d eventualmente altri gruppi specifici su altri nodi da sciogliere.

 

La norma

 

Articolo 4 - Osservatorio permanente sulla Sanità penitenziaria della Regione Campania.

 

Per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia degli interventi sanitari mirati all’attuazione di quanto previsto dalle Linee di indirizzo di cui agli Allegati A e C del Dpcm 1 aprile 2008 sarà istituito presso l’Assessorato alla Sanità della Regione Campania l’osservatorio permanente sulla Sanità penitenziaria della Regione Campania.

 

Articolo 5 - Compiti

 

- monitorare e valutare gli interventi attuativi di tutte le norme, gli accordi e le iniziative mirate all’attuazione di quanto previsto dalle Linee di Indirizzo, citate in premessa, di cui agli Allegati A e C, parte integrante del Dpcm 1 aprile 2008, a quanto indicato nel presente Accordo e a tutto quanto sarà emanato in materia;

- definire modalità organizzative e di funzionamento del servizio sanitario presso ciascun istituto di pena, prevedendo modelli differenziati in rapporto alla tipologie dell’istituto, ma integrati nella rete dei servizi sanitari regionali per garantire continuità assistenziale anche in termini di equità e qualità;

- provvedere ad acquisire conoscenze epidemiologiche sistematiche sulle patologie prevalenti;

- provvedere ad acquisire conoscenze in ordine alle condizioni ed ai fattori di rischio specifici che sono causa o concausa delle manifestazioni patologiche;

- attivare un sistema informativo alimentato da cartelle cliniche possibilmente informatizzate;

predisporre linee guida sia per la prevenzione e la cura di patologie che comportano interventi a lungo termine di presa in carico della persona, con caratteristiche di elevata intensità e complessità assistenziale quali la tossicodipendenza e patologie correlate, Hiv, le malattie mentali, con il concorso di più figure professionali, sanitarie e sociali, sia per la programmazione di interventi terapeutici tratta mentali, anche individualizzati, nei confronti delle persone detenute che siano portatrici di particolari problematiche di disagio (ad esempio programmi di prevenzione del rischio suicidario e programmi di risocializzazione);

- proporre sistemi di valutazione della qualità, riferita soprattutto all’appropriatezza degli interventi, al corretto uso di farmaci, agli approcci diagnostici terapeutici e riabilitativi basati su prove di efficacia;

- proporre programmi di formazione continua, con particolare riferimento all’analisi fisico e mentale e alle specifiche variabili che influenzano lo stato di salute fisico e mentale, a favore del personale sanitario e sociosanitario che opera all’interno degli istituti per adulti e per minori, oltre che dei detenuti e dei minorenne sottoposti a provvedimento penale;

- proporre modalità organizzative idonee a garantire, quando necessario, il ricovero dei detenuti e degli internati nelle strutture del Servizio Sanitario Regionale, di cui alla legge 296/1993, ovvero nelle strutture residenziali extraospedaliere, nel rispetto delle esigenze di sicurezza;

- proporre adeguati sistemi di valutazione e controllo in ordine all’appropriatezza dei ricoveri in ambito intramurario presso i Centri clinici dell’amministrazione penitenziaria.

 

Articolo 9 - Aree ed attività di collaborazione

 

Entro 90 giorni dalla sottoscrizione del presente atto le Aziende sanitarie e le Direzioni Penitenziarie degli Istituti devono assumere un impegno formale che comprenda:l’individuazione degli ambienti idonei da dedicare alle attività sanitarie

il supporto necessario a garantire il corretto svolgimento delle attività e la continuità dei percorsi sanitari Nel rispetto della reciproca collaborazione e nelle more del raggiungimento della piena ed autonoma operatività da parte delle Asl agli II.PP. supporteranno le Asl relativamente alle attività tecnologiche e strumentali (per es. utilizzo di telefono, fax, pc, mezzi di trasporto) ed amministrative (rilevazione presenze personale).

Milano: polemiche per il suicidio di un trans brasiliano nel Cie

di Franco Vanni

 

La Repubblica, 27 dicembre 2009

 

Martedì, durante la convalida del fermo, al giudice si era limitata a dichiarare: "Dimoro a Milano, non ho parenti in Italia". Nel 2007 era già stato fatto nei suoi confronti un provvedimento di espulsione, mai eseguito.

Si è tolta la vita il giorno di Natale, impiccandosi alle sbarre della sua cella. Ha usato come cappio le lenzuola della branda su cui dormiva da domenica, quando era stata portata al Cie di via Corelli perché immigrata clandestina. La trans brasiliana di 34 anni, all’anagrafe Diego Augusto Santos Costa, è morta dopo un tentativo di rianimazione. A ritrovare il corpo, alle 15.30 del 25 dicembre, è stata un’altra transessuale rinchiusa nel centro.

La morte si presume sia avvenuta due ore prima, ma si attendono i risultati dell’autopsia all’obitorio di piazza Gorini. La polizia l’ aveva fermata in piazzale Lagosta, dove si prostituiva. All’arrivo in via Corelli, visto il poco affollamento del Cie, la trans era stata messa da sola in stanza. Martedì, durante la convalida del fermo, al giudice si era limitata a dichiarare: "Dimoro a Milano, non ho parenti in Italia". Nel 2007 era già stato fatto nei suoi confronti un provvedimento di espulsione, mai eseguito.

Quello di Natale è il primo suicidio nella storia decennale del centro di via Corelli. "Non pensiamo che il gesto dipenda dal fatto di essere nel Cie - dice Alberto Bruno, commissario provinciale della Croce Rossa, che gestisce la struttura - era lì da tre giorni appena, evidentemente era una scelta presa da tempo". Alla notizia della morte, le altre sei transessuali brasiliane fermate e recluse con lei si sono riunite per ore in preghiera cristiana.

"Più che arrabbiate sembravano smarrite", racconta chi le ha assiste. Descrivono la compagna morta come "una persona tranquilla": all’arrivo nel Cie avrebbe anche cercato di calmare un’ altra giovane trans che, urlando e piangendo, si era opposta all’internamento. E una delle transessuali ieri pomeriggio ha avuto una crisi da stress che l’ha costretta a passare ore nel presidio medico dove il giorno prima si era invano cercato di salvare la suicida. Un tentativo di soccorso che ha impiegato sette persone, compresi i soccorritori giunti in ambulanza per portare il defibrillatore.

"La prevenzione dei suicidi per noi è una priorità - assicura Bruno - agli ospiti viene fatta incontrare una psicologa". Nella notte fra Natale e ieri una decina di militanti dei centri sociali ha protestato in via Corelli contro "una tragedia annunciata, figlia di un regime di carcerazioni illegali". La protesta si è ripetuta ieri, da parte di una ventina di attivisti dei comitati antirazzisti. L’Osservatorio sulle morti in carcere (del quale fanno parte i Radicali) ha intanto lanciato l’allarme sulla possibilità di altri suicidi: "Chi si trova nei Cie - riferisce una nota - non è formalmente detenuto, ma viene privato della libertà e non ha tutele".

Il vicesindaco Riccardo De Corato risponde alle proteste rimarcando "l’assoluta necessità" di questo tipo di struttura, "in particolare per quanto riguarda i viados brasiliani, nucleo duro della prostituzione". Il deputato della Lega Nord Marco Rondini invita a "non strumentalizzare l’episodio per parlare dei Cie come fossero lager, rischiando di fomentare l’odio contro le istituzioni". Il riferimento è alla rivendicazione anarchica della bomba all’università Bocconi del 16 dicembre scorso, che chiedeva di "chiudere i Cie". Per Andrea Fanzago, consigliere comunale del Pd, "la tragedia impone di ripensare l’organizzazione dei centri. Sono stati previsti per garantire la legalità, non per portare al suicidio".

 

Amico viado minaccia di uccidersi

 

Un viado brasiliano che si trovava rinchiuso nel Cie di Milano ed era amico di quello che si è ucciso ieri, è stato ricoverato, questa sera, per aver minacciato di togliersi la vita. L’uomo, che dopo aver urlato di volersi "fracassare la testa" e "darsi fuoco" aveva rifiutato le cure mediche, è stato soccorso comunque e ora si trova in osservazione nel reparto di Psichiatria dell’ospedale di Niguarda. Secondo quanto riferito dalla polizia il cittadino straniero, Mendoga D., 22 anni, si trovava nel centro di via Corelli dal 20 dicembre scorso ed era amico di Carlos S., di 34 anni, il connazionale che il giorno di Natale si è impiccato con un lenzuolo a una finestra. Pare che Mendoga fosse molto scosso dalla morte del conoscente.

 

Rondini (Lega): non è un lager

 

"Ancora una volta si vuole far passare queste strutture come dei lager. Le persone ospitate nei Cie, e in particolare in quello milanese, non sono affatto maltrattate e la Croce Rossa svolge un ottimo servizio rispettando la dignità di tutti, per questo mi sento di dare la mia piena solidarietà a tutti gli operatori che lavorano in via Corelli’. Lo sottolinea, in una nota, il deputato della Lega Nord Marco Rondini criticando la protesta dei centri sociali davanti al Centro di espulsione ed identificazione di Via Corelli, a Milano, dopo che ieri un viados brasiliano, Carlos, fermato il 20 dicembre e trovato senza documenti, si è suicidato impiccandosi alle lenzuola.

"Un suicidio è sempre un fatto drammatico, ma non può essere strumentalizzato politicamente in questo modo. Altrimenti - conclude Rondini - non si fa altro che alimentare quel clima di odio verso le istituzioni che, come abbiamo visto, rischia di riaprire una stagione di tensione molto pericolosa".

 

De Corato: no a strumentalizzazioni

 

"Ogni perdita di vita umana è sempre un fatto drammatico e merita rispetto. Dunque anche la morte del trans brasiliano al Cie di via Corelli. Mi auguro che l’episodio non sia cavalcato strumentalmente da coloro che chiedono la chiusura dei Cie". Lo sostiene il vice sindaco di Milano Riccardo De Corato secondo il quale, "al di là del fattore emotivo non si può non rilevare come a Milano l’insicurezza sia fortemente legata a doppio filo alla presenza dei clandestini. Solo nelle ultime 48 ore abbiamo avuto 7 arresti causati da risse tra stranieri a colpi di bottiglie di vetro e aggressioni a colpi di bastone in un call center. Ma da inizio anno sono 970 gli irregolari che hanno commesso in città reati che destano allarme sociale, furti, scippi, rapine, stupri".

Brescia: per questo Natale la cultura ha fatto tappa in carcere

di Fabrizio Vertua

 

Il Giorno, 27 dicembre 2009

 

Saranno delle feste natalizie all’insegna della cultura, quelle che i detenuti e le detenute del carcere di Verziano si accingeranno a vivere in questi giorni. L’assessorato alla cultura del Comune di Brescia ha infatti donato alcune centinaia di libri al secondo penitenziario della città. È stato l’assessore Andrea Arcai a consegnare i sei scatoloni di volumi, contenenti per lo più pubblicazioni sulla città e riferite alle grandi mostre che si sono tenute in città. Aperto negli anni 80, quello di Verziano si distingue per essere uno dei carceri più moderni d’Italia. Attualmente vi risiedono 130 detenuti, una sessantina di donne nella sezione a loro dedicata.

Anche se il carcere è omologato per 115 posti, la quindicina di detenuti in più non rappresenta un grave problema a livello di sovraffollamento come avviene invece a Canton Mombello dove, a fronte di 206 posti, alloggiano fra i 450 e i 500 detenuti a seconda dei periodi. All’interno della sezione femminile non c’è però il posto per l’ospitalità dei bambini sotto i tre anni. Le detenute con figli di questa età restano qui temporaneamente per poi essere trasferite negli Istituti di Milano e Como, dove esistono delle sezioni nido. Attualmente sono invece una decina i minorenni che entrano a Verziano per i colloqui con le madri detenute.

Verziano resta comunque un’isola felice nel panorama delle carceri italiane. Qui sono diverse le attività che i detenuti possono svolgere per prepararsi alla vita oltre le sbarre: dal teatro alla scuola. Addirittura nel penitenziario è nato un polo universitario. "È solo attraverso la cultura che i detenuti possono preparare il loro riscatto nella società"ha sottolineato il direttore dell’istituto Maria Paola Lucrezi nel ringraziare l’assessore per il dono ricevuto. Proprio a Verziano sta infatti nascendo una biblioteca che verrà inaugurata in febbraio.

Cagliari: a "Buoncammino" battezzato un bambino di 16 mesi

 

L’Unione Sarda, 27 dicembre 2009

 

David è un batuffolo nero in perenne movimento. Nella cappella della sezione femminile di Buoncammino suor Angela cerca disperatamente di stargli dietro. Lui ha la vivacità che solo un bimbo di sedici mesi può avere. La vitalità inarrestabile di chi da quando è nato ha visto solo le sbarre di una cella. David appena intravede il corridoio del tempietto, lungo appena pochi metri, scatta come un fulmine. Corre tra i banchi, apre il confessionale, gioca con le poliziotte. Il giorno di Natale in carcere è un giorno di festa. E non solo perché si celebra la Natività di Gesù, ma perché il bimbo, la mamma nigeriana e altre quattro donne ricevono il battesimo. David non ha più il peccato originale, ma continua a pagare per una colpa non sua. Almeno ora la madrina potrà portarlo fuori, fargli conoscere altri bimbi e la vita.

La mattina di Natale inizia presto nell’istituto di pena cagliaritano. Alle 8 il direttore Gianfranco Pala e il comandante degli agenti di Polizia penitenziaria Michela Cangiano danno le ultime disposizioni. Dopo neanche mezzora l’arcivescovo Giuseppe Mani e padre Mariano Asuni, accompagnati da fra Massimiliano, sono nella sezione Alta sicurezza. Di fronte il magistrato di sorveglianza Carlo Renoldi, Maria Grazia Caligaris, volontari, suore e una platea composta, controllata con discrezione dagli agenti.

Qualcuno chiacchiera, altri pregano. C’è anche chi, oltre le reti antisuicidio, assiste alla messa affacciato dai corridoi. Appese ai rombi metallici quattordici stelle natalizie, una per ogni cella. A fare gli onori di casa il comandante Cangiano. "Un buon carcere non lo fa solo il poliziotto, ma anche il comportamento del detenuto". Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito santo . Monsignor Mani ha il carattere del toscano puro, trasmette allegria. "Gesù porta la liberazione. Ricordatevi che a Buoncammino la vostra è una sistemazione provvisoria. Andrebbe scritto dentro e fuori, dove vi aspettano le vostre famiglie, i vostri bambini, le vostre spose o fidanzate". Fra Massimiliano è un religioso di peso. "Vado controcorrente, ma fate un applauso agli agenti. Se lo meritano". Combattono contro il sovraffollamento e la scarsità degli organici: venerdì i detenuti erano 510 (25 donne e un bambino).

Giovanni Rosmini, giocoforza, non perde una messa di Natale. È un appuntamento che vive con un’intensità particolare, che aspetta tutto l’anno e che raggiunge l’apice con l’offerta di un presepe. A Buoncammino le ore durano il doppio. C’è tanto tempo per riflettere e per cercare un’ancora di sopravvivenza. Giuseppe Melis e Fiorentino Soldano aprono la lunga fila per la Comunione. Per loro è la prima volta. "Devo passare ancora 18 anni qua dentro", racconta Melis. "Non ho mai frequentato la Chiesa. A Buoncammino ho fatto amicizia con un altro detenuto e lui sarà il mio padrino".

Massimiliano Farci, Marco Falcone, Mihail Dilbea e Cristian Gatti contano i giorni. "Teniamo duro. Qui si capisce il vero senso del Natale. Altro che profumi, panettoni e shopping sfrenato".

Televisione: Renato Vallanzasca si racconta a "Tempi Dispari"

 

Agi, 27 dicembre 2009

 

"Ho pagato, non so se a sufficienza, ma ho pagato tanto e più di altri...": quattro ergastoli, 260 anni di carcere da scontare dopo decine di condanne per omicidi e rapine, Renato Vallanzasca - il "boss" della Comasina - si racconta nell’intervista con Mimmo Spina a "Tempi Dispari" il programma di approfondimento di Rainews24 in onda lunedì 28 dicembre alle 21.00. Vallanzasca - intervistato fuori dal carcere, durante un permesso temporaneo per motivi di salute - parla del passato e del presente, del bandito di ieri e dell’uomo di oggi, del percorso intrapreso con il volontariato, della ricerca di un nuovo contatto con la realtà, della richiesta di grazia, finora avanzata invano. E alla domanda "Che cosa direbbe ai familiari delle sue vittime?" Vallanzasca risponde: "Non è il caso che lo dica ai giornalisti. Lo direi alle persone interessate".

Immigrazione: Lampedusa senza sbarchi, cerca una nuova vita

di Claudio Monici

 

Avvenire, 27 dicembre 2009

 

A scrutare in quel fitto e intricato groviglio di relitti che pioggia e sole si stanno mangiando pezzo dopo pezzo, si possono ancora distinguere i rilievi di una memoria trattenuta. Come un fantasma prigioniero del suo esilio senza pace. Relitti che raccontano degli occhi e dei volti di migliaia di esseri umani, uomini, donne e bambini, e del loro sacrificio, compiuto inoltrandosi, dal sud del mondo, nel canale di Sicilia, diretti a nord rotta 0.05 gradi, cavalcando le onde e proiettando il proprio destino sull’isola di Lampedusa.

Nel cimitero discarica delle carrette del mare di Lampedusa, tutto o quasi è stato spaccato e sminuzzato, in attesa di essere digerito da un inceneritore. Le forme originali dei barconi con le scritte in arabo, si sono perse, impastandosi con la terra. Come è accaduto per quegli esseri umani che schiacciati come sardine, in quei legni ci hanno navigato in condizioni estreme. Perseguitati dal terrore e dalla paura. Popoli africani per lo più, irregolari, clandestini per le leggi internazionali. Uomini che hanno poi raggiunto nuove terre che col tempo sono divenute nuove patrie. Mentre tanti altri, e mai si saprà esattamente quanti, non ci sono riusciti. Annegati in un mare che ha cancellato ogni possibile minuta traccia dalla quale potere ricostruire una storia che diventi tomba su cui far cadere una preghiera dei parenti. Lampedusa è tornata un’isola. Di sbarchi clandestini, di stragi in mezzo al mare, di proteste per la presenza di centri per immigrati, di agitazioni di popoli, non se ne registrano ormai da mesi. Anche se le storie umane continuano su altre rotte.

Sembrano storie lontane nel tempo. Ma da qualche mese sulle piste clandestine che portano sull’isola di Lampedusa si sta registrando una battuta d’arresto nel sopraggiungere nascosto dei barconi, a volte intercettati in alto mare dalle motovedette della Guardia costiera, della Finanza o dei Carabinieri, e degli sbarchi nottetempo sulle spiagge. L’ultimo in ordine di tempo risale alla metà dicembre sulla piccola Linosa, trenta miglia più a nord di qui, dove da una imbarcazione sono stati buttati a mare 14 nordafricani che a nuoto hanno raggiunto terra. Una tregua. Almeno per il mo- mento.

"È tutto di colpo cambiato - racconta un ristoratore del porto vecchio - . Non viviamo più nel caos di quella che si presentava come un’isola militarizzata. Forze dell’ordine dappertutto. E il centro per immigrati che scoppiava di gente e i titoli dei giornali e dei telegiornali che urlavano: "Emergenza a Lampedusa". Polemiche a non finire. C’era la paura per il turismo... Mentre adesso che non arrivano gli irregolari, ci sono i lampedusani che vanno via, costretti a lasciare l’isola per cercare una occupazione altrove. Nel mio ristorante non vengono più gli agenti di polizia e i giornalisti, come un anno fa. Quando ci fu la rivolta nel Centro di accoglienza. Adesso sento solo il vento e il mare".

La targa di marmo con la firma autografa dello scultore Paladino che ha realizzato la " Porta di Lampedusa, porta d’Europa", è stata rotta da un colpo di vento. Nessuno si è mai occupato di imbullonare il piedistallo al terreno. Poco più in là ci sono due sacchi di plastica di rifiuti e bottiglie di birra rotte.

Nel "Centro soccorso di prima accoglienza" (Cspa, ndr), quello che andò a fuoco per la rivolta nel gennaio 2008 e che poi è stato ristrutturato, "zero clienti, gli ultimi sono stati trasferiti sulla terraferma nel mese di giugno" , racconta un militare al cancello d’ingresso. E per questa motivo la società "Lampedusa accoglienza" , che cura la gestione degli 850 posti letto tutti vuoti, ha dovuto lasciare a casa una cinquantina di dipendenti. Un brutto colpo per l’economia di molte famiglie locali. Ma anche se gli irregolari sono respinti dalle motovedette in alto mare, o trainati a Porto Empedocle, " noi siamo sempre pronti nell’eventualità di arrivi improvvisi, che non possiamo escludere - spiega il vicedirettore del Cspa, Paola Silvino che con la memoria traccia ricordi umani di indimenticabile condivisione, nonostante le tensioni dei momenti più difficili - . Anche il Centro di identificazione e espulsione (Cie), 150 posti letto, è vuoto. Ma teniamo una regolare manutenzione" . Bernardino De Rubeis, "sindaco scomodo" si descrive, tra l’altro al centro di una inchiesta per concussione di cui si dice estraneo, dice: "Per i trafficanti, colpevoli di tanta sofferenza umana, Lampedusa non è più una meta sicura, causa la forte, seppur discutibile, azione dei respingimenti. Ora dobbiamo rafforzare la nostra vocazione turistica, sempre in una visione di accoglienza, come in passato è stato fatto con gli immigrati. Una sofferenza che non va comunque dimenticata". 

Immigrazione: cambiate rotte e forse anche i porti di partenza

 

Avvenire, 27 dicembre 2009

 

Quattordici, gli ultimi arrivati, di cui si è avuta una breve notizia attraverso gli organi di informazione. Troppo pochi per fare clamore o suscitare passione. A metà dicembre sono stati sbattuti in mare aperto da una imbarcazione che, indisturbata, così come era comparsa all’orizzonte, è poi svanita nella notte.

Acqua gelida. E loro a nuotare, in mutande e canottiera. A difendersi dalle onde che li cacciava contro la scogliera tagliente. Forse era un peschereccio tunisino, forse libico, forse anche italiano: si è avvicinato alla costa vulcanica, rocciosa della piccola isola di Linosa, trenta miglia a Nord di Lampedusa, all’ora del tramonto, per gettare la zavorra: quel suo carico umano di immigrati nordafricani.

Stremati dalle onde, dal freddo, forse anche dalla fame, una volta a terra, di corsa e a piedi nudi, hanno raggiunto il centro abitato. La gente del posto, che è privo di un centro per immigrati, ha offerto aiuto e vestiti. E cibo per una settima e più, per tutto il tempo che è durato l’isolamento provocato dal maltempo, mentre gli alimenti scarseggiavano per gli stessi residenti. Poi i quattordici sono stati prelevati e trasferiti in un centro per immigrati in Sicilia. Sono ancora solo dei numeri, come sempre senza nomi, di una storia che si ripete da anni e che è stata testimoniata, nella sua crudezza, dalle immagini caricate su internet da un giovane residente di Linosa. Da anni testimone diretto di queste umiliazioni, come vedere quattordici uomini che corrono seminudi alla ricerca di una nuova strada per la propria vita. Le cifre fornite dalla Direzione marittima della capitaneria di porto di Palermo indicano, per la sola Sicilia occidentale - dunque la fascia costiera che interessa le isole di Lampedusa e Linosa -, una caduta verticale degli sbarchi clandestini. Se nell’anno 2008 erano state registrate 30.828 presenze, nel 2009 sono solo 5.220.

La caduta a picco del fenomeno è dovuta a svariati motivi, non ultimo il giro di vite voluto dal governo italiano con la politica dei respingimenti. "Qualche sbarco certo che avviene ancora. In particolare sulle coste della Calabria o della Sardegna. Ma il nostro ultimo intervento diretto, in mare, c’è stato nel mese di ottobre - spiegano alla sala operativa della Guardia di Finanza di Lampedusa. Praticamente sono cambiate le rotte. E chi gestisce questi traffici ha capito che è diventato difficile sfuggire ai nostri controlli.

Probabilmente sono anche cambiati i porti di partenza. La rotta che porta verso la Sardegna si trova in una zona di mare più vasta e dunque più difficilmente controllabile. rispetto alla rotta su Lampedusa". È una tregua che durerà: "Chi può dirlo. Siamo sempre operativi, ma intanto possiamo anche dedicarci alle altre attività marinare".

 

 

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