Rassegna stampa 29 dicembre

 

Giustizia: nel carcere, storie di mala-sanità o di mala-giustizia?

di Simona Filippi

 

www.linkontro.info, 29 dicembre 2009

 

Sono sempre più numerosi i detenuti che scrivono al Difensore civico di Antigone per chiedere di portare le loro denunce davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il fatto, d’altronde, non deve suscitare stupore. Frequentemente quelle violazioni che i Giudici europei definiscono come "trattamenti inumani" qui in Italia passano sotto silenzio. Anche a G.W. non rimane altro che intentare la strada della Corte europea.

G. ci ha contattato nel mese di agosto perché ritiene di avere diritto "ad una morte degna". Non è più giovane e non è in buona salute. Ha sessant’anni ed è persona cardiopatica, con due infarti nel suo curriculum sanitario ed un terzo che lo ha colpito qualche settimana prima della sua lettera. Inoltre è affetto da una serie di patologie che rendono ancora più dura e insopportabile la sua vita di detenuto: coliche nefritiche, prostata, ipertensione e cisti renali.

G. sa che i magistrati difficilmente gli concederanno le misure che la legge prevede. La soluzione per i detenuti malati, anche gravi, a volte anche dichiarati "incompatibili con lo stato di detenzione", è sempre all’interno del mondo carcerario: in quegli oscuri luoghi che sono i centri clinici "specializzati".

Poco importa se anche i centri clinici sono intasati dall’attuale livello di sovraffollamento e poco importa se alcune patologie, per non divenire letali, non necessitano di cure particolari ma di condizioni di vita meno afflittive. Ma torniamo alla storia di G.

L’infarto lo ha colpito in un carcere del nord Italia dove era stato da poco trasferito per la presenza nell’istituto di un centro clinico. Quando arriva in questo carcere non lo mettono nel centro clinico ma in una cella con altre otto persone. Forse non c’è posto o forse con lui non è stata trasferita la cartella clinica. In questa cella lo coglie l’infarto. Finalmente il personale capisce che G. deve essere mandato nella sezione del centro clinico. Adesso G. si trova ancora in questo luogo che ci descrive come "quanto di più indegno ci possa essere", "un vero e proprio inferno indegno di un paese civile", "dove in una cella per due persone siamo in quattro elementi" e dove il "vitto è uguale per tutti e per nulla differenziato a seconda delle varie tipologie".

Eppure a G. non resta altro che andare davanti ai Giudici europei che, diversamente da quanto siamo oramai assuefatti a pensare, sostengono che la mancanza di cure mediche appropriate e la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate può costituire un trattamento inumano e degradante. (Sentenza Scoppola c. Italia)

 

Ma perché? Perché no!, di Fiorentina Barbieri

 

"A.B., 69 anni, italiano, ha 4 bypass e patologie collaterali, è stato trasferito da un grande carcere del Centro Italia ad un altro, piccolo e non attrezzato, perché il suo processo si dovrà celebrare in un’altra città, non dov’è il carcere, solo più vicina".

Così avevamo scritto ad agosto, denunciando la pesante situazione di Alfredo, che aveva una pena da scontare, ma poi ne stava arrivando anche un’altra e il processo, ancora da celebrare, si sarebbe dovuto svolgere in una città delle Marche. Per questo era stato trasferito, ma non proprio lì, vicino, più o meno.

Da un grande carcere romano era finito nel piccolo carcere di un centro abruzzese che, come capienza regolamentare, dovrebbe contenere circa 200 detenuti. Al momento, invece, gli operatori denunciano un organico ridotto e l’aumento del numero dei detenuti, che è arrivato a 310.

Alfredo era incappato nel mucchio dei trasferimenti "per sfollamento", quelli che simulano l’alleggerimento del numero dei detenuti, spostandoli dai grandi istituti delle grandi città, più soggetti ad essere osservati, alle piccole carceri, sottratte ad un monitoraggio indiscreto.

Lo stato di salute di Alfredo era e resta assai precario e così, in attesa di un processo che tardava, lui aveva già fatto domanda per lasciare quel luogo sprovvisto di attrezzature terapeutiche adeguate e tornare a Roma.

Si è poi capito perché quel processo non veniva celebrato: è stato annullato. Alfredo ne è uscito indenne ed ora deve terminare di scontare la pena precedente, quella per la quale stava benissimo (si fa per dire) nel carcere romano. Ma è ancora lì, gravemente sofferente e solo nel piccolo carcere abruzzese, dove l’Amministrazione lo ha trasferito, o sfollato. O dimenticato.

Alfredo è persona di una certa cultura. A Roma si era iscritto ai corsi universitari in carcere. Da libero svolgeva un’attività di notevole livello di specializzazione in una importante società e insieme ad altri compagni di detenzione aveva iniziato ad organizzare percorsi di formazione per gli altri detenuti. Sono loro che ce lo hanno segnalato e oggi chiedono di riaverlo tra loro per proseguire nei loro progetti: ci chiedono perché Alfredo debba restare ancora lì, a rischio della sua vita, quali le ragioni di un provvedimento che ha tolto a loro e al loro amico occasioni di essersi utili vicendevolmente.

Il criterio è che la pena debba non solo prevedere che il tempo sia sottratto, ma anche sprecato? Perché il trasferimento non viene revocato?

 

Malasanità o malagiustizia?, di Stefano Anastasia

 

La storia di F. T. merita di essere conosciuta dalle sue parole. "Mentre mi trovo nel carcere di Pavia, nell’ottobre 2004, durante una partita di calcio subisco la rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro. Condotto in ospedale mi vengono fatte delle lastre e sono ingessato. Dopo circa un mese mi viene tolto il gesso. Non riesco a camminare e ho forti dolori.

Dopo un paio di mesi vengo portato c/o il carcere di San Vittore per una visita ortopedica e apprendo di avere i legamenti ancora rotti. Tornato a Pavia parlo con il dirigente sanitario, il quale mi assicura che sarò riportato in ospedale per essere operato, ma nulla accade.

Dopo circa un anno vengo trasferito al carcere di Torino, non per essere operato, ma per fare fisioterapia.

A Torino incontro l’ortopedico, che mi dice che non devo fare fisioterapia, ma devo essere operato, per cui il trasferimento da Pavia a Torino non aveva senso. Ritorno a Pavia e dopo circa due mesi vengo trasferito al carcere di Monza per essere operato. Siamo nel 2006. Arrivato a Monza mi viene detto che trasferirmi è stato un errore, in quanto non sono attrezzati per affrontare un caso come il mio.

Dopo un anno in cui nulla accade, mi decido a iniziare uno sciopero della fame e della sete perché le mie condizioni peggiorano vistosamente. Dopo quindici giorni vengo convocato in infermeria e mi viene detto: "smetti lo sciopero e noi domani ti facciamo le analisi e tra pochi giorni ti operiamo". Vengo operato all’ospedale S. Gerardo di Monza l’11.2.08 e vengo subito trasferito al carcere di Torino per fare della fisioterapia, da iniziarsi 15 giorni dopo l’intervento.

A Torino, dopo pochi giorni dall’operazione, dalla ferita inizia a fuoriuscire del pus e si protrae per circa 50 giorni, periodo in cui di fisioterapia neanche l’ombra. Mi viene detto che c’è qualcosa che non va nell’operazione. Il fisioterapeuta dice che m’hanno portato troppo tardi e che lui può fare poco o niente e che ormai la gamba resterà bloccata.

Cado nel corridoio del carcere a causa del pavimento bagnato sul quale le stampelle non aderiscono. Vengo posto su di un lettino; dopo tre ore arriva uno specialista dall’ospedale "Le Molinette", il quale procede a siringarmi al ginocchio e dal sangue che aspira evince che i legamenti sono nuovamente rotti. Mi ingessano il ginocchio.

Dopo circa un mese vengo ricoverato alle Molinette e dopo un altro mese mi viene fatta una risonanza magnetica che, a detta dei medici, non dà esiti, a causa del gonfiore del ginocchio.

Ritorno al carcere di Torino. Dopo circa due mesi senza che nulla venga fatto, vengo trasferito a Monza. Siamo a ottobre 2008. Da allora a tutt’oggi ho avuto 3-4 visite, tante promesse di operarmi, ma nulla avviene".

Giustizia: il regalo di Natale dell’Amministrazione penitenziaria

 

Lettera alla Redazione, 29 dicembre 2009

 

Il Regalo di Natale dell’Amministrazione Penitenziaria: assunzioni e licenziamenti negli Uffici di Esecuzione Penale (Uepe). A partire dal prossimo Gennaio 2010 presso gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna prenderà l’avvio il Progetto "Mare Aperto" (acronimo di Migliorare le attività di reinserimento degli affidati per trasmettere opportunità) presentato dalla Direzione Generale e finanziato dalla Cassa Ammende.

Sessanta psicologi saranno inseriti sul territorio nazionale presso le sedi degli uffici (per un totale di 2.950 ore) con l’incarico di intervenire, in maniera ampia ed articolata, a favore dei soggetti che accedono alle misure alternative alla detenzione, valutando le loro risorse personali ed ambientali, formulando ipotesi cliniche e psicologiche con particolare riferimento alle aree di fragilità che necessitano di sostegno psico-sociale.

Parallelamente, a metà dicembre 2009, gli psicologi che lavorano da anni presso i vari Uepe si sono visti revocare improvvisamente l’incarico. La comunicazione, notificata verbalmente non è stata accompagnata da alcuna valida motivazione se non quella fornita dai Direttori degli uffici che hanno fatto riferimento ad una disposizione emanata dalla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria.

Che cosa ha determinato l’applicazione di due provvedimenti (assunzioni e licenziamenti!) in contraddizione tra loro ed incompatibili con il buon senso?

È accaduto che il Dap, pressato dalle rivendicazioni dei 39 psicologi vincitori di concorso che, per effetto della Legge n. 311 del 22.12.2004 non è stato più possibile assumere, abbia individuato nel progetto in questione l’ escamotage per tamponare momentaneamente le loro richieste. Come un gioco di scacchi l’Amministrazione Penitenziaria ha spostato e cavalli e cavalieri per far posto ai 39. La prima mossa è stata quella formulare il progetto in questione che, tra l’altro si avvale della collaborazione dell’Università degli Studi di Roma, fornendo così quella cornice di scientificità necessaria per rendere innovativa ed articolata la proposta.

La seconda è stata quella di espellere gli esperti psicologi che da anni prestano la loro collaborazione (alcuni dal 2003) disperdendo, non solo un patrimonio di esperienza, ma anche le buone prassi fino ad oggi sperimentate. La terza è rappresentata dall’inserimento, tout court dei 39 vincitori di concorso nelle sedi dei vari Uepe restate vacanti in seguito alla revoca degli incarichi.

Ma qual è la ratio che giustifica un provvedimento così scellerato? Professionisti di comprovata esperienza e competenza, si trovano ad essere dismessi da un giorno all’altro, nonostante essi abbiano contribuito, nel corso degli anni, con il loro apporto scientifico a far decollare, all’interno degli Uepe, un modello operativo multi professionale ed integrato.

È scandaloso che una Amministrazione Pubblica "getti a mare" psicologi esperti che fino ad oggi ha utilizzato in regime di convenzione libero-professionale. L’obiettivo prioritario di ogni Amministrazione non dovrebbe essere, nell’ottica di una ottimizzazione delle risorse, la stabilizzazione dei precari e non la sostituzione di essi con altro personale precario?!

È demagogico e fuorviante presentare il progetto in questione come un "opportunità lavorativa per 39 psicologi vincitori di concorso" (così come recita il progetto) mentre esso ha come conseguenza diretta la sospensione dall’incarico di un numero altrettanto significativo di psicologi!

Lo scenario che viene a delinearsi è quello di una battaglia di diritti, sia quelli portati avanti legittimamente dai 39 vincitori concorso che aspirano ad un’adeguata collocazione professionale e, sia quelli dei professionisti che, collaborando da anni nelle varie sedi Uepe, reclamano giustamente la conservazione dell’incarico.

È un conflitto che si gioca sul terreno fragile dell’occupazione all’interno della quale l’Amministrazione Penitenziaria ha un ruolo fondamentale in quanto è riuscita, con il suo provvedimento, a mettere gli uni contro gli altri: in tal modo la precarietà si è trasformata, per coloro che si sono visti revocare l’incarico, in una condizione lavorativa da difendere e da tutelare, mentre per i 39 rappresenta oggi un obiettivo verso cui tendere. In entrambi i casi si tratta di diritti negati.

 

Antonella Lettieri (Esperta Psicologa in dismissione presso l’Uepe di Pisa)

Sardegna: medici delle carceri senza stipendio da quattro mesi

di Davide Madeddu

 

L’Unità, 29 dicembre 2009

 

Quattro mesi senza stipendio. Da 120 giorni garantiscono il servizio di assistenza medica e sanitaria ai detenuti senza però percepire compensi. A fare i conti con gli effetti del "sistema burocratico" sono i medici convenzionati delle carceri della Sardegna. Un piccolo esercito di 60 professionisti impegnati a garantire assistenza con le visite specialistiche oppure con le visite di guardia a chi dietro le sbarre deve fare i conti con i problemi di salute. A denunciare il caso è la parlamentare del Pd Amalia Schirru, impegnata da tempo proprio nel settore dei diritti civili e quello penitenziario.

"Il fatto è grave e va avanti da troppo tempo - dice -, qui ci sono sessanta medici, che non percepiscono lo stipendio da 4 mesi, e svolgono un lavoro fondamentale perché vengano garantiti i diritti anche di chi sconta una pena in carcere ". La parlamentare, che anche i giorni scorsi ha incontrato i rappresentanti dei medici aggiunge: "Nonostante questo fatto i medici continuano a garantire il servizio nella speranza che i problemi possano essere risolti e le risorse erogate". A provocare il mancato pagamento degli stipendi, il passaggio delle competenze dal ministero della Giustizia a quello della Salute e quindi alla Regione Sardegna. O meglio l’applicazione del decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 2008 che ha assegnato le competenze del sistema sanitario in carcere al ministero della Salute, anziché a quello della Giustizia, e quindi alle regioni.

 

Le risorse ci sono, le paghe no

 

"Il Decreto del 2008 prevedeva che le competenze fossero in capo alle Regioni - spiega Fabrizio Rossetti, responsabile del settore sanità e carceri per la Funzione pubblica della Cgil nazionale - in Sardegna però il passaggio diretto come nelle altre regioni non può avvenire perché, trattandosi di regione a statuto speciale ha bisogno poi di una legislazione a sé". Un problema che la Sardegna ha poi cercato di risolvere stanziando oltre un milione di euro.

"Le risorse ci sono ma gli stipendi - prosegue Amalia Schirru - non arrivano e i medici continuano a lavorare senza percepire i compensi". Alla preoccupazione dei lavoratori è seguita anche una mobilitazione dei parlamentari sardi. "Le risorse ci sono e sono già disponibili perché l’amministrazione regionale ha già stanziato le risorse - spiega Gianfranco Pala, direttore del carcere Buoncammino di Cagliari, la struttura detentiva più importante e affollata della Sardegna - però, prima che questi soldi possano essere spesi e quindi erogati ai lavoratori è necessario che si completi un percorso burocratico".

Ossia? "I soldi stanziati dalla regione sono stati quindi inviati alla Banca D’Italia che a sua volta deve girarli al ministero della Giustizia che, alla fine, li eroga agli istituti di pena i quali provvedono a pagare i medici e il personale convenzionato". Un giro burocratico amministrativo che gli operatori sperano di poter risolvere nell’arco di poco tempo. "Speriamo che la situazione possa normalizzarsi i primi giorni del nuovo anno - conclude - anche perché gli operatori che garantiscono il servizio nelle 12 carceri della Sardegna sono una sessantina, e si tratta di medici che consentono il funzionamento del sistema sanitario nelle carceri".

Milano: invece di spostare S. Vittore, cambiare cultura carcere

 

Comunicato stampa, 29 dicembre 2009

 

Dichiarazione di Lorenzo Lipparini, Comitato Nazionale di Radicali italiani. Tutti ora sono d’accordo sul trasferimento del Carcere di San Vittore dopo la denuncia del Cardinale Tettamanzi sull’insostenibilità della situazione nell’istituto di pena.

Tutti meno i Radicali, che delle carceri - e di San Vittore - sono frequentatori abituali e che con le frequenti visite ispettive nelle scorse settimane - come negli scorsi anni - hanno cercato di richiamare l’attenzione sulla persistente violazione dei più elementari diritti dei detenuti e sulle difficoltà degli operatori del carcere: sovraffollamento intollerabile, mancanza di riscaldamento, organico sotto dimensionato, strutture fatiscenti, mancanza di fondi.

Di fronte a questa situazione la proposta di un trasferimento, che potrà avvenire soltanto una volta completato un nuovo carcere, appare solo come un palliativo. Si tratta, tra l’altro, di un annuncio vecchio almeno 10 anni, che non dà alcuna garanzia sul superamento, per il futuro, dei problemi di sovraffollamento e di carenza di risorse. L’allontanamento del carcere dal centro di Milano porterebbe invece con sé nuovi problemi di dialogo con il territorio e con i servizi e le associazioni che con il carcere collaborano e sarebbe un’occasione persa per aprire un vero dibattito civico su che cosa rappresenta oggi la realtà carceraria. A San Vittore la maggior parte dei reclusi sono in attesa di giudizio, stranieri, coinvolti in reati di droga, malati e tossicodipendenti spesso incompatibili con la detenzione.

Invece che annunciare futuribili trasferimenti, si affrontino subito interventi di legalità e di emergenza: aprire i raggi già ristrutturati e ancora inutilizzati, affrontare immediati lavori di manutenzione straordinaria, ridurre il sovraffollamento, aumentare il personale, ripensare la cultura punizionista della carcerazione come soluzione per ogni problema della società.

Il mondo carcerario rappresenta sempre di più lo stato delle istituzioni italiane, caratterizzate da illegalità e sfascio. I rari spiragli di attenzione diventino l’occasione per parlare di riforme radicali: da anni, inascoltati, abbiamo presentato proposte sul tema.

Roma: accordo Provincia - Rebibbia per reinserimento detenuti

 

Dire, 29 dicembre 2009

 

Questa mattina a Palazzo Valentini l’assessore provinciale alle Politiche del territorio e alla Tutela dell’ambiente, Michele Civita, ha sottoscritto un accordo quadro con la casa circondariale di Rebibbia, rappresentata dal direttore Carmelo Cantone, per la formazione e l’inserimento lavorativo di personale in regime di detenzione carceraria, attraverso la realizzazione di progetti di acquisizione, elaborazione e gestione di dati territoriali con metodi informatici.

L’accordo, sottoscritto con la casa circondariale di Rebibbia in qualità di partner istituzionale, ha l’obiettivo di favorire la formazione e il reinserimento professionale di dieci detenuti, svolgendo allo stesso tempo un servizio prezioso per il potenziamento del patrimonio informativo della Provincia di Roma gestito dal Sistema Informativo Geografico.

"Questo accordo - ha spiegato Civita - è l’ennesimo atto dell’amministrazione Zingaretti mirato al reinserimento nel mondo del lavoro di gruppi svantaggiati, un’azione concreta che promuove la solidarietà sociale attraverso un servizio utile per tutti i cittadini del nostro territorio".

Tra la Provincia di Roma e la Casa Circondariale di Rebibbia sono stati definiti specifici ambiti di applicazione dell’accordo quadro, grazie al quale Palazzo Valentini affiderà determinati servizi di informatizzazione dei dati territoriali come la realizzazione di banche dati territoriali vettoriali con informazioni alfanumeriche associate, la realizzazione e stampa di ortofotocarte, l’archiviazione in banche dati digitali di informazioni alfanumeriche e raster associate (pratiche amministrative, archivi cartacei).

Pistoia: il Santa Caterina carcere più sovraffollato di Toscana

 

Il Tirreno, 29 dicembre 2009

 

149 detenuti in un carcere che potrebbe ospitarne al massimo 65. La situazione all’interno della casa circondariale di Pistoia è terribile. "Drammatica" per dirla con le parole dell’Associazione Antigone, che la vigilia di Natale ha visitato la struttura di Pistoia. Ne è uscito un quadro inquietante: quello di via dei Macelli è il carcere più sovraffollato di tutta la Toscana. I numeri registrati il 24 dicembre parlano del 230 per cento di detenuti in più rispetto al consentito. "Ci sono celle di 8 metri quadrati in cui vivono in 3 e celloni di 24 metri in cui vivono 9 detenuti", denunciano da Antigone. Stando alla Corte Europea dei diritti dell’uomo quando si scende sotto i 3 metri quadri a detenuto siamo ai livelli del reato di tortura.

A passare da via dei Macelli, davanti alle mura antiche del carcere di Santa Caterina, è impossibile rendersene conto. Ma la situazione all’interno della casa circondariale è terribile. Almeno stando alla denuncia dell’Associazione Antigone, che nella sua attività di osservazione delle carceri italiane, la vigilia di Natale ha visitato la struttura di Pistoia, oltreché quelle di Sollicciano e Prato. E non ha risparmiato le parole per descrivere la situazione: "drammatica". La denuncia parte da un dato certo, cioè da un numero: "Il carcere di Pistoia - si legge nel documento - è il più sovraffollato istituto in tutta la Toscana con una presenza che ha superato il 230 per cento della capienza regolamentare prevista, che è di 65 persone".

Il 24 dicembre, giorno della visita, i presenti erano 149, e solo 52 erano definitivi. "Le pesantissime condizioni di sovraffollamento hanno conseguenze drammatiche - denunciano da Antigone -, basti pensare che nelle celle di 8 metri quadri scarsi, sono detenute 3 persone (c’è un letto a castello a tre posti), mentre nei camerocini da 18 metri sono detenute 6 persone, e nei celloni da 24 metri ci si sta in 9".

Dati che da soli, anche per occhi inesperti, basterebbero a descrivere una situazione ben oltre la normalità, ma che trovano conforto, anzi sconforto, nelle deliberazioni della Corte Europea dei Diritti dell’uomo: "In questo modo viene ampiamente violata la soglia dei 3 metri quadrati per detenuto, soglia al di sotto della quale, per la Corte Europea dei Diritti Umani, si configura automaticamente il reato di tortura", si conclude la denuncia di Antigone.

Se Pistoia piange, il resto della Toscana non ride però. "È ormai insostenibile la situazione nella regione e in tutte le carceri metropolitane ormai il sovraffollamento ha raggiunto livelli record - denunciano dall’associazione -. Ci vogliono misure urgenti, e mentre il governo tace, la gente continua a vivere, e a morire, in condizioni che lo stesso ministro della giustizia ha definito di generalizzata illegalità.

Agli amministratori toscani - si legge nel finale del documento che si trasforma in appello - ricordiamo che nelle sovraffollate carceri della regione un terzo dei detenuti è tossicodipendente. A chi serve tenere tutti queste persone in carcere? Tutti sanno che le misure alternative, soprattutto per i tossicodipendenti, hanno costi, e garantiscono tassi di recidiva, decisamente inferiori rispetto al carcere". Intanto l’11 e il 12 gennaio il Parlamento dedicherà alla questione carceri due intere giornate di lavoro.

Cagliari: in carcere bambino di 16 mesi è "ingiusta detenzione"

 

Ansa, 29 dicembre 2009

 

Natale amaro per un bimbo nigeriano che ha trascorso le festività nella Casa Circondariale di Buoncammino, dove il 25 dicembre è stato anche battezzato insieme alla giovane mamma. Un caso di "ingiusta detenzione senza alcun risarcimento", denuncia la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, che richiama l’attenzione delle istituzioni sulla necessità di garantire ai minori di madri detenute condizioni di vita adeguate alle loro esigenze.

Il piccolo nigeriano ha appena 16 mesi, ma suo malgrado vanta già alcuni record negativi: oltre al Natale, dietro le sbarre 4 mesi fa ha festeggiato ferragosto e il suo primo compleanno. "Il bambino, che ha ottenuto grazie alla sensibilità del giudice di poter frequentare un asilo nido e di trascorrere qualche ora fuori dal carcere, non può - sottolinea Caligaris - continuare a crescere dentro una struttura detentiva. Non è difficile verificare - conclude - che le dichiarazioni di principio del ministro Alfano, con le quali aveva garantito la soluzione del problema dei minori di 3 anni negli istituti di pena, sono rimaste senza seguito".

Milano: un mese in carcere perché assomiglia al vero colpevole

 

Ansa, 29 dicembre 2009

 

È un balordo con precedenti per rapina, ma con il "colpo" a Cornaredo proprio non c’entrava niente. Eppure ha passato circa un mese in carcere per colpa della sua straordinaria somiglianza con il vero rapinatore, aggravata dai precedenti specifici che in passato lo avevano già portato dietro le sbarre. Antonio R. è stato arrestato nel novembre scorso dai carabinieri insieme con Antonino Oddo, perché accusati di aver compiuto, armati di taglierino, una rapina da 18mila euro ai danni della filiale di Cornaredo (Milano) della Banca Popolare di Bergamo. A inchiodare Antonio R. era stato il filmato delle telecamere della banca e il fatto di essere già stato arrestato per una rapina compiuta a Milano in compagnia di Oddo.

Questa volta però, Oddo, davanti al Gip, aveva ammesso le sue responsabilità e, pur senza fare il nome del complice, aveva scagionato completamente Antonio R., confermando così la sua dichiarazione di totale estraneità al fatto. Il Gip ha quindi disposto un supplemento d’indagine che si è concluso ieri con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del "sosia", vero responsabile della rapina a Cornaredo. Si tratta di Domenico Cosmai, un pregiudicato di 40 anni, già detenuto a San Vittore dal 14 luglio scorso, giorno in cui fu arrestato perché trovato in possesso di un chilogrammo di cocaina. Cosmai, residente a Bisceglie (Bari) ma domiciliato a Cesano Boscone (Milano), è "straordinariamente somigliante ad Antonio R.". È stato però riconosciuto sempre nel filmato registrato nel corso della rapina dai carabinieri del Nucleo operativo di Corsico (Milano), che lo conoscono da tempo come "un balordo di medio livello criminale".

Genova: botte tra due detenuti, gli agenti evitano scoppio rissa

 

Secolo XIX, 29 dicembre 2009

 

"Due detenuti, un italiano e un magrebino in cella a Marassi, hanno avuto un violento diverbio e solo grazie al tempestivo intervento degli uomini della Polizia Penitenziaria si è evitato il peggio". È la denuncia del segretario regionale della Uil Pubblica amministrazione penitenziari della Liguria, Fabio Pagani, che riferisce di un episodio avvenuto ieri mattina. Secondo il sindacato, la rissa avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori, perché avrebbe potuto coinvolgere "i restanti 71 detenuti di origine italiana e magrebina". Pagani coglie l’occasione per sottolineare il problema del sovraffollamento: "In molte celle sono stipate otto persone, laddove dovrebbero starcene quattro", precisa.

Il direttore delle carceri, Salvatore Mazzeo, conferma: "Il sovraffollamento è un problema che riguarda tutta l’Italia - dice - È normale poi, che quando gli spazi sono ristretti, le tensioni aumentino. Purtroppo a breve non vedo molte soluzioni". Intanto, anche il Sappe avverte: "In Liguria la percentuale di tossicodipendenti nelle carceri è del 39%, la più alta d’Italia "dice il segretario generale aggiunto, Roberto Martinelli. Secondo i dati riferiti dal Sappe, i tossicodipendenti sarebbero 300 a Marassi e 44 a Pontedecimo.

Piacenza: gli amministratori provinciali fanno visita al carcere

 

www.piacenzasera.it, 29 dicembre 2009

 

Visita ieri, 28 dicembre, del Presidente della Provincia Massimo Trespidi e dell’assessore provinciale al Welfare e alle Politiche sociali Pier Paolo Gallini al carcere delle Novate. Una visita voluta da Massimo Trespidi per verificare di persona la situazione nella casa circondariale e per rivolgere gli auguri di fine anno ai detenuti. Ad accogliere i due amministratori, nell’istituto di pena, c’erano il direttore, Caterina Zurlo, e Brunello Buonocore, l’operatore sociale che su incarico del Comune di Piacenza da anni segue i problemi delle persone in carcere.

Guidati dal direttore e dal comandante di reparto, i due amministratori hanno visitato l’area pedagogica dell’Istituto, l’infermeria, dove operano 24 ore su 24 un medico e personale infermieristico, e alcuni spazi dedicati alle lavorazioni interne. Con il direttore, i due amministratori hanno anche discusso dei problemi che l’istituto si trova ad affrontare, il più pressante dei quali, come è noto, riguarda il sovraffollamento delle celle: il carcere, costruito per meno di trecento detenuti, si trova oggi ad ospitarne più di 400, oltre la metà dei quali stranieri.

Nella visita si è parlato anche dell’attività che Direzione dell’istituto, Brunello Buonocore e gli operatori dell’associazione di volontariato "Oltre il Muro" svolgono da anni per mantenere vivo il rapporto tra società civile e detenuti. Un’attività di sostegno ad ampio raggio, volta ad aiutare i detenuti nelle loro esigenze più elementari, per mantenere i legami con la realtà oltre le mura del carcere, e per soccorrerli nella ricerca di un lavoro, una volta usciti di prigione.

Grazie allo spirito di iniziativa di Brunello Buonocore e dei Volontari che collaborano con lui, ed alla massima disponibilità garantita dal Direttore, restano significative, nonostante i problemi, le iniziative di edificazione culturale e sociale che si continuano a realizzare in istituto. Tra l’altro, il carcere può disporre di una biblioteca relativamente fornita, all’arricchimento della quale tutti i cittadini possono contribuire donando propri volumi, tramite tre librerie cittadine ("Berti", "Tuttolibri" e "Farenheit": le opere preferite sono quelle di narrativa, specie romanzi gialli, e le raccolte di poesie).

Il carcere è una delle poche strutture della regione nella quale è ubicata la sede interna di una cooperativa sociale che offre lavoro ai detenuti. All’interno della casa circondariale è poi possibile frequentare le scuole elementari e medie ed i primi tre anni dell’istituto superiore di agraria. Su iniziativa di "Oltre il Muro", in carcere si produce una rivista, "Sosta forzata", a frequenza quadrimestrale, redatta da detenuti. Tra le iniziative legate a questa pubblicazione, un concorso per opere di narrativa, riservato a detenuti e che quest’anno ha visto concorrere una cinquantina di lavori prodotti da ospiti delle Novate.

Nell’accomiatarsi dalla dottoressa Zurlo e da Brunello Buonocore, Massimo Trespidi e Pier Paolo Gallini hanno ribadito il loro impegno a fare quanto in loro potere per migliorare la situazione in cui versano i detenuti e per promuoverne il recupero sociale.

Reggio Emilia: per Natale il Vescovo fa visita al carcere e Opg

 

La Gazzetta di Reggio, 29 dicembre 2009

 

Come già lo scorso anno, il vescovo Adriano Caprioli e l’ausiliare Lorenzo Ghizzoni hanno concordato con il cappellano dell’Opg (don Daniele Simonazzi) e il cappellano del carcere (don Matteo Mioni), di recarsi insieme nei due istituti in occasione delle festività natalizie.

Celebrando ciascuno dei vescovi una sola Messa, è rimasto più tempo per l’incontro con i carcerati e la visita a coloro che sono ricoverati nelle infermerie. Quest’anno, poi, è stato scelto il giorno di Natale, in cui i vescovi hanno rinunciato alle messe solenni. Ha iniziato l’ausiliare Ghizzoni alle 9 nella cappella dell’Opg, dove gli agenti della polizia penitenziaria con gli ospiti hanno costruito un grande presepe. Il momento più suggestivo quando due ospiti hanno celebrato la cresima.

Calorosa è stata l’accoglienza, un’ora dopo, anche nel carcere al vescovo Caprioli. Grazie alla collaborazione degli agenti della polizia, numerosi detenuti hanno potuto partecipare alla messa nella sala-teatro. Nonostante fosse Natale, era presente un bel gruppo di volontari delle parrocchie della città, che hanno preparato un buon rinfresco.

I canti sono stati animati da una decina di giovani appartenenti all’Ordine francescano secolare del convento dei Cappuccini di Scandiano. All’inizio, ha rivolto un ampio saluto al vescovo a nome di tutti il detenuto Milan Mazic: è partito leggendo il Vangelo della nascita di Gesù a Betlemme, poi ha rimarcato: "Il nostro cappellano don Matteo oltreché a divulgare la parola del Signore e cercare di pacificarci con essa, ci dona anche il suo tempo incontrando e confortando chiunque gli chieda aiuto, non solo quello spirituale.

Poi ci sono le instancabili formiche-amiche del gruppo Caritas che, guidate dalla gioviale signora Graziella (Primoli, vedova del diacono Luciano Forte), oltre a fornire vestiario, ci invitano per due volte al mese in questa sala, per passare un’oretta o due in nostra compagnia". Invitando il Vescovo a tornare in un’occasione non legata al Natale, Milan ha concluso: "Buon Natale a lei, e un buon Natale a tutti, in particolare a quelli che, come le nostre famiglie, soffrono in questa giornata a causa nostra".

Nuoro: a Natale due spettacoli teatrali, in scena per i detenuti

 

La Nuova Sardegna, 29 dicembre 2009

 

La tenerezza innocente che traspariva dagli sguardi dei due attori, impegnati nel mimare un’aria tratta da "La traviata" di Giuseppe Verdi, ha compiuto un piccolo miracolo di Natale. Bastava scrutare i volti gioiosi dei detenuti di Badu ‘e Carros. Gli stessi che, nei giorni scorsi, al termine della rivisitazione de "La signora delle Camelie" ad opera della compagnia sassarese "Up&Down", si sono abbandonati ad una spontanea e commovente "standing ovation".

Uno di quei rari miracoli che nascono da incontri speciali, magari in un posto dove non ti aspetteresti mai che possano accadere. E allora ti scopri a riflettere sull’importanza di parole come speranza, umiltà, inclusione. E ti trovi nella cappella fredda di un carcere che oggi lotta disperatamente per "riprendersi" la sua città. A volte bastano la sensibilità e la lungimiranza di un direttore carcerario come Patrizia Incollu.

Per il resto il terreno è già sorprendentemente fertile: da una parte alcuni ragazzi affetti dalla sindrome di down, che offrono il loro esempio positivo, cimentandosi in un impegnativo spettacolo teatrale; dall’altra i detenuti della sezione "comuni" e dell’alta sicurezza, che, sfatando pregiudizi e luoghi comuni, accettano la sfida. Il significato di quel magico incontro è tutto nelle parole d’incitamento di Claudia Dettori, ispiratissima nelle vesti di Violetta Valery: "Come ce l’abbiamo fatta noi, ce la potete fare anche voi!".

"Questa di Nuoro - spiega Giovanni Mura, che insieme a Sara Colombino è fondatore del progetto "Up&Down" - è la seconda esperienza in un carcere, dopo il felice esordio del 2005 nel penitenziario sassarese di San Sebastiano. Oggi come allora per noi è un momento particolarmente esaltante". La direttrice del carcere nuorese sottolinea come "la lezione di vita che scaturisce dall’esperienza di "Up&Down" è fondamentale per tutti noi, non soltanto per i detenuti".

Patrizia Incollu ha ringraziato la presidente della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, che ha finanziato lo spettacolo di Badu ‘e Carros e le autorità che non sono volute mancare all’evento. Alla fine dello spettacolo i detenuti hanno donato ai ragazzi della compagnia teatrale i colorati "libri-farfalla" con le fiabe scritte da loro, realizzati sotto la guida dell’insegnante Pasquina Ledda.

Messina: manifestazione culturale, nell’Opg di Barcellona P.G.

 

Comunicato stampa, 29 dicembre 2009

 

L’associazione di volontariato penitenziario Cristiani italiani volontari penitenziari (Crivop) mercoledì 30 dicembre alle 16 organizza una manifestazione culturale, sociale e ricreativa dal titolo "L’arpa di Davide", presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me).

L’incontro è dedicato ai detenuti e agli internati dell’ospedale e nasce dal fatto di voler portare momenti di serenità e gioia a quanti sono ricoverati presso la struttura penitenziaria, un po’ come l’episodio biblico dove l’arpa di Davide, portava serenità al Re Saul".

Tra canti cristiani, giochi di gruppo, verranno coinvolti gli ospiti dell’Opg e alla fine dell’incontro, verranno offerti dai volontari della Crivop bibite e dolci fatti in casa. Per informazioni: tel. 366.5086513; e-mail: crivop@libero.it oppure www.crivop.altervista.org.

Milano: i giovani detenuti del Beccaria che recitano l’Antigone

 

La Repubblica, 29 dicembre 2009

 

Per il secondo anno di fila i detenuti nel carcere minorile Beccaria calcheranno le tavole del palcoscenico nel duplice ruolo di attori e tecnici per dare vita alla stagione teatrale "Errare humanum est... Reloaded" al Teatro Puntozero.

L’anteprima della stagione che poi partirà a tutti gli effetti il prossimo febbraio è fino a domani con L’Antigone di Sofocle, uno dei classici del teatro antico. Non a caso la tragedia è una riflessione sul tema della giustizia, sull’osservanza delle leggi fatte dall’uomo che può portare alla violazione delle leggi dell’etica. Scenografie, costumi, trucchi e musiche sono stati realizzati dai carcerati che hanno frequentato i laboratori teatrali che Puntozero ha attivato da oltre 12 anni sia all’interno del Beccaria che nella sede del teatro, in via Bellagio. Un modo per insegnare non solo competenze che potranno tornare buone anche una volta che ai ragazzi sarà restituita la libertà, ma anche a lavorare in gruppo, collaborando con tutti. L’ingresso agli spettacoli è libero, previa prenotazione telefonica. (Teatro Puntozero via Bellagio 1, oggi e domani, ore 20.30. Ingr. libero con prenot. allo 02.36531152).

Libro: "Le Piere", un incontro tra "sciure" e donne in carcere

di Bianca La Placa

 

Affari Italiani, 29 dicembre 2009

 

Filo di perle e cappottino, la Piera va in galera. Ma chi è questa Piera? Una "sciura" compita e perbenino, con la testa piena di "non sta bene, non si fa". È la protagonista del libro di Rosita Ferrato: Le Piere, "Madame" e signorine di Torino (Seneca Edizioni), presentato al carcere Lorusso e Cotugno, ex Vallette, di Torino."Le Piere - spiega l’autrice - sono le classiche signore benpensanti, che vivono rigidamente all’interno di binari prefissati dalle convenzioni sociali".

Ma perché accostare un libro ironico e "leggero" come questo al carcere? Rosita Ferrato, in quanto giornalista sociale, conosce da vicino questa realtà: "Portare un libricino apparentemente frivolo in galera sembra una contraddizione. In realtà penso che un filo invisibile leghi le detenute con le "madame". Credo che i manufatti confezionati nei laboratori del carcere siano spesso destinati a signore eleganti, e che chi li crea ne sia consapevole. Il giorno in cui la pena detentiva finirà, le donne del femminile si troveranno a fare i conti con la realtà esterna, e con delle loro simili, magari più fortunate. Quando si parla di carcere, inoltre, si parla sempre di detenuti maschi, mentre sembra che delle donne ci si sia dimenticati. Questa può essere una buona occasione per ricordarsene".

Il pomeriggio in carcere diventa così occasione per riflettere sulla vita delle detenute. Il direttore del carcere Pietro Buffa, che ha scritto l’introduzione della seconda edizione del libro, sottolinea l’importanza di appuntamenti come questo, capaci di portare l’attenzione sul carcere. "La condizione femminile in prigione è peggiore di quella maschile - spiega infatti - A Torino, a fronte di circa 1600 reclusi, le detenute sono poco più di un centinaio, e sono più sole. È raro che le detenute ricevano visite dall’esterno di mariti, conviventi, fidanzati, mentre generalmente gli uomini hanno sempre una donna che arriva a colloquio, non fosse altro che per il cambio della biancheria. Qualunque mezzo che metta in evidenza la questione è meritevole di attenzione".

La "leggerezza" delle Piere serve allora, inaspettatamente, per dare voce a tante altre donne, sicuramente poco piere, poco madame, ma legate ad altre frivolezze, come quelle che confezionano nei tre laboratori di artigianato della sezione femminile. Dal 1999 il laboratorio Arione, il Papili e l’associazione La casa di Pinocchio creano monili, borse, giocattoli e accessori con il duplice intento di offrire occasioni di occupazione e attività che contrastino il senso di abbandono della vita carceraria. Si innesta così un circolo virtuoso che avvicina mondi diversi che mai si potrebbero incontrare altrimenti. Le carcerate che creano oggetti per le "sciure", avendo così l’occasione di relazionarsi - anche se indirettamente - con la vita "normale" e le piere che li acquistano, inconsapevolmente, sostengono progetti di vita tutt’altro che frivoli.

"Fa effetto vedere le donne dei laboratori, concentrate e silenziose, che cuciono oggettini allegri come gnomi e ciabattine - aggiunge la Ferrato -. Credo che riflettano su quello che stanno facendo. Mentre la "piera" che riceve in dono quelle stesse ciabattine pensa solo che siano chic e apprezza l’aspetto glamour dell’oggetto che le viene proposto". E tra donne, di fronte a monili e vestiti, un po’ di complicità sboccia sempre. Una percentuale dei diritti d’autore sono destinati al Reparto femminile della Casa circondariale di Torino.

Cina: condanna per traffico droga, giustiziato cittadino inglese

 

Apcom, 29 dicembre 2009

 

La Cina ha giustiziato il cittadino britannico Akmal Shaikh, condannato a morte per traffico di droga. L’esecuzione del cittadino britannico Akmal Shaikh, condannato a morte per traffico di droga, è avvenuta questa mattina a Urumqi, nella Cina occidentale, secondo un comunicato del Foreign Office, il ministero degli esteri britannico. Le autorità giudiziarie cinesi hanno respinto gli appelli che avrebbero potuto impedire l’esecuzione dell’uomo di 53 anni condannato a morte. I suoi parenti hanno potuto rendergli visita in carcere e hanno supplicato le autorità cinesi di risparmiarlo, sostenendo che era mentalmente deficiente e che era stato ingannato.

"Io credo che abbiamo fatto tutto quel che era possibile" ha dichiarato Ivan Lewis, ministro del Foreign Office, dopo aver incontrato l’ambasciatore della Cina a Londra ieri sera. Secondo l’agenzia ufficiale Xinhua, la Corte suprema aveva approvato la sentenza, da eseguire alle 3.30 (ora italiana) di questa mattina. Akmal Shaikh è il primo cittadino di un paese europeo giustiziato in Cina da mezzo secolo. La sua famiglia aveva sostenuto che soffriva di una malattia mentale. I suoi cugini, Soohail Shaikh e Nasir Shaikh, hanno potuto visitare il prigioniero ieri mattina, suo unico contatto diretto con la sua famiglia dal suo arresto di due anni fa. Il detenuto non era al corrente che stava per essere giustiziato prima di esserne informato dai cugini.

"Era evidentemente molto turbato nell’apprendere dalla nostra bocca la sentenza che è stata decisa" ha sottolineato Soohail Shaikh. I cugini si sono visti riconsegnare la valigia contenente gli effetti personali del condannato. Il primo ministro britannico Gordon Brown aveva lanciato un appello al suo omologo cinese Wen Jiabao in suo favore, già respinto da Pechino. I ricorsi dell’ultimo minuto non sono quasi mai accordati in Cina, che procede ogni anno a un numero di esecuzioni capitali superiore all’insieme degli altri paesi che applicano la pena di morte.

Il cittadino britannico, di origine pachistana, era stato condannato alla pena capitale al termine di un processo durato 30 minuti nell’ottobre 2008. Era accusato di aver trasportato una valigia contenente circa quattro chilogrammi di eroina a Urumqi nel 2007. Era stato arrestato in un aereo partito dal Tagikistan. La sua famiglia pensa che questo piccolo commerciante londinese sia stato raggirato e attirato in Cina da due uomini incontrati in Polonia che gli avevano promesso di lanciarlo nella carriera pop. Il primo ministro britannico Gordon Brown ha denunciato nei termini più duri l’esecuzione del cittadino britannico, dicendosi costernato e deluso perché gli appelli insistenti alla clemenza non siano stati ascoltati, specialmente nel caso di una persona che non dispone di tutte le sue capacità mentali.

 

 

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