Rassegna stampa 24 dicembre

 

Giustizia: la lezione di Aldo Moro; "ora so cos’è la detenzione"

di Adriano Sofri

 

La Repubblica, 24 dicembre 2009

 

Sarebbe un buon segno se la sentenza di Perugia, dettata com’è da una convinzione di colpevolezza, testimoniasse di una renitenza di fatto alla pena dell’ergastolo. Quanto al diritto, probabilmente non siamo mai stati lontani come oggi dal ripudio della pena perpetua.

A misurare la distanza che ci separa dai famigerati anni 70 può valere drammaticamente la rievocazione di una lezione accademica del 1976. Il professore era Aldo Moro. Quando, tanti anni fa, scrissi un libro su Moro, non potevo conoscere le Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale tenute nel 1976 nella facoltà romana di scienze politiche, raccolte da Francesco Tritto ed edite da Cacucci nel 2005.

(Se ne tratta ora in Contro l’ergastolo, a cura di S. Anastasia e F. Corleone, ed. Ediesse). Ne avrei fatto gran conto a proposito del rapporto fra Moro e il carcere, alla luce dei 55 giorni di "prigione del popolo". Al buio di quei 55 giorni. Ero stato colpito un inciso in una lettera indirizzata a Cossiga: "Io comincio a capire che cos’è la detenzione".

Moro lo insinua in un brano sulla possibilità di uno scambio fra l’ostaggio inerme che lui è ora e qualche detenuto delle Brigate Rosse "Nella mia più sincera valutazione, e a prescindere dal mio caso, anche se doloroso, sono convinto che oggi esiste un interesse politico obiettivo... per praticare questa strada".

A prescindere dal mio caso, dice. Anche rivolgendosi a chi è stato finora suo amico o seguace, deve adesso sorvegliarsi, non tradirsi: non chiamare in causa la propria sofferenza (solo la concessione pudica dell’accenno, "anche se doloroso"). C’è un intero mondo, fuori dalla sua segreta, pronto a espropriarlo delle sue parole e a leggervi la prova del suo cedimento. Vorrebbe dire l’offesa della propria condizione, ma deve reprimersi: censurarsi per non essere censurato dai suoi carcerieri di dentro, e interdetto da amici di fuori.

In questo sforzo di distanza scivola quella frase incidentale, io comincio a capire che cos’è la detenzione. Eppure Moro aveva una fitta esperienza di carceri. In una biografia del 1969 si leggeva che "Come guardasigilli nel 1955-57... a che cosa dedica la sua maggior attenzione? Sorpresa. Alle carceri e ai carcerati, cui fa lunghe, lunghissime visite...

Le sue esplorazioni in questo sottofondo della vita sociale italiana sono continue e minuziose. Vien voglia di chiedere a uno psicanalista quali potrebbero essere le motivazioni segrete della curiosa p r o pensione per le galere e i galeotti che ha l ‘uomo cui, non dimentichiamolo, piacciono tanto le cravatte e i loro nodi".

Più di vent’anni dopo, l’ex ministro della giustizia, minuzioso ispettore di carcerati, si trova sanguinosamente imprigionato, e scrive: "Io comincio a capire che cos’è la detenzione". In un’altra lettera, una delle più ondeggianti e demoralizzate, Moro arriverà ad auspicare per sé la stessa prigionia che subiscono i detenuti brigatisti.

"Ritengo invocare la umanitaria comprensione... per una legge straordinaria del Parlamento, la quale mi conferisca lo status di detenuto in condizioni del tutto analoghe, anche come modalità di vita a quelle proprie dei prigionieri politici delle Brigate Rosse...". Un’invidia, un auspicio dell’ora d’aria, di "una prigione comune, per quanto severa"! "In una prigione comune, per quanto severa, io avrei delle migliori possibilità ambientali, qualche informazione ed istruzione, assistenza farmaceutica e medica ed un contatto, almeno saltuario, con la famiglia".

In quelle lezioni sulla funzione della pena, tenute solo due anni prima, Moro insiste sull’ancoraggio della pena all’idea della persona dotata della libertà di scegliere e di essere responsabile. Moro parla del proprio tempo- siamo nel 1976- come di "un’epoca in movimento verso grandi attuazioni di giustizia e di civiltà umana, un’epoca nella quale l’uomo è chiamato a dare prova di sé con le sue scelte coraggiose nel senso della giustizia, della libertà e della dignità umana". Anche il reato, dice, è un atto di libertà, benché sia l’atto di libertà che conduce a una scelta negativa. Dunque la pena dev’essere personale, e legale - non dettata dall’arbitrio di chi giudica, ma dall’universalità della legge - e proporzionata.

E la Costituzione stabilisce che la pena non possa mai consistere in trattamenti crudeli e disumani. "Vuol dire - spiega - trattamenti, vuol dire interventi, vuol dire atti di incidenza del potere pubblico sulla persona, che vadano al di là della necessità di limitare la libertà umana". La pena "è privazione della libertà, ma è soltanto privazione della libertà, non più di questo: è soltanto privazione della libertà".

Di qui l’inaccettabilità della pena di morte: "Come si potrebbe ricondurre la pena capitale nell’ambito di interventi che non siano crudeli e disumani...? Capisco bene- aggiunge Moro,e viene in mente il vecchio e sconvolto Ugo La Malfa che nel giorno del suo rapimento si alzerà alla Camera a rivendicare la pena di morte per gli attentatori - che vi possono essere dei momenti di accesa passione popolare di fronte ad alcuni fatti gravissimi... Ma il potere pubblico deve essere ben controllato, per non farsi condurre ad immaginare che la pena sia considerata come una vendetta...

Questo dell’assassinio legale è una vergogna inimmaginabile in un regime di democrazia sociale e politica...". Meno aspettato è il capitolo che segue nella lezione di Moro, dedicato alla "pena dell’ergastolo". "Un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato... anche nei confronti della pena perpetua: l’ergastolo, che, priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto lo sia la pena di morte".

Interrompiamo la citazione per osservare che questa convinzione, della disumanità dell’ergastolo come della pena capitale contrasta radicalmente con le forme di ripudio della pena di morte che vogliono compensarlo con l’inflessibilità della reclusione a vita -argomento prevalente negli Stati Uniti. Continua il professor Moro: "Ed è, appunto, in corso nel nostro ordinamento una riforma che tende a sostituire a questo fatto agghiacciante della pena perpetua - ("non finirà mai, finirà con la tua vita questa pena!") - una lunga detenzione, se volete, una lunghissima detenzione, ma che non abbia le caratteristiche della pena perpetua che conduce ad identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà. Questo, capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano".

Qualunque cambiamento nella vita di una persona, compreso il pentimento vero - "com’è pur possibile" - prosegue Moro, è irrilevante se la pena esaurisce la vita di quella persona. "Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggetto e lo libera, perlomeno, con il sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, caratteristica della pena perpetua. Quando si dice pena perpetua si dice una cosa... umanamente non accettabile".

Sarete impressionati dal Moro che enuncia questi concetti. Perfino eccessivi, in un certo senso, in questo finale argomentare - "forse" - la crudeltà maggiore dell’ergastolo rispetto alla pena di morte: convinzione non di rado pronunciata da ergastolani e simbolicamente impressionante. Purché non si dimentichino le obiezioni dai suoi due versanti. Che se si chieda ai condannati a morte di scegliere fra l’esecuzione e la pena perpetua, sarà una minoranza a scegliere l’esecuzione. E che agli ergastolani che preferiscano la morte a quella loro vita dovrà restare pur sempre la scelta di togliersela, la vita.

Ciascuno può misurare quanta strada sia stata fatta da allora, da quel 1976, a oggi, fine di decennio del nuovo millennio: all’indietro. Non allegherò commenti di troppo facile effetto sulla contraddizione fra la lezione di Moro e il modo della sua privata esecuzione. Finirò con le righe conclusive della lezione: "Allora ci vediamo per la lezione di venerdì. Bisogna che mi diate i nomi perché ho dimenticato il libretto sul quale, poi, registrerò le presenze".

Giustizia: Natale anche in carcere, ma ai detenuti cambia poco

di Gabriele Morelli

 

www.viaemilianet.it, 24 dicembre 2009

 

Ma forse i detenuti non se ne accorgeranno. Saranno troppo stretti nelle loro celle, piene per colpa del sovraffollamento. O troppo impegnati a non diventare l’ennesimo caso di morte "per cause da accertare". Ecco l’annus horribilis delle prigioni italiane, raccontato da viaEmilianet.

L’ultimo allarme è stato lanciato proprio oggi da Antigone, che da anni si batte per il rispetto dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. "Nelle carceri italiane - denuncia l’associazione - il sovraffollamento è intollerabile". Nella Casa circondariale la Dozza di Bologna, i detenuti presenti sono al momento 1177, a fronte di una capienza regolamentare di 483 posti letto. Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, una struttura nata per ospitare 120 persone, ci sono invece 295 internati.

Il tasso di sovraffollamento che si registra nei due istituti è sostanzialmente lo stesso - 243% nel primo caso e 245% nel secondo - e descrive il problema in tutta la sua gravità. Siamo ormai di fronte ad una vera e propria emergenza, che interessa tutta l’Italia e l’Emilia-Romagna in particolare. Come ci ha ha confermato Desi Bruno, garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Bologna.

È notizia di ieri, invece, la morte di Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente e gravemente ammalato. Venerdì scorso si è tolto la vita, impiccandosi nella sua cella nel carcere di Salerno. Con la sua morte, i reclusi che si sono uccisi negli istituti penitenziari italiani nel corso del 2009 sono diventati 69. "Viene così eguagliato il triste record del 2001.

Il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica", ricorda l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. E se si tiene conto anche di tutti quei decessi avvenuti in circostanze da accertare, andiamo oltre i 150 casi in un anno. Un cifra talmente alta da poter essere considerata "la prova che in Italia la pena di morte non è stata abolita": così si era espressa Rita Bernardini, una deputata radicale eletta nelle file del Partito democratico.

"Per cause da accertare", la dicitura che appare sempre più spesso nei referti con cui si archiviano - o perlomeno si cercano di archiviare - le sempre più numerose morti scomode che avvengono nelle carceri italiane. Nei mesi scorsi il caso più eclatante è stato quello di Stefano Cucchi, il trentunenne trovato in possesso di venti grammi di marijuana in un parco romano e deceduto pochi giorni dopo il suo arresto con il corpo martoriato dai segni di un’evidente violenza. La sua famiglia ha avuto il coraggio di far circolare le foto-shock del suo cadavere, in modo da far capire a tutti quanto fosse assurdo non essere riusciti ad accertare le cause di questo decesso. Ma alla fine cosa si può pretendere dalla giustizia di un Paese ancora oggi privo di una legge che chiami con il suo nome gli abusi su un detenuto? D’altra parte, come abbiamo avuto modo di analizzare, questo non è certo il primo episodio che risente del fatto che in Italia la tortura non è reato.

Qualche anno prima di Stefano Cucchi, per esempio, è morto in circostanze analoghe Federico Aldrovandi. Lo scorso luglio sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi per eccesso colposo in omicidio i 4 agenti che il diciottenne ferrarese ha avuto la sfortuna di incontrare una mattina all’alba, al ritorno da una serata trascorsa a Bologna con gli amici. Si tratta di una pena esemplare, che può servire da precedente per i processi che d’ora in avanti vedranno coinvolte le forze dell’ordine. Ma che non cancella l’ingiustizia di questa morte, avvenuta mentre il ragazzo era sotto la custodia di pubblici ufficiali, che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini e non mettere fine alla loro vita. E a raccontarci che quando si è nelle mani dello Stato non si può e non si deve morire è stata proprio Patrizia Aldrovandi, la mamma di Federico.

Tutte queste sono testimonianze che noi di viaEmilianet siamo riusciti a raccogliere nel corso del 2009. Oggi abbiamo deciso di riproporle in un unico pezzo, perché magari, in questi giorni di festa, diventa più facile riflettere sul mondo carcerario. Quello che ormai è diventato una sorta di pianeta parallelo, che appartiene ad una dimensione diversa dalla nostra ed è governato da regole che sono solo sue. Un universo in cui capita anche che un capo delle guardie, a Teramo, esorti i suoi secondini a pestare i prigionieri nelle celle del seminterrato, al riparo dallo sguardo di un altro detenuto - detto "il negro" - che di lì a pochi giorni morirà, dopo aver atteso per oltre 5 ore il trasporto in ospedale. Ma dove, proprio come da noi, tra poche ore è Natale.

Giustizia: Marroni; carceri invivibili, usiamo misure alternative

 

Agi, 24 dicembre 2009

 

Il ricorso a misure alternative al carcere in caso di reati minori "è la strada giusta". Lo afferma il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, in un’intervista a CNRmedia. "Abbiamo superato il 2001, che fu l’anno con più suicidi. Il carcere è diventato invivibile - rileva il Garante - l’affollamento toglie spazio a qualunque politica di socialità, alla possibilità di avere rapporti con i familiari, che spesso sono lontani, in altre zone d’Italia.

C’è una carenza di affetti, di vivibilità, di prospettive e di speranza, che spesso porta al suicidio". Certo, aggiunge Marroni, "occorre una modifica al codice penale e di procedura penale. Bisogna, per esempio, che i tossicodipendenti, se hanno commesso reati minori, non stiano in carcere, ma siano affidati a comunità di recupero per uscire dalla droga. E magari - sottolinea il Garante - serve un clima politico diverso, perché si pensa di rispondere con il carcere, forse demagogicamente, alla domanda di sicurezza dei cittadini, peraltro non suffragata dall’entità dei crimini nel nostro Paese. Invece il carcere non risolve niente - conclude Marroni - anzi, aggrava i problemi".

 

In 12 mesi 173 detenuti morti nelle carceri italiane

 

"Con i due suicidi registrati ieri a Vicenza e oggi a Roma i detenuti che si sono tolti la vita nel 2009 nelle carceri italiane sono 71, cifra che supera la precedente soglia massima di 69, fatta registrare nel 2001". Lo afferma in una nota il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Dopo quello di un uomo di 65 anni ieri a Vicenza oggi a Roma, nel carcere di Rebibbia Penale, a togliersi la vita è stato infatti un collaboratore di giustizia, Ciro Giovanni Spirito. Secondo i dati diffusi da Ristretti Orizzonti il totale dei detenuti morti nelle carceri di tutta Italia nel 2009 sale a 173.

"Fra suicidi e morti sospette è stato davvero un anno terribile per il pianeta carcere - dice Marroni - Nel caso di oggi della morte di Spirito c`è da dire che i collaboratori di giustizia sono spesso in celle singole e, almeno in questo caso, non ci sono dubbi sulla natura di questo decesso. Sarebbe, invece, più utile chiedersi quali sono le motivazioni che spingono un collaboratore di giustizia a togliersi la vita visto che si tratta di reclusi particolarmente condizionati dalla loro vita pregressa e dalle loro scelte".

"In generale, gli episodi di questi ultimi giorni confermano che il carcere è sempre più un luogo di morte dove la disperazione, che deriva da molti fattori non ultimo l`invivibilità e il sovraffollamento, aumenta di giorno in giorno. Tutto ciò - conclude Marroni - fa si che, almeno nei detenuti più fragili, la possibilità di porre fine ad una vita in apparenza senza più speranze è la via che appare la migliore da percorrere".

Lombardia: Antigone; quasi 9mila detenuti in 5.500 posti letto

 

Associazione Antigone, 24 dicembre 2009

 

Il circuito penitenziario lombardo chiude il 2009 con un numero di detenuti giunto ormai al crinale delle 9.000 unità: 8.913 al 10 dicembre 2009 (erano 8.100 alla fine di gennaio 2009), su 5.540 posti regolamentari e 8.557 "tollerabili". In termini percentuali siamo quindi al 161% dei posti regolamentari e al 104% dei tollerabili).

A fronte di questa popolazione carcerizzata, il numero degli agenti di polizia penitenziaria previsto è di 5.353 unità, mentre gli effettivamente presenti (fonte sindacale) sono 4.127 (77% del totale, con un rapporto agenti presenti/detenuti = 0,46).

L’ultima visita dell’Osservatorio in Lombardia è stata effettuata, il 21 dicembre, alla CC di Mantova, una struttura tra le più antiche e obsolete della regione, con una "intollerabile situazione di sovraffollamento" tale da indurre di recente il Procuratore capo dr Antonino Condorelli (sua la valutazione di "intollerabilità") e il sostituto procuratore dr Marco Martani (La Gazzetta di Mantova", 23 novembre 2009), a limitare le traduzioni in carcere delle persone arrestate da sottoporre al rito direttissimo.

I problemi di questo Istituto sono in qualche modo anticipati già al muro di cinta: ricoperto di pannelli in eternit, l’Asl ha ingiunto infatti, per i noti motivi (amianto), la rimozione della copertura.

All’interno la carenza di spazi è drammatica. L’Istituto ha capienza regolamentare di 119 posti e una capienza tollerabile di 180 posti. Al 21 dicembre 2009 i detenuti presenti sono 210 (di cui 11 donne). Il sovraffollamento è quindi al 176,5% della capienza regolamentare e al 116,6% della capienza tollerabile.

I detenuti in attesa di primo giudizio sono il 31%; i detenuti stranieri il 53%, ma è rappresentato da stranieri il 70% dei 29 "giovani adulti" (infra 25enni): un dato, quest’ultimo, omogeneo ad altri Istituti lombardi visitati quest’anno.

Nei reparti detentivi le celle originariamente previste per una persona ne ospitano 3; le celle di dimensioni maggiori (circa 50 mq) sono attualmente destinate anche a 12 detenuti, sistemati in 4 blocchi di letti a castello a 3 livelli (segnalate dai detenuti alcune rovinose cadute). Pareti scrostate e non tinteggiate da molti anni, condizioni di luce insufficienti (specie al piano terra), wc alla turca in un minimo box "isolato" da sottili pannelli e fruito anche da 12 persone: forte il senso di ambiente cupo e insalubre.

Per i detenuti comuni due docce (da 3 box), una al piano terra e una al primo piano, devono smaltire un carico di circa 160 persone: il doppio delle potenzialità dell’impianto che d’inverno riesce a erogare acqua calda soltanto per i primi che ne fanno uso.

Risicati e compressi tutti gli spazi dell’Istituto, dall’infermeria a quelli previsti per le attività trattamentali, la formazione, la socialità, le attività sportive: non pochi i progetti cui gli operatori devono rinunciare per questa ormai insuperabile mancanza di spazi, essendo stato sfruttato ogni metro quadrato disponibile.

Alla mancanza di spazi si aggiunge, deteriorando ulteriormente la qualità della vita ristretta, l’assoluta insufficienza delle forniture di detergenti per la pulizia dei locali, di carta igienica (distribuita in quantità irrisoria) ecc.: contro questo stato di cose (effetto dei drastici tagli di bilancio) i detenuti hanno protestato con una energica battitura.

Si tratta evidentemente di problemi che il carcere di Mantova condivide con tutti gli altri Istituti penali: colpisce, però, ed è uno dei motivi per cui si è scelto questo Istituto per la visita finale, lo stridente contrasto fra le condizioni di questo carcere sovraccarico di anni e di umanità ristretta, e la città che lo ospita, peraltro in una zona centrale. Come da notizie del 20.12.2009, nella graduatoria stilata da Italia Oggi, Mantova è la provincia italiana in cui si vive meglio. Condizione invidiabile, ma che non sembra produrre effetti significativi sul carcere cittadino che continua a segnalare con la massima evidenza la radicale alterità dello spazio di detenzione sociale in cui si svolge l’esecuzione penale.

Mantova, inoltre, richiama un altro aspetto di vicende carcerarie contrassegnate non soltanto da carceri d’oro, ma anche da carceri fantasma.

Nel circuito penitenziario lombardo, il genere carcerario "fantasma" presenta una duplice tipologia a) il tipo Varese (CC visitata alcune settimane fa), carcere fantasma nelle cui sovrappopolate e arcaiche strutture è ristretta la vita di una popolazione detenuta giunta al 260% della capienza regolamentare e 139,4% di quella tollerabile; b) il tipo Revere, carcere fantasma in totale abbandono, mai giunto ad ospitare un solo detenuto.

Nel D.M. 30 gennaio 2001, in attuazione del comma 34 dell’art. 145 della legge finanziaria 2001, leggiamo che la casa circondariale di Varese e altri 20 istituti penitenziari sono stati "dismessi" in quanto "strutturalmente non idonei alla funzione". Ancora nel 2005 il ministro pro tempore della Giustizia, Castelli, ebbe ripetutamente a promettere la costruzione del nuovo carcere di Varese in tempi miracolosamente rapidi, grazie alla finanza creativa carceraria e alla formula del leasing. Ad oggi non pare essere stato individuato nemmeno il sito del nuovo carcere, e il vecchio, ancorché ufficialmente "dismesso", continua a macinare sovraffollamento e spazi invivibili (anche per gli operatori, ovviamente).

Per il secondo tipo di carcere fantasma, un’interrogazione dei senatori Poretti e Perduca al ministro della giustizia, del 20 maggio 2009, ricorda che a Revere, a una trentina di Km da Mantova, è stata iniziata 17 anni fa la costruzione di una struttura carceraria per 90 detenuti, i cui lavori (costati 5 miliardi di lire) sono fermi dal 2000. Intanto i locali, in condizioni di totale abbandono, sono stati largamente saccheggiati.

Sugli eventi critici del 2009 nelle carceri lombarde, sarà quanto prima possibile un bilancio definitivo. Intanto, sono da ricordare quanto meno due casi tragicamente emblematici di questo anno orribile: il suicidio di Luca Campanale a San Vittore e lo sciopero della fame di Sami Mbarka portato all’esito estremo nel carcere di Pavia.

Luca Campanale, tossicodipendente, 28 anni, si è impiccato nel bagno della sua cella a San Vittore alle 0.30 del 12 Agosto 2009. Dall’età di 17 anni, in conseguenza di un incidente stradale, Luca soffriva di gravi problemi psichici alla base di due precedenti tentativi di suicidio. Assuntore saltuario di cocaina e alcolici, aveva avuto alcuni trattamenti sanitari obbligatori e numerosi ricoveri in comunità di recupero per tossicodipendenti. Malgrado le gravi condizioni di salute mentale, Luca Campanale ha chiuso la sua vita in un carcere, in uno spazio contenitivo che a oltre trent’anni dalla legge 180, sta acquisendo un sempre più accentuato profilo di reistituzionalizzazione psichiatrica.

Sami Ben Garci Mbarka, 42enne tunisino immigrato a Milano, detenuto nel carcere di Pavia, è morto il 5 settembre nell’ospedale San Matteo di Pavia dove era stato ricoverato tre giorni prima in condizioni di salute estreme, dopo cinquantuno giorni di sciopero della fame. Mbarka, stava finendo di scontare una pena per droga quando è giunta la sentenza di condanna in appello a otto anni e sei mesi per violenza sessuale, sequestro di persona e violenza privata, a danno della sua ex compagna marocchina già in attesa di un figlio concepito proprio con Mbarka. Al di là del profilo tecnico-giuridico del caso di cui la magistratura si sta occupando, vale la pena sottolineare l’inadeguatezza del carcere (e in generale del nostro sistema di giustizia) ad affrontare nodi culturali ed etici di tanta tragica complessità. Non isolata inadeguatezza, peraltro: neanche gli studiosi di diritto, bioetica, sociologia delle migrazioni, antropologia culturale, multiculturalismo ecc, parrebbero aver trovato particolari motivi di interesse per questo caso che pone interrogativi cruciali su una molteplicità di registri, non ultimo quello della violenza in famiglia di cui l’Istat ci ha dato le impietose coordinate statistiche.

Roma: il detenuto suicida a Rebibbia, era del clan Mazzarella

 

Ansa, 24 dicembre 2009

 

Ciro Giovanni Spirito, 35 anni, il collaboratore di giustizia suicidatosi oggi nel carcere romano di Rebibbia, era detenuto in quanto ritenuto un killer del clan camorristico dei Mazzarella. L’uomo è stato trovato impiccato all’alba di oggi, con la cintura dell’accappatoio allo stipite di un armadietto. Sul posto è arrivato il magistrato di turno Andrea Mosca, che ha avviato accertamenti per stabilire le cause del suicidio.

Spirito, a quanto si è appreso, non ha lasciato messaggi per spiegare il gesto. Domani il magistrato affiderà l’autopsia ad un medico legale. Spirito, insieme con il boss Vincenzo Mazzarella, di 53 anni, fu arrestato nel 1999 a Nizza dalla Squadra Mobile di Napoli in collaborazione con agenti di polizia francesi. I due furono sorpresi in un lussuoso residence dell’hotel Siracuse a Villeneve Luobet. Mazzarella e Spirito finirono in manette con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico.

A Spirito, in particolare, si contestava anche l’omicidio di Egidio Cutarelli, avvenuto il 16 febbraio 1998, davanti al carcere di Poggioreale a Napoli. Il delitto avvenne nell’ambito dello scontro tra gli esponenti del clan Mazzarella e quelli della Alleanza di Secondigliano. Nella sparatoria morì anche il padre di Vincenzo Mazzarella, Francesco. L’agguato era stato organizzato dai killer dell’Alleanza di Secondigliano contro Vincenzo Mazzarella che quel giorno doveva essere scarcerato.

Imperia: detenuto 24enne tenta il suicidio, salvato dagli agenti

 

Agi, 24 dicembre 2009

 

Ha tentato di suicidarsi Paolo Arrigo, il ventiquattrenne commerciante imperiese rinchiuso in carcere perché indagato assieme alla sua ex compagna, Elizabete Petersone, di omicidio preterintenzionale del figlioletto della donna, Gabriel. A riferire il fatto, avvenuto qualche giorno fa ma reso noto solo oggi, è il sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, che sottolinea che Arrigo è stato salvato grazie al tempestivo intervento degli agenti penitenziari.

Ad Imperia, rileva Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del sindacato, "la capienza regolamentare del carcere è di 78 posti ed i detenuti presenti, al 30 novembre scorso, erano ben 117 (ben il 67% gli stranieri). Grave è anche la carenza di Polizia Penitenziaria: mancano infatti ben 22 unità tra Agenti, Sovrintendenti ed Ispettori agli organici previsti".

Cosenza: detenuto non può vedere il nipote nato dopo arresto

 

Agi, 24 dicembre 2009

 

Da quando è in carcere, aprile 2009, non è mai riuscito a vedere il proprio nipote, nato un mese dopo il suo arresto. Per questo, dopo l’ennesimo diniego di un permesso, un uomo di Cosenza, Bruno Crivello, 53 anni, detenuto nel carcere romano di Regina Coeli, ha annunciato attraverso i suoi legali un reclamo al tribunale di Sorveglianza per ottenere il permesso e consegnare il dono che il nonno aveva preparato per il Natale. La vicenda è seguita dagli avvocati Anna Orecchioni e Giacinto Canzona, che ora sperano in una decisione favorevole dei giudici, anche se in ritardo rispetto alle festività natalizie. L’uomo è detenuto per l’omicidio dell’amante della sua compagna.

Udine: Debora Serracchiani (Pd) in visita a Casa Circondariale

 

Agi, 24 dicembre 2009

 

"Un clima di grande collaborazione creato dal direttore e dagli operatori con i detenuti, importante per far fronte a tante difficoltà". È quello che ha rilevato l’europarlamentare Debora Serracchiani ieri in visita, con il consigliere regionale Paolo Menis, al carcere di via Spalato a Udine.

I due esponenti del Partito democratico hanno incontrato il direttore, Francesco Macrì, che da 27 anni guida l’istituto di pena udinese, in cui sono ospitati attualmente 229 detenuti, dei quali 59 in attesa di giudizio e circa la metà stranieri. La soglia massima di tollerabilità è di circa 150. Nel corso del colloquio, durato quasi un’ora, hanno fatto il punto sulla condizione generale delle carceri della regione che, oltre ad Udine, comprendono anche le strutture di Tolmezzo, Pordenone, Gorizia e Trieste.

"Realtà molto diverse tra loro - ha sottolineato Macrì - ma accomunate da due grandi problemi, quello del sovraffollamento e della grave carenza di personale". La visita ha toccato i locali interni, le celle e gli spazi comuni, fino all’attigua caserma in cui operano oltre un centinaio di agenti. Gli stessi agenti e i volontari che lavorano nella struttura hanno spiegato a Serracchiani e Menis lo sforzo in atto per "coinvolgere i reclusi in attività didattiche e di avviamento professionale", sottolineando l’obiettivo di "rieducare e mantenere un clima di tranquillità e di convivenza accettabile".

Illustrate anche le diverse collaborazioni con il Comune, con cui sono state attivate borse di lavoro, e con diverse associazioni culturali del territorio. Al termine, Serracchiani ha espresso "preoccupazione sia per il sovraffollamento, che difficilmente verrà risolto da un ‘piano carceri’ del Governo ancora tutto da interpretare, sia per il problema del turnover del personale, che la finanziaria nazionale ha deciso di non affrontare, entrambi riflessi di una politica fatta di annunci". "Molto colpito - si è detto Menis - dal grande impegno profuso dal Direttore e dal personale, che nonostante grandi difficoltà hanno saputo creare all’interno della struttura i presupposti per una condizione detentiva effettivamente finalizzata al recupero del detenuto e all’attivazione di un percorso di socializzazione e reinserimento".

Teramo: detenuto "pestato" sotto accusa per lesioni a agenti

di Diana Pompetti

 

Il Centro, 24 dicembre 2009

 

È indagato per lesioni agli agenti, svolta nella vicenda Castrogno. E a Natale due parlamentari "ispezionano" il penitenziario dopo la morte del nigeriano.

Tra i sei indagati per il presunto pestaggio a Castrogno c’è anche il detenuto che accusa gli agenti di averlo malmenato. La procura lo ha iscritto nel registro degli indagati per lesioni: gli agenti incolpano lui di averli aggrediti.

Al presunto pestaggio dell’uomo, un italiano che sta scontando una condanna per reati connessi alla droga, si fa riferimento nell’audio shock finito sulle cronache nazionali. Un caso per cui l’ex comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Luzi è stato sospeso dal suo incarico. Il detenuto sostiene di essere stato malmenato dagli agenti, che però respingono le accuse e, invece, ribadiscono di essere stati loro gli aggrediti. Da qui, dunque, l’avviso di garanzia anche per il recluso. Gli altri cinque indagati sono l’ex comandante, già interrogato in procura, e quattro agenti.

Il detenuto morto. E mentre l’inchiesta aperta dal pm David Mancini sul caso del presunto pestaggio si avvia alla conclusione, quella sulla morte di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano di 32 anni deceduto in carcere, comincia a prendere forma. Dopo che l’autopsia ha accertato che l’uomo, testimone del presunto pestaggio, è morto per un tumore al cervello, tumore che nessuno aveva diagnosticato, il pm titolare del caso Roberta D’Avolio vuole fare chiarezza sui soccorsi e sulle cure prestate al nigeriano. L’esame medico legale ha accertato anche che qualche mese fa l’uomo era stato colpito da un infarto che però nessuno in carcere aveva scoperto. Il magistrato potrebbe disporre nuovi accertamenti medici e per questo non ha ancora dato il nulla osta alla sepoltura: il corpo resta a disposizione della procura.

Natale in carcere. E intanto, dopo che la commissione d’inchiesta parlamentare sugli errori sanitari ha avviato un’indagine sulla morte dell’uomo, ben due parlamentari hanno annunciato che passeranno il Natale nel carcere di Castrogno. Si tratta di Augusto Di Stanislao, dell’Idv, e di Rita Bernardini dei Radicali-Pd. Entrambi nei mesi scorsi sono già stati nella casa circondariale teramana.

Rifondazione. "Omaggeremo il sindaco Maurizio Brucchi di una cartina topografica con indicato il carcere di Castrogno". Rifondazione comunista attacca l’amministrazione comunale, stigmatizzandone il silenzio in merito agli ultimi fatti avvenuti in carcere. "È grave che Brucchi non si sia espresso sulla morte del detenuto nel nostro penitenziario", ha commentato Filippo Torretta, segretario comunale di Rifondazione, "sembrerebbe sappia farlo solo sulle luminarie natalizie. Almeno l’amministrazione precedente di Gianni Chiodi aveva deciso di portare un consiglio all’interno della struttura". Annunciata l’intenzione di portare l’argomento all’ordine del giorno del prossimo consiglio.

Teramo: domani esponenti Radicali e di Idv visitano il carcere

 

Adnkronos, 24 dicembre 2009

 

Marco Pannella visiterà domani, nel giorno di Natale, il carcere di Castrogno, in provincia di Teramo. Con lui ci saranno i deputati Rita Bernardini (Radicali/Pd) e Augusto Di Stanislao (Idv), l’avvocato Alessandro Gerardi e i Radicali teramani Renato Ciminà e Orazio Papili. La visita inizierà alle ore 9. Quella di domani, si legge in una nota dei Radicali, sarà la "visita ad un carcere senza direttore, dove sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230, dove gli agenti in servizio sono solo 155, ma ne servirebbero 203, dove ci sono solo 2 educatori; dove il medico di turno rivela che oltre il 50 per cento dei reclusi è malato e che tantissimi sono coloro che sono affetti da malattie psichiatriche".

"Le celle sono malmesse, fredde e umide; celle in cui i detenuti sono costretti a stare tutto il giorno nella più completa inattività. Manca persino il cappellano… verrebbe da dire "un carcere dimenticato da Dio e dagli uomini" ma, chiamare in causa il Creatore, di fronte all’inefficienza e all’indifferenza delle istituzioni, siano esse civili o religiose, sarebbe veramente arbitrario", concludono i Radicali.

Cagliari: il riscatto dei detenuti arriva anche grazie a studenti

di Mariano Tanda

 

La Nuova Sardegna, 24 dicembre 2009

 

Dentro e Fuori insieme, questo il nome del progetto attivato dalla direzione della casa circondariale di Iglesias, dall’Istituto Fermi ed il Servizio D della Asl 7 conclusosi lunedì pomeriggio nella sede penitenziaria di Sa Stoia. Un’iniziativa di particolare valenza sociale perché ha coinvolto studenti e detenuti in due incontri, uno tenutosi nell’istituto scolastico e l’altro all’interno del carcere.

Un proficuo interscambio tra realtà molto distanti tra loro e che ha avuto nel confronto aperto e nelle esibizioni della band musicale del Fermi (alla quale hanno partecipato attivamente i detenuti) i momenti più efficaci del progetto. Con un duplice scopo: quello di informare e prevenire i giovani sulle conseguenze dei comportamenti devianti, ma anche di far sentire i detenuti meno isolati e ancora utili alla società tramite l’esperienza, appunto, dentro e fuori dal carcere.

L’iniziativa ha colto in pieno gli obiettivi ed è la prima volta nel territorio che un incontro di questo genere viene realizzato. "Cerchiamo di aprire ogni possibilità di contatto con l’esterno - ha spiegato Vincenzo Alastra, direttore della casa circondariale di Iglesias - il carcere è visto da fuori come un insieme di sbarre che serve a punire chi si è macchiato di un comportamento errato. In realtà lo scopo principale della detenzione è quello di offrire la possibilità di recupero per chiunque. Un riscatto che un detenuto può realizzare anche insegnando ad altri a non ricadere sul suo stesso errore. Durante l’incontro con i ragazzi è stata esemplare la frase rivolta al detenuto perché sei finito dentro? Una domanda molto diretta, per nulla imbarazzante e che serve al giovane a semplificare e immedesimarsi subito nel problema".

Per il direttore Vincenzo Alastra, figura peraltro apprezzabile per le doti umane e considerato un padre dagli stessi detenuti, il progetto - Dentro e Fuori insieme - è solo un primo passo che merita di essere portato avanti. Così come lo è per il dirigente scolastico del Fermi Raffaele Lorefice che, sullo stesso binario, parla delle impressioni raccolte dai ragazzi: "Mi ha fatto piacere sentire dagli studenti esternare la soddisfazione per avere imparato molto da questa esperienza e grazie a questa vedere crescere in loro una nuova coscienza".

Complesso e indispensabile il lavoro delle educatrici Raffaella Congiu e Serenella Floris il cui compito va oltre la canonica prassi del trattamento rieducativo, alla ricerca di stimoli per l’uomo detenuto impegnato a cercare nuova dignità. Un progetto ambizioso per il bene comune che dal si è avvalso della collaborazione di Margherita Lai, Annamaria Desogus e Angela Lenzu.

Venezia: il Patriarca Scola ai detenuti; lavoro per rigenerare l’io

 

La Nuova di Venezia, 24 dicembre 2009

 

Il lavoro. Il tema al centro della riflessione dei detenuti, alla presenza del patriarca Angelo Scola per il tradizionale appuntamento del Natale a Santa Maria Maggiore con il vescovo di Venezia, è stato il lavoro "che significa speranza, dignità, autostima" ha spiegato il detenuto italiano Nicola.

E la direttrice del femminile e a lungo anche del maschile Gabriella Straffi ha affermato che il lavoro per i detenuti è ancor più importante della risoluzione del problema del sovraffollamento, auspicando che il legislatore intervenga per varare norme in modo da dare lavoro a tutti anche se pagati meno. Anche il patriarca ha detto la sua, sostenendo che il lavoro aiuta la rigenerazione dell’io e che lavorare è come anticipare l’uscita dal carcere. "Prima era come se fossi in isolamento - ha raccontato il giovane turco Toca - stavo 22 ore su 24 in cella, assieme ad altri sette, disteso sul letto a guardare la Tv, adesso lavoro, sono diverso.

Naturalmente auguro a tutti la libertà, ma intanto cercate di lavorare". "Tra due giorni esco - ha aggiunto un detenuto moldavo - e il tempo lavorando è passato più in fretta e ho messo da parte 300 euro, che mi potranno essere utili per i primi giorni in libertà". "Ma il lavoro esterno è ancora più importante e spero che qualcuno fuori ci ascolti e ci aiuti" ha sostenuto ancora Nicola. Un appello subito raccolto da Giampietro D’Errico, un tempo sindacalista a Marghera ora presidente della cooperativa Rio Terà dei Pensieri che da 15 anni tanto sta facendo sia a Santa Maria Maggiore sia alla Giudecca: "Trovare il lavoro per un ex detenuto è fondamentale - ha detto - senza quello tornano in carcere in fretta e se le cooperative sociali aiutano nei primi mesi è importante il lavoro ordinario. Chiedo al patriarca di aiutarci".

D’Errico ha ricordato che nel carcere maschile funzionano già i laboratori di pelletteria e di serigrafia, mentre dall’1 gennaio partirà anche quello di taglio del vetro per i mosaici, che darà lavoro ad altri sei detenuti. La nuova direttrice di Santa Maria Maggiore Irene Iannucci, sollecitata dai giornalisti a parlare della situazione attuale del carcere, ha spiegato che ormai dentro si vive "l’ordinarietà dell’emergenza", a causa del sovraffollamento.

Ma non solo: "C’è anche la questione dell’alto turn-over dei detenuti, pensate che nel 2009 su 900 che sono entrati, 500 sono stati scarcerati nel giro di tre giorni" ha concluso. E il ministero della Giustizia certo non aiuta: da Roma spingono per riaprire in fretta una sezione chiusa da tempo perché necessita di una ristrutturazione in modo da ospitare altri 70-80 detenuti.

Ora, in media sono 320, diventerebbero 400, ma il numero degli agenti della Polizia penitenziaria, già sotto organico di almeno 40 uomini, non aumenterebbe. Non solo le organizzazioni sindacali degli agenti si sono espressi contro, ma anche la direttrice avrebbe scritto che senza aumentare l’organico non si può aprire la nuova sezione. Ma a Roma insistono e premono per farlo al più presto.

Rovigo: detenuti hanno ricevuto i doni della comunità rodigina

 

Rovigo Oggi, 24 dicembre 2009

 

Tanti i gesti di solidarietà rivolti ai detenuti della casa circondariale di Rovigo in queste ultime settimane. Le due città, quella della società civile e la realtà del carcere, si incontrano in un momento di estrema difficoltà per chi vive la condizione della detenzione.

Il sovraffollamento che penalizza le persone ristrette nella casa circondariale di Rovigo e il personale che vi opera è, in qualche maniera, stato lenito da molteplici gesti di solidarietà concreta fatti in queste ultime settimane da enti, associazioni e società del territorio polesano per far sentire la vicinanza e l’attenzione della comunità civile.

L’ultimo di questi gesti, in ordine di tempo, è stato prodotto dall’assessore ai servizi sociali del Comune di Rovigo, Giancarlo Moschin, attraverso i volontari del Centro Francescano di Ascolto, che lunedì 21 dicembre hanno fatto pervenire panettoni, pandori e bibite. Domenica scorsa i detenuti hanno ricevuto la visita del Vescovo della diocesi di Adria e Rovigo, mons. Lucio Soravito de Franceschi, per la celebrazione natalizia, mentre, in precedenza, lunedì scorso si è esibito il gruppo jazz del Conservatorio Venezze di Rovigo. La Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, con l’apporto del Coordinamento dei volontari, ha invece finanziato l’acquisto delle porte per il campo di calcetto della sezione maschile. L’associazione cultura Minelliana ha donato una serie di volumi della storia e cultura locale. Ed infine la Solera srl - intimo e corsetteria - di S. Maria Maddalena (Ro), ha fatto dono alle persone detenute nelle sezioni maschile e femminile della casa circondariale di Rovigo di prodotti di abbigliamento intimo donna e uomo.

La solidarietà che dimostra il nostro territorio si colloca in un momento tragico per le persone detenute, infatti si è giunti al 69° recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno. Viene così eguagliato il triste "record" del 2001: il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica. Il totale dei detenuti morti nel 2009 sale così a 171. Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.560 persone, di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti.

Ma è davvero scontato ed inevitabile che i detenuti muoiano, seppur giovani, con questa agghiacciante frequenza di 1 ogni 2 giorni? No, assolutamente no. I morti sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che, ben lontane dall’essere "criminali professionali", provengono piuttosto da realtà di emarginazione sociale, da storie decennali di tossicodipendenza, spesso affette da malattie mentali e fisiche gravi, spesso poverissime.

Oggi il carcere è pieno zeppo di queste persone e il numero elevatissimo di morti ne è conseguenza diretta: negli anni 60 i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti… e non certamente perché a quell’epoca i detenuti vivessero meglio. Oggi oltre il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha malattie mentali, il 5% è sieropositivo, il 60% ha una qualche forma di epatite, in carcere ci sono paraplegici e mutilati, a Parma c’è una sezione detentiva per "minorati fisici"… e si potrebbe continuare.

Le misure alternative alla detenzione vengono concesse con il contagocce: prima dell’indulto del 2006 c’erano 60.000 detenuti e 50.000 condannati in misura alternativa; oggi ci sono 66.000 detenuti e soltanto 12.000 persone in misura alternativa.

Più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, mentre 30.500 stanno scontando una condanna: di questi quasi 10.000 hanno un residuo pena inferiore a 1 anno e altri 10.000 compreso tra 1 e 3 anni. Molti di loro potrebbero essere affidati ai Servizi Sociali, anziché stare in cella: ne gioverebbero le sovraffollate galere e, forse, anche la conta dei "morti di carcere" registrerebbe una pausa.

Bari: per Natale 500 libri in dono a detenuti di Borgo San Nicola

 

Asca, 24 dicembre 2009

 

Domani l’assessore regionale alle Risorse agroalimentari Dario Stefàno si recherà nella struttura carceraria di Borgo San Nicola a Lecce per porgere il suo regalo di Natale ai detenuti.

Ad accoglierlo l’Ufficio di Direzione insieme alla dottoressa Anna Rosaria Piccinni direttrice della struttura che conta al suo interno ben 4 biblioteche. L’assessore Stefàno consegnerà alla Direzione e ai detenuti che si occupano della gestione delle biblioteche 500 libri sulla Puglia rurale ed il patrimonio enologico pugliese.

"Nella sobrietà che il momento storico attuale impone - ha motivato Stefàno - rivolgo un umile gesto augurale a chi si trova in una condizione di distacco dall’esterno e dai propri affetti. Credo che non possono, non devono, esserci barriere di alcun tipo alla promozione della cultura e del nostro straordinario patrimonio rurale ed agroalimentare. Poiché conoscere, leggere, studiare aiutano l’uomo, in ogni sua condizione, ad essere migliore e, perché no, ad amare e valorizzare di più questa nostra stupenda terra".

Napoli: concerto carcere Pozzuoli, avvia eventi per solidarietà

 

Asca, 24 dicembre 2009

 

Con il concerto tenutosi oggi nel carcere femminile di Pozzuoli ha preso il via oggi la rassegna di spettacoli organizzati dalla Provincia di Napoli nel nome della solidarietà. Nel carcere di Pozzuoli oggi si è esibita l’artista napoletana Gloriana realizzando una iniziativa promossa in occasione del Natale per le detenute.

Nel sottolineare la valenza dell’iniziativa, il presidente Luigi Cesaro sottolinea quanto sia importante che l’istituzione carceraria dialoghi con il territorio. Iniziative di solidarietà in questi giorni di festa aiutano a vincere l’angoscia e la disperazione di chi è lontano dalle proprie case, dai propri affetti, dai propri cari e, soprattutto, a ricordare che siamo di fronte a reclusi e non esclusi dalla società. Contribuiamo a non alzare barriere tra il carcere e la società civile. Il mondo ha bisogno di unione, non di divisioni.

La serie di eventi prevede altri concerti della stessa artista nel penitenziario di Secondigliano il prossimo 30 dicembre ed a Poggioreale il 18 gennaio. Il programma delle iniziative promosse dall’Ente di Piazza Matteotti prevede, inoltre, una serie di spettacoli in alcune chiese del napoletano dove Gloriana si esibirà in canti natalizi per gli emigranti. In particolare, il calendario degli eventi vedrà l’artista napoletana esordire nella chiesa di S. Maria del Carmine di Torre del Greco il 27 dicembre per poi proseguire il 28 nella Parrocchia di S. Anna alle Paludi di Napoli, il 29 nella Parrocchia di S.Michele di Volla e concludere il 2 gennaio nella chiesa del Corpus Domini di Gragnano. Questa iniziativa di solidarietà attiva - conclude Cesaro - conferma la sensibilità e la forte attenzione alle esigenze delle comunità locali che l’Amministrazione provinciale esprime concretizzando iniziative di grande valenza sociale.

Francia: ad Avignone, l’ex carcere, diventerà un hotel di lusso

 

Apcom, 24 dicembre 2009

 

La città di Avignone ha annunciato la trasformazione, entro il 2012, dell’ex centro penitenziario di Sainte-Anne, un complesso del XIX secolo ai piedi del Palazzo dei Papi, in un hotel di lusso della catena Marriott. Una prima per la Francia. "Il prezzo di vendita è stato di 2 milioni di euro, cui va aggiunto un preventivo per 36 milioni di euro di lavori", ha dichiarato il sindaco Ump, Marie-Josée Roig, nel corso di una conferenza stampa, precisando che il plusvalore di un milione di euro realizzato "sarà interamente reinvestito a vantaggio della riqualificazione del quartiere". La società Generim, incaricata del progetto, ha detto di aver concluso un accordo di partenariato con il gruppo alberghiero americano Marriott International per la futura gestione dell’hotel a quattro stelle dotato di 90 camere, che verrà aperto ai clienti nel 2013.

Francia: Sarkozy vuole rientro di tutti francesi detenuti estero

 

Ansa, 24 dicembre 2009

 

La Francia vuole "fare di tutto per rimpatriare i cittadini francesi detenuti all’estero" a partire dalla ricercatrice Clotilde Reiss in Iran. Lo ha detto il segretario di Stato alla Cooperazione, Alain Joyandet, spiegando che il presidente Nicolas Sarkozy ha dato un chiaro mandato in tal senso a lui e al ministro degli Esteri, Bernard Kouchner. Joyandet si appresta a partire nei prossimi giorni per la Repubblica dominicana dove proprio stamani, secondo una tradizione di Natale, sono state graziate dal presidente due giovani francesi condannate nel 2008 a otto anni di carcere per traffico di droga. "Stiamo lavorando con tenacia anche per Clotilde Reiss in Iran, Florence Cassez in Messico e per ognuno dei 2.230 francesi detenuti all’estero", ha aggiunto il sottosegretario.

 

 

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