Rassegna stampa 23 dicembre

 

Giustizia: un buon Natale ai detenuti… e l’invito a "resistere"

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 23 dicembre 2009

 

Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente, gravemente ammalato, venerdì scorso si è ucciso impiccandosi nella sua cella del carcere di Salerno. Era il sessantanovesimo recluso a togliersi la vita dall’inizio dell’anno. Una "Spoon river" infinita di gente che quest’anno non celebrerà il Santo Natale né consumerà panettoni e capitoni. Tipici del suo lato B più laico e gaudente.

Né le famiglie di queste persone avranno voglia di festeggiare alcunché. Quest’anno in Italia è stato eguagliato il triste record di suicidi in carcere del 2001 mentre i morti, moltissimi dei quali per "cause da accertare", sono ormai a quota 171. La vergogna della giustizia italiana, quindi, "vergogna nella vergogna", si chiama detenzione.

Il governo parla di piani carceri ma gli stanziamenti sono diminuiti a un terzo dall’iniziale previsione: 500 milioni di euro, invece di un miliardo e mezzo, per costruire in due o tre anni 18 mila nuovi posti carcere. E si sa già che questo non avverrà nei tempi previsti, mentre in Italia ci sono almeno 20 carceri mai inaugurate perché manca il personale e i tagli sono continui. In tutto ciò ieri tutti i giornali parlavano dell’incredibile morte di Uzoma Emeka (particolarmente duro ed efficace il titolo de "Il manifesto", "È morto il negro") cioè il testimone di un pestaggio avvenuto nel carcere di Teramo di cui si preoccupava il capo delle guardie, poi dimessosi, allorché veniva registrato da uno dei suoi secondini mentre lo esortava a pestare i detenuti nelle celle dei seminterrato e non davanti a tutti per evitare scomodi testimoni.

Andando a spulciare i dettagliatissimi dati che "Ristretti Orizzonti", la migliore delle riviste che si occupa del carcerario, e che peraltro viene fatta nell’unico carcere quasi modello d’Italia, quello di Padova, si viene colpiti dal numero dei "definitivi" con un residuo pena da uno a tre anni, gente che potrebbe stare tranquillamente a casa ai domiciliari, con o senza uno dei braccialetti elettronici che continuiamo a pagare alla Telecom senza usarli, oppure in comunità di recupero per tossicodipendenti, visto che un buon 40% della popolazione carceraria da essi è composta. Ebbene i detenuti per residui pena fino a tre anni sono esattamente 19.823. Cioè esattamente quelli che si spera di sfoltire con questo "piano carceri" che è un po’ come l’Araba fenice e sul quale anche un ministro piuttosto bravo come Angelino Alfano rischia di perdere la faccia.

In attesa delle nuove carceri, e di quelle ancora da inaugurare e dell’assunzione del relativo personale di custodia, non sarebbe più razionale privare le vecchie carceri di questi quasi innocui detenuti con residui pena da uno a tre anni?

Purtroppo però il vero problema, inconfessabile, è politico. Dopo l’errore di avere fatto passare l’indulto senza abbinare a esso l’amnistia che risulta adesso indispensabile per deflazionare l’arretrato dei magistrati (e per la quale si sta battendo Marco Pannella da due settimane anche mediante sciopero della fame, in realtà diretto al grande Satyagrah mondiale per la verità sulla genesi della guerra in Iraq) e tutto perché un paio di partiti, Di Pietro e la lega Nord, ci hanno fatto una barbara, demagogica e anche truffaldina campagna elettorale basata su slogan ridicoli come "sicurezza" e "certezza della pena", proprio negli anni in cui tutti i delitti diminuivano, adesso non si può dire alla gente: "ci siamo sbagliati, abbiamo fatto una grande, grandissima, c....."

Ergo chi va in carcere lo fa a proprio rischio e pericolo. La detenzione ha come optional la pena di morte. Ne sanno qualcosa Aldo Bianzino, Stefano Cucchi e da ultimo "il negro che aveva visto tutto". Cioè Uzoma Emeka. Che è morto di infarto, sicuramente, ma che si è atteso cinque ore prima di portarlo in ospedale a Teramo.

Quindi il sospetto è che qualcuno abbia colto la palla al balzo per eliminare uno scomodo testimone sia pure con il concorso del caso o del Padreterno. I carceri in Italia sono quindi diventati il pianeta dell’illegalità e dell’arbitrio. Comanda chi si alza per primo. Giorni fa il sindacato delle guardie penitenziarie, Sappe, protestava per una nota del Dap, cioè il dipartimento in mano a Franco Ionta che vietava, chissà perché, l’identificazione di clandestinità per gli stranieri detenuti. Aveva una "ratio" questa cosa? Nessuno lo sa.

Là legge non lo prescrive, ma il Dap quella mattina si era alzato per primo. Intanto negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.560 persone, di cui 558 suicide. Per la maggior parte si trattava di giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica e di tossicodipendenti. Negli anni 60, come dimostra la ricerca di "Ristretti Orizzonti", i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti e non certamente perché a quell’epoca i detenuti vivessero meglio.

Oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo, il 60% una qualche forma di epatite, in carcere ci sono paraplegici e mutilati, a Parma c’è addirittura una sezione detentiva per "minorati fisici". In uno dei film grotteschi di Alejandro Jodorowsky non si sarebbe potuto vedere di peggio. A tutti costoro "L’Opinione" augura, nonostante tutto, un Buon Natale. E dedica un appello, "resistete, resistete, resistete" di cui forse si è abusato negli scorsi anni, ma che per questi diseredati dei cui problemi lo stato si libera buttandoli in questa immensa discarica sociale, anche essa gestita nelle regole sostanziali dalla malavita organizzata, è purtroppo sempre valido e attuale.

Giustizia: il 2009 è "l’annus orribilis" dei penitenziari italiani

 

Redattore Sociale, 23 dicembre 2009

 

All’interno del carcere di Vicenza si è tolto la vita un uomo di sessant’anni, detenuto per reati contro i minori. Nel 2009 anche 564 tentativi di suicidio. Sarno (Uil Pa): "Strage che continua nell’indifferenza".

Il 2009 sarà ricordato come l’annus orribilis per i penitenziari italiani. Ieri, martedì 22 dicembre, all’interno del carcere di Vicenza si è tolto la vita un uomo di sessant’anni detenuto per reati contro i minori. Sale così a quota 70 il numero di persone che si sono tolte la vita nel corso del 2009, superando anche il triste primato registrato nel 2001. "Una strage che continua nell’indifferenza e nel silenzio", denuncia Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa, che rivolge un appello al Capo dello Stato affinché "richiami ognuno alle proprie responsabilità". A questo tragico bilancio, bisogna poi aggiungere i 564 tentativi di suicidio registrati nel corso del 2009 "di cui 364 sventati dalla polizia penitenziaria", precisa Sarno.

Nella casa circondariale di Vicenza, a fronte di una capienza regolamentare di 146 posti, sono presenti 310 detenuti (dati aggiornati al 10 dicembre 2009, ndr). Il 64% dei detenuti sono stranieri. "Sono almeno trenta giorni che i detenuti fanno, ogni tre ore, la battitura delle stoviglie contro le sbarre - aggiunge Eugenio Sarno -. Inoltre, sempre per protestare contro le condizioni in cui si trovano, da 15 giorni rifiutano il vitto fornito dall’amministrazione penitenziaria".

Giustizia: Antigone; in carcere, condizioni di vita insostenibili

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

La situazione che l’associazione Antigone ha trovato nelle carceri visitate in questi giorni è definita "insostenibile".

Nel carcere di Genova Pontedecimo, nella sezione femminile - riferisce Antigone - il sovraffollamento è del 205%, vi sono infatti 82 donne per una capienza regolamentare di 40 posti. In sezione, al nido, sono presenti 3 bimbi piccolissimi. Nella sezione maschile sono presenti 65 presenti detenuti per una capienza regolamentare di 45 posti (sovraffollamento del 144%).

Nella Casa circondariale di Bari i detenuti presenti sono 612, per una capienza regolamentare di 295 posti (tasso di sovraffollamento del 207%). Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, prosegue Antigone, gli internati sono 127 e trascorrono gran parte della loro giornata chiusi anche fino a quattro all’interno di celle spoglie. "È utilizzato il letto di contenzione di cui due casi recenti, uno dei quali è stato slegato poco prima del nostro ingresso".

Tra i casi quello di un ragazzo immigrato di appena 21 anni, che si trovava seminudo (con solo uno slip e un pullover) in una cella liscia priva di ogni cosa, letto incluso e con il blindato chiuso. La cella era sporca di escrementi. "Dal registro - prosegue l’associazione - ci risulta sia stato legato al letto di coercizione per almeno tre giorni di seguito, appena giunto in Opg, e poi portato in una cella liscia".

Nella Casa circondariale di Piacenza i detenuti sono 398 per una capienza regolamentare di 200 posti (tasso di sovraffollamento del 199%). Nella Casa circondariale di Asti vi sono state recenti proteste da parte di detenuti e personale. Secondo quanto rilevato da Antigone, dipenderebbero dalla presenza di una sezione di dodici detenuti islamici provenienti dalle carceri sarde e campane, imputati per terrorismo e coinvolti nei processi milanesi. Essi si trovano al momento in una sezione riservata. "C’è stato anche - aggiunge l’associazione - un recente cambio di direzione, probabilmente legato a questa vicenda".

Nella Casa circondariale la Dozza di Bologna dal 2008 si sono alternati 5 diversi direttori. L’attuale direttrice è stata assegnata alla struttura dall’aprile 2009. Gli educatori sono solo 4. Secondo Antigone la dotazione dell’area educativa è andata peggiorando nel corso degli ultimi anni, ciò ha prodotto una situazione di estrema gravità se si considera che in parallelo è aumentata esponenzialmente la popolazione detenuta.

"Per avere un’idea della gravità della situazione si deve considerare che nel 1991 presso la Casa Circondariale di Bologna erano in servizio 11 educatori per 780 detenuti, in 18 anni il rapporto numerico tra educatori e detenuti si è ridotto da 1 a 80 a 1 a oltre 200". Considerata l’attuale situazione della popolazione detenuta (in media 1.100 in una struttura nata per contenerne 450), il numero di educatori in servizio presso la struttura dovrebbe essere almeno di 21 effettivi. I detenuti presenti sono 1.177 per una capienza regolamentare di 483 posti letto (tasso di sovraffollamento del 243%). Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia: gli internati presenti sono 295 per una capienza regolamentare di 120 posti (sovraffollamento del 245%). Nella Casa di reclusione di Alessandria San Michele i detenuti sono 384 per una capienza regolamentare di 173 posti (tasso di sovraffollamento del 221%).

In particolare, si segnala come all’interno di due sezioni la situazione sia particolarmente grave. Queste sezioni ospitano in totale circa 150 persone distribuite in celle di 9,15 metri quadrati ognuna delle quali ospita 3 persone.

Giustizia: Bernardini (Radicali); mozione su sovraffollamento

di Massimiliano Lenzi

 

Il Clandestino, 23 dicembre 2009

 

Come si esce dalla tragedia del sovraffollamento carcerario in tempi brevi? Un passo concreto sarebbe quello di approvare la mozione Radicale che è stata depositata alla Camera e la cui discussione è calendarizzata per l’11 e 12 di gennaio prossimi". A parlare, in questa intervista al Clandestino, è Rita Bernardini, deputata della delegazione Radicale nel Pd, che a Natale andrà al carcere di Teramo, assieme a Marco Pannella. "Dopo 16 giorni di sciopero della fame spiega - dove chiedevamo venisse fissata una data per la discussione, abbiamo avuto l’attenzione di Dario Franceschini che ha scritto una lettera al Presidente della Camera Gianfranco Fini. Sulla mozione ci sono 92 firme di parlamentari (anche se due del Pd hanno ritirato la loro), di tutti gli schieramenti ad esclusione della Lega. Tra le altre cose- il testo prevede: la messa in campo di misure alternative alla detenzione, l’utilizzo dell’istituto della messa in prova e per i tossicodipendenti, che rappresentano oggi il 25% della popolazione delle galere, un cammino di recupero nelle comunità. Se passasse soltanto quest’ultimo punto si avrebbe già un bello sfoltimento della popolazione carceraria".

 

Dal Governo arrivano segnali positivi?

Su questo il ministro della Giustizia Angelino Alfano, quando è venuto in audizione in Commissione Giustizia, ha fatto delle aperture. Tra l’altro, in disparte, mi ha detto: "lo sono molto d’accordo sulla vostra richiesta di misure alternative".

 

A parte voi sei radicali (Bernardini, Turco, Beltrandi, Maria A. Coscioni, Mecacci e, la Zamparutti) chi sono i firmatari della mozione?

Tra i nomi troverete molti parlamentari Pd ma anche del Pdl e di altre forze politiche. Alcuni, per la verità, cominciano a dire che la mozione così com’è non va.

 

Cosa darebbe fastidio?

Il passaggio sul 41 bis (carcere duro per i mafiosi, ndr) dove noi Radicali, che lo definiamo la Guantanamo italiana, chiediamo che rientri nelle norme costituzionali. Ma di questo sembra che non si possa parlare, sia a destra che a sinistra.

 

L’obiezione è quella che cambiandolo si indebolirebbe uno degli strumenti per la lotta alla mafia?

Esatto, l’obiezione è questa. Ma a nostro avviso essere contro la mafia significa innanzitutto far rispettare la legalità costituzionale ed i diritti dell’uomo, oltre alle legislazioni internazionali più avanzate su questo tema. Ma non è solo il 41 bis che crea imbarazzo.

 

Cos’altro?

C’è un passaggio in cui chiediamo che la coltivazione domestica a uso personale della marijuana non rientri più nelle sanzioni penali bensì in quelle amministrative. Insomma, sa cos’è? Nella politica quando si parla di carcere e di diritti dei detenuti c’è un gran conformismo. Noi, ad esempio, a differenza di tutti gli altri riteniamo che il provvedimento di indulto votato tempo fa sia stato giusto. Altrimenti oggi i detenuti sarebbero 100mila.

 

Giustizia e sua amministrazione, come si esce dallo stallo italiano?

Chi dice agli italiani che oltre 5 milioni e mezzo di processi penali oggi, sono arretrati, e di questi circa 200mila cadono ogni anno in prescrizione? Bisogna partire da qui, da questi dati: noi radicali siamo convinti che per discutere seriamente, in Italia, di una riforma della giustizia bisogna innanzitutto uscir fuori da questa condizione di , emergenza: Mi consente un’ultima cosa?.

 

Dica?

In questi giorni centinaia di detenuti stanno sostenendo l’approvazione della mozione con alcuni giorni di sciopero della fame. Ci tenevo a farlo sapere.

Giustizia: D’Elia; in carcere non si muore mai di morte naturale

 

Il Velino, 23 dicembre 2009

 

"Quando muore un detenuto in un carcere italiano, non si può mai parlare di morte naturale. Al di là dei presunti suicidi avvolti nel mistero e degli omicidi camuffati da suicidio, infatti, è sbagliato definire naturale un decesso, se si verifica in un contesto di sovraffollamento che ormai si aggira intorno ai 25mila detenuti". Lo dichiara il segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, ospite a Rainews24.

"Le vittime di questa situazione - continuato D’Elia - non sono solo i detenuti, ma tutti i componenti della comunità penitenziaria: dai direttori, al personale, ai volontari, ognuno vittima della stessa catastrofe e dell’illegalità. Affacciarsi su questo mondo rappresenta l’occasione migliore per toccare con mano la mancanza di stato di diritto del nostro Paese. Circa la metà dei 66mila detenuti attualmente reclusi è in attesa di giudizio e, di questi, la metà sarà riconosciuta innocente.

Lo scandalo degli 11 milioni di processi pendenti comporta che, tra vittime e presunti autori di reati, un terzo della popolazione italiana oggi sia in attesa in giustizia. L’Unione Europea condanna ogni anno l’Italia per la lentezza della Giustizia; queste condanne periodiche rendono il nostro Stato, tecnicamente, un delinquente abituale che, se fosse una persona, non avrebbe diritto all’indulto, né a sconti di pena.

Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di tenere il IV congresso di Nessuno tocchi Caino in un carcere, ma la scelta è caduta sulla casa di reclusione di Padova anche per un motivo di speranza. Lì infatti opera Ristretti Orizzonti, che, oltre a monitorare l’intero universo carcerario italiano, avanza proposte importanti come quelle raccolte nella mozione sulle carcere della deputata radicale Rita Bernardini, che il Parlamento discuterà a gennaio.

Si tratta di proposte ragionevoli e di governo che vedono al centro soprattutto l’applicazione delle misure alternative alla detenzione, come previsto dalla legge Gozzini. Il 68 per cento dei detenuti che accede alle pene alternative, infatti, non commette più reati; percentuale che invece si abbassa sensibilmente tra coloro che scontano l’intera pena in carcere. Ciò dimostra quanto le misure alternative, come lavorare fuori dall’istituto, contribuiscano al contrasto della recidiva, favorendo al tempo stesso la rieducazione e il reinserimento sociale. Tra le altre proposte, noi Radicali chiediamo anche la depenalizzazione di reati meno gravi, come, ad esempio, alcune fattispecie legate alla droga che coinvolgono un terzo della popolazione carceraria. Reati che non possono essere considerati tali perché non hanno vittima, ma che Aldo Bianzino e Stefano Cucchi hanno pagato con la pena di morte".

Giustizia: Commissione Errori Sanitari, indaga morte Emeka

 

Italpress, 23 dicembre 2009

 

La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, presieduta da Leoluca Orlando, ha avviato un filone di inchiesta sul diritto alla salute nelle carceri. La decisione è stata presa dopo la morte del detenuto nigeriano Uzoma Emeka, 32 anni, condannato per spaccio di stupefacenti e deceduto nel carcere di Teramo il 18 dicembre. L’uomo, malato di tumore al cervello, 3 mesi fa avrebbe assistito al pestaggio di un altro detenuto proprio tra le mura di Castrogno. Di cui era stata anonimamente diffusa una registrazione fatta con un cellulare. L’indagine, affidata alle onorevoli Doris Lo Moro (Pd) e Melania De Nichilo Rizzoli (Pdl), dovrà accertare se per Emeka vi sia stata carenza di assistenza sanitaria.

Ne è convinta la radicale-pd Rita Bernardini che aveva già chiesto spiegazioni al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. E insiste: "Si sapeva che questo giovane era da tempo gravemente malato. Aveva testimoniato sul pestaggio di un altro prigioniero. Perché era ancora lì dentro? Un caso eclatante di morte in stato di abbandono". Il giorno di Natale lei e Marco Pannella saranno in visita a Castrogno.

Giustizia: il Dap riapre il caso e parla di "responsabilità diffuse"

di Serenella Mattera

 

Il Riformista, 23 dicembre 2009

 

Cucchi, Bianzino, Emeka. Solo i più famosi. Morti in carcere. Morti "di" carcere, denunciano i familiari. Lo Stato non ne ha avuto la necessaria cura, mentre erano sotto la sua custodia? Mentre la magistratura indaga, dubbi ne emergono non pochi.

Tanto che dopo l’inchiesta sul caso Cucchi avviata al Senato, ieri anche la Camera ha aperto un filone di indagine sul diritto alla salute nelle carceri, partendo dalla "tragica e ancora inspiegata morte" del nigeriano Uzoma Emeka, nel penitenziario di Teramo. Intanto, in Aula il Pd chiede al ministro della Giustizia Angelino Alfano di fare chiarezza sugli ancora tanti punti oscuri intorno alla morte di Aldo Bianzino. E la deputata radicale Rita Bernardini pubblica on-line il testo della relazione del Dap sulla morte di Stefano Cucchi, che delinea responsabilità diffuse a tutti i livelli e fra diversi soggetti.

"Lunedì, a distanza di molti giorni dalla richiesta da me avanzata - dice Bernardini - i membri della commissione Giustizia della Camera hanno avuto a disposizione il testo integrale dell’inchiesta amministrativa sul decesso di Stefano Cucchi, realizzata per conto del Dap, dipartimento amministrazione penitenziaria, dal responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento Sebastiano Ardita. Penso che le dichiarazioni fatte all’epoca della conclusione delle indagini da parte del capo del Dap Franco Tonta, debbano essere oggi rivisitate alla luce della lettura integrale della inchiesta".

Trecentocinquanta pagine, allegati inclusi, che sembrano non escludere la responsabilità degli agenti penitenziari, come le prime dichiarazioni di Ionta lasciavano intendere. Ma che invece evidenziano la presenza di responsabilità diffuse che spetterà alla magistratura precisare. In un quadro che rivela una "incredibile, continuativa mancata risposta alla effettiva tutela dei diritti" di Stefano Cucchi. A due mesi esatti dalla morte del giovane romano, il 22 ottobre, le indagini proseguono.

Ieri la procura di Roma ha aperto un fascicolo processuale sul caso di Rolando Degli Angioli, il medico di Regina Coeli che il 16 ottobre visitò Stefano e che ha segnalato al presidente della commissione sul Servizio sanitario nazionale Ignazio Marino, di aver subito pressioni per autosospendersi. Nell’inchiesta sulla morte di Stefano sono intanto indagati sei medici del Pertini e tre agenti di polizia penitenziaria. La verifica interna all’amministrazione sanitaria, condotta dal Risk Management dell’Asl Roma B, ha nella sostanza "assolto" i medici, che sono stati reintegrati nel reparto penitenziario del Pertini, dal quale in un primo momento erano stati trasferiti. Eppure gli ispettori del Dap, che hanno trasmesso le carte ai magistrati, evidenziano invece una "insufficiente collaborazione tra responsabili sanitari e penitenziari".

Ma soprattutto, "l’errata concezione del reparto ospedaliero non come luogo prevalentemente di cura, ma esclusivamente come "carcere"". Che dentro il Pertini vada collocata una parte importante delle responsabilità nella morte di Stefano, lo sostengono dall’inizio i familiari del ragazzo. E non solo perché, come sostiene l’associazione Nessuno Tocchi Caino, quando muore un detenuto in un carcere italiano, "non si può mai parlare di morte naturale". Ma anche perché diverse criticità sono emerse in questi mesi.

Una la evidenzia la deputata del Pdl Melania De Nichilo Rizzoli: "Risulta che Stefano è morto nella notte e nessuno se n’è accorto. E come se questi pazienti per il fatto di essere detenuti ricevessero un’attenzione minore". E il pensiero va anche a Uzoma Emeka, il testimone del presunto pestaggio nel carcere di Teramo che è morto venerdì, per quello che sembra essere stato un tumore maligno al cervello. Sulla vicenda ieri la commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari ha aperto un’indagine, di cui si è fatta promotrice la stessa Rizzoli, per accertare se ci siano state carenze nell’assistenza sanitaria.

"Ho lavorato - dice la deputata - per dieci anni in un reparto di oncologia. E dico che se c’è una malattia che non provoca morte improvvisa è il cancro. Se si è trattato davvero di un tumore celebrale, da mesi deve aver dato segni. E allora: perché nessuno se n’è accorto? Perché hanno lasciato il detenuto nella sua cella?". De Nichilo annuncia che chiederà al ministro Alfano, cui Pd e radicali chiedono con insistenza risposte, di inserire la questione delle cure per i carcerati nella riforma del sistema penitenziario. "Perché - sottolinea - non ci può essere morte "naturale" in carcere a 30 anni: non ci possono essere suicidi, né "cadute dalle scale", né tumori improvvisi. E gli episodi emersi negli ultimi tempi non sono una coincidenza".

Giustizia: relazione Dap su morte Cucchi; è stata una tortura

di Giampiero Calapà

 

Il Fatto Quotidiano, 23 dicembre 2009

 

Mentre la Procura di Roma apre una nuova indagine, i Radicali rompendo il silenzio della politica - consegnano al Web, attraverso i loro siti, la relazione dell’inchiesta della Direzione generale dei detenuti sulla morte di Stefano Cucchi; raccapricciante la descrizione dei sotterranei del Tribunale di Roma, dove Cucchi è stato trattenuto la mattina del 16: "Una specie di Guantanamo", denunciano i Radicali, attraverso la Bernardini.

Continuano a susseguirsi i sinistri colpi di scena. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per accertare se Rolando Degli Angioli, il medico di Regina Coeli che visitò Stefano il 16 settembre all’arrivo in carcere, si sia autosospeso in seguito a pressioni e se queste siano collegate con il caso Cucchi. Intanto, due giorni fa i parlamentari della commissione Giustizia della Camera hanno avuto a disposizione il testo integrale dell’inchiesta amministrativa sulla morte del trentunenne, avvenuta a sei giorni dall’arresto.

Documento che da ieri si può scaricare integralmente dai siti della galassia radicale, come spiega Rita Bernardini: Assumendomene completamente la responsabilità ho deciso di pubblicarlo perché ne emerge un quadro raccapricciante: è importante che possa esser letto da tutti i cittadini, che tutti possano capire e farsi un’idea su come funzionano le carceri in Italia".

Ieri i pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy hanno raccolto le dichiarazioni dì Degli Angioli, sulle quali è posto il massimo riserbo. Il presidente della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino, ha raccontato ai magistrati che Degli Angioli si arrabbiò moltissimo per il ritardo con cui fu disposto il trasferimento di Cucchi in ospedale, dopo aver constatato la gravità delle condizioni di salute e rilevato un concreto pericolo di vita.

La relazione dell’inchiesta amministrativa sul decesso di Cucchi, realizzata per conto di Sebastiano Ardita, responsabile della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, è pubblicata in versione integrale sui siti dei Radicali. Per Rita Bernardini "le dichiarazioni fatte all’epoca della conclusione delle indagini da parte del capo del Dap Franco Ionta devono essere oggi riviste alla luce dell’inchiesta scrupolosa di Ardita". Dalle 348 pagine del documento emerge come "non siano state rispettate - rileva Bernardini - le stesse circolari sulle quali si basa il protocollo per il trattamento dei nuovi arrivati e soprattutto su come comportarsi con persone tossicodipendenti".

Emerge dall’inchiesta un’agghiacciante descrizione del sotterraneo del Tribunale di Roma, dove lo stesso Ardita ha effettuato un sopralluogo. Le celle, dì circa 7 metri quadri, per un’altezza inferiore ai tre metri possono "ospitare" anche cinque persone e sono sprovviste di servizi igienici. Gli arrestati devono chiamare gli agenti per chiedere di essere portati in bagno, nell’altra ala della struttura. Le condizioni igieniche, si legge nella relazione, al momento del sopralluogo di Ardita "presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito?) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scritte. Sul pavimento negli angoli si rilevano accumuli di sporcizia".

Le stesse celle, ovviamente, non presentano alcuna apertura interna e non consentono nessuna circolazione d’aria né diretta né indiretta. "Alla chiusura corrisponde la relegazione ermetica in ambiente senza passaggio di aria-luce, e con sostanziale impedimento della cosiddetta sorveglianza "a vista". In caso di detenzione multipla non vi è possibilità di evitare la condivisione delle condizioni igieniche degli altri occupanti (cattivi odori, sudore, vomito, malattie trasmissibili nell’etere)". Niente luce, quindi, e nessun arredo, ad eccezione "di due panche con struttura dì ferro contrapposte, con spigoli a vista. Cosicché - sommati i tempi dell’arresto - l’arrestato può trovarsi nella condizione di non aver fruito di riposo anche per 24 ore. Ossia dal momento dell’arresto e fino alla traduzione in carcere o alla scarcerazione".

Non è previsto neppure alcun tipo di somministrazione dei pasti, "l’arrestato può trovarsi nella condizione di non aver preso cibo anche per 24 ore". Per Ardita "occorre chiedersi se sia ipotizzabile che un soggetto, anche per un tempo brevissimo, possa essere costretto a condividere con altre persone un piccolo ambiente, nelle condizioni igieniche descritte, senza bagno, né aria, né luce diretta, e senza aver mangiato né dormito anche per 24 ore".

Giustizia: Pannella; "passerò il Natale nel carcere di Teramo"

 

La Città, 23 dicembre 2009

 

Marco Pannella verificherà le condizioni del carcere. Il detenuto nigeriano è morto per un tumore al cervello. Il detenuto nigeriano supertestimone del presunto pestaggio al carcere di Teramo è morto per una neoplasia.

Un tumore al cervello accertato nell’autopsia svolta ieri pomeriggio dall’anatomopatologo Giuseppe Sciarra. Esclusa la tesi della morte violenta, resta alta l’attenzione della Procura su come è stato trattato a livello sanitario il detenuto. Intanto Marco Pannella passerà il Natale al carcere di Castrogno. L’esponente radicale lo ha annunciato ieri con una telefonata a "La Città", in cui ha detto di voler prestare fede alla promessa fatta proprio a settembre, in occasione di un’altra tragica morte di un detenuto africano, suicida in cella per l’incapacità di sopportare l’accusa di pedofilia nei confronti di una ragazza disabile. Il radicale teramano manifesterà con la sua presenza fisica davanti ai cancelli del carcere teramano la necessità di porre rimedio alla pessima situazione delle carceri italiane e sulle loro condizioni "ai limiti dell’umano".

 

Una morte evitabile?

 

"Sarebbe utile sapere perché il Ministro della Giustizia non risponde alle interrogazioni radicali. Il fatto che non abbia risposto all’interrogazione che abbiamo presentato in seguito alla visita di sindacato ispettivo effettuata il 2 novembre scorso nel carcere Castrogno, è molto grave perché, forse, si sarebbe potuta evitare l’ennesima tragedia, cioè la morte del giovane nigeriano che molto probabilmente era stato testimone negli accertamenti relativi al presunto pestaggio che ha poi portato alla sospensione del comandante di reparto". Lo dice Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd e componente della Commissione Giustizia.

"Un carcere - osserva la deputata - senza direttore, dove sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230, dove gli agenti in servizio sono solo 155 a fronte di una pianta organica che ne prevede 203, dove gli educatori sono solo 2, dove il medico di turno rivela che oltre il 50 per cento dei reclusi è malato e che tantissimi sono coloro che sono affetti da malattie psichiatriche del tutto incompatibili con il regime di detenzione e dove l’assistenza psichiatrica e psicologica è pressoché nulla. Un carcere - aggiunge Bernardini - dove le celle sono malmesse, fredde e umide; celle in cui i detenuti sono costretti a stare tutto il giorno perché non è prevista alcuna attività trattamentale. Persino il cappellano manca a Castrogno. Verrebbe da dire dimenticato da Dio e dagli uomini ma, chiamare in causa il Creatore, di fronte all’inefficienza e all’indifferenza delle istituzioni, siano esse civili o religiose, sarebbe veramente arbitrario. Ministro Alfano, te lo abbiamo già chiesto: cosa intendi fare di fronte ad una situazione carceraria che esplode? Di fronte a morti così poco "naturali", come le definiscono i tristi e burocratici bollettini di morte provenienti dalle carceri? Il ragazzo nigeriano che ha lasciato la comunità dei viventi era tossicodipendente, depresso e perciò fortemente vulnerabile; soprattutto, aveva la grande colpa di avere ancora occhi per vedere ciò che non avrebbe dovuto vedere. Ma in quel carcere sarebbe stato giusto e opportuno non continuasse a stare".

 

Nuovo appello ad Alfano

 

Il Ministro della Giustizia, Angelo Alfano, "si adoperi per fare piena luce sulla morte di Uzoma Emeka". Lo chiede Flavio Arzarello, coordinatore nazionale della Fgci, l’organizzazione giovanile del PdCI - Federazione della sinistra. L’autopsia sul corpo di Uzoma è prevista per oggi pomeriggio. "Il detenuto sarebbe deceduto in circostanze misteriose nell’ospedale civile di Teramo - aggiunge Arzarello - c’é materia per intervenire e per fare dovuti accertamenti. La verità prima di tutto, solo e semplicemente la verità. In un Paese la civiltà si misura dalla capacità con cui viene garantita vivibilità all’interno delle carceri".

 

Troppi morti in cella

 

Chiedo al ministro Alfano di aprire al più presto un’indagine nel penitenziario per agevolare l’inchiesta della Procura di Teramo". Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante, che sulla vicenda ha presentato un’interrogazione parlamentare riportando dati delle associazioni per i diritti dei detenuti Ristretti Orizzonti e Antigone, secondo le quali "il numero de detenuti cresce di 1000 al mese, con un trend che porterà presto la popolazione carceraria a 70 mila detenuti, mentre nella metà del 2012 potrebbe toccare le 100 mila unità.

Quasi il 65 per cento di tutti i detenuti ha un residuo di pena inferiore ai 3 anni. Nel 2008, a fronte di 121 decessi complessivi, i suicidi sono stati 42". "Si tratta - spiega Ferrante - di dati drammatici, nel contesto dei quali si colloca anche la notizia sopraggiunta oggi. "Chiediamo ad Alfano di riferire in Senato sulla consistenza del fenomeno delle morti nelle prigioni. Servono fondi adeguati per migliorare le condizioni di vita sia delle guardie che dei detenuti. Vogliamo sapere dove e quando saranno realizzati i nuovi penitenziari del Piano carceri".

 

Abbandono terapeutico

 

L’Associazione per le libertà "A buon diritto", il detenuto Uzoma Emeka sarebbe morto a causa di un tumore al cervello. "Se questa diagnosi venisse avvalorata dall’autopsia - ha detto il presidente dell’associazione, Luigi Mancino, prima dell’autopsia che ha confermato la neoplasia al cervello - si avrebbe la conferma del grave stato di abbandono terapeutico nel quale versava Uzoma e nel quale versa l’intero sistema penitenziario italiano".

Manconi afferma che "48 ore prima del malore che ha portato infine Uzoma Emeka - con colpevole e gravissimo ritardo - al ricovero in ospedale, il detenuto già si era sentito molto male. Dunque, i segnali di una condizione particolarmente compromessa, in un soggetto tossicodipendente e depresso, erano già tutti riconoscibili. Ma il carcere di Teramo è, sotto tutti i profili, un autentico disastro. Effettivamente già nelle scorse settimane il nigeriano aveva avuto dei mancamenti, svenendo anche sotto la doccia della cella, spia evidentemente di alcuni problemi fisici.

Pare che nei giorni scorsi fosse stata presentata la richiesta di permesso per poter trascorrere il giorno di Natale in famiglia: da qui l’interrogativo dei familiari "Perché la gioia di uscire dal carcere e trascorrere insieme quel giorno avrebbe dovuto lasciare posto all’uso di anti-depressivi? Che motivo aveva?" Tra i dubbi che sarebbero stati sollevati, la notizia che il detenuto possa essere stato vittima nei giorni scorsi di un’intossicazione. L’autopsia ha chiarito le cause dell’arresto cardio-circolatorio che ha stroncato il giovane ad un paio d’ore dal ricovero nell’infermeria interna di Castrogno dopo il malore avvertito nella mattinata: neoplasia, tumore maligno al cervello. Inutili i tentativi di rianimazione al Pronto Soccorso del Mazzini.

Lettere: quale Natale in Sicilia per indigenti, malati e detenuti?

di Lino Buscemi

 

Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2009

 

Non è necessario essere ferventi praticanti di un credo religioso, per rivolgere non sporadicamente, in questi giorni di sfrenato consumismo, la propria concreta attenzione e solidarietà agli "ultimi", ossia agli indigenti (in Sicilia, alla faccia degli ottimisti, sono molto di più di quanto si creda), agli ammalati e agli oltre 7.600 detenuti nella 30 affollatissime carceri dell’Isola.

Ai primi è indispensabile far avere subito cibo e vestiario, mentre le pubbliche amministrazioni, smettendola di spendere fior di quattrini per regali e addobbi natalizi di dubbio gusto, dovrebbero destinare più risorse all’assistenza e alla solidarietà sociale. Per i degenti negli ospedali, cui non dovrebbero essere lesinate visite, si auspica sinceramente una sanità moderna e più efficiente capace di assicurare cure di qualità e servizi rispettosi della dignità degli essere umani.

Un discorso a parte meritano le persone limitate nella libertà personale, giacché, non solo nella nostra Regione, il sovraffollamento penitenziario ha raggiunto livelli intollerabili tali da indurre lo stesso Ministro della Giustizia Alfano a dichiarare, papale papale, che "le carceri italiane sono fuori dalla Costituzione". Ed esattamente fuori da quell’art. 27 che così recita: " le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

I detenuti, soprattutto in almeno 8 penitenziari siciliani, vivono una condizione non facile sicché parlare di "umanità" e di "rieducazione" è pura mistificazione (vedesi rapporto del Garante diritti dei detenuti per la Sicilia alla Commissione Europea contro la tortura. www.garantedirittidetenutisicilia.it).

È fin troppo ovvio affermare che lo stato democratico ha il dovere di punire i cittadini che commettono reati, ma non lo è altrettanto quando si arroga il diritto di torturali, sia in termini fisici che psichici. Il sovraffollamento è una tortura? Provate a chiederlo a chi vive in una cella angusta e lurida, gomito a gomito con altri dieci individui in spazi che potrebbero al massimo contenerne 4 o 5. E anche una tortura vivere in una cella con il w.c. alla "turca" (spesso il "buco" di scarico è ostruito da una bottiglia di vetro per impedire ai topi o agli scarafaggi di fare visite notturne!), senza doccia, umida e con i vetri rotti, con scarse possibilità di potere ricavare un minimo di intimità per il soddisfacimento delle ineludibili funzioni corporali.

Come definire le "condizioni di vita" nelle carceri, ad esempio, dell’Ucciardone di Palermo, di Piazza Lanza a Catania, di Favignana, Marsala o Mistretta (basta leggere per quest’ultimo carcere la significativa relazione del Procuratore generale della Repubblica di Messina, Dott. Antonio Cassata, pubblicata nel marzo del 2009), se non inumane e degradanti? Persino le docce (dove spesso , in inverno, scorre acqua solo fredda) sono allocate in locali lontani dalle celle che per raggiungerli bisogna attraversare nudi i corridoi o le terrazze all’aperto.

Le risorse, inoltre, per realizzare programmi per la "rieducazione" del condannato o per il lavoro in carcere sono scarsissime e, comunque, non adeguate per dare effettiva attuazione all’art. 27 della Costituzione. Si fa quello che si può, in maniera disorganica e discontinua, con l’aiuto del personale di polizia penitenziaria, con i direttori più sensibili e con la sparuta pattuglia di educatori, psicologi e volontari. La stessa sanità penitenziaria, già a carico dello Stato e devoluta, da quest’anno, alle Regioni, rischia, se non si corre subito ai ripari, di essere interrotta con grave nocumento per la salute dei detenuti, la salubrità delle carceri e la sicurezza delle medesime.

Alle corte: lo stato in cui versano le carceri in Sicilia (ma il discorso cambia poco nel resto del Paese: basta leggere i giornali) non è per nulla accettabile. La stragrande maggioranza dei detenuti è in attesa di giudizio (soprattutto extracomunitari), per reati, in prevalenza, c.d. comuni e non di grave allarme sociale. Ogni detenuto costa allo Stato non meno di 350 euro al giorno, per ricevere, spesso, un trattamento inumano e degradante.

All’orizzonte non si intravvedono né atti di clemenza (come auspicato già da Giovanni Paolo II) né ricorso massiccio alle misure alternative al carcere (arresti domiciliari, affidamento ai servizi sociali, semilibertà, ecc.., peraltro di competenza dei Tribunali di sorveglianza), né tantomeno l’apertura di nuove carceri ultimate (malgrado i buoni propositi più volte annunciati) né il ricorso alla liberazione anticipata (consiste in una riduzione della pena pari a 45 giorni, per ogni sei mesi di pena espiata dal detenuto che ha tenuto, però, regolare condotta ed ha anche partecipato alle attività trattamentali). Non sembra, al momento, muoversi nulla che faccia presagire qualcosa di positivo. In Parlamento e nei Palazzi che contano, malgrado le ripetute grida d’allarme dei garanti dei diritti dei detenuti, regna il silenzio.

Eppure le carceri esplodono e cominciano ad esserci problemi di sicurezza dentro di esse, come alcuni casi eclatanti recenti hanno abbondantemente dimostrato. A pagarne il conto sono i "poveracci", i più deboli, che privi di adeguata assistenza legale pagano, per reati non gravi, il loro debito alla giustizia tutto per intero in condizioni pietose e di degrado.

La stessa cosa, sembra, non accadere per i "potenti", che sanno come evitare il carcere e persino per i mafiosi che pur essendo sottoposti all’incostituzionale regime del "41 bis" (articolo dell’ordinamento penitenziario che prevede misure ad personam particolarmente severe di detenzione) dispongono, però, normalmente di celle pulite, arredate, con wc moderni e docce.

Fare emergere nella sua crudezza quello che per ora appare "invisibile" aiuta non poco a sconfiggere la malagiustizia che costringe, intanto, i più "indifesi" ad abitare carceri dove sono calpestati la dignità dell’uomo e diritti fondamentali. Come se si trattasse di vere e proprie discariche sociali e non di luoghi preposti alla rieducazione e al reinserimento nella vita sociale.

Giustizia: ecco com’è il Natale in cella, dalle storie di detenuti

 

Apcom, 23 dicembre 2009

 

"A Natale ero detenuta con mia figlia nel carcere Rebibbia di Roma. Mia figlia aveva 2 anni e mezzo e era tra i 18 bambini detenuti a Rebibbia. Un Natale in carcere per mia figlia. Una bambina non solo detenuta come me, ma a cui è stato negato il Natale. Quella sera infatti non c’era l’albero nel nido di Rebibbia, né tantomeno regali per mia figlia o per gli altri bambini". È parte della testimonianza di una donna che ha vissuto il Natale in carcere insieme alla sua bambina che verrà pubblicata domani sulla pagina di Radiocarcere del Riformista, curata da Riccardo Arena.

"Lo scorso Natale - racconta invece Giovanni - l’ho passato in una cella di isolamento del carcere di Rossano Calabro. Un Natale da detenuto e in completa solitudine. Ricordo che la sera del 24 dicembre non avevo da mangiare. Un ragazzo detenuto nella cella acconto se ne è accorto e mi ha passato un piatto con un po’ di pasta e una fetta di panettone. Dopo aver mangiato mi sono messo a dormire. Non ho aspettato la mezzanotte. Meglio dormire che vivere il Natale in una cella. Meglio dormire per cercare di far passare prima quel Natale".

"La sera del 24 dicembre - racconta invece Mauro ex detenuto del carcere Marassi di Genova - abbiamo unito due tavolini e abbiamo messo un lenzuolo come tovaglia. Alcuni di noi sedevano sugli sgabelli, altri erano seduti sul letto. Eravamo in 6 in quella piccola cella! Così, in qualche modo, abbiamo fatto la nostra cena di Natale. Una cena strana. Una festa strana. Noi sei detenuti rinchiusi in quella cella, cercavamo di trovare una normalità che però nessuno di noi in effetti sentiva di avere.

Cercavamo di sorridere, di tirare su di morale chi era più triste. Ma la verità è che dentro tutti noi c’era tanta tensione e tanta tristezza. Lì dentro infatti c’era solo freddo. Freddo fisico, per via dei termosifoni spenti e freddo morale, per come eravamo costretti a vivere".

Vicenza: 55enne si suicida in carcere, si proclamava innocente

 

Giornale di Vicenza, 23 dicembre 2009

 

La vittima è un artigiano, ex assessore del Comune di Nove, che era stato interrogato ieri mattina. La tragedia ieri pomeriggio. Era stato accompagnato in cella dai carabinieri su mandato di cattura del tribunale di Berlino.

L’ingresso della casa circondariale di Vicenza, dove ieri è avvenuta la terribile tragedia Vicenza. Era stato arrestato domenica per un mandato di cattura europeo. Le autorità tedesche lo accusavano di fatti molti gravi: atti sessuali su minorenne. Ieri, dopo l’interrogatorio di garanzia. nel quale ha cercato strenuamente di spiegare che quelle accuse erano folli, perché lui di mani addosso a bambini e bambine non ne ha mai messe né aveva mai pensato di metterle, è rientrato in cella. E si è tolto la vita. Plinio Toniolo, 55 anni, artigiano di Nove, è morto così all’interno del S. Pio X di Vicenza.

Il dramma è stato scoperto intorno alle 16.30. Le guardie penitenziarie hanno dato l’allarme al 118, ma all’arrivo dei sanitari del Suem non c’è stato più nulla da fare. Toniolo era già morto per soffocamento. La notizia, che ha sconvolto i suoi cari ancor più dell’arresto, ha scombussolato l’intera struttura della casa circondariale ed è destinata a fare parecchio rumore in un periodo in cui le proteste dei detenuti si fanno sempre più serrate per il sovraffollamento, e in cui l’opinione pubblica sta prendendo coscienza di un fenomeno grave, quello dei suicidi dietro le sbarre. Dalle stime, quasi 400 negli ultime sette anni in tutta Italia.

Toniolo era stimato sia come decoratore - ha il laboratorio a Pianezze - sia come uomo. Ex assessore del Comune, ha operato una vita nel settore del volontariato e delle opere sociali, a stretto contatto con la parrocchia. Una persona specchiata, viene descritta in paese, che si è sempre spesa per gli altri. Per questo l’artigiano non sarebbe riuscito a reggere quell’accusa infamante.

Da quanto è stato possibile ricostruire, i carabinieri della compagnia di Bassano avevano ricevuto il mandato di cattura europeo spiccato dal tribunale di Berlino. Non avevano potuto fare altro che arrestare Toniolo e accompagnarlo in carcere. Lui si era detto fin dal primo momento sconvolto dell’accusa, che fa riferimento a episodi avvenuti nei mesi scorsi, quando - come gli accadeva di frequente - si era recato in Germania per lavoro. "Io non ho commesso violenza contro nessuno", ha protestato.

Lo stesso ha fatto ieri, quando - come previsto dalle normative specifiche - è stato interrogato dal giudice della Corte d’Appello di Venezia, competente per i casi di arresto ordinato da altri paesi dell’Ue. Ieri Toniolo si è difeso, ma quando ha saputo che le manette a suo carico erano state convalidate non avrebbe retto ed avrebbe deciso di farla finita. Questa è almeno la prima ricostruzione inviata dai poliziotti in procura. Spetta ora ai vertici del carcere, diretto da Fabrizio Cacciabue, cercare di fare chiarezza, e capire se Plinio abbia lasciato un biglietto con cui spiegare un terribile addio. Per lui, da innocente.

Vicenza: Uil; la strage di detenuti continua il Dap è indifferente

 

Agi, 23 dicembre 2009

 

"Un detenuto 55enne di origine vicentina e detenuto nella Casa Circondariale di Vicenza per reati contro minori si è tolto la vita, intorno alle ore 16.30 di ieri, impiccandosi con il lenzuolo in dotazione. A nulla sono valsi i tentativi di rianimazione posti in essere dal personale di polizia penitenziaria e dei sanitari del 118 accorsi sul posto".

A darne notizia il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno che sottolinea come il suicidio di Vicenza porti a 70 il numero complessivo dei suicidi dall’inizio del 2009.

"Continua la strage - rileva Sarno in una dichiarazione - nell’indifferenza e nel silenzio. Nemmeno questa incredibile pila di cadaveri sembra scuotere l’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia. Si perpetua una intollerabile indifferenza verso il dramma penitenziario, che investe e seppellisce chi nelle galere sconta il supplizio di Stato e la tortura di un lavoro difficile, duro, sottovalutato ed ignorato".

"Rivolgo un appello al Capo dello Stato - afferma Sarno - perché autorevolmente richiami ognuno alle proprie responsabilità. Quelle del Ministro Alfano, per dire, sono quelle di provvedere in chiave politica a questa emergenza; fornendo risposte e attivando politiche deflazionatorie dell’incredibile sovrappopolamento e porre rimedio alla grave carenza organica della polizia penitenziaria. Quelle del Dap, Ionta in testa, sono di gestire le criticità e di assicurare una presenza (che ora non si vede e non si sente).

Una Amministrazione efficiente sarebbe in grado quanto meno di guidare, orientare, sostenere, comunicare, ascoltare il personale. Purtroppo - conclude Sarno - tutto ciò risponde solo ai nostri pii desideri, mentre la macabra conta dei cadaveri continua. Proprio a Vicenza i detenuti da circa venti giorni battono ogni tre ore contro i cancelli e le grate per protestare contro le condizioni di vita e la gestione dell’istituto. È comprensibile, quindi, come il personale subisca da un lato gli effetti della protesta e dall’altro l’indifferenza dell’Amministrazione".

Roma: 38enne, collaboratore di giustizia, si suicida a Rebibbia

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Ciro Giovanni Spirito, 38 anni, collaboratore di giustizia, si è suicidato questa mattina nella Casa di Reclusione di Rebibbia. Lo confermano fonti interne al penitenziario. Spirito si è impiccato nella sua cella, che non condivideva con altri detenuti, in un settore del carcere che ospita i collaboratori di giustizia.

Secondo indiscrezioni, nei giorni scorsi, Spirito, nel corso di un colloquio con la moglie, aveva appreso la notizia che la donna voleva chiedere la separazione. Spirito aveva fatto parte del clan Mazzarella e da qualche anno collaborava con la giustizia. Nel 2007 suo nipote Giosuè era stato ucciso, forse per una "vendetta trasversale".

Cagliari: 510 detenuti in 380 posti, ma solo 70 hanno lavorano

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Allarme sovraffollamento anche nel carcere cagliaritano di Buoncammino: la struttura è nata per ospitare 380 detenuti, ma attualmente ce ne sono 510. Superato, dunque, anche il limite di 486 persone considerato tollerabile dalla stessa direzione della Casa Circondariale.

I dati sono stati forniti dal direttore Gianfranco Pala in occasione di una iniziativa di solidarietà: la consegna a 150 detenuti indigenti e con la famiglia lontana, di un regalo speciale, un kit per l’igiene personale (spazzolini, saponette e bagnoschiuma).

Problemi di numeri, ma questa volta in difetto, anche per gli agenti in servizio a Buoncammino. Sono 210 mentre la quota ideale, sottolinea la comandante di polizia penitenziaria Michela Cangiano, dovrebbe aggirarsi intorno alle 290 unità. La situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi quando in dieci andranno in pensione.

Dei 510 detenuti, 28 sono donne, più un bambino. La quota dei tossicodipendenti si aggira intorno al 40-45 per cento, mentre i cittadini extracomunitari sono il 18%. Soltanto 70 detenuti - dati illustrati dal responsabile dell’area educativa Claudio Massa - svolge attività lavorativa all’interno delle mura, due quelli coinvolti nel telelavoro. Gli impieghi: dalla pulizia alla cucina, dalla manutenzione di impianti elettrici e idraulici ai scrivani per la biblioteca. Ciascun detenuto può avere un conto personale con un tetto massimo di 1.200 euro alimentato dalla paga per i lavori dentro al carcere e dagli aiuti di familiari e volontari.

Spoleto (Pg): il Cna e il carcere insieme per il progetto In-Out

 

Asca, 23 dicembre 2009

 

Punta al recupero, alla socializzazione ed all’inserimento dei detenuti nel modo lavorativo il progetto "In Out", approvato dal Ministero di Giustizia e realizzato dalla Cna in sinergia con la Direzione del carcere di Spoleto. L’iniziativa, avviata nel 2008, grazie anche all’impegno delle forze imprenditoriali e della Cassa di Risparmio di Spoleto che ha assicurato un contributo, spiega una nota del sindacato, sta per raggiungere un primo importante obiettivo. A gennaio 2010 il laboratorio di falegnameria garantirà un’occupazione fissa ad almeno cinque detenuti. "In Out", ricorda Cna, ha visto molte realtà imprenditoriali impegnate in prima linea per portare a compimento le finalità sociali del progetto, in quanto chiamate esse stesse ad organizzare veri e propri siti produttivi all’interno dei laboratori del carcere di Spoleto.

L’Associazione sindacale intende proseguire l’azione di crescita di competenza e capacità dei detenuti attraverso l’apertura del carcere a professionalità esterne, anche imprenditoriali, al fine di agevolare un possibile reinserimento dei detenuti nel circuito produttivo. La scelta di caratterizzare il carcere come nodo di un sistema territoriale di relazioni e di sviluppo, ricorda Cna, presuppone la capacità di fare incrociare il sistema carcere con i piani di sviluppo e le politiche economiche e socio-culturali che investono il territorio spoletino e regionale. Il carcere, da parte sua, offre la possibilità di utilizzo dei propri laboratori interni e le capacità professionali acquisite dai detenuti nei laboratori di tipografia, sartoria, falegnameria, settori che attualmente operano all’interno del carcere.

Cagliari: Socialismo Diritti Riforme dona kit igiene ai detenuti

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Centocinquanta kit per l’igiene e la cura personale sono stati donati ai detenuti indigenti del carcere cagliaritano di Buoncammino. L’iniziativa "Un pensiero per il tuo Natale" è stata promossa dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme" con il sostegno dell’assessorato provinciale alle Politiche sociali. "Il sovraffollamento" - ha affermato stamane a Cagliari alla presentazione dell’iniziativa la presidente SDR, Maria Grazia Caligaris, "determina inevitabilmente precarie condizioni igieniche e sanitarie all’interno delle strutture sanitarie. Nel corso dei colloqui con i detenuti, i volontari della nostra associazione hanno inoltre verificato che molti ristretti, soprattutto extracomunitari nullatenenti e lontani dalla famiglia, non dispongono del necessario per curare adeguatamente l’igiene personale".

Il kit consegnato in questi giorni contiene un bagno schiuma, due saponette, un dentifricio, uno spazzolino e una fialetta di profumo. "Di certo questa iniziativa non risolve i problemi dei detenuti indigenti", ha spiegato il comandante degli agenti di polizia penitenziaria di Buoncammino Michela Cangiano, "ma è innegabile l’importanza che un gesto del genere può rivestire per i detenuti".

Dello stesso avviso la vice presidente e assessore alle Politiche sociali della Provincia Angela Quaquero. "Si tratta di un piccolo dono", ha affermato, "che va molto al di là del contenuto. Vuole infatti essere un conforto per chi si trova in gravi difficoltà e mi pare sia un atto doveroso da parte delle istituzioni, considerato che il diritto alla salute è una prerogativa di ogni cittadino, qualunque sia la sua condizione".

Secondo i dati forniti dal direttore del penitenziario, Gianfranco Pala, nella struttura cagliaritana sono recluse 510 persone, compresi 26 donne e un bambino, a fronte di una capienza certificata di 380 posti e di una cosiddetta "tollerabile" di 476. Dei detenuti a Buoncammino, il 45% è tossicodipendente e uno su cinque è extracomunitario.

Il segretario dell’associazione Socialismo Diritti e Riforme, Gianni Massa, ha focalizzato l’attenzione sul problema del sovraffollamento delle strutture detentive in Sardegna, chiedendo al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria l’assunzione dei 2000 agenti che servono a completare l’organico, ora carente. I rappresentanti dell’associazione hanno anche ribadito la necessità di applicare il principio della territorializzazione della pena che consente ai detenuti di scontare la condanna nelle regioni di origine.

Treviso: Rubinato (Pd); fino a 12 detenuti nelle celle di 16 mq

 

Adnkronos, 23 dicembre 2009

 

"Il sovraffollamento delle carceri è un’emergenza: sino a qui si sono evitate situazioni drammatiche, ma il rischio di rivolte è reale. Il Governo deve dare risposte urgenti anche a Treviso". Cosi Simonetta Rubinato, parlamentare del Pd, dopo che il Consiglio comunale di Treviso ha approvato un ordine del giorno con il quale si chiede al Ministero della Giustizia una sede più idonea per il carcere minorile, visitando le case circondariali della provincia trevigiana.

La parlamentare oggi ha visitato la Casa Circondariale e l’Istituto penale per i minorenni in via Santa Bona, accompagnata dai direttori, rispettivamente Francesco Massimo e Alfonso Paggiarino: "la situazione è molto critica sia a livello strutturale che per quanto riguarda gli organici della polizia penitenziaria. I detenuti nel carcere maschile sono più del doppio della capienza ottimale, 302 contro i 134 previsti. Ho contato in alcune celle di quattro metri per quattro sino a dodici posti letto. L’organico è composto di 130 persone contro i 187 previsti. E anche al minorile la situazione è critica a causa della carenza di spazi e della convivenza di minori con giovani adulti".

"È davvero da apprezzare l’impegno dei direttori e di tutto il personale che - ha sottolineato l’onorevole - con dedizione suppliscono alle mancate risposte da parte dell’Amministrazione centrale. Importante è anche il rapporto con il territorio, le istituzioni locali e il volontariato. Ma il Governo deve fare la sua parte: avere delle carceri più adeguate è necessario anche per garantire più sicurezza e certezza della pena". La Rubinato ha annunciato di volersi attivare in sede parlamentare per chiedere maggiori fondi per investimenti sulle due strutture, ma anche nuove assunzioni per adeguare gli organici della Polizia Penitenziaria.

Livorno: Totaro (Pdl) presenta un’interrogazione sul carcere

 

Il Velino, 23 dicembre 2009

 

Il senatore del Pdl Achille Totaro ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano sulla situazione che sta vivendo il carcere Le Sughere di Livorno, tra sovraffollamento e lavori di ristrutturazione.

Nell’interrogazione Totaro ricorda che "il carcere ospita 425 detenuti a fronte di una capienza per 280, mentre gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto organico di 75 unità e lavorano in una situazione resa più difficile dai lavori attualmente in corso che li costringono ad una maggiore sorveglianza. Quindi il senatore chiede al ministro di sapere "quali determinazioni intenda assumere al fine di potenziare il personale di polizia penitenziaria anche in considerazione del maggiore impegno richiesto e in che modo intenda intervenire al fine di trovare un giusto equilibrio che tuteli la dignità dei detenuti e garantisca lo svolgimento del servizio di vigilanza in totale sicurezza".

Milano: anche 25 detenuti del carcere di Bollate spalano neve

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Ai 25 detenuti del carcere di Bollate che già oggi Amsa ha impiegato per la pulizia delle strade di Milano dalla neve se ne aggiungeranno domani altri 19 per i quali è arrivata oggi l’autorizzazione dei magistrati di sorveglianza. A rivelarlo è stato il provveditore delle carceri lombarde Luigi Pagano. "Questa è un’operazione - ha affermato Pagano - di enorme valore sociale che dimostra come l’impiego dei detenuti per lavori utili anche all’esterno del carcere non solo sia possibile ma anche utile e apre grandi possibilità ad aziende che cercano personale".

I detenuti saranno impiegati nelle operazioni di pulizia dalla neve dalle 9 alle 15 e il loro servizio sarà retribuito. "Questa è la summa del progetto Bollate - ha commentato la direttrice dell’istituto penitenziario del Milanese - il cui obiettivo istituzionale è quello di offrire all’utenza detenuta una serie di opportunità lavorative, formative e socio-riabilitative in modo da abbattere il rischio di recidiva, favorendo il graduale ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale".

Napoli: protesta di familiari dei detenuti davanti a Poggioreale

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Un blocco stradale, da parte di circa 200 persone, è in corso davanti al carcere di Poggioreale a Napoli. Sul posto c’è la polizia municipale per la deviazione del traffico che è comunque pesantemente rallentato. Secondo quanto riferito da alcuni manifestanti ai vigili, la protesta è stata organizzata per sollecitare maggiore attenzione ai diritti dei detenuti, soprattutto in vista del Natale.

Palermo: Ucciardone; apre Sportello del Garante dei detenuti

 

Comunicato stampa, 23 dicembre 2009

 

Da oggi è attivo, presso la Casa Circondariale Ucciardone di Palermo, lo sportello dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti. "Si tratta, ha dichiarato il Sen. Fleres, Garante per la tutela dei diritti dei detenuti, di un progetto che intendo estendere anche presso altre strutture penitenziarie della Sicilia ma che vede l’Ucciardone come primo luogo in cui un funzionario dell’Ufficio si recherà settimanalmente per svolgere i colloqui con i ristretti che ne faranno richiesta. Responsabile di questo sportello è la Dott.ssa Gloria Cammarata che già da tempo, grazie al rapporto di collaborazione istauratosi con il Direttore del carcere, Dott. Maurizio Veneziano, di fatto svolge. Lo sportello sarà aperto un giorno a settimana, a rotazione in modo da consentire a tutti i ristretti di poterne usufruire senza intaccare la giornata dedicata ai colloqui con i familiari. Il primo giorno effettivo di funzionamento è già stato fissato per il prossimo 29 dicembre.

Per avere un colloquio, ha proseguito il Sen. Fleres, occorre scrivere presso l’Ufficio del Garante, così come in atto accade. Mi auguro - ha concluso il Sen. Fleres - di proseguire tale opera a dimostrazione dell’ormai consolidato rapporto di collaborazione con il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Dott. Orazio Faramo, e con le Direzioni degli Istituti di pena".

Pavia: rintracciato e arrestato, l'albanese evaso carcere Terni

 

Il Velino, 23 dicembre 2009

 

"Il latitante albanese Taulant Toma, evaso dalla Casa Circondariale di Terni il 9 ottobre scorso, è stato catturato dagli uomini del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria e dagli uomini del Commissariato Venezia-Garibaldi di Milano il 22 dicembre alle ore 13,10 circa in un residence di Casarile (PV).

Insieme a Toma è stato arrestato, per favoreggiamento, anche Kuni Erjis, cugino dell’evaso e dopo circa due ore anche un altro cittadino albanese Lazri Valentin trovato in possesso di una pistola con matricola abrasa e con circa 500 gr. di cocaina". È quanto si legge in una nota del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

"Il Toma era evaso il 9 ottobre scorso dal penitenziario di Terni dove scontava una condanna per rapina aggravata e per la quale sarebbe stato scarcerato nel 2014. Le indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Terni erano iniziate con pedinamenti, osservazione e controllo sulle persone che avrebbero in qualche modo potuto condurre al ricercato su tutto il territorio nazionale con l’ausilio dei referenti periferici di Polizia Giudiziaria degli istituti penitenziari di Terni, Ancona e Trento. Nel corso delle operazioni che hanno portato alla cattura di Toma sono state sequestrate complessivamente: 4 auto di grossa cilindrata ritenute rubate, 4 pistole di cui 2 cal. 9 parabellum, 1 colt 357 e una Smith Wesson 38 special con relativo munizionamento, 500 gr. di cocaina, nonché un ingente quantitativo di refurtiva (oro, gioielli, numerose carte di credito, computer, televisori, orologi ed altro) e attrezzature in dotazione alle Forze di Polizia, quali lampeggianti e altro".

Ravenna: corruzione; condannato agente polizia penitenziaria

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Corruzione, istigazione alla corruzione e tentata concussione. Sono i reati per i quali Vito Cosimo Miacola, 49 anni, originario di Erchie in provincia di Brindisi e fino al febbraio scorso assistente capo della polizia Penitenziaria nel carcere Port’Aurea di Ravenna, ha patteggiato un anno e 11 mesi. Secondo quanto riportato dall’ordinanza di custodia cautelare chiesta a suo tempo dal Pm Stefano Stargiotti, le accuse partono dal luglio 2008 quando l’agente avrebbe ricevuto 300 euro per consegnare clandestinamente a un detenuto messaggi da una donna.

Ad agosto Miacola avrebbe minacciato un altro detenuto prima per telefono e poi con vari sms dicendogli che se non avesse consegnato 500 euro, gli avrebbe fatto revocare il regime di semilibertà. Durante la stessa estate l’uomo avrebbe poi chiesto a un altro detenuto del danaro minacciandolo di scrivere, in caso di rifiuto, una relazione negativa sul suo comportamento.

Nell’ambito dello stesso procedimento erano state a suo tempo arrestate dalla squadra Mobile di Ravenna altre due persone. Sui tratta di un collega e parigrado di Miacola, Giovanni Pipoli, 42 anni, di Foggia e anche lui fino a febbraio in forza al carcere di Ravenna. E di Antonio Sciuto, 56 anni, originario di Catania, in passato detenuto a Ravenna e ora rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di San Gimignano (Siena). I due, sempre per fatti di presunta corruzione dietro alle sbarre, verranno giudicati a metà gennaio per abbreviato.

Immigrazione: sciopero della fame contro "tempi" clandestini

di Gaoussou Ouattara

 

Liberazione, 23 dicembre 2009

 

La morte di Sher Khan, dopo vent’anni di residenza in Italia, a causa delle leggi proibizioniste sull’immigrazione, è il tragico simbolo di come in Italia la nostra vita da immigrati in attesa del permesso di soggiorno sia una vita da reclusi. A seconda dei momenti, siamo imprigionati nei Cie, realmente, o siamo in libertà vigilata, in balia della possibile revoca del permesso di soggiorno o della sua non ottenibilità. Questa condizione è diventata addirittura reato: siamo passati alla discriminazione razziale diretta.

Prendendo atto dell’attuale maggioranza parlamentare, non sembra esserci alcuna possibilità di raggiungere questo obbiettivo, nonostante siano già stati depositati diversi disegni di legge per l’allargamento della sanatoria, oltre a colf e "badanti". Abbiamo deciso perciò di non fermarci ad attendere tempi migliori ed è nata la nostra campagna nonviolenta per affermare il principio di legalità sui tempi per i permessi di soggiorno.

Con l’approvazione del pacchetto sicurezza, le procedure burocratiche sono diventate ancora più pesanti. Per il rinnovo annuale, infatti, si aspetta fino a 8-15 mesi, nonostante il Testo unico sull’immigrazione preveda che "il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla domanda". Sono oltre 500mila le persone in attesa del permesso di soggiorno; spesso il permesso arriva che è già scaduto.

Nonostante le nuove procedure elettroniche in alcune città, l’arretrato è enorme e le questure non sanno come smaltirlo. Esistono diverse risorse di cui potrebbe avvalersi il governo e il ministro dell’Interno per risolvere questa urgenza umanitaria. La prima ce la suggerisce il questore di Pavia che, prendendo atto della situazione, ha deciso di prolungare la validità del permesso di soggiorno con un timbro. In questo modo, mentre si attendono i tempi della burocrazia, i richiedenti potranno, senza le difficoltà che conosciamo, richiedere un posto di lavoro, prendere la patente, iscrivere all’asilo i propri figli.

Peraltro verso il governo si potrebbe introdurre la regola del silenzio-assenso. In Italia ormai si possono costruire ville e palazzi con il silenzio-assenso, ma questo non vale per i nostri regolari documenti. L’iniziativa nonviolenta andrà avanti ad oltranza per chi vorrà e a staffetta per gli altri, fino alla risposta delle istituzioni. Con me sono già più di 50 gli esponenti delle comunità d’immigrati di tutta Italia che in questi giorni si sono uniti allo sciopero della fame.

Immigrazione: ancora tensioni nel Cie di Roma Ponte Galeria

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Situazione tesa all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. Questa mattina, nel giro di pochi minuti, un immigrato algerino si è ferito con un rasoio mentre un tunisino ha tentato, invano, di darsi fuoco. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

L’algerino M. A., 25 anni proveniente dal carcere di Velletri, si trova da cinque mesi nel C.I.E. in attesa del riconoscimento da parte del suo Paese di origine. Questa mattina si è colpito più volte un braccio con una lametta per protestare contro il fatto che, a suo dire, un connazionale entrato nel Centro dopo di lui sarebbe stato fatto giù uscire.

Il trentenne marocchino A.M., invece, si trova da tre mesi e mezzo al C.I.E. ed ha provato a darsi fuoco con un accendino. L’uomo non vuol essere rimpatriato in Marocco e chiede, invano, di poter uscire dal Centro per trasferirsi in Francia, dove dice di avere dei parenti.

Attualmente a Ponte Galeria sono ospitate 263 persone, 151 uomini e 112 donne. Soprattutto fra gli uomini, la presenza è in deciso aumento, al punto che il settore maschile è quasi pieno.

"Le norme in tema di immigrazione - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - le difficoltà di riconoscimento legate ai rapporti con le ambasciate e, non da ultimo, il freddo stanno trasformando i C.I.E. in luoghi di tortura psicologica che possono portare alla disperazione, come nei casi di questa mattina. A causa della lentezza delle identificazioni, non è più una eventualità ma una certezza la possibilità, per gli ospiti, di trascorrere sei mesi nel Centro. A questo, a Ponte Galeria, si aggiunge anche la criticità delle condizioni di permanenza aggravata, negli ultimi giorni, dall’interruzione della collaborazione tra Croce Rossa e Asl sull’assistenza sanitaria. A Ponte Galeria tutto sarà fuorché un bel Natale".

Stati Uniti: Guantanamo; chiusura carcere non prima di 2011

 

Apcom, 23 dicembre 2009

 

Nuovo ritardo per la chiusura del carcere militare statunitense di Guantanamo, che non potrà essere effettuata prima del 2011 a causa delle difficoltà dell’Amministrazione Obama di reperire i fondi necessari. Come riporta il quotidiano statunitense The New York Times, la proposta di acquistare e modificare appropriatamente il Thomson Correctional Center, un carcere di massima sicurezza dell’Illinois in virtuale disuso, si è arenata perché l’Agenzia federale per le carceri non dispone dei 150 milioni di dollari necessari né il Congresso ha finora dato il suo benestare a uno stanziamento straordinario per il Dipartimento competente, quello della Difesa.

Un nuovo dibattito sui bilanci militari - per le operazioni in Afghanistan - non è previsto prima del prossimo marzo, e probabilmente la copertura necessaria slitterà alla finanziaria per il 2011. In alternativa l’Amministrazione avrebbe pensato ad invocare una legge - poco nota e ancor meno utilizzata - che permette al Presidente, in caso di emergenza nazionale, di riallocare i fondi già stanziati per altri progetti militari, ma temendo la reazione del Congresso avrebbe deciso di soprassedere.

Oltre al costo dell’impianto in sé per rendere agibile il nuovo carcere occorrerebbero numerosi lavori quali una nuova recinzione, torri di guardia, telecamere ed altri sistemi di sicurezza, o per una durata minima di circa otto mesi: lavori che non possono essere avviati prima dell’acquisto del carcere da parte delle autorità federali.

Gran B.: 500 sterline ai detenuti stranieri per lasciare il paese

 

Ansa, 23 dicembre 2009

 

Una carta prepagata del valore di quasi 500 sterline. È l’ultima trovata del governo britannico per convincere i detenuti stranieri - che non fanno parte della Ue - a lasciare il Regno Unito dopo aver scontato la sentenza. Il bancomat post-carcere, introdotto in gran segreto dai funzionari del ministero dell’Interno due mesi fa, è parte di un pacchetto di aiuti per gli stranieri che si avvicina alle 5.000 sterline a testa. Numeri che anno suscitato diverse polemiche sul fronte politico.

"Se il governo si può permettere questi incentivi per far sì che i detenuti stranieri lascino il paese, lo stesso trattamento dovrebbe essere riservato ai britannici che escono dal carcere", ha detto al Times Harry Fletcher, co-segretario della National Association of Probation Officers, l’autorità britannica per la libertà vigilata. Il pacchetto aiuti, infatti, comprende sostegno per trovare casa, lavoro o corsi di aggiornamento professionale. Dominic Grieve, ministro-ombra alla Giustizia, ha definito la cifra di denaro elargita cash in mano come "un oltraggio". "È sufficientemente triste sapere che Gordon Brown ha perso il controllo delle frontiere e che a molti criminali è stato permesso l’ingresso nel Paese. Ora apprendiamo che i detenuti stranieri ricevono pure carte prepagate con il denaro dei contribuenti".

 

 

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