Rassegna stampa 22 dicembre

 

Giustizia: l’anno orribile per le carceri, record detenuti e morti

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 22 dicembre 2009

 

Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente e gravemente ammalato, si è tolto la vita venerdì scorso, impiccandosi nella sua cella nel carcere di Salerno. Con la sua morte, sale così a 69 il numero di reclusi che si sono uccisi in carcere nel corso del 2009. "Viene così eguagliato il triste "record" del 2001. Il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica", denuncia l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere.

L’anno nero delle carceri italiane si avvia così verso una drammatica conclusione. "I morti - denuncia l’Osservatorio - sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che provengono da realtà di emarginazione sociale". Il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo, il 60% ha una qualche forma di epatite. "Negli anni Sessanta i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi - prosegue il rapporto dell’Osservatorio - i tentativi di togliersi la vita addirittura 15 volte meno frequenti". E non certamente perché all’epoca i detenuti vivessero meglio.

Nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8mila unità, passando dai 58mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66mila che, verosimilmente, trascorreranno la prossima notte di San Silvestro in cella. Gli spazi però restano gli stessi, con il risultato che, in molte celle, si dorme a rotazione oppure estraendo alla bisogna una brandina pieghevole. Trentaquattro dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono "fuori legge" dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta.

Ma l’aumento della popolazione detenuta (più 18mila unità dal 31 dicembre 2007 a oggi, ndr) non è dato tanto dall’aumento degli arresti, sostanzialmente invariati, "quanto dalla diminuzione delle uscite", spiega Francesco Morelli, del centro studi Ristretti Orizzonti del "Due Palazzi" di Padova. Leggi come la Cirielli, ad esempio, impediscono di accedere alle misure alternative. "Prima dell’indulto c’erano 60mila detenuti e 50mila condannati in misura alternativa. Oggi sono solo 12mila le persone che stanno scontando la pena in misura alternativa".

Complessivamente, i ristretti sono 65.774, oltre 22.500 in più rispetto alla soglia regolamentare (circa 43 mila) e di poco superiore a quella tollerabile, di 64mila unità. "Tutto ciò - osserva Donato Capece, segretario del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria - si riassume con la parola "sovraffollamento".

Per noi si tratta di condizioni di lavoro e di vita impossibili da sostenere". Senza contare che, su oltre 65mila detenuti, quasi il 50% (30.818 persone) è in attesa di giudizio. "All’inizio si diceva che era un dato determinato dall’indulto - ha commentato Francesco Cascini, magistrato e responsabile del servizio ispettivo del Dap -. Oggi i detenuti in attesa di giudizio sono 7mila in più rispetto a quelli che si trovavano in questa situazione prima del 2006. Ed è un fenomeno in aumento. Siamo di gran lunga il Paese europeo che ha il più alto numero di detenuti in attesa di giudizio". Una situazione resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13mila euro all’anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale, si è passati ai 6.383 del 2009. Diminuisce così anche la possibilità di lavorare all’interno delle carceri, come "scopini" o "porta-vitto", e di mettere da parte qualche soldo per acquistare le sigarette e persino generi di prima necessità. Al carcere della Dozza, a Bologna, i detenuti hanno chiesto in regalo penne, buste e francobolli, per poter scrivere a casa per le feste.

Giustizia: verità per Cucchi e per tutti gli altri 171 detenuti morti

di Marco Ferrante

 

Il Riformista, 22 dicembre 2009

 

Venerdì, Uzoma Emeka, nigeriano di trentadue anni, ristretto nel carcere di Castrogno in provincia di Teramo è morto dopo un ricovero ospedaliero avvenuto a cinque ore dal momento in cui si è sentito male.

Emeka era stato il testimone del pestaggio avvenuto il 22 settembre scorso di un altro detenuto, un tossicodipendente colpito da una guardia penitenziaria. Il caso, ancora aperto, era stato reso pubblico da Serenella Mattera in un articolo pubblicato dal Riformista che riprendeva un giornale locale, La Città. Mattera raccontò anche la reazione del comandante della polizia penitenziaria del carcere, Giuseppe Luzi: "Non si massacrano così i detenuti in sezione, si massacrano sotto. Si è rischiata la rivolta perché c’era il negrettto, il negro, ha visto tutto". Le parole del comandante furono registrate da un testimone e il comandante fu rimosso dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Uzoma Emeka è il 172 esimo detenuto morto in carcere nel 2009. L’autopsia effettuata ieri ha accertato che Emeka è morto per un tumore al cervello. Al momento non si sa ancora se gli fosse stato diagnosticato. Dunque è una coincidenza rispetto al suo status di testimone, ma come minimo è comunque un caso di abbandono terapeutico. La magistratura ha aperto un’inchiesta e vedremo.

Il caso Castrogno emerse qualche giorno dopo la morte di Stefano Cucchi all’ospedale Pertini di Roma. Ieri Ignazio Marino, senatore del Pd, capo della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, ha riferito un fatto nuovo: il medico che visitò Cucchi nel carcere di Regina Coeli il 16 di ottobre avrebbe subito delle pressioni per autosospendersi. L’amministrazione del carcere avrebbe anche cercato di ritardare l’audizione del medico davanti alla commissione, riferendo che al momento della convocazione era all’estero per il viaggio di nozze. Il medico invece era in Italia.

I radicali stanno protestando contro l’archiviazione per la morte di Aldo Bianzino, un falegname deceduto in carcere nell’ottobre del 2007 a Perugia, dopo un arresto per la coltivazione di piante di canapa. L’agente di turno venne accusato per omissione di soccorso. Qualche giorno fa il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione e il gip l’ha accordata. La famiglia di Bianzino ritiene che ci siano margini per la riapertura del caso, perché la lacerazione del fegato che fu riscontrata non poteva essere dipesa dall’energia del massaggio cardiaco nella fase di rianimazione come conclusero i consulenti medico-legali del pm. Adesso c’è un procedimento penale contro una guardia carceraria per omissione di soccorso, udienza fissata il 20 giugno a Perugia.

Su ognuna di queste morti bisogna fare chiarezza. Sul caso Cucchi, è necessaria una chiarezza triplice. Cucchi è stato arrestato dai carabinieri, custodito dalla polizia penitenziaria e poi dai medici di un ospedale. È stato affidato a tre istituzioni primarie dello stato, a tre simboli carnali della civiltà, della democrazia, e della tutela dei diritti dei deboli. Nessuna di queste istituzioni si è assunta una responsabilità, nessuna ha assunto un atteggiamento dubbioso e nessuna ha provato a chiedere scusa per non saper neppure giustificare la propria irresponsabilità per quel terzo degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi che li riguardava. L’istituzione è responsabile anche di quello che non sa.

Lo stato del nostro sistema giudiziario è estremamente fragile. I tempi dei processi, la carcerazione preventiva, la persistenza di alcune debolezze strutturali (per esempio, il tema della separazione delle carriere), la generosità dei meccanismi premiali: sono tutti problemi da risolvere che minano la reputazione della Giustizia. Il caso Cucchi ci dice che il sistema è fragile sin dalla fase dell’arresto, sin dalla fase del fermo addirittura (ricordate la morte dello studente ferrarese Federico Aldrovandi?), e del resto basta seguire le trasmissioni e le pagine di Radio Carcere. Ma ci dice anche qualcosa su noi stessi. Non si può dimenticare Cucchi. Ha ragione Pierluigi Battista: prima un sussulto di dignità e poi assuefazione collettiva, nessuno che abbia ancora la stessa voglia di chiedere come e perché è morto.

Questa è una storia che riguarda i giornali, ovviamente. Ma riguarda anche la classe dirigente politica. Il parlamento sembra poco reattivo e il governo anche. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, si compiacque del fatto che i Carabinieri si fossero rivelati estranei. Convochi il capo dell’arma dei Carabinieri di Roma e si faccia spiegare meglio. La stessa cosa faccia il ministro della Salute con la direzione dell’ospedale Sandro Pertini. E così faccia anche il ministro della giustizia, Angelo Alfano con i dirigenti di Regina Coeli.

Se vogliamo dare credibilità alla necessaria, complessiva riforma della giustizia italiana, dobbiamo cominciare da qui, da un arresto per un reato minore concluso in una tragedia. Per rendere più chiaro all’opinione pubblica che la cattiva giustizia non è una dimensione astratta, riguarda tutti noi. Stefano Cucchi era un ragazzo di trentuno anni, diplomato in un istituto tecnico per geometri, che viveva con sua madre e suo padre.

Giustizia: benedetto chi si occupa della causa persa del carcere

di Adriano Sofri

 

Il Foglio, 22 dicembre 2009

 

Venerdì scorso si è impiccato nel carcere di Salerno Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente, malato. È difficile che lui l’abbia saputo, ma ha fatto eguagliare il record di tutti i tempi di suicidi in carcere, realizzato nel 2001: sessantanove. E l’anno non è finito.

Intanto, a Teramo è morto in galera Uzoma Emeka, 32 anni, detenuto nigeriano. Quel detenuto che "aveva visto tutto" secondo il comandante degli agenti penitenziari, il quale lo chiamava "il negro", e urlava ai suoi che i detenuti vanno massacrati di sotto, e non in sezione. E’ il centosettantaduesimo detenuto morto in carcere quest’anno. Emeka scontava una pena di due anni per spaccio: una condanna a due anni nessuno dovrebbe scontarla in galera. A meno di essere un negro o un’altra specie di straniero.

L’orrore delle prigioni fa un meraviglioso contrasto col proclamato avvento del regime dell’amore. Ma le prigioni sono per definizione degli altri. In cambio tutta questa neve e gelo promettono un Natale coi fiocchi nelle stalle penitenziarie.

Radicali Italiani e Ristretti Orizzonti, reduci da un prezioso congresso ospitato nel carcere di Padova, hanno presentato una proposta di legge intitolata a un "Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale" che muove dallo scandalo della situazione esistente: 43.000 posti disponibili, per 66.000 detenuti, dei quali oltre 20.000 stanno scontando pene inferiori ai 3 anni. Siano benedetti tutti coloro che si impegnano in questa causa persa, che ne sentono la sofferenza umana e l’iniquità civile.

Sia benedetto anche Marco Pannella, benché si dilapidi in digiuni e scioperi della sete e in semplificazioni sulla complicità partitocratica fra maggioranza e opposizione che richiamano alla memoria idee come il socialfascismo. Sabato sera era da Fabio Fazio, non l’ho visto perché una nevicata senza precedenti mi aveva lasciato senza acqua e televisione, ma l’ho sentito domenica riferire che all’uscita dalla trasmissione aveva spedito ai suoi cari un messaggio che diceva: "Ho toppato completamente". Bravo.

Giustizia: aveva un tumore al cervello, lasciato morire in cella

di Sandra Amurri

 

Il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2009

 

Il cervello di Uzoma Emeka, detenuto nigeriano di 32 anni, presenta una conformazione neoplastica di circa 4 cm. Al momento non si può dire se si tratti di un ascesso o di una placca tumorale. Il medico legale Sciarra che ha eseguito l’autopsia (che il Pm della Procura di Teramo, Roberta D’Avolio ha ordinato fosse video ripresa), potrà avere la certezza della diagnosi solo dopo i risultati di un ulteriore esame al cervello che è stato trattato con la formalina e non prima di 30 giorni.

Di certo la morte è sopravvenuta per cause naturali e non è stata provocata. Ma questo non basta a mettere a tacere le tante inquietanti domande che restano sul tappeto: come mai un detenuto affetto da una malattia così grave invece di essere ricoverato in ospedale è stato lasciato nel carcere di Castrogeno a Teramo dove era rinchiuso dal giugno 2008? E come mai, considerati i frequenti svenimenti, nausee, vertigini, che lasciavano intuire un quadro clinico non certamente lieve, Uzoma non è mai stato sottoposto ad una Tac?

E perché Uzoma non è stato protetto o trasferito quando è stata resa nota la conversazione tra Giuseppe Luzi, capo delle guardie carcerarie, e un suo sottoposto registrata con un cellulare e inviata in busta chiusa e anonima in cui si diceva: "Abbiamo rischiato la rivolta perché c’era il negro che ha visto tutto, non si può massacrare un detenuto così in sezione, un detenuto si massacra sotto", di cui il ragazzo era stato testimone?

Eppure era molto preoccupato. Lo aveva confidato alla convivente Loveth Omorodion, madre dei suoi due figli, uno di 4 anni e uno di soli 10 mesi, che aveva subito chiamato l’avvocato. Di certo, Uzoma si è sentito male al mattino alle 8,30 ma l’autoambulanza è stata chiamata solo alle 13,30 e quando è arrivato all’ospedale era già morto.

Ma c’è di più ad avvalorare la tesi che Uzoma non sia stato curato. L’autopsia ha rivelato che recentemente è stato colpito da infarto miocardico e prima di essere arrestato non era mai stato male, dunque, l’infarto lo ha avuto certamente in carcere ma non risulta che sia mai stato ricoverato. Tra tanti interrogativi una certezza, spiega l’avvocato Giulio Lazzaro del Foro dell’Aquila: "Uzoma, arrestato per spaccio di droga e condannato a 2 anni e 10 mesi era un detenuto modello che lavorava in carcere tanto da essersi guadagnato una riduzione della pena e un permesso per tornare a casa a Natale".

Un Natale che per lui non arriverà mai. Luigi Manconi, presidente di "A Buon Diritto" non ha dubbi: "Siamo di fronte all’ennesimo caso di abbandono terapeutico. E quello di Uzoma non è un caso isolato". Mentre la deputata Rita Bernardini (Radicali-Pd), della Commissione Giustizia, che aveva compiuto una visita al carcere teramano dopo il pestaggio e che ha presentato un’interrogazione al Ministro della Giustizia Alfano, racconta che il carcere di Teramo "è senza direttore".

E non solo "vi sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230, gli agenti in servizio sono solo 155 a fronte di una pianta organica che ne prevede 203". E aggiunge che "oltre il 50% dei reclusi è malato". Interrogazione che è anche stata presentata dal senatore Francesco Ferrante del Pd per chiedere l’istituzione di un’indagine amministrativa interna per accertare "le effettive cause della morte del detenuto nigeriano Uzoma Emeka".

Perché "Lo Stato ha il dovere istituzionale, politico e morale di non lasciare nulla di intentato per garantire ai detenuti condizioni di vita conformi al dettato costituzionale" precisa la deputata Bernardini. Con la morte di Uzoma Eureka, come rende noto l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, i decessi in prigione nel 2009 arrivano a quota 172. Viene così superato il triste record del 2001, che aveva segnato con 171 detenuti morti, il numero più alto di morti nella storia della nostra Repubblica.

Negli ultimi 10 anni, nelle carceri italiane, sono morte 1.560 persone. Di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti. Sempre, comunque, persone fragili, deboli, ma essere umani che dietro le sbarre diventano numeri, che perdono il diritto ad essere curati e ad essere rieducati perché figli di un Dio minore.

Giustizia: Favi (Pd); fugare dubbio su morte detenuto Teramo

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

"La morte di Uzoma Emeka, detenuto nigeriano nel carcere a Teramo e testimone del pestaggio di un altro detenuto italiano lo scorso 22 settembre, nel carcere di Castrogno, impone alla magistratura di fare chiarezza sulle cause del decesso". "Nel lungo elenco delle morti in carcere, che si sono susseguite quest’anno e che troppo spesso rimangono senza causa certa, è bene che venga fugato ogni dubbio sul decesso di Uzoma e che sia certamente imputabile a cause naturali".

"Riteniamo inoltre urgente che vengano al più presto stanziati fondi per migliorare le condizioni di vita nelle carceri di tutto il personale e dei detenuti, vogliamo anche sapere dal governo quando e dove sono previsti i nuovi istituti del Piano carceri annunciato all’inizio del suo mandato con tanta enfasi dal ministro Alfano". Lo dichiara Sandro Favi, responsabile Settore carceri del Forum giustizia del Pd.

Giustizia: morte Marco Toriello, un altro "suicidio misterioso"?

di Luigi Manconi (Presidente Associazione A Buon Diritto)

 

Alfonsina Toriello: "Pesava poco più di quaranta chili, aveva quasi certamente un tumore, ma veniva solo imbottito di psicofarmaci e non prendeva più le medicine per la cirrosi epatica. Non si reggeva in piedi: qualcuno deve spiegarmi come sia possibile che in quelle condizioni sia riuscito ad arrampicarsi alla grata e legarsi quella cinta al collo".

Se questo ultimo suicidio viene considerato "misterioso" dalla sorella di Marco Toriello, che si è tolto la vita tre giorni fa nel carcere di Salerno, è a causa della soffocante e crescente opacità del sistema penitenziario, dove domina ormai un regime di omissione di soccorso e di frequente abbandono terapeutico.

Analogamente a quanto accaduto nel carcere di Teramo, abbandonato dagli uomini e da Dio, "nemmeno un prete per chiacchierare": anche il cappellano manca da molti mesi. Per questo appare ancora più indecente il sospiro di sollievo, che si avverte in alcuni ambienti dell’amministrazione e dei sindacati della polizia penitenziaria, per il fatto che Uzoma Emeka, detenuto nigeriano, sia morto "solo" per tumore cerebrale.

Dunque, la sua morte non è immediatamente collegabile al fatto di essere stato tra i testimoni del pestaggio avvenuto in quel carcere alcune settimane fa, per il quale il comandante è stato sospeso dall’incarico. Il risultato dell’autopsia rischia, così, di far dimenticare due circostanze altrettanto inquietanti: 1) il malore che ha portato alla morte del detenuto era stato preceduto, due giorni prima, da un altro grave episodio, al quale non aveva fatto seguito alcun provvedimento sanitario né alcuna forma di assistenza specialistica; 2) dopo il malore del venerdì mattina, alle 8.30, si sono aspettate molte ore (4 o 5) prima di disporre il ricovero in ospedale.

Si è avuta così la 172esima morte in carcere nel corso degli ultimi 12 mesi; e lo stesso giorno si è registrato il 69esimo suicidio del 2009 (sempre che anche quest’ultimo non sia "misterioso"). È il numero più alto di suicidi (eguagliato solo nel 2001) degli ultimi due decenni: e si ricordi che in carcere ci si toglie la vita 17-18 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere. Su tutto ciò il silenzio del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, risulta assordante e tragicamente bizzarro. Immaginiamo che sia in tutt’altre faccende affaccendato o che, esausto per l’eccessivo carico di lavoro, abbia deciso di godersi in anticipo le ferie natalizie. Gli auguro tanta, tanta, serenità.

Giustizia: Pd; Alfano chiarisca l'archiviazione del caso Bianzino

 

Il Velino, 22 dicembre 2009

 

"Chiediamo al ministro della Giustizia di fare chiarezza sull’archiviazione fatta dal Gip di Perugia delle indagini per omicidio, a carico di ignoti, per la morte di Aldo Bianzino, detenuto nel carcere del capoluogo umbro. Non è tempo di lasciare sospetti e dubbi sulla morte di un carcerato". Lo dichiara Walter Verini, deputato del Pd. "La morte di un detenuto è inaccettabile - prosegue Verini - e ne va della credibilità dell’intero sistema giudiziario italiano e, in quanto tale, non può rimanere senza responsabili. Per questo chiediamo di verificare se le procedure che hanno portato all’archiviazione siano state tutte scrupolosamente seguite così da togliere le zone d’ombra che ancora ci sono sulla prima parte dell’indagine".

Giustizia: Sappe; nelle carceri non avvengono morti "sospette"

 

Agi, 22 dicembre 2009

 

"È importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai poliziotti penitenziari, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio.

Per questo continuano a pervenirci lamentele per la mancata tutela e la non adeguata promozione dell’immagine della Polizia Penitenziaria presso l’opinione pubblica. Raccoglietelo questo disagio: è quello di chi lavora ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane". È quanto scrive Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe in una nota diretta al Ministro della Giustizia Angelino Alfano ed al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta in relazione agli esiti delle autopsie su alcuni detenuti morti in carcere che hanno escluso eventuali responsabilità di terzi nei decessi.

"Ci ripugna leggere e sentire di morti sospette nelle carceri italiane - aggiunge Capece - perché questo vuole dire rappresentare i penitenziari italiani come luoghi fuori dalle regole della democrazia e delle leggi in cui accade di tutto, di più. Così non è! Ribadiamo ancora una volta che proprio noi, che rappresentiamo il primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, siamo i primi a chiedere che il carcere sia una casa di vetro, perché non abbiamo nulla da nascondere.

Non è accettabile il gioco al massacro all’onorabilità della Polizia penitenziaria e dei suoi appartenenti che va in scena da ormai molte settimane. È importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai nostri colleghi, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio".

Giustizia: Uil; morti per cause naturali, basta gogne mediatiche

 

9Colonne, 22 dicembre 2009

 

"Comprendiamo ed approviamo, l’attenzione verso le tanti, troppe, morti che si verificano all’interno dei penitenziari. Non approviamo, non comprendiamo, non giustifichiamo l’alimentazione di supposizioni che vogliono ogni morte in carcere avvolta nell’alone del mistero. Addirittura più o meno velatamente si continua a far riferimento a supposte violenze perpetrate dal personale penitenziario".

Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari Eugenio Sarno dice basta alle "gogne mediatiche" contro i baschi blu sulla scia del caso Cucchi e dopo che l’autopsia su Uzoma Emeka, il 23enne senegalese morto nel carcere di Teramo, ha certificato il decesso per un tumore al cervello, come il caso del detenuto di Perugia deceduto per un aneurisma. Sarno rende noto quindi che è stato attivato sul sito www.polpenuil.it la pagina web "Diario di Bordo", dove "vengono quotidianamente monitorati e registrati tutti gli eventi critici che si registrano all’interno delle prigioni italiane".

E sottolinea: "Se è vero come è vero che i 69 suicidi dall’inizio dell’anno rappresentano il punto di non ritorno di una barbarie che colloca ancor di più nell’illegalità e nell’inciviltà il nostro sistema penitenziario è pur vero che il personale di polizia penitenziaria ha salvato in questi 11 mesi ben 362 vite a detenuti che hanno tentato il suicidio (totale dei tentati suicidi 584)". Sarno invita quindi la stampa a "non seminare ingiustificati sospetti sulla polizia penitenziaria che quotidianamente mette a repentaglio la propria vita per garantire quella degli altri". E ricorda quindi le centinaia di agenti feriti ed aggrediti (820 negli ultimi 23 mesi) nelle carceri italiane.

Giustizia: Sinappe; "caso Teramo" sgonfiato dalla magistratura

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

Se da un lato il Sinappe Abruzzo ringrazia la "correttezza e la velocità della magistratura" che ha sgonfiato l’ennesimo "caso Castrogno", dopo la morte per cause naturali del nigeriano Uzoma Emeka, presunto testimone di un pestaggio, dall’altro il sindacato sottolinea come "la politica interviene sui problemi del carcere di Teramo a Ferragosto o a Natale". Lo si legge in una nota odierna del Sindacato nazionale autonomo di Polizia penitenziaria.

Respingendo i sospetti di essere definiti "aguzzini o assassini", il segretario regionale Giampiero Cordoni lancia un appello alla politica "che può risolvere il dramma degli istituti italiani: modificare la legge sull’immigrazione, modificare la legge sulla tossicodipendenza, affidarsi pienamente alle pene alternative". Cordoni sottolinea anche che "ancora una volta, l’effetto di questo turismo carcerario sarà legato ad alcuni titoli sui giornali o interviste su alcune reti televisive: verranno fatte promesse, i detenuti spereranno che qualcosa cambi. Mentre Pannella - scrive il Sinappe - girerà all’interno dell’Istituto, un collega sarà costretto a coprire due posti di servizio per la carenza d’organico che rimarrà tale".

Bergamo: Rifondazione visita il carcere "è come una discarica"

 

L’Eco di Bergamo, 22 dicembre 2009

 

Il Capogruppo regionale del Prc, Luciano Muhlbauer, e Ezio Locatelli, segretario provinciale e membro della direzione nazionale del partito, hanno visitato lunedì 21 dicembre il carcere di via Gleno, a Bergamo. All’uscita hanno rilasciato le seguenti dichiarazioni: "La Casa circondariale di Bergamo è un tipico esempio di quello che sono diventate le carceri italiane, cioè delle discariche sociali, con l’aggravante del sovraffollamento, che ormai non fa nemmeno più notizia".

"Nel dettaglio, la capienza ottimale della struttura è di 220 detenuti, ma oggi ce ne sono 496, di cui 32 donne. In altre parole, è stata superata anche la cosiddetta "capienza di necessità", che prevede due detenuti per cella, anziché uno come da standard ottimale: attualmente, infatti, in ogni cella convivono ben tre persone. Per quanto riguarda la presenza di detenuti stranieri, compresi quelli comunitari, siamo a quota 267, cioè il 54% per totale".

"Le comunità più rappresentate sono quella marocchina (93) e quella albanese (40), ma complessivamente si contano ben 35 diverse nazionalità di appartenenza. I dati che fanno maggiormente impressione sono però quelli relativi ai detenuti con problemi di tossicodipendenza o di tipo psichiatrico. Infatti, il 42% del totale, cioè 209, sono registrati come tossicodipendenti, mentre quelli diagnosticati come "psichiatrici" sono l’11%, cioè 55".

"Il personale medico stima inoltre che circa altri 200 detenuti mostrano disagi di tipo mentale o comportamentale. La larga maggioranza della popolazione carceraria di Bergamo è detenuta per reati di microcriminalità. In prevalenza - oltre la metà dei reclusi - per violazione della legge sui stupefacenti. Infine, va sottolineato che vi è un forte turnover, poiché solo una minoranza dei detenuti sconta una pena definitiva, mentre tutti gli altri sono in attesa di giudizio".

Insomma, se, nonostante tutto, il carcere funziona ancora, questo lo si deve soprattutto alla professionalità e all’impegno della direzione e a quanti, nelle diverse funzioni, ci lavorano. Inoltre, va segnalato la buona relazione del carcere con il territorio, grazie anche all’opera del Comitato carcere e territorio e alla forte presenza del volontariato. Professionalità, impegno e volontariato non possono tuttavia ovviare al problema di fondo, cioè che le carceri funzionano oggi da discarica sociale, dove raccogliere parte delle conseguenze dell’esclusione sociale".

Cagliari: Caligaris (Sdr); detenuto 75 enne gravemente malato

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

Pasquale Stochino, uno dei più noti banditi sardi, rimasto alla macchia per ben 31 anni e ora detenuto nel centro clinico di Buoncammino, è gravemente malato. L’uomo, 75 anni di Arzana (Ogliastra), ha scritto una lettera alla presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, Maria Grazia Caligaris, per denunciare la sua situazione.

"Da diverse settimane le mie patologie si sono aggravate notevolmente - racconta Stochino nella lettera resa nota da Caligaris - In particolare il neurinoma che mi è stato riscontrato quattro anni fa mi sta causando, nonostante gli antidolorifici, dei dolori atroci alla testa e, se ciò non bastasse, anche alle gambe e ai piedi. Non riesco a dormire sono costretto ad alzarmi durante la notte e a camminare per trovare un po’ di sollievo".

"Oltre al tumore - spiega l’esponente socialista - Stochino ha un’infezione da cervicoartrosi sintomatica, artrosi della colonna e discopatia e un’ipertrofia prostatica benigna e seri disturbi alla vista. Il suo è un altro caso al limite dell’applicazione dell’articolo del codice penale che prescrive il differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena. Occorre una soluzione alternativa alla detenzione". Stochino era stato arrestato in Ogliastra nel settembre del 2003 dai carabinieri, dopo una latitanza record durata 31 anni. Era stato condannato all’ergastolo per la cosiddetta strage di Lanusei (15 agosto 1972) che provocò quattro morti.

Monza: dimessi gli agenti intossicati da incendio, rifiutano riposo

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

Sono stati tutti dimessi gli agenti di polizia penitenziaria rimasti intossicati per le esalazioni sprigionate da un incendio appiccato da un detenuto in una cella del carcere di Monza. La prognosi per loro è di 10 giorni ma tutti hanno rifiutato il riposo medico. In ospedale erano giunti in nove, e non dieci come riferito ieri.

"Non possiamo negare - ha detto Angelo Urso, segretario nazionale Uil Pa Penitenziari - il nostro vivo apprezzamento per il tempestivo e coraggioso intervento che ha impedito conseguenze più gravi, ancor più nell’apprendere che tutte le nove unità hanno rifiutato il riposo medico per non aggravare oltre modo le già dure e precarie condizioni di lavoro. La loro assenza dal servizio avrebbe certamente determinato la revoca delle ferie per altrettanti colleghi e per questo il pregevole gesto è ancor di più degno di stima".

Ferrara: Pd visita il carcere, solidarietà per il sovraffollamento

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

Nell’imminenza delle festività natalizie, una delegazione del gruppo consiliare del Partito Democratico del Comune di Ferrara, costituita dai consiglieri Donato Fiorbelli e Francesco Portaluppi, ha incontrato il direttore delle carceri cittadine Francesco Cacciola e il Comandante degli Agenti di Polizia Penitenziaria Giuseppe Battaglia portando a loro, assieme agli auguri di buon Natale, la piena solidarietà del Partito Democratico ferrarese per la grave situazione di difficoltà e disagio tuttora perdurante nella casa circondariale.

"Il gruppo consiliare - si legge in una nota stampa - ha così voluto riconfermare, ai responsabili delle carceri cittadine, il proprio impegno a operare, in tutti i modi possibili, per contribuire ad alleviare i disagi dei lavoratori che operano in quella struttura e a favorire condizioni sempre più umane di detenzione".

Vasto (Ch): i sindacati di Polizia penitenziaria contro il Direttore

 

Agi, 22 dicembre 2009

 

"Inosservanza delle prerogative sindacali, mancato confronto, scelte adottate in via unilaterale". Sono solo alcune delle accuse rivolte da molte sigle di categoria della polizia penitenziaria al direttore del carcere di località Torre Sinello a Vasto (Chieti). In una nota sottoscritta dai rispettivi rappresentanti sindacali, Osapp, Uil, Cisl, Sinappe, Ugl e Cnpp puntano il dito contro la gestione di Carlo Brunetti, che, a loro dire, starebbe incrinando la correttezza nei rapporti tra sindacati e parte pubblica.

"Azioni unilaterali - scrivono tra l’altro i rappresentanti di categoria degli agenti - fatte sotto la parvenza della funzionalità e dell’urgenza", ma secondo i sindacati, non giustificate. "Questo stato di cose - si legge ancora nella nota - sta mettendo a dura prova il personale, già caricato di numerosi disagi, conseguenti a situazioni di sovraffollamento, come dimostrato dall’alto numero di assenze dal lavoro in relazione ad uno stato d’ansia reattivo degli agenti. Da oggi, pertanto, gli iscritti alle sigle di categoria che aderiscono alla protesta, oltre a rendere pubblico lo stato d’agitazione, si astengono dalla fruizione della mensa di servizio e lo faranno "fino a quando non riprenderà un confronto corretto".

Milano: l'Ipm e il Centro Giustizia Minorile, senza riscaldamento

 

Comunicato stampa, 22 dicembre 2009

 

Gli Assistenti Sociali dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni del Ministero della Giustizia di Milano, via Spagliardi 1, segnalano agli organi di stampa le precarie, gravi condizioni di lavoro nelle quali sono costretti ormai da mesi ad operare con accresciuto disagio dovuto all’aggravarsi della situazione atmosferica. Gli uffici siti in via Spagliardi 1, nell’edificio ove sono ubicati anche la Sezione Femminile dell’istituto penale per i Minorenni Cesare Beccaria (attualmente è presente una bimba di 5 mesi), il Centro di Prima Accoglienza (Maschile e Femminile), nonché lo stesso Centro di Giustizia Minorile, sono privi dell’impianto di riscaldamento.

Il guasto, già segnalato da anni, consentiva un riscaldamento parziale, ma dalla stagione invernale attuale si è verificato un totale blocco dell’impianto con gravissimo degrado degli ambienti predisposti, come detto, sia alla detenzione dei ragazzi, al lavoro dei dipendenti e all’accesso del pubblico. Le soluzioni provvisorie finora adottate, parziali ed insufficienti, non sono atte a far fronte alla insalubre situazione. Ci si chiede se la Dirigenza del Cgm abbia provveduto tempestivamente a ricercare le soluzioni idonee ad affrontare la ormai degenerata situazione sopra descritta. In merito è stato già avanzato esposto all’Asl.

 

I lavoratori dell’Ussm

Piombino (Li): la cerimonia finale del Premio Emanuele Casalini

 

Il Tirreno, 22 dicembre 2009

 

La Fiera del libro di Torino, i Presidi del libro del Piemonte e le Università delle Tre età della Case di reclusione di Porto Azzurro e Volterra, promotrici del "Premio letterario Emanuele Casalini" riservato ai detenuti hanno scelto per la premiazione dei vincitori dell’ottava edizione la Casa di reclusione di Volterra. Molte le opere dei detenuti segnalate e pubblicate sul volume che contiene i lavori selezionati dalla giuria.

Per la sezione poesia sono stati premiati Aral Gabriele (Volterra), Alessandro Crisafulli (Opera Milano), Antonio Faulisi (San Gimignano); per la prosa Stefano Di Cagno (Bari) e Domenico Strangio (Spoleto). Il premio, dopo Roma, Verona, Milano e Torino, quest’anno è tornato come sede della premiazione vicino al territorio che ne ha visto la nascita.

A Volterra, presenti Giorgio Kutufà presidente Provincia di Livorno, Lucia Casalini presidente del Premio letterario, i Comuni di Piombino, Porto Azzurro e Volterra, Maria Pia Giuffrida Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la giornalista Rai, Franca Leosini conduttrice di "Storie maledette", il comico livornese Claudio Marmugi ed Ernesto Ferrero nella doppia veste di presidente della giuria e direttore della "Fiera del libro".

Cagliari: Ipm; attestato Corso di formazione, è regalo di Natale

 

La Nuova Sardegna, 22 dicembre 2009

 

È Natale anche nelle carceri. Tra oggi e mercoledì alcune iniziative porteranno l’attenzione sulla condizione dei detenuti e sulla necessità di promuovere il loro reinserimento sociale, fine ultimo della pena secondo la Costituzione. Oggi alle 10.30 nell’istituto per i minori di Quartucciu ai giovani detenuti del carcere minorile verranno consegnati gli attestati del corso di formazione per responsabili del servizio di prevenzione e protezione civile, che si è tenuto nell’istituto l’estate scorsa, grazie all’organizzazione (gratuita) assicurata dal club Lions Karel.

Agli ospiti della struttura oggi il club farà gli auguri di Natale con doni e panettoni e nell’istituto si terrà una piccola cerimonia presente il direttore della struttura Giuseppe Zoccheddu e il personale. Mercoledì sarà Natale per i detenuti di Buoncammino indigenti cui l’amministrazione ha deciso di rivolgere un pensiero speciale donando un kit di prodotti per l’igiene personale. Per i detenuti di Buoncammino che non hanno la possibilità di tenere rapporti costanti con la famiglia, e di ricevere visite dalle persone care, il momento del Natale è particolarmente delicato sul piano psicologico. Problema che rilancia il tema della territorialità della pena.

Rimini: Progetto In/Out e un calendario realizzato dai detenuti

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

I detenuti della Casa Circondariale di Rimini hanno realizzato Saperi e sapori, calendario 2010, con fotografie realizzate all’interno del Laboratorio di Fotografia del Progetto In/Out 2009 curato da Roberto Sardo.

Il calendario è un prodotto realizzato all’interno del Progetto In/Out 2009, Progetto polivalente di cultura ed espressività che l’Associazione S. Zavatta Onlus realizza dal 1999 presso la Casa Circondariale di Rimini. Si tratta di interventi a carattere educativo e socializzante che prevedono laboratori di ceramica, teatro, musica, fotografia, video. Il Progetto è stato ideato in accordo con la Direzione della Casa Circondariale di Rimini ed è finanziato dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Rimini.

Le attività, inoltre, sono pensate e strutturate per il coinvolgimento specifico dei detenuti stranieri che oggi sono più del 55% della popolazione carceraria e vivono una condizione di estrema emarginazione a causa delle difficoltà linguistiche e culturali. Il Progetto In/Out ha come duplice scopo quello di lavorare all’interno del mondo carcerario per il miglioramento dei processi di socializzazione, ma anche quello di portare fuori, esportare all’esterno le esperienze positive che il carcere è comunque in grado di creare. È in quest’ottica che a conclusione dei cicli di intervento, sono previste mostre di ceramica, di fotografia, video e saggi teatrali.

Il calendario è il frutto di alcune delle varie attività di carattere ri-educativo che si svolgono all’interno del carcere di Rimini, nello specifico un laboratorio di fotografia ed un concorso di poesia che ogni anno si tiene in questo istituto e una serie di incontri che, dallo scorso giugno, ha coinvolto un gruppo di detenuti di diverse etnie sui temi dell’alimentazione e delle tradizioni dei propri paesi d’origine. Le tracce di una memoria nostalgica contenute nelle poesie presentate, il richiamo ai detti popolari in uso nei luoghi di provenienza e la proposta di alcune ricette di pietanze tipiche, preparate e fotografate nelle celle dagli stessi detenuti, danno contenuto a questo calendario che, simbolicamente, raccoglie l’esaltazione ed il rimpianto per i sapori e le atmosfere di casa, per gli affetti che sono lontani, per un tempo passato carico di emozioni. Al progetto hanno collaborato Associazione Multiculturale "Etnos", Caritas Diocesana di Rimini, Associazione "Sergio.Zavatta" Onlus - Rimini, Centro Territoriale Permanente E.D.A. e Scuola Media "Bertola" - Rimini.

Terni: il "Circo di Vienna"... è entrato nella Casa Circondariale

 

Comunicato stampa, 22 dicembre 2009

 

La Direzione della Casa Circondariale di Terni, quest’anno per la prima volta, nell’ambito delle attività trattamentali, ha organizzato uno spettacolo a favore dei bambini dei detenuti e dei loro familiari, in occasione del Natale. Sabato 19 dicembre è stato presentato, nella sala teatro del carcere, uno spettacolo di clown offerto dal "Circo di Vienna", con la collaborazione dell’Associazione Onlus "Le Ali della Vita".

Gli artisti del Circo di Vienna, presente a Terni (Borgo Rivo) dal 23 dicembre all’ 11 gennaio 2010, hanno allietato i presenti con una divertente esibizione di clown e giocolieri. Si è creato uno spazio di armonia, affetto e colore. Papà, figli ed accompagnatori hanno poi consumato insieme il pranzo. Ai bambini è stato consegnato un piccolo dono da parte di uno speciale Babbo Natale". L’incontro è stato realizzato anche grazie alla fattiva partecipazione dei detenuti che si sono impegnati nella preparazione di dolci e salati.

 

La Direzione

Stati Uniti: un altro detenuto di Guantanamo, arrivato in Italia

 

Ansa, 22 dicembre 2009

 

È arrivato l’altra sera ed è stato subito interrogato dal Gip Guido Salvini, Moez Fezzani, il terzo tunisino, prigioniero degli Stati Uniti, trasferito in Italia in base a un accordo raggiunto tra il governo del nostro Paese e quello statunitense. Nei suoi confronti l’accusa è di associazione per delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati aggravati dalla finalità di terrorismo.

Anche lui come Riad Nasri (l’altro dei due tunisini arrivati in Italia lo scorso 30 novembre) è accusato in particolare di aver fornito supporto logistico ad una cellula del gruppo salafita per la predicazione ed il combattimento che avrebbe reclutato "fratelli" destinati al martirio nei paesi in guerra. I fatti risalgono ad un periodo che va dal 1997 al 2001.

Fezzani è arrivato all’aeroporto di Malpensa con un aereo militare statunitense. Con i rilasci e i tasferomenti degli scorsi giorni, per la prima volta in sette anni a Guantanamo ci sono meno di 200 detenuti. Per l’esattezza sono 198 i prigionieri del carcere istituito nel 2001 da George Bush nella base militare americana a Cuba, secondo un calcolo fatto dal Miami Herald.

Gran Bretagna: inchiesta su torture detenuti Eire negli anni 70

 

Il Velino, 22 dicembre 2009

 

Emergono inquietanti verità sul comportamento dei soldati inglesi in Irlanda del Nord negli anni Settanta. Dopo una sentenza che lo aveva condannato all’impiccagione ricevuta nel 1973, poi commutata in ergastolo, e 17 anni passati dietro le sbarre, si riapre il caso di Liam Holden, ritenuto colpevole di aver ucciso un soldato sulla base di una confessione non firmata. La giuria, allora, non credette alle parole di Holden, che sostenne di aver confessato solo dopo che i soldati avevano praticato su di lui la tecnica del "waterboarding", l’annegamento simulato, diventata tristemente nota dopo le ammissioni dei dirigenti della Cia sul trattamento dei detenuti di Guantanamo. La Criminal Cases Review Commission (Ccrc) ha ora rispedito il caso di Holden alla Corte d’appello.

La commissione ritiene infatti di possedere nuove prove sul caso. Inoltre, i suoi membri si sono detti assai dubbiosi "sull’affidabilità e l’ammissibilità della confessione". "Ho parlato quando mi hanno messo un panno sulla faccia e mi hanno versato acqua attraverso bocca e naso dandomi l’impressione di annegare", ha spiegato Holden. Il cui caso diventa molto più credibile in quanto gli avvocati hanno identificato un altro detenuto che ha rivelato di aver subito lo stesso trattamento.

Quest’uomo, di cui non sono note le generalità, avrebbe riferito a un medico nell’aprile 1978 che i soldati inglesi del Royal Ulster Constabulary gli avrebbero versato grandi quantità di acqua attraverso naso e bocca con un asciugamano posto sulla testa. Un racconto dunque del tutto coincidente con quello di Holden e al quale l’ex detenuto ha aggiunto: "Era davvero terrorizzante e fu ripetuto molte volte". Da notare che l’uomo sottoposto a questa tortura fu alla fine rilasciato senza alcuna accusa. La Ccrc afferma infine di avere la testimonianza di un terzo uomo che sostiene di aver subito il waterboarding nei primi anni Settanta. Il Guardian segnala anche che questi tre casi sono avvenuti tutti dopo il marzo 1972, data in cui l’allora primo ministro Ted Heath mise al bando cinque altri metodi di tortura successivamente condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in quanto disumani e degradanti: l’incappucciamento, la fame, la privazione del sonno, i rumori eccessivi e costringere i detenuti a restare a lungo in posizioni molto stressanti.

Holden aveva 19 anni quando fu catturato a Belfast nell’ottobre 1972 per l’uccisione di Frank Bell, il centesimo soldato inglese morto in Irlanda del nord quell’anno. A nulla è servito l’alibi da lui fornito, secondo cui, al momento della morte di Bell, giocava a carte col fratello e altri due amici in un posto pubblico. Holden, tra l’altro, ha raccontato di essere stato portato dai militari inglesi in una base di Black Mountain, a ovest di Belfast, dove sarebbe stato picchiato, ustionato con cicche di sigaretta, incappucciato e minacciato di morte. Pur non avendo mai parlato di waterboarding usando questo termine, l’accusato, secondo quanto riferì il Belfast Telegraph del giorno dopo, disse chiaramente alla giuria di essere stato inserito in una cabina dove sei uomini gli avrebbero messo un asciugamani in testa per poi versargli acqua attraverso il naso e la bocca.

"Sono quasi svenuto", avrebbe detto Holden secondo il giornale. "Stavo annegando, non riuscivo a respirare. È andata avanti per un minuto". Poco dopo, avrebbe aggiunto, il trattamento sarebbe stato ripetuto.

Alla stessa corte, un sergente del Reggimento paracadutisti dell’esercito britannico avrebbe invece assicurato che la confessione di Holden sarebbe stata rilasciata in seguito a un normale interrogatorio. Il ministero della Difesa rifiutò di confermare o smentire l’ipotesi che i soldati britannici avessero ricevuto l’ordine di utilizzare la tecnica dell’annegamento simulato per "ragioni di sicurezza operativa".

Tuttavia, sono numerose le testimonianze di prigionieri irlandesi che sostengono di aver subito questa tortura. E alcuni ufficiali inglesi hanno raccontato al Guardian di aver subito la stessa tecnica durante il loro addestramento. Circostanza confermata nel 2005 da Rod Richard, ministro dell’ormai disciolto ufficio gallese, che ha confessato a sua volta di aver subito questo trattamento come parte del proprio apprendistato nelle tecniche di contro-interrogatorio. Ce n’è dunque abbastanza per favorire l’apertura di un’indagine seria su questi fatti. E per Holden, rilasciato nel 1989, potrebbe profilarsi un cospicuo risarcimento.

Brasile: Presidente Lula; su estradizione Battisti decido solo io

di Omero Ciai

 

La Repubblica, 22 dicembre 2009

 

Il presidente del Brasile ha usato una metafora calcistica per riaffermare la sua totale discrezionalità nella vicenda dell’ex terrorista italiano Cesare Battisti. "Non mi interessa cosa abbia detto il Tribunale Supremo- ha detto ieri Lula -, adesso la palla è nel mio campo e sarò io a decidere come calciare". Il mese scorso la Corte Suprema del Brasile ha votato a favore (5 giudici contro 4) della richiesta di estradizione presentata dal governo italiano. Ora la parola finale sul ritorno di Battisti in Italia, dove deve scontare un ergastolo per la partecipazione diretta e indiretta a quattro omicidi commessi alla fine degli anni Settanta quando militava nei "Proletari armati per il comunismo", spetta al Presidente ma, secondo la Corte, anche Lula nello scegliere se dare o meno il suo via libera all’estradizione deve rispettare il Trattato sottoscritto da Italia e Brasile. Ed è un passaggio strettissimo. Nel Trattato il presidente può rifiutare l’estradizione in due casi: le condizioni fisiche dell’imputato, le sue condizioni di sicurezza o il rischio che possa essere perseguitato per ragioni religiose, etniche o politiche.

L’ipotesi che Lula - il cui parere ufficiale è atteso entro gennaio - possa riaffermare l’asilo politico a Battisti usando gli stessi argomenti del ministro Genro, e cioè che l’ex terrorista possa diventare in Italia un "perseguitato politico", andrebbe esclusa proprio perché è stata bocciata dall’Alta Corte quando ha votato per l’estradizione annullando lo status di rifugiato per ragioni politiche. Dunque rimane solo la possibilità delle condizioni fisiche, o di una "grave malattia". Ed è per questo aspetto che Lula protesta con il Tribunale per di affermare una sua maggiore libertà di decisione che però legalmente non c’è. Chiarendo con la stampa i termini della questione la scorsa settimana il capo dell’Alta Corte, Gilmar Mendes, ha detto: "Trovo molto difficile che il presidente possa, senza controllo giudiziario, concedere un asilo già negato. Lula finirebbe in un labirinto".

In realtà dal punto di vista della Corte Suprema, Lula è in un vicolo cieco. Se dovesse autorizzare la permanenza di Battisti in Brasile, il capo dello Stato potrebbe andare incontro ad un processo giudiziario da parte del Senato, l’organo che nel 1993 ha ratificato il Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Brasile. Spiega ancora Mendes: "La decisione sulla estradizione o sulla non estradizione dovrà essere sottoposta e valutata alla luce di quello che è stabilito dalla legge vigente, e cioè dal Trattato tra Italia e Brasile, e non dalla volontà sovrana e autonoma del Presidente della Repubblica. "La nostra - ha aggiunto Mendes - è una democrazia: non è nemmeno concepibile che il Capo dello Stato passi sopra alla legislazione vigente".

 

 

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