Rassegna stampa 21 dicembre

 

Giustizia: un "Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale"

 

Redattore Sociale, 21 dicembre 2009

 

Proposta di legge di Ristretti Orizzonti e Radicali Italiani: una nuova misura alternativa, pensata per i detenuti che abbiano scontato almeno metà della pena e abbiano un residuo di pena di tre anni. L’obiettivo è "ridurre il grave sovraffollamento e garantire una maggiore sicurezza alla società".

Un "Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale" che prevede, per i detenuti che abbiano scontato almeno metà della pena e abbiano un residuo di pena di tre anni, la possibilità di accedere a una nuova forma di misura alternativa alla detenzione. Ristretti Orizzonti e Radicali Italiani hanno elaborato una proposta di legge con il duplice obiettivo di "ridurre il grave sovraffollamento nelle carceri italiane e di garantire una maggiore sicurezza alla società".

La proposta, alla cui stesura ha collaborato Alessandro Margara, già capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e giudice di sorveglianza di Firenze, prevede che i detenuti possano stipulare un "Patto" con le istituzioni, nel quale si impegnano a rispettare tutte le prescrizioni che gli saranno imposte, compresa quella di svolgere gratuitamente una attività risarcitoria (sull’esempio dei "lavori socialmente utili" già previsti dalla legge). In cambio otterranno la possibilità di scontare la parte finale della condanna fuori dal carcere, sotto la supervisione del Servizio Sociale. Chi non rispetta le regole sottoscritte torna in carcere.

"La natura della misura - si legge nel documento elaborato da Ristretti Orizzonti - impone un certo grado di automatismo nella concessione, che non deve spaventare in quanto nel caso il soggetto non dimostri di rispettare il patto, ne è prevista la revoca". L’obiettivo finale è quello di fare in modo che il detenuto partecipi attivamente alla vita sociale. Ai fini della concessione di questa misura alternativa, il magistrato di sorveglianza dovrà accertare solo fattori "oggettivi": il residuo di pena del soggetto, che disponga di un domicilio certo e di un lavoro. O delle risorse sufficienti a garantirgli un periodo di sei mesi per la ricerca del lavoro.

In questo senso è prevista la collaborazione degli Enti locali, che dovranno collaborare con i servizi sociali della Giustizia, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento lavorativo dei detenuti, "utilizzando anche 20 milioni di euro da attingere dalla Cassa delle Ammende per avviare percorsi di formazione e di inserimento professionale".

Capitolo a parte invece per i detenuti stranieri con pena residua non superiore a tre anni (due per i recidivi) che potranno chiedere di essere rimpatriati, sottoscrivendo l’impegno a lasciare l’Italia e a non rientrarvi per almeno cinque anni. In caso contrario, tornerebbero in carcere a scontare la condanna "sostituita" dall’espulsione. Una proposta di legge che trae forza dai "numeri" del sistema carcere del nostro Paese: 66mila detenuti rinchiusi in spazi pensati per ospitarne 43mila e 20mila detenuti che stanno scontando pene inferiori a tre anni. Senza contare che il Piano carceri (più volte annunciato come di "imminente" approvazione) in realtà non è ancora stato presentato al Consiglio dei ministri. E, in ogni caso, non permetterà una realizzazione rapida dei 20mila posti promessi.

Giustizia: 69 detenuti suicidi, "record" dell’Italia repubblicana

 

Comunicato stampa, 21 dicembre 2009

 

Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente, gravemente ammalato, venerdì scorso si è ucciso impiccandosi nella sua cella del carcere di Salerno. Si tratta del sessantanovesimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno. Viene così eguagliato il triste "record" del 2001: il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica. Il totale dei detenuti morti nel 2009 sale a 171.

Anche per Marco, come in altri casi recenti, i famigliari non credono al suicidio e vogliono che la magistratura intervenga, disponendo un’indagine. E se è vero che ogni nuova morte in carcere si presta ad alimentare sospetti e polemiche (e i parenti hanno il sacrosanto diritto di chiedere e ottenere una verità certa), l’attenzione alla singola vicenda non deve far dimenticare che le "morti di carcere" rappresentano sempre e comunque una sconfitta per la società civile.

Negli ultimi 10 anni nelle carceri italiane sono morte 1.560 persone, di queste 558 si sono suicidate. Per la maggior parte si trattava di persone giovani, spesso con problemi di salute fisica e psichica, spesso tossicodipendenti.

I morti sarebbero molti meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che, ben lontane dall’essere "criminali professionali", provengono piuttosto da realtà di emarginazione sociale, da storie decennali di tossicodipendenza, spesso affette da malattie mentali e fisiche gravi, spesso poverissime.

Oggi il carcere è pieno zeppo di queste persone e il numero elevatissimo di morti ne è conseguenza diretta: negli anni 60, ad esempio, i suicidi in carcere erano 3 volte meno frequenti di oggi, i tentativi di suicidio addirittura 15 volte meno frequenti… e non certamente perché a quell’epoca i detenuti vivessero meglio.

Oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è sieropositivo hiv, il 60% una qualche forma di epatite, in carcere ci sono paraplegici e mutilati, a Parma c’è una sezione detentiva per "minorati fisici"… e si potrebbe continuare.

Le misure alternative alla detenzione vengono concesse con il contagocce: prima dell’indulto del 2006 c’erano 60.000 detenuti e 50.000 condannati in misura alternativa; oggi ci sono 66.000 detenuti e soltanto 12.000 persone in misura alternativa.

Più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, mentre 30.500 stanno scontando una condanna: di questi quasi 10.000 hanno un residuo pena inferiore a 1 anno e altri 10.000 compreso tra 1 e 3 anni.

Molti di loro potrebbero essere affidati ai Servizi Sociali, anziché stare in cella: ne gioverebbero le sovraffollate galere e, forse, anche la conta dei "morti di carcere" registrerebbe una pausa.

 

Osservatorio permanente sulle morti in carcere (Radicali Italiani, Associazione "Il Detenuto Ignoto", Associazione "Antigone", Associazione "A Buon Diritto", Redazione di "Radio Carcere", Redazione di "Ristretti Orizzonti")

Giustizia: muore in carcere e famigliari non credono al suicidio

 

La Città di Salerno, 21 dicembre 2009

 

Ha preso la cintura e se l’è stretta al collo, mettendo così fine alla sua vita, con un atto disperato, preannunciato da un altro tentativo, avvenuto tre settimane fa. Forse non ce la faceva più, forse non accettava più la dura vita del carcere, forse non sopportava più le sue condizioni di salute oltremodo precarie.

Un’esistenza difficile, la sua, fatta di espedienti e di errori, di ripetuti problemi con la giustizia. Marco Toriello stava scontando la pena a cui era stato condannato dopo l’ultimo episodio, avvenuto esattamente un anno fa: una rapina ai danni di un fruttivendolo. Un dramma umano che si tramuta in tragedia. Marco Toriello, ebolitano di 45 anni, noto alle cronache per i suoi precedenti penali, è morto nella solitudine della cella del carcere di Fuorni in cui era recluso. Venerdì sera, intorno alle 20, si è tolto la vita.

Davanti a sé aveva una prospettiva terribile, alla luce del suo stato di salute: ancora tre anni di carcere prima di riacquistare la libertà. Nessun possibile sconto: pochi giorni fa gli era stato notificato che la condanna era divenuta definitiva. E nessuna speranza di ottenere gli arresti domiciliari: quando gli erano stati concessi in passato, aveva commesso l’ennesimo errore. Era in regime di detenzione domiciliare, infatti, quando si era procurato una pistola giocattolo per tentare di mettere a segno il colpo ai danni della rivendita di frutta a pochi passi da casa sua.

L’unica flebile speranza era quella di una sospensione della pena, proprio per via delle sue condizioni di salute, in modo da consentirgli di curarsi adeguatamente. Era questa la strada che intendeva seguire il suo legale, l’avvocato Nicola Naponiello. "Abbiamo tentato di farlo uscire - racconta il penalista ebolitano - Ci eravamo resi conto che non stava bene, aveva bisogno di cure e non poteva reggere le condizioni carcerari. Ma non abbiamo avuto ascolto. Sono estremamente dispiaciuto. Eventi del genere non dovrebbero mai capitare, soprattutto in situazioni come quella di Marco, che aveva già una volta tentato di togliersi la vita. Aspettiamo gli esiti dell’indagine per avere qualche chiarimento in più sulla vicenda".

E a volerci vedere chiaro sono anzitutto i familiari di Toriello. L’ultimo contatto con Marco lo avevano avuto proprio venerdì mattina. Era stata la figlia a sentirlo. Due giorni prima, invece, c’era stato il colloquio in carcere. In nessuno dei due casi era emersa, a giudizio dei parenti, qualcosa che potesse lasciare immaginare l’epilogo tragico di venerdì sera.

Il corpo del 45enne ebolitano è stato portato all’obitorio del cimitero di Salerno. sarà la magistratura a valutare se è necessario l’esame autoptico, ma potrebbero essere gli stessi familiari di Toriello a sollecitarlo. Per contribuire a trovare una risposta ai tanti interrogativi lasciati da quanto avvenuto nella cella del carcere di Fuorni. Come mai era solo? Come mai non sono state prese le precauzioni necessarie affinché non avesse la possibilità di tentare di nuovo il suicidio? Come mai aveva con sé la cintura? Tanti, troppi dubbi che in queste ore non danno pace ai familiari.

 

La sorella: Marco non si è suicidato

 

L’assillano troppi dubbi. Troppe circostanze a suo avviso non quadrano. Da due mesi qualcosa non andava. Ora Alfonsina Toriello, sorella di Marco, il 45enne ebolitano che venerdì scorso si è tolto la vita nel carcere di Salerno, vuole che la verità salti fuori e al più presto. È convinta che in un modo o nell’altro Marco sia stato "ucciso", fosse anche solo perché nessuno l’ha curato in maniera adeguata. "Pesava poco più di quaranta chili, aveva quasi certamente un tumore, ma veniva solo imbottito di psicofarmaci e non prendeva più le medicine per la cirrosi epatica".

 

Lei non è affatto convinta dell’ipotesi di un suicidio…

"Io ho visto mio fratello mercoledì scorso, due giorni prima che morisse. Era sempre più debole, veniva accompagnato sottobraccio ai colloqui, non si reggeva in piedi. Qualcuno deve spiegarmi come sia possibile che in quelle condizioni sia riuscito ad arrampicarsi alla grata e legarsi quella cinta al collo".

 

Una cintura che lei non ha ancora visto. Suo fratello, raccontano anche alcuni detenuti che avevano tentato di stargli accanto in questo periodo, aveva tentato il suicidio forse anche più di una volta. O almeno sicuramente quindici giorni fa.

"È la prima cosa che ho chiesto. Gli avevano tolto anche le lenzuola. Il direttore mi ha detto che dopo una visita era apparso migliorato, così gli hanno restituito tutto. Ma mio fratello non era mai entrato in carcere con una cintura e noi non potevamo di certo portargliela. Poi quanto è lunga una cintura per uno così magro? Così lunga da legarla a una grata e stringersela al collo?".

 

A cosa sta pensando?

"Penso che da due mesi era cambiato. Prima faceva il possibile per far durare il colloquio oltre l’ora imposta. Ora durava appena dieci minuti, poi scappava piangendo. Era distrutto. È accaduto qualcosa. Qualche mese fa lui ha visto o saputo qualcosa. Ne sono convinta, nessuno me lo toglie dalla testa".

 

Ha avuto un colloquio con un pm, voleva pentirsi dicono. Lei lo sapeva?

"Mercoledì io ho atteso tre ore nella sala colloqui e lui poi mi ha raccontato che ha parlato con un magistrato, ma che non sapeva cosa volesse da lui. È da trent’anni che delinque e finisce in carcere. Ma non faceva parte di nessun clan, agiva da solo. Questo lo sanno tutti. Quindi cosa poteva raccontare di così interessante?".

 

Il suo legale stava per depositare una richiesta di scarcerazione per motivi di salute.

"E a lei pare possibile che una persona sapendo che uscirà dal carcere a breve, così come aveva detto anche lui alla figlia, si possa uccidere in questo modo?"

 

Antigone: maggiori tutele per chi manifesta difficoltà

 

"Non è una scelta, ma un obbligo quello di attivare tutte le forme di garanzia per tutelare chi ha un evidente stato di difficoltà". A parlare è Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’associazione Antigone Campania, che si occupa dei diritti e delle garanzie del sistema carcerario. "Ci sono gravi carenze di personale - evidenzia - Gli educatori sono pochi, gli psicologi sono a contratto, il carcere non ha la capacità di costituire un’equipe multidisciplinare che sostenga i casi difficili. Sono necessarie delle forme di tutela, non solo in riferimento alla persona fisica, ma anche al suo stato di salute mentale".

Dell’Aquila analizza anche il caso che si è verificato venerdì sera nel carcere di Fuorni. "Queste morti devono essere evitate, tanto più che il detenuto aveva già tentato il suicidio. Due mesi fa altre tre persone sono morte, nello stesso giorno. È inaccettabile. È un problema di carattere nazionale ed è strettamente legato ai numeri: basti pensare che in Campania ci sono 7.833 detenuti, ma la capienza regolamentare è delle carceri è di 5.311 posti. Non ci possiamo aspettare miracoli, certo, ma la pena non può consistere in un trattamento contrario al senso di umanità, che in queste condizioni non è facile garantire".

Le soluzioni non sono legate solo alle strutture. "C’è bisogno di maggiori controlli, di più personale qualificato, ma soprattutto di un’equipe multidisciplinare presente in ogni carcere, con psichiatri, psicologi ed educatori che tutelino la sicurezza dei detenuti".

Giustizia: morto detenuto 32enne, teste di presunto pestaggio

 

Il Centro, 21 dicembre 2009

 

È morto nel carcere di Castrogno il detenuto testimone del presunto pestaggio al centro dell’audio shock diventato un caso nazionale. L’uomo, un nigeriano di 32 anni che doveva scontare una condanna per droga, si è sentito male nella cella ed è deceduto durante il trasporto in ospedale.

"Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto" diceva l’ex comandante della polizia penitenziaria nell’audio shock diventato un caso nazionale. Quel detenuto, testimone del presunto pestaggio in carcere, ieri è morto a Castrogno.

Si è sentito male nella cella dove scontava una pena di due anni per droga, è stato portato nell’infermeria del carcere ed è deceduto qualche ora dopo, durante il trasporto in ospedale. La sua fine ha scatenato la protesta degli altri detenuti di Castrogno, che per qualche minuto hanno battuto sulle inferriate e non sono rientrati nelle celle. Sulla morte di Uzoma Emeka, nigeriano di 32 anni, il pm di turno Roberta D’Avolio ha aperto un’inchiesta e ha disposto l’autopsia. Nel giorno in cui dalla procura arriva la notizia di sei avvisi di garanzia per il presunto pestaggio del recluso finito alla ribalta delle cronache nazionali con l’audio shock, i riflettori si riaccendono nuovamente sul carcere teramano e il caso Castrogno riesplode.

Uzoma Emeka, informa nella tarda serata di ieri una nota del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, era proprio il testimone del presunto pestaggio avvenuto in carcere e che ha portato alla sospensione dal servizio dell’ex comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Luzi. Nelle settimane scorso era stato sentito proprio dagli investigatori che stanno indagando sul caso su delega del pm David Mancini.

Sarà l’anatomopatologo Giuseppe Sciarra ad eseguire oggi l’autopsia. Una prima ricognizione fatta sul corpo ha escluso la presenza di segni di violenza. L’uomo, molto probabilmente, è deceduto per cause naturali, ma l’inchiesta della procura mira a fare chiarezza sui soccorsi. L’obiettivo è quello di accertare se ci siano stati eventuali ritardi che potrebbero aver causato la morte del nigeriano. Per tutto il pomeriggio di ieri gli investigatori della squadra mobile, a cui sono state delegate le indagini, hanno raccolto testimonianze e acquisito la cartella clinica dell’infermeria. Già questa mattina un primo rapporto sarà sul tavolo del magistrato, che ha disposto il sequestro della cella.

Secondo una prima ricostruzione sembra che l’uomo si sia sentito male intorno alle 9 mentre era in cella con un altro detenuto. Quando i soccorsi sono arrivati era terra, sembra, per una crisi respiratoria. È stato immediatamente portato in infermeria, dove è stato sottoposto alle prime cure. Dopo qualche ora, però, le sue condizioni si sono notevolmente aggravate, a tal punto che in infermeria è stato defibrillato. Poi, vista la sua gravità, è stato chiamato il 118. L’ambulanza è arrivata subito, ma per l’uomo, era troppo tardi. Il detenuto è morto durante il trasporto all’ospedale Mazzini.

Sei gli indagati per il presunto pestaggio che sarebbe avvenuto il 22 settembre: si tratta dell’ex comandante Giuseppe Luzi, sospeso dal suo incarico dal ministro Alfano, quattro agenti di polizia e il detenuto che sarebbe stato malmenato. Le ipotesi di reato contestate sono lesioni e abuso. Anche il detenuto, un italiano, è stato iscritto nel registro degli indagati visto che gli agenti sostengono di essere stati aggrediti dall’uomo, che invece dice di essere stato malmenato dai poliziotti. E qualche giorno fa il pm titolare del caso Mancini ha interrogato l’ex comandate della polizia penitenziaria, che ha risposto alle domande negando ogni aggressione ai detenuti.

 

Petrilli (Pd): troppi morti nelle carceri dell’Abruzzo

 

Giulio Petrilli, responsabile del dipartimento diritti e garanzie del PD, scrive: "Qualche giorno fa nel carcere di Teramo è morto un altro detenuto: il nigeriano Uzoma Emeka di 32 anni. Un’altra delle tante morti che si susseguono nell’ultimo periodo nelle carceri: suicidi, morti naturali, omicidi. Succede di tutto nelle carceri e come i barboni che muoiono di freddo sulle panchine delle città, o i migranti che muoiono annegati nelle barche fatiscenti che affondano, diventa un cliché normale la notizia delle morti.

Mai come oggi esse sono la discarica della società, abbandonati a se stessi in celle sovraffollate e fatiscenti i 66mila detenuti, a fronte di una capienza massima di 40mila. L’Abruzzo non fa eccezione e il carcere di Teramo ne è un esempio negativo, in primis per il sovraffollamento e poi sta strappando a quello di Sulmona il triste primato dei suicidi e delle morti, con l’interrogativo purtroppo legittimo che in qualche caso si possa trattare anche di omicidio.

La morte del detenuto nigeriano Uzoma Emeka, testimone di un pestaggio avvenuto all’interno del carcere di Teramo ne è un esempio. Arresto cardiocircolatorio, all’età di 32 anni: sono rarissimi questi eventi, attendiamo gli esiti dell’autopsia.

Nel frattempo non dimentichiamo che è sufficiente mettere nel caffè una dose eccessiva di alcuni farmaci che questo può accadere. Non sono per la cultura del sospetto, anzi, ma in questo caso un detenuto che può essere un teste chiave di un’inchiesta importante muore a 32 per arresto cardiocircolatorio, genera delle perplessità e dei dubbi fortissimi. Rendiamo con l’informazione, con le visite istituzionali, con un monitoraggio continuo, trasparenti le mure del carcere. Il carcere deve essere un luogo di espiazione della pena ma anche di recupero. Voltaire scriveva che la civiltà di una nazione si evince dallo stato delle sue prigioni. Mai come ora queste parole sono di stretta attualità".

 

Bernardini (Radicali): bisogna fugare ogni dubbio, Alfano risponda

 

Rita Bernardini, deputato radicale eletto nel Pd e membro della commissione Giustizia della Camera, chiede al Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) di aprire un’indagine interna sulla morte di Uzoma Emeka "al fine di fare completa chiarezza sulla vicenda fugando così ogni sospetto".

"Sarebbe utile sapere perché il Ministro della Giustizia non risponde alle interrogazioni radicali. Il fatto che non abbia risposto all’interrogazione che abbiamo presentato in seguito alla visita di sindacato ispettivo effettuata il 2 novembre scorso nel carcere Castrogno di Teramo, è molto grave perché, forse, si sarebbe potuta evitare l’ennesima tragedia, cioè la morte del giovane nigeriano che molto probabilmente era stato testimone negli accertamenti relativi al presunto pestaggio che ha poi portato alla sospensione del comandante di reparto.

Un carcere senza direttore, dove sono stipati 400 detenuti in spazi che potrebbero contenerne 230, dove gli agenti in servizio sono solo 155 a fronte di una pianta organica che ne prevede 203, dove gli educatori sono solo 2, dove il medico di turno rivela che oltre il 50 per cento dei reclusi è malato e che tantissimi sono coloro che sono affetti da malattie psichiatriche del tutto incompatibili con il regime di detenzione e dove l’assistenza psichiatrica e psicologica è pressoché nulla. Un carcere dove le celle sono malmesse, fredde e umide; celle in cui i detenuti sono costretti a stare tutto il giorno perché non è prevista alcuna attività trattamentale. Persino il cappellano manca a Castrogno. Verrebbe da dire "dimenticato da Dio e dagli uomini" ma, chiamare in causa il Creatore, di fronte all’inefficienza e all’indifferenza delle istituzioni, siano esse civili o religiose, sarebbe veramente arbitrario.

Ministro Alfano, te lo abbiamo già chiesto: cosa intendi fare di fronte ad una situazione carceraria che esplode? Di fronte a morti così poco "naturali", come le definiscono i tristi e burocratici bollettini di morte provenienti dalle carceri?

Il ragazzo nigeriano che ha lasciato la comunità dei viventi era tossicodipendente, depresso e perciò fortemente vulnerabile; soprattutto, aveva la grande colpa di avere ancora occhi per vedere ciò che non avrebbe dovuto vedere. Ma in quel carcere sarebbe stato giusto e opportuno non continuasse a stare".

A seguito della morte di Uzoma Emeka, Rita Bernardini ha depositato la seguente interrogazione al Ministro della Giustizia: "Per sapere - premesso che: il 09 novembre 2009 l’interrogante presentava al Ministro della giustizia l’interrogazione n. 4-04821 nella quale si chiedeva di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a verificare le responsabilità del personale penitenziario in ordine al presunto pestaggio avvenuto all’interno del carcere teramano di Castrogno poi costate la sospensione al Comandate di Reparto, dott. Giuseppe Luzi; all’interrogazione non è stata data ad oggi alcuna risposta né si è appreso di iniziative assunte dal Governo per tentare di risolvere o solo attenuare le gravi problematiche che affliggono l’istituto di pena teramano evidenziate nell’atto di sindacato ispettivo (sempre del 9 novembre 2009) n. 4-04862; l’agenzia Ansa del 18 dicembre c.a. riporta la notizia della morte, avvenuta nel carcere di Castrogno, di un detenuto di nazionalità nigeriana del quale vengono riportate solo le iniziali, U.E..

La persona deceduta era stata ascoltata in qualità di testimone dalla Procura di Teramo proprio nell’ambito dell’inchiesta relativa al citato pestaggio avvenuto all’interno del carcere abruzzese; episodio per il quale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva disposto la sospensione del Comandante del Reparto; secondo quanto si è appreso fino a questo momento, il giovane straniero dopo aver accusato forti dolori addominali è stato trattenuto in osservazione nel reparto infermeria del carcere; dopodiché il suo stato di salute si sarebbe aggravato divenendo necessario il suo trasporto al vicino ospedale dove però è morto; secondo i medici del nosocomio teramano la morte sarebbe stata provocata da cause naturali, ma sulla vicenda la Procura di Teramo ha aperto un fascicolo disponendo l’autopsia; il carcere di Castrogno è sempre più sovraffollato, mancano gli agenti e servizi sociali adeguati, i detenuti non hanno spazi, né per "l’aria" né per fare attività fisica o socializzare; a prescindere da quelli che saranno gli esiti dell’inchiesta sulla morte del detenuto nigeriano, lo Stato ha il dovere istituzionale, politico e morale di non lasciare nulla di intentato per garantire ai detenuti condizioni di vita conformi al dettato costituzionale nonché per salvare anche una sola vita umana anche di chi, per i propri errori, ha perso la libertà -: se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di accertare quali siano le effettive cause della morte del detenuto nigeriano e se, in ordine alle stesse, non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare da parte del personale penitenziario; se non ritenga, assumendo senza ulteriori indugi le iniziative sollecitate fino ad oggi inutilmente con l’interrogazione del 9 novembre 2009 n. 4-04862, di intervenire concretamente perché nel carcere teramano il livello e la qualità della detenzione siano quelli degni di uno Stato civile e democratico.

 

Manconi: ennesimo caso di abbandono terapeutico

 

Il detenuto Uzoma Emeka, considerato uno dei testimoni del pestaggio avvenuto nel carcere di Teramo, e morto in ospedale in circostanze ancora da chiarire, sarebbe morto a causa di un tumore al cervello. È quanto comunica A Buon diritto, riferendo le informazioni pervenute alla stessa associazione. "Se questa diagnosi venisse avvalorata dall’autopsia prevista per le prossime ore - dice il presidente Luigi Manconi - si avrebbe la conferma del grave stato di abbandono terapeutico nel quale versava Uzoma e nel quale versa l’intero sistema penitenziario italiano".

Infatti, 48 ore prima del malore che ha portato Uzoma Emeka - dopo oltre 5 ore di attesa in carcere - al ricovero in ospedale, il detenuto già si era sentito molto male. "Dunque - spiega Manconi - i segnali di una condizione particolarmente compromessa in un soggetto tossicodipendente e depresso erano già tutti riconoscibili. Ma il carcere di Teramo è, sotto tutti i profili, un autentico disastro. Mi auguro - conclude - che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che da settimane non risponde alle interrogazioni del deputato Rita Bernardini su quell’istituto penitenziario, trovi finalmente il tempo per fornire qualche spiegazione".

"Autolesionismo, abusi, morti improvvise, overdose presentate come suicidi, suicidi presentati come overdose, mancato aiuto, assistenza negata, "è un vero e proprio regime di omissione di soccorso - dice Manconi - quello che governa il sistema penitenziario italiano. Sullo sfondo di questo tragico avvenimento, l’ultimo di una lunga teoria di morti o inspiegate o sospette, c’è la vicenda del "negro ha visto tutto", del massacro involontariamente confessato, dei testimoni che esitano a parlare. Forse non ci sono misteri nel carcere di Teramo, ma certamente c’è un bubbone che va eliminato".

Giustizia: Uil; trascorsa un’altra settimana critica, per le carceri

 

Adnkronos, 21 dicembre 2009

 

"Si è presto chiusa la breve parentesi della scorsa settimana che non aveva fatto registrare feriti e aggrediti tra le fila della polizia penitenziaria. Questa settimana, purtroppo, sono sei gli agenti che hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere causa aggressioni subite da parte di detenuti". È quanto afferma Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, stilando il bollettino settimanale degli eventi critici registratisi negli istituti penitenziari, rilevati e monitorati dalla Uil Pa Penitenziari e pubblicati sulla pagina web Diario di Bordo pubblicata sul sito www.polpenuil.it.

A Sulmona - prosegue Sarno - l’ennesima aggressione (la dodicesima in 11 mesi) verificatasi ieri è stata portata a termine da un detenuto ubriaco. Considerato che molte aggressioni a poliziotti penitenziari sono compiute proprio da detenuti ubriachi sarebbe il caso che l’Amministrazione Penitenziaria, con in testa il Capo del Dap, provvedesse ad emanare opportune direttive per contrastare questo fenomeno; semmai oltre a prevedere reali limitazioni nella somministrazione di bevande alcooliche ad imporre anche divieti di accumuli delle stesse.

Ma questa settimana - evidenzia Sarno - si è caratterizzata anche per le numerose, rumorose (a volte violente) proteste messe in atto dai detenuti ristretti nel Triveneto. A Vicenza da una settimana i detenuti battono ogni tre ore e hanno comunicato l’intenzione di proseguire ad oltranza. Analogamente a Treviso e alla Casa Circondariale di Padova si sono registrate proteste violente, al limite della sommossa.

Proprio in relazione alla Circondariale di Padova - sottolinea ancora Sarno - ci pare significativo che ieri i detenuti abbiano protestato con ancor più veemenza e violenza appena dopo la visita del Sottosegretario alla Giustizia Casellati. Questo conferma le tensioni che covano nelle carceri e l’insofferenza montante verso la stasi politica e amministrativa che determina la paralisi del sistema ma alimenta l’illegalità e l’inciviltà nelle nostre prigioni.

Una settimana che ha registrato l’ennesima morte in cella , che secondo la Uil alimenterà nuove polemiche. Purtroppo il decesso di venerdì del giovane senegalese a Teramo - ribadisce il segretario della Uil Pa Penitenziari- rinfocolerà le polemiche, in verità mai sopite, sulle presunte violenze in carcere. Un film già visto troppe volte. A Teramo l’Autorità Giudiziaria ha disposto i dovuti accertamenti e ci rimettiamo fiduciosi all’esito delle indagini e degli esami autoptici.

Voglio però dire con fermezza - aggiunge Sarno - che le decisioni della magistratura vanno sempre accettate e rispettate. Da tutti, nessuno escluso. Non comprendo ne giustifico, quindi, le polemiche scatenate dalla decisione del Gip di Perugia di archiviare l’inchiesta sulla morte di Bianzino. Non si può applaudire la magistratura quando rinvia a giudizio i presunti colpevoli e criticare quando decide di archiviare. Occorre misura ed equilibrio. Il rischio è di alimentare una ingiustificata delegittimazione di un Corpo di polizia dello Stato che è impegnato in prima linea a garantire sicurezza e legalità. D’altro canto - conclude - i 360 suicidi sventati nei primi 11 mesi di quest’anno (570 i tentati suicidi, 68 le morti per suicidio) sono la prova della professionalità e dell’attenzione che l’intero Corpo di polizia penitenziaria profonde nel difficile impegno quotidiano in una realtà molto più che difficile e in un contesto di solitudine ed abbandono.

Giustizia: Sappe; ritardare gli interventi sarebbe un grave errore

 

Ansa, 21 dicembre 2009

 

Sarebbe un grave e pericoloso errore continuare a ritardare ulteriormente i necessari ed urgenti interventi sul sistema penitenziario nazionale. Le feste si avvicinano, i detenuti aumentano, gli agenti diminuiscono perché non vengono adeguatamente compensati quelli che vanno in pensione. Un mix esplosivo rispetto al quale sarebbe davvero grave continuare non assumere provvedimenti concreti. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione alle recenti proteste avvenute nei penitenziari di Genova Marassi e Lucca nei giorni scorsi.

Oggi - spiega Capece - abbiamo 66mila detenuti per 43mila posti letto e già da tempo registriamo segnali di insofferenza dei detenuti verso il crescente sovraffollamento: segnali negativi, che ricadono principalmente sulle già gravose, pericolose e stressanti condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che lavorano con grande professionalità e alto senso del dovere a contatto con i detenuti e nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno.

Capece ricorda, quindi alcuni dati significativi: il 50% dei detenuti oggi presenti è imputato (più di 15mila in attesa di primo giudizio, 9mila gli appellanti ed oltre 5mila i ricorrenti), il 40% è straniero (oltre 20mila gli extracomunitari e più di 4mila i comunitari) ed il 30% sono tossicodipendenti e/o alcooldipendenti. In questo contesto parlare di rieducazione e trattamento è pura utopia. Non solo. Oggi i detenuti che lavorano sono, più o meno, 13mila, il 20% dei presenti.

Secondo Capece, invece, si dovrebbe arrivare a introdurre, come già avviene in molte carceri estere, il lavoro obbligatorio per tutti i detenuti. Se è vero, come è vero, che il lavoro è potenzialmente determinante per il trattamento rieducativo dei detenuti (perché li terrebbe impiegati per l’intero arco della giornata durante la detenzione, ore che oggi passano nell’ozio quasi assoluto, perché permetterebbe loro di acquisire un’esperienza lavorativa utile fuori dalla galera, una volta scontata la pena), perché non provare a percorrere anche questa strada?.

Circa la loro retribuzione, poi - sottolinea - il 50 per cento verrebbe assegnato all’interessato (che contribuirebbe così anche a sostenere una parte dei costi che la collettività sostiene per la sua detenzione) e l’altro 50 per cento destinato ad un fondo istituito dallo Stato per le vittime della criminalità. Mi auguro dunque - conclude Capece - che il Governo in primis ma l’intero Parlamento adottino con urgenza provvedimenti concreti per il sistema penitenziario nazionale.

Giustizia: Osapp; disastro-carceri colpa di Ionta e taglio risorse

 

Avvenire, 21 dicembre 2009

 

È polemico Leo Beneduci, segretario generale Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria, con il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. "Se ci sarà una presentazione ufficiale del piano carceri in Consiglio dei ministri per il 2010 - aveva annunciato nei giorni scorsi, questa riguarderà solo le opere realizzabili con i 500 milioni di euro previsti in finanziaria", che rappresentano, secondo Beneduci, "meno di un terzo di quello che sia Ionta sia Alfano avevano promesso di mettere in cantiere, per un numero di posti - detenuto che sarà meno di un quarto di quelli necessari".

Nell’attribuire al capo del Dap gran parte delle responsabilità del "disastro delle carceri", Beneduci ha aggiunto che " un decreto pubblicato lo scorso 11 dicembre assegna alla Polizia penitenziaria 74 unità in più da assumere entro l’anno, ma le graduatorie da cui attingere sono state annullate da una recente sentenza del Tar del Lazio che si è pronunciato in tal modo dopo che il Dap aveva mancato di trasmettere allo stesso Tar i chiarimenti richiesti, per cui non vi sarà nessuna assunzione". Per Beneduci, l’episodio si aggiunge al fatto che "al Salone della giustizia di Rimini, il ministro Alfano aveva promesso 2.000 unità in più" .

Lettere: ad Ilaria Cucchi; la morte di Stefano è già dimenticata

di Pierluigi Battista

 

Corriere della Sera, 21 dicembre 2009

 

Gentile signora Ilaria Cucchi, solo per dirle che non è unanime e totale il silenzio piombato sulle circostanze ancora misteriose della morte assurda di suo fratello Stefano. Solo per constatare quanto sarà improbo, per lei e la sua famiglia, mantenere lo stile esemplare sin qui dimostrato. Nessuna invettiva, nessuna imprecazione da parte vostra, persino una presa di distanza, severa e fiera, da chi voleva prendere a pretesto il nome di Stefano Cucchi per legittimare la violenza di strada e gli insulti contro lo Stato democratico. Una lezione per tutti. Tranne per quello stesso Stato democratico che non sembra prendere a cuore questa vicenda e sembra non curarsi del terribile sospetto che nelle sue prigioni un detenuto possa essere percosso, e addirittura morire nella solitudine e nella sciatteria.

L’Italia è fatta così. Dapprima sembra scossa da un sussulto di dignità quando apprende che un ragazzo come Stefano Cucchi esce tumefatto dopo una notte di detenzione, devastato da lesioni di cui non si comprende l’origine, costretto a una degenza ospedaliera incomprensibilmente sottratta alla vista dei suoi familiari ignari della sorte che di lì a poco si porterà via un figlio e un fratello arrestato qualche giorno prima. Poi, gradualmente, quella vicenda passa in secondo piano. Le immagini del corpo di Stefano Cucchi sbiadiscono.

L’indignazione perché qualcuno possa aver malmenato un giovane si attenua. I medici dell’ospedale che non forniva nessuna notizia a lei e ai suoi genitori sono stati reintegrati. I carabinieri e gli agenti penitenziari si rimpallano le responsabilità. Non si sa più a che punto siano le indagini. Non si tiene in nessun conto persino il documento del Dap che ha ammesso una sequenza impressionante di errori, negligenze e prepotenze. Scema l’attenzione dei media. E nessuno sembra voler rispondere alla domanda fondamentale che lei e i suoi genitori andate ripetendo tenacemente oramai da mesi: come e perché è morto Stefano Cucchi?

È sempre più difficile chiederle, signora Cucchi, di mantenere la linea di condotta che ha sin qui caratterizzato la vostra sacrosanta azione di denuncia. Sappia però che non tutti i cittadini italiani sono disposti a sorvolare sul sospetto che nelle carceri di uno Stato democratico, in cui il rigore della legge non può essere disgiunto dalla tutela intransigente della dignità delle persone, qualcuno possa percuotere e malmenare un detenuto, chiunque esso sia. Proprio in questi giorni i radicali stanno sollevando il sipario su un altro terribile caso, quello di Aldo Bianzino, trovato morto in cella a Perugia nel 2007, con lesioni interne causate da non si sa che cosa. La speranza è che la morte di suo fratello Stefano non ripiombi nell’indifferenza generale con cui è stata accolta la morte di Bianzino. Purtroppo la speranza appare sempre più irragionevole. Tenga duro, signora Cucchi, anche per tutti noi.

Lettere: ex detenuto e straniero... sarà emarginato per sempre

 

Il Tirreno, 21 dicembre 2009

 

Questa è la storia di un ex detenuto, malato, straniero, senza fissa dimora e senza passaporto. Uno dei tanti. Uno dei tanti che usciti dal carcere non sa dove andare. Ha trovato un aiuto nei volontari dell’associazione Controluce, da quindici anni sul territorio pisano, che cerca di stare accanto alle persone in carcere durante il periodo della detenzione e del reinserimento sociale. È fuggito dal suo paese oltre dieci anni orsono e, arrivato in Italia, ha cercato una vita migliore. Ma, S., è finito in brutti giri e più volte al Don Bosco.

Qui incontra l’associazione Controluce. In seguito, per una grave malattia, S. viene ricoverato in ospedale da dove chiama l’associazione. Guarisce, ma quando esce dall’ospedale non sa che fare. Controluce cerca per S. un letto al dormitorio, ma i posti sono tutti occupati, "a anche se ci fosse stata la possibilità non avrebbe potuto usufruirne perché privo di documenti". Si cerca anche nelle parrocchie e alla Caritas, ma tutte le strutture sono occupate. Si allarga la ricerca fuori Pisa, ma siamo in piena emergenza freddo, c’è il tutto esaurito. A S. viene consigliato di prendere di andare al consolato del suo Paese a Roma e ritirare il suo passaporto, quindi chiedere di essere rimpatriato: non è stato possibile.

Abbiamo chiamato l’Organizzazione internazionale migrazioni per capire come aiutare il rimpatrio volontario. La risposta è che se uno ha precedenti penali non è possibile il rimpatrio volontario. A S. possiamo consigliare di trovare un poliziotto e dirgli due parolacce. Al Don Bosco un materasso lo danno, e danno anche un pasto caldo.

 

Associazione "Controluce"

Lettere: amico inghiottito da carcere, è impossibile comunicare

di Nadia Seliziato

 

La Nuova di Venezia, 21 dicembre 2009

 

Nella serata del 1° dicembre un ragazzo tunisino viene fermato dai Carabinieri nei pressi di Prato della Valle a Padova e arrestato in quanto in possesso di alcuni grammi di fumo… e non stava spacciando; il mattino successivo a mezzogiorno viene fatto un processo per direttissima con condanna a un anno ed otto mesi. Dal 1º dicembre ad oggi, pur dando mandato a un legale, non siamo riusciti ad avere alcun contatto con l’interessato (è vivo? in salute? necessita di cambio di indumenti? sono possibili visite? telefonate? Si trova al Due Palazzi o altrove?).

Il legale dice che si potrebbe ricorrere in appello purché vi sia qualcuno disponibile a offrire ospitalità (serve un contratto di affitto, una busta paga e una dichiarazione). Risultato: nessuno delle decine di tunisini, marocchini e altre etnie, pur vivendo a Padova si trova nelle condizioni di avere un contratto di affitto in regola.

Oggi decido di telefonare alla Casa Circondariale Due Palazzi dove pare sia detenuto l’interessato con l’intento di chiedere informazioni. Mi risponde una persona (di sesso maschile) non meglio identificata e dall’accento meridionale. Alla mia richiesta mi risponde che da fuori non si può fare nulla, è il detenuto che deve fare richiesta in quanto ha diritto a una telefonata alla settimana e può scrivere anche ogni giorno.

Io chiedo: "ma la persona, non essendo italiano e, ovviamente non essendo più in possesso di proprio telefono, come fa a fare richiesta di telefonare o di scrivere se non ricorda a memoria numero". Informo di nome e cognome e dopo un momento di attesa mi dice di non avere l’elenco. Mi chiede anche se ci sia un legale e, alla mia risposta affermativa, dice "allora deve rivolgersi al suo legale perché lui può fare tutto".

Da 20 giorni non abbiamo alcun contatto con questa persona, non sappiamo nulla delle sue condizioni e dico per 25 grammi di fumo uno subisce un processo per direttissima e viene condannato. Io stessa ho subito il regolamento italiano: trent’anni fa è stato ucciso mio fratello (faceva il carabiniere); il colpevole non è mai stato identificato e dopo 25 anni alla Corte dei Conti di Venezia hanno fatto un processo respingendo qualsiasi forma di riconoscimento.

Ma può esistere un risarcimento per una vita (quando lo Stato, dopo aver deciso per i funerali di stato ha chiesto il rimborso di parte delle spese alla famiglia composta dalla mamma casalinga e vedova da 4 anni e da una sorella di 12). Era caduto per causa di servizio, riconosciuta. Condanniamo chi ha rubato una scatola di fagioli e lasciamo fuori gli assassini? Con questo non voglio giustificare la detenzione di sostanze stupefacenti che va comunque punita ma se ci sono dei diritti e delle regole, rispettiamole e facciamole rispettare da tutti e non come sempre a misura di potere. Mi torna alla bocca una sola parola: "vergogna".

Lazio: 105mila € per sostenere lavoro di operatori penitenziari

 

Il Velino, 21 dicembre 2009

 

Centocinquemila euro a sostegno delle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari. Lo prevede lo schema di delibera della Giunta che ha ottenuto oggi parere favorevole, all’unanimità, dalle commissioni Sicurezza e Lavoro del Consiglio regionale del Lazio riunite in seduta congiunta. In particolare poco di più 76 mila euro sono indirizzati all’apprendimento delle lingue spagnola, rumena, francese e inglese.

"Nelle carceri del Lazio sono in aumento i detenuti stranieri - ha spiegato il Garante regionale Angiolo Marroni - rappresentano il 37-38 per cento e provengono in gran parte dal Nord Africa e dall’Europa dell’Est". Altri 12 mila euro finanziano il progetto Atmos 3 relativo alla presa in carico di soggetti detenuti per reati sessuali, oltre 11 mila euro sono destinati al progetto St.Acco. (Staff di accoglienza) e 5.600 euro sostengono il progetto Ofi, Osservatorio Flussi Migratori. "I recenti fatti di cronaca ci spingono a dare risposte indifferibili - ha detto l’assessore alle Politiche sociali Luigina Di Liegro - la situazione nelle carceri è difficile e intervenire per migliorare anche la condizione culturale degli operatori è un dovere civico e cristiano".

"Mentre il governo nazionale continua a perseguitare i clandestini - hanno dichiarato a fine seduta i presidenti delle commissioni Luisa Laurelli (Pd) e Giuseppe Mariani (Lista civica per il Lazio) - le carceri scoppiano e non viene pagata la mediazione culturale.

In un momento particolarmente difficile per gli operatori penitenziari, sotto organico e costretti a doppi turni, è la Regione Lazio ad intervenire". Nell’occasione Laurelli e Mariani hanno tenuto a ricordare che il nuovo carcere di Rieti non può essere aperto per mancanza di operatori. Hanno partecipato alla seduta i consiglieri regionali Augusto Battaglia (Pd), Maria Antonietta Grosso (Pdci), Antonio Luciani (An-Pdl) e Annamaria Massimi (Pd).

Bollate: direzione; in nota Sappe fatti non corrispondenti a vero

 

Ansa, 21 dicembre 2009

 

La Direzione della Casa Circondariale di Bollate (Milano) contesta la veridicità di quanto contenuto in comunicato stampa dell’organizzazione sindacale Sappe che conterrebbe fatti "non corrispondenti al vero". Nel comunicato del Sindacato di polizia si faceva riferimento al ritrovamento in carcere di cellulari, droga e documenti falsi. "Si specifica - è scritto in una nota della direzione - che in data 15 dicembre sono stati trovati due telefoni cellulari nel reparto che ospita i detenuti peraltro già ammessi al lavoro all’esterno. Gli altri telefoni sono stati trovati all’esterno dell’istituto, nella sede dell’Amsa dove i detenuti lavorano ed erano autorizzati ad utilizzarli".

La Direzione del carcere milanese specifica inoltre che "circa 20 grammi di hashish sono stati rinvenuti nel bagno delle donne nella portineria esterna dell’istituto. La professionalità dei poliziotti penitenziari di Bollate ha dunque evitato l’introduzione di droga, che è stata sequestrata prima di essere portata in modo fraudolento in istituto". Nella nota si sottolinea infine che, contrariamente a quanto riportato dal comunicato, "non sono stati rinvenuti documenti falsi, né alcun altro documento d’identità appartenente a boss della criminalità organizzata ( tra l’altro, nell’istituto di Bollate non vi sono detenuti appartenenti al circuito della criminalità organizzata)".

 

Uil: il "Progetto Bollate" deve continuare

 

"Rivolgiamo i nostri complimenti e le nostre congratulazioni al personale di Polizia Penitenziaria di Bollate ed al Comandante di Reparto per il brillante risultato conseguito. Questa operazione rende concreto il concetto di sicurezza dinamica all’interno di un carcere".

A dichiararlo il Segretario Nazionale della Uil Pa Penitenziari Angelo Urso, che commenta le conclusioni di una indagine (coordinata dal Vice Commissario Alessandra Uscidda - Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria presso la Casa di reclusione di Bollate). Un’operazione che ha portato al ritrovamento, nei giorni scorsi, di dieci telefoni cellulari , di modiche quantità di sostanze stupefacenti e di alcuni documenti d’identità (risultati rubati) abilmente occultati in parte in ambienti contigui al carcere e in parte all’esterno della struttura penitenziaria.

"Ad onor del vero - precisa Urso - occorre dire che 8 dei telefoni cellulari sono stati rinvenuti all’esterno dell’istituto e due all’interno della sala comune presso il reparto in cui vengono rinchiusi alla sera i detenuti ammessi al lavoro all’esterno (art. 21 O.P.). Parliamo, quindi, di soggetti ammessi alle misure alternative al carcere e non propriamente ristretti. La sostanza stupefacente (hascisc) è stata trovata all’interno della sala dove sostano i familiari prima di accedere in istituto per i colloqui ( in prossimità della portineria) e all’interno dei bagni della sala dove si acquisiscono i permessi di colloquio. Con molta probabilità, se non fosse stata scoperta, qualche detenuto addetto alle pulizie avrebbe potuto introdurla all’interno del carcere". L’attività di Polizia Giudiziaria svolta ha determinato la revoca dei benefici e la perdita del lavoro all’esterno per i responsabili identificati.

"In un contesto detentivo dove si privilegia l’aspetto trattamentale, l’attività di intelligence e la sorveglianza dinamica, comunque, non sono mai venute meno. Ciò ha permesso di individuare i responsabili ed ha evitato la possibilità - sottolinea Angelo Urso - di introdurre i telefoni e la droga all’interno del carcere. Questo dimostra, semmai ce ne fosse stato bisogno, che la Polizia Penitenziaria è in grado di garantire la sicurezza del sistema, nonostante le note carenze organiche e ripropone l’attualità dell’idea di affidare ai baschi blu la sorveglianza di soggetti ammessi alle misure alterative e più in generale la competenza in materia di esecuzione penale esterna.

La Uil Pa Penitenziari, nel sottolineare come la Polizia Penitenziaria può impegnarsi nel recupero dei detenuti senza abdicare ai precipui compiti di sorveglianza a garanzia della sicurezza, invita a non strumentalizzare eccessivamente l’episodio e a rimarcare la validità del "Progetto Bollate"

"I nostri colleghi di Bollate hanno dimostrato con i fatti come si può essere attori protagonisti della rieducazione e nello stesso tempo garanti della sicurezza . La validità del "Progetto Bollate" resta inalterata e va garantita la continuità dell’esperienza. Inevitabilmente - chiosa il Segretario Nazionale della Uil Pa Penitenziari - occorre riflettere come, se e dove è possibile migliorarlo. Per questo riteniamo utile e necessaria una convocazione da parte del Provveditore Regionale della Lombardia, Dr. Luigi Pagano. A distanza di qualche anno dalla realizzazione di quel progetto, riteniamo sia indispensabile un momento di analisi per un suo possibile perfezionamento".

Monza: un detenuto da fuoco alla cella… intossicati 10 agenti

 

Agi, 21 dicembre 2009

 

Un detenuto di origine marocchina ristretto presso la Casa Circondariale di Monza questa mattina intorno alle 11.30 ha dato fuoco alla propria cella. Le alte fiamme e le dense nubi di fumo sprigionatesi dall’incendio hanno reso necessario l’intervento del personale di polizia penitenziaria e una decina di agenti sono stati trasportati in ospedale con sintomi di asfissia e intossicazione da fumo. Sono in corso gli accertamenti e i rilevamenti del caso. Ne da notizia il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno.

"La velocità di propagazione delle fiamme - spiega - è stata talmente veloce che non si è potuto attendere l’arrivo dei Vigili del Fuoco. Si è dovuto intervenire tempestivamente con uomini della polizia penitenziaria che, dopo aver messo in salvo i detenuti, attraverso maschere d’ossigeno e gli idranti a disposizione, hanno dapprima contenuto e poi spento l’incendio. Ancora una volta - sottolinea Sarno - la tempestività d’azione, la professionalità e il coraggio della polizia penitenziaria ha consentito la gestione di un evento critico di particolare gravità. Il responsabile del gesto è un detenuto già noto per atti di intemperanza e dalla difficile situazione psichica.

Ci chiediamo, pertanto, se non sia il caso che il Dap, finalmente, provveda all’istituzione di sezioni omogenee per l’osservazione e la gestione penitenziaria e sanitaria di questi detenuti che, evidentemente, presentano difficoltà di gestione. Ai colleghi di Monza giunga il nostro sincero plauso, ancor più in ragione delle gravi difficoltà operative in cui sono costretti a lavorare per il continuo e perpetuo depauperamento degli organici".

Padova: reinserimento e sicurezza passano attraverso il lavoro

 

Il Mattino di Padova, 21 dicembre 2009

 

Reinserimento e sicurezza dei detenuti passano attraverso il lavoro. Alla protesta dell’altra notte di nove nordafricani che hanno sfasciato la propria cella esasperati dal sovraffollamento (ad oggi al Due Palazzi sono in 245 persone con punte di 263 mentre la capienza regolamentare ne prevede 98 con tolleranza fino a 136), la Casa Circondariale risponde con un’iniezione di fiducia che arriva dal mondo del lavoro. Durante il quarto convegno organizzato dall’associazione Nessuno Tocchi Caino, dal carcere è stata aperta una finestra sull’industria.

Roberto Caccin, direttore della logistica Morellato spa, ha raccontato la sua esperienza di delocalizzazione al Due Palazzi. "È dal 2005 - ha ricordato - che collaboriamo con la cooperativa Rebus per il confezionamento e l’etichettatura di parte dei nostri gioielli: il contributo dei detenuti è stato ottimo. Parliamo infatti di 4500 pezzi al giorno confezionati con precisione e puntualità". Del resto la legge Smuraglia prevede importanti sgravi fiscali per dipendenti-detenuti.

"Invece di andare a delocalizzare in Cina assumiamo dal carcere" ha suggerito Massimo Calearo, imprenditore e deputato che la scorsa estate nel carcere di Ravenna ci ha portato il figlio in visita. "Nel recupero delle persone il lavoro è il primo passo da compiere - ha confermato Salvatore Pirruccio, direttore della Circondariale - Siamo pronti a garantire colloqui in carcere".

L’informazione è un secondo step fondamentale. Francesco Peghin, presidente degli industriali di Padova, si è reso disponibile a far conoscere la legislazione. Magari con una "Circolare periodica rivolta agli industriali" ha proposto Michele Bortoluzzi, imprenditore e membro dei Radicali. Ma senza dimenticare che le condizioni disumane di alcuni carceri sono un’altra"pena di morte" da combattere - ha ruggito Sergio D’Elia, presidente di Nessuno Tocchi Caino - Tuttavia mi appello ai detenuti che l’altra notte si sono ribellati affinché non perdano la speranza: non perdete la fiducia in noi e nei radicali, insieme vogliamo rivoluzionare le carceri".

Milano: lettera dell’arcivescovo Dionigi Tettamanzi ai detenuti

 

Adnkronos, 21 dicembre 2009

 

Un cartoncino pieghevole da conservare sui cui lati esterni è riprodotta un’immagine natalizia (Lorenzo Lotto, Adorazione dei pastori, 1530) e all’interno una lettera vera e propria dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, destinata ai detenuti della diocesi di Milano. Il cartoncino e la lettera verranno consegnati dallo stesso cardinale Tettamanzi durante la Messa che celebrerà il giorno di Natale, alle ore 8,30 presso il carcere di san Vittore a Milano. La stessa lettera viene distribuita in questi giorni dai sacerdoti cappellani in 5000 copie nei penitenziari della Diocesi di Milano.

"Carissima amica e amico detenuto - scrive il Cardinale - con grandissima gioia e con tutte le mie forze ti annuncio la presenza di un Bambino accanto a te! La nascita di un bimbo in una famiglia non è forse un evento meraviglioso? Forse sei padre o madre… Ti ricordi quando hai accolto nella tua casa il tuo primo figlio? E poi magari il secondo e il terzo… La nascita è il segno di un amore fatto carne".

"Conosco quanto bene vuoi ai tuoi figli e quanto oggi ti mancano - prosegue Tettamanzi - quanto soffri per loro e quanto vorresti essere a casa tua in questi giorni di Natale. I tuoi cari li hai tutti nel cuore e, anche se sono lontani, tu li senti vicini, respirano nella tua anima. Forse, invece, non hai figli; forse in questi giorni sperimenti la tristezza della solitudine… Qualunque situazione tu stia vivendo, ecco, proprio a te annuncio: c’è un Bimbo che chiede di essere ospitato nella tua vita. È un piccolo che discende nella tua cella e bussa alla porta del tuo cuore".

Può sembrarti uno straniero - sottolinea l’arcivescovo di Milano - ma è il Dono di Dio, il Figlio suo Gesù, tuo fratello. Come capita in tante famiglie, questo è un Bambino che disturba, che sconvolge, che non fa dormire… Nasce per chiederci ospitalità, per farci diventare uomini e donne di giustizia, aperti a tutti e mai ostili con nessuno, neppure con lo straniero e il diverso. Oggi abbiamo bisogno di compiere passi coraggiosi per nuove scelte di vita e questo Bambino ha tutta la forza di Dio necessaria perché ciò avvenga! Chi lo accoglie con fede si troverà su sentieri nuovi, si accorgerà di germogli mai visti, si stupirà di compiere miracoli d’amore".

"Il segreto di una vita nuova sta tutto qui - osserva il Cardinale - nel custodire sempre il progetto di vita che questo Bimbo porta con sé e scolpisce dentro di noi, nonostante i momenti oscuri e le situazioni drammatiche. Ti fidi di questa mia parola? Credimi, amica e amico mio, neppure le sbarre possono essere così dure e violente da impedire la tua rinascita umana e spirituale".

"Il Bimbo di Betlemme, se raccolto dalle tue mani -prosegue Tettamanzi nella sua lettera ai detenuti- ha il potere di farti diventare figlia e figlio di Dio, il Padre, che non mancherà mai di infondere in te il dono del suo Spirito. Ascolta il pianto di questo Bimbo e guarda il suo sorriso: le sue mani ti cercano. Fatti vicino e lasciati salvare, lasciati amare, lasciati liberare da ogni ombra del tuo passato. Questo - conclude - è il mio augurio, per te e per la tua famiglia".

Sulmona: Uil; 3 agenti sono stati aggrediti, da detenuto ubriaco

 

Ansa, 21 dicembre 2009

 

Togliere il vino dai pasti dei detenuti del carcere di Sulmona: è quanto chiede la Uil penitenziari dopo l’ultima aggressione messa in atto da un detenuto ubriaco nei confronti di tre agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto psicotico, in preda ai fumi dell’alcol, ha dapprima minacciato con una lametta un ispettore, per poi aggredire con calci e pugni un assistente capo di polizia penitenziaria e un agente intervenuti subito dopo.

Lo stesso detenuto, poco prima, aveva litigato con il suo compagno di cella, altrettanto ubriaco, e in passato aveva messo in atto gesti autolesionistici. Nel 2009 sono state 12 le aggressioni messe in atto dai detenuti nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria, relegando il carcere di Sulmona ai primi posti tra le carceri italiane ad aver avuto il maggior numero di questi episodi.

"Quasi sempre alla base di queste aggressioni vi è l’alcol - afferma il segretario provinciale Uil penitenziari, Mauro Nardella - per questo abbiamo chiesto all’amministrazione penitenziaria di togliere il vino ai detenuti, così come hanno fatto in altre realtà penitenziarie. Anche in considerazione del fatto che nelle carceri dove è stato tolto il vino si è registrata una drastica diminuzione degli eventi critici e delle aggressioni".

Cagliari: dall’Assoc. "SDR", prodotti per l’igiene a 150 detenuti

 

Agi, 21 dicembre 2009

 

"Un pensiero per il tuo Natale" è il progetto che consentirà a 150 donne e uomini indigenti detenuti nella carcere di Buoncammino di ricevere prodotti per l’igiene e la cura della persona. L’iniziativa è dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con il sostegno dell’assessorato provinciale delle Politiche Sociali. I pacchetti verranno consegnati mercoledì prossimo, 23 dicembre, antivigilia di Natale, alle 10, alla Direzione dell’Istituto di Pena che provvederà ad assegnarli.

"I nostri volontari - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SDR - nei colloqui con i detenuti hanno verificato che molti di loro, soprattutto extracomunitari nullatenenti e lontani dalla famiglia, non dispongono del necessario per curare adeguatamente l’igiene personale. Il loro conto è costantemente in rosso e non possono permettersi quindi di acquistare nello spaccio del carcere beni che risultano per loro di lusso. È evidente che al momento dell’ingresso in carcere, in base al regolamento interno dell’istituto di reclusione, il cittadino privato della libertà ottiene l’indispensabile, ma spesso non basta per garantirsi un’igiene e una cura adeguata alla condizione detentiva, soprattutto quando in situazioni protratte di sovraffollamento".

"Vogliamo offrire con un piccolo gesto - osserva l’assessore e vice Presidente della Provincia Angela Quaquero - un conforto a persone che si trovano in gravi difficoltà. Un atto doveroso da parte delle istituzioni, considerando la condizione umana di individui che il più delle volte non ricevono aiuti da parte dei familiari purtroppo lontani. Il Natale, insomma, ci offre un’opportunità in più per essere solidali e non intendiamo sprecarla". L’iniziativa sarà illustrata mercoledì mattina alle 10 in una conferenza stampa, nella sala riunioni della Palazzina della Direzione di Buoncammino. All’incontro, oltre all’assessora delle Politiche Sociali della Provincia di Cagliari e alla presidente di "Socialismo Diritti Riforme", interverranno, tra gli altri, il direttore Gianfranco Pala, il comandante degli agenti di polizia penitenziaria Michela Cangiano e il responsabile dell’area educativa Claudio Massa.

Augusta (Sr): le lezioni di iconografia bizantina, per i detenuti

di Alessandra Turrisi

 

Avvenire, 21 dicembre 2009

 

Prima studiano la figura, la disegnano con cura sulla tavola preparata con gesso e colla di coniglio, poi stendono i colori, e con la tecnica della lumeggiatura, pennellata dopo pennellata, la luce viene fuori e l’icona trasmette il suo messaggio. Un miracolo artistico, frutto di una lunga ricerca interiore e teologica. Ancor più straordinario se avviene nel chiuso di una cella di un carcere di alta sicurezza. Eppure, da quattro anni, un drappello di detenuti della Casa Circondariale di Brucoli-Augusta, tutti condannati a pene molto lunghe per associazione mafiosa e traffico di droga, aspetta con ansia le lezioni di teologia, filosofia e iconografia bizantina, straordinari strumenti di evasione e di scoperta della propria ricchezza interiore. Non parlano volentieri di come si sono ritrovati dietro le sbarre. Ma i loro occhi si illuminano quando qualcuno si interessa al loro cambiamento interiore, cominciato con l’ascolto della Parola di Dio.

Sembra incredibile, ma Vincenzo Scuderi, catanese di 46 anni, in prigione da nove, parlando con alcuni studenti dell’Istituto d’arte di Siracusa, confida: "Quando sto disteso nella mia cella, penso a come fare per tirare fuori quello che ho dentro". Il suo futuro, certo, si prospetta difficile, ma lui ha deciso di dargli una dimensione progettuale. Si è iscritto a scuola, l’anno prossimo vuole cominciare l’Accademia di belle arti, ha letto tre volte la Divina commedia e pensa già a come fare la tesi: dipingere ogni cantica dantesca nelle icone.

"Con questi sette detenuti abbiamo cercato di avviare un percorso di ricerca del volto di Dio, che ciascuno ha dentro" spiega Mirella Roccasalva Firenze, docente di religione all’Istituto d’arte di Siracusa ed esperta di iconografia bizantina e slava. Anche lei, assieme alla psicologa Anna Maria Corpaci, a don Giuseppe Lombardo, a Pippo Romano, a Giovanni Burgio, fa parte del gruppo di 16 volontari della Caritas di Siracusa, provenienti da Comunione e Liberazione e dal movimento Russia cristiana San Vladimir, che da cinque anni lavorano all’interno del carcere diretto da Antonio Gelardi.

Una fortezza con 600 detenuti, a fronte dei 300 posti di capienza regolamentare, di cui il 30-35% stranieri, 50 in alta sicurezza, quasi tutti con condanna definitiva. I problemi di personale non mancano, solo 2 gli educatori sui 15 previsti. Pochissimi contatti col territorio, per mancanza di cooperative sociali e disponibilità di aziende ed enti locali. "Ma abbiamo appena fatto partire un’iniziativa di lavoro all’esterno per 13 detenuti - racconta -, grazie a un progetto di inclusione sociale del ministero dell’Interno in accordo con la Provincia di Siracusa. Dopo un periodo di formazione, i detenuti attraverso la cooperativa Laire, convenzionata col Comune di Augusta, si occuperanno di manutenzione del verde pubblico e dell’edilizia scolastica". Un’iniziativa che si affianca ai corsi scolastici, ai laboratori di canto, ceramica, teatro, burattini, computer, all’officina di lavori in ferro per l’amministrazione penitenziaria.

Ed è soprattutto lo studio ad aver tirato fuori il meglio da decine di ospiti del carcere. "Quando ho cominciato - spiega don Giuseppe Lombardo, che è anche parroco della chiesa del Carmine a Ortigia e docente all’istituto teologico San Paolo a Catania - ho accompagnato sette detenuti all’esame di Stato e uno si è pure laureato all’Accademia di belle arti, mentre un altro, Giacomo Scalzo, sta completando Scienze giuridiche. Tutti coloro che ho incontrato raccontano che questo tempo è servito loro per rivisitare la loro vita alla luce della ricerca spirituale". Poi è nato anche il corso di teologia con 5 detenuti di alta sicurezza. "Leggiamo la Bibbia, la commentiamo. I miei allievi mettono fuori le loro difficoltà e io cerco di mettere in evidenza il positivo" aggiunge Giovanni Burgio, docente in pensione, che un detenuto di Mazara del Vallo, Diego Buzzotta, definisce "indomito guerriero della fede".

È lui uno dei suoi miracoli viventi, un uomo che ha già scontato 11 anni e che è capace di scrivere: "Mi sono reso conto solo adesso che la maturità cristiana non consiste nel vedere Dio nello straordinario, ma vivere la sua presenza della quotidianità". Soprattutto attraverso le persone poste su questo cammino.

Ne è convinto Francesco Antinolfi, 53 anni, di Napoli, ex insegnante. "Credo che noi tutti abbiamo bisogno di vedere davanti a noi persone che nel modo di affrontare il reale, di reagire davanti alle provocazioni della vita, introducono una luce in mezzo alla confusione del modo in cui viviamo la nostra vita".

Verona: festa di Natale per i detenuti, con il progetto "H-Argo"

 

Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2009

 

"H-Argo" è un progetto realizzato nella Casa Circondariale di Verona che ha reso possibile l’esperienza dell’incontro a chi, per la privazione della libertà di movimento o per condizione di vita, vive e affronta quotidianamente il senso del limite, con un gruppo di persone disabili di vari centri della città. Il fertile dialogo ha favorito uno scambio di esperienze fra persone che si sono trovate in pochi metri quadri di verde, in uno spazio eccezionalmente aperto del carcere scaligero, le une di fronte alle altre a cercare un avvicinamento, a raccontarsi e a discutere, a confrontarsi.

Il mediatore, il cane, è stato pretesto e anello di una catena, questa volta simbolo non di costrizione ma di unione tra detenuti e disabili; l’H-Argo di questa storia, ignaro del suo compito, ha non solo portato a conoscersi due mondi umani così lontani, ha permesso anche ad ognuno una riscoperta di valore, di dignità, nella rilettura della proprie esperienze declinata nel racconto all’altro e nell’ascolto partecipe delle altrui vicende.

L’associazione La Libellula Onlus, Picot e MicroCosmo - Giornale della Casa Circondariale di Verona, hanno organizzato un momento per lo scambio degli auguri natalizi con gli ormai amici dei Ceod che hanno reso questa esperienza un’importante occasione di crescita. Martedì 22 dicembre, per tutti loro, non sarà un semplice scambiarsi gli auguri, ma un continuare idealmente il progetto e sottolineare quanto, anche e sopratutto in carcere, sia possibile mettersi in gioco attraverso esperienze forti e positive che vadano a beneficio degli altri.

Tolmezzo (Ud): musica in carcere, con i volontari di Vita Nuova

 

Messaggero Veneto, 21 dicembre 2009

 

Portare un esempio di solidarietà ai detenuti nella Casa Circondariale di Tolmezzo: questo l’obiettivo del volontariato in carcere che si è rinnovato anche durante una recente visita al carcere di Via Paluzza. Nel pomeriggio dell’altro giorno si è tenuto all’interno della Casa circondariale di Tolmezzo un incontro a carattere ricreativo in favore dei detenuti di quel carcere organizzato dalla Associazione di volontariato penitenziario Vita Nuova di Tolmezzo.

Un momento di condivisione e solidarietà al quale hanno preso parte due cantanti locali provenienti da Udine, Enzo Azzarone e Domenico Piccirillo che si sono esibiti con alcuni brani e canzoni di Vasco Rossi, Frank Sinatra, Fabrizio De Andrè,Barry White, Louis Armstrong e Gigi D’Alessio. Allo spettacolo di solidarietà è intervenuto con la sua consueta verve anche il comico carnico Romeo Patatti di Imponzo.

Presenti un’ottantina di detenuti che hanno potuto in questo modo trascorrere un momento di spensieratezza, in un contesto ambientale certamente non facile, in un’occasione che può contribuire a stemperare - come ha dichiarato Bruno Temil, responsabile della Associazione Vita Nuova - la tensione e le difficoltà che inevitabilmente si creano all’interno del carcere. Ha preso parte a questa significativa esperienza anche la vicesindaco e assessore ai servizi sociali del comune di Tolmezzo, Cristiana Gallizia rimasta favorevolmente colpita dall’iniziativa. Un particolare ringraziamento è stato rivolto dai volontari alla direzione del carcere e agli agenti di polizia penitenziaria e al suo comandante per la disponibilità dimostrata.

Foggia: domani il Convegno finale del Progetto "Vale la pena"

 

Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2009

 

Si terrà, domani alle ore 10.30, presso la Sala Giunta della Provincia di Foggia, Piazza XX Settembre, il convegno di presentazione dei risultati del progetto "Vale la pena" un progetto sperimentale finanziato dal Ministero degli Interni e confinanziato dall’Unione Europea, attraverso il Fondo Europeo per l’Integrazione di Cittadini di Paesi Terzi 2007-2013.

Un’esperienza davvero importante che ha coinvolto circa 130 detenuti stranieri in 350 colloqui all’interno dei due Istituti che vivono con difficoltà e affanno in questo momento a causa del sovraffollamento e mancanza di personale. Sono stati attivati due importanti sportelli di mediazione culturale, che avranno continuità con la collaborazione volontaria dei mediatori della Cooperativa Sociale Arcobaleno e successivamente attraverso l’impegno dell’Amministrazione Provinciale. Parlare di detenuti stranieri vuol dire spesso parlare di storie di emigrazione fallite, di incontri sbagliati, di condizione di estrema solitudine.

Interverranno per l’occasione: dott.ssa Buccino Francesca, vice Prefetto e Dirigente dell’Area IV del Ufficio territoriale di Governo di Foggia; dott. Antonio Montanino, Assessore alle Politiche Sociali Provincia di Foggia; dott. Domenico Mascolo, Magistrato di sorveglianza di Bari; dott. Davide Di Florio, Direttore dell’Istituto Penitenziario di Lucera; dott. Gianfranco Marcello, Direttore dell’Istituto Penitenziario di Foggia; dott. Nazareno Mancusi, Direttore del UEPE; dott. la Marca Domenico, Presidente Cooperativa Sociale Arcobaleno; dott. Antonio De Maso, direttore Smile Puglia, Foggia; dott. Barmo Mourad, mediatore interculturale. In tale occasione sarà consegnato nelle mani del magistrato la prima guida per detenuti stranieri in Capitanata. Inoltre i mediatori presenteranno un video racconto dell’esperienza dal titolo "L’acqua alla sorgente é sempre pulita!.

Iran: tre "secondini" incriminati, per 3 detenuti uccisi da torture

 

Agi, 21 dicembre 2009

 

Tre secondini della famigerata prigione di Kahrizak sono stati incriminate per l’omicidio di tre riformisti arrestati nelle manifestazioni di piazza seguite alle contestate elezioni presidenziali del 12 giugno scorso. È quanto rende noto l’agenzia iraniana Isna citando un comunicato ufficiale dell’autorità giudiziaria che ha incriminato per maltrattamenti altri 9 agenti della polizia penitenziaria. Kahrizak, situato in un quartiere meridionale di Teheran, lo scorso luglio è stato al centro di accese polemiche per i maltrattamenti inflitti ai manifestanti arrestati durante le proteste contro la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il carcere è stato poi chiuso per ordine della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei.

Inizialmente i responsabili del centro di detenzione avevano affermato che i detenuti morti erano deceduti di meningite. Il medico legale, invece, smentì questa versione sottolineando nel suo referto che sul corpo delle vittime sono state riscontrate varie ecchimosi e che la causa del decesso è da attribuirsi "alle percosse subite".

Stati Uniti: sono 198 detenuti rimasti nel campo di Guantanamo

 

Adnkronos, 21 dicembre 2009

 

Per la prima volta in sette anni a Guantanamo ci sono meno di 200 detenuti. Per l’esattezza sono 198 i prigionieri del carcere istituito nel 2001 da George Bush nella base militare americana a Cuba, secondo un calcolo fatto dal Miami Herald dopo che Washington ha confermato che nel weekend sono stati rilasciati e rimpatriati altri 12 detenuti, sei nello Yemen, quattro in Afghanistan e due in Somalia.

Ed il trasferimento dei sei nello Yemen potrebbe essere il preludio di un ancora più consistente svuotamento della prigione che Barack Obama ha promesso di chiudere anche se ha dovuto fare marcia indietro sulla data fissata inizialmente, il prossimo gennaio. Sono infatti yemeniti una novantina dei prigionieri rimasti a Guantanamo ed il loro destino è sempre stato uno dei problemi principali della task force che si sta occupando dello smantellamento della prigione. Il governo di Sanàa chiede il loro rientro in patria, ma il timore è che - come è successo per altri detenuti rilasciati - che una volta liberi gli ex detenuti possano tornare alla violenza.

Washington ha anche chiesto all’Arabia Saudita di prendere alcuni degli yemeniti per inserirli dei suoi programmi di rieducazione degli ex militanti. Ma Riad non avrebbe accettato. Ora il rimpatrio del primo gruppo di yemeniti potrebbe essere il segnale del raggiungimento di un accordo per la soluzione del problema.

L’obiettivo dei funzionari dell’amministrazione Obama è arrivare al cosiddetto "zero", che significa svuotare Guantanamo attraverso i rimpatri, i trasferimenti in paesi terzi quando non è possibile il rientro nei paesi d’origine ed il trasferimento in prigioni americani per affrontare i processi, civili o delle corti speciali militari. Ma non escludono che, "solo come ultima risorsa" si sarà costretti alla fine a mantenere un gruppo, ritenuto troppo pericoloso per essere rilasciato ma che non è possibile processare, in una detenzione senza processo.

 

 

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