Rassegna stampa 4 aprile

 

Giustizia: sistema carcerario italiano; situazione paradossale

di Francesco Amoroso

 

www.politicamentecorretto.com, 4 aprile 2009

 

L’art. 27 comma 3 della Costituzione italiana sancisce il principio secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Ma la realtà, al contrario, stride con quanto enunciato dalla nostra legge fondamentale tanto che il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha descritto recentemente la situazione carceraria del nostro Paese affermando che le carceri italiane sono fuori dalla Costituzione e talvolta dal principio di umanità.

Parole pesanti come un macigno e che stigmatizzano la saturazione del nostro sistema carcerario,gravato da un sovraffollamento che ha toccato quota 61.000 detenuti, 18.000 in più della capienza regolamentare.

Per questo motivo il Guardasigilli ha affermato l’intenzione dell’esecutivo di costruire nuovi penitenziari per migliorare le condizioni dei carcerati ed ha ribadito che saranno cambiate le norme per evitare,come è giusto,che i bambini fino a tre anni vivano in cella con le madri detenute, che oggi sono 60. L’Unione Europea prevede che per ogni detenuto vi siano otto metri cubi di spazio, ma nel nostro Paese nessuna regione è in linea con questa prescrizione comunitaria.

In Italia, in materia di edilizia penitenziaria, si registra, come spesso accade solo da noi, una situazione paradossale: vi sono 40 nuove carceri inutilizzate o sottoutilizzate mentre i vecchi penitenziari scoppiano a causa del sovraffollamento. La mappa delle prigioni fantasma va da Pinerolo a Reggio Calabria, da Castelnuovo Daunia a San Valentino in Abruzzo: migliaia di celle nuove lasciate marcire o addirittura occupate da barboni e sfrattati, una situazione degna del teatro dell’assurdo.

La popolazione carceraria è passata da 52.992 detenuti ai 60.570 attuali con un incremento di 700 nuovi detenuti al mese; a questo ritmo si supererà nuovamente il livello precedente l’indulto (provvedimento di carattere generale che estingue in tutto o in parte la pena principale cambiandola in un’altra specie di pena, ma che non estingue le pene accessorie).

Una bomba pronta a scoppiare che oltre al danno produrrà anche la beffa. Questo perché alle attuali e precarie condizioni di detenzione(strutture fatiscenti, sovraffollamento e suicidi, 48 nello scorso anno) fa da sfondo uno scenario che rischia di essere motivo di imbarazzo per il competente ministero della Giustizia.

Il ministero ha annunciato la costruzione di 75 nuove carceri: 17.000 nuovi posti entro il 2012. Lo prevede il piano carceri approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 gennaio scorso. Nei documenti ufficiali si parla di interventi ampiamente di massima, ma per fare funzionare queste nuove carceri mancano gli agenti di polizia penitenziaria: l’ennesimo paradosso. Infatti gli agenti sono già sotto organico: 5.250 in meno rispetto alle 44.406 unità previste.

Come se non bastasse anche gli stanziamenti per il personale questo anno sono in diminuzione: da 1.276 milioni di euro del 2008 a 1.184 milioni dell’anno appena iniziato (- 7,2%) con il risultato che saranno tagliati tra i 500 e i 1.000 agenti. A questo punto una domanda sorge spontanea:come pensa il ministero di far funzionare le nuove carceri che intende costruire se si tagliano poi le risorse destinate agli agenti? Altro paradosso.

Come se non bastasse il ministero vuole che le nuove carceri siano ecosostenibili,a energia solare. Ma prima di decidere con quali materiali edificare i nuovi penitenziari, è necessario capire dove trovare i fondi. Gli interventi previsti ammontano a 1,1 miliardi di cui 356 milioni sarebbero coperti,altri 200 sono stati stanziati dal Cipe, mentre 460 sono però da cercare. A Reggio Calabria si assiste a un altro paradosso: c’è un carcere chiuso,costato 90 milioni di euro e che potrebbe ospitare 300 detenuti.. Questo perché manca la strada per arrivarci, in quanto la via di accesso è un sentiero che passa tra i vigneti. E intanto il problema del sovraffollamento rimane insoluto.

Giustizia: a tre anni dall’indulto è tornata l’emergenza carceri

 

Apcom, 4 aprile 2009

 

Continua a salire il numero dei detenuti reclusi nelle carceri italiane: secondo i dati del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap), al 31 marzo i reclusi in tutta Italia hanno sfondato la soglia dei 61.057, 58.411 uomini e 2.646 donne, oltre 18.000 in più di quanto consentirebbe la capienza regolamentare di 43.177 posti.

Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti, spiegando che nel Lazio, in particolare, i detenuti reclusi sono 5.537 (5.099 uomini e 438 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti. La maggior parte è reclusa a Rebibbia (1.465), seguono Regina Coeli (863), Viterbo (663) e Civitavecchia (501).

Secondo Marroni, le cifre dicono che anche nel Lazio c’è un’emergenza sovraffollamento: "I confronti si fanno con i detenuti presenti e i posti regolamentari: quello della capienza tollerata, che si ottiene aggiungendo letti nelle celle e riducendo gli spazi, è un dato che non dovrebbe essere preso in considerazione".

"Non sono contrario all’idea del governo di costruire nuove carceri, se queste andassero a sostituire quelle davvero fatiscenti. Il fatto - ha spiegato - è che per problemi diversi, il primo dei quali è la carenza di personale, ci sono strutture moderne sotto utilizzate e carceri nuove di zecca chiuse, come l’Istituto di Rieti, che potrebbe essere una valvola di sfogo per il sistema penitenziario del Lazio. Una situazione del genere è una palese violazione della norma costituzionale secondo cui la pena deve punire, ma anche rieducare. Nelle ultime settimane abbiamo contato un suicidio nel carcere di Velletri, uno a Viterbo ed un tentato suicidio a Rebibbia. Un carcere così - ha concluso - è una vera e propria emergenza sociale".

Quanto alle presenze effettive dei detenuti nelle altre carceri del Lazio, secondo i dati forniti dal Garante Angiolo Marroni, a Cassino ci sono 219 detenuti, 449 a Frosinone, 169 a Latina, 42 a Paliano, 46 a Rieti, 335 a Rebibbia Reclusione, 358 a Rebibbia Femminile, 30 a Rebibbia III Casa, 363 a Velletri. Quasi ovunque le presenze superano la capienza effettiva.

Giustizia: Maisto; quest’estate in carcere si rischia lo tsunami

di Sara Menafra

 

Il Manifesto, 4 aprile 2009

 

L’unica soluzione in tempi rapidi è rivedere o abolire le leggi di sicurezza approvate in questi mesi e negli anni passati su droga, immigrazione e detenzione. Il pericolo è che l’emergenza sociale alle porte sia risolta col carcere". Da sei mesi Francesco Maisto, per anni magistrato di sorveglianza a Milano, è presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna, che ha competenza sull’intera Emilia Romagna, la regione col più alto tasso di sovraffollamento del nostro paese, il 187%.

 

Dottor Maisto, cosa pensa della situazione delle carceri Italiane?

Perché lo chiede proprio a me?

 

L’Emilia Romagna è la regione con il maggior sovraffollamento In Italia. Immagino che lo sappia.

Lo so da poco tempo e sono preoccupato. Tanti detenuti dormono a terra, hanno difficoltà a trovare vestiti e perfino a fare la doccia.

 

Come e perché è diventata la regione peggiore?

Conti alla mano sembra difficile da capire. La relazione del presidente della corte d’appello di inizio anno ha evidenziato che i reati in regione non sono aumentati e le misure alternative concesse sono nella media nazionale, pur senza tornare ai dati pre-indulto. La verità è che i detenuti in eccesso rispetto alle altre regioni, arrivano da diverse zone del paese; è popolazione non residente che non ha commesso reati qui.

 

E allora perché mandarti qui?

Non lo so, chieda al ministero.

 

Ma le carceri sono già piene...

Anche altrove sono piene, hanno superato il limite stigmatizzato dagli ispettori europei già nel 1995. E non è arrivata ancora l’onda lunga o, forse, lo tsunami.

 

Quando arriverà?

Quest’estate. In Emilia Romagna aumenteranno, come ogni anno, gli arresti per i reati commessi in Riviera, il primo impatto si vedrà nelle carceri di Rimini, Ravenna e Forlì.

 

Ma il governo vi ha allertati sulla situazione di sovraffollamento?

Devo essere molto sincero su questa storia: ho saputo del fenomeno solo dai giornali. Non ho mai ricevuto un documento ufficiale sulla sovrappopolazione. Solo recentemente sono andato al carcere di Modena, con l’unica Punto "scassata" che abbiamo, per 8 magistrati e 15 carceri, e ho visto lo stato dei luoghi. Bisogna vedere, per capire e agire. Se avessimo avuto una comunicazione, avremmo potuto attivare i poteri previsti dalla legge, che ci impone di prospettare al ministro le esigenze dei vari servizi, in modo che la detenzione sia attuata in conformità delle leggi. Sei mesi fa il presidente del tribunale di sorveglianza di Milano ha attivato questo potere ed è stato ringraziato con una quantità di critiche.

 

Le misure alternative sono diminuite rispetto al passato, perché?

Per l’applicazione di tre leggi: la ex-Cirielli, quella sugli extracomunitari e le nuove norme sull’affidamento terapeutico per i tossicodipendenti. E teniamo conto che tutte queste restrizioni non operano ancora a pieno regime, perché i detenuti già in carcere al momento dell’approvazione delle norme non possono essere trattati peggio. Tra qualche anno lo sbarramento sarà quasi inflessibile. Aggiunga che la prima legge del "pacchetto sicurezza" di luglio impone l’ordine di carcerazione per un’ulteriore fascia di reati.

 

In sostanza, i detenuti non possono che aumentare.

Il rischio, anzi, in queste condizioni lo scenario certo, è il ritorno a tutto tondo del carcere dei "poveri" in tutti i sensi, agli "avanzi della giustizia". In tempi di crisi economica e finanziaria globale per reagire alla devianza e alla criminalità si è scelto di adottare l’arnese più vecchio e più costoso. Con doppi costi, perché se è vero che più del 75% delle persone ristrette sono socialmente emarginate, alle spese della detenzione a carico dello stato, andrà sommata quella delle amministrazioni locali per reinserirle nella società.

 

Non è anche possibile che i magistrati di sorveglianza abbiano paura delle critiche?

Ma se ogni volta che liberano qualcuno, anche senza danno, vengono criticati ed osteggiati! Non mi pare, comunque. Più che parlare di un auto-controllo dei magistrati di sorveglianza direi che oggi i tribunali e gli uffici di sorveglianza non sono messi in condizione di decidere in modo efficace tempestivo ed efficiente.

 

Ma cosa bisognerebbe fare? Un altro indulto?

È difficile prospettare soluzioni a chi è sordo. Da una parte, i soli provvedimenti di clemenza hanno respiro corto se non si accompagnano ad un progetto di moderno sistema sanzionatorio e penitenziario. Dall’altra la costruzione di nuove carceri non può che essere un palliativo, basato su una prospettiva triennale e io invece sto parlando di una situazione drammatica imminente. Un progetto minimalista dovrebbe metter mano alla Cirielli, al testo unico sulla droga e all’immigrazione. Andrebbero riviste tutte, eliminando gli eccessivi divieti e preclusioni che limitano la concessione di misure alternative anche quando non è prevedibile la recidiva. L’allarme sociale di cui parla il governo non si risolve certo col carcere.

Giustizia: case "speciali", per non far soffrire carcere ai bimbi

di Ilaria Sesana

 

Avvenire, 4 aprile 2009

 

Nuove strutture per accogliere detenute con figli innocenti dietro le sbarre, bambini costretti a vivere una giornata scandita dai ritmi del carcere, fra divise e porte sbarrate. Sono i figli delle detenute o delle donne in attesa di giudizio rinchiuse negli istituti di pena italiani: una sessantina di bambini di età compresa fra zero e tre anni.

Finora, per loro, non c’era altra possibilità se non crescere nel grigio delle celle o all’interno dei nidi del carcere ma la situazione, per molti di loro, adesso potrebbe cambiare. A Milano, da due anni, è attivo l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam), che offre alle mamme la possibilità di far crescere i propri figli in un ambiente sereno, dove le sbarre alle finestre sono mimetizzate, con un giardino e dove è possibile contare sull’apporto di educatori e assistenti.

Un modello che verrà presto replicato a Roma, Firenze e a Favara, provincia di Agrigento. Ed è prevista anche la realizzazione di una quarta struttura in Sardegna. " Sigleremo a breve le convenzioni con gli enti locali - spiega Maria Pia Giuffrida, presidente del gruppo nazionale di lavoro Icam -. In tre casi abbiamo già reperito i locali e stiamo lavorando per adeguarli alle esigenze di custodia richieste " .

L’Icam di Favara, realizzato all’interno di una struttura confiscata alla mafia, sarà probabilmente il primo ad aprire i battenti. L’iniziativa è stata presentata ieri durante il convegno " Icam, free to grow up" promosso dalla Provincia di Milano e dalla Commissione Europea. Al 10 febbraio 2009 le detenute in Italia erano oltre 2.500 (vale a dire quasi il 5% del totale della popolazione carceraria). Con loro, nei 19 nidi operativi all’interno di altrettanti istituti di pena, ci sono 65 bambini. Proprio per affrontare questo problema è stato istituito un gruppo di lavoro, fortemente voluto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano.

"Molte donne, soprattutto straniere, al momento dell’arresto non dicono di avere un bimbo. Per timore che gli venga sottratto - aggiunge Maria Pia Giuffrida -. Per questo è importante esportare il modello dell’Icam: per rassicurare queste donne e spiegare loro che possono stare con il proprio bambino nei primi tre anni di vita". Fuori dal carcere infatti, secondo le stime presentate ieri da Maria Pia Giuffrida, ci sono circa 250 bambini che hanno la mamma in carcere.

Una sessantina di loro vive con il papà, 77 sono stati affidati ai nonni o agli zii, all’interno di una "famiglia allargata", 12 sono stati dati in affidamento e 15 si trovano in comunità. In situazioni non sempre ottimali. L’Icam di Milano, che festeggia in questi giorni il secondo anno di vita, attualmente ospita 11 mamme e 12 bambini. Dal 2 aprile 2007 al 30 giugno 2008 nella struttura di via Macedonio Melloni (che ha una capienza massima di 14 posti) sono transitate 48 mamme, delle quali 28 (il 58,3%) di nazionalità straniera, prevalentemente romene e marocchine.

La struttura e l’impianto dell’Icam ricalcano quelle di una grande casa famiglia, in cui le detenute partecipano alla gestione della vita quotidiana. Colori allegri alle pareti, stanze singole per tutelare la privacy, ludoteca, biblioteca e una grande cucina in cui si mangia tutti assieme. Ma senza per questo attenuare la custodia. Semplicemente, tutto ciò che può evocare il carcere, dalle sbarre alle divise, è stato occultato, sfumato.

Un progetto di cui Francesca Corso, assessore della Provincia di Milano all’integrazione sociale per le persone in carcere, va molto orgogliosa. Da lei infatti è partita l’ispirazione per realizzare questo istituto, ma la spinta finale venne, nel marzo 2006, dall’ex direttore della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò. "Sulla questione ci aveva sfidato a singolar tenzone - ricorda Francesca Corso - e ci è sempre stato col fiato sul collo per metterci fretta".

2.500: le donne detenute in Italia, quasi il 5% del totale della popolazione carceraria. 48: le mamme transitate dal 2 aprile 2007 al 30 giugno 2008 nella struttura dell’Icam di Milano (che ha una capienza massima di 14 posti). 65: i bambini presenti negli istituti di pena, nei 19 nidi operativi all’interno di altrettanti strutture. 58%: la percentuale di donne di nazionalità straniera transitate nell’istituto di via Macedonio Melloni.

 

Ci vuole l’accordo concreto delle istituzioni

 

Giovanna di Rosa, magistrato del tribunale di sorveglianza di Milano: "La sfida è mantenere in equilibrio le esigenze di custodia, le regole del carcere, e l’esigenza di attenuare l’impatto per tutelare i bambini".

Replicare il modello di Milano non sarà semplice. "Ci vuole l’accordo concreto delle istituzioni presenti sul territorio e della magistratura", spiega Giovanna Di Rosa, magistrato del tribunale di sorveglianza di Milano, presidente della commissione che ha stilato il regolamento dell’Icam.

"La sfida - precisa - è mantenere l’equilibrio fra le esigenze di custodia e la volontà di attenuare l’impatto della vita carceraria per tutelare i bambini". Conciliare le "regole forti e insuperabili" dell’ordinamento carcerario (l’Icam di Milano è formalmente una sezione staccata della Casa circondariale di San Vittore, ndr) con le esigenze del bambino e con uno stile di vita in qualche modo simile a quello di una casa famiglia.

"Il regolamento carcerario può sembrare un documento astratto - aggiunge Gloria Manzelli, direttrice del carcere di San Vittore -. Ma elaborarlo ha richiesto molto lavoro per riuscire a esportare il dettato normativo in un contesto totalmente diverso senza intaccarne i contenuti educativi".

"Il controllo ci deve essere e i poliziotti devono fare le perquisizioni - spiega il magistrato -. Ma si cerca sempre di fare in modo che siano il meno invasive possibile". Il regolamento carcerario infatti non dispone solo aspetti normativi, ma fornisce anche le indicazioni per lo svolgimento della vita quotidiana. Ecco quindi una serie di escamotage per far vivere i figli delle detenute in una situazione quanto più vicino possibile alla normalità: dagli oblò di vetro che hanno preso il posto degli spioncini sulle porte, alla possibilità che le detenute vengano immatricolate direttamente all’Icam. Per evitare che i piccoli debbano trascorrere anche solo una notte in cella.

Un progetto che Giovanna Di Rosa non esita a definire "un fiore all’occhiello". E il perché di questa definizione lo spiega Gloria Manzelli: "Non ci eravamo mai focalizzati sul problema dei bambini in carcere, anche perché il loro numero è relativamente basso. Un elemento che, per anni, ha costituito un alibi per non intervenire".

Restano però altre sfide ancora aperte. Ad esempio il modo di affrontare la separazione, al terzo compleanno, che sancisce la definitiva separazione tra mamma e figlio. Un momento particolarmente difficile se non ci sono parenti che si possono prendere cura del piccolo. "Il nostro obiettivo è fare in modo che le detenute possano accompagnare il bambino nel percorso di istituzionalizzazione - aggiunge Gloria Manzelli - e verificare il contesto in cui lo lascia".

Ma chi sono le mamme dell’Icam? Solo 15 delle detenute transitate all’Icam sono state condannate in via definitiva. Del restante 69% è da sottolineare il fatto che ben 24 non sono state sottoposte, durante la custodia presso l’Icam, ad alcun grado di giudizio. Principalmente si tratta di donne che hanno commesso reati contro il patrimonio o infranto norme legate alla legge sugli stupefacenti. "Queste donne non sono protagoniste, ma gregarie - spiega Giovanna Di Rosa -. Il loro livello di pericolosità sociale è molto basso".

Giustizia: capo polizia; ronde? se controllate, nessun pericolo

 

Il Giornale, 4 aprile 2009

 

Antonio Manganelli butta acqua sul fuoco: "Se sono governate non faranno danni".

Gira e rigira, alla fine a far le ronde sono finiti magistrati e poliziotti. Ronda intesa come girotondo di pareri, denunce, bocciature, consensi; tutte ovviamente espresse a vario titolo da autorità più o meno interessate. C’è chi definisce l’idea di cittadini impegnati nella segnalazione di crimini un abuso, chi la giudica utile, chi non si esprime. Ma tutti dicono la loro.

L’ultimo in ordine di tempo, a rigor di logica il più titolato a parlarne, è stato il capo della Polizia Antonio Manganelli, che ieri a Perugia al congresso costitutivo dell’Ugl Polizia di Stato non si è detto per nulla contrario alle cosiddette "ronde".

"Nonostante questo sia un termine fortunatamente solo giornalistico - ha spiegato Manganelli -, le associazioni di cittadini volontari pronti a segnalare reati sono un fenomeno che governeremo bene". Apertura completa e nessuna "gelosia" da parte delle forze dell’ordine, dunque. A patto ovviamente che tutto non si trasformi in un Far West: "Entro pochi giorni verranno varate le regolamentazioni - conclude il numero uno della Polizia -. Così la situazione verrà gestita al meglio e non solo non creerà alcun danno, ma fornirà mani complementari alla nostra attività". Giusto a rispolverare il mai dimenticato modo di dire per cui quattro occhi vedono meglio di due. Pure se un paio indossa la divisa e l’altro paio un semplice paletot.

Più o meno il contrario del parere espresso giovedì dal Consiglio Superiore della Magistratura, la cui sesta commissione ha espresso a maggioranza fora" critiche al provvedimento governativo inserito nel decreto legge sulla sicurezza.

"Generico", "lacunoso": non si "deroga al principio che assegna all’autorità pubblica l’esercizio della sicurezza". E soprattutto: "Si può determinare incidenti e - nei casi più gravi - anche la commissione di reati".

L’altra faccia della medaglia è quella dal plenum di Palazzo Marescialli. Una bocciatura secca. Ma dalla discussa legittimità, se si considera che l’assemblea non ha approvato all’unanimità il parere. Anzi, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino e tre membri laici si sono astenuti proprio in virtù del fatto che i volontari della sicurezza non dovrebbero rientrare tra le competenze dell’organo di autogoverno della magistratura: "Personalmente sono contrario alle ronde - aveva spiegato Mancino -, ma questo fa parte della politica e noi non ce ne possiamo occupare". Ancor più netto era stato il membro laico del Pdl Michele Saponara: "È un’ingerenza".

Insomma, l’antica sottile linea che separa giustizia e politica si spezza sulle ronde, anche se il parere del Csm non è vincolante ai fini dell’iter del provvedimento, ora all’esame della Camera. L’intervento più curioso in materia è stato infine quello dell’ex Guardasigilli, il leghista Roberto Castelli: "Invito la Corte dei Conti a citare il Csm per danno erariale - ha provocato -, dato che il Consiglio passa il suo tempo, che costa tantissimo ai cittadini, a occuparsi di questioni su cui non è chiamato ad esprimersi". Altro giro, altra ronda, altro regalo.

Giustizia: "Innocenti evasioni"; yoga, cinema, posta del cuore

di Laurea Eduati

 

Liberazione, 4 aprile 2009

 

Non occorre vivere dietro le sbarre o lavorare nel carcere per apprezzare davvero innocentievasioni.net, il sito web con tanto di posta del cuore per detenuti e uno spazio dedicato a coloro che nelle celle sovraffollate hanno trovato o ritrovato una vena letteraria e scrivono, scrivono per evadere dalla peggiore condizione.

"Non volevamo un sito poveracista: nella stessa cella si concentrano il massimo della povertà e il massimo della ricchezza" spiega il senatore Luigi Manconi (Pd), direttore del sito insieme con Patrizio Gonnella, portavoce di Antigone.

Innocentievasioni.net è nato a gennaio per dedicarsi ai luoghi di privazione della libertà e dunque non soltanto carceri ma anche ospedali psichiatrici giudiziari, centri di identificazione ed espulsione, istituti minorili, con una grave limitazione: coloro che vivono rinchiusi non hanno accesso al web.

A questo i redattori di innocentievasioni.net, insieme con collaboratori dell’associazione A Buon Diritto, ovviano stampando un compendio per distribuirlo in formato cartaceo nei penitenziari. L’obiettivo è ottenere nelle carceri un accesso controllato al web per contribuire alla ricchezza possibile della vita reclusa: la popolazione detenuta rappresenta il più alto tasso di analfabetismo ma contemporaneamente dà vita a 95 corsi di scrittura e pubblica 42 giornali.

"Dobbiamo continuare a denunciare le gravi violazioni dei diritti umani commessi nelle carceri ma sarebbe un grave errore nascondere il resto e cioè le enormi potenzialità di riscatto" continua Manconi, da decenni coinvolto nella questione.

Insomma, innocentievasioni.net non è soltanto un portale di denuncia sulle difficili condizioni dei reclusi, ma uno strumento che vuole evidenziare quella capacità di recupero dei condannati attraverso una riflessione seria, e qualche volta autoironica, sulla vita in carcere. Ecco perché le sezioni del sito prendono nomi leggeri come "Palla al piede" sul calcio, "Scrivere al fresco" e "Avanzi di galera".

Innovativo il link "Libero ovunque tu sia" che propone lezioni di yoga e meditazione, metodo di emancipazione spirituale utilizzato nelle celle del resto del mondo occidentale ma pressoché ignorato a casa nostra. La posta del cuore curata da Fulvio Abbate è certamente la chicca: Rocco chiede consiglio poiché teme che la moglie, dopo dieci anni di attesa, abbia trovato un nuovo amore. Marco scopre di volere una relazione con un altro uomo ed è spaventato. Gianni ha potuto finalmente incontrare la fidanzata ma qualcosa è andato storto. E poi riflessioni sull’indulto ovvero la legge più odiata degli ultimi anni sebbene i dati dimostrino come soltanto il 25% degli indultati nel 2006 abbiano commesso nuovi reati mentre è del 68% la recidiva dei detenuti usciti per fine pena, senza sconti o benefici.

Il sito offre canzoni in Mp3 immediatamente ascoltabili come Innocenti evasioni di Lucio Battisti, Ascanio Celestini, Simone Cristicchi. Scorrendo commenti e articoli sui rumeni innocenti della Caffarella o la protesta degli ergastolani, sorprende la incredibile contiguità tra le questioni che interessano da vicino i detenuti e il mondo dei cosiddetti liberi.

Senza scomodare il celebre detto secondo il quale lo stato delle carceri rivela lo stato di un Paese, possiamo certo sentire con innocentievasioni.net che le mura del penitenziario diventano porose, quasi trasparenti, non sono più affari che non ci riguardano bensì concetti, idee e condizioni immutabili e perenni. E la preziosa umanità spesso dimenticata di coloro che la società preferisce rinchiudere in pochi metri quadrati senza pensare che un giorno questo uomo, questa donna dovranno uscire e ricucire i fili con il mondo fuori.

La sezione "Scritte sui muri" contiene una massima di Foucault: "Da dove viene questa strana pratica, e la singolare pretesa di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni? Forse una vecchia eredità delle segrete medievali?". Già, e mentre discutiamo sulla reale efficacia delle sbarre possiamo invitare a dare un contributo al conto corrente indicato direttamente sul sito.

Campania: drammatica situazione assistenza medica detenuti

 

Ansa, 4 aprile 2009

 

"Insieme alla Garante per i Diritti dei Detenuti, consegnerò nelle prossime ore al Presidente della Regione Campania un documento che sintetizza lo stato dell’assistenza sanitaria regionale ai detenuti emerso oggi nell’audizione della Commissione Trasparenza.

Dati, cifre e situazioni che descrivono uno scenario preoccupante che, senza voler lasciarsi andare a facili allarmismi, sembrerebbe poter avere, già a breve, anche implicazioni di ordine pubblico. Al Presidente della regione chiederò dunque un impegno immediato perché, anche in raccordo coi ministeri competenti che provvederò personalmente a sollecitare, si garantisca realmente il diritto alla salute ai detenuti così come si garantiscano agli operatori sanitari che vi devono provvedere condizioni di lavoro quanto meno dignitose".

Così il presidente della Commissione di Controllo degli atti della Regione Campania Giuseppe Sagliocco a margine della seduta di oggi, presenti tra gli altri Adriana Tocco (Garante per i Diritti dei Detenuti), Sergio Lodato (sub commissario Asl Napoli 1), Michele Pennino (Referente Sanitario Ospedale Psichiatrico Giudiziario Asl Napoli 1), le Mario Forlenza (sub commissario dell’Asl Ce1-Ce2), Giuseppe Nese (Presidente del Forum Carcere Campania), Marco Berardi (Medico Carcere Pozzuoli), Pietro Cerrito (Segretario Generale Cisl Campania) nonché numerosi responsabili di settore della Cisl di Napoli e di Caserta.

"Il sistema dell’assistenza sanitaria ai detenuti, con il passaggio delle competenze alle Regioni previsto dal Dpcm dell’aprile 2008, - ha spiegato Sagliocco - sconta in Campania una sofferenza a dir poco inquietante. Le risorse sono assolutamente insufficienti a garantire i Lea, cioè i livelli minimi di assistenza sanitaria, così come le strutture interne agli istituti di pena e le relative attrezzature sanitarie sono assolutamente carenti se non, in molti casi, inesistenti. Una condizione, questa, che varia ovviamente da provincia a provincia, da Asl ad Asl, ma che offre un quadro di insieme drammatico".

"In questo contesto, il personale impegnato, tra medici, infermieri ed altri profili socio-sanitari - ha aggiunto Sagliocco - di cui buona parte è stato inserito nei ruoli del sistema in questione senza specifiche competenze, è in gran parte in regime di inaccettabile precariato e non è dunque nelle condizioni di operare con efficacia ed efficienza.

Addirittura, sono emersi casi non rari di personale sanitario che viene impegnato senza un programma specifico, ad horas. Il tutto, senza contare che i convenzionati, così come molti che provengono dai ruoli del Ministero, non ricevono stipendio da mesi. E a giugno il sistema dovrà andare a regime".

"L’impegno del presidente Bassolino e del governo nazionale su questo delicatissimo versante deve costituire pertanto - ha concluso Sagliocco - un imperativo categorico. In questo senso proporremo anche che le prescrizioni restrittive previste dal Piano di Rientro del deficit per il sistema sanitario della Campania non vengano applicate all’assistenza Sanitaria destinata ai detenuti".

Roma: bambini profughi dall'Afganistan dormono sotto terra

 

La Stampa, 4 aprile 2009

 

Un gruppo di bambini afgani che viveva a Roma in pieno centro, tra i rifiuti e la sporcizia della stazione Ostiense in mezzo ad altri disperati, costretti a dormire per terra o infilati nei tombini, un posto addirittura privilegiato perché caldo: è questa la drammatica realtà di un gruppo di immigrati tra i 10 e i 15 anni raccontata da un servizio di Sat 2000.

I minorenni, 24, tutti tra i 10 e i 15 anni, profughi afghani scampati alla guerra e a un lungo viaggio, sono stati trovati dalla Polfer durante un normale servizio di ricognizione alla stazione Ostiense. Con loro nel dormitorio abusivo della stazione anche 93 adulti, accampati tra i binari. I minori sono ora in strutture di accoglienza.

"In seguito alla segnalazione della polizia ferroviaria dei bambini trovati a piazzale Ostiense - ha poi spiegato l’assessore alle Politiche sociali del Campidoglio, Sveva Belviso - la sala operativa sociale del Comune di Roma è immediatamente intervenuta ed ha accompagnato i ragazzi in due strutture di accoglienza convenzionate con l’amministrazione capitolina".

Le immagini e le testimonianze, raccolte da Sat 2000 rivelano un vero e proprio mondo, fatto di coperte e cartoni, nascosto sotto il coperchio dei tombini. Sono questi i giacigli dei disperati della stazione Ostiense: si dorme solo accovacciati o in verticale, con un pertugio aperto per respirare, ma la collocazione è già un privilegio e per questo la permanenza era a pagamento. E dai numerosi passanti della stazione? Invisibili.

Dopo il salvataggio dei giovani profughi, però, Belviso lancia l’allarme: "i centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati di Roma sono pieni: la domanda è raddoppiata negli ultimi quattro mesi. Quello dei minori afghani è solo un esempio di una situazione che a Roma sta diventando sempre più difficile: in soli 4 mesi la richiesta di accoglienza di minori non accompagnati è aumentata del 100%". I 900 posti offerti nelle cento strutture di accoglienza, tra accreditate e convenzionate, sono ormai saturi e - avverte l’assessore - "spesso siamo costretti ad appoggiarci ad altre regioni, con costi molto elevati".

Torino: musical in carcere; Littizzetto diventa suora benigna

 

Corriere della Sera, 4 aprile 2009

 

Alto e massiccio il cancello scivola lento, aprendosi quel poco che basta a far passare una persona alla volta. Chi varca la soglia deve lasciare fuori documenti, telefonini, penne elettroniche... L’identità, la possibilità di comunicare con l’esterno. Per qualche ora le regole del carcere valgono anche per gli ospiti che qui, al Lorusso e Cotugno, meglio noto come Le Vallette, arrivano per assistere all’anteprima di Tutta colpa di Giuda, il film che Davide Ferrario ha girato tra queste mura coinvolgendo una ventina di carcerati nel musical più incredibile. Dove ballando e cantando dietro le sbarre si mette in scena una Passione di Cristo così umana, così vogliosa di felicità, da cambiare persino il finale. E oggi Michele, Enzo, Abdellatif, Salvatore e tutti gli altri della sezione Prometeo, sperimentale per delinquenti di piccolo calibro ad eccezione di Sergio, ergastolano con otto evasioni alle spalle, sono qui, nello stanzone di ricreazione adibito a cinema.

Uno schermo sistemato davanti al palchetto del teatrino, un rinfresco buonissimo preparato dai cuochi-detenuti che producono caffè, cioccolato e organizzano catering per i bar della zona. Mescolati con i reclusi, gli agenti di custodia, alcuni coinvolti nel film (dal 10 aprile nelle sale), i due direttori che hanno accettato e sostenuto l’ardito progetto, Claudia Clementi e Pietro Buffa, il cappellano. E naturalmente gli attori, quelli veri, da Kasia Smutniak a Fabio Troiano a Luciana Littizzetto. Qui nelle vesti inattese di una suorina. Come si è sentita in quei panni? "Da Dio", ridacchia Luciana. "Mai avrei pensato di calarmi in questo ruolo - aggiunge -. Forse Ferrario ha pensato a me perché suor Benigna è una spaccamaroni. Una che va in giro per le celle ad ammainare i calendari scollacciati e sostituirli con santini, che sintonizza le radioline dei carcerati su Radio Maria per costringerli ad ascoltare il rosario. Cattiva no, ma disillusa sì. Pure lei condannata a vita, certa di non poter convertire nessuno".

Littizzetto non è nuova alle Vallette: "L’altra volta sono uscita con l’indulto", scherza. In realtà segue spesso il suo compagno, Davide Graziano, musicista, che qui viene spesso a suonare per i detenuti. "Frequentare questi posti è una lezione di vita, ti dà una dimensione più equilibrata della realtà. Qui dentro uno è quello che è, non deve fingere perché non deve piacere a nessuno. Per qualcuno il carcere sembra una direzione obbligata. Come fosse predestinato ad approdare qui. Quando insegnavo nelle scuole di periferia li vedevi già quelli che sarebbero finiti male.

Forse non siamo tutti fratelli, ma tutti dobbiamo convivere con la sfiga". E aggiunge sarcastica: "Non credo proprio che Eminence abbia mai messo piede in un carcere. E nemmeno la maggior parte dei politici". Forse per scaramanzia, o forse per non vedere i 40 disgraziati costretti a dormire per terra nella palestra perché il carcere scoppia: 900 posti, 1669 reclusi. Ovvio che si facciano strani incontri. "Appena arrivata mi sono vista davanti due energumeni tatuati. Belle comparse, ho pensato. Poi un agente mi ha detto che erano due fratelli, finiti lì per aver mangiato la zia. Come mangiato? No, non tutta, mi ha spiegato, una parte è rimasta nel freezer".

Immigrazione: Foggia; la battaglia del bus per i soli immigrati

 

La Repubblica, 4 aprile 2009

 

Francesco Giuliano, 16 anni, meccanico di Borgo Mezzanone, a bordo del numero 24 dice: "Non siamo razzisti. Vogliamo però un autobus per noi e uno per loro. Per viaggiare tutti più comodi". Kalil, 32 anni, muratore sudanese, dal 24/1 invece assicura: "Per noi questo autobus è più comodo, non si paga e si arriva in centro. Il razzismo non sta qui sopra, ma là fuori". Nelle parole di Francesco e Kalil c’è tutta la strana vicenda degli autobus dell’apartheid di Foggia, un misto di cattiva comunicazione, esasperazione dei residenti, disperazione degli immigrati e forse anche di un pizzico di razzismo.

Per riassumere: a Foggia esistono due linee di autobus che collegano il centro con Borgo Mezzanone, una vecchia borgata di contadini sede da qualche anno del Centro per i richiedenti asilo (Cara). Una linea è la numero 24. L’altra la 24/1. La prima ha come capolinea la piazza del borgo. La seconda arriva invece un chilometro e mezzo dopo, al centro d’accoglienza. Entrambi fanno scendere i passeggeri alla stazione centrale. Il 24 è utilizzato principalmente dai residenti, italiani e bianchi, e si paga il biglietto.

Il 24/1 dagli immigrati, stranieri e neri ed è gratis se si ha il tesserino del Cara. Gli autobus sono organizzati in questa maniera da ottobre. Da lunedì prossimo, l’Ataf ha deciso di cambiare il capolinea d’arrivo: il 24 si fermerà in via Galliani, quattrocento metri prima della stazione. "Si sono verificate una serie di risse, e forse è stato meglio così" sostiene Alessandro Rizzi dell’Arci, una vita spesa in difesa dei diritti dei migranti.

Alcune associazioni hanno però accusato l’amministrazione di "apartheid" scatenando il pandemonio. Ieri l’Ataf e il sindaco del Pd, Orazio Ciliberti, si sono difesi dicendo che "i due bus sono un servizio per gli immigrati" e che in ogni caso "chiunque può salire su qualunque mezzo". Ieri però l’autobus che partiva dal Cara era pieno soltanto di extracomunitari mentre l’altro era un melting pot. Perché? "Abbiamo paura, la convivenza è difficile, sono spesso ubriachi, ci sono le malattie" spiega Anna Maria Rizzi, 51 anni, raccogliendo il plauso di tutti gli altri passeggeri.

"Ecco perché su certi argomenti non si può essere morbidi" dice il presidente della Regione, Nichi Vendola, che ieri aveva attaccato duramente la decisione del Comune. "Prendo atto delle precisazioni dell’azienda di trasporti, ma deve essere chiaro che si tratta di un servizio per gli immigrati e non certo di una maniera per accontentare rigurgiti xenofobi e razzisti di qualcuno. Nella mia Puglia non ci può essere nemmeno un minuscolo sospetto di indulgenza al lessico razziale".

Usa: Frattini; una legge per accogliere detenuti di Guantanamo

 

Apcom, 4 aprile 2009

 

"Una legge ad hoc" per accogliere i detenuti di Guantanamo in Italia. La propone il ministro degli Esteri Franco Frattini, in una lunga intervista a Libero, spiegando che si tratterebbe, tra l’altro, di adottare un regime "simile" a quello previsto per i collaboratori di giustizia".

"C’è un precedente", ricorda il ministro". "Riguarda tre palestinesi che nel 2002 parteciparono insieme ad altri duecento all’assalto della basilica della Natività a Betlemme. Demmo loro un’identità protetta e li ospitammo in località segrete, dove si trovano tuttora. Ma fu necessaria una legge", aggiunge.

Frattini ammette in ogni caso che la risposta italiana alla proposta di accogliere ex detenuti di Guantanamo "dipende da più fattori" e "innanzitutto la definizione di una posizione comune europea che ancora non c’è". E poi ci sarà una valutazione "caso per caso".

"Non possiamo dire di sì a chiunque: occorre considerare con grande attenzione le posizioni di ognuno di quelli che ci venisse richiesto di accogliere", spiega il titolare della Farnesina. E quest’ultimo punto è legato all’aspetto "più complesso" dell’intera vicenda. "Bisogna considerare il quadro normativo italiano. Molte di queste persone non sono state giudicate in via definitiva", commenta Frattini.

Gran Bretagna: polemiche per altri 15 sospetti casi di torture

 

Apcom, 4 aprile 2009

 

Il Parlamento britannico sta mettendo sotto pressione il governo perché indaghi su altri 15 possibili casi, oltre a quello dell’ex detenuto di Guantanamo Binyam Mohamed, in cui i servizi segreti britannici si sarebbero resi complici di torture e maltrattamenti su presunti terroristi: è quanto riporta il quotidiano britannico The Telegraph. L’ex detenuto di Guantanamo Mohamed afferma di essere stato torturato in Pakistan e in Marocco e che i servizi britannici - pur al corrente della situazione - non sono intervenuti per far cessare i maltrattamenti.

I 15 nuovi casi riguardano presunti terroristi fra i quali vi sarebbero anche dei cittadini britannici, interrogati fra il 2002 e il 2004. I sospetti erano stati fermati in Pakistan su richiesta delle autorità britanniche, ma erano stati lasciati nelle mani dell’Isi (i servizi pachistani) prima di essere interrogati da funzionari dell’MI5; privi di qualsiasi assistenza legale o consolare, erano stati rimpatriati senza alcuna formale estradizione ed arrestati al loro arrivo nel Regno Unito. Nel luglio scorso alcuni parlamentari britannici avevano chiesto l’apertura di un’inchiesta sul ruolo dei servizi nelle presunte torture inflitte in Pakistan a cittadini britannici.

Il premier britannico Gordon Brown aveva dichiarato alcuni giorni fa che se dovessero risultare violazioni della legge da parte di funzionari dei servizi segreti la polizia valuterà l’opportunità di procedere a un’indagine penale nei confronti dei responsabili.

 

 

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