Rassegna stampa 6 aprile

 

Giustizia: la disuguaglianza sconvolge il benessere del mondo

di Eugenio Scalfari

 

La Repubblica, 6 aprile 2009

 

Il temo che desidero oggi proporre ai nostri lettori è quello della disuguaglianza, già autorevolmente segnalato da Carlo Azeglio Ciampi nei suoi recenti interventi.

Esso si aggancia in modo evidente alla discussione aperta da Ezio Mauro sulla rottura del patto sociale tra capitale e lavoro ed è di stringente attualità. Ha costituito il motivo di fondo e ha dato il tono al G20 di Londra ed ha riecheggiato nella manifestazione di massa di ieri al Circo Massimo di Roma organizzata dalla Cgil.

È un tema che supera tutti gli steccati politici ed etici. Lo si ritrova perfino nelle parole del cardinal Martini ("Conversazioni notturne a Gerusalemme") quando si chiedeva quale sia il vero e intollerabile peccato del mondo: la diseguaglianza, dice il cardinale, mettendo in seconda fila tutti gli altri peccati che la religione imputa agli uomini. La diseguaglianza ostacola o blocca del tutto il funzionamento della democrazia, divide il mondo degli esclusi da quello dei privilegiati, impedisce il consenso e la condivisione della crescita sostenibile.

I potenti del mondo, in tutti i loro incontri sempre più frequenti di fronte ad una crisi che ha già smantellato tutte le certezze, hanno sempre sacrificato qualche grano di incenso a quel tema, ma non sono mai andati più in là. Salvo, forse, nel vertice di Londra, per esclusivo merito di Barack Obama nella sua prima apparizione in un consesso planetario.

Il vertice di Londra è stato importante, al di là delle decisioni volte ad arginare la crisi, proprio perché per la prima volta il principio della giustizia sociale vi ha fatto la sua comparsa concreta. Non tanto come principio etico predicato ma mai praticato, quanto come imprescindibile elemento d’un nuovo tipo di crescita, sostenibile se condiviso, accettabile se democratico, cioè approvato anche dagli esclusi, dai deboli, dai poveri, dai disperati.

Soltanto se questa condizione sarà realizzata la crescita potrà riprendere su nuove basi; soltanto se un patto sociale mondiale sarà stipulato la crisi avrà uno sbocco verso il futuro. Altrimenti il mondo vecchio riaffaccerà il suo muso sulle rovine senza che nulla sia cambiato in un pianeta impoverito e imbarbarito, teatro di altre possibili crisi, di altri crolli, di altre macerie.

Si è molto discusso sul principio dell’eguaglianza e sui modi di tradurlo in pratica; sulle sorgenti di pensiero che l’hanno alimentato, sul deposito di valori che l’hanno mantenuto in vita nonostante le ferite e i solchi profondi che gli sono stati inferti dalla realtà. E la prima vivida sorgente è storicamente apparsa nel messaggio evangelico che promise all’umanità la fine di ogni discriminazione tra i liberi e gli schiavi, tra i poveri e i ricchi, tra i deboli e i potenti.

"È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli". Era il principio dell’amore che faceva la sua prima stupefacente irruzione nel mondo antico sconvolgendo equilibri arcaici, istituzioni, volontà di potenza radicate e fino ad allora invincibili. Ma quel principio così fortemente innovativo ed anzi rivoluzionario conteneva un tarlo vorace dentro di sé: la religione rinviava la promessa all’avvento di un altro mondo ultra-terreno, alla comparsa d’un futuro messianico alla fine dei secoli, quando la bestia trionfante sarebbe stata uccisa e con essa il fluire ingiusto della storia.

Occorre arrivare alla modernità, diciotto secoli dopo il lascito evangelico, per veder realizzata la prima, minima ma necessaria realizzazione di quel principio: la conquista dell’eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge. Indipendentemente dalle differenze di sesso, di etnia, di censo, di istruzione.

Era ancora molto poco, non risolveva altre terribili diseguaglianze, non impediva che le leggi fossero ingiuste, ma rappresentava comunque un passo preliminare e necessario perché abbinato agli altri essenziali principi della libertà e della fraternità. Fu il trittico della modernità, la cui realizzazione vide paradossalmente le Chiese alleate con i privilegi anziché con i movimenti riformatori.

Su quel trittico si fondarono i valori dell’Occidente. Il fatto che essi siano stati largamente traditi testimonia la durezza della storia e delle sue dinamiche e rende tanto più necessario procedere oltre perché è di tutta evidenza che la conquista della legalità è monca se altre condizioni di eguaglianza non si realizzano.

Fermo restando il nesso tra giustizia e libertà, è ormai maturo il tempo per procedere verso l’eguaglianza delle condizioni di partenza tra i ceti, le etnie, i generi, gli individui. Condizione che necessariamente comporta una profonda redistribuzione dei redditi e della ricchezza tra paesi opulenti, paesi emergenti, paesi poveri e all’interno d’ogni nazione tra sacche di arretratezza e sacche di privilegio.

Siamo tutti ben consapevoli che i principi viaggiano insieme agli interessi e si ridurrebbero a pure velleità utopiche se questo nesso intrinseco non fosse solido e durevole. La novità della situazione attuale consiste nel fatto che quel nesso tra principi e interessi risulta quanto mai necessario. Non ci sarà crescita senza redistribuzione del reddito e della ricchezza.

Il nocciolo dell’attuale recessione mondiale, il rischio incombente che possa trasformarsi da recessione in depressione, lo spettro dei 25 milioni di disoccupati che incombe come un cataclisma sull’economia dei paesi del primo mondo, risiede nel crollo della domanda globale. Se non c’è domanda crolla il commercio internazionale, crollano gli investimenti, si blocca il credito, cade il reddito delle nazioni, delle famiglie, delle persone.

Il rilancio della domanda passa inevitabilmente per il suo finanziamento, finanziamento di massa per rilanciare la domanda di massa. La necessità della redistribuzione è dunque la condizione primaria per il rilancio della crescita, per alimentare la quale il valore d’uso dei beni e dei servizi deve affiancarsi al valore di scambio e magari sopravanzarlo.

Il valore d’uso non esclude il profitto ma ne contiene gli eccessi poiché introduce una specifica domanda di beni e di servizi pubblici: l’etere, l’acqua, l’energia ed anche, diciamolo, la giustizia. Questa è la crescita condivisa, sostenibile e durevole, che procede e si rafforza insieme alla democrazia e senza di essa non sussiste.

Giustizia: Fini; per la sicurezza non basta il solo uso della forza

 

Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2009

 

"La sicurezza non può trovare risposta soltanto nell’uso della forza, della coercizione e nella ingiustificata limitazione dei diritti inviolabili ma bisogna individuare soluzioni innovative ed originali". L’occasione per il nuovo "distinguo" nei confronti della sua maggioranza e del suo partito è una lectio magistralis a Mestre dal titolo "Le nostre città tra diritto alla libertà e ansia di sicurezza".

Nessun accenno alle ronde o alla norma sull’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici, certo. Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha lo sguardo rivolto all’Europa e alla Carta dei diritti umani. Ma il messaggio è lo stesso chiaro e diretto.

Al primo posto c’è il rispetto della dignità della persona, ricorda Fini, anche se si tratta di un immigrato clandestino: "Non si può tollerare lo straniero come se si trattasse di tollerare un mal di testa. Se vogliamo evitare le baruffe ed alzare il livello del dibattito dobbiamo affrontare il tema della dignità e dell’integrazione".

E ancora: "Il rischio è quello di enfatizzare e di strumentalizzare paure ed insicurezze sociali per imporre vincoli alle libertà secondo un criterio che negherebbe l’opportuno e ragionevole bilanciamento tra il rispetto dei diritti fondamentali e la necessaria protezione da assicurare all’ordinamento democratico - è l’allarme -. Si è sviluppata nelle popolazioni una ricerca di auto protezione che alimenta un vasto mercato della sicurezza e comporta un uso selettivo dello spazio cittadino".

Giustizia: nelle carceri più detenuti ora che prima dell’indulto

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2009

 

Record di detenuti, dal dopoguerra: a fine marzo se ne contavano 61.057 (prima dell’indulto erano 60.710), 18mila in più dei posti regolamentari. E il 7 giugno, di questo passo, sfonderanno la soglia "tollerabile". Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in America per un confronto anche sul sistema carceri, rilancia la costruzione di nuovi istituti; ma negli Usa, complice la crisi, contro il sovraffollamento si punta su misure alternative.

Il 7 giugno sarà il giorno del big bang delle carceri: se il numero dei detenuti continuerà a crescere come nell’ultimo anno - circa 1.000 al mese - quel giorno sarà sfondato il tetto della "tollerabilità" delle nostre prigioni. Che già oggi, peraltro, ospitano 18mila carcerati più dei 43.177 posti disponibili regolamentari. Alla fine di marzo è stato raggiunto il record delle presenze dal dopoguerra o, quanto meno, dai tempi dell’amnistia di Togliatti: nei 206 istituti penitenziari italiani si contavano infatti 61.057 reclusi (58.411 uomini e 2.646 donne), ben più di quanti ce n’erano alla fine di luglio del 2006 (60.710), quando fu varata dal Parlamento la legge sull’indulto che, in un solo mese, ridusse a 38.847 gli abitanti delle patrie galere. Da allora, la politica di carcerizzazione sponsorizzata in nome della sicurezza - nonostante il calo dei reati - ha nuovamente riempito le prigioni, soprattutto di stranieri (il 38%, ma il trend è in crescita) e di tossicodipendenti (il 27%).

L’emergenza è reale ed era stata prevista già un anno fa in una Relazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) nella quale si segnalava, tra l’altro, la prospettiva di toccare, entro il 2009, quota 70mila detenuti e si indicava, come via maestra, quella dei "circuiti differenziati", previsti dall’ordinamento penitenziario ma rimasti, di fatto, lettera morta (salvo per i detenuti più pericolosi).

La proposta è stata ripresa dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, anche se il Governo (deciso a non rinunciare alla politica della "tolleranza zero") punta soprattutto sulla costruzione di nuove carceri. Perciò ha affidato al capo del Dap, Franco Ionta, il compito di predisporre un "piano", che sarà presentato il 2 maggio e che prevede, tra l’altro, la dismissione di una serie di istituti medio-piccoli nonché la costruzione di nuove strutture o l’ampliamento di alcune già esistenti, con il coinvolgimento di privati. Al Dap sono al lavoro per individuare le "esigenze di ricettività", cioè dove, di quanto e come aumentare gli spazi, nonché i costi e le disponibilità finanziarie (il sistema carceri costa, all’anno, 3 miliardi di euro ma ha un bilancio costantemente in rosso). La "differenziazione dei circuiti" (che potrebbe farsi anche a bocce ferme) non è, al momento, all’ordine del giorno.

Nella settimana che si è appena conclusa, Alfano è stato negli Usa anche per "confrontarsi" sul sistema carcerario (costi, metodologie, differenze di trattamento dei detenuti). Venerdì ha visitato il Metropolitan Correctional Center di New York (la prigione sulla punta sud di Manhattan dov’è stato rinchiuso anche il finanziere Madoff) e ha ribadito l’intenzione di voler "usare al meglio i circuiti differenziati", per consentire "ai condannati di scontare la pena con i condannati, agli imputati di stare con gli imputati e ai pericolosi di essere rinchiusi con gli altri pericolosi ma, a chi non lo è, di entrare in un circuito di riabilitazione". Ha poi insistito sul "piano carceri", il cui fabbisogno non sarà interamente a carico dello Stato ma avrà un contributo di capitale privato.

I tempi per la realizzazione del "piano" non saranno brevi. Nel frattempo, le carceri scoppiano, aumenta l’aggressività verso i poliziotti da parte dei detenuti, esasperati per le condizioni di invivibilità delle prigioni, aumentano gli atti di autolesionismo e i suicidi (19 nei primi tre mesi del 2009, di cui 10 nel solo mese di marzo).

I sindacati della polizia penitenziaria protestano, anche perché mancano all’appello 5mila agenti da assumere, senza i quali non si possono utilizzare i posti disponibili già esistenti. Nel carcere milanese di Bollate, ad esempio, sono appena arrivati 50 detenuti sfollati da Opera e San Vittore e una ventina di poliziotti; i posti disponibili sarebbero 400, ma poiché non si trovano gli agenti, resteranno vuoti.

 

Sistema carcerario da ripensare

 

Il sovraffollamento delle carceri ha toccato in Italia la punta massima dai tempi del dopoguerra. A fine marzo, i detenuti erano 61.057, ben più di quanti erano prima dell’indulto. Diciottomila oltre i posti regolamentari. E il 7 giugno sfonderanno la soglia "tollerabile" delle patrie galere. Accade proprio nei giorni in cui il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si trova negli Stati uniti per confrontarsi anche sul sistema delle prigioni. Gli americani ne sanno qualcosa di sovraffollamento.

Negli ultimi trent’anni, la politica penale e penitenziaria statunitense, ispirata alla "tolleranza zero", ha fatto decuplicare la popolazione carceraria, senza incidere in modo significativo sulla recidiva e con costi elevatissimi, sottraendo risorse ad altri settori come l’occupazione, l’istruzione, la sanità. L’America guida la classifica con il maggior numero di detenuti, in assoluto (2 milioni e 200mila, più 5 milioni di persone in libertà condizionata) e in rapporto alla popolazione (uno ogni 100 abitanti).

Complice la crisi economica, gli americani si stanno però convincendo che è arrivato il momento di cambiare politica, penale e penitenziaria: non costruiscono più carceri, chiudono alcune di quelle esistenti, puntano sulle misure alternative alla detenzione, che costano meno e producono più sicurezza. Una svolta, segnalata a più riprese, nei giorni scorsi, dal New York Times.

Per l’Italia viene meno quello che, per decenni, è stato un modello di riferimento. Come in Francia e in Gran Bretagna, anche l’Italia si è infatti ispirata alla "tolleranza zero", soprattutto con le leggi sugli immigrati, sulla droga e sulla recidiva, riempiendo le carceri di persone che appartengono agli strati più bassi della popolazione, soprattutto di stranieri (38%) e tossicodipendenti (27%). La popolazione detenuta cresce al ritmo di 1000 al mese, le carceri scoppiano e diventano sempre di più criminogene e patogene.

"Siamo fuori dalla Costituzione", ha ammesso nelle scorse settimane Alfano. Ma, a differenza dell’amico americano, il Governo Berlusconi non intende rinunciare alla politica del pugno di ferro e della carcerizzazione a oltranza, anche se le statistiche rivelano che la criminalità è in diminuzione. Piuttosto, preferisce costruire nuove prigioni: come, dove, con quali soldi e con quale personale è tutto da vedere.

Il 2 maggio, quando verrà presentato il "piano carceri", lo scopriremo. Certo è che la crisi si fa sentire anche in Italia, dove il sistema penitenziario costa 3 miliardi di euro l’anno, nonostante le condizioni pietose in cui versa, mancano all’appello 5mila poliziotti, non ci sono educatori e il bilancio è perennemente in rosso.

I soldi, insomma, non ci sono o scarseggiano e i tempi per la costruzione di nuove strutture o per l’ampliamento di quelle esistenti, per quanto rapidi, non riusciranno mai a tenere il passo con l’aumento vertiginoso dei detenuti. Né sarà il capitale privato, ammesso che si trovi, a risolvere rapidamente questi problemi. E poi: a che serve aprire nuove prigioni se non ci sono poliziotti e educatori?

Una soluzione ci sarebbe: anche in Italia le statistiche dicono che conviene di più - ai fini della sicurezza collettiva - far scontare la pena con misure alternative al carcere piuttosto che chiusi a quattro mandate dentro una cella. Nel primo caso la recidiva è del 19%, nel secondo sale al 69%. Non solo: si calcola che la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio, per la collettività, di circa 51 milioni di euro all’anno a livello nazionale. In tempi di crisi, non è poca cosa.

Giustizia: l’indennità di disoccupazione, anche dietro le sbarre

di Stefano Zurlo

 

Il Giornale, 6 aprile 2009

 

L’Inps non fa distinzioni: è sufficiente che il carcerato abbia lavorato almeno 57 settimane nei due anni precedenti e poi sia stato licenziato ma sia iscritto alle liste di collocamento. In quel caso il bonus scatta. Comunque. L’Inps non guarda il curriculum criminale, se il candidato sia in custodia cautelare o definitiva, italiano, straniero o clandestino, se abbia avuto un’occupazione in precedenza, quando era libero, o durante la prigionia, e nemmeno se il detenuto abbia lavorato all’interno della struttura o all’esterno.

Di più, in qualche carcere le occupazioni tradizionali dai nomi ancora ottocenteschi - spesino, scrivano, scopino o mof, acronimo per manutenzione ordinaria fabbricato - sono per forza di cose provvisorie e a rotazione. Ma proprio questa circostanza, proprio il continuo turnover, permette a centinaia di persone di raggiungere annualmente la fatidica soglia dei 78 giorni di lavoro e di ottenere così l’anno dopo la cosiddetta indennità di disoccupazione con requisiti ridotti. In pratica un minibonus che in molte realtà è a portata di mano per centinaia di detenuti. Insomma, con un pizzico di buona volontà, di solidarietà e di coordinamento, l’indennità, sia pure formato mignon, non si nega a nessuno. O quasi. Basta sincronizzare i turni sul calendario e il risultato arriva.

I numeri esatti, va da sé, non li conosce nessuno. L’Inps e il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non hanno mai incrociato i loro archivi. I dati sono per forza di cose parziali e ballerini. Ci sono realtà all’avanguardia in cui i meccanismi della burocrazia sono ben conosciuti, altre in cui i misteri e la generosità della previdenza sono ignoti. Trarre conclusioni generali è impresa temeraria, ma qualcosa si può dire.

La realtà forse più avanzata, su questo versante, è quella di Sollicciano, il grande carcere di Firenze. Poco meno di mille detenuti, centottanta domande appena firmate per ottenere l’indennità con requisiti ridotti. Più del quindici per cento della popolazione carceraria.

"Ho compilato io le schede - spiega Giuseppe Caputo - volontario dell’associazione L’altro diritto e documentatissimo ricercatore di sociologia del diritto - l’indennità del primo tipo, almeno qui a Sollicciano, è quasi una chimera irraggiungibile; i 78 giorni lavorati negli ultimi dodici mesi, senza nemmeno il bisogno di essere iscritti al collocamento, invece sì". E come si fa se si è ristretti in una cella?

Il "trucco" è appunto quello delle occupazioni interne al carcere: "Circa trecento persone ogni anno - spiega Caputo - si dividono i lavori tradizionali: spesini, scrivani, giardinieri, scopini. Solo a Sollicciano lavorano, naturalmente a rotazione, fra i 60 e gli 80 detenuti". Così il "premio" di disoccupazione può essere conquistato abbastanza facilmente: basta raggiungere quota settantotto.

"Attenzione - riprende Caputo - parliamo di somme modeste, modestissime. L’indennità può oscillare fra un minimo di 150-200 euro e un massimo di 600-700 euro, a seconda dei periodi impegnati, ma la cifra è annuale, non mensile, viene versata in un’unica soluzione, di solito in estate, e serve generalmente per alleviare la povertà dilagante anche dietro le sbarre".

Dunque, alcune centinaia di euro che si sommano allo stipendio, in verità ridotto all’osso - pari ai due terzi del minimo contrattuale di quella categoria parametrato sulla busta paga del 1994 - e ai costi per lo Stato della detenzione: quelli sì elevati, perché un carcerato costa alla collettività grosso modo 90-100mila euro l’anno.

E i paradossi non finiscono qui. A Sollicciano l’indennità classica, quella ordinaria, è stata conquistata da un transessuale nel momento in cui ha lasciato il carcere. Un po’ spesino, un po’ scrivano, un po’ altro ancora, Tamara - questo il suo nome - ha messo in fila 57 settimane nell’arco di due anni, ed è uscito sventolando l’assegno mensile dell’Inps.

Fuori da Sollicciano la percentuale dei detenuti sovvenzionati dall’Inps cala: "Nel resto della Toscana - conclude Caputo - credo che usufruisca dell’indennità il 5-10 per cento della popolazione carceraria. Non di più". Proporzioni che probabilmente si ripetono nel resto d’Italia. Disegnando così il profilo, davvero surreale, di una figura nuova nel pur frastagliato panorama previdenziale italiano: il detenuto disoccupato. Un centauro dei nostri tempi e della nostra legislazione.

Giustizia: Cassazione; fecondazione assistita a detenuto 41-bis

 

La Repubblica, 6 aprile 2009

 

Il magistrato di sorveglianza di Roma dovrà valutare nuovamente la richiesta di Andrea Montani di usufruire dei trattamenti per la fecondazione assistita. È la decisione della Cassazione che ha accolto il ricorso, presentato dal detenuto, considerato dalla Dda uno dei capi storici della criminalità organizzata del quartiere San Paolo.

Come è già accaduto per il boss siciliano Salvatore Madonia, i giudici della Suprema Corte hanno di fatto affermato come il principio della legge 40 sulla procreazione assistita debba essere esteso al caso di Andrea Montani. Il pregiudicato è detenuto in regime di 41bis. In carcere dal ‘91, è in isolamento. E dietro le sbarre, tre anni fa, ha appreso della morte del suo unico figlio Salvatore.

Diciotto anni, fu ucciso il 10 giugno dopo una lite con un commerciante al quale, con un gruppo di amici, aveva chiesto lo sconto sul prezzo di un cane. E con ogni probabilità è stata proprio la morte di Salvatore, a spingere Andrea Montani a desiderare, progettare un altro figlio. Così al Dap (il Dipartimento dell’amministrazione della giustizia) ha chiesto un’autorizzazione a beneficiare della procreazione assistita.

Ma la prima risposta, datata 17 gennaio del 2008, è stata negativa. Ad Andrea Montani non è stato concesso il permesso a sottoporsi ai trattamenti, previsti dalla legge 40. Il boss ci ha riprovato. E ha impugnato la decisione dell’amministrazione giudiziaria davanti al magistrato di sorveglianza. La decisione non è cambiata. A Montani, il 7 luglio di un anno fa, è arrivato ancora un no. Il caso si è trasformato così in un complesso iter giudiziario.

Tre mesi dopo, il pregiudicato presenta un nuovo ricorso, questa volta in Cassazione, allegando una relazione del dipartimento di ginecologia dell’università di Bari che spiega come le tecniche della procreazione assistita possono essere applicate anche al caso della patologia della quale Montani è affetto.

Con un’ordinanza, depositata a marzo, la Suprema Corte dà ragione al detenuto o ordina al magistrato di sorveglianza di Roma (Montani si trova in un carcere, nel Lazio) di rivedere la pratica. I giudici richiamano il principio sancita già nell’ordinanza che riguardava Salvatore Madonia, provvedimento che, spiegano, "ha già aperto la strada alla tutelabilità, per le persone detenute, di quelle situazioni, in quanto incidenti sul diritto alla salute, che facciano riferimento anche alle tecniche di fecondazione assistita".

E affrontando più nello specifico la richiesta di Andrea Montani, la Suprema Corte citano le linee guida della legge 40, emanate nell’aprile del 2008 dal ministero della Salute e che di fatto estendono la possibilità di estendere i trattamenti della procreazione assistita anche ai casi di patologie, come quella indicata dal pregiudicato barese. Ora, quindi, il magistrato di Sorveglianza, al quale la Cassazione ha rinviato gli atti, dovrà nuovamente esaminare la richiesta di Andrea Montani.

Che segue quella formulata da Salvatore Madonia (in carcere per l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi) ma non solo. Prima di Montani e Madonia, ad esempio, nel 2007 c’è stato Raffaele Cutolo, diventato padre grazie alla fecondazione assistita. Il pioniere dell’inseminazione, però, nel 2002, è stato un mafioso catanese. Montani è il primo detenuto in Puglia.

Giustizia: Cassazione; tolleranza zero per i minori "pericolosi"

 

Adnkronos, 6 aprile 2009

 

Appello ai giudici: no alla sospensione della pena quando c’è pericolosità sociale. La "pericolosità" è una "qualità, un modo di essere del soggetto anche minorenne" quindi, dice la Cassazione lanciando un appello ai giudici, tolleranza zero nei confronti di chi non ha compiuto la maggiore età e dimostra, col proprio operato, di essere caratterizzato da "pericolosità sociale".

Sulla base di queste considerazioni, la Sesta sezione penale ha respinto il ricorso di un albanese di 16 anni residente a Torino, sorpreso con 510 grammi di cocaina, che chiedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena data la minore età. Secondo piazza Cavour, che ha respinto il ricorso, quando "il giovanissimo accusato" ha avuto un "ruolo ed uno spessore criminale idoneo a fondare la negatività della prognosi" è giusto applicare la linea dura.

Giustizia: dalla Polizia penitenziaria solidarietà per i terremotati

 

Adnkronos, 6 aprile 2009

 

"I tragici eventi che hanno colpito la regione Abruzzo ed in particolare la provincia dell’Aquila ci impongono di manifestare la nostra convinta e sentita solidarietà alle popolazioni colpite, cui coniughiamo i nostri apprezzamenti per la tempestività, disponibilità e professionalità dimostrata dalle donne e gli uomini della polizia penitenziaria nel gestire le criticità manifestatesi con l’evento sismico". Lo affermano nella mattinata odierna i segretari generali delle organizzazioni sindacali rappresentative della Polizia Penitenziaria in una nota inviata a Franco Ionta, capo del Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria).

"In particolare - proseguono i segretari generali di Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cgil, Uspp, Fsa/Cnpp e Siappe - presso la Casa Circondariale dell’Aquila, certamente la più colpita anche nella struttura. In tale realtà l’emergenza è stata affrontata e risolta nel miglior modo possibile. Ciò testimonia, qualora ci fosse ancora bisogno di conferme, che il personale a fronte di emergenze vere non lesina le proprie disponibilità ed opera con responsabilità e con altissima professionalità e senso del dovere".

"Per quanto sopra -continuano i sindacalisti- vogliamo sperare che anche il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non perda l’occasione per dimostrare analoga efficienza e disponibilità. Non possiamo, in tal senso, non apprendere con estremo favore la determinazione del ministro Alfano di istituire una unità di crisi presso il Dap e la chiara indicazione di prestare ogni possibile assistenza alle famiglie del personale penitenziario". "Pertanto -concludono- è auspicio delle scriventi organizzazioni sindacali che eventuali istanze, atte ad affrontare i bisogni immediati, inoltrate da personale direttamente colpito dal sisma, in servizio sul territorio nazionale, possano trovare adeguato e immediato riscontro". I sindacati, infine, annunciano che chiederanno al ministro della Giustizia di rinviare l’incontro dell’8 aprile, "in ragione della tragicità degli eventi e della conseguente emergenza nazionale".

Lettere: C.D.T. di Secondigliano; qui moriamo nell’indifferenza

 

Ristretti Orizzonti, 6 aprile 2009

 

Ci domandiamo spesso, tutti i giorni, come fare ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sui nostri gravi problemi… a volte le risposte sono scontate: cioè nessuno ci considera perché siamo detenuti. Quindi in difetto a prescindere.

Ma qui non stiamo parlando di sentenze sbagliate o di errori di giustizia né di innocenza o di colpevolezza rispetto a questo o quello che ognuno di "noi" ha commesso; qui si tratta di diritti e doveri.. perché noi rispettiamo i nostri doveri, e nessuno si accorge che i nostri diritti vengono continuamente ignorati!

Siamo d’accordo per la certezza della pena per quelli che commettono orrori come violenze sessuali, pedofilia e morti senza senso. Ma pensiamo che il "Diritto alla vita" sia sacrosanto.

Il diritto alla vita e l’ipocrisia di farci credere nella famosa frase: "La legge è uguale per tutti".

Purtroppo tutti i giorni ci accorgiamo, con i vari fatti di cronaca, che non sempre quella famosa frase, si rispetti alla lettera. Quindi lasciatecelo gridare questo nostro diritto alla vita, fra tutte le bugie alle quali dobbiamo soccombere quotidianamente, cercando disperatamente di sopravvivere in questo Centro Diagnostico Terapeutico.

Dovete sapere che in questo reparto creato appositamente per noi malati terminali (ma detenuti) non esiste purtroppo nessun tipo di considerazione umana, qui i vari Dottori che dovrebbero assisterci nelle nostre cure e prepararci anche psicologicamente ad una fine meno dolorosa, forse non ricordano nemmeno il nome di Ippocrate al quale hanno giurato all’inizio della loro carriera.

I nostri problemi e richieste di aiuto passano inosservate e ignorate senza mai avere risposta. Le problematiche sono molteplici, a partire dalle nostre patologie, che spesso non hanno soluzione, ma, anche se questo è un problema al quale non c’è rimedio, noi pensiamo e proponiamo ogni giorno che esiste un modo per garantirci maggiore vivibilità, rispettando il nostro diritto alla vita, è forse chiedere troppo?

Ci si mobilita per i diritti del Tibet, per le moratorie contro la pena di morte, per le balene e anche per tenere in vita quelli che vivi non lo sono già più (vedi il caso di Eluana), speriamo che qualcuno di voi trovi la forza e decida di darci un segno, una risposta, una parola o quantomeno un po’ di considerazione, non lasciateci morire nell’indifferenza.

Ebbene si, nella nostra Italia e più precisamente a Napoli nel carcere di Secondigliano nel reparto del C.D.T. al 4° piano ci sono 18 uomini (malati terminali) ma esseri umani, persone anche se detenute che ogni giorno lottano per sopravvivere nella più totale indifferenza, dove una diagnosi vera e propria per le nostre patologie non esiste, ma qualcuno si ostina a dire che qui ci curano, che questo è un centro clinico idoneo per noi malati con patologie che vanno dai tumori all’aids in fase terminale, dall’epatite alle cirrosi epatiche.

Insomma come dire, siamo stanchi di aspettare che altri come noi finiscano in questo squallore dove non esiste igiene, dividiamo le celle con zecche e scarafaggi e insetti di ogni tipo, costretti a cucinarci a nostre spese, (perché il vitto è insufficiente e poco commestibile) e se non bastasse spesso e volentieri mancano i farmaci di prima necessità e i così detti salvavita che ci dobbiamo procurare facendoceli spedire dai nostri familiari (sempre a nostre spese). Chiediamo aiuto a qualcuno di competenza che ascolti questo nostro grido di dolore e che venga a verificare (magari a sorpresa in modo tale da non permettere ai signori della Penitenziaria di preparare una facciata per l’occasione) le nostre precarie condizioni dove la qualità della vita è rimasta purtroppo fuori dal muro… insieme a tutti i nostri diritti di malati e ancora prima di esseri umani.

 

18 detenuti del Centro Diagnostico Terapeutico

del carcere di Secondigliano

Lettere: ho l’Aids e sono in carcere, per una sentenza del 1993

 

Ristretti Orizzonti, 6 aprile 2009

 

Sono un uomo di 42 anni e in passato purtroppo ho fatto cose e commesso reati di cui oggi mi pento amaramente, quando credevo di avere chiuso "definitivamente con il mio passato ed avevo cercato di ristrutturare la mia vita impegnandomi con tanta buona volontà lavorando onestamente e riscoprendo tutti gli affetti di cui avevo perso la conoscenza, quando tutto sembrava andare per il verso giusto e la mia vita avere preso una giusta direzione, serena e felice ecco che improvvisamente riappare alla porta quel passato che sembrava lontano.

Si è presentato con una condanna da scontare in carcere e inverosimilmente la stessa condanna che mi era stata sospesa anni prima "grazie" e a causa di una grave patologia dalla quale sono affetto. Secondo voi, è giusto che un uomo dopo avere lottato per dimostrare alla legge, che nonostante un passato "burrascoso", quali possono essere le conseguenze di anni di tossicodipendenza, è riuscito a reinserirsi socialmente lavorando e cercando di ricostruirsi una famiglia, venga di punto in bianco, improvvisamente allontanato e rinchiuso in un carcere a più di 600 chilometri di distanza dalla sua attuale residenza? Senza avere più quelle cure mediche e quelle attenzioni particolari della famiglia che riuscivano a mantenerlo in vita, senza pensare a questa terribile malattia che è l’aids? Ebbene sì!

Questo è quanto mi sta succedendo da quasi due anni, difatti, dal novembre 2006 sono stato arrestato per scontare un residuo di pena che risale ad una sentenza emessa nel lontano 1993. Senza tenere conto, appunto, che dall’epoca dei fatti, la mia vita era totalmente cambiata. E come se non bastasse a distruggere tutto quello che di buono ero riuscito a creare, per di più sono stato trasferito in un carcere di Napoli, lontano da tutti i miei cari, con le molteplici conseguenze che questo comporta e cioè:la difficoltà di vederli regolarmente al colloquio.

Come dicevo, c’è da considerare, cosa che non hanno fatto i "signori" della legge, il fatto che sono gravemente malato di aids con molte patologie correlate che mi provocano non pochi problemi di sopravvivenza e di depressione. Mi trovo rinchiuso nel carcere di Secondigliano, che letto così, sulla carta risulta essere un centro attrezzato per assistere i pazienti di questa stramaledetta patologia e invece, purtroppo per me e per tutti gli altri detenuti, viviamo, sopravviviamo in condizioni a dir poco disumane.

Il famoso monitoraggio e la necessaria assistenza medica della quale abbiamo disperatamente bisogno, qui non esiste. Siamo mischiati come bestie malate con l’elevatissimo rischio di contrarre nuove infezioni e patologie; qui purtroppo l’igiene è rimasta fuori dal muro, difatti, più che un centro clinico, questo sembra una discarica comunale; dobbiamo procurarci noi a nostre spese i vari prodotti disinfettanti per cercare di tenere pulita la cella, ma non possiamo certo fare miracoli contro la ruggine e le costanti perdite d’acqua dai tubi rotti dei sanitari.

Da non sottovalutare poi c’è la questione dell’alimentazione, il vitto che per noi malati di fegato dovrebbe essere particolarmente curato... e invece... credo che voi non potreste nemmeno immaginare cosa riescono a prepararci da mangiare; se non fosse per i tanti soldi che spendiamo per fare la spesa e cucinare da soli, credo proprio che sarei già morto se avessi dovuto mangiare quelle porcherie che nemmeno i cani che stanno sotto le nostre finestre riescono a mandare giù.

Se poi volessi allungare la lista delle cose che non funzionano, ci sarebbe da dire che qui non esiste nessun tipo di attività, un corso, una scuola, ne tanto meno un sostegno psicologico, che in qualche modo dovrebbe prepararci ad una fine più dignitosa di questa che ci si sta presentando all’interno di questo carcere.

D’accordo con la certezza della pena, ma almeno ci dessero il diritto che abbiamo ad essere curati e che qui dentro ci vediamo negato in continuazione. E quanto dico mi è successo in più di tre occasioni dove appunto sarei dovuto essere trasferito in un ospedale esterno (civile) per ricevere delle cure specialistiche, ma nonostante il permesso del Magistrato di sorveglianza di Napoli che autorizzava il mio trasporto in ospedale, visita e cura non venivano effettuate perché i signori della Polizia Penitenziaria non si erano organizzati con la scorta per accompagnarmi, procurandomi così, se possibile, un ulteriore peggioramento e come se non bastasse, anche all’interno di questo Cat di Secondigliano succedono cose e fatti piuttosto insoliti come ad esempio: la sparizione di referti medici, di analisi fatte, addirittura di radiografie.

A questo punto, secondo voi, vorrei sapere chi è colui che si ostina ancora oggi a chiamare questo posto indefinibile: Centro Diagnostico Terapeutico, dove si riscontra giornalmente un degrado costante di una situazione diventata oramai insostenibile. Non lasciate che il pregiudizio vi porti a giudicare tutti alla stessa maniera, c’è anche chi non merita tutto questo, perché ancora crede e spera che la sua vita, un giorno (non troppo lontano) possa ancora cambiare!

 

Spartaco Ambrosio

Centro Diagnostico Terapeutico di Secondigliano

Lazio: il Garante; il sovraffollamento, è una emergenza sociale

 

Ansa, 6 aprile 2009

 

Continua a salire il numero dei detenuti reclusi nelle carceri italiane: secondo i dati del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap), al 31 marzo i reclusi in tutta Italia hanno sfondato la soglia dei 61.057, 58.411 uomini e 2.646 donne, oltre 18.000 in più di quanto consentirebbe la capienza regolamentare di 43.177 posti.

Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti, spiegando che nel Lazio, in particolare, i detenuti reclusi sono 5.537 (5.099 uomini e 438 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti. La maggior parte è reclusa a Rebibbia (1.465), seguono Regina Coeli (863), Viterbo (663) e Civitavecchia (501).

Secondo Marroni, le cifre dicono che anche nel Lazio c’è un’emergenza sovraffollamento: "I confronti si fanno con i detenuti presenti e i posti regolamentari: quello della capienza tollerata, che si ottiene aggiungendo letti nelle celle e riducendo gli spazi, è un dato che non dovrebbe essere preso in considerazione".

"Non sono contrario all’idea del governo di costruire nuove carceri, se queste andassero a sostituire quelle davvero fatiscenti. Il fatto - ha spiegato - è che per problemi diversi, il primo dei quali è la carenza di personale, ci sono strutture moderne sotto utilizzate e carceri nuove di zecca chiuse, come l’Istituto di Rieti, che potrebbe essere una valvola di sfogo per il sistema penitenziario del Lazio.

Una situazione del genere è una palese violazione della norma costituzionale secondo cui la pena deve punire, ma anche rieducare. Nelle ultime settimane abbiamo contato un suicidio nel carcere di Velletri, uno a Viterbo ed un tentato suicidio a Rebibbia. Un carcere così - ha concluso - è una vera e propria emergenza sociale".

Quanto alle presenze effettive dei detenuti nelle altre carceri del Lazio, secondo i dati forniti dal Garante Angiolo Marroni, a Cassino ci sono 219 detenuti, 449 a Frosinone, 169 a Latina, 42 a Paliano, 46 a Rieti, 335 a Rebibbia Reclusione, 358 a Rebibbia Femminile, 30 a Rebibbia III Casa, 363 a Velletri. Quasi ovunque le presenze superano la capienza effettiva.

Campania: stanziati 2 mln € per progetti di recupero detenuti

 

Apcom, 6 aprile 2009

 

La giunta regionale della Campania ha stanziato 2 milioni di euro per progetti di formazione e recupero dei detenuti. La delibera è stata approvata per finanziare le attività formative di inserimento per chi è negli istituti penitenziari della Campania.

Vengono messi a disposizione 2 milioni di euro nel biennio 2009-2010 (1 milione nel 2009 e 1 milione nel 2010) per l’istituzione di corsi di formazione per minori e adulti con l’obiettivo di favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e ridurre il rischio di rientro nel circuito dell’illegalità a conclusione della pena. I corsi di formazione saranno individuati dagli istituti penitenziari, coordinati dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e dal centro di Giustizia minorile della Campania, nell’ambito delle proposte contenute nel ‘Catalogo regionale per l’offerta formativa rivolta ai detenuti.

Il documento, elaborato dalla Regione Campania, individua cinque macroaree per costruzione dei progetti di offerta formativa: tecnica-artigianale; ristorazione alberghiera; manutenzione degli spazi verdi; attività ludico-ricreative e informatica. Per ogni attività formativa potranno essere avviati corsi con un numero di allievi compresi tra 8 e 20, che riceveranno un’indennità oraria qualora questa non sia già prevista.

"Il sostegno all’inserimento nel mondo del lavoro è il migliore supporto possibile che possiamo offrire per il recupero di tanti detenuti - afferma l’assessore regionale alle Attività produttive, Andrea Cozzolino - L’illegalità si combatte con la repressione, ma anche intervenendo e correggendo quei fattori sociali ed economici che spesso la alimentano".

Abruzzo: le carceri in zone colpite dal terremoto hanno tenuto

 

Apcom, 6 aprile 2009

 

"Dopo aver effettuato un’approfondita verifica, possiamo affermare che le carceri delle zone interessate dal terremoto hanno complessivamente tenuto. La Polizia penitenziaria è pronta a collaborare per i soccorsi necessari". Lo afferma in una nota il ministro della Giustizia Angelino Alfano in merito alla tragedia di questa notte. "A tal fine - continua il Guardasigilli - è stata tempestivamente istituita, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, una unità di crisi anche per assicurare supporto e aiuti alle famiglie del personale della Polizia penitenziaria eventualmente coinvolte nei danni provocati dal sisma".

 

Il Dap attiva le procedure di emergenza

 

Il Capo del Dipartimento Franco Ionta, nell’immediatezza delle scosse sismiche che hanno interessato il territorio dell’Aquila, ha attivato tutte le procedure d’urgenza per verificare eventuali danni alle strutture penitenziarie della Regione Abruzzo, alle persone detenute e se il personale, in servizio negli istituti dell’Aquila e di Sulmona, e le loro famiglie abbiano subìto danni. Alle prime luci dell’alba il capo del Dap ha inviato sul posto il Generale Alfonso Mattiello, direttore del Gruppo Operativo Mobile, per provvedere ad una verifica immediata della situazione degli istituti penitenziari interessati. La situazione è costantemente seguita dal Dap che ha costituito un gruppo di lavoro interno per monitorare la situazione di crisi e l’attivazione di interventi urgenti per le più immediate esigenze.

Bolzano: in 10 anni, 150 le persone accompagnate da "Odos"

 

Redattore Sociale - Dire, 6 aprile 2009

 

Bilancio del progetto di recupero di ex detenuti gestito dalla Fondazione Odar della Caritas di Bolzano-Bressanone. Tante sfide difficili da superare: dalla riduzione delle misure alternative alla scarsa disponibilità dei datori di lavoro.

Da dieci anni un "sentiero" consente di ritrovare la strada del reinserimento in società dopo la detenzione. In un decennio sono state oltre 150 le persone accompagnate da "Odòs", il progetto di recupero di ex detenuti gestito dalla Fondazione Odar della Caritas di Bolzano-Bressanone. Dieci anni di lavoro silenzioso a favore delle persone private della libertà per ricostruire una vita, riallacciare contatti personali, tornare a lavorare e guardare al futuro senza ricadere negli sbagli del passato.

Il progetto bolzanino consiste fondamentalmente in una casa d’accoglienza e punto di consulenza che si è consolidato negli anni e che, attualmente, è in grado di accogliere fino a 15 uomini. "Il progetto partì in via sperimentale in un appartamento in via Druso con un’accoglienza limitata a cinque persone e in dieci anni ha ospitato circa 150 detenuti - ricorda il responsabile Alessandro Pedrotti -.

Il nome Odòs significa sentiero e vuole indicare il viaggio verso e attraverso un cambiamento". Da quando l’avventura è iniziata, nel 1999, molto è cambiato fuori ma soprattutto dentro il carcere: "Allora si parlava poco di extracomunitari nella popolazione carceraria, mentre oggi più del 60% delle persone sono straniere e molte di queste sono senza permesso di soggiorno, quindi impossibilitate ad accadere ai servizi - aggiunge -. I detenuti inoltre continuano a evidenziare problematiche di dipendenza e i reati a sfondo sessuale stanno aumentando".

Nonostante l’impegno profuso, i progetti di reinserimento lavorativo non sono di facile attuazione a causa di "una certa incoerenza legislativa", come la definisce Pedrotti, che spiega: "Le misure alternative alla detenzione si sono ridotte e ciò complica la volontà di procedere a un inserimento occupazionale. Inoltre non sono molti i datori di lavoro disponibili a impiegare ex-detenuti o persone in affidamento.

Vorrei però ricordare tutti che la misura alternativa non significa eliminare la pena ma abbassare la probabilità che una persona ritorni a delinquere e si ritrovi in prigione dopo essere stata scarcerata. Attualmente la percentuale di recidiva per coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere è del 66% mentre nel caso delle misure alternative si scende al 26%".

Tra le sfide più difficili da superare, Pedrotti ricorda quelle legate alle problematiche di tipo psico-sanitario: "Con l’indulto, ad esempio, molte persone erano state liberate dall’oggi al domani senza farmaci, anche se prima erano sottoposte a forti terapie psichiatriche e psicologiche - conclude Pedrotti -. Ciò significa lasciare andare le persone allo sbaraglio".

Trieste: dopo convenzione con Comune già 11 detenuti al lavoro

 

Il Piccolo, 6 aprile 2009

 

Sono undici i detenuti del Coroneo che hanno collaborato con il Comune svolgendo mansioni di pulizia delle strade e di sistemazione dei giardini pubblici. L’operazione, inserita nel progetto comunale denominato "Orientamento e formazione all’etica del lavoro", è frutto di una convenzione fra Comune e Casa circondariale giunta a scadenza al termine dello scorso anno.

La convenzione "sarà però rinnovata - ha assicurato ieri l’assessore comunale per le Risorse umane e la Formazione, Michele Lobianco - sia perché i risultati ottenuti in questo quadriennio sono stati eccellenti, tanto per l’amministrazione quanto per i detenuti che hanno partecipato al progetto, sia perché con questo intervento rispondiamo a due normative.

La prima è contenuta nell’articolo 3 della Costituzione - ha precisato Lobianco - laddove si afferma che "la pena deve tendere alla rieducazione attraverso percorsi mirati al reinserimento sociale". La seconda - ha aggiunto - è contenuta nello Statuto comunale, laddove si indica, fra gli obiettivi dell’amministrazione, quello della "tutela delle persone emarginate, attraverso forme di recupero sociale delle stesse".

In questo modo - ha concluso Lobianco - centriamo entrambi gli obiettivi". I gruppi di lavoro nei quali i detenuti sono stati inseriti hanno riguardato la cura del verde pubblico e la manutenzione e la pulizia delle aree pubbliche, oltre che delle strade. "La concretezza del progetto - ha aggiunto Lobianco - si riscontra nell’utilità per la collettività e nell’immediata possibilità di apprezzare i lavori svolti da parte dei cittadini".

Gli interventi sono stati distribuiti sull’intero territorio comunale, dal Parco della Rimembranza alla scala dei pescatori di Santa Croce a mare, dai bagni Topolini alla villa Revoltella. "La sensibilità dimostrata dall’amministrazione comunale nei confronti di questo progetto - ha commentato il direttore della Casa Circondariale Enrico Sbriglia, che anni fa (sempre con Roberto Dipiazza sindaco) è stato anche assessore comunale - ne conferma lo spirito progressista.

L’esperienza maturata dai detenuti interessati in questi anni ne ha consentito un armonico rientro nella vita di tutti i giorni, una volta scontata la pena. Considerando che ogni detenuto rappresenta un costo per la collettività - ha concluso Sbriglia - questo è un ottimo sistema per trasformare i carcerati in elementi positivi per la società". Attualmente al carcere del Coroneo sono rinchiuse circa 230 persone.

Napoli: il Garante; a Poggioreale fino a 12-14 detenuti per cella

di Chiara Marasca

 

Corriere del Mezzogiorno, 6 aprile 2009

 

"Pochi giorni fa c’è stato ancora un suicidio nelle carceri napoletane, il terzo dall’inizio dell’anno nella sola Poggioreale. Il suicidio di un ragazzo di ventisette anni in un penitenziario dello Stato italiano non deve e non può scorrere via nell’indifferenza".

Adriana Tocco, per anni presidente del Cidi, associazione degli insegnanti fortemente impegnate nel sociale, e già consulente dell’assessorato regionale all’istruzione, da luglio scorso ha assunto l’incarico di Garante regionale delle persone detenute. Un ufficio nuovo, il suo, incardinato nel consiglio regionale. Solo da qualche giorno, però, in virtù dell’approvazione di una modifica ad un regolamento precedente, la sua figura è stata autorizzata dal legislatore ad entrare liberamente all’interno delle carceri, per verificare le condizioni in cui vivono i detenuti e poter dialogare con loro.

E così, il 17 marzo scorso, è stata per la prima volta a Poggioreale. Proprio nel giorno in cui un altro giovane carcerato sceglieva di togliersi la vita e il direttore, Cosimo Giordano, aveva appena finito di affrontare l’ennesima emergenza legata al sovraffollamento della struttura (2500 persone a fronte di una capienza di 1387).

"Mi accolse raccontando che, per fronteggiare nuovi improvvisi ingressi, aveva dovuto acquistare cento materassi. Quando si raggiungono picchi di presenza di molto superiori ai limiti tollerabili i detenuti dormono su brandine, sistemati alla meglio". Un quadro allarmante: lo raccontano i numeri ma anche i gesti disperati dei detenuti che decidono di togliersi la vita. "Non c’è dubbio. Nelle carceri campane ci sono 7.550 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 5350. Ma il dato di Poggioreale è il più grave. Il giovane suicida aveva fatto il suo ingresso in carcere da pochi giorni.

L’esperienza racconta che la fase del primo ingresso è quella più delicata, quella in cui un minimo di sostegno psicologico sarebbe indispensabile. Ma in una situazione in cui ogni giorno bisogna fronteggiare un’emergenza, dove può rendersi necessario acquistare d’urgenza 100 materassi per far dormire i nuovi giunti, il sostegno psicologico è solo un’utopia". Il sovraffollamento può essere all’origine di un gesto come il suicidio?

"Si provi solo ad immaginare di vivere in dodici o quattordici nello spazio esiguo di una cella progettata per ospitare sei persone. Promiscuità, tensione, aggressività diventano inevitabili. Ce l’hanno dimostrato anche gli esperimenti condotti negli anni Settanta da un famoso psicobiologo francese che osservò una colonia di topi posta in cattività, con forte limitazione dello spazio disponibile. Gli esperimenti evidenziarono, nel campione, l’impennata di due patologie comportamentali: forte aumento dell’aggressività e insorgenze depressive, con inequivocabili sintomi di predisposizione a sviluppare malattia".

Quali sono le azioni prioritarie da svolgere per arginare questa situazione? Costruire nuove carceri? "Certamente servono strutture più ampie, ma bisogna anche incentivare il ricorso a misure alternative alla detenzione. Purtroppo, invece, il governo sta andando in senso inverso: ma è troppo facile spacciare il carcere come unico antidoto a tutte le paure sociali, speculare sul bisogno di sicurezza che sale da un paese impaurito".

Come può intervenire un garante dei diritti dei detenuti? "Non ha molti mezzi a disposizione, ma ha il dovere di denunciare all’opinione pubblica tutte le condizioni di crisi che sviliscono la tutela dei diritti umani. I detenuti hanno diritto ad un’assistenza sanitaria e psicologica dignitosa e ora siamo di fronte ad una difficile fase di transizione: i fondi per queste spese sono passati dal ministero di Grazia e Giustizia a quello della Salute, è un momento che va gestito con molta attenzione, evitando ritardi". Progetti del suo ufficio?

"A Poggioreale, d’accordo col direttore e col sostegno degli assessorati regionali alle Attività produttive e alla Formazione e lavoro riattiveremo le officine esistenti all’interno del carcere, la tipografia, la falegnameria e lo spazio per i fabbri: la dignità del detenuto passa soprattutto attraverso il lavoro. Inoltre, in collaborazione con l’associazione Carcere possibile, stiamo curando una guida per i carcerati che contiene anche i regolamenti delle strutture penitenziarie. C’è anche un progetto pilota, per attivare sportelli di assistenza multilingue. Ma l’obiettivo principale è quello di costituire un osservatorio permanente che vigili e informi sulle condizioni di vivibilità nelle nostre carceri".

Enna: la Provincia ha istituito il Garante per i diritti dei detenuti

 

www.vivienna.it, 6 aprile 2009

 

È stato il senatore Salvo Fleres, Garante per la Sicilia dei diritti dei detenuti, accompagnato dal dirigente del suo ufficio Paolo Garofano , ad ufficializzare ed approvare il regolamento che il consiglio provinciale ha varato nella istituzione del Garante per i diritti dei detenuti ed il loro reinserimento sociale, Massimo Greco, presidente del consiglio provinciale, ha voluto la presenza del senatore Fleres per illustrare un’iniziativa, prima in Sicilia, che vorrebbe venire incontro alle esigenze dei detenuti e del loro ambiente familiare.

La presentazione del regolamento ha consentito, tenuto conto della vasta esperienza di Salvo Fleres in questo campo, di approfondire tematiche importanti legate al mondo della detenzione e il senatore Fleres ha fatto un quadro della situazione italiana che sicuramente non è delle migliori. "In Italia sono quattro le regioni che hanno istituito un Garante (Lazio, Sicilia, Umbria e Campania), che ha il compito proprio di garantire la piena applicazione dell’articolo 27 della Costituzione ed avere un continuo raccordo con gli istituti di pena, la magistratura, il mondo familiare dei detenuti.

Un raccordo che dovrebbe e potrebbe migliorare lo status stesso dei detenuti, quindi anche come possibilità di sbocco di lavoro". Salvo Fleres fa un quadro della situazione che non è delle migliori, perché in Sicilia ci sono 30 istituti carcerari, ma sono pochi quelli che soddisfano alle esigenze degli stessi detenuti, senza contare che il personale penitenziario è insufficiente. Ci sono situazioni assurde con 14 detenuti in una stessa cella a Catania, è un dato impressionante, ogni detenuto costa allo Stato 100 mila euro l’anno, se si realizzeranno alcune situazioni il costo potrebbe scendere a 25 mila euro.

Ci sono dei dati che devono fare riflettere: a Locri un progetto di socializzazione su 100 detenuti, avviati al lavoro, solo uno è ritornato in carcere; in Sicilia su 80 detenuti, nessuno è più tornato in carcere. "Strutture idonee potrebbero risultare importanti per tutti - ribadisce il senatore Fleres - sia per i detenuti che per lo Stato; l’indulto, non preparato adeguatamente, è stato un fallimento, tutti sono tornati in carcere.

Sul piano personale posso dire che c’è un progetto per la costruzione di nuove carceri per 200 miliardi di euro; due concorsi, sbloccati, ed in fase di espletamento per educatori e psicologi, che possono arricchire la qualità delle nostre carceri". Massimo Greco si è impegnato ad espletare un avviso pubblico per la scelta del Garante.

Marsala: un nuovo carcere, con il Piano di edilizia penitenziaria

 

http://a.marsala.it, 6 aprile 2009

 

"La costruzione della nuova casa circondariale di Marsala sarà inserita nel piano straordinario di edilizia penitenziaria". È quanto promette il ministero della Giustizia in una nota inviata all’Amministrazione Comunale, che da tempo aveva chiesto un provvedimento in tal senso al governo, evidenziando le carenze strutturali e l’inadeguatezza del carcere di piazza Castello, dove tra l’altro nei giorni scorsi c’è stato un nuovo suicidio, in cella: a togliersi la vita è stato il 43enne pantesco Gianclaudio Arbola.

Del nuovo carcere, che dovrebbe essere realizzato in contrada Scacciaiazzo, il primo cittadino Renzo Carini aveva parlato con il ministro Angelino Alfano lo scorso 29 luglio, quando il Guardasigilli arrivò in città per visitare il cantiere del nuovo Palazzo di Giustizia. Dal ministro, si evidenzia nella nota diffusa ieri dal Comune, "si erano già avute rassicurazioni circa la costruzione del nuovo istituto penitenziario".

In realtà, però, in quell’occasione, Alfano non aveva concesso molte speranze, dichiarando: "L’opera ha una sua priorità, anche se le risorse economiche sono scarse". Seguì una generica promessa sull’impegno a reperire le necessarie somme. "Ho allora rappresentato al ministro le carenze dell’attuale carcere - afferma il sindaco Carini - e l’esigenza di costruirne uno nuovo, anche per garantire migliori condizioni di vivibilità ai detenuti". Adesso, la promessa assume un valore più consistente in quanto messa nero su bianco in una nota ufficiale.

"Peraltro - prosegue il comunicato del Comune - a conferma che le cose sembrano mettersi per il verso giusto, è intervenuta la recente legge del 27 febbraio scorso (la n.14) che dispone la redazione di un programma di interventi necessari tra i quali rientrerà, appunto, la costruzione della nuova casa circondariale di Marsala".

In precedenza, il 20 settembre 2006, a confermare l’impegno del governo nazionale era stato l’allora vice presidente del Consiglio Francesco Rutelli, che nell’aula di Montecitorio, rispondendo ad un’interrogazione sulle strutture penitenziarie, snocciolò l’elenco delle opere "già appaltate" o i cui lavori sarebbero stati avviati entro breve tempo. E tra le città citate c’era anche Marsala.

Quella comunicazione sembrava avere impresso una svolta all’iter per la realizzazione della nuova struttura. Ed invece così non è stato. Eppure, nel 2004, il prefetto Finazzo era stato nominato "commissario straordinario" con il compito di accelerare l’iter di realizzazione dell’opera, complicatosi dopo la rinuncia dell’impresa che aveva vinto l’appalto. Secondo la ditta, infatti, con il passare degli anni, con le somme stanziate in precedenza non sarebbe stato più possibile completare i lavori. La nuova casa circondariale (150 posti) è stata progettata per sostituire l’attuale carcere, ospitato dal 1818 nel castello normanno. Una struttura, dunque, le cui mura perimetrali risalgono addirittura al XIII secolo. E per questo, nonostante i vari rimaneggiamenti subiti nel corso del tempo, ormai troppo vecchia e inadeguata.

Roma: arrivano sei giovani detenuti, "sfollati" da Ipm di L’Aquila

 

Ristretti Orizzonti, 6 aprile 2009

 

Saranno ospitati presso l’Istituto Penale Minorile di Roma "Casal del Marmo", degli ospiti minorenni che stanno per essere evacuati dalla struttura di detenzione minorile de L’Aquila. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che cita fonti del Dipartimento per la Giustizia Minorile.

A quanto appreso dal Garante proprio in queste ore è già partita da Roma la scorta di agenti di polizia penitenziaria incaricata di trasferire i sei minorenni - tutti stranieri - da l’Aquila nella struttura penale minorile di Casal del Marmo. Il loro arrivo a Roma è previsto per questa sera. Sempre secondo il Garante, altri 7 ospiti dell’Istituto penale minorile abruzzese stanno per essere trasferiti a Potenza, Bari e Firenze.

"Ho chiesto ai miei collaboratori di contattare subito la direzione di Casal del Marmo per capire cosa è possibile fare, in concreto per questi nuovi giunti - ha detto il Garante Angiolo Marroni - che saranno ovviamente provati anche a livello psicologico per quanto accaduto".

In queste ore l’Ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio è in contatto con la Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per capire se le strutture della regione saranno chiamate ad ospitare detenuti provenienti dal carcere dell’Aquila, come paventato in queste ore da alcune notizie di stampa.

Trento: per gli ex detenuti le porte della società restano chiuse

 

Il Trentino, 6 aprile 2009

 

Il carcere è ancora oggi uno stigma sociale, difficile da superare. Insomma il "detenuto resta detenuto tutto la vita, cioè anche quando esce dal carcere", spiegano gli aderenti dell’Associazione provinciale di aiuto sociale, impegnata su questo fronte. E la ragione è presto detta. Sono "insormontabili le difficoltà che la persona, che ha scontato la pena deve affrontare per inserirsi".

Insomma nessuno gli spiana la strada. Ed è proprio questo il ruolo dell’Apas (Associazione provinciale di aiuto sociale), quello di aiutare i detenuti a riprendere una vita normale dopo aver scontato la pena in carcere. Il convegno di ieri, organizzato per commemorare la scomparsa di Ivo Dario Gerola, socio fondatore dell’associazione, aveva come tema il "Nuovo carcere: un impegno per la città". L’incontro è stato una occasione per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della giustizia, del carcere e dei problemi sociali ad esso collegati, primo fra tutti quello del reinserimento dei detenuti nella comunità.

"Le porte della società sono chiuse verso gli ex detenuti - spiega Maria Anita Pisani, avvocato dell’Apas. - Molti ritengono infatti che la sicurezza possa essere garantita solo se chi commette un reato sconta tutta la pena all’interno delle mura di un penitenziario. Ma questo impedisce ai detenuti di iniziare un percorso di reinserimento, di trovarsi un lavoro". È questo il motivo per cui una buona parte di coloro che commettono un reato, una volta fuori dal carcere ricade nello stesso errore.

"La pena può essere scontata anche fuori, in maniera forse più costruttiva, magari aiutando persone bisognose", ha concluso l’avvocato Pisani. In Trentino i detenuti nel 2007 erano 242, compresi nei due stabilimenti carcerari di Trento e Rovereto. Tra questi 89 scontavano uno pena definitiva. La maggior parte dei detenuti è in carcere per reati legati alla tossicodipendenza; e la gran parte di loro poi sono extracomunitari.

"Sono soggetti emarginati - spiega il presidente dell’Apas Bruno Bortoli, - e sono anche quelli che hanno più difficoltà di reinserimento sociale". È a loro che si rivolgono gli interventi educativi dell’Apas, attiva in questo campo da quasi 25 anni. "La sfida - conclude Bortoli - è far capire alla città e alle istituzioni che le misure alternative rispetto al carcere non rappresentano affatto sconti di pena".

Padova: domani una giornata di studio su legalità e i giovani

 

Il Gazzettino, 6 aprile 2009

 

Una giornata di studio dedicata alla legalità. Domani, dalle 9, al Centro Congressi "La Piroga" a Selvazzano Dentro, prende il via il primo di una serie di incontri, nati su un progetto organizzato dalla Provincia, dal Parco regionale dei Colli Euganei e dall’associazione "Nemesi": "Vogliamo diffondere tra i giovani la cultura della legalità - ha spiegato l’assessore Mario Verza - coinvolgendoli in prima persona per far crescere un nuovo senso di responsabilità".

Guarda dunque lontano il lavoro triennale che vede la partecipazione di alcune scuole medie e superiori della provincia, per dar inizio ad un nuovo stile di vita, sul tema del rispetto delle regole, delle leggi. Abano, Este, Conselve, Monselice, Campodarsego, Due Carrare, Pernumia, Teolo, Veggiano, Vigonza hanno aderito all’iniziativa. Domani, al congresso, moderatore Ario Gervasutti, le relazioni toccheranno temi importanti come "Lo stare bene a scuola con sé e con gli altri", "Il valore della legalità", "Il progetto "Legalmente" all’interno della Casa Circondariale di Padova".

Dopo le 12, sarà la volta delle scuole che porteranno le loro esperienze, in particolare parleranno gli studenti che hanno avuto un confronto con i detenuti sul tema de "Il rispetto delle regole". La cultura della legalità prende il via dalle Direttive Comunitarie e dalle Raccomandazioni dell’Unesco per portare avanti un piano di azione per sviluppare una società migliore, fondata sui principi di libertà, democrazia, rispetto verso gli altri L’educazione alla legalità ha come oggetto la natura e la funzione delle regole della vita sociale: educare alla legalità significa diffondere la cultura dei valori civili. Queste linee di indirizzo devono svilupparsi soprattutto tra i giovani e la scuola è il primo banco di prova dove un ragazzo si confronta con il suo prossimo.

Torino: il circo si fa in carcere e i ragazzi imparano a sperare

 

Adnkronos, 6 aprile 2009

 

Un naso rosso, parrucche e palloncini colorati, palline da far roteare nell’aria: basta questo, a volte, per far ritrovare il sorriso e la fiducia negli altri e nel futuro a chi credeva che dagli altri, dalla vita, non ci fosse più niente di buono da aspettarsi. È quello che è successo a molti dei giovani detenuti del carcere minorile di Torino Ferrante Aporti che hanno partecipato, e partecipano ancora oggi, a Circostanza il progetto educativo di circo sociale promosso e realizzato dalla federazione VIP Italia Onlus e dall’Associazione Viviamo In Positivo che hanno deciso di portare anche in carcere la loro iniziativa rivolta a minori e adolescenti a rischio ma anche a tutti i bambini e adolescenti che soffrono, da quelli in ospedale, con la clown-terapia, a quelli nei paesi in via di sviluppo.

L’esperienza di Circostanza al Ferrante Aporti, che è ora raccontata in un libro, dopo un’iniziale scetticismo e un po’ di diffidenza ha subito mostrato i suoi risultati positivi. "Abbiamo accettato la proposta - spiega la direttrice del carcere minorile, Gabriella Picco - quando abbiamo capito che il circo era utilizzato come lo strumento di un lavoro altro, un’attività educativa e formativa per i nostri ragazzi che adesso vogliono tutti partecipare a Circostanza perché abbiamo capito che per loro si tratta di un’ora e mezza di vita in un mondo diverso".

Attraverso il gioco i giovani riescono un po' a isolarsi dalla loro realtà ma senza dimenticarla, anzi si sfogano, parlano, cercano un conforto e un confronto. La direttrice spiega che "il circo diventa un momento di riflessione, a volte anche con il coinvolgimento degli agenti e questo è un grande risultato di lavoro comune. Il nostro dovere - osserva ancora la direttrice - è metterli in condizione di sperimentare e sperimentarsi su cose positive e sapere che in una struttura come un carcere i ragazzi riescono a vivere delle emozioni positive è un risultato molto importante".

E per qualcuno questo potrebbe addirittura diventare uno sbocco professionale, come per un giovane romeno di 17 anni che sembra avere tutte le carte in regola per diventare un ottimo circense e che ha anche avuto l’occasione di sperimentarsi fuori dal carcere durante un permesso premio per un fine settimana.

In quei due giorni nel mondo, il ragazzo ha partecipato a un corso di giocoleria avanzata, organizzato dalla stessa associazione, insieme ad altri 16 giovani. "È riuscito subito a integrarsi - spiega la responsabile dell’associazione, Maria Luisa Mirabella - non abbiamo detto quale fosse la sua vita, ma alla fine lui ha voluto leggere agli altri una lettera in cui diceva che arrivava dal carcere e che finalmente ora crede in un futuro e ha capito che non ci sono solo persone cattive ma anche persone di cui ti puoi fidare, che ti vogliono bene e ti aiutano. Ha detto che da questa esperienza fatta in carcere è nato qualcosa di positivo".

A guidare i ragazzi del Ferrante Aporti attraverso i segreti del circo ci sono, oltre a Maria Luisa Mirabella, anche un’educatrice, un consulente artistico-educatore e un circense professionista. "Un’esperienza talmente positiva - sottolinea il dirigente della giustizia minorile di Piemonte e Liguria, Antonio Pappalardo - che è già stata esportata nei carceri minorili di Catania e Palermo e che a settembre partirà anche in quello di Bologna e di questo siamo molto orgogliosi".

Circostanza, progetto che si autofinanzia con la Giornata del naso rosso che si svolge in 35 piazze italiane e che a Torino si terrà il 17 maggio in piazza Castello, è solo una delle molte iniziative che si svolgono quotidianamente al Ferrante Aporti. Una analoga, sempre sul circo, è quella dei Giullari di Dio, clown volontari che lavorano con i giovani detenuti nei fine settimana, in particolare la domenica quando non ci sono altre attività e il tempo sembra non passare mai.

Padova: una pasticceria dove le colombe volano oltre le sbarre

 

www.ilsussidiario.net, 6 aprile 2009

 

Un testimonial di eccezione, il mitico Albert Adrià, titolare con il fratello Ferran di El Bulli, il ristorante più famoso del mondo, per un’iniziativa sociale della pasticceria più strana d’Italia.

Siamo nel carcere penale di Padova, dove i detenuti sfornano a ripetizione panettoni e colombe. Una pasticceria sociale già di suo. Eppure qui il 27 marzo è stata presentata con lo slogan "La carità aiuta la carità, il sociale aiuta il sociale" un’idea che rende ancora più non profit il laboratorio artigianale dietro le sbarre. Chi acquisterà infatti le pregiate colombe pasquali dal sito www.idolcidigiotto.it potrà infatti devolvere un euro alla Fondazione Banco alimentare e alla sede padovana dell’Ail, Associazione italiana per la lotta contro le leucemie. Quanto al testimonial, ci si aspettava una primadonna, una star dei fornelli. In fondo è lui l’uomo delle meringhe effervescenti, delle gelatine calde, del caviale vegetale, delle olive verdi sferiche.

Invece Albert, il centravanti della pasticceria spagnola e forse mondiale, ha stupito tutti, giocando in contropiede. In carcere c’è rimasto oltre due ore, provenendo dalla Spagna con una tappa intermedia (per modo di dire) ad Hong Kong. E si è messo letteralmente in gioco con un’umiltà che ha stupito tutti. Ha impastato, decorato, spolverizzato di zucchero a velo le colombe artigianali realizzate dai detenuti assunti dal consorzio Rebus. Ha presenziato con molta attenzione al lancio della campagna sociale a favore di Ail e Banco Alimentare. E infine, quando ha parlato, lo ha fatto in punta di piedi, definendo la sua avventura in carcere "una delle sorprese che ti serba la vita".

"Come il fatto che oggi sono considerato un grande chef, è una cosa che mi sorprende, per la stessa cosa sono meravigliato di essere qua, sono contentissimo di essere qui oggi. Sono meravigliato di essere qui. Questa esperienza mi ha colpito profondamente, la società ha bisogno di realtà come questa. Spero di collaborare attivamente a questo progetto".

 

Ecco le altre dichiarazioni del pasticcere spagnolo rese alle telecamere che lo assediavano.

"Non sono una persona di parola facile, chiedo scusa, il mio mestiere è fare il cuoco. Io stesso sono un messaggio di speranza. Sono cresciuto in un paesino molto umile, da una famiglia umile, dove la delinquenza era un modo per andare avanti. Io ero un bravo ragazzo e mi sono sempre comportato bene, ma non avevo nessuna prospettiva. A quindici anni, quando ho avuto la possibilità di imparare un mestiere, questo mestiere mi ha permesso di formarmi come persona e di arrivare dove sono arrivato oggi. Tutto grazie alla pasticceria. L’unica cosa che posso dire è che non sono nessuno per dare consigli. Posso solo ringraziare enormemente della possibilità di visitare il carcere".

 

Qual è stato il suo percorso culinario?

"Grazie alla cucina moderna la Spagna è conosciuta in tutto il mondo. Adesso vogliamo far conoscere la nostra cucina tradizionale. Quando ho cominciato nel 1985, io ero conosciuto solo in Spagna. Adesso la cucina spagnola è famosa in tutto il mondo fino in Cina. Ora il mio futuro è far conoscere la cucina tradizionale come le tapas, perché per me mangiare dev’essere divertente come la vita e la tapas sono il modo più divertente di mangiare. Il mio intento è quindi di ritornare alla tradizione nella maniera più rigorosa, più pura: per esempio, se devi fare la salsa spagnola tradizionale, la devi fare "grossa", senza raffinarla, senza usare tecniche moderne. Quello che sto facendo adesso è leggere e mangiare, per conoscere e imparare la tradizione bisogna leggere e mangiare molto".

 

Quello che ha visto in carcere è un esempio del fatto che qualità e il sociale possono andare insieme?

"Per me è soprattutto un esempio di intelligenza. Occorre rendersi conto di possedere delle qualità per fare qualcosa e dire "allora lo faccio". E poi è un esempio di valori: potenziamento della tradizione, saper fare trattative, ordini, vendite, c’è dentro tutto".

 

Visitando il carcere ha ritrovato qualcosa che le ha fatto ripensare alla sua storia?

"Sicuramente, ho ripensato a quando avevo quindici anni e non avevo futuro. Grazie alla ristorazione e alla pasticceria mi sono formato nella professione come persona e come uomo, io devo tutto al mio lavoro".

 

Si può dire che il cibo aiuta a stare meglio sia nell’anima che nel corpo?

"Soprattutto per un italiano. Sicuramente per un latino il cibo non è solo un fattore organico, ma anche emozionale".

 

La prima emozione che ha provato entrando qui?

"Sono uno a cui piace riflettere, preferisco tornare a casa e analizzare bene tutto quello che ho visto, ho visto moltissime cose, cose che non potevo neanche immaginare, qui si sta facendo un lavoro sociale incredibile. Questo luogo non sembra assolutamente un carcere, i risultati di questa realtà sociale si vedono e deve essere appoggiata".

 

Ha raccontato la sua storia, una storia che comincia da lontano, che parte da una condizione umile...

"Si, io e mio fratello Ferran veniamo da una famiglia molto umile, abbiamo vissuto in un contesto dove non si può essere sicuri del proprio futuro, siamo cresciuti in un quartiere di Barcellona dove la vita era tutto tranne che facile. Ciò che ci ha permesso di venir fuori, e diventare tutto quello che siamo e che la gente conosce, è stato il lavoro a cui devo tutto, la mia crescita come professionista, come persona, come uomo".

 

E adesso a cosa sta pensando? Ha in mente qualcosa di nuovo?

"Adesso? Penso solo di approfittare del tempo che mi è dato di stare qui a Padova, domani a Venezia… e così giorno per giorno. adoro vivere giorno per giorno. Non so se c’è inferno e paradiso. Non so se ci sono date da vivere due vite. Io cerco di vivere questa vita meglio che posso!"

 

Lei è un pasticciere famoso…

"No, no. Io non sono famoso nel 95% del tempo, molto più spesso sono un professionista che si trova ogni volta di fronte a clienti che gli chiedono di provare una sensazione nuova".

 

Le sembra fatta bene questa colomba?

"Sicuramente. Io 3 o 4 anni fa mi ero cimentato a fare il panettone e mi è sembrato così difficile da non riuscirci, è la verità. Tra tutte le lavorazioni artigianali della tradizione questa è la più difficile del mondo".

Insomma con la sua modestia e la sua classe nel carcere italiano il centravanti degli chef spagnoli ha fatto gol. Ma Spagna-Italia, stando alle sue dichiarazioni, finirà 1-1, se è vero che i dolci di Giotto sono attesi da una trasferta iberica impegnativa ma che promette molte soddisfazioni.

Immigrazione: Roma; stop al razzismo e... "un lavoro per tutti"

 

Corriere della Sera, 6 aprile 2009

 

In corteo per Basharat, ma anche per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali, quello al lavoro per esempio. Ieri pomeriggio centinaia di persone, soprattutto immigrati, si sono date appuntamento a Grotte Ce-loni e hanno manifestato lungo la via Casilina, fino ad arrivare nel cuore di Tor Bella Monaca. Una manifestazione antirazzista proprio nel quartiere, dove lo scorso 23 marzo, è stato massacrato di botte Mohammed Ali Basharat, commerciante pakistano, ricoverato in condizioni gravissime al Policlinico Casilino. Sua moglie per lo spavento ha perso il bimbo che aspettava.

Oltre a molte associazioni di lavoratori stranieri hanno partecipato alcuni studenti dell’Onda, esponenti di Sinistra critica e l’assessore regionale al Bilancio Luigi Meri (Sinistra), in rappresentanza della Regione. "E importante per questa famiglia distrutta da un’aggressione immotivata - ha sottolineato Meri - sentire la vicinanza della comunità e delle istituzioni, che invece finora non si sono viste. La signora mi ha detto che nessuno dal Comune si è fatto sentire, e lei non parla italiano, non è in grado di gestire il negozio. Per questo abbiamo deciso, come Regione, di impegnarci e cercare di far venire a Roma dal Pakistan il cognato per aiutarla, perché non resti sola in questo momento terribile. E chiederò informazioni alla Questura sulle indagini: anche da questo punto di vista non riusciamo ad avere risposte".

E ieri, dopo la scoperta dei bimbi afghani che dormivano vicino la stazione Ostiense, l’assessore comunale alle Politiche sociali, Sveva Belviso, ha deciso una serie di interventi per l’aiuto e l’assistenza agli immigrati e rifugiati politici che sostano nei pressi dell’Ostiense

Francia: Amnesty denuncia la Polizia, per uccisioni e pestaggi

 

www.unimondo.org, 6 aprile 2009

 

Uccisioni illegali, pestaggi, abusi di natura razzista e uso eccessivo della forza. È la denuncia dell’operato delle Forze di Polizia francese di un recente rapporto di Amnesty International dal titolo "Public outrage: Police officers above the law in France". "Le denunce su episodi del genere sono raramente sottoposte a indagini efficaci. Ancora più raramente, i responsabili vengono portati di fronte alla giustizia" - sottolinea Amnesty. "L’impunità degli agenti di Polizia francesi, che si riscontra in un clima nel quale comportamenti del genere non vengono sanzionati, è inaccettabile" - ha dichiarato David Diaz-Jogeix, vicedirettore del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.

Il rapporto dell’organizzazione per i diritti umani condanna il fatto che, mentre continuano a pervenire denunce relative a maltrattamenti, abusi di natura razzista e uso eccessivo della forza, le procedure per lo svolgimento delle indagini su tali denunce restano ancora al di sotto degli standard richiesti dal diritto internazionale. Il rapporto rileva anche "un aumento dei casi in cui vittime o testimoni di maltrattamenti da parte delle Forze di Polizia finiscono per essere incriminati per oltraggio o aggressione nei confronti di un agente".

Da tempo Amnesty International nutre preoccupazioni sulle denunce di violazioni dei diritti umani da parte delle Forze dell’ordine francesi e sull’assenza di un sistema di indagini efficaci, indipendenti e imparziali che possa consentire di portare di fronte alla giustizia i responsabili. Già nel 2005, l’organizzazione per i diritti umani aveva pubblicato un rapporto che esaminava gravi violazioni commesse dalle Forze dell’ordine sin dal 1991.

I numerosi casi su cui Amnesty International ha svolto le proprie ricerche, nella preparazione del rapporto, dimostrano che sebbene le vittime di maltrattamenti e di altre violazioni dei diritti umani comprendano uomini e donne di tutte le età, la maggior parte delle denunce proviene da cittadini francesi appartenenti a minoranze etniche o da cittadini stranieri.

"Le Forze di Polizia francesi svolgono un lavoro difficile e pericoloso, spesso con grande rischio personale. Tuttavia, quando vengono segnalati episodi di cattiva condotta da parte della Polizia, questi devono essere sottoposti a indagini tempestive, esaurienti, indipendenti e imparziali" - ha proseguito Diaz-Jogeix. "Le persone hanno bisogno di fidarsi delle Forze di Polizia ma attualmente questo non capita spesso e non sarà possibile fino a quando non saranno prese misure disciplinari appropriate e gli agenti responsabili di comportamenti penalmente rilevanti non saranno sottoposti alla giustizia, secondo procedure imparziali e indipendenti. Ciò è necessario, inoltre, per mantenere la buona reputazione della maggior parte degli appartenenti alle Forze dell’ordine, che svolgono il loro dovere con professionalità e nel rispetto della legge".

Sebbene non tutte le denunce sporte contro la Polizia abbiano un fondamento, la discrepanza tra il numero delle denunce e quello delle sanzioni disciplinari imposte solleva interrogativi riguardo all’imparzialità e all’accuratezza delle indagini. Secondo le limitate informazioni disponibili, delle 663 denunce esaminate dall’ispettorato di Polizia nel 2005, 16 sono terminate con l’allontanamento dal servizio; la proporzione nell’anno 2006 è stata di otto allontanamenti dal servizio su 639 denunce. Un elevato numero di procedimenti viene archiviato senza raggiungere un’aula di tribunale.

"I cittadini hanno il diritto di sporgere denuncia, ma quando si tratta della Polizia, le probabilità di successo sono scarse. Il sistema giudiziario soffre di un pregiudizio istituzionale a favore delle Forze di Polizia. Le vittime, che in molti casi sono cittadini francesi appartenenti a minoranze etniche o cittadini stranieri, sono lasciate troppo spesso senza giustizia" - ha sottolineato Diaz-Jogeix.

Amnesty International continua a chiedere alle autorità francesi di fare passi concreti per riformare l’attuale sistema e creare una commissione indipendente per esaminare le denunce nei confronti di agenti di Polizia, con risorse e poteri adeguati a condurre indagini approfondite ed efficaci. "Le autorità di Parigi devono prendere misure per assicurare che nessuno sia al di sopra della legge. È fondamentale che i cittadini abbiano fiducia nelle Forze di Polizia" - ha concluso Diaz-Jogeix.

 

 

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