Rassegna stampa 3 aprile

 

Giustizia: cercasi urgentemente medico per il "pianeta galera"

di Igor Man

 

La Stampa, 3 aprile 2009

 

Quarantanove anni fa prendemmo la casa dove tuttora vive il Vecchio Cronista perché il sensale ci disse che bastava attraversare Ponte Sisto per tuffarsi nel verde, "unico", del Giardino botanico. Davvero "unico" il Giardino, ma a strapiombo del verde insisteva la lugubre mole di Regina Coeli, il carcere di Roma. La sua sorte ci ha accompagnato fin qui e non c’è una volta che passando con la fedele Croma davanti alla vecchia galera non ci si strizzi "er core".

Ed è facile ricordare come, immancabilmente, a ogni cambiamento di governo si sia: a) denunciato "lo stato fatiscente" della galera; b) annunciato l’imminente adeguamento delle strutture (il cesso al posto del bugliolo). Non c’è governo che non abbia affermato che Regina Coeli ha i giorni contati. Ha fatto eccezione l’attuale guardasigilli, Angelino Alfano. Ha detto chiaro che la situazione è "esplosiva".

E ciò per "carenze amministrative e di personale". A Favignana le celle si trovano 7 metri sotto il livello del mare e non hanno finestre. A Catania in pochi metri quadri si stipano tredici detenuti, alcuni costretti a dormire in terra per la mancanza di letti. A Torino nella Casa circondariale Lorusso-Cutugno i reclusi sono 1600 mentre la capienza sarebbe di 923. Ancora: oltre 38 mila dei 60 mila carcerati sono "in attesa di giudizio".

Di più: nelle 206 galere si scontano una serie di pene accessorie non previste dal Codice, "lesive della dignità umana e della Costituzione", denuncia Alfano. Che, fuori da ogni buonismo, ha varato un piano-carceri interessante. Contempla lo sdoppiamento dei "circuiti carcerari" il che significa che ci saranno carceri pesanti per detenuti pericolosi "che han commesso crimini con violenza", e carceri "leggere" per quanti siano considerati "a bassa pericolosità". Per questi "si apriranno spazi di socialità, facendo sì che la cella diventi solo spazio di riposo".

Codesto piano-carceri è l’estrema Thule del pianeta-galera. "Tutto lascia prevedere che entro questa settimana saremo a quota 61 mila reclusi quando la capienza "regolare" dovrebbe essere di 43.169 carcerati con un limite tollerabile di 63.623". Lo dice Leo Beneduci, segretario del Sindacato di polizia penitenziaria (cfr. Avvenire, Paolini-Scavo).

Nell’estate 2006 si ricorse all’indulto che portò alla liberazione di circa 26 mila dei 60 mila reclusi di allora, ma già nei primi giorni "l’effetto dello sconto generalizzato di pena era svanito". L’attuale governo ha nominato un commissario straordinario (il neodirettore del Dap Franco Ionta) che "entro maggio" dovrà indicare "dove e come costruire" 17 mila nuovi "posti letto".

Il piano-carceri di Alfano è civile, innovativo, ma il punto, forse, è un altro. Lo indica Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste. Dice: "Possiamo dare ai detenuti quante più attività culturali si vuole, ma quello che i prigionieri chiedono è di poter lavorare" o addirittura di imparare un mestiere. Il lavoro educa, rafforza il legame del carcerato coi suoi cari, gli permette di giovarsi d’un buon avvocato.

Là dove è stata possibile la terapia-lavoro ha visto non pochi detenuti salvarsi dalle tentazioni della criminalità organizzata. Servono nuove carceri, certo, ma il "maestro di vita" rimane il lavoro, cioè il carcere-bottega secondo il modulo rinascimentale. "Drento Regina Coeli / ce sta ‘na campana / possino ammazzallo / chi la sona".

Giustizia: mai così tanti detenuti, in atto una follia repressiva

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 3 aprile 2009

 

Erano 60.036 il 26 febbraio. Sono oggi 61.003. È il record di detenuti nella storia della Repubblica dall’epoca dell’amnistia di Togliatti o quasi. In appena tre anni è ormai definitivamente svanito l’effetto indulto.

Nel 2006, prima della clemenza approvata dal parlamento, i detenuti erano 60.710. Da allora a oggi sono aumentati a ritmi insostenibili: 25mila nuovi detenuti in appena trenta mesi. Un record giustificabile solo se fosse aumentata esponenzialmente anche la criminalità o il contrasto delle forze dell’ordine. Ma così non è.

Tutte le statistiche aggiornate confermano infatti che il numero complessivo dei reati denunciati è in calo, ed è rimasto sostanzialmente stabile il numero di nuovi ingressi dalla libertà, indice di un’ordinaria attività delle forze di polizia.

Contro il sovraffollamento protestano gli agenti di tutte le sigle sindacali, dall’Osapp alla Cgil. Dai dati più aggiornati è evidente che la crescita dei detenuti è dovuta essenzialmente al combinato disposto di appena tre leggi ormai andate a regime: la Bossi-Fini sull’immigrazione (approvata nel 2002), la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva (approvate tra il 2005 e il 2006). Visto che in Italia un processo penale dura in media 3-4 anni, queste tre leggi "criminogene" iniziano ora a dispiegare i loro risultati inflattivi in termini di repressione penale e carceraria.

Esse prevedono in sequenza: reclusione per lo straniero non comunitario che contravviene all’ordine di espulsione, pena aumentata se si è irregolari (questa è una novità dell’estate del 2008), equiparazione penale del consumatore abituale di droghe leggere allo spacciatore di droghe pesanti, aumento delle pene per chi traffica sostanze stupefacenti, più pene e meno benefici per i plurirecidivi. Secondo i dati Dap quasi due detenuti su cinque sono dentro per motivi legati alla criminalizzazione dell’uso delle droghe.

In queste condizioni è inevitabile che il sovraffollamento raggiunga cifre da capogiro. Nelle prigioni emiliane i posti letto regolamentari sono 2.274 e i detenuti presenti oltre 4.300, quasi il doppio. Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega alle tossicodipendenze, nonché autore dell’omonima infausta legge sulle droghe insieme a Gianfranco Fini, è di recente andato a visitare il carcere di Modena. Immaginiamo che sicuramente avrà visto come per terra, nelle celle, vi sono materassi e coperte, perché i letti non sono sufficienti.

Allo stesso modo accade dappertutto in giro per l’Italia. A Bolzano i detenuti vivono in dieci in una cella dove faticano a muoversi; i termosifoni non funzionano, e a Bolzano d’inverno non fa caldo. A Bari, invece, l’estate prossima sarà molto dura visto che in una cella prevista per un detenuto (nove metri quadrati) ce ne sono ben cinque.

In Basilicata è stato chiesto di non inviare più reclusi da altre regioni avendo raggiunto il limite massimo di capienza tollerabile. Al carcere Marassi di Genova si arriva a sette persone in dodici metri quadri. I detenuti sono 700 sui 340 previsti e i detenuti fanno i turni per stare in piedi, per frequentare le scuole ma anche per accedere agli impianti sportivi durante le ore d’aria. In Campania ci sono 2mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Nel 2009 si sono registrati già tre suicidi. Il caso paradigmatico è costituito da Poggioreale con 1.200 detenuti in più rispetto alla capienza globale di 1.400 posti letto.

Ormai è difficile anche stare in piedi. In questo caos passa quasi inosservata la morte nel carcere di Foggia di Leonardo Di Modugno, 25 anni, impiccatosi nella sua cella. In una situazione disastrosa come quella attuale è indispensabile un controllo esterno, indipendente, delle condizioni di detenzione. Vista la latitanza parlamentare noi abbiamo costituito il nostro difensore civico (difensorecivico@associazioneantigone.it).

Già si moltiplicano le segnalazioni sul sovraffollamento: trasferimenti coatti lontano da casa, assenza di progetti educativi, riduzione al minimo dei rapporti con gli operatori. E poi la violenza. Quella istituzionale e quella individuale. Di fronte a tutto questo è minimalista, inutile e sbagliato puntare sull’edilizia penitenziaria come fanno il ministro Alfano e il nuovo capo del Dap, nonché commissario straordinario alla costruzione di nuove carceri, Franco Ionta. Minimalista perché non si affrontano i nodi profondi del sovraffollamento, ossia l’ipertrofia penale.

Inutile perché costruire un carcere è impossibile se contemporaneamente, in una situazione già di sovraffollamento, continuano a crescere i detenuti. Sbagliato perché bisognerebbe puntare decisamente sulla depenalizzazione, sulla de-criminalizzazione e sulla decarcerizzazione. Di fronte all’emergenza carceraria va costruito un movimento di opinione che ci aiuti a resistere all’ondata di follia repressiva. Facciamo un invito a intellettuali, artisti, politici e giornalisti: andate in carcere, vedete cos’è oggi una galera e raccontatelo all’esterno. Scriveteci, noi saremo con voi.

Giustizia: con il Piano carceri, celle edificate anche nei cortili?

di Matteo Bartocci

 

Il Manifesto, 3 aprile 2009

 

Il Commissario Franco Ionta pensa a nuovi padiglioni negli spazi comuni e palestre. Perché limitarsi alle villette e non aumentare del 35% anche la cubatura delle carceri attraverso il decreto legge sul piano casa? Potrebbe essere una buona idea. Ma per fortuna l’allarme lanciato ieri dal Sappe - uno dei sindacati autonomi più rappresentativi (e più legati ai vertici ministeriali) della polizia penitenziaria - era solo un pesce d’aprile. Un grido d’allarme sarcastico per richiamare l’attenzione sul mondo sommerso e spesso ignorato che vive dietro le sbarre.

Il fatto è che l’indulto tanto vituperato quanto necessario oggi non c’è più. E nei 206 penitenziari italiani il sovraffollamento è ormai insostenibile: stabilmente sopra le 61mila unità, 17mila "ristretti" in più oltre il limite tollerabile. Il governo ha delegato la soluzione dell’ennesima emergenza conferendo al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta la delega come supercommissario alla costruzione di nuove carceri. E Ionta dovrà presentare il suo magico piano entro il 2 maggio.

Le idee brillanti però latitano e i soldi pure, così al Dap stanno pensando di correre ai ripari costruendo nuovi padiglioni dentro le vecchie cinta murarie al posto delle aree verdi, nelle palestre, nei campi di calcetto o all’interno delle caserme della polizia penitenziaria in disuso. Le nuove celle insomma facciamole in cortile. Lo scrive lo stesso Ionta, nero su bianco, con un documento ("Ipotesi di lavoro sul funzionamento e le attività del commissario straordinario") datato 13 febbraio.

Le soluzioni proposte sono di due tipi: costruzione di nuovi penitenziari oppure "allargare" quelle esistenti con nuovi fabbricati che riducono al massimo gli spazi comuni. È una soluzione già adottata qua e là (l’ultima consegna è avvenuta di recente nel carcere di Velletri) e lo stesso Ionta ha visitato nelle ultime settimane alcuni istituti per verificare da vicino la fattibilità della costruzione.

La descrizione dei nuovi padiglioni non lesina i paroloni. Per il Dap si tratterà di realizzare "immobili a basso impatto ambientale ed energetico per sviluppare e applicare sistemi avanzati di automazione e di tecnologia sofisticata ai fini della sicurezza". Stando a quelli già realizzati in giro per l’Italia (1.610 posti nel 2008) si tratta invece di costruzioni a tre piani in cemento armato dove, vista la carenza del personale di polizia penitenziaria, abbonderanno telecamere e altri strumenti di controllo.

Ognuno di questi "gioielli tecnologici" racchiuderà almeno 200 detenuti e costerà 10 milioni di euro. Entro il 2010 se ne costruiranno 7 (a Cuneo, Velletri, Carinola, Avellino, S. Maria Capua V., Catanzaro, Enna) per 1.790 posti. E pazienza se si riduce fin quasi ad azzerarlo ogni spazio libero in comune per fare attività sportiva, socializzare e così via.

Altri 3mila posti, sempre secondo il Dap, si ricaveranno dalla ristrutturazione di sezioni ora inutilizzate e dal varo di 6 nuovi istituti (Rieti, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano, Sassari e Trento). Il tutto costerà giusto giusto 205 milioni di euro, quanto il governo gli ha affidato come supercommissario. Bisognerebbe costruirne di nuove. Già il centrosinistra, nel 2000, varò un piano carceri per 25 istituti (21 vecchi da ristrutturare e 4 nuovi). Nove anni dopo è stato finanziato solo il primo lotto di 8 carceri. Alla fine tra dismissioni e ristrutturazioni i posti in più saranno solo 1.386 (sempre che si trovino le centinaia di milioni mancanti).

Ma anche così, scrive lo stesso Ionta, per far dormire i 17mila detenuti in eccedenza servirebbero almeno altri 660 milioni di euro. Che al momento non ci sono. Dunque proverà a battere la strada dei privati. Prevede incontri con l’Abi, Confindustria, Confartigianato e tutti i soggetti interessati. Le ipotesi sul campo sono tre: permuta di vecchi istituti (esempio Regina Coeli) ai privati che si impegnano a costruirne di nuovi; vendita di penitenziari di pregio (un carcere italiano su 5 è stato costruito tra il 1200 e il 1500), il project financing, cioè la gestione privata. Bene.

Un’altra relazione del Dap (stilata di recente dall’Ufficio tecnico per l’edilizia penitenziaria del ministero della Giustizia) ammette che finora nessuna di queste tre strade ha avuto successo. Anche con la permuta è a carico dello stato l’85% dei costi di costruzione. Mentre la privatizzazione delle galere non decolla. Troppo esigui i margini di profitto. Oltre il padiglione, dunque, poco o nulla.

Ultima "chicca". Va bene fare il "commissario straordinario" ma nella sua lettera di febbraio Ionta si preoccupa anche della "mancata corresponsione di compensi al capo del Dipartimento e ai suoi ausiliari coinvolti nel progetto". Detto da un magistrato che riceve più o meno 420mila euro all’anno non suona benissimo.

Giustizia: di carcere si muore; dieci i suicidi nell’ultimo mese

 

Il Manifesto, 3 aprile 2009

 

Di carceri piene si muore. Sono stati 19 i suicidi dietro le sbarre dall’inizio dell’anno. Ben 10nell’ultimo mese. L’ultimo caso è di ieri a Marsala, G. A., 43 anni, si è impiccato con la propria cintura. Era stato arrestato domenica scorsa per traffico di droga nell’operazione "Contropacco". Sempre domenica, sempre in Sicilia ma a Catania, un italiano ventenne si è ucciso dopo appena sette giorni di detenzione. E martedì scorso a Roma, Rebibbia nuovo complesso, sono stati gli agenti a salvare la vita a un italiano di 32 anni. Nel 2008 sono stati accertati 121 decessi e 48 suicidi. Nel 2007 furono 120 morti e 43 suicidi. Nel 2009 invece il tragico exploit: dal 1 gennaio al 1 aprile 19 suicidi (8 nello stesso periodo del 2008). Ma va ricordato che nel primo trimestre 2007, successivo all’indulto, furono 2.

Giustizia: carceri al collasso; l'Emilia Romagna la più affollata

 

Il Manifesto, 3 aprile 2009

 

Prigioni italiane mai così piene. Superato ormai stabilmente il tetto incredibile di 61mila reclusi, i detenuti in eccesso rispetto ai posti previsti dalla legge sono ben 17.826. Per raggiungere il limite massimo delle presenze definite come "sostenibili" dal ministero della Giustizia mancano 2.620 posti. A questi ritmi di carcerazione (meno di mille nuovi ingressi al mese) la data prevista per lo sfondamento di qualsiasi "tetto di sostenibilità" è il 7 giugno. Carceri strapiene dappertutto ma un po’ a sorpresa il tasso di sovraffollamento maggiore rispetto ai posti letto disponibili si registra in Emilia Romagna: il 187%, la regione peggio messa d’Italia. Pienone anche in Veneto (159%), seguono Puglia (154%) e Lombardia (152%). Malissimo anche in Sicilia: 151%. Il governo però taglia i fondi: nell’ultima manovra triennale sono 160 i milioni sottratti al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

Giustizia: il personale penitenziario; "prossimi alla catastrofe"

 

Redattore Sociale - Dire, 3 aprile 2009

 

La denuncia di Eugenio Sarno, segretario Uilpa, in occasione del convegno del Coordinamento nazionale penitenziari. Bosco: "Mancano all’appello 5 mila unità e non vengono assunte figure professionali indispensabili".

"Negli ultimi dodici mesi sono 650 gli agenti feriti sul lavoro. Il personale penitenziario è spesso costretto ad operare ai margini della legalità, nel degrado e nell’inciviltà subendo costantemente la prevaricazione dei propri diritti". È la denuncia di Eugenio Sarno, segretario generale Uilpa penitenziari, lanciata in occasione dell’ottavo convegno nazionale del Coordinamento nazionale penitenziari in corso questo pomeriggio a Roma.

Sarno, durante il convegno, ha avanzato la richiesta al sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo di un maggiore interesse al carcere del Parlamento e al mondo politico ha detto "siete seduti su di un vulcano e non ve ne accorgete o fate finta. Noi siamo prossimi alla catastrofe e arriveremo alle rivolte, che potrebbero esserci tra qualche mese. Continuate a dire di non aver fatto tagli alla sicurezza. Allora due sono le cose, o per voi il sistema carcere non è sicurezza o dite cose non esatte".

"Ci si deve rendere conto - ha affermato Salvatore Bosco, segretario generale Uilpa - che nel nostro paese i problemi collegati alla detenzione sono tanti e gravi. Da anni denunciamo l’inadeguatezza delle strutture carcerarie che a causa del sovraffollamento sono al limite della sopportabilità". Sono oltre 61 mila, infatti, i detenuti nelle carceri italiane, ben il 52% di loro è in attesa di giudizio. Le carceri italiane però non possono accogliere più di 43 mila persone.

La denuncia riguarda, spiega Bosco, anche le condizioni igienico-sanitarie precarie non solo per i detenuti, ma anche per il personale che lavora nelle diverse strutture italiane. "Non ci stancheremo di rappresentare le condizioni di lavoro insostenibili degli operatori del Dipartimenti di amministrazione penitenziaria - ha detto Bosco - che con immense difficoltà e pesanti sacrifici riescono a garantire servizi molte volte anche a rischio della propria incolumità e della propria vita". Secondo Bosco mancano all’appello 5 mila unità riguardo il personale e "non vengono assunte - spiega Bosco - quelle figure professionali indispensabili per esercitare la funzione rieducativa prescritta dalla Costituzione. Come è possibile migliorare la qualità del servizio se non si procede a consistenti investimenti a cominciare dai mezzi di trasporto per le traduzioni?".

Alle provocazioni dei segretari della Uilpa, il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo ha sostanzialmente condiviso la difficile condizione delle strutture detentive, sia per i detenuti, sia per il personale che opera all’interno. "Come ha già detto il ministro - ha affermato il sottosegretario - siamo fuori dalla Costituzione e non è solo il sovraffollamento. Vi è la necessità di differenziare le strutture penitenziarie, non è più concepibile".

Il sottosegretario conferma la mancanza dei fondi e di personale. "Certamente oggi il numero del personale penitenziario non è più sufficiente"; tra le necessità indicate dal sottosegretario quella di strutture idonee per accogliere detenute con minori. "Oggi 58 mamme con minori sono in carcere - ha detto Caliendo -. Bisogna individuare strutture diverse. Come a Milano dove è stato possibile individuare una diversa struttura per 12 detenuti".

"Non è più il momento di volgere lo sguardo altrove perché disgustati - ha concluso Sarno -, ma è il momento di ficcare il naso nel nostro sistema penitenziario che diventa sempre più una discarica di persone umane".

Giustizia: Istituti Minorili; manca un Ordinamento specifico

 

Redattore Sociale - Dire, 3 aprile 2009

 

Parla Caterina Chinnici, procuratore della repubblica per i Minori a Palermo: "Nelle carceri per minorenni oltre alla carenza polizia penitenziaria c’è bisogno di un educatore. Ma c’è da dire che il volontariato lavora molto bene".

"Talune difficoltà ci sono anche nel settore della carcerazione minorile, la difficoltà più grossa è che manca un quadro normativo di riferimento e un ordinamento penitenziario specifico per le carceri minorili e di conseguenza per l’organizzazione del lavoro della polizia penitenziaria all"interno delle strutture minorili". È quanto ha affermato questa sera Caterina Chinnici, procuratore della repubblica per i Minori a Palermo, nel corso dell’ottavo convegno del coordinamento nazionale Uilpa penitenziari, a Roma. Secondo Chinnici, in alcuni casi, come nell’istituto penale per i minorenni di Caltanissetta dove sono ristretti anche ragazzi che hanno commesso fatti gravi di mafia, c’è proprio una carenza di personale della polizia penitenziaria. "Abbiamo avuto dei momenti - spiega il procuratore - in cui il carcere era pieno e le unità di polizia penitenziaria erano decisamente insufficienti".

Tra le carenze di personale che quelle figure necessarie per attivare percorsi di recupero per i minori, anche se a queste mancanze spesso risponde generosamente il volontariato. "Oltre a quello della polizia penitenziaria, c’è bisogno di un educatore. Attualmente si sta parlando di un educatore di riferimento per ciascun minore ed è chiaro che bisogna integrarli. Va detto però che all’interno delle carceri per i minorenni c’è molto volontariato che funziona molto bene". Le prospettive, spiega Chinnici, sono le stesse condivise dal settore della polizia penitenziaria e delle carceri per gli adulti. "Non ci sono prospettive - dice il procuratore - che ci facciano sperare in un potenziamento delle strutture". Negli ultimi periodi, però, al contrario delle strutture penitenziali per adulti che vanno verso un affollamento ancor più significativo, per i minori c’è stata un’inversione di tendenza. "Dal 2001 al 2004 c’è stato un aumento sia di minori che hanno commesso reati sia degli ingressi in istituto. Dal 2005 in poi, invece, c’è stata una diminuzione. Non sono grandi numeri, ma c’è stata anche per quanto riguarda i minori stranieri".

Giustizia: riforma della Sanità penitenziaria; è pesce d’aprile?

 

Ansa, 3 aprile 2009

 

Sul sito del Ministero della Salute è reperibile l’Accordo Stato-Regioni in materia sanitaria, firmato il 25 marzo scorso, che dedica alla questione della riforma della sanità penitenziaria tre paginette: a denunciarlo sono Bruno Mellano (presidente di Radicali Italiani) e di Giulio Manfredi (vice-presidente Comitato nazionale Radicali Italiani).

Nel documento - aggiungono - ci si limita ad elencare le difficoltà della sua attuazione, ad appellarsi genericamente alla libertà decisionale delle Regioni e a suggerire quattro priorità: tutela delle detenute e della loro prole, salute mentale, minori, sistema informativo Un anno fa, il 1 aprile 2008, Romano Prodi - ricordano i due radicali - firmava uno degli ultimi atti del suo governo, il Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri su Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria.

Con tale provvedimento si intendeva dare finalmente attuazione alla riforma della medicina penitenziaria, sancita dieci anni fa (il premier era allora Massimo D’Alema). La riforma intende equiparare il trattamento sanitario dei cittadini detenuti agli altri. Siamo tentati di considerare il provvedimento di Prodi di un anno fa un pesce d’aprile, per nulla divertente, concludono Mellano e Manfredi.

Giustizia: a Padova le vittime di reato e i detenuti s'incontrano 

di Carlo Lucarelli

 

L’Unità, 3 aprile 2009

 

"Ristretti Orizzonti" è una rivista molto particolare. La fanno i detenuti del carcere Due Palazzi, di Padova e nonostante le ovvie difficoltà e i limiti oggettivi di una redazione che sta dietro le sbarre è una bellissima rivista che dice un sacco di cose interessanti sull’universo carcerario e sui suoi rapporti con l’esterno.

Un giorno succede che un signore che è stato derubato scrive alla rivista. È accaduto fuori, i detenuti del carcere non c’entrano niente, ma lui vuole sfogarsi con qualcuno, esprimere tutta la sua rabbia e la sua frustrazione, le sue ragioni di derubato su una rivista, che per ovvi motivi anche da ladri è letta. "Caro ladro" eccetera eccetera. La lettera viene pubblicata e dopo un po’ c’è qualcuno che risponde dal carcere, "caro derubato", non quel ladro, naturalmente, ma un qualcuno che sta dentro perché ha commesso un reato simile e che anche lui vuole esprimere le sue, di rabbia, frustrazione e ragioni.

Nasce una rubrica, che piano piano si evolve fino a diventare una serie di incontri tra vittime e detenuti, che si vedono, si parlano, si riconciliano oppure continuano a detestarsi, ma che comunque superano quel muro cieco e silenzioso di una anonimità da barricate opposte.

Ecco, a me sembra una grande idea, come grandi sono i redattori e l’amministrazione del Due Palazzi. È un’idea che fa del carcere quello che è successo agli ospedali, che in epoca premoderna erano solo dei posti in cui chi era troppo malato per stare con i sani veniva mandato in attesa che guarisse o morisse, ma poi, con lo sviluppo della civiltà, si sono evoluti in un posto in cui si va per essere curati. Proprio quello che dovrebbe succedere in un carcere, che in fondo non è altro che l’ospedale della società?

Giustizia: le "mercedi" dei detenuti, sono aggiornate al 1993!

 

Ristretti Orizzonti, 3 aprile 2009

 

L’art. 22, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario) stabilisce che: "Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro".

A tal fine è costituita una Commissione ministeriale che stabilisce la misura del trattamento economico dei lavoranti detenuti, adeguandolo ad ogni modifica dei ccnl di categoria. Lettera morta: le mercedi dei detenuti lavoranti sono state aggiornate per l’ultima volta nel giugno 1993 (con effetto sul semestre 1 maggio 1993 / 31 ottobre 1993): un’inerzia di sedici anni, per di più in un momento storico d’impennata dei prezzi e di inflazione galoppante.

Né ai detenuti sono riconosciuti altri diritti minimi: ferie, indennità per malattia anche in caso di ricovero ospedaliero intra o extra - murario, assicurazioni, previdenza, etc. Insomma: quando un detenuto esce di galera, se non è stato ridotto all’osso dai costi del processo e dai problemi della detenzione, ci ha pensato lo Stato!!!

Il tessuto costituzionale si pone in netto contrasto con l’illegittima prassi dell’Amministrazione penitenziaria; l’art. 36 Cost. è un monito contro le prevaricazioni di qualunque datore di lavoro, finanche lo Stato. Il tam tam dei mancati adeguamenti di mercede si diffonde per le carceri e tra il 2005/2006 piovono i reclami alle magistrature di sorveglianza: i prestampati girano per gli istituti ed i detenuti se lo compilano da soli. L’amministrazione penitenziaria nazionale è ad un passo dal collasso. La Corte costituzionale, sent. 341/2006, però, sollecitata sulla compatibilità con la Costituzione degli artt. 14 ter e 69 ord. pen., ne dichiara l’illegittimità.

Risultato: la competenza a decidere sull’adeguatezza delle mercedi passa dalla magistratura di sorveglianza a quella del lavoro. I detenuti sono costretti a cercare un avvocato lavorista ed i tempi processuali si allungano a dismisura rispetto alla snella procedura per reclamo prima in vigore. Una coincidenza costituzionale defatigante! Non solo. Gli obbligatori tentativi di conciliazione presso le locali direzioni provinciali ministeriali non registrano mai la presenza del rappresentante del Ministero: uno snobismo complice.

Un caso sardo. Xxx è detenuto dal dicembre 1991, quando si rese responsabile di un omicidio. Dal 1993 è "occupato" alle dipendenze del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale della Sardegna. Alcuni dati su un anno campione, il 2003, quando svolge attività lavorativa per 156 ore, di cui 6 festive nel mese di gennaio; per 114 ore a febbraio; per 138 ore a marzo; per 148 ore, di cui 13 festive, nel mese di aprile; per 96 ore, a maggio e così via. Totale nel solo 2003: 1476 ore, ovvero, supponendo che una giornata lavorativa equivalga ad otto ore, 184 giorni pieni. Insomma: un vero e proprio fulltime! Non si dica che il detenuto non pagava le tasse, perché i reclusi sono tenuti ad un Cud ultra controllato.

Secondo uno studio preliminare, Xxx sarebbe creditore nei confronti dello Stato di €. 62.161,58, somma aggiornata a metà 2007 oltre successive occorrende, interessi e rivalutazione monetaria. A novembre la prima udienza di fronte al Giudice del lavoro cagliaritano. Le associazioni "Zona Deprecarizzata" e "La Casa dei diritti" hanno abbracciato la tesi del detenuto Xxx ed intendono sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei detenuti offrendo sostegno e supporto. Per chi volesse contattarci, segnalo gli indirizzi mail: info@zonadeprecarizzata.it; claudio.cugusi@libero.it

Giustizia: gli "esperti ex art. 80"; siamo pionieri o usurpatori?

 

Ristretti Orizzonti, 3 aprile 2009

 

Psicologi esperti, memoria della psicologia penitenziaria, liquidati come consulenti d’oro e consegnati al colpo di spugna di Brunetta.

In qualità di psicologi esperti ex art. 80 O.P. desideriamo, a nome di tutti i 384 colleghi esperti (qualifica che comprende anche criminologi e sociologi dell’Amministrazione Penitenziaria) chiarire le ambiguità che ci riguardano, emerse dal comunicato stampa dei colleghi vincitori di concorso, pubblicato su "Ristretti Orizzonti" lo scorso 28 marzo.

Posta la legittimità della protesta per l’inquadramento in ruolo e la incontrovertibilità delle loro richieste, che abbiamo peraltro, anche pubblicamente, sostenuto come Società Italiana di Psicologia Penitenziaria a fianco dell’Ordine Psicologi, vorremmo soffermarci su due aspetti: uno di carattere deontologico riguarda l’allusione agli esperti, nonché colleghi (gli psicologi costituiscono circa l’80%), come coloro che, pur svolgendo questa attività dal ‘78, occupano illegittimamente il posto di chi mai l’ha iniziata!

L’altro si riferisce alla posizione di "consulente" dello Psicologo Penitenziario ex art. 80, posizione atipica che ha, di fatto, le caratteristiche di un rapporto continuativo-subordinato. Motivo questo, per cui è in atto un ricorso al Giudice del Lavoro.

Nella comune accezione un consulente viene ben retribuito, mentre il nostro compenso è di 17,63 euro l’ora. A questa esigua retribuzione, che è meno della metà del tariffario proposto dall’ordine professionale nazionale, vanno sottratti il costo della tenuta della Partita Iva, i contributi alla cassa previdenziale degli psicologi (l’Enpap), le ferie, la malattia, il rischio sanitario e ambientale.

Un consulente viene chiamato saltuariamente e quando serve. Non ha un badge da timbrare; non è soggetto ad orari; non è assoggettato e strutturato in una organizzazione; non deve garantire una presenza regolare in giorni stabiliti né concordare con l’organizzazione assenze per ferie e malattie (peraltro non retribuite); non effettua attività di tutor e, soprattutto, non rimane in modo continuativo per così lungo tempo e non svolge compiti istituzionali basilari.

Ciononostante la presenza dello Psicologo Penitenziario Esperto ex art. 80 è residuale, assolutamente insufficiente sotto il profilo della valutazione sulla pericolosità sociale, della diagnosi e assistenza psicologica ai detenuti, nonché dei servizi per il personale, Polizia Penitenziaria in particolare, esposta ad alto rischio di burnout.

Basti pensare che fino a due anni fa era possibile avere massimo 64 vacazioni/ore mensili (massimale toccato da pochi) mentre oggi la spesa, e quindi le ore di servizio, sono state ridotte in media di oltre il 50% in tutta Italia. Se fino al 2007 le ore di servizio mensili per esperto erano circa 40, ora siamo scesi a 28! Il numero di ore di assistenza va da 0,8 a 2,2 ore per detenuto l’anno!!! Con gravi ricadute sul mandato istituzionale dell’Osservazione Scientifica e Trattamento, della prevenzione della recidiva e quindi sulla sicurezza sociale.

Anche gli esperti sono stati selezionati in base ad una valutazione dei titoli e colloquio orale vertente sugli stessi argomenti (ordinamento penitenziario, applicazione delle misure alternative, disagio mentale, psicologia applicata, psicodiagnosi, ecc.), che conferiscono l’idoneità necessaria ad essere inseriti in un Albo presso la Corte di Appello del Tribunale di competenza ed in una graduatoria che tiene conto dell’anzianità di iscrizione nonché di servizio presso i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria.

Questo significa che ci sono colleghi in graduatoria magari da anni che non hanno mai avuto modo di svolgere attività, pur essendo stati dichiarati idonei. Ci preme evidenziare che le attività di Osservazione e Trattamento e il Servizio Nuovi Giunti sono il risultato di un lavoro pionieristico dei colleghi che ci hanno preceduto, alcuni ancora in servizio e, modifiche e adattamenti al contesto cangiante (vedi detenuti stranieri, incremento del disagio mentale e dei disturbi tossico correlati) sono il frutto dell’esperienza maturata insieme al lavoro di rete con tutti i servizi e le figure professionali degli Istituti.

Ultimo punto da rilevare è che alcuni di noi lavorano così da oltre 30 anni e, ciononostante, quando è stato indetto il concorso per i 39 posti di psicologo non ci è stata riconosciuta alcuna riserva di posti e nemmeno, e questo è davvero una beffa, un punteggio di partenza relativo agli anni lavorati, così come normalmente si usa. Insomma, 30 anni di professionalità completamente ignorati. E questa è una delle ragioni per cui la quasi totalità di noi ha scelto di non partecipare.

È dunque fuorviante lasciar intendere che gli esperti ex art. 80 siano ricchi liberi professionisti, spesa superflua che grava pesantemente sulle spese dello Stato, da consegnare al colpo di spugna del Ministro Brunetta.

Concludiamo con una domanda: ma noi, a quale principio costituzionale dovremmo appellarci? Pienamente consapevoli del ruolo della Psicologia nel mantenere vigile, in un clima di emergenza, l’attenzione al valore ed alla centralità della persona anche in un ambito così difficile, ci auguriamo che si possa procedere, in futuro, verso il comune obiettivo di potenziare ciò che finora abbiamo con fatica costruito, evitando inutili scissioni.

 

Maria Caruso, Casa Circondariale S. Vittore

Graziella Cian, Casa Circondariale Treviso

Paola Giannelli, Casa Reclusione Spoleto

Giustizia: i magistrati possono fare i pm… nelle sedi disagiate

 

Il Manifesto, 3 aprile 2009

 

Un emendamento al testo sulle ronde affida al Csm il potere di trasferire le toghe nei tribunali più difficili.

Pm trasformati in avvocati dell’accusa? Col cappello in mano e ben distinti dai giudici? Non più. Quando si tratta di risolvere un problema burocratico che rischia di paralizzare la giustizia penale, come per incanto la separazione delle carriere smette di essere una priorità del governo Berlusconi. Anzi, i magistrati possono essere "obbligati" a passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. Purché - e qui sta il paradosso - sia il Consiglio superiore della magistratura a costringerli, imponendo loro di cambiare distretto e, quasi sempre, regione.

La novità è contenuta in un emendamento presentato dal governo ieri mattina. In cui si prevede che, d’ora in poi, per coprire i posti vacanti nelle sedi disagiate, il Consiglio superiore della magistratura possa spedire i giudici a fare i pm e viceversa. In deroga ai paletti della riforma Mastella, che avevano invece imposto che chi avesse voluto passare da una funzione all’altra dovesse cambiare regione, oltre che distretto. Visto che nella maggior parte del territorio nazionale, distretti e regioni si sovrappongono (i distretti sono 28, di cui 4 in Sicilia, le regioni 20), saranno costretti a spostarsi di parecchi chilometri.

Il problema delle sedi disagiate e delle procure scoperte è da mesi oltre l’allarme rosso. In Sicilia, il concorso per coprire i 55 posti vacanti in 14 procure si è risolto con quattro domande, tre per Palermo e una per Catania. Secondo i dati pubblicati recentemente dal Corriere della sera, restano senza titolare 7 posti a Caltanissetta, 6 a Trapani, 4 a Gela e Ragusa, 3 ad Enna, Marsala e Termini Imerese, due ad Agrigento, uno a Nicosia, uno a Barcellona Pozzo di Gotto, Sciacca e alla procura dei minori di Caltanissetta. E i dati di qualche mese prima raccontavano scoperture con picchi del 40% anche in Calabria, con una procura di Locri semideserta e il tribunale di Vibo Valentia scoperto al 40%. Un effetto, forse voluto, delle norme che impediscono ai magistrati di prima nomina di fare i pm. E impongono a quelli che vogliono diventarlo di spostarsi lontano dalla prima sede.

Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione giustizia, ha lanciato l’allarme appena ha visto il testo. Che prevede, tra l’altro, di aumentare il numero delle "sedi disagiate" da 60 a 80 e i magistrati che possono essere trasferiti d’ufficio da 100 a 150. "I magistrati trasferiti d’ufficio risulteranno come se fossero sempre in missione, con grave incremento dei costi", dice Ferranti. È preoccupata anche Fiorella Pilato, membro della commissione al Csm che si occupa appunto dei trasferimenti: "Questo testo anticipa le deroghe previste dalla legge sul processo penale", spiega. Il rischio, tra l’altro, è che i poteri affidati a palazzo dei Marescialli finiscano con l’essere troppo ampi. Con la conseguenza che i magistrati trasferiti denuncino di essere vittime di un arbitrio e chiedano al Tar di annullare tutto. Lasciando le procure del Sud sempre più vuote.

Giustizia: quando i magistrati hanno "paura"… della politica

di Bruno Tinti (Procuratore Aggiunto a Torino)

 

La Stampa, 3 aprile 2009

 

Per l’ennesima volta c’è il sospetto che qualche politico importante sia stato preso con le mani nel vasetto della marmellata. La procura di Bari ha da tempo chiuso le sue indagini che riguardavano il ministro Raffaele Fitto per i reati di associazione a delinquere, concussione, falso ideologico, corruzione, peculato, concorso in interesse privato in una procedura di amministrazione straordinaria e turbativa d’asta. Come prevede il codice di procedura, i procedimenti sono stati sottoposti al Giudice per le indagini preliminari; uno dei due è ancora in fase di udienza preliminare; per l’altro, Fitto è stato rinviato a giudizio.

Adesso il suo collega Alfano ha inviato i suoi ispettori presso la Procura di Bari. La supposizione che si tratti della solita ispezione intimidatoria e, se gli riesce, punitiva è seducente; tanto più che, dicono le agenzie, Alfano si è mosso su sollecitazione dello stesso Fitto. Niente di nuovo sotto il sole comunque: hanno fatto così dai tempi delle ispezioni alla Procura di Milano che indagava su Berlusconi. E tutto questo suggerisce qualche (inquieta) riflessione.

È evidente che gran parte della classe dirigente del Paese non riesce a comprendere che l’amministrazione della giustizia si deve svolgere in maniera indipendente e autonoma rispetto ai desideri, alle opinioni, ai voleri della politica. È straordinario come Alfano e gli altri come lui non arrivino a rendersi conto che un’ispezione disposta in coincidenza con un processo nei confronti di un uomo politico e dietro sollecitazione di questi costituisce un’obiettiva interferenza, tale da intimidire i giudici che lo debbono giudicare.

Può essere interessante ricordare che, il 23 febbraio, il ministro della Giustizia spagnolo, Mariano Bermejo, si è dimesso. Aveva passato (come faceva per abitudine, essendone amico) un weekend andando a caccia con il giudice Garzón che stava investigando su Francisco Correa, importante esponente del Partito popolare che, come è noto, è all’opposizione. È stato criticato perché si poteva sospettare (sospettare, non è mai emerso alcunché di concreto) che egli potesse approfittare delle circostanze per raccomandare al giudice un’inchiesta severa (nei sospetti: parziale, ingiusta, prevenuta) da cui il suo partito avrebbe tratto vantaggio. È stato anche criticato perché era andato a caccia senza possedere la licenza... Si è dimesso. Per un sospetto (un sospetto) di parzialità. Nel nostro Paese il ministro della Giustizia invia ispezioni presso i giudici che indagano sui suoi compagni di partito; addirittura l’ex ministro Mastella le inviò presso il magistrato che indagava su di lui.

Ma c’è un’altra cosa che lascia perplessi. L’Associazione nazionale magistrati, il sindacato dei giudici, è composta da persone che, come tutti i giudici, conoscono a menadito gli articoli 101 della Costituzione (quello che dice che i giudici sono soggetti soltanto alla legge); 104, quello che dice che la magistratura è autonoma e indipendente da ogni altro potere; e 112, quello che dice che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (sicché, se pensa che Fitto sia un associato a delinquere, un concussore, un corruttore, un peculatore e tante altre cose poco commendevoli, non può che spedirlo davanti a un giudice perché queste accuse siano accertate). È successo che l’Anm, quando ha appreso dell’ispezione ordinata da Alfano, ha emesso un severo (magari severo è un po’ troppo, che dire, critico, forse ispirato a vigile attesa) comunicato in cui dice di esprimere "piena solidarietà ai colleghi della Procura di Bari" e di condividere "l’auspicio che l’inchiesta amministrativa affidata agli ispettori ministeriali possa svolgersi senza pregiudizio né interferenze sull’attività giurisdizionale". Non proprio un altolà ma un flebile richiamo, questo sì.

Solo che, quando era De Magistris a essere "ispezionato", mentre indagava su Mastella e coindagati (per tre volte di fila perché, come dichiarò il suo sottosegretario Luigi Scotti, anche lui magistrato, nelle prime due non si era trovato niente ma il ministro era tanto scrupoloso e voleva essere tranquillo), in quel caso l’Anm non ebbe nulla da dire; nemmeno un flebile "auspicio" che le ispezioni si svolgessero senza pregiudizio delle indagini.

Il punto è che questo atteggiamento timido sulle iniziative aggressive della politica rischia di aggravare lo stato di sconcerto, di solitudine e di paura (sì, di paura) di molti magistrati. Ieri i titolari dei fascicoli su Fitto hanno scritto una lettera al Csm, chiedendo di sapere entro quale limite devono esercitare "il dovere istituzionale di salvaguardare la funzione giudiziaria da interferenze indebite o improprie".

Tutti i magistrati conoscono benissimo questo limite; come lo conoscevano i magistrati della Procura di Milano che non consegnarono mai agli ispettori i fascicoli concernenti gli imputati Berlusconi, Previti e altri, coperti dal segreto investigativo che vale (ma lo sanno tutti) anche per il ministro. Chiedere al Csm che ha condannato De Magistris una direttiva in tal senso è certamente ispirato a ovvie ragioni di autotutela; ma è anche segno di profonda sfiducia.

Lettere: detenuto in 41bis ha tumore gola e pochi mesi di vita

 

Ristretti Orizzonti, 3 aprile 2009

 

Volevo segnalare il caso di un detenuto, Vincenzo Buccafusca, ristretto in questo reparto 41-bis, a cui è stato diagnosticato un tumore alla gola e a cui sono stati dati 6 mesi di vita (questo più di un mese fa). Ebbene, il Buccafusca non solo si trova ancora in carcere, ma è ancora al 41-bis. I familiari possono vederlo solo una volta al mese essendo coscienti che il mese successivo potrebbero non trovarlo più in vita. Il Buccafusca ormai è un morto vivente che non riesce più a parlare né a camminare. Secondo la Corte Europea di Strasburgo vi sarebbe il divieto di mantenere in detenzione un individuo se è incompatibile con la sua età o lo stato di salute o le sue condizioni di minoranza fisica.

 

Un detenuto del carcere di Opera (Mi)

Napoli: dopo tre suicidi a Poggioreale i penalisti in agitazione

 

Ansa, 3 aprile 2009

 

Il coordinamento delle Camere Penali del distretto della Corte di Appello di Napoli, (Avellino, Benevento, Napoli, Nola, Torre Annunziata, S. Maria Capua Vetere) ha proclamato lo stato di agitazione per denunciare quella che viene definita l’emergenza carceri in Campania anche alla luce dei tre suicidi avvenuti negli ultimi mesi a Poggioreale. Secondo la denuncia del coordinamento negli istituti di pena del distretto non vengono rispettati i principi costituzionali e le norme del regolamento penitenziario. L’emergenza - si legge nella nota - ha raggiunto il limite estremo di tollerabilità, come ammesso dallo stesso ministro della Giustizia che, in una recente intervista, ha dichiarato che alcuni Istituti sono fuori dalla Costituzione.

Il sovraffollamento è, giorno dopo giorno - è scritto nel documento -, crescente ed ha raggiunto cifre non più ulteriormente sostenibili; nella casa circondariale di Napoli-Poggioreale, nei primi tre mesi di quest’anno, vi sono stati tre suicidi; l’ultimo, da parte di un ragazzo di soli 27 anni.

Per i penalisti è legittimo ritenere che in un istituto che può ospitare 1.300 persone e che, invece, ne detiene più di 2.600, lo stato igienico-sanitario sia del tutto carente e che non siano rispettate le più elementari condizioni di vita e di salute, con inevitabili ripercussioni sul fisico e la psiche dei detenuti. Vi sono celle che accolgono anche 14 detenuti, che non riescono neanche contemporaneamente a scendere tutti insieme dai letti a castello, per mancanza materiale di spaziò. Nei mesi scorsi Il carcere possibile onlus, associazione della Camera penale di Napoli, inviò un’esposto-diffida chiedendo di sapere se le Asl abbiano effettuato le verifiche per accertare lo stato igienico-sanitario, almeno due volte l’anno, così come previsto dall’ordinamento penitenziario. Le camere penali esprimono il timore che i recenti suicidi possano aver trovato ragione anche nelle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i detenuti.

Imperia: i sindacati chiedono azione urgente per l’affollamento

 

www.riviera24.it, 3 aprile 2009

 

"Di recente si è arrivati a numeri oltre il limite tollerabile, ovvero 124 detenuti a fronte di una ricettività regolamentare di 78 unità e tollerabile di 121 unità" scrivono le rappresentanze sindacali

Il Sappe, la Cisl Federazione Nazionale Sicurezza, la Cgil-Fp e l’Uil-Pa hanno inoltrato alla massima Autorità Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e al Signor Prefetto della provincia di Imperia una nota relativa al sovraffollamento nella casa circondariale di Imperia.

Intendiamo segnalare il grave e pericoloso sovraffollamento che interessa la Casa Circondariale di Imperia, basti pensare che recentemente si è arrivati a numeri ben oltre il limite regolamentare previsto e addirittura anche oltre il limite tollerabile, ovvero 124 detenuti a fronte di una ricettività regolamentare di 78 unità e tollerabile di 121 unità.

Ad aggravare esponenzialmente quanto descritto in premessa si aggiunge la grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria rispetto alle ormai datate e non attuali piante organiche risalenti all’anno 2001, tale penuria di personale è dovuta a diversi motivi quali ad esempio: personale posto in quiescenza e mai sostituito, distacchi presso altre sedi, posti di servizio nati ex novo dalla sera alla mattina.

È di tutta evidenza che quanto descritto precedentemente riduce i livelli di sicurezza e potrebbe accrescere i problemi in tal senso, oltre ai già attuali problemi gestionali, che riguardano ad esempio la ricezione di nuovi arrestati nel circondario di competenza che a volte si ha difficoltà ad allocare, comunque è doveroso rimarcare che fino ad oggi è stato garantito il regolare andamento dell’Istituto grazie allo spirito di sacrificio, abnegazione e responsabilità del personale di Polizia Penitenziaria, al quale però non è giusto chiedere sforzi ulteriori, specie se prolungati nel tempo, visti i turni e carichi di lavoro molto pesanti cui è già sottoposto.

Un aspetto peculiare e curioso che preme sottolineare è rappresentato dal fatto che una gran parte degli attuali ristretti ad Imperia proviene da altre sedi, pertanto spesso è necessario tradurre gli stessi per le giuste esigenze processuali da un capo all’altro della Regione, con evidente notevole dispendio di uomini e mezzi, certo anche questo è un segnale dell’evidente sovraffollamento delle patrie galere, ma non si può certo dire sia una prova da parte dell’amministrazione penitenziaria di efficacia, efficienza ed economicità.

In ultimo a mero e semplice titolo di cronaca si ricorda che le pene detentive devono assolvere oltre alla funzione remunerativa anche a quella rieducativa del reo, orbene è pacifico che con simili numeri il recupero del detenuto rimane una mera utopia.

Al Signor Provveditore Regionale in indirizzo si chiedono interventi urgenti tesi a deflazionare la popolazione detenuta ad Imperia, alle altre Autorità in indirizzo tanto si segnala per i provvedimenti di propria competenza.

Massa: accordo tra province toscane per il lavoro nel carcere

 

Il Tirreno, 3 aprile 2009

 

Cinque province toscane protagoniste di un asse costiero che va da Massa a Grosseto passando per Lucca, Pisa e Livorno unite in un progetto finalizzato a trasformare sempre di più il carcere massese in un quartiere (non solo produttivo) della città. "Costa Toscana per l’inclusione" è un progetto coordinato da Unione europea, ministero del lavoro e della previdenza sociale e regione Toscana, abbracciato dall’agenzia livornese "Livorno sviluppo" e condiviso da alcune città che intendono contribuire all’inserimento ed al reinserimento dei soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro ed alla creazione di ambienti lavorativi inclusivi.

Alla casa di reclusione massese, noto polo produttivo apuano del settore tessile, l’assessorato provinciale sta destinando 120mila euro (su un totale di 750mila euro che la Regione ha stanziato) che serviranno per la seconda fase di Equal, progetto partito nel 2003 e banco di prova, promosso a pieni voti, per la sperimentazione di azioni innovative relative all’ingresso nel mercato del lavoro di diversamente abili, detenuti, over 50 e immigrati.

Nell’ambito delle officine del settore tessile interno alla casa circondariale, esiste una rilevante possibilità di crescita di opportunità lavorative: una trentina di detenuti verranno interessati da un’esperienza di lavoro della durata di sei mesi, coerentemente con quanto da sempre espresso dal direttore della struttura Salvatore Iodice: "Il carcere non è soltanto un luogo di detenzione ed assistenzialismo - ha detto - ma anche un luogo destinato al recupero ed al reinserimento dei soggetti. Un detenuto recuperato è di fatto un pericolo in meno nella società, quindi questi progetti migliorano la qualità della vita non solo interna, ma anche esterna al carcere".

Agrigento: fondi per attività le lavorative destinate a detenuti

 

La Sicilia, 3 aprile 2009

 

L’assessore alle Politiche del lavoro, Giuseppe Arnone, ha inviato una nota ai responsabili delle case circondariali di Agrigento e Sciacca in cui chiede di organizzare un incontro per porre in essere tutte le attività necessarie per attingere ai fondi previsti per avviare progetti di attività lavorative autonome da parte di detenuti in espiazione di pena. "Si tratta di un’importante opportunità di lavoro e rieducazione, finanziata dall’assessorato regionale alla Cooperazione - ha dichiarato l’assessore Arnone - per coloro che stanno espiando una pena. Faremo in modo di attivare questi progetti per assicurare un recupero ed un reinserimento grazie a questi progetti".

Firenze: agenti aggrediti da detenuto al rientro da un’udienza

 

Ansa, 3 aprile 2009

 

Un detenuto ha ferito stamani due agenti della Polizia Penitenziaria che lo stavano scortando al ritorno da un’udienza. È accaduto nel carcere fiorentino di Sollicciano. È quanto rende noto il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Leo Beneduci.

Per l’Osapp con quella di oggi sono già cinque le aggressioni gravi a danno di agenti penitenziari avvenute a Sollicciano dall’inizio del 2009. Il detenuto, un tunisino di 31 anni, arrestato per spaccio di stupefacenti, ha inveito e poi aggredito con calci e pugni gli agenti mentre lo stavano accompagnando. Ora gli agenti sono in osservazione in ospedale; uno di loro ha ricevuto ripetuti in calci nella testa. "Si tratta della quinta aggressione avvenuta dall’inizio dell’anno con conseguenze rilevanti per il personale di polizia penitenziaria - osserva Beneduci - e tutto ciò per la crescente tensione che si è creata per il sovraffollamento; l’episodio appare indicativo delle evidenti emergenze che coinvolgono l’intero sistema penitenziario italiano".

Modena: convocato come giudice popolare… ma è in carcere!

 

La Gazzetta di Modena, 3 aprile 2009

 

Lo convocano per fare il giudice popolare in Corte d’assise, ma è in carcere. L’insolita quanto "curiosa" convocazione è stata fatta nei giorni scorsi dall’ufficio anagrafe del Comune, che in queste settimane sta aggiornando gli elenchi dai quali poi vengono estratti i nomi dei dodici giudici popolari (sei effettivi più sei sostituti) che affiancheranno i due giudici togati per la prossima tornata di processi in Corte d’assise (dove si processano gli imputati di gravi reati a partire dall’omicidio in su).

Protagonista della convocazione un giovane che da un anno e mezzo è detenuto a Sant’Anna per fatti di droga. L’altro giorno, la madre si è vista recapitare una raccomandata dell’ufficio anagrafe nella quale si chiedeva di compilare il modulo allegato alla lettera di accompagnamento dove si dovevano scrivere nome, cognome, età, luogo di nascita, insomma tutti i dati anagrafici necessari in casi come questo. L’utilizzo degli stessi dati - per altro garantiti dalla legge sulla privacy come si faceva notare in una postilla - era infatti, perché e in corso "l’aggiornamento delle liste per un’eventuale convocazione a giudice popolare in Corte d’assise".

La madre del giovane lì per lì non ha ben compreso quella lettera, tant’è che leggendo Corte d’assise, è trasecolata ed ha pensato che la posizione del figlio, già in carcere per guai di droga, si fosse ulteriormente aggravata. Disperata, si è ovviamente subito precipitata dall’avvocato del figlio, che le ha chiarito come non dovesse preoccuparsi per nulla.

Suo figlio con la Corte d’assise non c’entrava nulla. O meglio, avrebbe potuto fare il giudice popolare, ma la cosa era diventata impossibile in quanto censurato e detenuto. Insomma, si era trattato di un errore. Un errore dell’ufficio anagrafe deputato alla compilazione delle liste dei giudici popolari, che sta aggiornando questo particolare elenco, ma che non ha evidentemente aggiornato la posizione giudiziaria di coloro ai quali sta spedendo i moduli da compilare.

Droghe: la cocaina diventata il "doping" nella vita quotidiana

 

Redattore Sociale - Dire, 3 aprile 2009

 

Il mercato si adatta e cerca nuovi consumatori, abbassando i prezzi. Gatti (Asl Milano): "Così si crea una nuova clientela che succederà a quella dei consumatori più vecchi che via via moriranno".

La vecchia generazione di tossicodipendenti nata a fine anni ‘70 via via dovrà essere sostituita perché non dà più garanzia per il futuro. È per questo che si verifica oggi come oggi una recrudescenza del consumo di eroina, venduta a basso costo alle nuove generazioni che si approcciano con una sostanza per loro nuova.

"Il mercato degli stupefacenti ha delle regole proprio come qualsiasi altro settore merceologico e deve essere in grado di stare al passo con i tempi, di catturare i nuovi consumatori e di tenerli stretti a sé". Lo afferma il direttore del Dipartimento per le dipendenze dell’Asl di Milano Riccardo Gatti, intervenuto oggi al convegno "Nuove droghe e nuovi stili di vita", nell’ambito del Festival della cittadinanza di Padova.

Molto è cambiato dalla "generazione Pasolini" del Settanta che ha vissuto la tossicodipendenza come un vero problema dei propri giorni e che, consapevole dei suoi effetti, adesso cerca di prevenirne il consumo. "I trenta-quarantenni di oggi sono la generazione che, più che l’eroina, conosce la cocaina e la usa come una sorta di doping nella vita quotidiana - spiega Gatti -.

Non sono tossicodipendenti nel senso tradizionale del termine, ma entrano ugualmente in un vortice perverso: quando l’effetto dopante finisce non smettono l’utilizzo ma, scambiando il male con il rimedio, continuano a fare uso di cocaina sperando di ritrovare gli effetti benefici". Sono queste le persone cui non interessa prevenire il consumo delle droghe ma che preferiscono un intervento nei casi di dipendenza da cui, comunque, non si sentono toccati. È la generazione dei permissivi, assuefatti alla televisione e a ciò che essa impone.

Ma c’è adesso una terza generazione, quella degli under 30 che alla televisione ha sostituito internet, un mare aperto di informazioni in cui però è anche facile perdersi. "E le droghe, in quanto mercato, si sono adattate a questo nuovo potenziale consumatore internauta, aumentando da un lato le opportunità di vendita, dall’altro la possibilità di acchiappare nuovi clienti". Non cambia però solo il modo di vendere e di spacciare, bensì muta la modalità stessa di consumo e la rosa delle droghe più richieste. "In questi tempi di crisi la droga si è adattata e ha provveduto a un abbassamento dei costi sul mercato - spiega - proponendo ai giovani un ritorno all’eroina a basso prezzo. I ragazzi di oggi non la iniettano ma la fumano, però comunque scatta immediata la dipendenza, che garantisce così al mercato una nuova clientela che succederà a quella dei consumatori più vecchi che via via moriranno. Si garantisce così un futuro".

In questo quadro di generazioni che si succedono velocemente il problema vero è l’approccio del contrasto: "Le cose non sono più come le descriveva Pasolini nel 1975, ma sono molto cambiate e continuano a cambiare - conclude l’esperto -. Il problema è che bisogna rendersi conto di questi mutamenti e agire di conseguenza, cosa che ancora non si è fatta. Bisogna decidere come agire e poi partire".

Afghanistan: alcuni detenuti possono fare ricorso a Corti Usa

 

Apcom, 3 aprile 2009

 

John D. Bates, giudice federale Usa, ha stabilito che alcuni prigionieri trattenuti dall’esercito Usa in Afghanistan hanno il diritto costituzionale a battersi per la loro liberazione nelle corti civili degli Stati Uniti.

Una sentenza, quella di Bates, che fa parlare non poco di sé visto che lo scorso 21 febbraio il Dipartimento della giustizia del governo di Obama ha invece detto l’opposto, confermando la linea seguita dall’amministrazione Bush e affermando che i prigionieri detenuti nelle basi americane in Afghanistan non hanno alcun diritto costituzionale; dunque non possono, contrariamente ai prigionieri della base di Guantanamo, ricorrere alle corti americane. Proprio quanto il giudice ha invece contestato oggi.

Secondo quanto reso noto dal New York Times online, Bates si è riferito comunque al caso specifico di tre prigionieri trattenuti nella base di Bagram; caso che, a suo avviso, sarebbe "virtualmente identico" a quello dei prigionieri di Guantanamo, e che per questo motivo, attribuirebbe loro gli stessi diritti che la Corte Suprema ha riconosciuto lo scorso anno ai detenuti di Guantanamo. I tre detenuti di cui parla Bates non sono cittadini afghani, sono stati catturati al di fuori dell’Afghanistan e imprigionati per anni senza alcun processo. Non definendosi nemici combattenti, i prigionieri chiedono che un giudice esamini le prove presentate contro di loro, per poi ordinare il loro rilascio in base al diritto conosciuto come habeas corpus.

A tal proposito Bates ha scritto che il diritto costituzionale dell’habeas corpus è stato "forgiato contro" alcuni abusi, tra cui quello "dell’esercizio arbitrario del potere che il governo esercita sui prigionieri". Allo stesso tempo la sentenza di Bates si è riferita al caso specifico dei tre prigionieri. Lo stesso giudice ha precisato infatti che i diritti costituzionali di altri detenuti dovranno essere esaminati caso per caso.

 

 

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