Rassegna stampa 9 ottobre

 

Giustizia: carceri all’esame degli ispettori europei anti-tortura

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 9 ottobre 2008

 

Indagini su come viene garantito il diritto di difesa nei giorni immediatamente successivi all’arresto, sulle caserme dei carabinieri in Sardegna, sul sovraffollamento. Ma anche accertamenti sugli episodi di violenze da parte delle forze dell’ordine nei confronti di persone sottoposte a provvedimenti restrittivi (ultimo in ordine cronologico un caso di un tossicodipendente italiano morto a Velletri a due giorni dall’arresto da parte di poliziotti della questura di Anzio, accusati di averlo malmenato), richieste circa il mancato adeguamento del nostro sistema penitenziario ai dettami di cui al regolamento di esecuzione approvato con decreto del presidente della repubblica nel settembre del 2000, monitoraggio della riforma sanitaria, verifica delle condizioni igieniche e di trattamento nei centri per immigrati.

Carceri, caserme, commissariati e centri di identificazione per stranieri sono quindi nuovamente sotto la lente del Consiglio di Europa. Per la settima volta, dopo la sua nascita nel 1987, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura è venuto a ispezionare con una propria delegazione i luoghi di detenzione in Italia.

Da indiscrezioni si è saputo di colloqui riservati con il ministro della giustizia Angelino Alfano e con il sottosegretario agli interni Michelino Davico che ha la delega agli affari territoriali e alle autonomie. Polemiche ci sono state per il mancato incontro con il titolare del Viminale Roberto Maroni. Gli ispettori anti-tortura si sono recati, cosa che non avevano mai fatto in precedenza, in Sardegna, regione non proprio famosa per la buona condizione delle proprie galere. Proprio in Sardegna, e precisamente a

Sassari, c’è stata la più grande inchiesta continentale per violenze nei confronti delle persone detenute avvenute nella locale prigione di San Sebastiano otto anni fa. La delegazione europea ha incontrato le autorità italiane manifestando la propria preoccupazione rispetto ai rischi di maltrattamenti riscontrati durante il loro giro conclusosi alla fine della settimana passata dopo 15 giorni di tour penitenziario.

La precedente visita era stata effettuata nel giugno del 2006. Allora gli ispettori ottennero l’immediata chiusura del centro di permanenza e temporanea assistenza di Agrigento in considerazione della sua totale inadeguatezza e fatiscenza. La prima visita risaliva a ben 16 anni fa, ossia al 1992, a cinque anni dall’entrata in vigore in Italia della Convenzione europea istitutiva del Comitato. I componenti della delegazione,

accompagnati da interpreti ed esperti medico-legali, hanno usufruito delle tipiche prerogative diplomatiche. Sono potuti entrare senza preavviso negli istituti di pena e nelle camere di sicurezza delle forze dell’ordine. Si sono intrattenuti senza testimoni con molte persone detenute e hanno incontrato sia esponenti delle organizzazioni non governative sia del governo. La visita è stata coperta come sempre da totale riservatezza.

La cooperazione e la riservatezza sono infatti i due principi guida cui si ispira il Comitato. La cooperazione con le autorità nazionali è l’elemento centrale della Convenzione, il cui scopo è proteggere le persone private della libertà, piuttosto che condannare gli stati per eventuali violazioni. Per questa ragione il Comitato si riunisce a porte chiuse e i suoi rapporti sono strettamente confidenziali. Tuttavia, in caso di mancata cooperazione da parte di un paese o di rifiuto a migliorare la situazione secondo le raccomandazioni del Comitato, il Comitato può decidere di fare una dichiarazione pubblica di biasimo. Cosa che è avvenuta nei confronti della Turchia e della Russia in considerazione dei fatti ceceni.

Dopo la presidenza di Antonio Cassese e quella dell’inglese Silvia Casale, è ora un altro italiano a presiedere l’organismo internazionale, il professor Mauro Palma. Uno dei temi emersi in tutta la sua drammaticità durante la visita è stato quello del sovraffollaménto. Il Comitato avente sede a Strasburgo ha chiesto immediate delucidazioni all’Italia su come intende affrontarlo.

A riguardo c’è da segnalare che martedì 30 settembre 2008 a Bucarest c’è stata una riunione preparatoria fra i ministri della giustizia e dell’interno di Italia e Romania (Angelino Alfano e Roberto Maroni per l’Italia, il sottosegretario alla giustizia Gabriel Tanasescu e il ministro dell’interno Cristian David per la Romania) con all’ordine del giorno, fra l’altro, il possibile trasferimento di detenuti rumeni reclusi negli istituti penali italiani verso il paese di origine.

L’incontro anticipa il vertice Italia-Romania previsto a Roma per oggi. Ora si attende che le raccomandazioni rivolte all’Italia siano rese pubbliche. Nel frattempo continua a essere intensa l’attività diplomatica diretta a evitare rimproveri internazionali. L’Italia è stata infatti invitata a recepire i suggerimenti preventivi dell’organismo del Consiglio d’Europa.

Giustizia: un emendamento per "salvare" i manager disonesti

di Liana Milella

 

La Repubblica, 9 ottobre 2008

 

Un’altra? Sì, un’altra. E per chi stavolta? Ma per Cesare Geronzi, il presidente di Mediobanca negli impicci giudiziari per via dei crac Parmalat e Cirio. La fabbrica permanente delle leggi ad personam, col marchio di fedeltà del governo Berlusconi, ne produce un’altra, infilata nelle pieghe della legge di conversione del decreto Alitalia. Non se ne accorge nessuno, dell’opposizione s’intende, quando il 2 ottobre passa al Senato.

Eppure, come già si scrivono i magistrati nelle mailing-list, si tratta d’una "bomba atomica" destinata a far saltare per aria a ripetizione non solo i vecchi processi per bancarotta fraudolenta, ma a bloccare quelli futuri. Con un semplice, e in vero anche mal scritto, articolo 7bis che modifica la legge Marzano sui salvataggi delle grandi imprese e quella sul diritto fallimentare del 1942. L’emendamento dice che per essere perseguiti penalmente per una mala gestione aziendale è necessario che l’impresa si trovi in stato di fallimento.

Se invece è guidata da un commissario, e magari va anche bene come nel caso della Parmalat, nessun pubblico ministero potrà mettere sotto processo chi ha determinato la crisi. Se finora lo stato d’insolvenza era equiparato all’amministrazione controllata e al fallimento, in futuro, se la legge dovesse passare com’è uscita dal Senato, non sarà più così. I cattivi manager, contro cui tutti tuonano, verranno salvati se l’impresa non sarà definitivamente fallita.

Addio ai processi Parmalat e Cirio. In salvo Tanzi e Cragnotti. Salvacondotto per l’ex presidente di Capitalia Geronzi. Colpo di spugna anche per scandali di minore portata come quello di Giacomelli, della Eldo, di Postalmarket. Tutto grazie ad Alitalia e al decreto del 28 agosto fatto apposta per evitarne il fallimento. Firmato da Berlusconi, Tremonti, Scajola, Sacconi, Matteoli. Emendato dai due relatori al Senato, entrambi Pdl, Cicolani e Paravia. Pronto per essere discusso e approvato martedì prossimo dalla Camera senza che l’opposizione batta un colpo. Ma ecco che una giornalista se ne accorge.

È Milena Gabanelli, l’autrice di Report, la trasmissione d’inchieste in onda la domenica sera su Rai3. Lavora su Alitalia, ricostruisce dieci mesi di trattative, intervista con Giovanna Boursier il commissario Augusto Fantozzi, gli chiede se è riuscito a garantirsi "una manleva", un salvacondotto per eventuali inchieste giudiziarie. Lui risponde sicuro: "No, io non ho nessuna manleva". Ma quel 7bis dimostra il contrario.

Report ascolta magistrati autorevoli, specializzati in inchieste economiche. Come Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm e pm romano dei casi Ricucci, Coppola, Bnl. Il suo giudizio è senza scampo. Eccolo: "Se la norma verrà approvata non saranno più perseguibili i reati di bancarotta commessi da tutti i precedenti amministratori di Alitalia, ma neppure quelli compiuti da altri manager di società per cui c’è stata la dichiarazione d’insolvenza non seguita dal fallimento". Cascini cita i casi: "Per i crac Cirio e Parmalat c’è stata la dichiarazione d’insolvenza, ma senza il fallimento. Il risultato è l’abrogazione dei reati fallimentari commessi da Tanzi, Cagnotti, dai correi". Non basta. "Subito dovrà essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato per tutti gli imputati, inclusi i rappresentanti delle banche".

Siamo arrivati a Geronzi. Chiede la Gabanelli a Cascini: "Ma la norma vale anche per lui?". Lapidaria la risposta: "Ovviamente sì". Le toghe s’allarmano, i timori serpeggiano nelle mailing-list. Come in quella dei civilisti, Civil-net, dove Pasquale Liccardo scrive: "Ho letto la nuova Marzano. Aspetto notizie sulla nuova condizione di punibilità che inciderà non solo sui processi futuri ma anche su quelli in corso". Nessun dubbio sulla portata generale della norma. Per certo non riguarderà la sola Alitalia, ma tutte le imprese.

Vediamolo questo 7bis, così titolato: "Applicabilità delle disposizioni penali della legge fallimentare". Stabilisce: "Le dichiarazioni dello stato di insolvenza sono equiparate alla dichiarazione di fallimento solo nell’ipotesi in cui intervenga una conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, in corso o al termine della procedura, ovvero nell’ipotesi di accertata falsità dei documenti posti a base dell’ammissione alla procedura". La scrittura è cattiva, ma l’obiettivo chiaro: finora i manager delle grandi imprese finivano sotto processo per bancarotta a partire dalla sola dichiarazione d’insolvenza. Invece, se il 7bis passa, l’azione penale resterà sospesa fino a un futuro, e del tutto incerto, fallimento definitivo.

Commentano le toghe: "Una moratoria sine die, un nuovo colpo di spugna, una mano di biacca sulle responsabilità dei grandi manager le cui imprese sono state salvate solo grazie alla mano pubblica". Con un assurdo plateale, come per Parmalat. S’interromperà solo perché il commissario Bondi evita il fallimento.

Ma che la salva Geronzi sia costituzionale è tutto da vedere. Gli esperti già vedono violati il principio d’uguaglianza e quello di ragionevolezza. Il primo perché la norma determina un’evidente disparità di trattamento tra i poveri Cristi che non accedono alla Marzano, falliscono, e finiscono sotto processo, e i grandi amministratori. Il secondo perché l’esercizio dell’azione penale dipende solo dalla capacità del commissario di gestire l’azienda in crisi. Se la salva, salva pure l’ex amministratore; se fallisce, parte il processo. Vedremo se Berlusconi andrà avanti sfidando ancora la Consulta.

Giustizia: a Roma, per ogni agente in strada 15 sono in ufficio

di Angela Camuso

 

L’Espresso, 9 ottobre 2008

 

Nella capitale solo 172 carabinieri e agenti per il pronto intervento. Mentre negli uffici ne restano 2.300. I dati choc sulle forze dell’ordine Lo Stato dove è? L’armata di carabinieri e polizia che dovrebbe garantire la sicurezza delle città come viene impiegata? Mentre i sindaci fanno a gara per armare le nuove polizie locali e il Campidoglio ingaggia come consulente il generale Mario Mori, ex braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa ed ex direttore del Sisde, ‘L’espresso’ ha ricostruito l’uso quotidiano degli agenti statali che presidiano la capitale. Con una radiografia che pare confermare la percezione di insicurezza: ci sono più uomini impiegati nelle scorte che nelle volanti di pronto intervento, più carabinieri a fare la guardia ai ministeri che non nelle unità radiomobili. Si scopre così che in ogni turno di sei ore sono a disposizione per il pronto intervento all’interno del Raccordo anulare solo 172 tra agenti e carabinieri. Che nell’arco devono fare fronte al diluvio di richieste di intervento piovute sul 112 e 113: segnalazioni spesso doppie, perché il coordinamento tra i due centralini resta a dir poco discontinuo. Il solo 113 nella giornata di settembre presa in esame ha ricevuto 1.800 chiamate, metà delle quali determinano un intervento.

Statisticamente, si tratta di un operatore ogni 16 mila residenti, senza contare i pendolari e gli stranieri irregolari. Ma chi vive nei commissariati o nelle stazioni dell’Arma trova questa stima addirittura ottimistica. Ci sono distretti come il Tuscolano, con 400 mila romani su cui vigilare, che spesso possono contare su una sola volante. Che qualche volta viene pure mandata a fare da apripista a un esponente di governo o a un ospite internazionale in ritardo verso l’aeroporto di Ciampino. O spedita di rinforzo ai colleghi di altre zone che si trovano in difficoltà. Non bisogna dimenticare che ogni successo, ossia ogni arresto, impegna due agenti per circa tre ore - se si tratta di un italiano - e per oltre sei - se si tratta di un immigrato. Ogni successo quindi lascia sguarnita una vasta area per quasi mezza giornata.

 

La seconda linea

 

Squadra mobile e Digos mandano in giro circa cento agenti a turno per le indagini disposte dalla procura e i compiti di prevenzione. Poi, prima del tramonto, ci sono 40 poliziotti "di quartiere" che camminano per dare visibilità alla presenza dello Stato. In forza ai commissariati si contano una quarantina di agenti delle squadre di polizia giudiziaria: il loro compito principale è però quello di completare gli accertamenti richiesti o destinati alle procure. In tutto si arriva al massimo ad altre 183 persone, che faticano ogni giorno per trovare un’auto funzionante: 300 vetture sono quotidianamente in officina a causa di un logoramento che le ha trasformate in carrette.

L’Arma oltre a 30 carabinieri di quartiere appiedati mette in campo 122 uomini sulle auto delle 61 stazioni. Sia chiaro: anche loro di pratiche da sbrigare ne hanno a dozzine, incluso il controllo dei detenuti ai domiciliari, la notifica di atti giudiziari o i rilevamenti in caso di furti in appartamento. Ci sono poi gli investigatori in borghese, in tutto circa cento, che agiscono per conto della magistratura. Infine, carabinieri e polizia mettono a disposizione 13 cavalieri nei parchi. Insomma, tra polizia e Arma si tratta al massimo di 600 uomini, con i compiti più svariati e metà dei quali destinati ai servizi in borghese per le indagini giudiziarie. Questi sono gli uomini e le donne disponibili in un’area che di giorno accoglie oltre tre milioni di persone.

 

Spreco di risorse

 

Negli stessi orari in ufficio ci sono tra i 1.200 e i 1.350 appartenenti alla polizia e un numero di carabinieri superiore alle 500 unità. Pur ritenendo che nessuno di loro stia perdendo tempo, c’è da chiedersi se le loro funzioni non possano essere affidate ad altri. Per le denunce di furto ci vuole un maresciallo o un ispettore? Non potrebbero essere consegnate a un impiegato civile? I compiti dell’ufficio immigrazione non potrebbero essere delegati ai comuni? E nel censimento ‘L’espresso’ ha preso in considerazione soltanto il personale delle strutture territoriali romane: nel bilancio mancano il Viminale e il Comando generale, gli organismi investigativi centrali come Criminalpol e Ros, Racis e laboratori specializzati.

 

Uomini di scorta

 

Impressionante il capitolo scorte e sentinelle davanti agli obiettivi fissi. Nonostante l’arrivo dei soldati, la polizia schiera tra 80 e 130 agenti a fare la guardia a sedi diplomatiche, ministeri, partiti. Più ci sono 200 agenti per le scorte e l’organigramma rilevato da ‘L’espresso’ include ben 60 autisti dei dirigenti. Mentre l’Arma destina alla protezione degli obiettivi sensibili fino a 190 uomini per ogni turno, soprattutto davanti alle sedi del Parlamento e del governo, pescando dalle stazioni e dal battaglione mobile. Finora gli apparati di videosorveglianza hanno avuto un effetto limitato per diminuire le sentinelle in carne e ossa.

"È come prendere l’acqua da un lavandino per riempirne un altro. Pochi uomini con pochi mezzi devono correre dappertutto e finisce che si selezionano i reati da perseguire, come accade con questa caccia al diverso", sottolinea il segretario nazionale del sindacato di polizia Uil-Ps, Nicodemo De Franco: "Questa è barbarie, non è sicurezza. Oggi si lavora su un’emergenza che fa notizia, domani sull’altra".

A proposito, in questo bilancio in perdita bisogna aggiungere l’effetto calcio. Perché quando Lazio e Roma giocano, circa 300 persone vengono dirottate da commissariati e stazioni e mandati a pattugliare i dintorni dell’Olimpico. Molti di loro, segnalano i sindacati e il Cocer, la rappresentanza militare, senza equipaggiamento o addestramento agli scontri di piazza. Ormai tra campionato e coppe accade almeno due volte a settimana. Una vera pacchia per qualunque delinquente.

Giustizia: proposta Pdl; albo pedofili e "castrazione psichica"

 

Redattore Sociale - Dire, 9 ottobre 2008

 

Supporto psicologico (soprattutto al momento del reinserimento nella società); pene accessorie e un albo speciale. Dai senatori del Pdl arriva una proposta di legge ("Nuove norme in materia di lotta alla pedofilia, alla pedo-pornografia e allo sfruttamento dei minori") che punta all’inasprimento delle pene.

La proposta, che porta la firma di quattro senatori (Allegrini, Gasparri, Berselli e Piscitelli) è stata presentata oggi a Palazzo Madama dal capogruppo Maurizio Gasparri che tiene subito a precisare: "Vogliamo dare maggiore attenzione sociale al fenomeno"; "inasprire" in questo caso serve "alla tutela della famiglia".

Giustizia: tossicodipendente non spacciava, no al risarcimento

 

Diritto & Giustizia, 9 ottobre 2008

 

Il tossicodipendente assolto dall’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti non per questo ha diritto alla riparazione per la detenzione subita in fase cautelare.

Il tossicodipendente assolto dall’accusa di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti non per questo ha diritto alla riparazione per la detenzione subita in fase cautelare. Perché l’aver acquistato ingenti quantitativi di droga può essere considerata una condotta rimproverabile - gravemente colposa - che ha dato causa al provvedimento restrittivo e che, conseguentemente, porta all’esclusione del diritto dell’istante all’equo indennizzo. Insomma, dall’assoluzione non deriva automaticamente la riparazione per il periodo di carcere sofferto: quest’ultima, infatti, va negata nelle ipotesi di dolo o colpa grave.

Per questi motivi la Cassazione con la sentenza 37026/08 (qui leggibile come documento correlato) ha confermato un verdetto d’appello che aveva negato l’equo indennizzo ad un tossicodipendente assolto dall’accusa di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti, perché l’ammissione dell’indagato di aver frequentato un campo nomadi per l’acquisto di ingenti quantità di droga è stata considerata dal giudice della riparazione come condotta gravemente colposa, ostativa al riconoscimento del beneficio in esame.

In altre parole, il decidente aveva valorizzato le ammissioni dello stesso istante sulle sue frequentazioni in chiave ostativa all’elargizione dell’equo indennizzo. E un tale apprezzamento non merita censura. Sul punto, infatti, la quarta sezione penale del Palazzaccio ha ricordato che il mero stato di tossicodipendenza, senza altre concrete circostanze aggiuntive, non può da solo integrare la "colpa grave" ostativa all’insorgere del diritto alla riparazione. Perché stato soggettivo inidoneo ex se a trarre in inganno il giudice della cautela in ordine alla realizzazione di una delle fattispecie penalmente rilevanti previste dall’articolo 73 del dpr 309/90.

Al contrario - conclude la Corte - questa connotazione ben può riconoscersi nel comportamento del tossicodipendente che si attiva al fine di reperire sostanze stupefacenti quando ricorrano elementi ulteriori che possano ragionevolmente indurre a ritenere che si tratti di attività finalizzata non solo al consumo personale, ma anche allo spaccio. (Cfr. Cassazione 13064/08 nell’arretrato del 3 aprile 2008; Cassazione 25574/08 nell’arretrato del 4 luglio 2008).

Giustizia: fare lo "spaccone" con persone di colore? è razzismo

 

Adnkronos, 9 ottobre 2008

 

Giro di vite della Cassazione nei confronti del dilagare di episodi di razzismo. Fare lo Espaccone" con persone di colore, infatti, è una condotta che denota razzismo e che va punita con l’applicazione dell’aggravante prevista per gli episodi di discriminazione razziale.

Scrivono i supremi giudici che "proprio questi sentimenti di disprezzo razziale, ostilità, desiderio di nuocere ad una persona di razza diversa, di convinzione di avere a che fare con persona inferiore e non titolare degli stessi diritti alimentano quel conflitto tra le persone che testimonia la presenza dell’odio razziale".

E che va scoraggiato senza concessione di attenuanti. Applicando la linea dura, la Quinta sezione penale (sentenza 38217) ha confermato la condanna per violenza privata aggravata dai motivi di razzismo nei confronti di un 25enne torinese, Renè M. che, pensando di fare una "smargiassata" con un ragazzo di colore che era stato investito in precedenza da un pirata della strada, aveva lanciato la propria auto a notevole velocità in danno di un extracomunitario "urlando schiaccio il negro e costringendolo a mettersi in salvo saltando sul marciapiede".

Inutilmente Renè M., già condannato dal gip del Tribunale di Torino (marzo 2007) e dalla Corte d’appello della stessa città (dicembre dello stesso anno) a pena ritenuta di giustizia (non si specifica l’entità della condanna) per violenza privata aggravata da motivi di razzismo oltre che per il reato di ricettazione di una auto, ha tentato di fare annullare dalla Cassazione l’aggravante del razzismo, sostenendo che lui e i suoi amici volevano solo fare una "smargiassata dovuta a vanteria e non ad odio razziale".

Piazza Cavour ha respinto il ricorso e ha osservato che "la condotta di Renè M. era finalizzata quanto meno ad incutere timore alla persona di colore - schiaccio il negro - e costituiva chiara manifestazione di disprezzo ed avversione nei confronti di una persona di colore, perché l’azione era motivata esclusivamente dal fatto che si trattava di persona appartenente a razza diversa".

E proprio per questo "semplice oggetto di un gioco pericoloso". La "finalità di discriminazione razziale", ha aggiunto ancora la Suprema Corte, si è resa ancora più evidente perché era "idonea a fare insorgere negli amici in auto identico sentimento di disprezzo motivato da motivi razziali". Sussiste, dunque, "l’aggravante contestata", hanno concluso i supremi giudici per i quali "non ha alcun rilievo che il movente della condotta dell’imputato sia da individuare in una smargiassata".

Giustizia: Osapp; è emergenza carceri, Alfano non si accorge?

 

Agi, 9 ottobre 2008

 

"Delle due l’una: o il ministro vuole essere ricordato nella legislatura per il provvedimento che porta il suo nome, e accontentarsi di aver fatto il proprio dovere; o sui problemi del carcere, e sulle soluzioni da mettere in atto, è male informato, o peggio, non si accorge dell’emergenza". Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) non risparmia critiche all’intervento di Angelino Alfano nella trasmissione radiofonica "Faccia a Faccia".

"Abbiamo gli istituti al collasso, con una situazione arrivata al limite della sopportazione e il ministro della Giustizia cosa fa? - attacca Beneduci -. Potrebbe parlare di tutto, ma difende il lodo della discordia da lui ideato e promosso, e sul carcere, oltre ad enunciazioni di principio che conosce bene chiunque abbia letto la Costituzione italiana, si limita a parlare di quanto sia sbagliato che i bimbi stiano dietro le sbarre".

"Che il problema dei bambini in cella sia una questione annosa dibattuta da anni - continua il segretario generale - è fuori dubbio. Ma che si debba indugiare su una condizione generale, che ripetiamo con forza, rischia di degenerare in una nuova emergenza nazionale sul fronte della sicurezza sociale, è scandaloso".

L’emergenza "interessa ormai tutte le regioni, con una popolazione arrivata a toccare i 56.768 detenuti, a fronte delle 43mila presenze regolamentari, e dove è alta la percentuale di stranieri: sono 21.178, infatti, pari al 37% del totale". Qualche esempio? L’Emilia Romagna ospita 3.919 detenuti, contro una capienza di 2.282 (+72%), ma "non stanno molto meglio il Piemonte, con 5.387 detenuti su 3.407 regolamentari (+58%), e la Lombardia, 8.295 presenze contro 5.383 previste (+53%)". Anche al sud "i limiti previsti sono largamente superati. La Puglia sfora del 55% (3.976 detenuti contro una capienza di 2.556), la Campania del 34%, la Sicilia del 39%".

Beneduci parla di "un allarme grave", specie ora "che le idee sembrano confuse e scoordinate. Ci hanno bombardato per mesi sulla questione del braccialetto elettronico come alternativa ai domiciliari, e adesso c’è il silenzio più assordante. Il dipartimento emana un circolare sulla possibilità di istituire un network per favorire il lavoro dei detenuti, quella famosa agenzia di collocamento su cui l’Osapp ha sempre puntato, e c’è il buio assoluto, non se ne parla affatto. La verità è che il ministro non coglie l’occasione per promuovere le sue iniziative: una gaffe che consideriamo imperdonabile, soprattutto per il rispetto che è dovuto ad un corpo di polizia sempre più penalizzato".

Giustizia: Santapaola jr è al "41-bis"; contro di me pregiudizi

 

La Sicilia, 9 ottobre 2008

 

Vincenzo Santapaola, 38 anni, il maggiore dei figli di Benedetto Santapaola, ci invia da un carcere del Nord Italia dove si trova al 41 bis, questa lettera: "Egregio Direttore, mi trovo in un carcere di massima sicurezza, detenuto in regime di 41 bis, proprio quel regime creato per i detenuti considerati i più pericolosi, capaci di dare ordini ad associazioni criminali anche dal carcere; un regime che, anche nel mio caso, è assolutamente ingiustificato, come ingiustificata è la mia detenzione. Ma questo è un altro discorso che, con i miei avvocati (Francesco e Giuseppe Strano Tagliareni, ndr), affronto in altre sedi.

Scrivo al suo giornale interrompendo il mio silenzio, rischiando di essere ulteriormente strumentalizzato, affinché io possa dire la mia "verità". Scrivo a voi per presentarmi personalmente a tutti coloro che hanno avuto modo di conoscermi esclusivamente da ciò che i mass media dicono di me, identificandomi come un "mafioso", come "delfino", come "erede" di mio padre.

Dal 1994 ad oggi ho trascorso 11 anni della mia vita negli istituti penitenziari, non perché io sia un pericoloso criminale o per aver commesso chissà quali reti, ma perché porto un nome "pesante", "discusso", "odioso" e "chiacchierato". Sono stato rimesso in libertà circa tre anni orsono. Nel 2005 sono rimasto vittima di un grave incidente stradale.

Ho passato due mesi, successivi all’incidente, in coma; poi altri otto mesi tra ospedali e centri riabilitativi paralizzato dalla vita in giù. Ho subito quattro delicati interventi chirurgici al bacino e altri sei mesi in una sedia a rotelle. Oggi mi reggo in piedi, anche se con non poche difficoltà e con l’aiuto di due stampelle. Tre anni trascorsi a curarmi e non certo a delinquere come oggi si vuol fare credere. Ho sulle spalle 11 anni di carcere.

Dio quanto pesano, soprattutto per chi come me, li ha addosso non per espiare una pena definitiva, ma nella logorante attesa di tempi tecnici del processo penale. Assieme ai miei avvocati ho affrontato innumerevoli battaglie per cercare di dimostrare la mia innocenza, qualcuna l’ho vinta, qualche altra no. Purtroppo lottare contro i pregiudizi è difficile, mi viene da pensare al mitico Don Chisciotte contro i mulini a vento.

C’è gente che con pregiudizio mi giudica e mi considera in base a ciò che si è detto e scritto su di me, additandomi come un criminale. C’è gente che crea leggende sul mio conto e sui miei familiari. Ci sono altri che usano il mio nome in modo scellerato per i loro loschi interessi, per vanto, per ignoranza. Questi ultimi sono quelli che più mi danneggiano e che contribuiscono in modo determinante a far sì che il "mito Santapaola" resti sempre in vita mio malgrado.

Oggi mi rivolgo alla vostra cortesia perché purtroppo anche la mia vicenda processuale, per la quale sono ora detenuto, nasce da una situazione alla quale è mia ferma intenzione porre rimedio, sebbene essa sia indipendente dalla mia volontà e dalle mie azioni. Infatti mi trovo indagato perché nel corso di alcuni colloqui, intercettati nel carcere di Catania, un detenuto parla di un tale "Enzuccio" (che l’Autorità giudiziaria ha ritenuto essere la mia persona) e raccomanda a un congiunto di prendere contatto con lui (incidentalmente osservo che, anche a concedere che i due parlino di me, tale incontro, come provato in atti, non è mai avvenuto).

Ebbene, purtroppo debbo constatare che il nome che porto è per me (come per mio fratello Francesco) una continua fonte di guai, a causa di persone, che, anche senza conoscermi, anzi nella quasi totalità senza conoscermi, usano e abusano del mio nome e di quello della mia famiglia. E ciò avviene quotidianamente in questa città, che non riesce a dimenticare pagine di cronaca e di storia ormai lontane e chiuse.

Personaggi a me ignoti, per i loro scopi che a me non interessano, continuano a fare il mio nome e a presentare il mio cognome come etichetta, la cui natura non mi appartiene. Oggi con forza e decisione intendo affermare pubblicamente che tali persone, i loro scopi, le loro azioni, sono a me ignoti ed estranei. Non ho, non abbiamo nulla da spartire con chiunque pretenda di usare il nostro nome subdolamente. Chiedo di essere giudicato soltanto per le parole e le azioni che sono a me direttamente conducibili, parole e azioni che non hanno nulla di illecito, perché il mio desiderio è soltanto di essere e di vivere da persona "normale", senza che nessuno si arroghi il diritto di parlare per conto mio.

Sono Vincenzo Santapaola, un uomo che vuole vivere una vita da uomo qualunque, perché nel mio spirito, nel mio intimo, nel mio essere, io sono e mi sento un "uomo qualunque". Mi perdoni lo sfogo e la ringrazio per l’ospitalità che vorrà concedermi sul suo giornale".

Marche: Sappe; le carceri di Ancona e di Pesaro sono al collasso

 

Ansa, 9 ottobre 2008

 

Non è sicuramente rosea la situazione delle carcere nelle Marche, dove anzi - secondo Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del sindacato di polizia penitenziaria - gli istituti di Ancona e Pesaro sono al collasso per sovraffollamento e scarsità di organico.

I detenuti presenti nelle sette carceri marchigiane sono 962 (tutti uomini) contro i 755 di capienza regolamentare. Ad Ancona ci sono 271 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 172. Gli stranieri sono 142, pari al 52,4%, gli imputati 159, i condannati 112. Ad Ascoli Piceno sono presenti 111 reclusi a fronte di 103 regolamentari, gli stranieri sono 27 (39%), gli imputati sono 60, i condannati 51. A Camerino 42 i detenuti su 33 ospitabili, gli stranieri sono 25 (59%), di cui sei donne, gli imputati sono 27, i condannati 7. A Fermo ci sono 62 reclusi contro 36 regolamentari, gli stranieri sono 27 (44%), un imputato, 61 condannati. A Fossombrone sono rinchiusi 169 detenuti (il numero regolamentare è 186), 25 stranieri (25%), gli imputati 13, i condannati 156. A Pesaro si trovano 283 reclusi su una capienza regolamentare di 201, gli stranieri sono 129, di cui 10 donne pari al 46%, gli imputati sono 168, i condannati 115.

Per Di Giacomo, gli istituti di Ancona e Pesaro soffrono "oltre al grave sovraffollamento di detenuti, con percentuali altissime di detenuti stranieri, di una grave carenza organica: Pesaro ha 41 unità di personale di polizia penitenziaria in meno ed Ancona ben 61. È evidente che con questi numeri la gestione diventa assolutamente complessa". Di Giacomo incontrerà i prefetti di Ancona e Pesaro rispettivamente l’8 ottobre ed il 16 ottobre.

Milano: detenuto ritrovato morto in cella di sicurezza questura

 

Ansa, 9 ottobre 2008

 

Era finito in manette mercoledì sera insieme ad altri due connazionale per un tentato furto pluriaggravato alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires, a Milano. L’uomo, un georgiano di 25 anni, è stati trovato senza vita giovedì mattina all’interno della camera di sicurezza della Questura di Milano dove si trovava detenuto in attesa del processo per direttissima.

La triste scoperta è stata effettuata dagli agenti che lo avrebbero portato in tribunale. La vittima non presentava sul corpo nessun segno di violenza. Il magistrato ha disposto l’autopsia per accertare le cause del decesso.

Trani: il dirigente dell’Osapp continua con sciopero della fame

 

Agi, 9 ottobre 2008

 

Continua la protesta della sciopero della fame intrapresa da esponenti del sindacato di polizia penitenziaria Osapp in Puglia. "Destano preoccupazione le condizioni di salute del vicesegretario generale dell’Osapp, Domenico Mastrulli, giunto al settimo giorno di sciopero della fame - afferma in una nota Leo Beneduci, leader dell’organizzazione sindacale - il grave attacco subito dall’organizzazione senz’altro s’annovera tra gli atti di aggressione che tollera ogni giorno il personale penitenziario, perché ne deprime le prerogative e i diritti".

Beneduci si riferisce in particolare alla decisione del direttore dell’istituto di Trani di sgombrare l’Osapp e di ridurre gli spazi sindacali, che ha portato il vicesegretario generale allo sciopero della fame. "Nel carcere di Trani, dove il nostro rappresentante continua la protesta - spiega Beneduci, l’Amministrazione ci ha sgombrato e non ci consente l’esercizio regolare. Che sia un atto inaudito, e come tale rischi di avere conseguenze anche per la salute del nostro collega è un fatto innegabile. Proprio ieri sera il dott.

Mastrulli colto da malore nei locali dello spaccio dell’istituto penitenziario ha comunque deciso di proseguire".

La protesta, fa notare il segretario dell’Osapp, "non si riduce alla semplice rivendicazione di una stanza, d’altronde la scelta del direttore di accorpare gli spazi dei 9 sindacati in un unico angusto locale appare ingiustificata alla luce e nonostante l’amplissima disponibilità di stanze, e persino di una palazzina completamente inutilizzata per le esigenze del personale".

L’Osapp, dunque, "continua la sua battaglia ad oltranza - si legge nella nota - dimostrando più che mai come questo sia necessario per le ragioni dei lavoratori, e dei diritti lesi" e, nel frattempo, ha presentato ricorso al giudice del lavoro, "e benché ovvi motivi d’opportunità suggerirebbero di attenderne gli esiti, l’Amministrazione penitenziaria centrale ha in ogni caso scelto di proseguire nell’iniziativa che, di fatto, priva la Polizia Penitenziaria di uno dei principali strumenti d’incontro e di tutela del Centro Sud".

Di fronte a ciò che accade in Puglia, "ci si stupisce ancora - osserva Beneduci - che la Polizia Penitenziaria sia l’unica realtà a pagare il prezzo del disastro, del frazionamento, del disprezzo e delle inefficienze. Fin quando avremo, per Direttori Penitenziari, funzionari esclusivamente amministrativi e con alcuna competenza o funzione di Polizia, che assumono posizioni di assoluta chiusura quali comandanti insindacabili ed inappellabili di un Corpo a cui non appartengono, non si vedrà mai la luce alla fine del tunnel".

Questo, conclude il leader dell’Osapp, "deve far riflettere il ministro della Giustizia sul lavoro che c’è ancora da fare".

Trani: Sindacati di Polizia; nessun diritto dell’Osapp è stato leso

 

Agi, 9 ottobre 2008

 

L’Osapp "non è stato leso di alcun diritto" perché "il creare una stanza sindacale unica per tutti i sindacati, oltre ad essere ben disciplinato dalla legge, era stato preventivamente deciso dall’Amministrazione Centrale per promuovere tutte quelle iniziative che mirano a diffondere il benessere e a contrastare il disagio lavorativo del personale". È quanto affermano, in una nota, i sindacati Cgil-Fp, Cisl-Fp, Sappe, Sinappe, Uspp-Ugl e Cnpp in merito alle ragioni della protesta messa in atto in Puglia dall’organizzazione sindacale di polizia penitenziaria Osapp.

"I rappresentanti dell’Osapp - si spiega nel comunicato - occupano in maniera arbitraria la sala convegno della caserma agenti dell’istituto di Trani: tutto sarebbe dovuto perché la direzione di Trani avrebbe chiesto all’Osapp di restituire la stanza, adibita a sede sindacale, così come avevano fatto in precedenza e senza alcun problema le altre sigle sindacali".

Tale richiesta, sottolineano i sindacati che hanno sottoscritto la nota e che hanno informato della situazione il prefetto di Bari e il capo del Dap Franco Ionta, è "legittima" e "si uniforma alla normativa vigente". Inoltre, l’iniziativa di creare una stanza sindacale unica per tutte le sigle, si legge ancora nella nota, "sicuramente favorisce il personale della Polizia penitenziaria a cui verrà destinata una nuova palestra agenti, una più adeguata sala riunioni e un’aula destinata alla formazione del personale dell’Amministrazione Penitenziaria", nonché "pone in parità di condizione, tutte le organizzazioni sindacali del Comparto Sicurezza e Ministeri, che fino ad ora non potevano tutelare, in maniera adeguata, i diritti dei lavoratori". Per questo i sindacati si augurano che l’Osapp "possa riconsiderare la sua querelle, che non fa altro che offuscare l’immagine e la dignità del Corpo di Polizia Penitenziaria".

Cagliari: è paralizzato ottiene arresti in una struttura sanitaria

 

La Nuova Sardegna, 9 ottobre 2008

 

Ha ottenuto gli arresti domiciliari in una struttura sanitaria Antonino Loddo, il detenuto affetto dalla malattia di Charcot-Marie-Tooth in uno stadio avanzato e irreversibile recluso prima nel centro clinico di Rebibbia e successivamente in quello di Buoncammino. "Finalmente, anche con la vicinanza dei familiari, potrà essere assistito adeguatamente in un ambiente idoneo a un malato gravissimo ormai paralizzato", commenta la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della commissione Diritti Civili, esprimendo soddisfazione per la decisione assunta dal Tribunale del riesame, presieduto da Claudio Gatti.

I giudici hanno accolto la nuova istanza presentata dal difensore di Loddo, Fernando Vignes, contro l’ordinanza della Corte d’Appello che 15 giorni fa aveva sancito l’idoneità del carcere di Buoncammino ad accogliere il detenuto nonostante i medici del centro clinico avessero suggerito il ricovero in una struttura esterna specializzata.

Bergamo: imputato ha la tubercolosi, mascherine per il processo

 

Ansa, 9 ottobre 2008

 

Un boliviano irregolare è stato scoperto in un cantiere edile a Bolgare (Bg). Durante il trasporto in Tribunale, con addosso ancora gli abiti da lavoro, continuava a tossire, il carabiniere gli ha chiesto cosa avesse e lui ha risposto: tubercolosi.

Quando si è trattato di processare l’uomo, il giudice Gaetano Buonfrate ha deciso di evitare il rischio corso dai carabinieri dell’auto di servizio, e per non rischiare un’epidemia in tutto il palazzo di giustizia ha trasferito il processo in una sala dello scantinato. E ha mandato qualcuno in farmacia a comperare uno stock di mascherine, distribuendole poi a carabinieri, cancellieri, avvocati e giornalisti.

Il processo svoltosi in questo clima surreale ha avuto poi una conclusione molto più normale: udienza aggiornata al 28 novembre e disinfestazione finale a cura del nucleo specializzato della polizia penitenziaria.

Belluno: l’Ugl minaccia agitazioni, situazione del carcere al limite

 

Il Gazzettino, 9 ottobre 2008

 

Il prossimo passo, se non otterranno risposte soddisfacenti alle loro richieste, sarà una manifestazione a Roma, davanti al ministero della Giustizia. La situazione delle carceri del Nord Italia denunciata da Mario Tramontin, Segretario per il Triveneto e consigliere nazionale per la polizia penitenziaria dell’Ugl (unione generale del lavoro) la sigla sindacale vicina ad An di cui è segretario nazionale Renata Polverini, appare al limite.

L’organizzazione sindacale, che vede segretario nazionale per la polizia penitenziaria Pino Moretti e coordinatore per il Triveneto Ignazio Siracusa, lamenta organici carenti, straordinari tassati e mal retribuiti, congedi e aspettative spesso non concessi. Una situazione non nuova e ben conosciuta che, nonostante il recente indulto, è tornata ai livelli gravi di sempre. Ormai le condizioni di lavoro degli agenti penitenziari, che si ritrovano ad affrontare carceri sovraccarichi di detenuti, senza alcun turnover fra il personale ha raggiunto livelli considerati inaccettabili.

In pochi anni a Belluno l’Ugl è diventato il sindacato di maggioranza fra le mura della casa circondariale di Baldenich. Il prossimo obiettivo, oltre a quelli riguardanti la categoria, il cui contratto è scaduto ormai da due anni, è quello di avere una propria sede nel capoluogo montano.

"Il nostro è una sorta di sfruttamento - precisa Tramontin - ogni nostra aspettativa sindacale è stata puntualmente disattesa. Noi siamo fortemente intenzionati a sensibilizzare l’attenzione di un’amministrazione spesso sorda alle nostre legittime richieste". E il segnale, a questo punto, potrebbe arrivare direttamente al livello centrale.

Milano: homeless cacciati dal centro, associazioni smentiscono

 

Redattore Sociale - Dire, 9 ottobre 2008

 

Per il vice sindaco De Corato allontanate 530 persone in 7 mesi. Cri: "Nessuna diminuzione significativa". Ronda carità: "I nostri ci sono tutti". Fondazione Fratelli S. Francesco: "Vanno via quando arriva un vigile".

Che fine hanno fatto i senzatetto che dormono per le vie del centro? Il vice sindaco e assessore alla sicurezza di Milano Riccardo De Corato ha affermato in un comunicato del 6 ottobre che più di 500 persone sono state allontanate dal centro cittadino. Alle associazioni che si occupano di senzatetto non risulta: ci sono ancora tutti, o quasi. "Sono prevalentemente italiani, molti tossicodipendenti, di età compresa tra i 20 e i 75 anni che sono lì da molto tempo - spiega Marco Tozzi, responsabile unità mobile Croce rossa italiana -. Sono stati allontanati dai vigili? Non abbiamo notato una diminuzione significativa della loro presenza, gli aficionados ci sono sempre". Si sono spostati, molti cercano angoli più riparati per dormire, piazze delle chiese, strade dove non passano le macchine. Inoltre molti sono inseriti nel tessuto sociale della via o della piazza in cui vivono: sono persone che non danno fastidio, e quindi i residenti non si lamentano della loro presenza.

Un quadro simile, lo traccia Magda Baietta, presidente della Ronda della carità: "Non ci risulta che ci siano 500 senza tetto in meno. I nostri gravi ci sono ancora tutti ma abbiamo notato un leggero calo tra gli stranieri, soprattutto alla stazione Centrale e in Garibaldi, ma crediamo che il fatto sia dovuto alla paura: stanno nascosti in aree più protette dove c’è meno polizia". "Vanno via momentaneamente: quando arriva un vigile ad allontanarli girano l’angolo e trovano un altro marciapiede dove posare il capo - precisa Padre Clemente Moriggi, presidente della Fondazione Fratelli di San Francesco -.

Molti dei nostri senzatetto, almeno il 40%, sono italiani". Anche per gli operatori della comunità di Sant’Egidio non c’è stato un calo nella presenza di senza fissa dimora in città: "Anzi, nei mesi estivi abbiamo incontrato anche tanti stranieri in aggiunta alle persone che seguiamo abitualmente", precisa Ulderico Maggi, responsabile delle unità mobili.

Immagini che smentiscono le informazioni fornite dal comune di Milano con un comunicato del 6 ottobre in cui si comunicava l’allontanamento di 530 senzatetto dalle vie del centro cittadino ("nell’area tra Corsia dei Servi, piazza San Carlo e Galleria del Corso") negli ultimi sette mesi. "Numeri che testimoniano le dimensioni di un fenomeno che non è solo un problema di decoro urbano - è il commento di Riccardo De Corato - ma anche e soprattutto di sfruttamento dei più deboli. Se pensiamo a quanti bambini, disabili e animali vengono costretti a mendicare da sfruttatori senza scrupoli". "Le persone che vengono costrette a mendicare - precisa Marco Tozzi - non sono quelli che dormono per strada.

I clochard sono uomini e donne con problemi psichiatrici, anziani soli. Mi sembra che si stia facendo un po’ di confusione". Il rischio, secondo gli operatori di strada, è quello di giocare con le parole e di "creare confusione -come precisa Carlo Giorgi, presidente dell’associazione Insieme nelle Terre di mezzo-. Una cosa sono i senza fissa dimora, persone che vivono in una situazione di disagio grave e che non sono un pericolo per nessuno. Diversa è la situazione di chi vive di espedienti e di elemosina".

Complessivamente, secondo il vicesindaco, in tre mesi sono state "censite e allontanate oltre 700 persone senza fissa dimora e dedite all’accattonaggio(in tutta la città, ndr)". "I numeri forniti da De Corato ci sembrano un po’ alti - commenta Sonia Caronni, della cooperativa Lotta contro l’emarginazione di Sesto San Giovanni, che sta facendo una mappatura del fenomeno -.

Un’ordinanza anti-accattonaggio, come quella annunciata nei mesi scorsi, avrebbe come sola conseguenza quella di accentuare lo spostamento di queste persone dal centro verso la periferia, e dalla superficie delle strade verso il livello sotterraneo. Fenomeno già in corso dalla fine dell’estate, in conseguenza dell’arrivo in città dei militari".

Un dibattito che si è acceso pochi giorni prima della "Notte dei senza fissa dimora", evento organizzato dall’associazione Insieme nelle Terre di Mezzo per venerdì 17 ottobre (a Milano l’appuntamento è in piazza Santo Stefano) in occasione della giornata delle Nazioni Unite per la lotta alla povertà. Un appuntamento patrocinato, peraltro, dal Comune di Milano. La manifestazione, giunta quest’anno alla nona edizione in città, lo scorso anno ha coinvolto un migliaio di persone e, malgrado fosse un mercoledì sera, quasi 90 persone si sono fermate a dormire sui ciottoli del sagrato.

Padova: è emergenza per i disturbi psichiatrici tra i senzatetto

di Roberta Voltan

 

Il Padova, 9 ottobre 2008

 

Fra chi vive sulla strada, sono in esponenziale aumento i casi di disagio psichiatrico. "Una situazione cui gli operatori dei servizi sociali faticano a far fronte e che rischia di trasformarsi in un problema di sicurezza perché alcune di queste persone mettono in atto comportamenti violenti".

La denuncia arriva dall’assessore Claudio Sinigaglia, che su questo tema ha avviato un tavolo di lavoro con l’Ulss 16 e con la rete delle associazioni contro l’emarginazione Agorà. Martedì la questione è tornata prepotentemente al centro dell’attenzione: per ben due volte le volanti della polizia sono intervenute alle cucine popolari, dove un 34enne tunisino in evidente stato confusionale ha fatto irruzione nudo con un coltello in mano.

Accompagnato in pronto soccorso dopo che si era procurato delle lesioni sul corpo, è stato subito dimesso e alle 18 si è ripresentato in via Tommaseo. A quel punto gli agenti sono intervenuti nuovamente: mentre veniva trasportato in questura, dove è stato processato per direttissima, il tunisino ha innescato una colluttazione ferendo due agenti.

"Due settimane fa - spiega Sinigaglia - il nordafricano era stato allontanato dall’asilo notturno perché si era dimostrato violento. Avevamo segnalato il caso ai servizi sanitari". Secondo il vicesindaco casi di questo tipo devono imporre una riflessione: "Bisogna creare le condizioni per rendere possibile un intervento tempestivo dei servizi psichiatrici, che possano attuare trattamenti sanitari obbligatori per le situazioni di emergenza.

Penso a una sorta di task force con esperti sanitari e uomini delle forze dell’ordine che possa rispondere a casi di questo tipo". Se martedì il tunisino con disagio psichiatrico ha portato paura e scompiglio nelle cucine popolari, nelle scorse settimane in zona Torresino un altro senza fissa dimora ribellandosi agli operatori dei servizi aveva dato in escandescenze danneggiando alcune auto in sosta. Oltre al problema della tempestività dell’intervento dei servizi psichiatrici, resta da sciogliere il nodo della presa in carico.

I senza fissa dimora, non avendo alcuna residenza, in genere non vengono seguiti continuativamente dai servizi sanitari: dopo i ricoveri di urgenza, in genere tornano sulla strada e la loro situazione spesso finisce inevitabilmente con il riacutizzarsi. Dagli incontri fra comune e Ulss è arrivata una prima risposta al problema: "Abbiamo deciso di sottoporre ad accertamenti sanitari tutti gli ospiti dell’asilo notturno".

"Spesso la malattia mentale insorge proprio per le difficili condizioni in cui si trovano a vivere", spiega il coordinatore di Agorà Daniele Sandonà. "Nell’ultimo incontro su questo tema l’Ulss si è impegnata a prendere in carico i casi più acuti". Sandonà insiste poi "sull’importanza della prevenzione". "Se aiutate in tempo - aggiunge - molte persone non sprofonderebbero nei disagio mentale".

Immigrazione: forti critiche sul permesso di soggiorno a punti

 

www.unimondo.org, 9 ottobre 2008

 

Sono già diverse le prese di posizione delle associazioni alla proposta della Lega Nord di introdurre, con un emendamento al disegno di legge sulla sicurezza, il permesso di soggiorno a punti per i cittadini extracomunitari. "È un po’ come la patente a punti" - ha spiegato il presidente dei senatori della Lega Nord, Federico Bricolo. "Se si commettono delle infrazioni vengono decurtati dei punti e si può perdere anche il permesso di soggiorno; chi invece rispetta le regole e la legalità non avrà conseguenze, anzi vorrà dire che è avviato verso una integrazione reale che è quella che noi della Lega vogliamo raggiungere".

Le Acli respingono come "offensiva della dignità degli immigrati" la proposta della Lega Nord. "Non si gioca con la vita delle persone" - afferma il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero. "Il permesso di soggiorno è uno strumento normativo che ratifica un diritto, non è un concorso a punti. La legislazione sull’immigrazione, così come quella penale, ha gli strumenti per revocare eventualmente questo titolo qualora se ne verifichino le condizioni. Tutto il resto è discriminatorio. Chi fa proposte di questo tipo si assume la responsabilità politica e morale di favorire quel clima pericoloso di regressione culturale di cui ha parlato autorevolmente il presidente della Conferenza episcopale".

La perplessità delle Acli non riguarda solamente la boutade del permesso a punti. Il presidente Olivero raccoglie la denuncia di mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, che oggi - presentando in Vaticano il Messaggio del Papa per la prossima Giornata mondiale del migrante - ha censurato le politiche di immigrazione repressive che si stanno diffondendo sempre più nel mondo come espressione di "discriminazione, xenofobia e razzismo esasperato". E il presidente delle Acli rilancia: "Dobbiamo invertire la tendenza al ribasso nei confronti degli immigrati, caratterizzata dall’erosione degli standard umanitari e dell’introduzione di norme meramente restrittive o punitive" - aggiunge Olivero.

Totale bocciatura anche da parte del direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino che - contattato dall’agenzia Apcom - ha definito la proposta "totalmente assurda, irrispettosa dei diritti umani che va nella direzione di una politica non dell’accoglienza ma che vuole espellere gli immigrati". "È una politica penalizzante - prosegue il direttore del settimanale dei Paolini - per chi viene da noi in cerca di lavoro, ma penalizzante anche per noi". In questi ultimi mesi, in numerosi editoriali pubblicati dal settimanale cattolico, don Sciortino ha espresso critiche sulla politica del Governo in materia di "sicurezza" a partire dalla indecente proposta razzista del ministro Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom, alla decisione del Governo di utilizzare militari nelle città.

Quindici parlamentari cattolici del Pd - proprio in risposta all’appello lanciato dal settimanale Famiglia Cristiana ai politici cattolici di dire qualcosa di realmente cristiano sulle scelte di Governo in tema di sicurezza - hanno preso posizione contro la proposta di modifica al ddl sicurezza avanzata dalla Lega Nord. "I punti servono per le merendine, agli immigrati occorrono, invece, politiche di integrazione. Si tratta di persone e non di pacchetti acquistabili con i punti" - affermano i parlamentari. "Le politiche emergenziali e i proclami generano paura e insicurezza. Servono piuttosto scelte strutturali, basate sull’ascolto e sulla collaborazione. La serenità del Paese non si impone" - sottolineano i parlamentari cattolici.

Critico anche Jean-Leonard Touadi, parlamentare di origine congolese del Pd ed ex assessore del Comune di Roma, che in una nota definisce la proposta della Lega Nord "semplicemente inumana". "Per due ragioni - spiega Touadi. La prima è che si pensa che l’accesso alla cittadinanza e al soggiorno sia una sorta di concessione meritocratica, quando invece fa parte dello status civile di ogni essere umano. La seconda, ancora peggiore, è che si nega di fatto a chi non ha il permesso di soggiorno l’accesso ai diritti umani basilari, come l’istruzione e le cure mediche di base".

Quella della Lega Nord è "un’idea balzana, un ulteriore peggioramento di provvedimenti già sbagliati e punitivi" - commenta il responsabile dell’Ufficio immigrazione della Cgil Nazionale, Pietro Soldini. "I provvedimenti proposti dal Governo sul tema dell’immigrazione sono normalmente sbagliati, improntati ad uno spirito punitivo nei confronti dei lavoratori immigrati. Ma è ormai prassi sistematica - continua Soldini - che questi provvedimenti, nel passaggio al Parlamento, vengano ulteriormente peggiorati da emendamenti della Lega e non solo, così smaccatamente razzisti, astrusi e provocatori che fanno pensare ad una strategia di depistaggio. Una sorta di gioco di squadra per cui si avanzano ipotesi scioccanti sulle quali si concentra il dibattito, per poi far passare come male minore o accettabile i provvedimenti del Governo" - conclude il responsabile della Cgil Nazionale.

Immigrazione: Italia e Romania, più sforzi contro la criminalità

 

Redattore Sociale - Dire, 9 ottobre 2008

 

"Le autorità italiane e romene intensificheranno gli sforzi comuni per combattere la criminalità ed assumere misure appropriate contro chi commette reati". È quanto disposto oggi dal vertice intergovernativo tra Italia e Romania e sancito in una dichiarazione firmata dal ministro degli Esteri Franco Frattini e dal suo omologo Lazar Comanescu.

Nella dichiarazione si legge anche che "ulteriori misure saranno assunte per rafforzare la cooperazione tra le amministrazioni locali, così come a livello dei prefetti, anche con riferimento alle tematiche riguardanti i cittadini romeni residenti in Italia, in considerazione dell’importanza riconosciuta da entrambi le parti a tale comunità".

Il governo lavora per l’inserimento sociale dei rom. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio a conclusione del vertice con il presidente romeno Calin Popescu Tariceanu a Villa Madama: "C’è il problema dell’inserimento sociale della comunità rom - ha detto Berlusconi - e di questo mi sto occupando io per quanto riguarda il Comune di Roma. Non vorremmo esaltare l’importanza di ciò che ha avuto molto spazio sulla nostra stampa circa i fatti compiuti da alcuni romeni in Italia: sono persone serissime che si sono inserite benissimo nel nostro sistema economico e hanno dato un grande contributo alla nostra economia: a loro sono grato".

Verso l’intesa su immigrati. Rispondendo a una domanda di Tariceanu, che gli ha chiesto se i due paesi stiano raggiungendo un accordo definitivo sulla questione degli immigrati romeni nel nostro paese, il premier ha poi aggiunto: "I nostri ministri della Giustizia e dell’Interno hanno già lavorato insieme e stiamo andando verso conclusioni veloci di assoluta e reciproca soddisfazione. I romeni sono comunitari e noi dobbiamo lavorare perché si possa avere una soluzione comune su base europea. Il problema è che qui arrivano persone senza professionalità e senza mestiere, che quindi per vivere si devono dare alla delinquenza. Ma credo che sia tempo che tutta l’Unione Europea si dia regole comuni".

Scambio detenuti. Poi Berlusconi ha spiegato che i due Paesi stanno esaminando "una misura che consenta di attuare lo scambio di cittadini dichiarati colpevoli di reato. Applicando una norma già vigente - ha detto - possiamo trasferire da un Paese all’altro i cittadini condannati. Con l’accordo bilaterale non ci sarà bisogno del consenso del condannato. I ministri dell’Interno e della Giustizia, Roberto Maroni ed Angelino Alfano, stanno lavorando a questo".

Rimpatrio minori. Dal 12 ottobre entrerà in vigore l’accordo bilaterale tra Italia e Romania sui minori romeni non accompagnati, firmato lo scorso 9 giugno, che consentirà alle autorità italiane e romene di adottare le misure necessarie per il loro ritorno in patria. Consultazioni riguardanti l’attuazione dell’accordo si svolgeranno regolarmente.

Vertice a tre con la Serbia. Tra i prossimi incontri in programma c’è il vertice a tre tra Italia-Romania e Serbia per "risolvere in Europa il problema dei Balcani": "Per quanto riguarda la politica europea e la politica internazionale abbiamo accettato di tenere un vertice a tre con la Serbia - ha concluso il presidente del Consiglio - perché condividiamo che il problema dei Balcani si risolva in Europa".

Maroni "Italia prima per accoglienza". L’Italia è in Europa il Paese che "accoglie di più e meglio" gli immigrati che provengono da "scenari di guerra", le donne e i bambini. Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni nel corso della sua informativa urgente alla Camera sui recenti atti di violenza nei confronti di cittadini immigrati. Il ministro ha ribadito che a livello europeo il nostro Paese "si distingue per elevata capacità di accoglienza degli immigrati". Il "modello di integrazione italiano funziona", ha aggiunto citando come esempio la percentuale accolta delle domande presentate dai richiedenti asilo: "in Germania sono il 36%, in Inghilterra il 48%, in Francia il 22%, in Spagna l’8,5%, in Grecia lo 0,8%. E in Italia il 59%". E dunque, "se si guarda alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza le lenti dell’ideologismo", ha aggiunto il ministro, ci si rende conto che non c’è una "deriva razzista".

Immigrazione: così, nell’indifferenza, si fa largo la xenofobia

di Innocenzo Cipolletta

 

Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2008

 

Gli italiani non sono razzisti. La gran maggioranza degli immigrati si sta integrando nel nostro Paese in modo positivo e meglio di quanto avessimo potuto supporre. Quindi, non c’è da spaventarsi per i recenti episodi di intolleranza verso immigrati che sono emersi dalla cronaca? Se è vero che il Paese ha le capacità di reagire a questi episodi, tuttavia non va affatto sottovalutato il rischio di razzismo.

Infatti il razzismo di un Paese non si misura sulla base delle percentuali o delle maggioranze nella popolazione. Esso si misura sul grado di indifferenza verso episodi di razzismo che, seppure isolati, si ripetono con continuità e che vengono negati per essere derubricati come banali atti di delinquenza spesso minorile: da condannare, certo, ma non da farne un problema nazionale. Un po’ come si è fatto, e purtroppo si fa ancora, nei confronti della mafia, che molti considerano non esistere e alzano le spalle con un certo fastidio quando qualcuno la nomina e fa appello a comportamenti più civili di resistenza e di denuncia anche di episodi di taglieggiamento quotidiano.

 

Salto negativo

 

Fino a ieri in Italia ci si lamentava della scarsa attrattività del nostro territorio a causa dei costi elevati, delle rigidità normative e della burocrazia che teneva lontani investimenti e turisti di altri Paesi. A questi fattori non dobbiamo aggiungerci anche quello della xenofobia. Ciò che preoccupa, nei recenti episodi, è soprattutto il "salto di qualità" che ha fatto lo spirito di xenofobia nel nostro Paese nel corso del 2008, come ci fosse, in alcuni strati della popolazione, un sentimento represso che è stato fatto emergere. Tali episodi non sono più il prodotto di una reazione a eventi criminali, denunciati a gran voce, che hanno riguardato clandestini 0 immigrati. Stiamo assistendo invece ad aggressioni nei confronti di cittadini stranieri e ad atti di reale discriminazione razziale. Ormai vittime del razzismo sono anche e soprattutto stranieri che sono integrati. Anche questo è un "salto di qualità".

Si aggrediscono, anche e soprattutto, gli stranieri di seconda generazione o comunque persone che sono integrate nel nostro Paese. Quelli che parlano italiano, che studiano o hanno studiato in Italia, che hanno o cercano un lavoro eguale a quello degli italiani, che hanno o cercano un compagno o una compagna non necessariamente della propria comunità. È qui che la paura per lo straniero come diverso rischia di trasformarsi in razzismo.

Si discriminano le persone, non già perché non parlano la nostra lingua o perché accettano lavori che noi non faremmo più, o perché vivono con usi e costumi diversi dai nostri, come è avvenuto per gli immigrati di prima generazione. Oggi si discriminano persone che parlano la nostra lingua, che studiano nelle nostre scuole e che pretendono un lavoro e una comunità eguale alla nostra. Queste persone sono simili a noi in tutto, tranne che in alcuni tratti somatici, che diventano perciò il vero segno della discriminazione. Da qui il rischio della degradazione del sentimento di diffidenza verso gli stranieri in vero e proprio razzismo.

 

Campagna sicurezza

 

Questo rischio di razzismo, purtroppo comune a molti Paesi, trova da noi alimento in diversi fattori. Fra questi anche l’errata convinzione che fosse necessario accettare l’immigrazione, non perché si tratta di un fenomeno mondiale a cui dobbiamo dare una risposta positiva, ma essenzialmente perché il nostro Paese aveva bisogno di braccia per lavori che noi non facciamo più. Non che ciò non fosse vero, ma questa visione è riduttiva e pericolosa. Riduttiva perché le migrazioni dipendono non solo dai bisogni dei Paesi che accolgono, ma sempre più dalla fuga da Paesi che non consentono alcun modo civile di vita. È quindi un dovere, oltre che un interesse, dei Paesi ricchi di accogliere chi cerca di fuggire dalla miseria.

Pericolosa perché gli immigrati dovrebbero essere accettati solo quando servono, dovrebbero essere cacciati via quando non servono più e dovrebbero essere per sempre relegati in mansioni rifiutate dagli italiani. Ecco che, con questa accezione, appena arriva la seconda generazione che invece vuole, a ragione, competere con gli italiani, si scatena la reazione di chi non vede più motivi per accogliere che gli "ruba" il lavoro e i compagni.

Occorre poi riconoscere che la situazione è precipitata negli ultimi tempi in seguito a una campagna elettorale basata sulla sicurezza minacciata dall’immigrazione e una serie di provvedimenti che hanno finito per prendere di mira, di diritto o di fatto, gli immigrati. Dalle misure per schedare i rom, all’uso dei militari per pattugliare le principali città, fino ai provvedimenti contro la prostituzione per le strade. Queste misure in tempi normali sarebbero state prese per via amministrativa senza il clamore che hanno suscitato, contribuendo a dare l’idea di un progetto volto a discriminare gli immigrati quasi che fossero loro la causa di tutti i nostri disagi.

Per evitare che il Paese venga considerato ostile agli stranieri e per frenare probabili altri episodi di intolleranza razziale, è bene che il rischio razzismo non venga sottovalutato e si dia luogo a una serie di misure positive, volte a favorire l’integrazione degli immigrati e a difendere i loro diritti come esseri umani e come cittadini partecipi della nostra vita civile.

Immigrazione: sul reato di clandestina salta l’ipotesi di arresto

di Gianni Santamaria

 

Avvenire, 9 ottobre 2008

 

Per il reato di immigrazione clandestina spunta l’ipotesi di sanzioni più lievi. Domani scadono i termini per la presentazione degli emendamenti al ddl sulla sicurezza, che inizia l’iter alle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato. E l’esecutivo cerca di smussare la portata di uno degli articoli che più hanno fatto discutere: il numero 9, che prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni, l’obbligatorietà dell’arresto del clandestino e la sua espulsione, se condannato dopo rito direttissimo.

A pesare sull’ipotesi di alleggerimento sarà stata la considerazione dell’aggravio di lavoro per forze di polizia e magistratura. L’emendamento in questione, infatti, al momento prevede che l’ingresso illegale in Italia venga punito con un’ammenda. E che a convalidare il provvedimento di espulsione sia un giudice di pace.

Intanto continua lo scontro tra maggioranza e opposizione sul clima di razzismo e xenofobia, che - sostengono gli esponenti di minoranza - si starebbe creando nel Paese. Episodi ce ne sono e il governo "non li sottovaluta", replica il ministro degli Interni Roberto Maroni, che ieri ha risposto sull’argomento in un question time alla Camera su sollecitazione dell’Udc. Vanno evitati però "allarmismi".

Alcuni episodi di cronaca nera, infatti, possono essere spiegati con l’odio verso lo straniero o il diverso, "ma non tutti quelli che sono stati denunciati come episodi di stampo razzista tali da invocare un’emergenza sono riconducibili a quella matrice".

"I fenomeni di intolleranza e razzismo nel nostro Paese non vanno sottovalutati. Non facciamo allarmismo, né speculazioni politiche, ma qui è in ballo la nostra radice storica di nazione tollerante, inglobante e sicura in alternativa a una società nella quale prevale la paura", ha detto in Aula il presidente vicario dei deputati Udc Michele Vietti.

Maroni ha fatto poi riferimento a un episodio in particolare: quello della donna somala fermata a Ciampino. Prima implicitamente, quando ha affermato che il governo è impegnato a contrastare "le strumentalizzazioni contro la forze dell’ordine da chi ritiene di aver subito un torto, aggravato dalla finalità razzista, ed è vero esattamente il contrario".

Poi in modo aperto, quando il titolare del Viminale si è detto vicino alla polizia aeroportuale e ha annunciato che il governo si costituirà parte civile in un eventuale processo. "Le vessazioni denunciate dalla signora Amina sono state gravi e ripetute e connotate da un atteggiamento discriminatorio", insiste però l’avvocato della donna.

La Lega, infine, fa quadrato sulla sua proposta che sta suscitando diverse reazioni negative: il permesso di soggiorno "a punti". "Credo sia utile a tutti verificare sia in senso positivo che negativo il comportamento di chi è nel nostro Paese", sostiene il ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli. Oltre che dall’opposizione le bordate contro l’equivalente della patente da rilasciare agli immigrati regolari (con un punteggio da defalcare in caso di reati) sono arrivate anche dall’associazionismo sociale e degli enti locali.

"Il permesso di soggiorno è uno strumento normativo che ratifica un diritto, non è un concorso a punti - dice il presidente delle Acli Andrea Olivero -.La legislazione ha gli strumenti eventualmente per revocarlo, se se ne verifichino le condizioni. Tutto il resto è discriminatorio". "Idea balzana", la bolla il responsabile dell’Ufficio immigrazione della Cgil, Pietro Soldini.

Critiche sul punto arrivano anche dall’Anci, che comunque plaude all’ipotesi di Maroni di trasferire le competenze sui permessi alle amministrazioni comunali. "La accogliamo con favore ed estremo interesse", fa sapere Fabio Sturani, primo cittadino di Ancona e vicepresidente dell’associazione dei Comuni con delega all’immigrazione.

Ma "i diritti non sono sottoponibili a criteri di punteggio", aggiunge. Anzi, rischiano di ottenere l’effetto opposto, cioè un aumento dell’irregolarità. Se ne dice convinto Paolo Ferrerò segretario del Prc che inasprisce i toni e aggiunge che il problema è, invece, "come rendere più veloce il riconoscimento della cittadinanza e allungare la durata dei permessi di soggiorno". H resto è "demagogia razzista e xenofoba".

Immigrazione: Barbagli; il vero problema… sono le espulsioni

di Luca Liverani

 

Avvenire, 9 ottobre 2008

 

Tra allarmismi e sottovalutazioni, il dibattito su immigrazione e sicurezza nel Paese "è condizionato dai pregiudizi". Tra chi insomma vede solo clandestini e chi invece minimizza, la realtà è che "non sono gli irregolari il problema, spesso in queste condizioni per disfunzioni del nostro sistema, ma gli irregolari che delinquono. La polizia li chiama "rintracciati", ma solo una parte vengono espulsi. È una quota che va aumentata fortemente".

Il sociologo Marzio Barbagli ragiona sui numeri. Ha cominciato a studiare il binomio tra immigrati e criminalità dodici anni fa. Ed è in grado di cantare fuori dal coro: "La legge Turco-Napolitano e la Bossi-Fini sono state spesso contrapposte come il diavolo e l’acqua santa, in realtà hanno molto in comune".

Le espulsioni, che con la legge Martelli non arrivavano al 15%, con la riforma del governo Prodi arrivarono al 40%. La Bossi-Fini le ha poi portate al 50%, ma nel 2006 non ha potuto impedire che crollassero al 20%. È un’analisi lucida e pragmatica quella del cattedratico bolognese in Immigrazione e sicurezza in Italia, 236 pagine, edizioni il Mulino, che ieri ha presentato. Barbagli conferma la crescita del numero di immigrati denunciati.

"Per quasi tutti i reati gravi, c’è stato un continuo aumento percentuale di stranieri": dal 6% dell’88 al 24% del 2007. Proporzionale alla loro crescita numerica, salita negli stessi anni dallo 0,8% delle popolazione a oltre il 4%. Grandi differenze tra Nord e Sud: "A Bologna gli spacciatori sono per il 70% immigrati, al Sud il 7%".

Alcuni sono quasi monopolizzati: nel 2007 i denunciati per furto in appartamento erano quasi il 53%, il borseggio sfiorava il 68%, le rapine in casa il 50%, lo scippo il 32%. C’è qualche reato dove però gli italiani sono ancora la stragrande maggioranza come le rapine in banca o alle poste. Tra i pochi stranieri che intimano il "mani in alto questa è una rapina", i più numerosi sono - sorpresa! - i tedeschi e gli irlandesi. Per gli altri reati - omicidi, furti, truffe - Romania, Albania e Marocco si contendono la leadership.

"Io comunque non parlo di clandestini - sottolinea- perché è un termine assolutamente sbagliato che dà un’idea falsa degli immigrati senza permesso. I due terzi degli irregolari sono over stayers, persone che entrano col visto turistico che poi scade. Gli sbarchi sono una minoranza. La polizia lo sa bene e chiude un occhio. Sono i "rintracciati", che svolgono attività illecite, circa 100 mila l’anno, quelli da espellere". La stessa Bossi-Fini ha perso efficacia "perché è stata in parte dichiarata incostituzionale".

Un capitolo è dedicato ai romeni e all’omicidio Reggiani. Destra e sinistra, racconta il sociologo, hanno polemizzato sull’ingresso della Romania nell’Ue il 1° gennaio 2007: "Il cambiamento era cominciato molto prima, col regolamento Ue del 2002 che abolì per 43 Paesi tra cui la Romania l’obbligo di visto che per i rumeni costava anche 2.000 euro".

L’aumento dei denunciati rumeni comincia molto prima del caso Reggiani: "Dal 2002 vi è un aumento continuo del numero di arrestati per omicidio", nel 2007 peraltro arrestatosi a 53 omicidi, mentre gli albanesi sono a 60. "Non che i rumeni non diano un contributo rilevante al crimine - dice Barbagli - ma in quel momento i partiti hanno preso un abbaglio".

Sorprende forse che "gli immigrati sono più a rischio degli italiani per omicidio, stupro, borseggio. E omicidi e stupri in media avvengono soprattutto all’interno dello stesso gruppo". Gli assassini albanesi "uccidono per il 75% albanesi". Se gli immigrati hanno qualcosa da temere in Italia "devono guardarsi soprattutto dai loro connazionali".

Barbagli dunque frena sull’emergenza-razzismo: "Io credo non ci sia. La lettura dei casi è fortemente politica. Non ci sono dati e serie storiche che ci possono aiutare". Data per scontata una maggiore efficacia nelle espulsione dei delinquenti, Barbagli dice anche che "per la prevenzione serve l’integrazione. La più semplice è rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza, in Europa l’Italia è ai livelli più bassi. Manca u-no sforzo per l’integrazione, come un grande piano scolastico".

Immigrazione: auto in divieto di sosta senegalese ammanettato

 

La Repubblica, 9 ottobre 2008

 

Steso a pancia in giù a terra, con le mani dietro la schiena e le manette ai polsi, circondato da sei vigili davanti a decine di genitori e bimbi, compreso il figlio di 6 anni. Così si è ritrovato ieri mattina Moussa Dita, senegalese, 43 anni, da sedici a Milano dove lavora come operaio, sposato con una donna italiana. Aveva parcheggiato sul marciapiede davanti alla scuola elementare di via Mantegna, tra la Rai di corso Sempione e Chinatown, ed è stato bloccato da due vigili del vicino comando di zona che gli contestavano il mancato uso delle cinture di sicurezza per il piccolo: "Volevano le chiavi della mia macchina - racconta - mi hanno detto che me l’avrebbero sequestrata. Ho risposto che dovevano chiamare il carro attrezzi, e che li avrei pure seguiti, ma prima dovevo portare il bimbo a scuola".

L’uomo è stato immobilizzato, mentre il figlio veniva accompagnato in classe dalla mamma di un compagno, identificato e denunciato per resistenza al vicino comando di zona. Qui è arrivata anche una dozzina di genitori, decisi a mettere a verbale le proprie proteste, raccolte più tardi in volantini affisso ai cancelli dell’elementare con l’emblematico titolo: "Milano sicura?". Per i vigili - due di loro sono stati medicati, escoriazioni guaribili in 7 e 5 giorni - si è trattata di una reazione a un tentativo di aggressione. "La tesi del movente razzista è infondata e offensiva", s’affretta a dichiarare il vicesindaco Riccardo De Corato, che aggiunge: "Aspetto una relazione scritta dal comandante emiliano Bezzon. Se la reazione dell’uomo non c’è stata è chiaro che ci troviamo davanti a un eccesso". Il Pd milanese chiede chiarimenti "per fugare ogni dubbio".

Ed è stato un messaggio su un blog internet a rivelare un episodio di razzismo accaduto nei giorni scorsi a Rovereto, dove un diciottenne di colore adottato da una famiglia locale è stato picchiato da una decina di coetanei che l’hanno affrontato in gruppo costringendolo a inginocchiarsi e a scusarsi "per l’appartenenza a una razza inferiore". La vittima ha scelto per quieto vivere di non presentare denuncia ma conferma nei dettagli quanto accaduto durante una festa e riportato su internet da uno studente che era presente sul posto: "Tutta colpa di un litigio per una ragazza", racconta il ragazzo di colore. "Hanno iniziato a chiamarmi "scimmia rasta", "negro di merda" e avanti di questo passo. Io ho lasciato perdere e mi sono allontanato, ma al termine della festa li ho incontrati nuovamente. Erano in dieci, mi hanno scaricato addosso una valanga di insulti razzisti, pretendevano che mi scusassi. Ero furioso ma loro erano troppi, mi sono scusato ma quando mi hanno ordinato di farlo in ginocchio ho protestato con una spinta e sono stato colpito con un pugno al volto e quindi spinto su una balaustra. Ero nervosissimo, ma me la sono fatta passare. Ora cerco solo di non pensarci".

Tutto questo mentre il ministro dell’Interno Roberto Maroni, nel corso del question time alla Camera, ha difeso l’attività delle forze dell’ordine nel caso di Amina, la 51enne somala che ha denunciato maltrattamenti all’aeroporto di Ciampino da parte della polizia: "Hanno agito correttamente - ha detto, annunciando la costituzione di parte civile del Governo all’eventuale processo - non tutti gli episodi denunciati sono riconducibili ad atti di razzismo".

Droghe: Ronchi; in 2009 necessaria un’azione comune con l’Ue

 

Redattore Sociale - Dire, 9 ottobre 2008

 

"È necessario avviare già dal prossimo anno un’azione coordinata a livello europeo di contrasto alla droga". Lo afferma il ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi, durante il suo colloquio, questa mattina, con il comandante generale della Guardia di finanza, Cosimo D’Arrigo. "Serve un impegno comune e vi chiedo di aiutarmi in questa sfida- sottolinea- dobbiamo fare tutti qualcosa di più anche attraverso una maggiore certezza della pena". "Nel corso dei colloqui - spiega Ronchi - ho voluto ringraziare il Corpo per l’alto senso dello Stato e la grande specializzazione dei propri uomini e reparti. La Guardia di Finanza costituisce un fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo ed è considerata ovunque all’estero un’eccellenza".

Droghe: criminalizzare consumo più pericoloso di droghe stesse

 

Redattore Sociale - Dire, 9 ottobre 2008

 

L’olandese Peter Cohen parla a Napoli del modello adottato dal comune di Amsterdam. L’unica risposta? "La legalizzazione".

"Criminalizzare i consumatori di droghe è molto più pericoloso delle droghe stesse". Questo l’allarme lanciato dal sociologo olandese Peter Cohen, uno dei protagonisti delle politiche adottate dal comune di Amsterdam in materia di droga, intervenuto ieri a Napoli nel corso di un incontro organizzato dal dipartimento Farmacodipendenze dell’Asl napoletana con le agenzie del terzo settore.

In fatto di droga, il modello italiano si basa su tre presupposti fondamentali: prevenzione, repressione, recupero. Lei, invece, propone qualcosa di completamente diverso. Non capisco cosa significa questa triade. Si tratta di parole magiche, ma assolutamente vuote di significato. Nella mia esperienza, non ho mai visto il minino risultato nei paesi dove la politica si è ispirata a questi principi. La prevenzione è quasi impossibile; la repressione è inutile quanto dannosa, dal momento che la criminalizzazione delle droghe è il suo maggior problema; quanto al cosiddetto recupero, la maggior parte dei tossicodipendenti non vuole essere recuperata.

 

Quindi, quale è una possibile soluzione?

L’unica risposta possibile è la legalizzazione. Qualcosa che noi abbiamo sperimentato in Olanda più di trenta anni fa, dimostrando che la normalizzazione delle droghe non comporta necessariamente un aumento del consumo. Anzi. Oggi, la maggior parte dei sociologi converge nell’affermare con quasi certezza che rendere le droghe legali al pari del tabacco e dell’alcool non ha maggior influenza sul consumo di altre variabili come quella ambientale, economica, politica o culturale. Inoltre, in condizioni di legalità, noi abbiamo osservato che i consumi sono molto più controllati.

 

In che senso controllati?

Più bassi. Le persone che consumano regolarmente cannabis o hashish, ad esempio, lo fanno una volta tanto, non fanno uso di altri tipi di sostanze e, col tempo, diminuiscono le dosi. Ad Amsterdam, ci sono circa 800 negozi, dotati di regolare licenza, all’interno dei quali si può acquistare cannabis, così come avviene con l’alcool e le sigarette. Prima lo si poteva fare a partire dai 16 anni, da qualche anno, più per ragioni politiche che altro, è stata innalzata l’età a 18 anni. La massima quantità consentita è 5 grammi, ma i ragazzi ne acquistano sempre mezzo e tornano a comprarlo dopo qualche giorno.

 

Secondo lei il modello olandese, che prevede anche servizi pubblici per i tossicodipendenti, dormitori, stanze del consumo, in che modo potrebbe essere esportato in una realtà così diversa come l’Italia?

Si tratta di un modello che è possibile esportare ovunque. Ovviamente con le dovute differenze strettamente dipendenti dal diverso contesto politico e culturale. Non spetta a me dire come, ma la legalizzazione delle droghe può essere una soluzione praticabile anche qui, declinata e tradotta secondo, diciamo così, i costumi locali.

 

Oggi si parla del problema della droga come strettamente legato a quello della sicurezza, secondo lei quale è la correlazione tra le due cose?

Sicuramente, la correlazione dipende dal fatto che l’uso di droghe alimenta il mercato nero e l’illegalità. Attraverso adeguate misure di controllo del consumo, però, si potrebbero avere ricadute significative anche sulla criminalità, in primis con la normalizzazione delle droghe, che terrebbe lontani i consumatori da atti criminali o attività illegali. Per ottenere questo risultato, quindi, la prima cosa da fare è: non criminalizzare chi fa uso di sostanze.

Mondo: gli italiani detenuti all’estero, i "prigionieri del silenzio"

 

Apcom, 9 ottobre 2008

 

Il silenzio ferisce come la tortura. Cittadini italiani, spesso volte innocenti, chiusi in carcere, in terra straniera. Succede in Brasile, Venezuela, Stati Uniti, Spagna, estremo oriente, Africa. E spesso "appare palese la negazione dei diritti fondamentali dell’essere umano". L’associazione no-profit "Prigionieri del silenzio", che ha come scopo la difesa dei diritti degli italiani in stato di detenzione all’estero, organizza venerdì 10, a Milano, un incontro per portare alla luce le vicende, le storie, di chi da dietro le sbarre, lontano dai propri cari e dal proprio Paese, grida la propria innocenza. L’appuntamento è alla sala commissioni del Comune di Milano, a Palazzo Marino.

È annunciata la presenza di Matteo Salvini, presidente della commissione sicurezza del comune di Milano; Katia Anedda, presidente dell’associazione Prigionieri del silenzio; Ivan Suen, presidente dell’associazione Centro italiano attori; Renata Galanti, coordinatrice federale delle Associazioni Padane; Luciana Martena, responsabile Pdl - Germania.

Sono stati inoltre invitati a partecipare: il senatore Alfredo Mantica, sottosegretario al ministero affari esteri con delega Italiani nel mondo; l’ex viceministro agli esteri, senatore Franco Danieli; Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo. L’invito - si sottolinea in una nota - è stato esteso a tutti i parlamentari italiani eletti all’estero ed ai Garanti dei detenuti.

Nel corso della conferenza, il Centro Italiano Attori presenterà la piece teatrale dedicato al caso più controverso che l’associazione sta trattando, quello di Carlo Parlanti, che sarà messo in scena il 15 Ottobre prossimo, sempre a Milano.

Russia: Khodorkovsky punito con isolamento dopo un'intervista

 

Il Velino, 9 ottobre 2008

 

In pieno contrasto con le recenti dichiarazioni del governo russo a favore dello stato di diritto e della giustizia, gli avvocati di Mikhail Khodorkovsky hanno testimoniato come il più conosciuto prigioniero politico del Paese sia stato posto in isolamento dopo l’intervista rilasciata ad Esquire. "Il sistema di giustizia di un Paese si basa sui fatti e non solo sulle dichiarazioni dei leader - dice Robert Amsterdam, responsabile della difesa di Khodorkovsky a livello internazionale -.

Questo triste capitolo della storia russa deve prendere un nuovo corso; l’era del nichilismo legale russo deve finire". Khodorkovsky è tenuto in isolamento nella sua prigione in Siberia per un periodo di dodici giorni a partire dall’8 ottobre. Questo periodo di confino solitario giunge in un momento in cui si attende l’appello per la libertà condizionata previsto per metà ottobre.

Esquire ha gestito l’intervista attraverso lo scambio di domande e risposte scritte tra il detenuto e il noto scrittore Boris Akunin. Nel rilasciare l’intervista, Khodorkovsky e i suoi legali hanno scrupolosamente rispettato tutte le regole previste in caso di contatti e comunicazioni con l’esterno. Oggi è stata diffusa una dichiarazione del legale russo di Khodorkovsky che ha sottolineato come non ci siano basi legali per giustificare l’isolamento. L’avvocato confida in un riesame del provvedimento da parte delle autorità giudiziarie ed amministrative allo scopo di cessare le violazioni dei diritti di Khodorkovsky.

Iran: impiccato trafficante droga, nel 2008 già 185 esecuzioni

 

Notiziario Aduc, 9 ottobre 2008

 

Un trafficante di droga è stato impiccato in Iran nella prigione di Hamadan, città nell’ovest del Paese, secondo quanto riferisce oggi il quotidiano Etemad. L’uomo, Taher H., era stato arrestato in un primo tempo per traffico di stupefacenti ed era poi fuggito durante un permesso di uscita dal carcere. La polizia lo aveva poi nuovamente arrestato, trovandolo in possesso di 242 chilogrammi di oppio. Salgono così ad almeno 185 le impiccagioni in Iran dall’inizio dell’anno, secondo notizie di stampa. Nel 2007, secondo Amnesty International, erano state 317, una cifra che aveva posto la Repubblica islamica al secondo posto per numero di esecuzioni capitali dopo la Cina.

 

 

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