Rassegna stampa 8 novembre

 

Giustizia: l’ossessione sicurezza, le ronde e i clochard schedati

di Claudio Jampaglia

 

Liberazione, 8 novembre 2008

 

Ossessione sicurezza: il governo vara un disegno di legge che smantella lo stato di diritto. Su campi e luoghi di culto decidono i referendum. E Borghezio può organizzare i suoi manipoli.

Ronde legalizzate (e finanziabili dai Comuni) e referendum locali per autorizzare la costruzione di luoghi di culto altri dalle chiese cattoliche o di campi nomadi. Dopo la schedatura dei senza fissa dimora dell’altro ieri e il permesso di soggiorno a punti la Lega fa l’en plein sul Ddl sicurezza passato definitivamente in Commissione Giustizia al Senato.

Il voto in aula è previsto per martedì e stavolta il Pd sembrerebbe intenzionato ad una dura opposizione (lo promette Felice Casson, gli altri speriamo...). Ma comunque passerà. E quindi preparatevi, come dice la legge, a incontrare per strada la sera (o anche di giorno, perché no?) "guardie particolari giurate, nonché associazioni tra cittadini, con funzioni ausiliarie di sorveglianza dei luoghi pubblici" che "cooperano nello svolgimento dell’attività di presidio del territorio". Ronde. Regolamentate dai Comuni, che "segnalino a polizia locale e forze dell’ordine eventi che possano arrecare danno o disagio alla sicurezza urbana". Ronde "con funzioni ausiliarie di sorveglianza dei luoghi pubblici". Così dice la legge. Le armi non gliele hanno ancora date, ma se un cittadino avesse il porto d’armi che fa, si porta dietro il ferro?

Allora immaginatevi una bella ronda, magari capitanata dall’onorevole Borghezio, sotto casa. E sentitevi sicuri. Tanto sono "solo" contro gli altri. Come quei poveracci a cui un gruppo di camicie verdi bruciò delle baracche sotto il ponte Principessa Clotilde il 1° luglio del 2000 (Borghezio viene condannato nel 2002 a 8 mesi in primo grado, poi a 2 anni e 20 giorni, poi a una multa di 3mila euro in Cassazione).

Erano extracomunitari, senza fissa dimora, forse spacciatori. La gente perbene non deve avere paura di Borghezio e nemmeno delle ronde. Perché signora mia, non basta nemmeno l’esercito, bisognerà farsi giustizia da soli.

Chissà cosa diranno i poliziotti e i loro sindacati che tra pochi giorni dovranno trovarsi a fronteggiare oltre che i criminali, anche le ronde. Seguirle. Monitorarle. Evitare che facciano danni, che si mettano nei pericoli, che creino allarmi inutili da verificare continuamente. Un altro provvedimento boomerang? E chi se ne frega.

A furia di spararla grossa e allargare a dismisura i provvedimenti sulla sicurezza si fanno danni alla sicurezza vera e a chi deve gestirla. E poi avanti con l’odio. Col sospetto. Conoscere le strade del proprio quartiere, frequentarle, viverle, viene tramutato in "controllo ausiliario di polizia". Vi immaginate il vostro vicino di casa destrorso e rincoglionito (ce n’è sempre uno) che chiede "chi va là" ai vostri figli che rientrano la sera. E poi?

A furia di spararla grossa, però, si fanno anche buchi nell’acqua. È il caso del famoso reato di immigrazione clandestina. Su cui il governo è costretto a fare indietro tutta dopo averlo sbandierato ai quattro venti. Con un emendamento presentato all’ultimo minuto dal governo in Commissione (si vergognavano?) il Ddl sicurezza cambia così quella che doveva essere la sua norma fondamentale: lo straniero irregolare scoperto dalle forze dell’ordine dovrà pagare un’ammenda da 5 a 10mila euro.

Niente più arresto né processo per direttissima (e meno male, non solo per i migranti ma anche per le carceri, per i tribunali...). Si finisce con il verbale. Solo che difficilmente i migranti senza residenza, senza permesso, arriveranno col bancomat (come ironizza Casson). Quindi? Un verbale. Meglio così, lo ripetiamo. Dalla tragedia alla farsa. Ma siccome qualcosa devono pure dire di avere fatto. Allora via libera alle ronde.

Forza. Opponiamoci. Facciamo ricorsi. Le ronde puzzano di anticostituzionale lontano un miglio. C’è la possibilità che dovranno rimangiarsi anche quelle. Perché il punto è che non sanno quello che dicono. Non hanno la più pallida idea di cosa stanno toccando. Non c’è altra possibile spiegazione. Si vede chiaramente dal "censimento di polizia" per i senza fissa dimora che segue quello contestatissimo anche dall’Europa dei rom (diabolico perseverare).

Una norma stupida e inapplicabile che esisteva già (dal 1954). Come farà il Viminale a regolamentare, entro 180 giorni, un registro dei senzatetto? Sarà da ridere, per non piangere. Come spiega a Redattore Sociale Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, "non volendo pensare che il Governo agisca per motivi diversi dalla tutela dei diritti, non possiamo che dedurre che tale registro sia anche il modo per concedere a qualunque persona senza dimora una prestigiosa residenza anagrafica in Piazza del Viminale 1, a Roma, dove forse magari un giorno potranno anche, in caso di bisogno, essere domiciliati o addirittura alloggiati i "clochard" del paese".

Una delle poche caratteristiche di massa dei senza fissa dimora è la mancanza di residenza anagrafica. La legge la imporrebbe a carico dei Comuni. Ma non ci riescono. Sopperiscono le organizzazioni sociali (dalla Caritas alle cooperative sociali) con "residenze amministrative" presso le loro sedi per questi "fantasmi burocratici" per poi accompagnarli a chiedere tessera sanitaria e accesso ai servizi. Sarà la polizia a farsi carico di tutto questo?

Giustizia: Alfano; con l’informatica stop a scarcerazioni facili

 

Agi, 8 novembre 2008

 

Sulla innovazione informatica nei Tribunali e sui processi telematici il ministro della Giustizia Angelino Alfano - oggi a Trieste per un incontro con il presidente della regione Renzo Tondo e per un convegno sul rapporto tra giustizia e enti locali - ha affermato che "noi abbiamo rilanciato questa ipotesi di processo telematico, di fascicolo informatico, perché pensiamo che tante nostre case e tantissimi nostri uffici viaggino alla velocità di Internet e non è possibile invece che le cancellerie dei tribunali siano ancora ferme alla carta. Questo - ha spiegato Alfano - produce spesso dei ritardi, che poi si scaricano anche sulle scarcerazioni facili e su altre inefficienze del sistema giustizia e quindi - ha concluso - abbiamo fatto un massiccio investimento giuridico e speriamo anche economico per il processo informatico".

Giustizia: "Mai dire mai", recapitati 737 ricorsi di ergastolani

 

Comunicato stampa, 8 novembre 2008

 

Parte la campagna "Mai dire mai" per l’abolizione dell’ergastolo Nella mattina di martedì 4 novembre 2008, una delegazione della Associazione Liberarsi ha simbolicamente consegnato a Bruxelles ad alcuni parlamentari europei 737 ricorsi per l’abolizione dell’ergastolo firmati da altrettanti ergastolani reclusi attualmente in oltre quaranta carceri italiane.

I ricorsi sono indirizzati alla Corte Europea di Strasburgo, dove verranno materialmente recapitati nel corso dei prossimi giorni. La delegazione ha prima avuto un cordiale incontro con l’on. Giusto Catania (Se-Gue) e successivamente si è recata tra gli altri presso gli uffici degli europarlamentari: Marco Cappato, Marco Pannella, Vittorio Prodi, Gerard Duprez, Martine Roure, Sophie IntVeld, Katelijne Buitenweg.

Una lettera firmata dagli ergastolani Carmelo Musumeci, Giovanni Spada e Sebastiano Milazzo è stata inoltre inviata nella giornata di mercoledì 5 novembre a Jacques Barrot, responsabile della Commissione "Giustizia, Sicurezza e Libertà" del Parlamento Europeo. Su iniziativa dell’on. Giusto Catania, gli uffici del Parlamento Europeo condurranno nelle prossime settimane una ricerca sull’istituto dell’ergastolo nei vari paesi europei. Parallelamente, l’Associazione Liberarsi raccoglierà in un dossier dettagliate testimonianze circa le condizioni detentive e di vita alle quali sono sottoposti gli oltre milletrecento ergastolani, molti dei quali sono reclusi in sezioni di massima sicurezza.

Con la consegna simbolica dei ricorsi a Bruxelles ha inizio ufficialmente la campagna "Mai dire mai" per l’abolizione dell’ergastolo. A partire dal 1° dicembre prossimo e fino alla metà di marzo 2009 centinaia di ergastolani condurranno uno sciopero della fame a staffetta che toccherà gradualmente tutte le regioni italiane. In solidarietà con loro scenderanno in sciopero della fame anche altri detenuti, ex-detenuti, familiari e volontari, mentre dibattiti, concerti e altre iniziative avranno come scopo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e del mondo politico sulla questione.

La campagna "Mai dire mai" ha un respiro europeo. Essa è attivamente sostenuta anche da gruppi, collettivi e associazioni che operano in altri paesi europei, dalla Spagna al Regno Unito, dalla Francia al Portogallo. Nella stessa giornata del 4 novembre, l’organizzazione non governativa norvegese Krom, la più importante tra quelle attive nei paesi scandinavi attorno alle questioni penali, ha diramato un comunicato stampa in cui si esprime solidarietà con gli ergastolani reclusi in Italia e si invitano le autorità italiane a "prendere le misure necessarie per abolire l’ergastolo".

 

Per informazioni sulla campagna "Mai dire mai"

Associazione Liberarsi - Via Tavanti, 20 - 50134 Firenze

Giustizia: prostituzione è tema sociale, non di ordine pubblico

di Vittoria Franco (Ministro ombra delle Pari opportunità)

 

Aprile on-line, 8 novembre 2008

 

È approdato in Parlamento il disegno di legge sulla prostituzione presentato dal ministro Mara Carfagna. Un testo dalla filosofia chiara: si punta, equiparando le prostitute ai loro clienti, a nascondere il problema sotto il tappeto invece di affrontarlo alla radice. La proposta del Pd si concentra sul reato di tratta, assimilandolo a quello di mafia, e vuole potenziare le norme per reinserire chi si sottrae al racket

La Commissione Giustizia del Senato ha appena cominciato ad esaminare i disegni di legge sulla prostituzione, a partire da quello presentato dalla ministra delle Pari opportunità Mara Carfagna di cui gli organi di informazione hanno ampiamente parlato. Com’è noto, la proposta del governo introduce il reato di prostituzione in luogo pubblico e punisce con l’arresto da 5 a 15 giorni e con l’ammenda da 200 a 3 mila euro le prostitute e i loro clienti. Gli sfruttatori della prostituzione minorile sono puniti con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da 1500 a 6000 euro, con aggravanti in caso di vittime minori di 16 anni e attenuanti nel caso in cui l’autore dei fatti abbia a sua volta meno di 18 anni. Per i ragazzini e le ragazzine costretti a vendersi in strada il testo prevede invece l’obbligo di rimpatrio, "al fine di realizzare il loro ricongiungimento familiare".

La visione che traspare da questo provvedimento è molto chiara: la Destra ritiene che la prostituzione sia un problema di ordine pubblico, e non una questione sociale. Mara Carfagna ha più volte dichiarato che la prostituzione, così come chi vende il suo corpo, le fa orrore. Così per il governo vendere sesso diventa reato, ma solo in luogo pubblico, mentre rimane la norma della legge Merlin che prevede il carcere per chi, anche inconsapevolmente, affitta un appartamento a persone che vendono prestazioni sessuali.

Dunque, la prostituzione non viene vietata del tutto, ma nascosta come la polvere sotto il tappeto. E a pagare di più sono proprio le vittime, che oltre alle violenze della tratta degli esseri umani ora vengono anche allontanate dai luoghi pubblici e rischiano la galera. I possibili esiti di una normativa del genere sono purtroppo già sotto gli occhi di tutti. A Roma, dove il sindaco Gianni Alemanno ha emanato un’ordinanza ispirata alla proposta del governo, prostitute e trans si sono spostati nei comuni della Provincia, come ha denunciato il presidente Nicola Zingaretti. Il carcere per i clienti, inoltre, è solo una minaccia perché le pene previste vengono sospese e anche le multe sono esigibili solo dopo tre gradi di giudizio.

In sostanza, da un lato il governo fa il muso duro contro le prostitute, dall’altro non affronta il problema alla radice, non colpisce la tratta degli esseri umani che è alla base del fenomeno. È proprio questo, invece, l’obiettivo principale del disegno di legge che abbiamo presentato come Pd e sul quale sfidiamo il governo al confronto. Noi prevediamo l’equiparazione del reato di tratta a quello di mafia, con la confisca dei beni e pene durissime. Per scoraggiare proprio il commercio di esseri umani, la prostituzione in strada viene vietata ma punita con una sanzione amministrativa, da riscuotere sul posto sia dalle prostitute che dai clienti. I sindaci potranno però, se lo riterranno opportuno, indicare aree in cui è possibile esercitare la prostituzione, come chiedono anche le associazioni cattoliche che operano nel settore e che temono l’entrata in clandestinità del fenomeno e il conseguente aggravamento delle violenze contro le donne.

I reati contro i minori vengono puniti più duramente, introducendo misure più efficaci come l’inescusabilità per ignoranza dell’età, l’arresto in flagranza per i clienti e il divieto di patteggiamento. Nessun rimpatrio, ma il recupero per i minori costretti a prostituirsi. Chi affitta a prostitute non correrà più rischi, mentre potenziamo le norme per il recupero e il reinserimento di chi decide di sottrarsi al racket. A noi interessa infatti il destino di queste persone, non ci limitiamo a dire che devono sparire per le strade.

Giustizia: "registro homeless", l’allarme di Avvocato di strada

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

Piazza Grande chiede chiarimenti: "Così si fanno passare i senza dimora come criminali". E secondo Avvocato di strada la schedatura "è impraticabile. È una categoria molto labile, come si fa a censirli?".

"Un registro per i senza dimora? Così li si fa passare per criminali". È la reazione a caldo di Piazza Grande, nelle parole del presidente Leonardo Tancredi. C’è sorpresa e preoccupazione da parte dell’associazione dei senza dimora bolognesi, attiva ormai da 15 anni in città. "La persona che non ha fissa dimora - recita l’emendamento della Lega Nord al ddl sicurezza approvato il 5 novembre dalla Commissione Affari costituzionali e Giustizia del Senato - è iscritta nell’apposito registro istituito presso il ministero dell’Interno". Le funzioni del registro e le modalità con cui verrà costituito per ora rimangono indefinite, sarà il ministro dell’Interno Roberto Maroni - entro 180 giorni dall’approvazione del ddl - a stabilirle. "Chiediamo innanzitutto chiarimenti - spiega il presidente di Piazza Grande - ma l’emendamento ci sembra proprio una boutade. Ancora una volta il Governo mostra il pugno duro, ma sbaglia l’obiettivo: così facendo fa passare il messaggio che i senza dimora siano criminali".

Al di là delle finalità del registro, forti dubbi arrivano anche sulla sua fattibilità. "Chi sono i senza dimora? - dice Jacopo Fiorentino di Avvocato di strada, l’associazione che garantisce assistenza legale gratuita a chi vive in strada -. Ci sono persone che hanno una residenza e vivono in strada, altre che non stanno a casa ma hanno la residenza, altre ancora che hanno la residenza in un dormitorio o in carcere.

Quella degli homeless è una categoria molto molto labile, come si fa a censirli?". Il problema della residenza dei senza dimora, in effetti, è quello su cui Avvocato di strada si batte quotidianamente: i Comuni sarebbero obbligati a concederla a tutti coloro che vivono sul territorio, perché è essenziale per accedere a diritti fondamentali come la cura o il voto. "Il timore - prosegue Fiorentino - è che questo registro si sostituisca alla residenza, creando dei cittadini di serie B". Finire nel registro ed essere etichettati come senza dimora potrebbe in effetti portare a serie conseguenze sulla ricerca di un lavoro o di una casa in affitto.

"Siamo preoccupati - conclude Fiorentino - e chiediamo al Governo di esprimersi chiaramente". Fra chi lavora da anni al fianco degli homeless non manca lo sconforto: "Il testo ci sembra basato sullo stereotipo del senza dimora - prosegue Leonardo Tancredi -: evidentemente hanno in mente l’immagine della persona che dorme per strada, fra scatoloni e coperte, ma la realtà è molto più complessa". Dalle scarne righe dell’emendamento, insomma, "traspare l’ignoranza del fenomeno". Un esempio? "Chi ha firmato il testo forse non sa che fra i senza dimora ci sono anche molti elettori del centro destra e della Lega - ne avevamo parlato anche in un’inchiesta su Piazza Grande, all’indomani delle ultime elezioni".

Giustizia: Turco (Pd); registro dei clochard disumano e incivile

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

"Il registro per le persone senza fissa dimora approvato nottetempo dalla maggioranza è frutto solo di cinismo e ignoranza". Lo afferma Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. "Basterebbe girare nelle sedi della Caritas - sottolinea - e nei centri di accoglienza per rendersi conto che si tratta di persone innocue che si trovano in una situazione dura, di cui spesso non sono neanche i primi responsabili. Non è certo una scelta quella di vivere per strada".

Secondo Turco "il modo di risolvere il problema dei senza fissa dimora proposto dalla Lega Nord è disumano, incivile e vergognoso. Anziché schedarli- sostiene la parlamentare- il governo dovrebbe applicare l’art. 28 della legge 328 sulle politiche sociali e spendere i fondi per le persone che vivono condizioni di povertà estrema per restituire dignità alla vita di queste persone. Occorre un efficace programma contro l’emarginazione per evitare che altri scivolino nell’esclusione sociale". Conclude, quindi, Turco: "Faremo di tutto perché alla Camera vanga cancellato l’emendamento leghista. Non ci rassegniamo a far passare questa folle iniziativa sicuri anche che quanti nel centrodestra non sono d’accordo faranno sentire la loro voce".

Giustizia: Lega; registro clochard esiste già, ma non utilizzato

 

Apcom, 8 novembre 2008

 

Una legge che istituisce un registro per i senza fissa dimora esiste già, ma vecchia e confusa non è mai stata applicata, l’emendamento della Lega mira invece solo alla riscrivere una legge confusa. Così Sandro Mazzatorta, capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia al Senato: "Il nostro emendamento va semplicemente a specificare quello che c’è già nell’art. 2 della legge 24 dicembre 1954 numero 1228 sulla anagrafe della popolazione residente - spiega - dove esiste l’obbligo di istituire un registro presso il ministero dell’Interno, che però non ha mai applicato la norma né ha mai istituito un registro dei senza fissa dimora in quanto la norma stessa è confusa".

"Già oggi c’è una norma che imporrebbe al ministero di istituire questo registro ma poiché è stata scritta in maniera non chiara, noi la rendiamo molto più chiara. Ovviamente - sottolinea ancora Mazzatorta - il significato politico è che lo stato deve collaborare con i comuni, su cui grava l’onere intero della gestione dei senza fissa dimora. Bisogna avere chiara la percezione del fenomeno che oggi riguarda, comunque, prevalentemente i nomadi e non i clochard che sono una limitatissima parte".

"Andiamo semplicemente a sensibilizzare il ministero dell’Interno e lo Stato nella gestione di questo fenomeno con una ricognizione su base nazionale aiutando i comuni con finanziamenti per controllare la gestione - prosegue l’esponente del Carroccio - non abbiamo toccato il meccanismo di iscrizione all’ anagrafe riguardante le persone senza fissa dimora su cui presenteremo un emendamento in aula affinché l’interpretazione del concetto di domicilio, presupposto alla iscrizione appunto dei senza fissa dimora, deve essere rigorosa e non lassista. In sostanza - conclude Mazzatorta - non basta dire che si è senza fissa dimora ma deve esserci una verifica del domicilio nel territorio".

Giustizia: Rdb-Cub; 5 dicembre sciopero nazionale lavoratori

 

Comunicato stampa, 8 novembre 2008

 

La Rdb-Cub Pubblico Impiego ha proclamato per il prossimo 5 dicembre lo sciopero nazionale dei lavoratori della Giustizia. Pina Todisco, della Direzione Nazionale, spiega le ragioni della mobilitazione: "Alla mancata progressione di carriera, alla riduzione delle piante organiche, alle insostenibili condizioni di lavoro, al blocco dei trasferimenti, alla insalubrità e poca sicurezza dei posti di lavoro e ai danni derivanti dalla legge 133, si è aggiunta la beffa del protocollo d’intesa firmato il 30 ottobre scorso da alcune organizzazioni sindacali".

"Da questo protocollo, che la Rdb-Cub non ha sottoscritto, deriva un ridicolo aumento di circa 6,5 euro netti medi pro capite mensili per il 2008, e per il 2009 di circa 39 netti, comprensivi degli 6,5 Euro del 2008. Inoltre - aggiunge Todisco - nello stesso protocollo si stabilisce il superamento in peggio degli accordi del 1993 e si avvia la modifica degli assetti contrattuali per differire il rinnovo economico da due a tre anni".

Conclude la dirigente Rdb-Cub: "Nessuno si aspetti di poter devastare la Pubblica Amministrazione senza reazione da parte dei lavoratori. Di fronte al dissolvimento del servizio a scapito di tutta la collettività i lavoratori della Giustizia non rimarranno inerti ed aderiranno in gran numero allo sciopero del 5 dicembre". Nelle settimane antecedenti lo sciopero La Rdb-Cub ha indetto molteplici iniziative su tutto il territorio nazionale, con partenza già dalla prossima settimana:

A Roma, dal 10 al 14 novembre si terrà un presidio quotidiano davanti al Ministero della Giustizia, a cui seguiranno i presidi davanti alle sedi giudiziarie di Napoli e Busto Arsizio (18 novembre), Torino (19 novembre), Bari (20 novembre) Palermo (21 novembre).

Assemblee di tutti i lavoratori giudiziari si svolgeranno a partire dall’11 novembre a Venezia, seguita dal 12 a Mestre, il 13 a Vicenza e a Padova, il 14 a Firenze e Bologna, il 17 a Milano, il 18 a Busto Arsizio, il 19 a Brescia, il 21 a Genova, il 24 a Palermo e Brindisi, il 25 a Siracusa e Lecce; il 27 a Bari, il 28 a Foggia; il 1 dicembre a Bari presso il Giudice di pace, il 2 a Trani. Dal 1 al 4 dicembre sono organizzate assemblee in tutti gli uffici giudiziari della capitale: Tribunale civile e penale, Cassazione, Corte d’appello, Ministero, Procura generale.

 

Rappresentanze Sindacali di Base

Confederazione Unitaria di Base

Sicilia: nelle carceri 6.700 detenuti, 4.600 agenti e 80 educatori

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

Seminario a Palermo del Seac, coordinamento delle associazioni di volontariato in carcere e dal Cesvop. Mancano gli agenti: 300 in meno del previsto. E gli educatori: 80 anziché 137.

In Sicilia, su 6.736 detenuti 2.118 sono in attesa di primo giudizio, 1.773 in attesa di appello o cassazione, 2.417 con sentenza definitiva, 350 gli internati, 78 i semiliberi. 2118 detenuti attendono di essere giudicati e nel frattempo vivono con gli altri soggetti condannati. Per quanto riguarda il personale di polizia penitenziaria rispetto a un organico previsto di 4.920, sono operativi 4.651 agenti cioè circa 300 in meno. Mancano gli educatori: rispetto ai 137 previsti ce ne sono soltanto 80.

I dati sono stati resi noti dal provveditore regionale per l’amministrazione penitenziaria Orazio Faramo all’interno del seminario nazionale "I detenuti in attesa di giudizio" organizzato da Seac (Coordinamento delle associazioni di volontariato penitenziario) e Cesvop a Palermo. "All’interno del sistema penitenziario siciliano ritengo quanto mai necessaria e fondamentale una giusta partecipazione della società attraverso il volontariato.

Le carenze numeriche di personale rispetto al numero dei detenuti sommate a quelle strutturali, rendono oggi in Sicilia difficile e complessa la gestione di tutta la realtà carceraria - sottolinea Orazio Faramo -. Dei 26 istituti di pena presenti in Sicilia, gli edifici nuovi si contano sulle dita di una mano. Mancano gli spazi per rispondere a tutti i bisogni dei detenuti - continua -. Un altro nodo da sciogliere e, per questo mi rimetto alle autorità competenti, è quello relativo al mancato passaggio - già avvenuto nelle altre regioni a statuto ordinario - dell’amministrazione sanitaria penitenziaria al servizio sanitario nazionale".

A rimarcare l’importanza dei volontari all’interno degli istituti di pena siciliani è anche Elisabetta Laganà, presidente nazionale del Seac. "Oggi nella carcerazione preventiva non sono previste figure trattamentali cioè per il detenuto in attesa di giudizio non ci sono operatori istituzionali. Soprattutto nei casi in cui la custodia cautelare dura a lungo, il ruolo del volontario diventa fondamentale.

Il ruolo dei volontari è importantissimo perché fanno da ponte di passaggio tra il mondo esterno ed interno soprattutto nei riguardi di chi non ha famiglia.". La presidente nazionale del Seac punta il dito anche sulla carenza di misure alternative per i detenuti e dice: "Oggi il carcere non ha gli strumenti per riabilitare, mancano le misure alternative in grado di rieducare e reinserire nella società i detenuti. Quelli che scontano tutta la pena in carcere hanno una recidiva dell’80% rispetto a quelli che scontano la pena in maniera alternativa, dopo un primo periodo di detenzione che hanno una recidiva invece del 16%. La recidiva diminuisce quanto meno la persona passa per il carcere. Il potenziamento delle misure alternative permetterebbe di deflazionare una parte dei detenuti e limitare la recidiva".

Il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci alza il tiro, invece, sul problema legato agli eccessi della carcerazione breve soprattutto operata a carico degli stranieri. "Oggi ci sono stati interventi di politica giudiziaria che hanno fatto crescere il numero dei detenuti stranieri anche per periodi di permanenza molto breve - dice -. Mi chiedo quanto ci convenga fare carcerazione per la violazione della Bossi-Fini - continua - . Certamente in Italia si delinque parecchio ma, è pur vero che, in carcere ci si va anche per periodi brevissimi, intasando e caricando di costi l’organizzazione penitenziaria".

Per il nuovo anno sociale, il Seac in Sicilia ha programmato varie attività. Seguiranno, infatti, un convegno sulla possibilità di lavoro dentro e fuori del carcere. Inoltre un seminario nazionale sulla giustizia riparativa, cioè sulla riparazione da parte del reo e anche dello Stato nei confronti delle vittime del delitto e sulla possibilità di incontro, ove possibile, tra il reo e la sua vittima con l’aiuto del mediatore. Al seminario hanno partecipato i magistrati Ignazio De Francisci, procuratore aggiunto; Mario Conte, giudice per le indagini preliminari; Nicola Mazzamuto, giudice del tribunale di sorveglianza. Sono intervenuti anche Sergio Monaco, avvocato penalista; Bruno Di Stefano, coordinatore regionale Seac e Ferdinando Siringo, presidente del Cesvop. Ha coordinato i lavori Rino Cascio, giornalista Rai.

Puglia: rispetto ai posti disponibili ci sono mille detenuti in più

 

Asca, 8 novembre 2008

 

Nelle 12 carceri pugliesi sono rinchiusi 3.513 detenuti a fronte di una capienza di 2.556. Lo evidenzia in una nota il Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) riferendo gli ultimi dati che emergono dall’indagine conoscitiva sulla sicurezza in Italia svolta dalla commissione affari costituzionali della Camera. Questi alcuni dati riferiti alla Puglia, che vanta un sovraffollamento di 960 unità: a Lecce a fronte di una capienza di 681 unità le presenze sono 1.170; a Bari capienza 292, presenze 516; a Foggia capienza 449, presenze 662; a Taranto capienza 315, presenze 474. Dall’indagine - sostiene in una nota Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del Sappe - si evince che nelle carceri italiane vi è "una carenza di 4.000 unità di polizia penitenziaria" e ciò dà l’idea di come la situazione negli istituti penitenziari italiani sia "insostenibile".

Sardegna: due milioni per l'inserimento lavorativo dei detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

Nuove opportunità di lavoro per chi è in regime di semilibertà o beneficia di misure alternative. Tra cooperative sociali e volontariato, i fondi consentiranno di non far naufragare alcuni progetti già avviati.

Oltre due milioni di euro per aiutare l’inserimento sociale delle persone soggette a misure giudiziarie. I fondi sono stati stanziati dalla Regione e scongiurano il rischio di vedere naufragati alcuni progetti avviati lo scorso anno che rischiavano di essere sospesi per mancanza di risorse. Complessivamente per l’inclusione sociale dei carcerati (ma anche di chi ha misure alternative alla detenzione) la Giunta ha previsto 2 milioni e 224 mila euro, interamente destinati alle associazioni del volontariato isolano o a cooperative che da sempre operano nel settore dell’aiuto ai detenuti. Parte dei soldi andranno a finanziare i progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei carcerati o di chi si trova in semilibertà. Un’altra tranche di fondi serviranno per le attività educative, culturali e ricreative degli istituti di pena per minori, dove operano anche varie associazioni di volontariato. C’è poi il recupero di edifici che saranno adibiti all’accoglienza di donne detenute con figli, oppure ex carcerati con disturbi mentali e altre forme cautelari di restrizione.

Lunga la lista delle associazioni che beneficeranno dei finanziamenti per il reinserimento lavorativo. All’associazione il Samaritano di Arborea (accoglienza di nomadi e carcerati) andranno 131.224 euro (una parte già erogati), circa 55 mila euro al progetto Verde di Ghilarza, mentre la cooperativa Primavera di Elmas riceverà 35 mila euro e spiccioli. A Iglesias, la San Lorenzo potrà contare su 129 mila euro, mentre l’associazione Giovani in Cammino di Sorso beneficerà di 48 mila euro. Progetto Uomo di Nuoro e la Caritas di Cagliari hanno visto stanziati progetti per circa 21 mila euro entrambi, mentre 300 mila sono gli euro destinati alla comunità "La Collina" di Serdiana. Trenta mila euro a testa per la Onlus Volontariato e Giustizia e Albessede, entrambe di Cagliari, mentre l’Aitia avrà 43 mila euro.

Oltre ai progetti di inserimento lavorativo ci sono anche quelli per le attività sociali all’interno delle carceri: Cossagi di Arborea ha ottenuto 10 mila euro, come la Domus de Luna e la Corsanus di Cagliari, mentre la Carovana di Selargius ne riceverà 14 mila e la Collina di Serdiana circa 26 mila. Novemila, infine, per il gruppo Grvk di Cagliari. Un milione e trecentomila euro, invece, sono i finanziamenti destinati alla terza fascia, dove sono presenti anche detenuti con disturbi psichici. Oltre 243 mila euro andranno così alla cooperativa Il Seme di Santa Giusta, mentre il Samaritano di Arborea ne avrà 300 mila, così come la San Lorenzo di Iglesias e la parrocchia di Nuoro, la metà, invece, alle missionarie Somasche di Assemini (155 mila euro).

Milano: "strutture transitorie", per chi rimane poco in carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

Secondo l’assessore all’Integrazione sociale per le persone in carcere della provincia di Milano, "24.000 persone transitano annualmente per soli tre giorni nelle carceri. Questo colossale turn-over determina l’ingolfamento delle strutture".

"È giunto il momento di dare una risposta strutturale al problema dell’affollamento delle carceri, a cominciare da San Vittore". A chiederlo è l’assessore all’Integrazione sociale per le persone in carcere, Francesca Corso. Che afferma: "È noto che secondo statistiche nazionali 24.000 persone transitano annualmente per soli tre giorni nelle carceri, perché, dopo il fermo, il magistrato non ravvisa la necessità della detenzione. Si tratta di persone imputate, cioè non ancora sottoposte al processo. Di queste solo il 30% rimarrà in carcere. Questo colossale turn-over determina l’ingolfamento delle strutture carcerarie, inserisce migliaia di persone per pochissimi giorni in un circuito stressante e violento, costringe la Polizia penitenziaria e l’intera Amministrazione penitenziaria nelle sue articolazioni ad un lavoro immane e privo di stabilità, nonostante la gravosità e la molteplicità delle varie incombenze da assolvere e le carenze di organico del personale".

Per la Corso, "occorre perciò pensare ad un luogo diverso dal carcere, a una struttura di garanzia e di rispetto delle regole della procedura penale, in cui le persone fermate possano soggiornare transitoriamente, nel rispetto dei diritti costituzionali, in attesa della decisione sulla convalida o meno dell’arresto. Si possono adoperare a questo fine gli immobili confiscati alla criminalità organizzata o strutture militari non utilizzate o sottoutilizzate".

"Occorre un grande progetto nazionale - conclude -, che potrebbe partire da una sperimentazione proprio a Milano, dove è ricorrente l’affollamento, in particolare a San Vittore. L’obiettivo del progetto è ridurre l’affollamento delle carceri, rispettare i diritti delle persone. A tal fine propongo di dar vita ad un tavolo interistituzionale con Enti Locali e rappresentanti del Ministero per avviare al più presto una ricognizione delle disponibilità strutturali, nonché la realizzazione di un progetto di fattibilità".

Piacenza: Sindaco interpellerà Ministero su situazione carcere

 

www.piacenzasera.it, 8 novembre 2008

 

La situazione del carcere di Piacenza è stata affrontata ieri mattina nel corso di un incontro tra il Sindaco di Piacenza Roberto Reggi, accompagnato dall’assessore Giovanna Palladini e dal Presidente della Commissione consigliare n. 3 Stefano Perrucci, e il direttore dell’istituto di pena dott.ssa Caterina Zurlo.

Dalla riunione sono emersi problemi noti e presenti in tutto il sistema carcerario nazionale determinati da alcune cause di fondo: difficoltà di bilancio legate ai tagli costanti delle leggi finanziarie, carenza di personale di vigilanza, sovraffollamento determinato da una forte presenza di detenuti in attesa di giudizio, immigrati, tossicodipendenti.

Tuttavia, come hanno potuto verificare gli amministratori locali accompagnati all’interno delle sezioni di detenzione, la casa circondariale di Piacenza gode comunque di una gestione che consente il mantenimento di standard dignitosi sia sotto il profilo strutturale che organizzativo.

Il Sindaco ha espresso apprezzamento per l’impegno in tal senso espresso dalla Direzione dell’istituto e si è impegnato ad intervenire presso il Ministro della Giustizia per sottolineare una volta di più la carenze strutturali del sistema carcerario italiano che, ovviamente, non possono essere risolte a livello locale, e per sostenere nuove iniziative come opportunità per aumentare gli organici di polizia penitenziaria della casa circondariale di Piacenza.

In questo senso, particolare rilevanza può assumere il progetto di portare a Piacenza una sezione destinata a reparto d’osservazione psichiatrica, che potrebbe consentire di aumentare di diverse unità tali organici. Nel frattempo, proseguiranno le iniziative locali avviate insieme alle associazioni di volontariato ed alla cooperativa sociale Futura che operano all’interno della struttura. Nei prossimi giorni il Sindaco incontrerà in Comune le rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria per ascoltarle in ordine a quanto vorranno segnalare.

Augusta (Sr): carcere ha "record" per la carenza di personale

 

La Sicilia, 8 novembre 2008

 

La Casa di Reclusione di Augusta è annoverata tra i penitenziari siciliani che soffrono una grave carenza di organico. È quanto denuncia il segretario regionale della Fsa/Cnpp, Mauro Lo Dico in una nota inoltrata ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. "A ciò si aggiunge il fatto che ormai da tempo anche il Provveditore Orazio Faramo, pare non abbia a disposizione fondi sufficienti per il servizio di missione, pertanto il personale non può ricevere l’anticipo dell’85 per cento come previsto dalla normativa vigente".

Il sindacato fa sapere che la polizia penitenziaria deve ancora ricevere somme per servizi di missione svolti nei mesi scorsi, e per l’anno 2007. La Fsa/Cnpp chiede di indire un interpello straordinario rivolto agli istituti di tutta la penisola, per far fronte alle esigenze degli istituti penitenziari della Sicilia. Un suggerimento, avanzato dal segretario della Fsa/Cnpp, Massimiliano di Carlo.

Piazza Armerina (En): lettera di protesta dei detenuti stranieri

 

Vivi Enna, 8 novembre 2008

 

Settantuno detenuti del carcere di Piazza Armerina, di cui 22 extracomunitari hanno inviato una lettera di protesta alla nostra redazione dove denunziano "gli abusi che subiscono dal giudice di sorveglianza". Nella lettera i detenuti, che hanno firmato la protesta, sottolineano che "fanno di tutto per cercare di essere reinseriti nella società, cercando di rispettare i regolamenti dell’Istituto di Pena, svolgendo le mansioni che la direzione del carcere assegna loro". Nella lettera, inviata i detenuti tengono a precisare che il personale del carcere si "comportano bene, sono persone stupende che operano con molta sensibilità e soprattutto con molta umanità".

"Il giudice di sorveglianza - scrivono i detenuti - non da alcun modo per poterci inserire nella società e a questi detenuti che rientrano nei benefici previsti dalla legge dia la possibilità di usufruirne, ricevere un segnale positivo da parte delle istituzioni. Non è possibile che un giudice di sorveglianza non dia la scarcerazione anticipata dei detenuti che si sono comportati bene nel periodo di detenzione, perché così si rischia il caos, la protesta".

I detenuti sottolineano anche che "il perdono non è un diritto, ne un dovere, ma è la ricchezza di tutti ed è l’altra faccia nobile della realtà". I detenuti chiedono "a chi di competenza un segnale concreto, perché siamo nelle celle ammassati, e non protestiamo perché gli agenti della polizia penitenziaria, il direttore, il comandante sono persone che, in un certo qual modo, ci aiutano tanto, e si è registrato un certo equilibrio tra loro ed i detenuti". Un appello, dunque, da parte di chi si trova nel carcere di Piazza Armerina perché si venga incontro alle esigenze di queste persone, che vogliono il rispetto della legge, ma anche un premio al loro comportamento rispettoso.

Milano: i ragazzi dell’Ipm "Beccaria" a teatro con "l'Antigone"

 

Corriere della Sera, 8 novembre 2008

 

Da questo venerdì 7 novembre al Teatro Puntozero di Milano va in scena "Antigone" con i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile Cesare Beccaria. Il progetto nasce dalla collaborazione fra l’attrice Lisa Mazoni e il regista Giuseppe Scutellà che ha dichiarato: "Sono in tanti a credere che ci si possa dedicare al teatro sociale solo se non si è riusciti a sfondare nel mondo del teatro tradizionale, ma noi siamo convinti esattamente del contrario.

È un’esperienza molto dura, che non tutti sarebbero in grado di sostenere. Noi abbiamo raggiunto risultati eccellenti dal punto di vista artistico in ogni nostra rappresentazione: è una soddisfazione infinita quando un esperto critico teatrale non è in grado di riconoscere tra i commedianti l’attore professionista dal detenuto alla sua prima esperienza sul palcoscenico".

La Compagnia Teatrale Puntozero è un’associazione senza scopo di lucro nata nel 1995, che realizza presso il Beccaria laboratori teatrali professionali sulla recitazione e gli altri mestieri del teatro, per il reinserimento in società dei ragazzi che stanno affrontando l’esperienza della detenzione. Le competenze acquisite grazie a questi laboratori hanno permesso ad alcuni giovani di trovare uno sbocco lavorativo in teatri e aziende dell’area milanese. I minori dell’area penale dell’Ipm C. Beccaria hanno collaborato al progetto non solo come attori, ma anche attraverso la realizzazione di scenografie, costumi e trucchi.

Antigone è una tragedia di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 442 a.C.. Si tratta dell’ultimo atto dei drammi tebani ed è ispirato alla figura mitologica di Antigone, figlia di Edipo e della madre di lui, Giocasta. Sofocle illustra in questo dramma l’eterno conflitto tra autorità e potere. In una società come quella dell’antica Grecia dove la politica è esclusiva degli uomini, il ruolo di dissidente della giovane Antigone si carica di molteplici significati, ed è rimasto anche dopo millenni un esempio sorprendente di complessità e ricchezza drammaturgica.

L’impegno civile si sposa sempre più con il teatro. In ogni regione d’Italia sono numerose le rappresentazioni di persone che si trovano in situazioni svantaggiate o di emarginazione, o che vogliono lanciare messaggi sui problemi della nostra società. Quest’anno a giugno è stato organizzato anche il primo festival di impegno civile dell’Associazione "Libera" e del Comitato "Don Peppe Diana" nei beni confiscati alla camorra dei comuni dell’agro aversano di Casal Di Principe, Casapesenna, Trentola Ducenta e San Cipriano D’Aversa. Il teatro è servito a raccontare le terre di Don Peppe Diana, un prete assassinato dalla camorra quattordici anni fa, riappropriandosi proprio di quei luoghi che, per tanto tempo, sono stati identificati come simboli di morte e paura.

Napoli: più violenti e arroganti, ecco i nuovi "baby criminali"

 

Il Mattino, 8 novembre 2008

 

"Erano due bambini, undici, dodici anni al massimo. Impugnavano il coltello. Ed hanno perso subito la calma, colpendomi al petto quando ho tentato di difendere l’orologio. È stato quello più piccolo a ferirmi. Ho sentito un dolore fortissimo al torace. E la camicia si è subito inzuppata di sangue".

Salvatore ha diciassette anni. Frequenta, con profitto, il quarto liceo scientifico. È ricoverato in chirurgia d’urgenza al Cardarelli, i sanitari si sono riservati la prognosi. Racconta la sua disavventura, dal letto dove riposa dopo che i sanitari gli hanno ricucito l’ampia ferita. L’altra sera, poco dopo le nove, Salvatore è stato accoltellato al petto da una baby-gang che lo ha depredato poi dell’orologio e del telefonino. Pochi minuti dopo un’altra diciassettenne, Rossana, è stata affrontata e ferita presumibilmente dalla stessa gang di piccoli criminali.

Due episodi avvenuti a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, a Chiaiano, a un centinaio di metri dalla fermata del metrò e sui quali indagano ora gli agenti del commissariato Scampia, col vicequestore Pasquale Trocino.

La ragazza, originaria di Bucarest, in Romania, è stata aggredita in via Miano. Il baby rapinatore più piccolo ("non avrà avuto più di undici anni" ha detto poi Rossana ai poliziotti del drappello ospedaliero") le ha sferrato un fendente alla schiena dopo essersi impossessato del ciclomotore su cui viaggiava. Le sue condizioni non sono gravi. Ha riportato una ferita da taglio guaribile in dieci giorni.

Salvatore, invece, era stato affrontato una decina di minuti prima dai piccoli malviventi in via Giovanni Antonio Campano. Era alla fermata del bus. Tornava da Calvizzano dove aveva fatto una partita a calcetto, doveva andare a casa della nonna, a Marianella.

I due piccoli gangster, a bordo di un ciclomotore, hanno puntato all’orologio. Salvatore, d’istinto, ha ritratto il polso e il più piccolo dei due si è accanito contro di lui colpendolo col coltello al petto. I ragazzini sono scappati via, in sella allo scooter. Racconta Salvatore che, nel letto del reparto di Medicina d’urgenza, ha il viso ancora terreo per lo spavento della sera precedente: "Quando ho visto la camicia tutta sporca di sangue ho avuto paura di morire. Ho raggiunto il bar vicino alla stazione, ho chiesto aiuto. Mi hanno portato, in auto, all’ospedale". Il padre di Salvatore, impiegato, accarezza il figlio, adolescente esile e spaventato, e commenta: "Fino a qualche mese fa in quella zona c’era sempre una volante. Perché non si vedono più poliziotti? Eppure in quest’area le rapine sono all’ordine del giorno".

In questura la polizia si dice molto cauta sulla valutazione dell’età del rapinatore, indicato dalle due vittime come un bambino di 11 anni. Potrebbe trattarsi - affermano - di un minorenne con tratti da bambino, ma non di un undicenne. La ragazza ha raccontato di non aver reagito, ma malgrado ciò è stata ferita da una coltellata al dorso. Questo vuol dire che il rapinatore ha perso la testa. Forse quelli di ieri erano i suoi primi colpi.

Come detto i poliziotti del vicequestore Trocino stanno lavorando per dare un nome e un volto ai due baby rapinatori. Ovviamente se, una volta identificati, i malviventi in erba dovessero effettivamente risultare di essere così giovani - e pertanto non imputabili - non potranno che essere riaffidati ai genitori.

 

Più violenti e arroganti, ecco i nuovi baby criminali

 

Piero Avallone, 53 anni, è un giudice del Tribunale per i Minorenni di Napoli, Avallone è stato per 12 anni pubblico ministero presso la procura minorile. Giudice, sembra che i piccoli criminali diventino sempre più piccoli. Alcuni sono addirittura bambini. "Devo dire che questi episodi sono sempre accaduti. In realtà, non si è abbassata l’età dei minori che delinquono, ma è semplicemente cambiata la qualità dei loro reati".

 

Può fare un esempio?

Facciamo l’esempio di un tentato scippo. Una volta, anche se la vittima opponeva resistenza, restava comunque un tentato scippo. Oggi, invece, un tentato scippo può trasformarsi in un reato molto più grave, come una rapina o un tentato omicidio, perché il minore compie il suo gesto con molta più violenza di prima".

 

Che cosa è cambiato, allora?

"È cambiato sostanzialmente l’atteggiamento del soggetto che delinque, il quale, ormai divenuto molto più arrogante e sicuro di sé, ottiene ciò che vuole a qualunque costo".

 

Nessun rispetto per la vita umana?

"In questi ragazzi, che sono profondamente egoisti, è venuta meno anche la sensibilità nei confronti della sofferenza degli altri e della stessa vita umana".

 

Che cosa cercano?

"Noi non siamo la società dell’essere, ma quella dell’apparire. Questi ragazzi cercano, dunque, gli oggetti della società dell’apparire e si sentono importanti solo se indossano scarpe di marca, jeans e magliette firmate".

 

È solo per questo che commettono scippi e rapine?

"Commettono il reato per vestirsi alla moda e per avere soldi in tasca, ma in linea generale lo fanno per non sfigurare rispetto alla società".

 

Di quale società parliamo?

"Parliamo di una società che non investe nelle politiche sociali e che, con gli ultimi tagli alla spesa pubblica, si vedrà anche ridurre i finanziamenti destinati al sostegno delle famiglie a rischio".

 

C’è, dunque, una responsabilità delle famiglie?

"Indubbiamente c’è".

 

E servono pene più severe?

"Il tribunale per i minorenni di Napoli è diventato molto più severo nelle sanzioni e molto più cauto nella concessione dei benefici, ma tutto questo non basta e non potrà bastare".

 

Torniamo al ruolo delle famiglie?

"I figli sono il frutto dell’educazione che ricevono: c’è, allora, un’esigenza forte e sentita di coinvolgere anche le famiglie in un’opera di formazione che si trasferirà poi sui minori in termini di esempio e di educazione".

 

Che cosa c’è oltre la famiglia?

"In certi quartieri non c’è proprio niente, nemmeno un centro sportivo dove i ragazzi, magari anche solo giocando al pallone, possano rientrare in un programma nel quale ci si confronta sulla base di regole e di una socializzazione civile. Evidentemente, si tratta di input che non possono in alcun modo arrivare dalla magistratura o dalle forze dell’ordine".

 

C’è anche, e più in generale, un problema di modelli sociali offerti ai ragazzi?

"Questo dei modelli sociali resta il problema di fondo. Riguarda tutti, ricchi e poveri, ma, naturalmente, può avere effetti addirittura devastanti nelle zone popolari e tra le classi sociali meno abbienti, dove mancano del tutto modelli familiari alternativi capaci di colmare vuoti collettivi di formazione e di cultura".

 

È, dunque, la camorra il punto di arrivo obbligato per le baby-gang?

"Questo rischio c’è, visto che un ragazzo a rischio, se entra in un clan della camorra, per esempio con il ruolo di sentinella in una piazza di spaccio della droga, potrà guadagnare anche duemila euro al mese. Ora ci si chiede: chi sarà in grado di offrirgli, in alternativa, un lavoro onesto altrettanto allettante?"

Immigrazione: per molti la prigione è il primo "luogo di cura"

 

Notiziario Aduc, 8 novembre 2008

 

Immigrato non è sinonimo di portatore di malattie ne tanto meno di malattie sessualmente trasmesse, come l’Aids. Nell’ambito dello Studio Prishma dell’Istituto superiore della sanità non ancora concluso, nei tre centri coinvolti di Brescia, Roma e Palermo, dal gennaio del 2007 al marzo del 2008 sono stati sottoposti a controlli 1.832 migranti prevalentemente clandestini, di entrambi i sessi.

oltanto 12 sono risultati Hiv positivi, di cui 7 diagnosticati a Brescia, 1 presso l’Unità Operativa complessa di Malattie infettive dell’ospedale Casa del Sole di Palermo, 4 presso il Servizio di Medicina delle Migrazioni del Policlinico di Palermo e tra questi solo un soggetto ha sicuramente acquisito l’infezione nel suo Paese di origine. È quanto emerge dalla giornata conclusiva dei lavori del XXII Congresso nazionale dell’Anlaids, a Palermo. La prevalenza dell’infezione presso la popolazione di studio è risultata pari allo 0,7 per cento.

Le informazioni circa le abitudini sessuali hanno messo in evidenza un’alta percentuale di soggetti con pratiche sessuali a rischio per Hiv ed uno scarso utilizzo dei mezzi meccanici di prevenzione della malattia, come il condom. "I casi di sieropositività rilevati durante questo studio presso l’ambulatorio del Policlinico palermitano - ha detto Giuseppina Cassarà, esperta di Medicina delle migrazioni, che ha presentato i primi dati del progetto Prishma - riguardano giovani donne provenienti dall’Africa sub sahariana e soprattutto dalla Nigeria, presenti in Italia da uno o due anni e dedite alla prostituzione". Non esiste, dunque, un fattore di rischio per Hiv legato alla popolazione immigrata in quanto tale, ha aggiunto Cassarà, ma soltanto se associato ad altri comportamenti a rischio.

Promiscuità sessuale, prostituzione, mancato utilizzo del preservativo, tossicodipendenza e scambio di siringhe costituiscono, per italiani e immigrati indifferentemente, il vero pericolo di contrarre la malattia. È stata rilevata una differenza di genere, secondo cui la trasmissione dell’infezione da Hiv da uomo a donna è da 3 a 18 volte più frequente di quella da donna a uomo. La tappa forzata in Libia per imbarcarsi rappresenta la minaccia peggiore per la salute delle migranti, a causa di violenze, stupri, prostituzione coatta, arresti indiscriminati, deportazioni.

Nell’ambito dei lavori, è stato evidenziato il cosiddetto "paradigma dello svantaggio", secondo il quale il carcere si configura spesso per le straniere irregolari come il primo ambiente di contatto con il mondo dei servizi, dove il diritto alla salute incontra il livello minimo di risposta istituzionale, sottolineando le enormi lacune che il nostro sistema offre in materia di prevenzione e di offerta efficace di assistenza e cura per le donne che si trovano in stati di profonda emarginazione sociale.

Discorso analogo per gli immigrati tossicodipendenti. È stato calcolato che il 54% degli stranieri che usano droga (in Italia, come nel resto d’Europa, oltre il 40% dei detenuti per cause legate alle sostanze stupefacenti è costituito da stranieri) vedono una struttura sanitaria pubblica per la prima volta dopo essere stati arrestati. Il carcere acquista quindi l’occasione di divenire "struttura assistenziale".

Irregolare, nell’immaginario comune, è lo straniero che giunge con un barcone dall’Africa. In realtà su 124.384 immigrati in posizione irregolare individuati nel 2006, solo il 13 per cento è giunto attraverso gli sbarchi. I due terzi degli irregolari è rappresentato da stranieri giunti regolarmente, ma che non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno a causa delle difficoltose e incerte pratiche del rinnovo, subordinate di fatto alla stabilità contrattuale, delle quote di ingresso predeterminate e basse rispetto alle esigenze del mercato del lavoro, della diffusione del lavoro nero.

I lavori del XXII Congresso nazionale si sono conclusi ieri con la discussione di un documento programmatico che ha raccolto attorno a un tavolo, evento raro, dieci tra le maggiori organizzazioni di lotta all’Aids in Italia, tra cui Anlaids, Lila, Mingha Africa, Comitato per i diritti civili delle prostitute e altre ancora, unite per lanciare un avvertimento: la battaglia non è vinta, anzi.

Molto resta ancora da fare per fermare il diffondersi dell’infezione e per garantire una migliore qualità della vita delle persone con Hiv. È con questo spirito che esperti, volontari e operatori hanno deciso di sottoscrivere un documento in cui si elencano obiettivi e impegni urgenti per la lotta all’Aids. Dal diritto alle cure per italiani e stranieri all’accesso al test, dalla corretta informazione alla disponibilità di centri per la procreazione assistita dove il desiderio di genitorialità delle persone sieropositive possa trovare risposta.

Immigrazione: stretta sui ricongiungimenti e permesso a punti

 

Apcom, 8 novembre 2008

 

Giro di vite per i ricongiungimenti familiari, nel ddl sicurezza emendato dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato: saranno possibili solo se i familiari saranno regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale da almeno 5 anni. E, secondo quanto prevede un emendamento della Lega, non saranno consentiti se il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è poligamo ovvero "coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio nazionale che abbia altro coniuge".

Stretta anche sui matrimoni: l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno vale adesso sia per gli atti relativi allo stato civile che per l’accesso ai servizi pubblici. Un modo, spiega il senatore del Carroccio Sandro Mezzatorta, per mettere fine a una "sanatoria vergognosa che consentiva a dei clandestini di trovare coniugi falsi per ottenere la cittadinanza".

Rimodellato, invece, l’emendamento che chiedeva l’introduzione del permesso a punti. Il Carroccio ha accettato una modifica all’emendamento su cui maggiormente punta, delegando al Governo la responsabilità di emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore di questa legge un regolamento che stabilisce "criteri e modalità" per la sottoscrizione da parte del richiedente soggiorno un "accordo di integrazione" articolato per crediti: "La stipula dell’accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno". Di conseguenza, "la perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato".

Immigrazione: alcol e droga da fallimento progetto migratorio

 

Redattore Sociale - Dire, 8 novembre 2008

 

Partono per cercare una nuova vita per sé e la propria famiglia, ma una volta in Italia alcuni di loro non riescono a portare a compimento ciò che si erano prefissi. Da qui, l’abbattimento e la tentazione di cercare un rimedio alla propria vergogna e sofferenza, che spesso viene individuato nell’abuso di alcol e di droga. Il convegno "Padova laboratorio aperto per la gestione delle dipendenze nell’ambito delle politiche sociali", organizzato ieri e oggi a Padova, ha aperto una finestra sul mondo dell’immigrazione in Italia e sul suo rapporto con le sostanze tossiche.

Il fallimento del progetto migratorio è dunque la principale causa di abuso di alcol o droghe da parte degli stranieri. E se si riesce a intervenire su questa causa scatenante, anche l’effetto potrebbe essere annullato. Serve, quindi, una presa in carico sociale, più che prettamente sanitaria, che guardi al contesto in cui vive l’immigrato e che cerchi di risolvere i problemi sociali. Lo afferma Paolo Jarre, direttore del Dipartimento "Patologia delle dipendenze" dell’Asl To3, che porta ad esempio il caso dei soldati rientrati in patria alla fine della guerra in Vietnam: "Se in una condizione di guerra si servivano di sostanze, una volta rientrati non ne ebbero più bisogno. Ciò significa che l’abuso era legato al contesto, così come accade ora nell’immigrazione italiana. Questa constatazione, inoltre, porta a pensare che il processo legato all’uso di sostanze non è irreversibile".

In Italia il 7% delle persone in carico al Ser.T. è di origine straniera e la realtà torinese si conferma in linea con la media nazionale. Soprattutto legati all’alcol, gli immigrati abusano anche di cocaina e di crac. "Non sono legati a una sola sostanza, sono più globali" spiega l’esperto, che aggiunge: "Rispetto agli italiani, hanno una storia e delle caratteristiche molto diverse: sono giovani, molto spesso hanno una buona istruzione e lasciano il loro Paese con un progetto ben preciso. Chi parte in genere è la persona più intraprendente della famiglia, la più coraggiosa: ecco perché quando il progetto fallisce il migrante prova un grande senso di vergogna". E per vergogna, spesso, tace ai familiari rimasti in patria non solo il fallimento, ma anche di essere scivolato nell’abuso di sostanze. "Si crea una realtà su doppio binario, quella vera e quella raccontata". In questo contesto la vera cura è quella di raddrizzare l’esito del processo migratorio consentendo quando possibile un nuovo inizio oppure favorendo il ritorno a casa.

Genova: algerino muore "cadendo" da finestra di Caserma C.C.

di Alessandra Fava

 

Il Manifesto, 8 novembre 2008

 

Gli arabi invocano Allah perché riceva Aufi Farid nel suo paradiso, schierati tutti, uomini e donne, dietro uno striscione con "un altro morto di stato" che attraversa le strade e i vicoli del centro storico. Poi allo stesso megafono gli italiani spiegano alla folla: "Ieri è volato un algerino dalla finestra di una stazione dei carabinieri. Dopo quarant’anni un altro omicidio di Stato".

Aufi è stato arrestato l’altro ieri pomeriggio dopo un borseggio. La versione ufficiale è che si è lanciato dalla finestra della stazione dei carabinieri della Maddalena, di fronte al porto Antico, a un passo da via del Campo, per sfuggire all’arresto non per suicidarsi e che ha precedenti anche per omicidio. Soccorso da un’ambulanza, è morto in rianimazione al Galliera quattro ore dopo. Secondo gli amici algerini è andato tutto diversamente: "All’una era con sua moglie a mangiare in una trattoria. Alle 14,30 è stato fermato e alle 19,30 l’ho visto qui a terra - racconta un amico algerino - era sotto una delle ultime finestre verso Caricamento, aveva una maglietta rossa marca Puma, una giacchetta gialla, una cintura nera e un paio di jeans. Ma che cosa è successo tra le due e mezza e le sette e mezza. Perché lo hanno tenuto dentro così tanto?".

La moglie italiana di Farid, detto Fabio, morto a 46 anni, Sandra, ancora non si capacita di quello che è successo. Tiene in braccio un bambino di poco più di un anno. Il 12 di novembre cadeva il giorno del loro secondo anno di matrimonio: "Sono venuta qui alle 18 - dice sotto la stazione dei carabinieri della Maddalena in mezzo a una folla di italiani, nordafricani e tanti senegalesi che hanno dato vita a un presidio per tutto il pomeriggio sino a sera - non hanno voluto farmelo vedere, mi hanno solo detto di presentarmi il giorno dopo per il processo in direttissima. Farid comunque per un furto non si sarebbe mai buttato da una finestra. Voglio sapere la verità".

Quando arriva da Marsiglia la madre di Farid, Luisa, accompagnata da sua figlia, Sandra crolla, quasi sviene. Un gruppo di manifestanti, le associazioni del centro storico, quelle antirazziste, ambientalisti, pacifisti, rappresentanti dei comitati e anarchici intanto occupano piazza Caricamento bloccando il traffico: vogliono che i familiari siano ricevuti dai carabinieri e abbiano delle spiegazioni. Intanto in strada uno spray rosso sull’asfalto dice "muore Farid, repressione, razzismo, la sicurezza uccidono".

Sulla caserma un cartello con scritto a pennarello "davanti a questa caserma è morto Farid Aoufi, volato dalla finestra 39 anni dopo Pinelli. Chiediamo verità e giustizia". E accanto alla porta e a un "si prega di richiudere il portone verde" qualcuno ha applicato un altro foglio con scritto "Servitevi pure della finestra".

Finalmente arriva il comandante della stazione di Portoria che fa salire la madre, la figlia, il capogruppo di Rifondazione in consiglio regionale Marco Ne-sci e il responsabile del circolo del centro storico Rehal Oudghough, che parla arabo. Ai parenti i carabinieri, visitando con loro la stanza dalla quale è precipitato Farid, hanno spiegato che l’uomo era ammanettato con le mani dietro, per fargli compilare un modulo multilingue gli avrebbero messo le manette davanti e mentre uno dei carabinieri riponeva il modulo su una scrivania, Farid si è divincolato, la finestra era aperta ed è precipitato.

"L’unica cosa che ho capito - dice Sandra, la moglie - è che avrebbe avuto tutte e due le mani legate, ma mentre cadeva una manetta si sarebbe sfilata da una mano". Sull’episodio il pm Francesca Nanni ha aperto un fascicolo contro ignoti. Secondo i carabinieri era risultato positivo ai test della cocaina. Farid viveva a Genova da 25 anni.

Droghe: Oedt; in Europa nel 2008 morte circa 8 mila persone

 

Ansa, 8 novembre 2008

 

Quest’anno in Europa sono morte, a causa dell’uso di droga, circa 8.000 persone; l’overdose è stata la causa più comune di decesso tra i giovani. 3.000 nuovi contagiati da Aids. Il 40% delle persone che si sono bucate, si sono infettate di Epatite C. Questa, la fotografia drammatica dell’Europa che è stata presentata il 5 novembre a Bruxelles dall’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Oedt).

Parlando con gli eurodeputati, membri della commissione europea libertà civili, giustizia e affari interni, il direttore dell’osservatorio, Wolfgang Götz, ha detto che "dalla relazione di quest’anno, sebbene l’uso di droghe sia all’apice storico, sembrerebbe che il consumo di sostanze stupefacenti in Europa si sia stabilizzato. Grandi progressi sono stati fatti nel modo di affrontare il problema da parte degli Stati membri, ma ogni ora, un cittadino europeo muore a causa della droga". Secondo l’eurodeputato italiano, Marco Cappato, "salvare vite umane è una priorità della macchina Europa".

 

Qualche numero

 

Costi sanitari legati alla droga: 60€ all’anno per cittadino europeo. 36% è l’aumento dei casi, tra il 2001 e il 2006, d’infrazione della legge sulla droga. 2/3 dei sequestri di cocaina avvenuti in Europa sono stati compiuti in Portogallo e Spagna. La cannabis è la droga più consumata nel mondo: circa 4 milioni di europei la fumano quotidianamente. Cocaina, un tempo la droga dei ricchi è oggi alla portata di tutti i portafogli: sniffata almeno una volta da circa il 4% dei cittadini adulti europei, 12 milioni. Anfetamine, ecstasy e LSD: ognuna delle tre pastiglie vengono ingerite da circa 1 milione di persone ogni mese. Oppiacei, il consumo più problematico: tra uno e sei casi ogni mille cittadini.

 

Oppiacei, nessuna luce in fondo al tunnel

 

Nella maggior parte dei paesi europei, gli oppiacei, e principalmente di eroina, sono la principale sostanza utilizzata (il 60% dei casi) dai soggetti che chiedono aiuto a centri specializzati per la disintossicazione. Secondo le stime più recenti la produzione mondiale di eroina, che attualmente raggiunge quasi le 733 tonnellate, è in continua crescita. "Dobbiamo coinvolgere l’Afghanistan, principale produttore mondiale di oppio", ha dichiarato l’eurodeputato italiano Giusto Catania. La risoluzione del Parlamento Europeo dell’8 luglio 2008 sulla stabilizzazione dell’Afghanistan, aveva chiaramente affermato la "preoccupazione del parlamento sulla continua espansione delle coltivazioni di papavero da oppio e del traffico di oppiacei, causa di serie ripercussioni sulla sicurezza della nazione e degli stati limitrofi".

Dalle figure riportate nella relazione annuale dell’Oedt si ha l’impressione che i problemi causati dagli oppiacei sintetici dirottati e da quelli prodotti illegalmente siano sempre più frequenti negli stati membri. Se si aggiunge poi che in Lituania, Estonia, Austria e Romania il 40% delle persone che si buca sono giovani sotto i 25 anni, si capisce che la situazione del consumo di droghe pesanti in Europa non è affatto rosea.

 

Il Made in Europe va forte, ma a che prezzo

 

I Paesi europei continuano a essere i principali produttori di anfetamine e Mdma, nonostante il concomitante aumento della produzione in altre parti del mondo. Ogni anno, in genere, vengono scoperti tra i 70 e i 90 centri di produzione all’interno dei confini Europei. Nella relazione, inoltre, si segnala un numero crescente di negozi europei online che vendono sia sostanze alternative psicoattive dubbiosamente lecite, che sostanze illegali come Lsd, ecstasy, cannabis e oppiacei. Le sostanze in vendita sono spesso denominate "legal highs" o "herbal highs" (ovvero droghe legali o vegetali), quali la "salvia divinorum" o funghi allucinogeni il cui status giuridico varia da un paese all’altro.

 

Nuove mode, nuove droghe emergenti

 

Ogni anno sul mercato vengono commercializzate, rinvenute e sequestrate nuove sostanze psicoattive e nuovi stupefacenti. L’europa si è fornita al riguardo di uno strumento molto rapido di riconoscimento dell’illegalità di queste sostanze: l’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Oedt) è incaricato di monitorare ed informare il Consiglio e la Commissione Europea che valutano la nuova sostanza ed eventualmente impongono agli Stati Membri, in un anno di tempo, di includerla nelle sostanze da considerare illegali.

Droghe: non punibile convivente di condannato per detenzione

 

Diritto & Giustizia, 8 novembre 2008

 

(Corte di Cassazione, Sezione sesta, sentenza n. 39989/08; depositata il 27 ottobre). Chi convive con un partner che detiene droga ai fini di spaccio è punibile o non a titolo di concorso nel reato? Insomma, quale è il confine tra connivenza non punibile e concorso nel delitto di detenzione illecita di sostanze stupefacenti nel domicilio comune?

La risposta arriva forte e chiara dalla Cassazione: la punibilità va escluso nel caso di comportamento negativo del convivente che si concretizza nell’assistere passivamente in modo inerte alla perpetrazione del reato, senza impedirlo od ostacolarlo. Il motivo? In punto di diritto non esiste nessun obbligo giuridico di attivarsi in qualche modo per impedire l’evento. In altre parole, il comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di "altri", soprattutto se si tratta di persona legata da vincoli affettivi (coniuge, figlio, parente, convivente), non costituisce condotta punibile perché non è segno univoco di partecipazione morale.

È quanto emerge dalla sentenza 39989/08 (qui leggibile come documento correlato) con cui la sesta sezione penale del Palazzaccio, nell’annullare con rinvio un verdetto condanna, ha bacchettato il giudice del merito per aver affermato una situazione di "codetenzione" della droga ai fini di spaccio, desumendola da circostanze non univoche né puntualmente indicative di una consapevole e voluta partecipazione della ricorrente alle attività del convivente.

Infatti, tali vanno considerate quelle circostanze riguardanti: il dormire della donna vicino al luogo di collocazione dello stupefacente; il non essere l’imputata in condizioni di "subire" la presenza in casa della droga, in quanto titolare del contratto di locazione e, quindi, il partner mero ospite; il non essere i due accusati legati tra loro da vincoli formali di matrimonio o da presenza di comuni figli; l’essere la donna titolare del diritto di escludere la presenza di oggetti nella disponibilità dell’ospite, qualora da lei non voluti.

Stati Uniti: in Texas eseguita condanna morte, già 15 nel 2008

 

Ansa, 8 novembre 2008

 

È morto in Texas con una iniezione Elkie Taylor, condannato alla pena capitale per avere strangolato con due cinture una uomo di 65 anni durante una rapina nel 1993. Insieme ad un complice, Taylor era penetrato nella abitazione di Otis Flake, che viveva solo, strozzandolo con due cinture. I due avevano lasciato l’abitazione con un sacco pieno di oggetti che avevano venduto poi per 16 dollari, per comprare droga. Durante il processo la difesa aveva invocato la infermità mentale per Taylor, che era stato però condannato a morte. L’esecuzione è avvenuta oggi nel braccio della morte del carcere di Huntsville. La morte del condannato è stata certificata nove minuti dopo l’iniezione. Taylor è la quindicesima persona ad essere messa a morte quest’anno in Texas. Cinque altri detenuti del braccio della morte saranno uccisi in Texas nelle prossime due settimane.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva