Rassegna stampa 3 novembre

 

Giustizia: Berlusconi e il trionfo della politica... dell’immunità

 

La Repubblica, 3 novembre 2008

 

È in libreria il nuovo volume di Franco Cordero, "Aspettando la cometa. Notizie e ipotesi sul climaterio d’Italia" (Bollati Boringhieri, pagg. 438, euro 24). Pubblichiamo la parte finale del saggio introduttivo.

L’immunità berlusconiana appartiene all’assurdo deforme, come gli inferni dipinti da Hieronymus Bosch: scatta automaticamente; e copre qualunque avvenimento, passato o futuro; stavolta avere comprato la giustizia corrompendo chi poteva influirvi, tale essendo l’accusa; ma sarebbe lo stesso se fossero in ballo una Murder Corporation, narcotraffico, racket mafioso ecc. Il punto è se lo scudo immunitario tuteli interessi tali da motivare una deroga all’eguaglianza; e l’analisi muove dal contesto in cui nascono le norme sospette; la Corte difende l’ordinamento. (...)

Gerusalemme liberata, canto quarto. C’è una famosa onomatopea nella terza strofa: "Chiama gli abitator de l’ombre eterne/il rauco suon de la tartarea tromba"; avendo letto in quinta ginnasio questo poema controriformistico in facili rime, trovo suoni simili nel Corriere della Sera, 13 luglio, al quale l’emerito negromante, ex Capo dello Stato, confida dei mirabilia cominciando da un matrimonio regale (intervista raccolta da F. Verderami): fa il sensale; i nubendi sembrano piuttosto inclini, essendosi ritrovati dieci anni dopo.

Eccoli, Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema. Il Ciambellano (Gianni Letta) aveva scelto male presentando Walter Veltroni al Sire d’Arcore: sarebbe stata una mésalliance, mentre qui esiste empatia; hanno "la stessa sensibilità" giudiziaria, perseguitati da pubblici ministeri macchinatori; appena B. rimette piede a Palazzo Chigi, è subito "caccia all’uomo"; "solo D’A. può capirlo".

L’apparatnicik aveva in mano la formula sicura, risuscitare l’immunità parlamentare: "oh fosse venuto il morbillo a Nicolò Ghedini", reinventore d’uno scudo fragile (qualche settimana fa il paraninfo invocava quel cosiddetto lodo ma cambia spesso opinione, irremovibile solo nel farneticare eversivo-reazionario); così rischia d’essere affossato dalla Consulta, dove tramano terribili "nemici del Cavaliere"; dicono che il Quirinale gli abbia fornito garanzie; basterà una "moral suasion" sui giudici antiberlusconiani?

Dovevano consultarsi i due promessi. Siamo afflitti dalla peggiore Carta del mondo. Va riscritta e l’unico partner serio è M. D’A., "il migliore": conversando ogni volta rimpiange la mancata riforma; avremmo una repubblica semi-presidenziale e carriere separate dei pubblici ministeri (id est, procure comandate dal governo).

L’allora Presidente della Repubblica aveva affondato la Bicamerale. Grazie al cielo, spira aria diversa: D’A. "gioca a tutto campo": aspettando la telefonata da B., piglia accordi sotto banco col leader padano; lo rivedremo vittorioso, forte dei buoni rapporti con gli Usa, dove ha lasciato buon ricordo marciando su Belgrado con Bill Clinton.

Non è da ieri che l’albertiniano Corriere suona la musica d’Arcore alternando tenui diversivi. Queste confidenze scoperchiano rigagnoli velenosi. "Tosto gli dèi d’Abisso in varie torme/concorron d’ogni intorno a l’alte porte/ Oh come strane, oh come orribil forme!" (ivi, strofa 4). Restava da definire un punto: dove finirà l’attuale leader Pd; "se lo sta "cucinando a fuoco lento"? "Sorride storto", non volendo dire sì e nemmeno no. Hanno visioni diverse: il revenant, piccolo Lucifero, vuole i partiti vieux style, proporzionale, recupero dei resti; insomma prima Repubblica, Politburo, casta, bramini, commissari, parlamento ubbidiente, tutto quel che gl’italiani s’illudevano d’avere sepolto con un referendum.

Le ipotesi prognostiche mettono freddo nella nuca. Abbiamo al governo un affarista la cui bulimia non risparmia niente. V’è salito istupidendo milioni d’anime con le reti televisive protette dal malaffare governativo. Lunedì 14 luglio, dalla Ville Lumière nell’anniversario della Bastiglia, arrota i denti quando gli comunicano l’arresto d’un ex esponente socialista, sotto varie accuse relative alla sanità abruzzese, la cui spesa tocca livelli siderali ingrassando cliniche private: chiunque abbia la testa sul collo direbbe "stiamo a vedere"; lui su due piedi annuncia una "riforma radicale della magistratura".

Vuol scindere le carriere?: non basta, risponde stringendo le mascelle; inciderà a fondo. Ormai fa quel che vuole: Io ipertrofico, menzogna sistematica, furore autistico; in casi simili il povero diavolo patisce i malesseri del disadattato, mentre nella psicosi sfogata con successo l’attore adegua il mondo al suo stato abnorme. Povera Italia, le mancavano gli anticorpi. Ogni tanto la vediamo sotto aspetti miserabili. Bigotta, incredula, guitta, canterina, ignorante, mitomane, accattona, serva, infingarda, anarcoide, turbolenta, codarda, poltrona, sogghignante, sgrana massime d’una sapienza triviale: "ha la mano d’oro"; "guarda come torce il collo a chi lo disturba"; "siamo tutti uguali, cani da pagliaio"; "ricco com’è, non ruba"; "tenendogli la coda staremo meglio". Lo vedono simile: ogni atto ribaldo muove in su l’indice del gradimento; non sarebbe più lui senza l’abituale volgarità aggressiva; erompono da lì i carismi. E l’emerito calamitoso lo dà prossimo al connubio con l’ex bolscevico luciferino.

Lo spettacolo italiano attira dall’estero occhiate curiose, ilari, stupite, commiseranti, mai vista roba simile. "Qui non è possibile": così Sinclair Lewis raccontava l’avvento d’un fascismo Usa, ma i metodi berlusconiani vengono dal Nuovo Mondo; del suo mette lo spirito d’alligatore (il repertorio jazz include un Alligator’s Crow). Vero che in acque italiane nuoti meglio: Francia, Spagna, Germania gli hanno chiuso le paratie; deve tutto al Caf, quindi esistono complicità organiche.

L’anticorpo scatta martedì 16 ottobre 1984, quando dei pretori, applicando le norme, fermano gli impianti con cui Canale 5 trasmette fuori dell’area locale: l’impresario pirata inscena clamori mobilitando i vedovi delle soap-opere; sabato 20 Bettino Craxi restaura l’abuso con un decreto d’urgenza; le collusioni culminano nella vergognosa 1egge Mammì, dichiarata incostituzionale, ma l’allegra alluvione continua come niente fosse. Quando scende sul campo col nome suo, avendo perso i consorti, è già padrone in pectore del paese. Ormai esercita un dominio effettivo, qualunque cosa pensino alleati infidi e collutori interessati: finché gli resti lo spirito animale, servito dai 20 mila milioni d’euro crescenti a vista d’occhio, comanda lui, noncurante d’ogni limite; l’idea d’una norma esterna gli rivolta le budella.

Cosa voglia, lo sanno tutti: stare al governo cinque anni; riformare lo Stato quale sua dépendance; insediarsi nel Quirinale, magari passandovi due settenni, fino ai novantuno. S’è issato al potere e vi sta, immane boss antipolitico con tante braccia (e musicanti Salvation Army in via Solferino lo cantano fondatore d’un moderno Stato liberale): l’unica questione, capitale, sarà il corpo del re; in che stato versi, la presumibile durata, cosa gii passi in testa, chi gli giri intorno, ecc. (S. Freud e William C. Bullit avevano studiato il caso Wilson": Thomas Woodrow, ventottesimo presidente degli Usa affetto da varie turbe, quindi ai ferri corti con la realtà; l’inedito esce by Weidenfeld & Nicolson, Londra 1967). Tolto lui, s’azzanneranno i diadochi nella guerra delle spoglie. A tal punto siamo regrediti. Dei cospiratori tedeschi, legalisti velleitari, volevano deporre Hitler sulla base d’una expertise psichiatrica.

Che B. fosse pericoloso e quanto più lo diventi, munito d’un potere quasi assoluto, lo pensano tanti non osando dirlo: l’effetto auto inibitorio fa parte del fenomeno; ormai sfrutta l’habitus collettivo inerte, intessuto da tante piccole e grosse viltà. Ha appena ripreso i balli del potere: Ottaviano Augusto temperava l’auctoritas col self-restraint, rispettando le tradizioni; lui porta stivali chiodati. Se tutto va bene, l’Italia s’ingaglioffirà ancora nella finta festa permanente: affari comodi, colletti bianchi impuniti, scuole in malora, fuori dei piedi chi pensa, fiorenti lobbies criminali, ultimo paese d’Europa; aveva dubbia fama e la ribadiranno dodici o addirittura diciannove anni sub divo Berluscone, quod Deus avertat.

Nella premessa ai Rommel Papers lo storico militare B. H. Liddell Hart rileva un aspetto "out standing": compiva imprese memorabili con risorse inferiori, specie nell’aria; nessun generale della Seconda Guerra Mondiale ha vinto battaglie con handicap simili; o meglio, uno c’è, Archibald Wawell, autore della sbalorditiva performance in Libia, 1940-41, ma combatteva gli Italiani (Arrow Books, London 1987, XVI).

Giustizia: Caselli; in Italia è impossibile processare la politica

di Francesco La Licata

 

La Stampa, 3 novembre 2008

 

Mafia e politica: un tema rovente che ha alimentato e alimenta polemiche furiose, che costituisce elemento di forte contrapposizione istituzionale fra magistratura ed esecutivo. Occasioni di crisi, quasi sempre, sono le sentenze dei processi contro uomini importanti del potere, istruiti durante quella stagione dell’antimafia seguita alle stragi di Falcone e Borsellino. Non più di una settimana fa si è concluso con una assoluzione in appello (dopo una condanna annullata dalla Cassazione) il dibattimento che vedeva imputato di associazione mafiosa l’ex ministro Calogero Mannino. La sentenza ha finito per funzionare da detonatore alla consueta esplosione di contestazioni all’indirizzo di Gian Carlo Caselli, il magistrato che guidò l’ufficio del pubblico ministero di Palermo dal ‘93 al ‘99 e che è stato considerato l’ispiratore di una stagione giudiziaria, oggi contestatissima anche per i risultati delle sentenze spesso sfavorevoli alle tesi dell’accusa.

L’assoluzione del Presidente della Provincia di Palermo, l’azzurro Francesco Musotto, poi il colpo di spugna sulla vicenda dell’ex presidente della Prima Sezione della Cassazione, Corrado Carnevale; poi ancora l’ambigua sentenza - "un po’ condannato e prescritto, un po’ assolto" - su Giulio Andreotti, fino ad arrivare a Mannino. Una "serie negativa", seppure con qualche sentenza di segno opposto (Contrada, D’Antone), ormai marchiata come la fine di una stagione, una sconfitta per la Procura di Gian Carlo Caselli.

 

È così. Procuratore?

"Mi consenta innanzitutto una premessa di metodo: non parlo dei singoli processi e dei singoli imputati. Fine della stagione dei processi politici? Se non fosse un problema serio e drammatico mi verrebbe persino da ridere. Perché o i rapporti tra mafia e politica se li è inventati la Procura di Caselli - ma non credo esista in giro tanta faccia tosta - oppure i rapporti tra mafia e politica sono finiti, tesi davvero insostenibile. Di conseguenza può parlare di stagione conclusa chi ha la coda paglia o chi lavora per una inversione di tendenza, per il ritorno al quieto vivere".

 

Possiamo andare con ordine, dott. Caselli? L’idea di una sconfitta della linea, diciamo, "caselliana" sembra confortata dalle sconfitte in aula.

"Sconfitte? Qui sbagliano i nostri detrattori. Intanto perché solo in una dittatura si dà per scontato che il pm debba avere sempre ragione. In uno stato di diritto il pm ha lavorato bene quando ha ottenuto il rinvio a giudizio, perché ottenendolo dimostra che ci sono fatti reali da indagare. Indagini tutelate dal controllo esercitato da molteplici organismi giudiziari, terzi rispetto ad accusa e difesa".

 

Però le sentenze colpiscono l’immaginario collettivo e non vi sono state favorevoli.

"I processi ai cosiddetti imputati eccellenti hanno avuto esiti contrastanti, diversi per ciascuna fase di giudizio. Ma questa è la fisiologia della storia dei processi di mafia. Anche il maxiprocesso ha attraversato fasi diverse, fino alla Cassazione dove - secondo una certa ricostruzione - importante se non decisivo è stata la presenza di un presidente diverso da quello originariamente designato".

 

Stiamo parlando di Corrado Carnevale, che è stato assolto in Cassazione.

"Le ricordo la premessa iniziale: niente singole vicende".

 

Va bene. Rimane il fatto che i processi contro la bassa macelleria mafiosa sono andati in un certo modo, quelli che riguardano il salotto buono di Cosa nostra non hanno avuto eguale fortuna.

"Ovviamente rispetto tutte le sentenze, ma dentro questo rispetto è possibile fare qualche riflessione. Lo faccio per amore di verità e non per autodifesa, perché non credo di aver nulla da cui dovermi difendere. Anzi con un certo orgoglio posso premettere che la Procura di Palermo ha fatto interamente il proprio dovere senza nessuna paura, né fisica né d’altro genere, ottenendo - oltretutto - risultati imponenti. Vado per sintesi: latitanti catturati per numero e per caratura criminale come mai né prima né dopo; arsenali di armi, compresi missili e bazooka, sequestrati e quindi stragi impedite; beni confiscati per 10.000 miliardi di vecchie lire; la nascita della cosiddetta antimafia dei diritti attraverso la redistribuzione alle cooperative giovanili delle risorse sottratte alla società civile. In una parola abbiamo ridato credibilità allo Stato, dopo il baratro in cui stava precipitando con le stragi del ‘92. E poi i processi: 650 ergastoli, centinaia di anni di reclusione. In particolare rivendico che gli autori della strage di Capaci siano stati tutti arrestati dalla Procura di Palermo. Lo stesso ufficio, il procuratore di Palermo, ha raccolto la confessione del collaboratore Santino Di Matteo - che al procuratore e a lui soltanto aveva chiesto di parlare delle diverse fasi della strage - consentendo agli ottimi colleghi di Caltanissetta di far decollare un’inchiesta difficilissima".

 

E poi? Si è rotto il giocattolo?

"Sembrava fatta, poi qualcosa si è messo di traverso. Paradossalmente siamo stati noi stessi pm a farci del male rifiutando la comoda idea di essere furbi, miopi, accomodanti, assecondando quella prassi del passato di confermare a parole l’esistenza dei legami tra mafia e politica senza andarli a cercare e processarli. Ma noi pm saremmo stati vigliacchi, avremmo tradito l’eredità di Falcone e Borsellino. Così la strada si è fatta in salita: una campagna violenta ci ha definiti di volta in volta matti, antropologicamente diversi, cancro e via insultando. Ma anche questo è fisiologico: accadde così a Falcone quando si occupò di Ciancimino, dei Salvo e dei Cavalieri del Lavoro di Catania. C’è un momento preciso dell’inversione di tendenza, una sorta di avviso ai naviganti: quando viene inquisito il presidente della Provincia di Palermo, appena mezz’ora dopo, senza conoscere una sola carta processuale, molti avvocati in toga e i vertici siciliani di Forza Italia scendono in piazza a protestare. Messaggio chiaro: se si va oltre un certo livello non va bene".

 

Rimane il nodo degli esiti diversi dei processi.

"I pm e i metodi di lavoro sono sempre gli stessi, sia per la mafia bassa che per l’altra. Il problema sta forse nel fatto che nel secondo caso le prove sono oggettivamente più difficili. Forse gli strumenti legislativi non sono adeguati e allora si provveda a correggerli. O forse dipende dal fatto che storicamente Cosa nostra tende a proteggere con maggior segretezza le proprie amicizie importanti. Ma gli esiti altalenanti non devono diventare pretesto per ragionamenti a senso unico".

 

In breve, ci spieghi meglio.

"Resto indignato per quello che è stato detto e scritto sulla definitiva sentenza della Cassazione su Giulio Andreotti, in relazione al "reato commesso fino al 1980". E il reato commesso è quello di partecipazione all’associazione per delinquere Cosa nostra. Stravolgere questo verdetto, parlando di assoluzione e persecuzione, significa non avere rispetto per le sentenze".

Giustizia: a Secondigliano (Napoli) gambizzati cinque ragazzi

 

La Repubblica, 3 novembre 2008

 

Un’azione dimostrativa, un avvertimento: è questa la pista più probabile dell’agguato di ieri notte nel quartiere di Secondigliano, a Napoli, nel quale cinque ragazzi, tra i 12 ed i 16 anni, sono rimasti feriti in modo lieve. Per gli inquirenti della procura di Napoli, le modalità dell’azione e i circa quaranta proiettili calibro 9x21 esplosi contro il gruppetto, fanno pensare ad una matrice camorristica. Ma l’ipotesi non convince il dirigente del commissariato di polizia di Secondigliano, Sergio Di Mauro, che pensa più ad una azione di criminalità comune. Incertezza sulla ricostruzione dell’accaduto.

A sparare davanti al circolo ricreativo Zanzi, in via Abate Desiderio, un commando formato da quattro persone giunte a bordo di moto di grossa cilindrata. Una trentina i colpi esplosi contro il gruppetto di ragazzini che hanno riportato ferite giudicate guaribili tra i dieci giorni ed il mese. Due di loro, un dodicenne ed un tredicenne sono ricoverati nell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli.

L’agguato si è verificato poco prima della mezzanotte. Ad allertare la polizia una segnalazione giunta al 113. Al loro arrivo gli agenti hanno notato la saracinesca del circolo abbassata ma sulla quale erano evidenti i segni dei colpi di arma da fuoco. Nel frattempo era giunta un’ambulanza per soccorrere due giovani feriti. Poco prima altri tre ragazzi erano stati trasportati con analoghe ferite all’ospedale San Giovanni Bosco.

Quattro dei cinque feriti sono stati ricoverati con prognosi variabili fra i dieci giorni ed un mese. Il quinto ragazzo, anch’egli sedicenne, è stato invece raggiunto da un proiettile ad un braccio; medicato in ospedale è stato già dimesso. "Avevamo finito di guardare la partita", ricordano i cinque ragazzi. "Poi è scoppiato l’inferno. Non sapevamo dove nasconderci. Quelli sparavano, sparavano. È stato terribile". Al vaglio degli investigatori la vita dei cinque ragazzini coinvolti, tutti incensurati ma provenienti da famiglie già note alle forze dell’ordine. Tre di loro, tra l’altro, sono i nipoti del gestore del circolo Zanzi, pregiudicato che potrebbe essere il destinatario dell’"avvertimento".

L’inchiesta avviata dalla procura è condotta dal pm Paolo Itri, della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, già titolare di alcuni fascicoli sulla criminalità organizzata della periferia nord di Napoli, si starebbe orientando su uno sgarro legando a vicende di droga, che avrebbe scatenato il raid punitivo. L’ipotesi è rafforzata dai precedenti del titolare del locale, coinvolto in indagini su spaccio di stupefacenti. Ma non si esclude una spedizione punitiva per altri motivi.

Non è ancora chiaro, anche per la discordanza delle testimonianze fin qui raccolte, il numero degli autori della spedizione: i colpi sarebbero stati esplosi da due o tre pistole e a entrare in azione potrebbero essere state quattro o persino sei persone, secondo uno dei testimoni. Per la fuga sono state utilizzate sicuramente due moto che non sono state finora rinvenute dalla polizia.

Scettico sull’ipotesi della pista camorristica il dirigente del commissariato di polizia di Secondigliano, Sergio Di Mauro, che indaga sulla sparatoria: "Si tratta sicuramente di un’azione di delinquenza", ha detto all’Ansa. "Stiamo verificando diverse ipotesi - ha aggiunto - non escludiamo nulla". Difficoltà per le indagini anche per il clima di omertà che circonda episodi simili: "Purtroppo qui nessuno parla", ha sottolineato Di Mauro.

Secondo gli investigatori gli uomini del commando hanno puntato le pistole verso il pavimento e i ragazzi sarebbero stati colpiti da proiettili di rimbalzo. Una circostanza che avvalorerebbe l’ipotesi di una intimidazione nei confronti del titolare del locale.

L’uomo è stato interrogato per tutta la notte. Ma tutte le ipotesi vengono vagliate, compresa quella dell’errore. Il locale dove è avvenuta la sparatoria nel frattempo è stato sottoposto a sequestro giudiziario ed è stata comminata una sanzione amministrativa per la presenza di minori all’interno del circolo.

Intanto la polemica sulla sicurezza a Napoli divampa. Dai sindacati di polizia emerge forte la richiesta di un aumento di risorse: il Silp sottolinea come la sicurezza deve essere affidata alle forze dell’ordine e non all’esercito mentre il Siulp di Napoli ribadisce la necessità di rafforzare gli organici. "Si è ritenuto, erroneamente, che militarizzare le nostre città fosse la panacea di tutti i mali. In realtà,come i fatti stanno purtroppo dimostrano, si tratta di una soluzione di facciata, non utile e per di più onerosa", afferma il Sap.

Di diverso avviso il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, che chiede di "militarizzare il territorio fin quando la cancrena non sarà definitivamente estirpata".

Per Marco Minniti, ministro degli Interni del governo ombra, "la sfida della camorra è incompatibile con la democrazia ed è il primo e più grande problema della sicurezza nel nostro paese. Il governo, tutte le istituzioni democratiche, devono muoversi con questa consapevolezza". Secondo il sottosegretario alla giustizia Elisabetta Alberti Casellati, "le polemiche e le divisioni fanno solo il gioco dei delinquenti".

Giustizia: leggi severe e militari in strada non fanno cittadini

di Giuseppe D’Avanzo

 

La Repubblica, 3 novembre 2008

 

Se avessero voluto ucciderli davvero quei ragazzini - dai dodici ai sedici anni - non avrebbero avuto alcun problema a farlo davvero. In quattro entrano in una sala giochi, con la testa infilata in un casco integrale, sparano all’impazzata trenta colpi. Gli adolescenti che sono lì a giocare, si nascondono dove possono, sotto i tavoli. La fanno franca, senza grandi danni (il più grave guarirà in un mese). I quattro che sparano, secondo gli investigatori, hanno voluto soltanto dare "un avvertimento" al gestore del locale. Un piccolo episodio di "bassa camorra", a quanto pare. Un evento di ordinaria violenza in una città violenta. E tuttavia vale la pena di cogliere, anche nel suo minimalismo, il segnale inequivoco della volatilità, dell’inefficacia delle politiche "spettacolari" e "decisioniste" del governo.

Napoli è il luogo dove, con maggiore chiarezza, è in luce la natura dei provvedimenti dell’esecutivo, il suo fondamento "culturale". Nell’ansia di creare un ordine politico che nasce da un’urgenza particolare, determinata e concreta, Palazzo Chigi crea - e Napoli è il luogo più palesemente appropriato per l’esperimento - "uno stato d’eccezione permanente". Napoli è la città che rende più credibile - quasi indiscutibile - la creazione di un "vuoto di diritto". Lo si è già osservato.

In quest’area metropolitana si misurano, senza apparenti limiti, la catastrofe delle istituzioni; il fallimento delle amministrazioni; l’arretratezza della società civile; l’impotenza dello Stato; la pervasività dei poteri criminali; lo sfacelo di ogni rapporto di cooperazione; la frattura di ogni strategia della fiducia. Questo paesaggio consente di realizzare, anche con un diffuso consenso, quell’"eccezione" che sospende temporaneamente l’esercizio della norma. Autorizza a declinare la "governabilità" come decisione assoluta e non partecipata fino a ipotizzare l’uso delle forze, la militarizzazione di ogni decisione.

Per liberare la città dai rifiuti, si sospendono le leggi ambientali. Ciò che è illegale interrare a Milano, è legittimo a Napoli. Con l’ultimo decreto sui rifiuti, se a Torino si espone a una multa chi abbandona in strada - chessò una poltrona sfondata, a Napoli rischia la reclusione - il carcere - dai sei mesi a tre anni.

Purtroppo, la svuotamento di ogni partecipazione politica a vantaggio della verticalizzazione della decisione risolve i problemi nell’immediato, forse. Ma - nel breve periodo - è una "politica" che non funziona, che mostra la sua fragilità, che svela il fiato corto perché non è con la legge né con la forza militare che nasce o si crea un cittadino. Il governo può anche apparire a Napoli ogni settimana - e sorridere in piazza del Plebiscito tra plebi osannanti e mostrarsi ottimista e soddisfatto al telegiornale della sera - ma la convinzione che "ciò che appare è buono, ciò che è buono appare" alla lunga non regge e lo "spettacolo" alla fine rimane quel che è: un cattivo sogno.

Non è necessario essere un mago Merlino per prevedere che, al di là della sparatoria di Secondigliano, ci saranno in un immediato futuro altre fratture, altre crisi, altre tragedie che mostreranno quanto le soluzioni del governo per la catastrofe di una città e di un’area del Paese siano irrilevanti soltanto ad affrontare i ritardi del Mezzogiorno. Forse si può darne un esempio soltanto ricordando quanto peserà nel Sud la riforma della scuola escogitata da Tremonti e illustrata dalla povera Gelmini. Appena l’anno scorso il governatore della Banca d’Italia, nelle sue Considerazioni, aveva osservato che "l’istruzione si conferma al primo posto fra i campi dove un cambiamento forte è necessario".

Al Sud i divari nei livelli di apprendimento sono significativi già a partire dalla scuola primaria e tendono ad ampliarsi nei gradi successivi. "Un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno - spiegò Mario Draghi - versa in una condizione di "povertà di conoscenze", anticamera della povertà economica. Il ritardo si amplia se si tiene conto dei più elevati tassi di abbandono scolastico". Con la riforma della scuola primaria voluta da governo e l’abolizione del tempo pieno, quei pochi o molti che la frequentavano passeranno i loro pomeriggi proprio in sale giochi come quella di Secondigliano. Quella "povertà di conoscenze" diventerà, per molti, per troppi di quei ragazzini, il lasciapassare per entrare nel mondo criminale. Con la presumibile alternativa o di diventare assassini o assassinati.

Giustizia: così i boss della mafia se la prendono con i bambini

di Francesco La Licata

 

La Stampa, 3 novembre 2008

 

L’educazione mafiosa si regge sulla certezza della pena, sulla ineluttabilità della punizione. Grandi, piccoli, anziani, donne e bambini: nessuno sfugge al contrappasso pedagogico riservato a tutti quelli che sbagliano. L’educazione mafiosa non ammette remore, non è previsto il rifugio nella clemenza nel caso si debba impartire l’esempio ai più piccoli e, dunque, ai più indifesi.

Non esiste ipocrisia più frequentata, nel mondo delle mafie, non v’è regola più disattesa di quella che dovrebbe proteggere donne e bambini dalla violenza degli uomini adulti. Secondigliano o la periferia palermitana di Brancaccio o San Lorenzo, i Quartieri spagnoli piuttosto che i paesini arroccati dentro la ‘ndrangheta calabrese: non fa differenza, non c’è latitudine che tenga distante l’intransigenza dell’educazione mafiosa.

Dicono che a Secondigliano hanno sparato proprio sui "minori rimasti feriti", eufemismo che nasconde la consapevolezza di aver assistito a una spedizione punitiva, a colpi di pistola, contro ragazzini di 12 anni. E dicono pure che il commando armato fosse formato anch’esso da baby pistoleri. Già, la mafia baby, ultima evoluzione criminale di una realtà che da tempo ormai rotola verso il degrado più inaccettabile. Ma dove sono più i bambini? Se lo chiedeva pure il boss Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia, mentre teneva prigioniero il piccolo Giuseppe Di Matteo. Lo accudiva, gli faceva avere le riviste sui cavalli e contemporaneamente lo torturava inculcandogli l’odio verso il padre pentito che non ritrattava e quindi l’esponeva alla rappresaglia. Fino alla decisione di farlo strangolare e squagliare nell’acido, proprio come un adulto. Giuseppe era stato preso a 12 anni, Brusca lo descriverà come un pericolo "perché era già abbastanza cresciuto" e gli si leggeva negli occhi una determinazione degna di un uomo fatto.

È piena di crudeltà la storia nera dei bambini di mafia. Ci fu un momento che a Gela si combatté una guerra per bande. Le armi falcidiarono gli adulti e, a sorpresa, si capì che il comando di una delle famiglie della Stidda era stato preso per mano militare dalla piccola Manuela Azzarelli, orfana di una delle vittime. Manuela si faceva chiamare Bonnie, aveva imparato a essere fredda e violenta come il padre.

I bambini non si toccano, è la legge antica della mafia. E invece li hanno sempre toccati e duramente. Era l’inverno 1960 quando sotto un albero di mandarini nella campagna palermitana fu trovato il cadavere di Paolino Riccobono: una fucilata in petto per avvertire il padre e i fratelli che era ripresa la faida coi Cracolici. E aveva soltanto 13 anni il pastorello Giuseppe Letizia, ucciso con un’iniezione dal medico capomafia di Corleone Michele Navarra. Che aveva fatto Giuseppe? Niente, aveva visto gli uomini di Luciano Liggio gettare in un crepaccio il corpo del sindacalista Placido Rizzotto.

Morì a 12 anni anche il piccolo Claudio Domino. Un colpo di pistola in fronte, uno solo, sparato da un killer professionista. Era la sera del 7 ottobre 1986. Cosa nostra, in quel momento alla sbarra dentro le gabbie del maxiprocesso, fu duramente attaccata per quello sfregio alle regole. Divenne un problema politico per la mafia, quel bimbo assassinato. La cupola dovette intervenire per respingere la paternità dell’omicidio e, per la prima volta nella sua storia, Cosa nostra lesse un comunicato in un’aula di giustizia. Poi fece trovare il killer: ucciso da una overdose procurata. Ecco, omicidio pedagogico.

Giustizia: accordo con l’Albania, per catturare 148 latitanti

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 3 novembre 2008

 

Quale miglior luogo per concedersi una tranquilla latitanza se non a casa propria? È quello che pensa Arjan Tusha, una condanna a 12 anni per aver ucciso, a Bari, il ragioniere Giuseppe Lacalamita. O Nilo Genci, condannato all’ergastolo per aver ammazzato a Perugia, massacrandolo con 4 pistolettate in faccia, un connazionale. O ancora Erjon Sejdiraj, anch’egli con l’ergastolo per aver sequestrato, picchiato, violentato e affogato nel Po una prostituta ecuadoriana.

Tusha, Genci e Sejdirai si trovano in Albania, liberi e tranquilli. Ma come loro, sono in tutto 148 gli albanesi che stanno trascorrendo la latitanza in totale libertà nel loro Paese, pur essendo ricercati dalla magistratura italiana o perché devono scontare pene definitive o perché destinatari di misure cautelari. Si tratta di persone condannate o indagate per reati commessi in Italia come omicidi, rapine in villa, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e furti. Grazie ad un accordo appena raggiunto dopo trattative riservate partirà a breve l’operazione per catturarli.

La scoperta dei 148 ricercati albanesi che si beffano della giustizia italiana standosene a casa propria l’ha fatta, quasi casualmente, il sottosegretario dell’Interno, Alfredo Mantovano. Che, nei giorni scorsi, s’è recato in Albania per firmare un protocollo sulla riammissione dei clandestini nell’ambito di un accordo europeo. Mantovano era accompagnato da due alti funzionari del ministero della Giustizia, i magistrati Stefano Dambruoso e Antonio Laudati.

Ebbene, in quell’occasione, parlando con i ministri albanesi dell’Interno e della Giustizia, è emerso il problema delle estradizioni dei ricercati albanesi che si trovano, impuniti, a casa loro. Fra i due Paesi c’è un sostanziale accordo che prevede lo scambio dei reciproci latitanti. Ma il saldo è in rosso per l’Albania che, fra il 2007 e il 2008, ha catturato "solo" 89 albanesi su disposizione dell’autorità giudiziaria italiana, spedendone in Italia appena 72. Nello stesso periodo, invece, il nostro Paese ha arrestato, su indicazione della magistratura di Tirana, 232 albanesi che si trovavano sul territorio italiano, concedendo l’estradizione in 116 casi. La missione del sottosegretario dell’Interno ha ora sbloccato questa scandalosa impasse.

"Ho messo sul tappeto la questione-latitanti con i ministri albanesi - ha dichiarato Alfredo Mantovano - e devo dire che ho trovato comprensione e disponibilità. Gli accordi fra i Paesi ci sono, si tratta solo di parlarsi perché ho l’impressione che in Albania le pratiche si arenino per qualche intoppo burocratico. Stiamo anche stipulando un’intesa affinché gli albanesi condannati in Italia scontino la pena in Albania, alleggerendo così il nostro sistema carcerario".

Secondo i dati del Viminale sulla criminalità, i reati commessi da albanesi con maggiore frequenza sono i furti (2.206 nel primo semestre di quest’anno contro i 2.419 del 2007), e le rapine, 303 nei primi 6 mesi del 2008 e 383 un anno fa. Sul totale degli stranieri denunciati in Italia nel triennio 2004-2006, gli albanesi sono al primo posto nei furti in abitazione, al secondo per le rapine in abitazione, le estorsioni e gli omicidi che sono addirittura raddoppiati, da 33 a 60, nel 2007.

Giustizia: ritornerà un reato "l’oltraggio a pubblico ufficiale"

 

Adnkronos, 3 novembre 2008

 

Torna dopo dieci anni il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, abrogato nel 1999 con la legge sulla depenalizzazione dei reati minori. Da sei mesi a due anni di carcere per chi offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, è la pena prevista da quasi tutte le otto proposte di legge presentate da maggioranza e opposizione alla Camera e al Senato.

Dieci anni fa il legislatore aveva ritenuto eccessiva la pena rispetto al reato, decidendo infine di abrogare la norma, in vigore da 70 anni, "perché non più rispondente alle esigenze attuali ed alle concezioni sociali dominanti della società moderna". "Un errore ai limiti della irresponsabilità legislativa che ora bisogna riparare", dice il senatore del Pdl Maurizio Saia, tra i promotori dell’iniziativa di legge che intende ripristinare gli effetti sanzionatori dell’articolo 341 del codice penale. Una forma di punibilità dell’offesa recata ad un pubblico ufficiale è ancora in vigore secondo il codice penale, che sanziona l’ingiuria aggravata commessa contro pubblici ufficiali.

"Non c’è però - commenta il carabiniere in aspettativa e deputato del Pdl Filippo Ascierto - l’attivazione automatica della macchina della giustizia. Inoltre, la procedibilità non è d’ufficio, ma a querela di parte, e questo relega il pubblico ufficiale in una posizione inferiore a quella di un qualunque altro cittadino".

"L’oltraggio ad un pubblico ufficiale - sottolinea Ascierto, che ha presentato una proposta di legge per ripristinare il reato abrogato dieci anni fa - può danneggiare in maniera grave l’immagine della Pubblica amministrazione, di fatto completamente spodestata da qualsiasi forma di tutela".

"La figura che rappresenta lo Stato necessita di una tutela e di una garanzia tali che i comportamenti che ne offendono la reputazione o il decoro devono essere sanzionati penalmente in relazione alla funzione che svolge il pubblico ufficiale nella nostra società", argomenta la parlamentare del Pdl Isabella Bertolini, anche lei tra i promotori di una iniziativa legislativa per reintrodurre nel codice penale il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.

La scelta di avviare una politica legislativa di depenalizzazione, come quella del 1999 che comprendeva, appunto, anche il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, è condivisibile, aggiunge Bertolini, "perché il codice Rocco presenta, ad oggi, reati che possono essere considerati ormai superati dal mutare della realtà sociale". Tuttavia, "le istituzioni e chi le rappresenta costituiscono un punto di riferimento importante per la vita dei cittadini. Per questo - sottolinea l’esponente del Pdl - non vanno trascurate o abbandonate. Anzi, al contrario, la loro immagine e il loro prestigio va difeso, per il ruolo e la funzione che esse rappresentano per l’intera collettività".

"Obiettivamente fuori misura", secondo la deputata del Pdl Angela Napoli, la pena prevista dal codice penale prima che il reato di oltraggio a pubblico ufficiale venisse abrogato: da 6 mesi a 2 anni. La cancellazione di quel reato, però, "ha creato una evidentissima e dannosa carenza di tutela giuridica del prestigio e dell’autorità dello Stato in generale. Per questo - spiega Napoli - è necessario reintrodurre il reato". Anche se con una pena più lieve: fino a un anno di carcere, secondo la proposta di legge presentata da Napoli.

Giustizia: La Russa; no a "ronde", bastano Forze dell’Ordine

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 3 novembre 2008

 

"In Italia le ronde le fa soltanto lo Stato", aveva urlato con un tono che non ammetteva repliche il ministro della Difesa Ignazio La Russa qualche tempo fa, all’indomani della discesa in campo dei militari a fianco delle Forze dell’Ordine per pattugliare le città. Era un’affermazione definitiva. O almeno doveva esserlo. Ieri invece, a Trieste, al ministro è toccato ribadire il concetto: "Per la sicurezza nelle città - ha detto - bastano le Forze armate e le Forze dell’Ordine".

Ha dovuto ribadirlo, il ministro, perché in Friuli Venezia Giulia pare che sia tutto un ribollir di ronde: proprio a Trieste da pochi giorni hanno esordito le "ronde padane" formate da volontari della Lega Nord e l’assessore regionale alla Sicurezza, la leghista Federica Seganti, ha proposto un disegno di legge nel quale sono previsti finanziamenti all’utilizzo di volontari per il presidio del territorio. Ha detto La Russa: "La richiesta dell’assessore leghista è comprensibile ma spero non necessaria. Capisco e apprezzo la ragione, però penso che la soluzione possa essere quella che stiamo sperimentando in alcune città e cioè i pattugliamenti fatti da uomini delle Istituzioni dello Stato, Forze dell’Ordine e, se occorre, Forze armate".

Il bello (o il brutto, secondo i gusti) è che, indipendentemente dalle linee-guida del Governo, in molte città d’Italia si va facendo strada l’idea di affidare porzioni più o meno grandi di sicurezza pubblica a cittadini volonterosi che, come si dice, "presidiano il territorio". Il ministro per la semplificazione legislativa Roberto Calderoli ha detto di non trovarci nulla di strano a patto che, come ha affermato, "venga garantita la formazione e la professionalità".

E l’assessore leghista Seganti le garantisce entrambe, formazione e professionalità, eccome se le garantisce. Nel suo disegno di legge è infatti previsto che la Regione promuova la formazione delle "Guardie volontarie per la sicurezza" per la cui attività, come s’è visto, saranno stanziati fondi appositi. Il disegno di legge dell’assessore assegna anche nuove funzioni agli agenti di Polizia locale. Le parole-manifesto dell’assessore, a questo proposito, sono state: "Trasformeremo il classico vigile urbano in poliziotto".

Infatti il disegno di legge prevede che i nuovi agenti comunali siano dotati di pistole, manette e "dissuasori" come spray urticanti e manganelli sfollagente. L’addestramento all’uso di questi strumenti sarà a cura del Comandante del servizio. Le nuove funzioni dell’agente di polizia urbana saranno comunque esercitate "nel rispetto della competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza", ha aggiunto l’assessore Seganti.

Come convivranno tutte queste aggregazioni di neo-professionisti della sicurezza con le formazioni "storiche" di presidio del territorio come poliziotti e carabinieri, ancora non si sa. Si sa invece che sindaci e ministri di Alleanza nazionale "tifano" per le tradizionali Forze dell’Ordine, mentre sindaci e ministri della Lega sono favorevoli alle nuove "acquisizioni". Il problema è che, in Italia, i ministri preposti alla sicurezza sono La Russa e Maroni. Uno è di An e l’altro è della Lega.

Voghera: oltre 200 detenuti; maggior parte in Alta Sicurezza

 

La Provincia Pavese, 3 novembre 2008

 

Molti detenuti per mafia e terrorismo, pochi detenuti comuni e numerose attività che puntano alla riabilitazione e al recupero dei carcerati: è il quadro della Casa Circondariale di Voghera emerso durante l’annuale festa provinciale della Polizia penitenziaria. La manifestazione è stata ospitata nella sala congressi della piscina di Voghera. A fare gli onori di casa è stata il commissario Stefania Cucciniello, Comandante della Polizia penitenziaria di Voghera.

"La Casa Circondariale di Voghera - ha detto - ospita quattro diversi circuiti penitenziari per un totale di 214 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 163 persone. Il personale di Polizia penitenziaria ammonta a 200 unità. La tipologia di detenuti è molto complessa. Abbiamo due sezioni di detenuti Eiv, ad elevato indice di vigilanza, che ospitano 62 detenuti di particolare pericolosità criminale (per lo più ergastolani già sottoposti al regime del 41 bis) oppure appartenenti all’area della criminalità terroristica ed eversiva, nazionale o internazionale.

Poi ci sono due sezioni di detenuti "Alta Sicurezza" che ospitano 93 persone; una sezione di collaboratori di giustizia con 24 detenuti, e infine una sezione di detenuti comuni con 35 persone. I primi due circuiti richiedono la rigorosa separazione dagli altri detenuti e quindi il massimo della sorveglianza. Un grande lavoro viene svolto dal nostro nucleo traduzioni (e cioè gli spostamenti dei carcerati, ndr) e piantonamenti. Nel 2008 fino a oggi sono state effettuate 955 traduzioni, di cui 142 in aereo e 813 su strada, con l’impiego di 4677 agenti".

Tra le attività offerte ai detenuti ci sono i corsi di ragioneria, quello per la licenza media e un corso di italiano per stranieri. Poi corsi di arte, floro-vivaismo e orticultura, falegnameria. Nutrito anche il programma delle attività sportive. Molti gli invitati di riguardo alla festa: il prefetto Ferdinando Buffoni; il vescovo Martino Canessa; il presidente della provincia, Vittorio Poma; il sindaco di Voghera, Aurelio Torriani; il comandante provinciale dei Carabinieri, Maurizio Bellitto; il questore di Pavia, Paolo Di Fonzo; il comandante provinciale della Guardia di Finanza, Domenico Grimaldi; il comandante proviciale del Corpo forestale, Alberto Guzzi; il presidente del tribunale di Voghera, Fabrizio Poppi; il procuratore Aldo Cicala; il presidente del tribunale di sorveglianza Nobile De Santis; i magistrati Francesco De Socio, Cesare Bonamartini, Elsa Gazzaniga, Roberto Valli, Manuela Casella, Marco Odorisio, Maria Gravina, Marina Bellegrandi, Donatella Oneto.

Roma: detenuti scrivono al Cardinale; il mondo non ci vuole

 

Ansa, 3 novembre 2008

 

“Parliamo a te con il cuore in mano. Il mondo esterno, tu lo sai bene, ha paura di noi, non ci vuole, non crede alla nostra volontà di reinserirci rispettando la civile convivenza. Ma non è così! La maggior parte di noi è gente povera. Tanti di noi sono malati, abbandonati, stranieri, senza alloggio e senza lavoro. Abbiamo bisogno di essere accompagnati e accolti!”.

Così con una lettera letta da Gianfranco durante la messa domenicale nella Chiesa del Padre Nostro, i detenuti di Rebibbia hanno accolto e salutato nel carcere romano il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini.

“La tua presenza in mezzo a noi - hanno spiegato i detenuti al cardinale - è motivo di riflessione e di amicizia. È come se ci fosse con noi tutta la Chiesa di Roma che tu, come Vicario del Papa, rappresenti. Vogliamo condividere con te la nostra sofferenza - hanno spiegato - la mancanza della libertà, la mancanza delle persone che ci vogliono bene e che soffrono senza alcuna loro colpa. Nelle nostre celle e soprattutto nei momenti di silenzio, mentre tutto si ferma per dare spazio alla notte e al giorno che seguirà, in quei momenti di solitudine, oltre a ricordare le persone che amiamo e che ci amano e che vorremmo presto riabbracciare, pensiamo anche ai nostri errori, alle persone cui abbiamo fatto del male. Oggi in particolare pensiamo anche ai nostri compagni che, usciti dal carcere, non ce l’hanno fatta e sono morti sulla strada o sono tornati in carcere perché senza prospettiva, senza un tetto, senza una mano tesa”.

“Con i cappellani e i volontari - concludono i detenuti - stiamo costruendo strade di riconciliazione con noi stessi, con le nostre famiglie e con l’intera società. Non dimenticarti di noi”. 

Castrovillari (Cs): situazione carcere è esplosiva e drammatica

 

Ansa, 3 novembre 2008

 

La situazione del carcere di Castrovillari è esplosiva e drammatica: a denunciarlo è il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, che lancia un appello al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

“In questa realtà drammatica e pericolosa - sostiene Corbelli - c’è da registrare il caso di un detenuto extracomunitario con sospetto di tubercolosi e la conseguente mancata protezione sanitaria nei confronti del personale dell’istituto penitenziario che, per ragioni del proprio servizio, viene in contatto con questo recluso”.

“Il carcere di Castrovillari - prosegue il leader di Diritti civili - è sovraffollato all’inverosimile soprattutto da detenuti stranieri. In una cella di due metri per due ci sono fino a tre detenuti stipati in letti a castello. Vi è un grande spreco di denaro pubblico, difatti parte dei detenuti proviene dalle carceri del nord Italia. Ma siccome nelle sedi di provenienza molti non hanno concluso i processi si verifica che, dopo poche settimane debbano essere ricondotti al nord per espletare le cause in corso, con grande dispendio di uomini e mezzi della Polizia penitenziaria”.

“Il personale in servizio - prosegue Corbelli - espleta turni di otto ore in sezioni detentive sovraffollate, da solo, deve badare fino a 40 detenuti e non gli viene garantito il riposo a seguito del turno notturno e neppure il congedo dopo le molte ore di straordinario effettuate”. “Chiedo al ministro della Giustizia, Alfano, - conclude Corbelli - di intervenire per garantire il diritto all’assistenza sanitaria del detenuto malato, condizioni umane, di tutela e di rispetto dei diritti di tutti i reclusi e per il personale del carcere, costretto ad operare per garantire la legalità in situazioni di oggettiva difficoltà e in violazione, spesso, di diritti elementari e fondamentali”.

Piacenza: la Polizia contro Sezione Osservazione Psichiatrica

 

Comunicato stampa, 3 novembre 2008

 

Lo scorso anno, proprio di questi tempi, fu annunciata l’imminente apertura di un reparto di osservazione psichiatrica presso la Casa circondariale di Piacenza.

Al tempo, l’inadeguatezza dell’organico e le precarie condizioni lavorative che il personale di Polizia Penitenziaria era costretto a subire presso quell’istituto indussero le rappresentanze sindacali del personale di Polizia penitenziaria a protestare contro l’apertura del nuovo reparto.

Oggi, le suddette condizioni lavorative non sono affatto migliorate, anzi, a causa del notevole incremento della popolazione detenuta, a cui non è seguito il necessario adeguamento dell’organico locale del personale di Polizia Penitenziaria, sono - se possibile - nettamente peggiorate.

L’apertura di un nuovo reparto detentivo, di un qualsiasi istituto, comporta - come noto - fortissime ripercussioni sull’organizzazione del lavoro interna, sui carichi di lavoro ordinari e straordinari del personale, sull’esigibilità dei diritti contrattuali stabiliti per gli operatori della Polizia penitenziaria, sulla sicurezza e vivibilità della struttura, sui servizi interni ed esterni affidati agli appartenenti al Corpo, sul territorio in cui è sito l’istituto penitenziario, e molto altro ancora.

Un tema, quindi, dai contenuti assai rilevanti, che di certo non può e non deve essere più sottratto all’esame preventivo tra le parti, come del resto già previsto dall’accordo nazionale quadro di categoria, poiché trattasi di materia per la quale è oltremodo necessario trattare preventivamente con le OO.SS. rappresentative.

Considerata la drammatica situazione di sovraffollamento attualmente patita dal predetto istituto, popolato già oggi in misura doppia rispetto alla soglia massima stabilita - peraltro con un alto numero di detenuti A.S. -, e appreso in questi giorni dell’intenzione di codesto Dipartimento di procedere all’apertura del predetto reparto, volontà confermata da una richiesta di adeguamento delle camere detentive del reparto infermeria inoltrata dal Provveditorato regionale, le scriventi OO.SS. chiedono, come già nel passato, di subordinare l’apertura di questo e, più in generale, di tutti gli altri nuovi reparti detentivi che codesto Dipartimento dovesse eventualmente decidere di aprire in altre analoghe condizioni, al necessario confronto con le organizzazioni sindacali rappresentative e, comunque, ad un congruo aumento delle unità di Polizia penitenziaria giudicate necessarie per ottemperare anche a quei servizi.

In proposito, qualora sulla questione non dovessero pervenire i segnali testé richiesti, ci riterremo liberi di ricorrere a tutti gli strumenti sindacali a nostra disposizione, compreso il ricorso alle manifestazioni di pubblico dissenso che saranno ritenute adeguate e funzionali al raggiungimento degli scopi prefissati, ovvero alla tutela dei diritti del personale di Polizia penitenziaria coinvolto.

 

Sappe - Osapp - Fp Cgil

Cagliari: un detenuto di 260 kg... vive in condizioni disumane

 

Agi, 3 novembre 2008

 

"Le condizioni in cui ho trovato il detenuto in attesa di giudizio Armando Della Pia, obeso del peso di 260 chilogrammi su 175 centimetri di altezza, seriamente ammalato, sono disumane e inaccettabili. Non può stare, come evidenziato dalla direzione medica del centro clinico della casa circondariale di Cagliari, in una struttura che rende impossibile una gestione sanitaria idonea".

L’ha scritto ai magistrati napoletani, titolari dell’inchiesta giudiziaria e al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria la consigliera socialista Maria Grazia Caligaris (PS) che, accompagnata dal direttore, ha incontrato il detenuto nella cella di alta sicurezza del carcere di Cagliari dove si trova da luglio.

Civitavecchia: corso "Custodi e manutentori impianti sportivi"

 

Comunicato stampa, 3 novembre 2008

 

Promuovere solidarietà e programmi di recupero per i detenuti vuol dire contribuire a rendere più efficiente il sistema giudiziario. È per questo motivo che il 12 febbraio 2008 presso la Casa di Reclusione di via Tarquinia, 20 - grazie al patrocinio e contributo economico del comune di Civitavecchia, l’ASD Trinità ha dato il via al progetto "Oltre lo sport, custodi e manutentori d’impianti sportivi" rivolto a detenuti. Obbiettivo del progetto, il primo in Italia, è il reinserimento nella società di detenuti attraverso lo sport e le pratiche ad esso correlate.

L’ASD Trinità - Civitavecchia, già dall’autunno del 2007, aveva promosso la relazione tra sport e sociale in ambito particolare come quello del carcere, offrendo lavoro in articolo 21 a detenuti.

Oggi il Presidente dell’associazione don Giuseppe Landi, il vice presidente Emanuele Fustaino, Manila Di Gennaro coordinatrice e realizzatrice del progetto ringraziano pubblicamente il Sindaco Giovanni Moscherini, l’Assessore Fulvia Fanciulli con il Dirigente Bruno La Rosa e tutto lo staff dei Servizi Sociali, il Dottor Giuseppe Tressanti, le Dottoresse Silvana Sergi e Patrizia Bravetti direttori dei penitenziari cittadini, per essersi prodigati con grande professionalità ed umanità nell’assegnazione alla nostra associazione sportiva di un tirocinio formativo occupazionale risocializzante rivolto a detenuti.

 

Associazione Sportiva Dilettantistica Trinità - Civitavecchia

Imperia: autobomba vicino al tribunale, non esplode per caso

 

Secolo XIX, 3 novembre 2008

 

Due bombole di gas, una aperta per saturare l’abitacolo. Due taniche di benzina, 16 litri in tutto, più quella che ha imbevuto i sedili posteriori di una Punto azzurra, rubata venerdì mattina ad Alassio. No, davvero non era solo un gesto dimostrativo l’autobomba che l’altra notte avrebbe dovuto far saltare in aria il palazzo di giustizia. L’innesco si è spento quando già il fuoco aveva lambito la lamiera. Ma l’esplosione sarebbe stata devastante. A rendere l’attentato, fallito per un soffio, ancora più inquietante è la pista seguita dagli investigatori. La vendetta di Roman Antonov, ex spia del Kgb, condannato all’ergastolo per aver ucciso un giovane, averlo bruciato e aver poi simulato la propria morte per incassare l’assicurazione.

Sicuramente quella privilegiata dal sostituto Filippo Maffeo e dalla squadra mobile di Imperia, diretta da Raffaele Mascia. Perché ci sono almeno tre indizi che conducono in quella direzione. E il fatto che l’auto non sia deflagrata, distruggendo ogni traccia, dà ora agli investigatori un vantaggio che non intendono perdere.

Ma prima delle ipotesi, occorre ricostruire cos’è accaduto l’altra notte. E per farlo, così come ha fatto la polizia, bisogna risalire ancora più indietro, alla mattina di venerdì 31 ottobre ad Alassio. Sono le 11, 15. Un commerciante parcheggia l’auto per portare un pacco nel suo magazzino. Operazione di pochi istanti: per questo lascia le chiavi nel cruscotto. Torna indietro, ma la Punto azzurro-metallizzata è già sparita.

E arriviamo a sabato sera, il primo novembre. Alle 20,30, come sempre, il custode chiude il cancello del palazzo di giustizia, poi si chiude nel suo alloggio. Alle otto e mezza del mattino si risveglia, effettua un giro di controllo e scopre quell’auto, che puzza di benzina e che non era parcheggiata lì la sera precedente. Dà subito l’allarme.

Arrivano la squadra mobile e la Digos, insieme agli artificieri e alla scientifica. L’anta destra del cancello è ancora aperta, la catena è stata tranciata. Il meccanismo di apertura automatica è stato azionato, quasi sicuramente, da un telecomando clonato o da un apparecchio abilitato a funzionare su diverse frequenze. La sbarra è stata alzata senza troppe difficoltà.

Ma quando è accaduto tutto? Un testimone restringe l’arco temporale. La sera prima, verso le 22.30, passeggiava davanti al palazzo di giustizia. Spiega ai poliziotti: "Quella macchina ha attirato la mia attenzione, mi sono detto: ma come si fa a parcheggiare così malamente dentro un tribunale? Quando stamattina ho scoperto cos’è accaduto, sono corso a dirvelo".

Quindi il blitz degli attentatori, corredati di attrezzature tecnologiche, è stato messo a segno in quelle due ore: tra le 20.30 e le 22.30. L’innesco era liquido: una lunga scia di benzina sull’asfalto. È bruciata tutta, fino ad arrivare alla lamiera della macchina. Poi qualcosa di imprevisto e imprevedibile l’ha spenta. Prima che l’auto saltasse in aria, ormai satura di gas, con il suo potenziale distruttivo. Spiegano i tecnici che i danni all’edificio, pur in cemento armato, sarebbero stati enormi. E che anche i palazzi vicini sarebbero rimasti lesionati dall’esplosione.

E così, scampato il pericolo per un fortuito e fortunato evento del destino, si dà la caccia ai dinamitardi. Gli inquirenti si sbilanciano. Non è un’azione legata all’eversione e all’estremismo politico: da quel punto di vista, il tribunale di Imperia sarebbe un obiettivo senza senso. E nemmeno è un gesto riconducibile alla criminalità organizzata ("le cosche non avrebbero fallito", spiega un investigatore). E allora rimane la pista della vendetta, una vendetta personale. E il nome che gli inquirenti si lasciano scappare senza neppure fare troppi misteri è proprio quello di Antonov.

Primo indizio. Alla fine del processo che lo condanna alla massima pena Antonov affronta il pm Maffeo. Gli sibila: "Vedi sulla mia mano la linea della vita? È lunga, è molto lunga. Ci rivedremo ancora". Una minaccia, plateale, di ritorsione. Che potrebbe essersi concretizzata a poche settimane dal processo in Assise d’appello, che si svolgerà il 27 novembre a Genova.

Secondo: la tecnica della bombola di gas è la stessa che fu utilizzata per dare alle fiamme la macchina di Antonov, bruciando tra le fiamme anche la disgraziata vittima sacrificale di un piano diabolico, che ricostruiamo nella parte inferiore di questa pagina. Terzo: la strana predisposizione di Antonov per le simbologie legate alle date. Ieri era il due novembre, giorno dei defunti. Per scegliere il giorno dell’omicidio nel fuoco della sua vittima Antonov aveva appuntato sul suo calendario il 14 maggio, giorno in cui si celebra Giovanna d’Arco, morta sul rogo.

 

Un terremoto per le tranquille aule di giustizia

 

"È un fatto inquietante per una città tranquilla come Imperia", ha dichiarato il sindaco Luigi Sappa. Il tentativo di mettere a segno un attentato a palazzo di giustizia certamente è inquietante anche per il tribunale e per la procura della Repubblica imperiesi, altrettanto tranquilli. Dove un buon 80 per cento dei processi istruiti in questi ultimi dieci anni si definiscono attraverso riti alternativi, senza giungere a dibattimento e con patteggiamenti di pene che a volte vengono persino ritenuti troppo a favore degli imputati.

Salvo la presenza di Roman Antonov che a partire dal 2006 sino ai mesi scorsi, non ha mai mancato di mettere in allarme i giudici e le forze di polizia anche penitenziaria, all’interno del "palazzaccio" imperiese, e quella di Alberto La Gatta, in passato protagonista di modeste escandescenze in aula, non si è mai registrato un episodio per così dire allarmante.

"La professionalità, sia dei colleghi magistrati, che degli avvocati - ha detto il procuratore Bernardo Di Mattei - non è mai stata in discussione. Non si è mai giunti a uno scontro in aula".

Proprio di recente, anzi, alcuni riti abbreviati hanno sollevato anche polemiche per l’entità modesta della pena applicata dai giudici. L’attività di palazzo di giustizia di Imperia, inoltre - intensa, ma mai congestionata - non ha neppure destato preoccupazione e disagi personali per il prolungarsi delle cause.

 

Palazzo di Giustizia, spesso un colabrodo

 

È esteticamente bello, ma è anche estremamente vulnerabile soprattutto nei locali del parcheggio riservato e nei sotterranei accessibili da via Vecchia Piemonte. Allarmi che suonano senza giustificazione, porte carraie non sempre chiuse, sbarre di scarsa consistenza e, di recente, improvvisi black-out.

Queste le lacune evidenti del "palazzaccio" imperiese. Ai meticolosi controlli dell’ingresso principale esercitati dai vigilanti e dal metal detector (attraverso il quale passano tutti), fanno contrasto i nei del sottosuolo e dell’ingresso automobilistico riservato sul retro. Il portone di via Piemonte è servo controllato e in acciaio, l’ingresso è vigilato con telecamera, ma durante il giorno non sempre è chiuso. Dopo il grande cancello due sbarre sollevabili solo tramite inserimento di carta magnetica personale, limitano l’accesso di auto e moto al garage. Dopodiché una porta anti-incendio, la cui apertura è possibile solo con la stessa card, permette di accedere ai locali del piano terra dove hanno sede le aule giudiziarie. Sembrerebbe sufficiente. E invece, una volta per un motivo, una volta per un altro, non sempre l’accesso diventa monitorato e inibito agli estranei.

Durante il giorno del black-out più recente, a metà ottobre scorso, un vigilante dovette recarsi presso la porta carraia per bloccare l’accesso ai non addetti ai lavori e controllare per oltre sei ore il passaggio. A quello stesso livello, attraverso lo stesso cancello e nello stesso parcheggio frequentato dai magistrati è permesso anche l’accesso ai mezzi della polizia penitenziaria per il trasporto dei detenuti. Attraverso quella porta anche Roman Antonov è più volte transitato. La misura che non sembra affatto sufficiente a garantire in buona parte l’invulnerabilità.

Al livello sotterraneo invece sono frequenti gli allagamenti provocati dalle piogge più copiose. Nei sotterranei sono custoditi i volumi e i fascicoli dell’archivio che in buona parte le carte sono ammuffite. E poi va anche ricordato l’episodio di un grande finestrone crollato e di altri infissi instabili.

Eppure è recente, cioè risale al 18 marzo del 2003 (ma gli uffici aprirono al pubblico il 23 dicembre 2002) l’inaugurazione ufficiale del nuovo palazzo di giustizia in via XXV Aprile al civico 67. Nato sulle ceneri dell’ex Caserma Siffredi, ex sede della fanteria, in parte restaurata e in buona parte integrata con nuovi fabbricati e strutture in cristallo e cemento, l’edificio sede della giustizia è un’opera decisamente imponente e - anche agli occhi di un profano - altrettanto decisamente sproporzionata rispetto alle esigenze.

Cinque piani più un sotterraneo, due grandi ali laterali su tre livelli rivestite di cristalli fumé, 60 mila metri cubi, aula magna centrale e giardini, cento posti auto il "faraonico" edificio, occupa una superficie di 12.400 metri quadrati di cui 8.500 al coperto. Sostituisce le tre vecchie sedi giudiziarie imperiesi: piazza De Amicis, via Belgrano e piazza Dante.

Verona: dopo i vigilantes sugli autobus, le "ronde" nei parchi

 

Il Messaggero, 3 novembre 2008

 

Si sa che il sindaco di Verona, Flavio Tosi, detesta la definizione di "ronde". Apprezza invece l’esercizio di sicurezza supplementare offerto da gruppi di cittadini organizzati.

 

Se non ronde come chiamarle, sindaco?

"A Verona li chiamiamo assistenti civici e debutteranno la settimana prossima".

 

Che faranno questi "assistenti civici"?

"Avranno svariate mansioni. Soprattutto quelle di sorvegliare la sera e la notte i parchi e altre zone di verde pubblico".

 

Saranno armati?

"Avranno solo un telefonino-radio e una pettorina che consentirà alla gente di distinguerli. Faremo loro anche una breve formazione".

 

Qual è l’identikit dell’assistente civico?

"Noi abbiamo promulgato un bando aperto alle associazioni e abbiamo privilegiato le associazioni di ex combattenti e le associazioni d’Arma. Si tratta di persone che, quando si parla di sicurezza, sanno di che cosa si sta parlando".

 

Il Comune ha stanziato dei fondi ad hoc?

"Poche decine di migliaia di euro all’anno. Il primo stanziamento è stato di 50 mila euro".

 

Che effetto ha sortito, sindaco, l’Esercito per le strade di Verona?

"Un buon effetto ma anche l’Esercito non basta. Le aree delicate sono parecchie e gli assistenti civici vanno ad integrare il supporto tradizionale delle Forze dell’Ordine".

 

Lei non teme di adottare una misura a livello locale che è invece osteggiata a livello nazionale?

"No, noi a Verona non siamo né i primi né gli ultimi. Le "ronde" ci sono già in tante città. A Bologna le chiamano "pattuglie dell’ordine", a Milano "City Angels", ma rispondono tutte alla stessa esigenza: di avere un supplemento di sicurezza in città. A Verona, poi, il via lo abbiamo già dato: la sera, sugli autobus, salgono le guardie giurate".

Immigrati: "decreto flussi" per 170mila, prima colf e badanti

 

Corriere della Sera, 3 novembre 2008

 

Nell’incontro tra Maroni e il ministro del Welfare stabilite limitazioni per i chiamati da un lavoratore straniero.

Il nuovo decreto flussi avrà una corsia preferenziale per colf e badanti. L’accordo è fatto, adesso bisogna mettere a punto le quote. Perché entro un paio di settimane il governo approverà la regolarizzazione di altri 170 mila immigrati. Si pesca dalle graduatorie del "click day" con un occhio di riguardo per l’attività domestica: la più richiesta visto che sono circa 380 mila le istanze inserite nel cervellone del Viminale il 18 dicembre del 2007. Limitazioni forti saranno invece imposte ai datori di lavoro stranieri per evitare i ricongiungimenti familiari mascherati.

Le domande già esaminate sono ormai 170 mila, 102.900 i nulla osta rilasciati. Il criterio di assegnazione dei permessi per arrivare in Italia è noto: bisogna dimostrare di poter contare su contratto di lavoro e alloggio. In realtà la maggior parte di coloro che hanno presentato richiesta è già entrato clandestinamente e ha trovato un’occupazione "in nero", dunque aspetta soltanto la regolarizzazione. Se ha superato i primi due ostacoli - questura (non bisogna avere precedenti penali o provvedimenti di espulsione) e Direzioni provinciali del lavoro - adesso può ricominciare a sperare.

Le graduatorie sono infatti compilate in base all’orario di presentazione dell’istanza e con un totale di 340 mila posti per il 2008 è prevedibile che quasi tutti coloro che hanno i requisiti riescano ad ottenere il via libera. Una limitazione forte sarà posta a chi viene chiamato in Italia da un lavoratore straniero. Su questo sono d’accordo i ministri Roberto Maroni e Maurizio Sacconi che venerdì scorso, durante l’incontro tecnico che si è svolto a palazzo Chigi, hanno tracciato le linee guida. Adesso spetta al prefetto Mario Morcone e al direttore generale del Welfare Maurizio Silveri mettere a punto i dettagli.

Per poter assumere uno straniero, gli immigrati dovranno dimostrare di vivere regolarmente nel nostro Paese da tre anni, o addirittura da cinque e dunque di essere in possesso della carta di soggiorno. Tra le istanze relative al lavoro domestico, il 48 per cento è stata presentata da extracomunitari e, come ha sempre evidenziato Sacconi "ciò induce a un legittimo sospetto sulla genuinità delle domande", cioè che si tratti di un modo per aggirare la legge sui ricongiungimenti familiari che impone requisiti molto più rigidi.

Così come avvenuto per il precedente decreto relativo a quest’anno, 47.100 posti sono riservati ai cittadini di Paesi che hanno sottoscritto accordi di cooperazione con l’Italia (4.500 albanesi; 1.000 algerini; 3 mila cittadini del Bangladesh; 8 mila egiziani; 5 mila filippini; 1.000 ghanesi; 4.500 marocchini; 6.500 moldavi; 1.500 nigeriani; 1.000 pakistani; 1.000 senegalesi; 100 somali; 3.500 cittadini dello Sri Lanka; 4 mila tunisini; 2.500 cittadini di altri Stati).

Il provvedimento precedente assegnava a colf e badanti 65 mila permessi, ma è prevedibile che la quota sarà ben più alta lasciando alle altre categorie di lavoratori soltanto la cifra che avanza. In particolare i 14 mila addetti al settore edile che rimane uno dei più remunerativi. Del resto qualche giorno fa è stato lo stesso ministro Sacconi ad affermare: "Quello che sta accadendo nel mercato globale e, purtroppo, nella nostra economia deve indurci a riflettere. La gestione della programmazione dei flussi sarà un’operazione delicata e terrà inesorabilmente conto delle peggiorate condizioni. Dobbiamo cercare di evitare di portare nel nostro Paese persone che rischiano la disoccupazione e pensare a coloro che già sono qui e probabilmente sono quelli più a rischio di perdere il lavoro".

Immigrazione: Epifani; "congeliamo" la Bossi-Fini, per 2 anni

di Sergio Rizzo

 

Corriere della Sera, 3 novembre 2008

 

Nessuno si chiede cosa succede ai lavoratori stranieri quando perdono il lavoro. Il leader della Cgil: restituire il 70% dell’extragettito Irpef con le tredicesime.

Prima il No alla Confindustria. Poi il No al contratto del pubblico impiego. Quindi l’abbraccio con il leader della Fiom Gianni Rinaldini che prepara lo sciopero delle tute blu. Ma la campagna d’autunno di Guglielmo Epifani riserva altre sorprese. Come la clamorosa richiesta al governo di sospendere per due anni la legge Bossi-Fini sull’immigrazione. E la proposta di distribuire sei miliardi con le tredicesime.

 

Operazioni anche queste funzionali a "scalare il Partito democratico", progetto che gli attribuisce il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, l’uomo che finora ha invece detto sempre sì?

"Scalare il Pd? Fandonie. L’unica tessera che ho in tasca è quella della Cgil. Cerco di fare il mio, senza interferire. Sono sempre stato fra quelli che consigliano prudenza. Le scelte del sindacato sono certamente politiche, ma non siamo né vogliamo diventare un partito", replica il segretario della Cgil. "L’atteggiamento di Bonanni", aggiunge, "è quello di chi cerca di cambiare discorso".

 

Perché mai dovrebbe farlo?

"La stanno buttando in politica invece di mettersi a ragionare seriamente sulla crisi. Noi gli chiediamo di fare una piattaforma comune per aprire con il governo un tavolo sulla situazione pesante nella quale sta precipitando l’economia reale, e loro in realtà sfuggono".

 

Non sarà perché finora la Cgil ha detto soprattutto no?

"La verità è che non abbiamo mai avuto l’opportunità di discutere. Da quando è scoppiata la bufera finanziaria il governo ha incontrato tutti ma non ha mai voluto parlare con il sindacato".

 

Veramente pare che Giulio Tremonti sia andato a cena con Bonanni e Luigi Angeletti.

"Con le cene separate a lume di candela non si risolve nulla. Qui bisogna aprire un tavolo trasparente con il governo e presentare proposte precise. Io finora non ho sentito alcuna proposta da Cisl e Uil".

 

Se è per questo nemmeno la Cgil ne ha tirate fuori.

"Lo faremo il 5 novembre e chiederemo anche a Cisl e Uil di discuterle e condividerle. Se la crisi è eccezionale, servono misure eccezionali".

 

Del tipo?

"Nessuno si chiede che cosa succede ai lavoratori stranieri nel momento in cui perdono il lavoro. Sono quattro milioni, sono stati assunti per fare lavori che nessuno avrebbe fatto, e producono il 10% del reddito nazionale".

 

Dovrebbero essere rispediti ai Paesi d’origine?

"Proprio così. In base alle norme attuali perderebbero insieme al lavoro anche il titolo per restare in Italia. Siccome sono persone che hanno lavorato, e lavorato bene, non avrebbe alcun senso mandarle via per poi richiamarle quando l’economia dovesse riprendere. Né per loro né per il nostro Paese".

 

Allora?

"Allora la Cgil proporrà di sospendere l’efficacia della legge Bossi-Fini per due anni, allo scopo di consentire a queste persone di trovare una nuova occupazione". Quanti si troverebbero in questa condizione? "Sicuramente decine di migliaia".

 

Nessuno di loro avrebbe altre forme di tutela?

"Anche se le avessero non servirebbero a nulla. L’indennità di disoccupazione agricola, per esempio, non sarebbe sufficiente a garantire il mantenimento del permesso di soggiorno, per il quale è necessario dimostrare ogni anno di avere un certo reddito. Aggiungo che sono state innalzate le soglie di reddito per il ricongiungimento familiare, il che complica ancora di più le cose. L’unica tutela, per loro, sarebbe la sospensione della Bossi- Fini per un certo periodo".

 

Perché due anni?

"Se non due anni, quindici mesi o il tempo che si riterrà necessario. Come per le altre misure che proponiamo, tutte transitorie. Occorre trovare più risorse per la cassa integrazione per le piccole e medie imprese. Ci sono dei fondi, ma non bastano. Quindi bisogna individuare qualche ammortizzatore sociale per i precari".

 

Anche loro perdono il lavoro?

"Abbiamo calcolato che nel settore privato ne sono già saltati duecentomila. Senza uno straccio di sostegno al reddito. C’è poi la questione della cassa integrazione: se dura troppo si pone un problema di reddito anche per i cassintegrati".

 

Dove prendiamo le risorse?

"Perché non usare i denari che si spendono oggi per la detassazione degli straordinari? Se la crisi ha queste proporzioni, che senso ha detassare il lavoro straordinario e contemporaneamente, magari nella stessa azienda, mettere la gente in cassa integrazione e licenziare i precari?".

 

Sicuro che i soldi si trovino?

"Nel primo semestre di quest’anno il gettito dell’Irpef è aumentato di 8 miliardi e mezzo. Siccome il 70% di questa imposta è pagato dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, significa che a parità di salario pagano più tasse, come avevamo già denunciato. Allora noi proponiamo di restituire a lavoratori e pensionati tutto questo 70% a dicembre, ridistribuendolo sulle tredicesime".

 

Un bel regalo di Natale. Si rende conto che sono quasi sei miliardi?

"Con questa operazione si ottiene un doppio risultato: aiutare le famiglie nel periodo più difficile e dare una iniezione di fiducia".

 

Venerdì scorso lei ha benedetto lo sciopero generale dei metalmeccanici della Fiom. Potrà diventare lo sciopero generale di tutta la Cgil?

"Le iniziative che prenderà la Cgil, anche un eventuale sciopero, avranno come obiettivo le mancate risposte alla crisi economica e sociale".

 

Ma quello delle risposte alla crisi non sembra un tema molto popolare neppure a sinistra. Le risultano proposte del Partito democratico?

"Finora per tutti il tema è stato quello dell’emergenza. Ci sono frammenti di proposte. Il Pd ha chiesto di detassare le tredicesime. Ma certamente manca un disegno organico".

 

Che l’opposizione sia in difficoltà non è un fatto nuovo.

"Il risultato elettorale è stato molto pesante e non è facile riprendersi dopo una sconfitta simile, anche se la manifestazione del 25 ottobre è stata un successo. Ma bisogna anche considerare che c’è una difficoltà oggettiva a mandare avanti le proposte politiche".

 

E sarebbe?

"Come per il sindacato non ci sono tavoli di confronto, così il Parlamento non è più terreno di discussione. Alla maggioranza non interessa. Il governo va avanti a colpi di decreti legge".

 

Non c’entra nulla la presunta debolezza della leadership del Pd?

"Credo che Veltroni stia facendo bene, in condizioni difficili, con un partito complesso che deve ancora radicarsi, e dove esistono tante culture che debbono omogeneizzarsi. Ma le ricordo che sono il segretario della Cgil...".

 

Una proposta che fa discutere

 

Guglielmo Epifani, leader della Cgil, l’ha lanciata: sospendiamo la legge Bossi-Pini sull’immigrazione per due anni, così da tutelare i lavoratori stranieri. E Giuliano Cazzola, deputato Pdl, ha detto: sì, è una buona idea. Spiegando: "I lavoratori stranieri, soprattutto nel Centro-Nord, sono una componente indispensabile del mercato del lavoro". E questo a dispetto del Viminale.

Roberto Maroni, ministro dell’Interno, è infatti contrario alla proposta di Epifani, così come ha spiegato Alfredo Mantovano, sottosegretario al Viminale: "La letterale applicazione della proposta formulata oggi dal leader della Cgil porterebbe l’Italia al di fuori delle norme-base sull’immigrazione in Europa". E come Maroni e Mantovano anche Ignazio La Russa, ministro della Difesa, è contrario alla proposta di Epifani.

In realtà La Russa il suo no alla proposta leader della Cgil lo dice a prescindere, come spiega: "Non ho ancora approfondito la questione, ma non sono d’accordo".

Replica a distanza Jean Leonard Touadì, parlamentare del Pd: "Il Pd non è certo un partito del laissez-fair: per noi la tutela dei diritti dei migranti va di pari passo con il rispetto delle regole".

Come Touadì, così Roberto Di Giovan Paolo, senatore Pd: "L’attuale normativa Bossi-Fini è demagogica e ingannevole e produce una valanga di irregolari. Accogliamo la proposta di Epifani". D’accordo anche il segretario del Prc Paolo Ferrerò, per il quale il leader della Cgil "ha detto cose di assoluto buon senso. La Bossi-Fini andava superata, come avevamo cercato di fare con il precedente governo Prodi".

Contrari alla proposta del leader della Cgil sono invece anche il capogruppo della Lega alla Camera Roberto Cota ("Il dovere dei sindacati è di pretendere il rispetto delle regole, non la loro disapplicazione") e il vice capogruppo a Montecitorio del Pdl Italo Bocchino ("La proposta di sospendere la legge sull’immigrazione è demagogica e pericolosa").

No pure dal capogruppo del Pdl al Senato Maurizio Gasparri: "Dobbiamo andare nella direzione opposta a quella indicata da Guglielmo Epifani". Per Italo Bocchino (Pdl) "la proposta di sospendere la legge sull’immigrazione è demagogica e pericolosa", mentre Margherita Boniver (Pdl) sostiene: "La proposta di congelare per due anni la Bossi-Fini è irricevibile, anche se alcuni ragionamenti di Epifani sugli immigrati mi trovano d’accordo".

Interviene nel dibattito anche Gianfranco Rotondi, ministro democristiano di Attuazione del programma, tentando una mediazione: "Cerchiamo di non arrivare al muro contro muro. Su un tema così delicato come l’immigrazione bisogna confrontarsi e non scontrarsi".

Droghe: ancora "tolleranza zero", e ancora morti sulle strade

 

Notiziario Aduc, 3 novembre 2008

 

Davanti all’emergenza drammatica degli incidenti stradali avvenuti la scorsa notte, che dimostra purtroppo che ancora una volta che l’uso di droga e l’abuso di alcol al volante persiste e provoca gravi e irreparabili danni, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi afferma "la necessità di continuare un’opera di informazione e prevenzione ma nel contempo insistere nell’intensificazione dei controlli su strada".

"Il territorio deve essere presidiato maggiormente - afferma Giovanardi in una nota - ed è per questo che si è proposto e si continuerà a promuovere metodi di comprovata efficacia al fine di individuare e fermare persone ubriache o drogate al volante, mediante la stretta collaborazione di sanitari con le forze dell’ordine".

"Il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri - prosegue la nota - ha già predisposto e verificato da tempo una metodologia in tale senso (protocollo Drugs On Street) oltre alla possibilità di avere, da parte delle Regioni, Comuni e Prefetture interessate, un supporto tecnico/consulenziale diretto per poter attivare interventi efficaci.

Per questo si ritiene che proprio perché siamo davanti a un’emergenza che continua a mietere giovani vittime, sia necessario rivedere gli schemi di collaborazione tra le varie compagini operanti sul territorio - conclude Giovanardi - oltre a promuovere e valorizzare anche un nuovo ruolo dei Sert che potrebbero essere particolarmente utili nell’affiancarsi, come specialisti sanitari, alle forze dell’ordine".

 

Al volante imbottito di valium e cannabis uccide una ragazza

 

Un ragazzo di 29 anni, Alessandro Mega, operaio residente a Pero in provincia di Milano, è stato arrestato dai carabinieri di Rho per omicidio colposo e guida sotto l’effetto di sostanze psicotrope: nella notte di ieri ha provocato un incidente stradale a Bollate in cui è rimasta uccisa Roberta Caracci, studentessa di 24 anni di Arese, che rientrava da una serata tra amiche.

Il giovane, che guidava senza patente e ai controlli è risultato positivo a sostanze come cannabis e valium, secondo la ricostruzione dai carabinieri della tenenza di Bollate viaggiava a forte velocità e ha tentato un sorpasso azzardato, invadendo la corsia opposta e scontrandosi frontalmente con l’auto della ragazza che, soccorsa dal 118, è morta sul posto mentre i medici provavano a rianimarla.

Mega, che è rimasto ferito, è stato portato all’ospedale di Bollate, dove è risultato positivo ai test per verificare la presenza di droghe o alcool. Il ragazzo guidava senza patente: gli era stata ritirata la scorsa estate dai carabinieri della compagnia di Rho perché trovato alla guida sotto effetto di alcol. Il magistrato Brunella Sardoni ha disposto l’autopsia sul corpo della vittima.

Belgio: aumentano i suicidi in carcere, già 14 i morti nel 2008

 

Ansa, 3 novembre 2008

 

Sono in aumento i suicidi nelle carceri del Belgio: 14 detenuti si sono suicidati dall’inizio dell’anno, più che nell’intero 2007. Secondo le statistiche diffuse dal ministero della giustizia belga, il numero dei detenuti che si tolgono la vita in cella è in aumento costante in quasi tutti gli ultimi anni: nel 2003 i suicidi erano stati 10, per scendere ad otto nel 2004 e poi risalire ad 11 sia nel 2005 che nel 2006.

Iraq: donne ostaggi in carceri Usa al posto dei parenti maschi

 

Osservatorio Iraq, 3 novembre 2008

 

La maggior parte delle detenute che attualmente si trovano nelle carceri gestite dalle forze Usa in Iraq sono state arrestate al posto dei loro parenti maschi, un fatto che viola la Costituzione irachena.

La denuncia arriva da una deputata, Shatha al-Ibusi, dell’Iraqi Accord Front (IAF), la maggiore coalizione sunnita rappresentata in Parlamento, che riferisce che "ci sono 13 donne arrestate nelle carceri della Forza multinazionale, e la Commissione diritti umani del Parlamento ha ingaggiato dei legali per seguire i loro casi e deferirli ai tribunali iracheni".

Secondo la Ibusi, che fa parte della Commissione diritti umani, nelle carceri sotto il controllo del governo iracheno ci sarebbero 100 detenute, solo a Baghdad, 25-30 delle quali avrebbero meno di 18 anni. Nelle altre province dell’Iraq, la media sarebbe dalle 2 alle 10 detenute per ogni struttura carceraria.

La parlamentare irachena ha riferito che di recente la Commissione diritti umani ha avuto un incontro con alcuni rappresentati del Consiglio giudiziario supremo, del ministero della Giustizia, e della Commissione sicurezza e difesa del parlamento per seguire la questione delle detenute i cui casi ricadono all’interno della legge sull’amnistia.

"Il Consiglio giudiziario supremo ha preso la decisione di accelerare il rilascio di queste donne", ha detto la Ibusi, "ma a ritardarne l’applicazione è stato il ministero della Giustizia".

Arabia Saudita: primo sciopero della fame per i diritti umani

 

Ansa, 3 novembre 2008

 

Un giorno senza precedenti nella storia dell’Arabia Saudita. Nonostante il silenzio dei mezzi di comunicazione e la limitata adesione, il primo sciopero della fame a favore dei diritti umani è riuscito a diffondersi con il passaparola attraverso blog, siti web e la rete di Facebook.

Indetta dai legali di attivisti per i diritti umani e riformisti politici detenuti senza formali accuse o processi, l’iniziativa si svolgerà a partire dal 6 novembre si per 48 ore in varie città della monarchia petrolifera. Finora sono solo 26 le persone che hanno aderito allo sciopero della fame, ma la lista definitiva dei partecipanti all’iniziativa, che per 48 ore rimarranno nelle rispettive abitazioni senza bere e senza mangiare, verrà resa nota nei prossimi giorni.

Secondo quanto reso noto, tra i partecipanti che hanno avuto il coraggio di rendere pubblico il proprio sostegno alla protesta ci sono avvocati, intellettuali, studenti universitari e parenti dei prigionieri, tutti a rischio di arresto. Lo sciopero verrà realizzato a favore di 11 detenuti tra cui c’è anche un giudice e alcuni professori universitari (come Matruk Al Faleh, docente di scienze politiche all’università King Saud di Riad).

"Il nostro messaggio al governo è che non si può imprigionare per motivi di coscienza senza innescare conseguenze", ha spiegato Walid Abu Al Khair, avvocato e scrittore, "mentre ai prigionieri vogliamo ricordare che non solo soli".

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva