Rassegna stampa 18 novembre

 

Giustizia: Alfano; basta indulgenza, chi sbaglia deve pagare!

 

Agi, 18 novembre 2008

 

"Pensiamo che finora si sia esagerato nel concedere troppa indulgenza a chi ha sbagliato, ma anche ad alcuni soggetti che pur avendo sbagliato per la prima volta, hanno dato la sensazione di non pagare un conto alla società e alla giustizia".

Sono queste le "direttrici di massa" sulle quali intende muoversi il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che oggi è intervenuto all’inaugurazione del tribunale di Busto Arsizio. "Mi sto sforzando con tutte le mie forze - ha detto il ministro - con il sostegno del presidente del Consiglio e di tutto il governo, di portare avanti una riforma della giustizia.

Abbiamo un grande obiettivo - ha spiegato - che chiunque abbia prodotto un danno alla società, risarcisca la società. Siamo contro l’idea che chi sbaglia non paga. Abbiamo come obiettivo un progetto di legge che presenteremo al Consiglio dei ministri, per far sì che chiunque abbia sbagliato paghi e risarcisca il danno alla società". Al Cdm il progetto di legge arriverà già nei prossimi giorni. "Siamo al lavoro - ha ribadito - e proporremo il progetto al Cdm per rendere effettiva la certezza della pena: chi ha compiuto un danno seppur non grave alla società, la deve risarcire".

Giustizia: Ghedini (Pdl); sì a riflessione, ma servono due Csm

 

Affari Italiani, 18 novembre 2008

 

Sì a una "approfondita riflessione" ma il Csm deve essere diviso in due, uno per i giudici e uno per i pm. Lo dice Nicolò Ghedini, parlamentare del Pld e legale del Presidente del Consiglio,commentando le parole del Presidente della Repubblica alla cerimonia per i 50 anni del Csm.

"Come sempre - osserva Ghedini - il presidente Napolitano dà delle opportune indicazioni metodologiche. Un’approfondita riflessione su quello che è stato e ciò che è il Csm è utile per poter comprendere ciò che dovrà essere; attraverso la sua storia e il suo funzionamento il legislatore potrà cercare di riformare al meglio questo organismo che è molto importante per quanto attiene al valore dell’indipendenza della magistratura, che è qualcosa che vogliamo preservare". Il legale, sottolinea però, che "è anche necessario che vi sia un principio di responsabilità della magistratura, quando non è al servizio del cittadino ma è al servizio di se stessa. Ciò è accaduto molto spesso negli anni passati e questo credo che sia qualcosa che vada evitato con una riforma del Csm".

Nel ribadire il progetto della maggioranza, Ghedini parla di "un Csm diviso tra giudicante e inquirente e con una grande attenzione per quanto riguarda la possibilità del cittadino di rivolgersi alle funzioni disciplinari, con una maggiore fiducia rispetto a ciò che succede oggi dove, raramente, si vedono dare sanzioni ai magistrati e invece si vedono aprire fascicoli a tutela dei magistrati quando non ce ne sarebbe affatto bisogno.

Credo che questa debba essere la funzione prevalente del Csm, fermo restando l’indipendenza della Magistratura stessa". Un magistrato se sbaglia deve essere punito e sanzionato come accade con i giornalisti o con i medici, dice Ghedini: "Checché ne dicano i magistrati e i componenti del Csm, questa forma di autodichiarazione così pronunciata ha portato a provvedimenti davvero incredibili".

Giustizia: Bernardini (Pd); interrogazione su morti in carcere

 

Ristretti Orizzonti, 18 novembre 2008

 

Al Ministro della Giustizia. Per sapere - Premesso che:

lo scorso 10 novembre, nel carcere delle Vallette di Torino, è morto Hamid Driss, un ragazzo marocchino di 20 anni. Gli agenti della polizia penitenziaria hanno trovato il suo corpo riverso sul pavimento della cella con, vicino, un sacchetto di nylon e una bomboletta di gas, di quelle da campeggio. Secondo alcune notizie di stampa non è chiaro se il decesso è stato causato da un gesto suicida o a causa di una eccessiva inalazione del gas per fini di stordimento. Hamid Driss è morto nel Padiglione B, dove ci sono circa 520 detenuti, il doppio della capienza prevista;

il 26 luglio scorso un ragazzo di Piossasco, Manuel Eliantonio, di 22 anni, era morto nel carcere di Genova in circostanze analoghe; il suo corpo è stato trovato nel bagno con vicino una bomboletta del gas; poco tempo prima aveva scritto una lettera drammatica alla madre con scritto tra le altre cose: "Qui mi ammazzano di botte, mi riempiono di psicofarmaci, mi ricattano, sto male". Anche in questo caso dalla casa circondariale avevano lasciato intendere che la causa del decesso era stata determinata "forse da un incidente" (La Stampa - Cronaca di Torino, pag. 59);

il sito www.ristretti.it riesce a svolgere un encomiabile lavoro di monitoraggio con un dossier costantemente aggiornato sui suicidi e le morti in carcere dal 2000 al 2008, dossier realizzato esclusivamente su base volontaristica in base alle notizie dei giornali, delle agenzie di stampa, dei siti internet, delle lettere che l’Associazione Ristretti Orizzonti riceve sia dai volontari che dai parenti dei detenuti;

 

Per sapere:

 

quanti siano i casi di decessi analoghi a quello avvenuto il 10 novembre nel Carcere di Torino;

se si conoscono gli esiti delle inchieste della magistratura sui decessi analoghi a quelli su menzionati e quali provvedimenti sono stati presi per scongiurarne altri;

quali misure intenda mettere in atto per fronteggiare la grave situazione del sovraffollamento del carcere di Torino;

quali verifiche sono state fatte riguardo quanto scritto da Manuel Eliantonio alla madre prima del decesso riguardo le violenze subite nel carcere di Genova;

quale sia la situazione per il 2008 dei decessi in carcere e se non ritenga che la sezione "statistiche" del sito del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria debba contenere anche notizie aggiornate almeno mensilmente su questo aspetto classificato dallo stesso Dap sotto la voce "eventi critici" del "Pianeta Carcere".

Giustizia: Osapp; superata fatidica soglia dei 58 mila detenuti

 

Il Velino, 18 novembre 2008

 

"Da quando è iniziato il nuovo campionato ne abbiamo subiti di goal, a volte si pareggia ma ad aggiudicarsi la partita, qui, nemmeno l’ombra della minima speranza" Lo dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria (Osapp) a proposito della situazione generale attuale delle carceri italiane.

"I detenuti presenti effettivi, quelli che ospitiamo nei 200 istituti penitenziari italiani - prosegue -, hanno oramai raggiunto e superato la soglia fatidica delle 58 mila unità, 58.102 per l’esattezza (dato riferito a ieri), quando le persone che può ospitare il sistema carcerario rimangono ferme a poco più di 43 mila".

"E dire che di allenatori ne abbiamo cambiati in passato, e non che i precedenti fossero granché, ma l’ultimo - spiega Beneduci riferendosi all’attuale capo del Dap - ci sembra un po’ assente, parla poco con i giocatori e dicono segua poco gli allenamenti, anzi lo faccia dalla tribuna. Metafora a parte la situazione è talmente grave che non ammette altri silenzi, da parte del ministro della Giustizia Alfano, ma da parte anche di chi ha la piena responsabilità, nel dipartimento, di ciò che sta accadendo".

"Invitiamo il guardasigilli a non escludere - aggiunge il segretario Osapp - alcuna iniziativa per i problemi che segnaliamo quotidianamente. Come agenti di Polizia penitenziaria, i più titolati ad un dibattito per il quale si è esclusi a priori - conclude Beneduci -, sappiamo quello che accade quando si abbassa il livello di attenzione, soprattutto quando all’emergenza si risponde con idee che vanno soltanto in un’unica direzione. Questo però c’è chi che le idee le esprime".

Giustizia: strage alla Thyssen - Krupp, fu omicidio volontario

di Lorenza Pleuteri

 

La Repubblica, 18 novembre 2008

 

Omicidi dolosi. "Come prendere in mano una rivoltella e sparare" semplifica una vedova, digiuna di sottigliezze giuridiche e di implicazioni legate al "dolo eventuale". Alla cinque e mezzo della sera, al termine di una giornata di attesa che sembra non finire mai, la tensione si scioglie, qualche volto si riga di lacrime. Due giovani donne, le foto dei loro cari stampate sulle magliette, si abbracciano in aula.

Il giudice torinese Francesco Gianfrotta ha appena preso una decisione subito definita storica, epocale. Inedita. Uno spartiacque. Accogliendo in toto le richieste dell’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e dai pm Lauro Longo e Francesca Traverso, a conclusione dell’udienza preliminare manda a giudizio sei dirigenti della Thyssen Krupp e la società.

La "rivoluzione", la decisione cui dall’Italia intera si plaude, è nelle contestazioni. Omicidio volontario plurimo, con il dolo eventuale, per l’amministratore delegato Harald Espenhahn. Omicidio colposo plurimo per i manager delle acciaierie. E omissione consapevole di cautele per tutti. A giudicarli per la fine orrenda di sette lavoratori, morti bruciati per il rogo alla linea 5, sarà la Corte d’assise torinese, a partire dal 15 gennaio.

Una vittoria, per i familiari delle vittime, gli scampati, i colleghi, i sindacati, le istituzioni che si sono costituite parte civile a fianco di sigle di categoria e operai. Un passo importante. "Il primo su una strada che si annuncia ancora lunga e insidiosa", come dice tenendo i piedi per terra il parlamentare del Pd Antonio Boccuzzi, il lavoratore sopravvissuto per caso alla notte di fuoco e orrore del 6 dicembre 2007.

L’amministratore delegato Herald Espenhahn, scrive il gup Gianfrotta nell’ordinanza letta alle cinque e mezzo della sera, si "è rappresentato la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea 5" delle acciaierie di corso Regina Margherita e ha "accettato il rischio". Nonostante fosse a conoscenza dei problemi, "prendeva dapprima la decisione di posticipare dal 2006/2007 al 2007/2008 gli investimenti antincendio per lo stabilimento di Torino pur avendone già programmata la chiusura" e poi "la decisione di posticipare l’investimento per l’adeguamento della linea 5 - raccomandato dall’assicurazione, dai vigili del fuoco e da un organo aziendale, il Wgs - ad epoca successiva al trasferimento a Terni... e ciò nonostante la linea 5 fosse ancora in piena attività e vi continuassero a lavorare gli operai rimasti, in condizioni di crescente abbandono e insicurezza".

Gli avvocati del collegio di difesa parlano di "esagerazioni". Non nascondono la stizza: "Una cosa così - sbotta a caldo Cesare Zaccone - non si era mai vista". E rilanciano: "Restiamo convinti - aggiunge il collega Ezio Audisio - che questa disposizione di giudizio troverà un ridimensionamento, una ricollocazione in tematiche più consone. Trattandosi di un rinvio a giudizio, quella del giudice è una decisione che non entra nel merito delle responsabilità. Siamo certi che le nostre tesi saranno accolte al dibattimento".

I commenti raccolti ieri fanno loro capire come si siano schierati, prima del processo, amministratori locali, politici, sindacalisti. "La decisione del giudice - commenta il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino - interpreta la forte domanda di giustizia che sulla tragedia Thyssen Krupp proviene da tutta la comunità". Il principio sancito in aula, rileva la presidente della regione Piemonte, Mercedes Bresso, "apre sicuramente la strada, anche per il futuro, a dei profili di responsabilità particolarmente pesanti nei casi gravi" di incidenti sul lavoro.

Giustizia: dichiarato innocente, ma dopo trent’anni in carcere

 

Il Tempo, 18 novembre 2008

 

Un errore giudiziario clamoroso, un’ingiustizia pagata con trent’anni trascorsi nelle celle di diversi penitenziari italiani. Tutto per le dichiarazioni di un presunto pentito, mosso probabilmente solo da rancore personale.

È la vicenda di Melchiorre Contena, un allevatore di Orune trapiantato nel Viterbese, prima a Vetralla e poi ad Acquapendente, condannato per il sequestro e l’omicidio di Marzio Ostini, avvenuti nel gennaio 1977: dopo aver scontato l’intera pena, la Corte d’appello dell’Aquila lo ha riconosciuto innocente. La sentenza, emessa nel luglio scorso e notificata a Contena pochi giorni fa, revoca quella della Corte d’appello di Bologna dell’8 giugno 1983 "ed assolve il Contena dai reati per i quali ha riportato condanna per non aver commesso il fatto". La Corte ha stabilito anche la restituzione delle somme pagate per spese processuali, per il mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni alle parti civili.

Marzio Ostini, imprenditore lombardo di 38 anni, venne rapito il 31 gennaio 1977 nella sua villa di S. Casciano Bagni da tre uomini. Il suo cadavere, nonostante il pagamento del riscatto di un miliardo e 200 milioni, non venne mai ritrovato. Per le indagini fu decisivo un servo pastore, Andrea Curreli, che si presentò ai carabinieri di Montefiascone accusando Melchiorre Contena, due suoi fratelli e altre quattro persone, tutti arrestati.

Il "pentito", però, rilasciò dichiarazioni contraddittorie, prima ritrattando e poi riconfermando le sue accuse. Senza considerare il risentimento nutrito da Curreli nei confronti dei Contena, per i quali aveva lavorato prima di essere licenziato perché considerato inaffidabile. Circostanze che portarono all’assoluzione degli imputati sia in primo grado che in appello a Firenze.

La Procura generale però presentò ricorso in Cassazione e la Suprema Corte rinviò il processo a Bologna dove Melchiorre Contena fu condannato a 30 anni. Qui cominciò la battaglia della moglie, Miracolosa Goddi, che ha sempre creduto nell’innocenza del marito.

La donna scrisse ai giornali e partecipò a trasmissioni televisive gridando ai quattro venti l’ingiustizia subita. Col sostegno dell’avvocato Pasquale Bartolo del foro di Roma, venne presentata una prima istanza di revisione, respinta dalla Corte d’appello di Ancona. Quattro anni fa la Cassazione rinviò gli atti a L’Aquila, dove è stata emessa la sentenza assolutoria. A Melchiorre Contena, giunto alla soglia dei 70 anni, è stato restituito almeno l’onore. Ma nulla potrà risarcirlo per quei 30 lunghissimi anni di umiliazioni trascorsi dentro i penitenziari italiani.

Marche: ombudsman regione sarà anche garante dei detenuti

 

Il Messaggero, 18 novembre 2008

 

Difensore civico, Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza e Garante dei detenuti: accorpa le funzioni di queste tre istituzioni l’Autorità di garanzia per il rispetto dei diritti dei bambini e degli adulti presentata ieri ad Ancona. Le Marche si dotano così di un’Autorità, o Ombudsman regionale, prevista dalla legge regionale dello scorso luglio. "Si tratta - afferma una nota della Regione - di un provvedimento volto a rafforzare la tutela dei cittadini senza moltiplicare la spesa, assicurando pari dignità alle diverse forme di tutela extragiudiziale dei diritti e permettendo di realizzare al contempo le più opportune sinergie organizzative. Il Garante dei detenuti, in particolare, è di nuova istituzione nelle Marche, mentre Difensore civico e Garante per l’infanzia sono previsti dallo Statuto regionale ed erano già operanti in sedi e con titolari distinti".

All’Ufficio dell’Ombudsman sarà possibile proporre istanze senza alcuna formalità, oralmente o per iscritto, per posta tradizionale o posta elettronica, fax o telefono. "Ombudsman regionale" è il modo più corretto e più comune, specie a livello internazionale, per designare istituzioni di questo tipo. Il termini originario viene dalle Svezia dove, nel 1809, venne istituito il difensore civico. Si tratta di una figura di raccordo tra la cittadinanza e la pubblica amministrazione in tutti quei casi in cui occorre riesaminare o dare impulso all’operato delle istituzioni.

Viterbo: morto detenuto tossicodipendente, forse un’overdose

di Federica Lupino

 

Il Messaggero, 18 novembre 2008

 

A ucciderlo sarebbe stata un’overdose. Questa potrebbe essere la causa della morte di Emiliano Leonetti, il detenuto del Mammagialla trovato riverso a terra senza vita venerdì pomeriggio. "È ancora tutto da provare - afferma Franco Taurchini, che dell’uomo è il legale - ma qualora il sospetto fosse confermato, si aprirebbe uno scorcio preoccupante sui livelli di vigilanza all’interno del carcere di Viterbo". Livelli di vigilanza che da mesi gli stessi sindacati del settore denunciano essere non sufficienti.

Classe ‘73, residente a Roma e tossicodipendente, il giovane deceduto era stato arrestato per rapina. Più volte aveva fatto richiesta di poter entrare in una comunità per disintossicarsi, ma invano. Mercoledì scorso a fargli visita erano state la madre e la convivente. Incontro che lo aveva reso particolarmente felice. Anche perché la mamma gli aveva fatto un regalo: una casa tutta per lui. Ma giovedì, Emiliano aveva iniziato lo sciopero della fame, avendo ripetutamente richiesto un colloquio con lo psicologo che però gli era stato negato.

Venerdì il tragico epilogo, su cui indaga il pm Paola Conti. A trovarlo morto, un agente di polizia penitenziaria. Al momento del decesso, infatti, il suo compagno di detenzione non era in cella. Ieri pomeriggio l’autopsia: nessun segno di violenza. Per avere conferme sulla causa della morte occorrerà aspettare i risultati degli esami tossicologici, che il perito ha 60 giorni di tempo per ultimare.

Intanto, l’Osapp, per bocca del segretario provinciale Gennaro Natale, torna a lanciare l’allarme sulle condizioni di sicurezza all’interno di Mammagialla: "Siamo al collasso e nessuno pare preoccuparsene" denuncia, ricordando che gli agenti sono le prime vittime della situazione. "Abbiamo abbondantemente superato la quota dei 600 detenuti, ovvero quella pre-indulto", ricorda Natale. All’inizio del 2007 la popolazione carceraria era scesa a poco più di 400 unità grazie al provvedimento del governo, di cui nel 2006 avevano beneficiato 200 detenuti del Mammagialla.

"A fronte dei continui arrivi - spiega il sindacalista - non c’è stato alcun rafforzamento degli organici. Le dieci unità promesse dal dipartimento nei scorsi mesi, in termini concreti si sono ridotte a due". E, in effetti, a Mammagialla gli agenti di polizia penitenziaria sono meno di 400 rispetto ai 570 previsti dall’organico. "Se a ciò - prosegue - si aggiungono i pensionamenti che non vengono rimpiazzati si capisce che la situazione è davvero esplosiva, col padiglione per l’isolamento e le sezioni comuni stracolme".

C’è, infine, il capitolo dell’Eiv, il regime ad elevato indice di vigilanza, pronto a ospitare 25 detenuti provenienti, per lo più, dal 41 bis. "Se al dipartimento - conclude - decideranno di aprire la sezione, insieme a quella comune attualmente chiusa, allora qualcuno se ne dovrebbe assumere la responsabilità in prima persona, perché a essere compromessi sarebbero la sicurezza interna e l’ordine pubblico del Viterbese".

Viterbo: carcere pieno di poveri, manca perfino carta igienica

di Annabella Morelli

 

Il Messaggero, 18 novembre 2008

 

Il "Mammagialla" raddoppia. La sua popolazione carceraria è passata dai 400 detenuti post-indulto a oltre 600, con un 40 per cento di stranieri. E tutti o quasi, italiani e non, sono a corto di biancheria intima, calze, pantaloni, maglioni, perfino la carta igienica.

 

Ma possibile che non venga fornita dall’amministrazione neanche la classica tuta da carcerato, che peraltro non è gradita ai detenuti?

"L’amministrazione - dice Salvatore Zafarana, presidente dell’associazione di volontariato Gavac - non ha fondi e non riesce a vestire i suoi ospiti, dà solo un rotolo di carta igienica che, però, deve durare per tutta la settimana. Grottesco? Forse, ma siccome gli ordinativi si fanno un anno per l’altro, mentre la popolazione carceraria fluttua verso l’alto, con un vero e proprio sballo numerico, la dotazione per contro non aumenta e i problemi proliferano".

 

E cosa fanno i volontari del Gavac?

"Ci rivolgiamo al Vescovado, alle parrocchie per trovare fondi e vestiario, materiale igienico-sanitario da distribuire. Da qualche tempo, anche i Testimoni di Geova ci danno una mano con elargizione di denaro che il Gavac non possiede. È una situazione degradante per tutti e fuorviante per i volontari che dovrebbero occuparsi dei detenuti dal punto di vista morale e culturale, come hanno sempre fatto - tant’è che alcuni di loro sono arrivati a prendere il diploma con l’aiuto di docenti volontari".

 

Sono cambiati gli impegni…

"Infatti ora abbiamo quattro volontari che si occupano soltanto di reperire materiale, prendere taglie e distribuire vestiti. Eppure è chiaro che un detenuto messo "al fresco" in estate, ha bisogno poi in autunno e inverno di abiti più pesanti, almeno di un maglione. In effetti con la stagione fredda si va incontro a malattie da raffreddamento che possono anche degenerare e vista la situazione sanitaria delle carceri, dove almeno un detenuto su quattro ha una qualche malattia grave come epatite, hiv, tubercolosi, la situazione diventa pericolosa".

 

Ma nel carcere è possibile fare compere?

"Sempre se hai soldi. C’è una ditta (che ha il permesso del ministero di grazia e giustizia) che propone una lista nella quale scegliere ciò di cui si ha bisogno. La ditta ci guadagna il 10 per cento, ma siamo sempre lì: servono soldi. E a volte quello che è elencato nella lista non c’è come marca, magari ce n’è più costosa e se un euro fuori carcere non è niente, per i detenuti è dura comprare obtorto collo il genere più costoso".

 

La maggior parte dei carcerati è veramente molto povera…

"Sì, perché chi è stato condannato a 5-6 anni, spesso perde la famiglia, la fidanzata o la moglie e poi la maggior parte viene da famiglie non abbienti che cercano disperatamente di usufruire per le loro visite del nostro appartamento d’appoggio per non spendere quei 30-40 euro a notte che servono durante la permanenza a Viterbo. Figurarsi se hanno soldi da dare ai loro parenti reclusi a Mammagialla".

Pesaro: due i detenuti morti in sette giorni, agenti preoccupati

 

Il Messaggero, 18 novembre 2008

 

Due presunti arresti cardio-circolatori in meno di una settimana. Su Villa Fastiggi sembra essersi abbattuta una specie di maledizione che ha stroncato la vita di due detenuti.

E, in attesa dei risultati delle autopsie disposte sui cadaveri dell’albanese morto ieri mattina e della donna italiana deceduta la settimana scorsa, è il Sappe che esprime la propria preoccupazione. "Esprimo - spiega Aldo Di Giacomo, segretario regionale Sappe - grande preoccupazione e rammarico, personale e del Sappe, per l’incredibile escalation di eventi critici che ha colpito il carcere di Villa Fastiggi nell’ultimo periodo. Una drammatica escalation che si aggiunge alla già grave situazione della popolazione carceraria e ai noti problemi di organico".

L’intenzione è quella di non strumentalizzare le due tragedie ma il sindacalista ritorna sui problemi di sovraffollamento dell’istituto e sul suo recente incontro con il primo cittadino pesarese. "Siamo contenti che il sindaco Ceriscioli abbia accettato il nostro invito a visitare la casa circondariale di Villa Fastiggi - continua Di Giacomo - sarà l’occasione affinché anche le istituzioni si rendano conto delle difficoltà con cui, ormai da anni, il carcere di Pesaro convive. Auspichiamo che proprio dalle autorità istituzionali del territorio possa giungere un sollecito rivolto al Ministero e al Dipartimento di amministrazione penitenziaria, per un intervento immediato". In tal senso il sindacalista si incontrerà a breve anche con il prefetto pesarese Alessio Giuffrida.

 

La direttrice del carcere: nessun mistero su questi decessi

 

Claudia Clementi, alla direzione del carcere pesarese da appena un mese, spiega il doppio dramma che si è consumato dietro le sbarre nell’ultima settimana: "Non sono morti sospette, si tratta di infarto in entrambi i casi"

Dirige da un mese il carcere di Villa Fastiggi. In pochi giorni, sono morti due detenuti per infarto. Non le sembrano decessi un po’ sospetti? "No, nessun mistero - spiega la dottoressa Claudia Clementi, direttrice del carcere - il primo caso riguardava una donna di quarant’anni trovata senza vita nella sua cella".

"L’autopsia ha escluso fattori esterni o suicidio. In questo secondo caso, il detenuto era un giovane albanese di 27 anni, Klaudio Pipa, che si trovava in cella da solo. Quando si è sentito male, abbiamo fatto intervenire subito il medico che si trovava in infermeria che ha provato a rianimare il giovane. Poi sono arrivati i sanitari del 118 che per cinquanta minuti hanno provato a rianimare il detenuto colpito da malore ma si è rivelato tutto inutile. Anche per questo secondo caso, verrà effettuata l’autopsia ma già i medici hanno parlato di infarto".

I controlli sanitari sono frequenti o lasciati al caso? "Sono di due tipi: quando la persona arriva in carcere, viene sottoposta a visita completa e quindi si crea la cartella sanitaria e poi ad intervalli successivi. In questo caso, il 27enne era arrivato in carcere il 9 novembre scorso per scontare una pena definitiva che finiva nel 2010. Dalla visita non era emerso nulla di anormale". Può accadere che venga aspirato volutamente il gas dei fornelletti da campo di cui sono dotate le celle? "Sì, ma non è questo il caso né comunque si arriva al decesso per tale motivo. Sono nell’amministrazione carceraria da troppi anni per non sapere queste cose".

Livorno: agenti con stipendio ridotto, sono pronti a sciopero

 

Il Tirreno, 18 novembre 2008

 

Da sette mesi portano a casa uno stipendio ridotto di quasi un terzo. E di questi tempi di crisi economica, non è poco. Gli agenti del Nucleo traduzione e piantonamenti della polizia penitenziaria sono pronti a incrociare le braccia e minacciano di interrompere il servizio se non vedranno nella busta paga quanto gli spetta.

Da aprile, infatti, circa una quarantina di poliziotti che lavorano in città prendono 4-500 euro in meno, somma che spetterebbe loro per le indennità delle missioni, ma che tuttavia, nonostante i solleciti, l’amministrazione non ha ancora pagato. Per questo nei giorni scorsi la segreteria provinciale Uil ha scritto al prefetto Domenico Mannino, per sollecitarlo sulla questione. In pratica, quando gli agenti vengono inviati fuori per il trasporto dei detenuti, prendono in anticipo una parte delle spese di missioni, per soddisfare esigenze di pernottamento e di nutrimento. Spesso però i soldi non sono sufficienti e quindi devono compensare di tasca loro.

"È dura per un agente di polizia, che vive del proprio stipendio, dover anticipare soldi che servono a espletare il servizio - dice Maurizio Guarrera, segretario provinciale delle Uil penitenziari - Un agente non può e non deve farsi carico delle spese dell’amministrazione. Questo fenomeno comporta uno stillicidio finanziario del personale del Nucleo, e a pagarne gli effetti più gravosi sono, indirettamente, le famiglie. E come glielo spiegano alle loro mogli, gli agenti, che da sette mesi guadagnano di meno? C’è poco da discutere quando uno ha da pagare le rate dell’asilo, dell’assicurazione, del mutuo e così via".

Di questo problema il sindacato ha anche informato il provveditore di Firenze, oltre che la direttrice di Livorno, ma per il momento non è stato possibile trovare una soluzione. "Resta il fatto che gli agenti si trovano sempre più squattrinati e molto delusi, si teme un crollo psicologico. Noi confidiamo in un intervento del prefetto - sottolineano dalla Uil - per scongiurare qualsiasi situazione critica nella polizia penitenziaria, che è giunta al limite della sopportazione". Gli agenti sono dunque pronti allo sciopero, con tutte le conseguenze che un’iniziativa del genere comporta.

"Se le missioni arretrate non verranno pagate - sottolinea Guarrera - il personale rischia il collasso finanziario e i processi e le traduzioni potranno essere a rischio di ritardi a loro volta. Già a Napoli, qualche anno fa, è successa la stessa cosa e gli agenti hanno incrociato le braccia, rifiutando di partire se prima non gli fosse stato dato a loro l’anticipo di missione. I poliziotti erano stati denunciati per interruzione di pubblico servizio e di disubbidienza ad un ordine dato. Tuttavia erano stati tutti assolti in quanto la magistratura aveva riconosciuto che l’amministrazione non poteva pretendere che gli Agenti si facessero carico delle spese di pertinenza della stessa amministrazione penitenziaria. I lavoratori si appellano dunque al prefetto, sperando in un suo rapido intervento.

Firenze: il 24 novembre convegno nazionale su teatro-carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 18 novembre 2008

 

A Firenze, il 24 novembre, un convegno nazionale per fare il punto sul teatro in carcere. L’appuntamento si colloca alla vigilia del decimo anniversario della "rete" per le attività teatrali che oggi coinvolge 15 istituti.

"A scene chiuse?" è il titolo del convegno nazionale sul teatro in carcere che si terrà lunedì 24 novembre a Firenze, nel Saloncino del Teatro della Pergola. A partire dalle 10 sono previsti gli interventi di Paolo Cocchi, assessore regionale alla Cultura; Onofrio Cutaia, direttore generale Eti; Maria Pia Giuffrida, provveditore toscano dell’amministrazione penitenziaria e Siro Ferrone, docente di Discipline dello spettacolo all’università di Firenze.

L’appuntamento si colloca alla vigilia del decimo anniversario della nascita, in Toscana, di una specifica "rete" fra le attività di spettacolo all’interno degli istituti penitenziari: dalle 7 realtà coinvolte nel 1999, all’inizio del progetto, con il tempo la "rete" si è allargata fino a comprenderne, oggi, 15. Vengono realizzati laboratori musicali, di scrittura e di scenografia: per tutte valga l’esperienza pilota di Volterra che ha raggiunto negli anni una rilevanza anche a livello internazionale.

"Un vero e proprio ponte comunicativo - sottolinea Paolo Cocchi - tra culture e comunità diverse, tra liberi e non liberi, un importante spazio di comunicazione fra carcere e città". E alla Pergola, lunedì 24 novembre, si cercherà di capire se esiste la possibilità, e quali possono essere le metodologie, per mettere a confronto le diversificate esperienze nazionali con l’obiettivo di ipotizzare relazioni e scambi partendo dai risultati, sociali e artistici, raggiunti. Il programma prevede anche la presentazione di una mostra fotografica ("A scene chiuse"), di un volume che raccoglie le immagini di Maurizio Buscarino dedicate all’esperienza del teatro in carcere nonché approfondimenti tematici e, nel pomeriggio, una tavola rotonda con un confronto fra esperienze di Toscana, Lazio, Emilia, Lombardia, Puglia.

Torino: imprese e detenuti si incontrano con il teatro-giornale

 

Agi, 18 novembre 2008

 

Va in scena domani, presso la casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino, il primo appuntamento con il Teatro-giornale ideato e condotto da Claudio Montagna, insieme ai detenuti della sesta sezione del Padiglione A e agli attori di Cast. Lo spettacolo, che verrà ripetuto i giorni 20, 24, 26 e 28 novembre, è il prodotto di un’attività teatrale promossa e sostenuta da diversi anni dall’assessorato alla cultura della Città di Torino, dalla Compagnia di San Paolo, dalla Regione Piemonte e realizzata in accordo con la direzione del carcere.

In particolare, negli ultimi due anni, sono state coinvolte diverse associazioni di categoria (Ascom, Api, Confartigianato, Artigianato Piemonte Casa, Cna Unione Industriale, Confesercenti e Camera di Commercio) e, attraverso di loro, varie imprese, per costruire un dialogo sui temi del lavoro e della detenzione e avviare forme di collaborazione.

Un coinvolgimento costante, che ha portato alla pubblicazione di un vademecum, realizzato grazie ai contributi di Città e Provincia di Torino, Camera di Commercio e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, che raccoglie le principali normative legate all’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti e offre alcuni esempi di come una attività produttiva, all’interno di un carcere, possa costituire a tutti gli effetti una eccellenza imprenditoriale.

Queste cinque serate sono le prime di nove appuntamenti offerti alla cittadinanza torinese e in modo particolare alle imprese, che proseguiranno anche nel corso del 2009 prima del consueto appuntamento teatrale annuale.

Immigrazione: Maroni d’accordo; 2 anni di stop agli immigrati

di Rodolfo Sala

 

La Repubblica, 18 novembre 2008

 

Adesso non è più solo una proposta della Lega presentata in Senato: c’è l’ok del ministro dell’Interno al blocco degli ingressi dei lavoratori immigrati. Con una moratoria di due anni che riguarderebbe l’arrivo in Italia di stranieri regolari in cerca di occupazione. Roberto Maroni spiega che l’idea di questa moratoria deriva dal quadro di forti difficoltà creato dalla crisi economica. E servirebbe a tutelare innanzitutto gli immigrati che già lavorano in Italia.

"Siamo preoccupati che la crisi possa colpire i più deboli e quindi i lavoratori immigrati - spiega il ministro a Como, dove incontra i presidenti delle Province lombarde per parlare di sicurezza - . Penso che abbia più senso adottare politiche utili per il reimpiego di questi lavoratori, che farne arrivare altri". Insomma, teniamoci "i vecchi", cercando magari di aiutare quelli che rischiano di perdere il posto, e chiudiamo per due anni le frontiere a quelli "nuovi". Per il ministro, oltretutto, non c’è nulla da inventare, basta seguire l’esempio dell’Unione europea, "che nel 2004 con l’allargamento a dieci nuovi Paesi, decise una moratoria di due anni".

Ma alla vigilia della ripresa del dibattito in Senato sul disegno di legge sulla sicurezza (se ne riparla da oggi a Palazzo Madama, dopo lo stop della settimana scorsa quando era mancato il numero legale), Maroni insiste su un altro aspetto assai controverso di quel pacchetto: le ronde. Bisogna andare avanti, è il messaggio, e dare dignità di legge a "iniziative governate dai sindaci per il presidio del territorio a tutela dei cittadini". I volontari rondisti sono, secondo Maroni, persone armate di una sola cosa: "Buona volontà". Il loro compito è "segnalare alle forze di polizia episodi di microcriminalità, ma anche prestare, se necessario, un primo soccorso di carattere umanitario alle vittime di violenze". E sul disegno di legge che contiene questa novità, il ministro si augura che arrivi anche il sì dell’opposizione.

Il responsabile del Viminale torna infine sulle polemiche legate ai Cpt, i centri di permanenza temporanea, sollevato anche da Mario Pirani ieri su Repubblica (a proposito dello sfratto da Lampedusa di "Medici senza frontiere"), e che si arricchisce con la notizia delle perquisizioni ordinate dalla magistratura al ministero per acquisire atti relativi ai "mini Cpt". "A uno stato di emergenza - dice Maroni - si risponde con misure di emergenza; comunque ho parlato con i nostri responsabili e assicuro che tutto si è svolto in modo conforme alle leggi".

Immigrazione: stranieri e reati, all’Italia il record della paura

di Alberto D’Argenio

 

La Repubblica, 18 novembre 2008

 

Gli italiani sono il popolo che più ha paura dell’immigrazione. Più degli altri europei e più degli americani. Un dato che emerge dal rapporto messo a punto dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo intitolato "Transatlantic trends immigration".

I numeri parlano chiaro: l’86% teme l’immigrazione illegale e il 68% di essi, percentuale più alta d’Europa, pensa che la maggior parte degli stranieri siano in Italia senza permesso. Approccio che spiega perché l’82% dei nostri concittadini voglia il rimpatrio degli immigrati. E ancora, il 66%, dato record, ritiene che l’immigrazione aumenti la criminalità a fronte di una media europea del 52% e americana del 47%.

Problemi, da noi, anche con gli immigrati musulmani: il 60% ritiene che non rispettino le altre culture. Sentimenti di chiusura superiori al resto d’Europa e agli Usa. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, ad esempio, non si crede che l’immigrazione favorisca il terrorismo, con Francia e Olanda - tra i paesi con la percentuale più alta di stranieri - che vedono i nuovi arrivi più come un’opportunità che come un pericolo. Ma l’ansia resta ovunque, con europei e americani concordi sul fatto che gli stranieri andrebbero accolti solo se in possesso di lavoro e padronanza della lingua.

Oggi la Commissione europea pubblicherà un rapporto dal quale emergerà che l’allargamento a Est non ha turbato il mercato del lavoro dei vecchi paesi Ue: la temuta invasione degli idraulici polacchi, simbolo delle paure dell’Europa occidentale, non si è verificata. Il numero di romeni e bulgari, ad esempio, che si sono spostati per lavoro è passato da 1,3 milioni a 1,6 milioni dopo l’ingresso in Europa, anche se la maggioranza si è trasferita in Spagna e Italia.

Immigrazione: Toscana; cure, mense e alloggi per i clandestini

di Mario Lancisi

 

Il Tirreno, 18 novembre 2008

 

Cure mediche, ma anche accesso a mense e dormitori in caso di freddo per i clandestini. Lo prevede la proposta di legge sull’immigrazione approvata ieri dalla Giunta regionale. Tutto questo sarà possibile grazie alla tessera del clandestino.

Si chiama Stp (straniero temporaneamente presente), e viene attualmente utilizzata nei ricoveri urgenti. Se ad esempio un clandestino, investito da un auto, viene portato ad un ospedale i medici hanno l’obbligo di rilasciargli la Stp e di curarlo. Questione di civiltà. Ma ora la Giunta toscana estende la Stp anche alla cura sanitaria e all’uso della mensa e dei ricoveri. Un’estensione destinata ad attizzare polemiche. Anche perché, come ha osservato il presidente Martini, la proposta di legge verrà discussa in Consiglio regionale all’inizio del prossimo anno, a ridosso delle elezioni amministrative e europee: "Si vedrà allora se del problema degli immigrati si potrà discutere serenamente o se prevarranno toni ideologici. L’immigrazione deve essere trattato come un tema di governo". La legge nazionale parla chiaro: "L’accesso alle strutture sanitarie da parte di chi non è in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcuna segnalazione all’autorità". Cure, mense e dormitori.

Il vento politico però sta cambiando. La Lega ha proposto di cancellare questa norma: il clandestino viene curato e poi espulso. In questa maniera però nessun clandestino si presenterà agli ospedali. La Regione non solo conferma la Stp per le emergenze, ma la estende anche ai casi normali in cui un clandestino si senta male. La Stp non è il libretto della mutua, ma vi si avvicina. Il clandestino non ha il medico di base, ovviamente.

Però può curarsi presso una struttura ospedaliera. La ragione di questa estensione non è solo umanitaria, ma serve anche a noi toscani, ha spiegato l’assessore alla Sicurezza sociale Gianni Salvadori: "Ci sono casi di clandestini che hanno malattie infettive. Se non le curano per paura di essere denunciati si possono rischiare casi di contagio. Il principio è che se un clandestino è malato deve essere curato". Non solo. Con la Stp sarà possibile al clandestino accedere a mense e dormitori pubblici. Possibilità oggi negata, anche se spesso viene chiuso un occhio da parte delle autorità pubbliche. Cosa prevede la legge. Ma la proposta di legge della Giunta è pensata soprattutto per i regolari, ovviamente.

"L’ispirazione che è alla base della nostra legge è che migliorando le condizioni di vita degli immigrati regolari combattiamo meglio gli irregolari, i clandestini", ha spiegato Martini. Così la proposta di legge prevede numerose misure di intervento a favore dei regolari quali i corsi di italiano per bambini e adulti, per il rispetto delle differenze religiose (come l’assegnazione di spazi cimiteriali per la sepoltura dei morti e di spazi per la macellazione rituale nel rispetto delle norme vigenti). Verrà rafforzata la rete regionale di sportelli informativi ed è prevista una campagna contro le mutilazioni genitali femminili. E ancora.

La proposta di legge presta attenzione ai soggetti più deboli, come i rifugiati e i richiedenti asilo, minori, donne incinte, detenuti e vittime della tratta. Vengono inoltre riconosciuti i titoli professionali. È promossa e valorizzata la promozione della convivenza interculturale, nonché l’accesso degli immigrati al servizio civile regionale. Molte di queste misure sono già previste. La proposta di legge le conferma ("e non è semplice dal momento che il governo Berlusconi ha cancellato il fondo per gli aiuti agli immigrati") e le aumenta, come nel caso dell’estensione della Stp.

Ma il valore della legge è soprattutto politico. In un momento in cui soffia un vento ostile all’immigrazione, questa proposta di legge della Toscana va controcorrente. Martini ha citato in positivo gli interventi di Napolitano e Fini. Due voci istituzionali, ma anche i padri di due leggi sull’immigrazione.

Droghe: il narco-test per conducenti di camion, treni ed aerei

 

Italia Oggi, 18 novembre 2008

 

Tutti gli operatori addetti alla conduzione di camion, treni, navi, aerei e altri mezzi di trasporto professionale devono essere sottoposti a un test antidroga periodicamente. E sono previste sanzioni molto severe per il datore di lavoro che omette questi accertamenti o non trasferisce ad altre mansioni i lavoratori eventualmente positivi.

Lo ha evidenziato la Confartigianato con la Circolare n. 27 del 20 ottobre 2008. Il 18 settembre scorso, specifica innanzitutto la nota centrale, è stato approvato dalla conferenza Stato-Regioni il protocollo sulle procedure per l’effettuazione dei test antidroga sui lavoratori a rischio. Si tratta in pratica dei lavoratori che svolgono attività di "conducenti di autoveicoli (patenti e, d, e), di taxi, di veicoli di noleggio con conducente, di trasporto merci pericolose su strada; di addetti alla guida di macchine di movimentazione terra e merci; di personale

navigante su imbarcazioni da diporto in noleggio pelle acque interne; di conducenti di treni, navi e aerei, addetti ai pannelli di controllo nel trasporto, di addetti alla fabbricazione e all’utilizzo di esplosivi e fuochi di artificio; di addetti all’impiego di gas tossici". Questi lavoratori, prosegue la nota, dovranno essere sottoposti ad accertamento medico di assenza di tossicodipendenza prima dell’assunzione in servizio e periodicamente ogni anno.

Ma anche in ipotesi di ragionevoli dubbi sull’uso di sostanze si dovrà procedere a un test antidroga. In particolare, per quanto riguarda gli autisti, un sinistro stradale può già essere una motivazione adeguata per l’effettuazione della verifica. Spetterà al datore di lavoro comunicare al medico i nomi dei lavoratori da sottoporre a verifica antidroga. Il protocollo per gli accertamenti, prosegue la nota, prevede tre tabelle che fissano la concentrazione delle varie classi di sostanze stupefacenti sia nelle urine che negli altri elementi biologici dell’operatore. Le verifiche sanitarie sono articolate sostanzialmente su due livelli.

Il primo controllo prevede una visita medica generale "finalizzata a identificare eventuali segni e sintomi distintivi dell’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope e poi un test rapido delle urine".

In caso di esito positivo di questo primo esame è previsto l’invio del campione biologico alla struttura sanitaria per gli approfondimenti di secondo livello. A questo punto solo il Sert o altra struttura sanitaria pubblica potranno attivarsi per esperire i necessari accertamenti finalizzati a documentare una semplice assunzione o una vera e propria dipendenza da droga del lavoratore.

Nel primo caso, ferma restando la facoltà del datore di adibire a diversa mansione l’operatore, scatterà un periodo di osservazione. In caso di dimostrata tossicodipendenza scatteranno invece misure più rigide diversificate anche dai singoli contratti collettivi. Per il datore che omette queste cautele sono previste sanzioni fino a 4 mesi di arresto o l’ammenda fino a 25 mila euro.

Israele: Olmert promette ad Abbas liberazione di 250 detenuti

 

Il Velino, 18 novembre 2008

 

Duecentocinquanta detenuti palestinesi liberati prima della festività islamica dell’Id Al-Adha (la festa del sacrificio, festeggiata quest’anno l’8 dicembre). Questa la promessa fatta oggi a Gerusalemme dal primo ministro israeliano Ehud Olmert al presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas.

Come già nel passato, il gesto intende rafforzare la leadership del leader dell’Anp. Tant’è che i prigionieri in via di liberazione sono tutti militanti o simpatizzanti del movimento laico di Fatah, di cui Abbas è presidente. Olmert ha anche espresso la propria intenzione di far procedere il processo di pace con i palestinesi nonostante la crisi di governo in Israele.

Contestato dallo stesso ministro degli Esteri Tzipi Livni e dal leader dell’opposizione nazionalista Benjamin Netanyahu, Olmert ha ricordato il parere del procuratore generale dello Stato Menahem Mazuz, secondo il quale anche un premier dimissionario come Olmert è pienamente abilitato a portare avanti negoziati come quelli incorso con l’Anp.

Abbas da parte sua ha chiesto a Olmert di rispettare la tregua per Gaza formalmente ancora in corso con Hamas, "perche gli scontri peggiorano le condizioni di vita degli abitanti della Striscia". Agli uomini del movimento islamico, il capo dell’Anp ha invece chiesto di dare prova di moderazione e di non fornire "scuse" agli israeliani per intervenire.

Yemen: iraniano, trafficante di hashish, condannato a morte

 

Notiziario Aduc, 18 novembre 2008

 

Un cittadino iraniano è stato condannato sabato a morte da un tribunale yemenita per traffico di droga al termine di un processo celebrato davanti a un tribunale di Sanaa, la capitale. Secondo fonti giudiziarie, altri 11 cittadini iraniani e un pachistano sono stati condannati a 25 anni di carcere per lo stesso reato.

Ayub Mohammad Houd, 33 anni, e i suoi 12 asseriti complici erano stati accusati di avere introdotto 1,5 tonnellate di hashish nelle acque territoriali yemenite. La droga, secondo l’accusa, era nascosta a bordo di una nave proveniente dall’Iran. I 13, stando all’atto di accusa, erano stati intercettati da una nave della marina americana e consegnati alle autorità yemenite. Il processo era iniziato il 12 ottobre.

Altri 13 cittadini iraniani sono sotto processo nello Yemen anche loro per traffico di stupefacenti. Le autorità di Teheran sostengono di non essere state informate degli arresti e si sono dette sorprese di avere appreso della vicenda solo dai mezzi di informazione.

 

 

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