Rassegna stampa 19 novembre

 

Giustizia: lavori socialmente utili, invece di pene fino 4 anni?

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2008

 

Potrà essere estinto il reato commesso da chi è incensurato. A patto che non sia punito con una pena superiore a quattro anni. Servirà un congruo periodo di "messa alla prova" e poi il delitto potrà essere cancellato e la fedina penale resterà immacolata.

È quanto prevede lo schema di Disegno di legge messo a punto dal ministero della Giustizia, annunciato nei giorni scorsi dal ministro Angelino Alfano per assicurare la certezza della pena. La possibilità della "messa alla prova" era già stata prevista in un disegno di legge presentato dall’allora Guardasigilli Clemente Mastella due anni fa, insieme ad altre misure sul processo penale. Nella versione che ha ora preso corpo si prevede che, per reati punibili nel massimo con quattro anni di carcere oppure con una sanzione pecuniaria, gli incensurati potranno chiedere, nella fase delle indagini preliminari o fino all’apertura del dibattimento se il procedimento si svolge davanti al giudice unico, di sospendere il procedimento ed essere destinati a lavori di pubblica utilità.

Al termine di questo periodo (che potrà essere al massimo di due anni per le pene detentive e di un anno per quelle pecuniarie), se l’autorità giudiziaria avrà dato una valutazione positiva sulla riabilitazione, il reato sarà cancellato.

Contro la decisione di concedere il beneficio il pubblico ministero potrà ricorrere in Cassazione; la prescrizione resta ferma per tutto il tempo dedicato ai lavori socialmente utili; la sospensione verrà revocata in caso di commissione di nuovi illeciti e sarà il ministero della Giustizia a determinare le modalità di svolgimento della "messa alla prova". La novità è stata sperimentata sinora nel processo ai minori dove ha dato, tutto sommato, buoni risultati: dal 1999 al 2004 la "messa alla prova" ha dato infatti un esito positivo nell’80% dei casi (2.173 nel 2004).

Nel perimetro dei reati potenzialmente interessati dal beneficio rientrano però delitti come la corruzione semplice, l’abuso di ufficio, le lesioni colpose, molti reati ambientali e fiscali, il furto. Un rischio di impunità che ha già sollevato le critiche di Antonio Di Pietro che ha parlato di "norma salva-incensurati. Chi è incensurato potrebbe infatti continuare a commettere reati sanzionati fino a quattro anni senza dovere mai scontare la pena".

Più favorevole l’Anm, con il presidente Luca Palamara che ha ricordato come si tratti di una richiesta fatta, di recente, dalla stessa Associazione magistrati al ministro: "Avevamo chiesto che il tetto di pena per il beneficio fosse fissato a tre anni e non a quattro. Ma in ogni caso si tratta di misure che valutiamo con favore sotto il profilo dell’alternativa al carcere".

L’associazione Antigone, allarmata per il sovraffollamento delle carceri (oltre 58mila detenuti contro una capienza di 43mila posti), ritiene che la messa alla prova sia "una misura da sperimentare", mentre giudica simili a "forme di lavoro forzato" i lavori gratis che i detenuti saranno obbligati a svolgere per poter ottenere i benefici penitenziari.

Ed è sui benefici a persone già condannate che si concentra l’altra parte del disegno di legge. Si prevede infatti che istituti come la sospensione condizionale della pena, l’affidamento in prova, la libertà controllata potranno essere concessi solo con l’obbligo di svolgere lavori socialmente utili. Una linea di intervento che si fonda sulla necessità di garantire una maggiore certezza nell’applicazione della pena da una parte e, dall’altra, di assicurare un ristoro alla collettività per il reato commesso.

Il ministero, nella relazione al disegno di legge, corrobora con i dati la sua impostazione: a fronte di circa 50mila concessioni all’anno della sospensione condizionale della pena, quelle subordinate a qualche forma di riparazione a favore della persona offesa sono non più di qualche centinaio (345 nel 2003 e 1.275 nel 2007). In tutti gli altri casi, si sottolinea, il beneficio è stato concesso senza contropartite.

Giustizia: ddl Alfano; An e Lega frenano, opposizione critica

di Nicoletta Cottone

 

Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2008

 

Il ddl Alfano sulla giustizia "è ancora tutto da esaminare". Bisogna riflettere molto, spiega il ministro della Difesa Ignazio La Russa, lasciando palazzo Chigi al termine del Consiglio dei ministri, sul provvedimento che in sostanza sostituisce il carcere fino a 4 anni con lavori socialmente utili. "L’intento e la vera novità - ha sottolineato La Russa - non sono però quelle apparse sui giornali: oggi chi ottiene la sospensione condizionale della pena non dà nulla in cambio. Il provvedimento vuole ottenere in cambio della sospensione della pena un lavoro socialmente utile. Questa è la vera novità. Ma Maroni ha ragione. Se la lettura è quella offerta dal quotidiano, difficilmente il provvedimento potrà diventare un ddl".

La Russa si è detto solidale con Alfano perché "quando in Italia si lancia qualcosa subito c’é qualcuno pronto a crocifiggerti" e "completamente d’accordo" con il ministro dell’Interno che é contrario alla parte del ddl Alfano che prevede la conversione della reclusione per pene fino a 4 anni in lavori socialmente utili. Il ministro Maroni aveva già posto un secco diniego al progetto Alfano. Troppi i reati rischiano d’essere spazzati via senza un giorno di cella, dalla corruzione semplice (punita fino a tre anni), ai falsi in bilancio, all’immigrazione. La stretta prevista dal disegno di legge sicurezza mal si accoppia con la messa in prova.

Forti critiche dall’opposizione. "Continua l’azione schizofrenica del governo in materia di giustizia e sicurezza - ha sottolineato Lanfranco Tenaglia, ministro della Giustizia del governo ombra del Pd -. Da una parte si afferma di volere l’effettività e la certezza della pena, dall’altra si lavora perché ciò non avvenga per reati gravi".

Alfano: pensavo ci fosse condivisione sul ddl. Angelino Alfano, Guardasigilli, torna a parlare in commissione Giustizia alla Camera, del contestato disegno di legge sulla messa in prova dei detenuti condannati a pene pari o inferiore a quattro anni. "Pensavo - dice - ci fosse condivisione. Se c’è bene, sennò approfondiremo che cosa c’è o che cosa non c’è". Per giustificare la convinzione di una ampia condivisione della norma, Alfano ha citato un "disegno di legge presentato dall’Italia dei valori al Senato, a firma Ligotti. Il loro articolato - ha detto Alfano - prevedeva che la messa in prova si applicasse ai reati punibili fino ai tre anni, il nostro prevede che gli anni siano quattro. Comunque valuteremo e approfondiremo nel merito", tanto più che l’argomento "non era all’ordine del Cdm di oggi".

Comunque, ha ribadito Alfano, questa norma "l’Anm ce l’ha chiesta, c’è un ddl dell’Italia dei Valori, molti deputati hanno presentato proposte su questo... Pensavo che ci fosse condivisione". Da ultimo, il guardasigilli ha ribadito che lo spirito del ddl è comunque "diverso" da quello emerso dalle letture della stampa. "Noi - ha sottolineato Alfano - siamo dell’idea che chi ha violato la legge paghi dazio. Basta benefici gratis, basta condizionale gratis: questa la filosofia in cui noi ci muoviamo".

Giustizia: una mezza amnistia per le pene fino a quattro anni

di Liana Milella

 

La Repubblica, 19 novembre 2008

 

Il Guardasigilli Alfano critica da sempre l’indulto, ma mette mano a un ddl sulla certezza della pena con una mezza amnistia per i reati fino a quattro anni. Rispolvera l’istituto pensato dal predecessore Mastella, la "messa in prova", ma raddoppia la massima pena prevista. Chi rischia un processo, prima che cominci (fino al rinvio a giudizio), può chiedere al giudice "d’essere messo alla prova" in cambio di un lavoro socialmente utile. Che alla fine cancellerà tutto, il processo e pure il reato. Peggio dell’indulto dunque, che almeno lascia traccia del delitto sulla fedina penale.

Di Pietro, che litigò con Mastella in piena riunione dei ministri (e così gli anni retrocessero da tre a due), denuncia il nuovo "colpo di spugna", una norma che "salva tutti gli incensurati". Il ddl, previsto già oggi a palazzo Chigi, incappa però nelle ire del titolare del Viminale Maroni che pone un secco altolà. Lo ha detto chiaro, a Berlusconi e Ghedini, nella cena di lunedì sera ad Arcore. Al delfino di Bossi non basta il contentino che Alfano, in un empito di federalismo, dà agli enti locali, comuni in testa, nella gestione dei lavori sostitutivi al carcere. Maroni riflette sulla lunghissima lista di reati, dalla corruzione semplice (punita fino a tre anni), ai falsi in bilancio, che rischiano d’essere lavati via senza un giorno di cella, o solo con la potatura d’un albero. E pure quelli sull’immigrazione.

Per Maroni poi le drastiche misure del ddl sicurezza si sposano male con la manica larga della messa in prova. Una contraddizione che il popolo leghista non capirebbe. L’Anm, con il presidente Luca Palamara, è cauta: "Siamo favorevoli alle misure alternative al carcere, noi stessi ne avevamo parlato con Alfano, ma con un paletto ben fermo, al massimo reati fino a tre anni".

Provvedimento bifronte, quello del Guardasigilli. Venduto, pure nella relazione che accompagna gli otto articoli, come un testo che garantisce "una volta per tutti" la certezza della pena e lega la sospensione condizionale all’obbligo dei lavori utili, ma che al contempo apre alla messa in prova. Un cavallo di troia, fuori la mano dura contro i benefici, dentro il permissivismo per chi delinque fino a quattro anni. Quando Mastella portò in consiglio la soglia dei tre anni Di Pietro parlò di "colpo di spugna su reati edilizi, ambientali, fiscali, gli incidenti sul lavoro". Si calò tra tre a due anni, ora si raddoppia.

Processi evitati per reati odiosi come frodi in commercio, manovre speculative, ma pure per un attentato ad impianti di pubblica utilità, per furti non aggravati, danneggiamenti, usura impropria, appropriazione indebita, omissione di soccorso, per finire alle violenze private. E dire che, nella relazione, si citano "reati di criminalità medio-piccola" per cui "l’esito della messa in prova estingue il reato". Cos’è, se non un’amnistia? A leggere il dibattito post indulto, il centrodestra l’avrebbe chiamata così.

Con un mano Alfano allarga, con l’altra inasprisce. Ecco la riforma della sospensione condizionale della pena che, oggi, non fa andare in carcere chi è alla prima grana giudiziaria. Il ddl prevede che, per fruirne, "il condannato assicuri un parziale ristoro alla collettività". Riecco il lavoro socialmente utile. Che diventerà obbligatorio anche per ottenere affidamento in prova e libertà controllata.

Messa in soffitta la strada del "piano carceri" con braccialetti elettronici ed espulsioni, Alfano sfoga l’incubo delle carceri piene (a marzo 2009 oltre 62mila detenuti come prima dell’indulto) cercando di svuotarle. A sfruttare al meglio le misure sarà chi, grazie a un lavoro di prestigio o a mezzi economici, potrà pagarsi un famoso avvocato e ottenere da Comuni e Regioni i lavori migliori.

Giustizia: Pd; Alfano propone colpo di spugna per i criminali

 

Agi, 19 novembre 2008

 

"Continua l’azione schizofrenica del governo in materia di giustizia e sicurezza. Da una parte si afferma di volere l’effettività e la certezza della pena, dall’altra si lavora perché ciò non avvenga per reati gravi. La proposta del ministro Alfano della messa in prova preventiva per reati puniti con pena massima fino a quattro anni, se confermata eviterà anche un solo giorno di cella a coloro che commetteranno gravi reati quali corruzione per un atto d’ufficio, abuso d’ufficio, falso in bilancio, truffe, furto, danneggiamenti ed altri reati odiosi per la sicurezza dei cittadini".

Lo afferma in una nota Lanfranco Tenaglia ministro della giustizia del governo ombra del Pd. "In realtà - aggiunge - un legislatore accorto e avveduto non utilizzerebbe questo istituto con una finalità da colpo di spugna ma dovrebbe limitarne l’applicazione ai soli reati davvero minori e senza riflessi sulla sicurezza dei cittadini. Un limite di pena possibile e serio sarebbe quello dei due anni".

Giustizia: Idv; Alfano vorrebbe far passare amnistia perpetua

 

Asca, 19 novembre 2008

 

"Il Guardasigilli Alfano predica male e razzola peggio. Dopo aver votato a suo tempo per l’indulto, che ora critica, adesso vorrebbe far passare per legge un’amnistia perpetua". Lo sostiene il presidente del gruppo Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario, riferendosi ai contenuti del ddl sulla cosiddetta "messa in prova" portato oggi all’esame del Consiglio dei ministri ma non varato.

"È un bene che anche tra le fila del Governo ci sia qualche dubbio su questo provvedimento - sottolinea Belisario - ed è un bene che Alfano e colleghi riflettano con molta attenzione sulle sue conseguenze. Se si tratta di una sostituzione della condizionale è un conto, Idv invece non avallerà mai alcun tentativo di mercificare le condanne per reati minori, né in cambio di un lavoro socialmente utile né di altro".

Giustizia: più c’è "voglia di forca"… e più crescono gli errori

di Mauro Avellini

 

La Nazione, 19 novembre 2008

 

In dieci anni sono decuplicate le richieste di riparazione per ingiusta detenzione, un fenomeno reso ancor più drammatico dalla lentezza dei processi. E legge sulla responsabilità dei magistrati è la più inapplicata di tutte.

Cari detenuti senza colpa, più voglia c’è di forca e più crescono gli errori giudiziari. In dieci anni sono decuplicate le richieste di riparazione per ingiusta detenzione, un fenomeno reso ancor più drammatico dalla lentezza dei processi che caratterizza il sistema giudiziario italiano.

La legge sulla responsabilità dei magistrati è la più inapplicata di tutte e il cittadino non ottiene quasi mai giustizia se le toghe sbagliano. In attesa di una riforma che incida anche sul disciplinare si continua a finire in cella da innocenti. I giudici tanto non pagano, ci pensa lo Stato. Risarcimenti milionari che però non restituiscono mai salute, affetti, famiglia ad una vita smarrita dietro le sbarre. Eppure queste riabilitazioni ridanno speranza a voi che soffrite l’ingiusta detenzione e impongono una seria riflessione alla politica e alla magistratura che ragionano più per la casta che per la collettività.

Domenico Morrone fu riconosciuto innocente dopo 15 anni, due mesi e ventitré giorni passati ad ammuffire in carcere. Il più grave errore giudiziario nella storia della Repubblica. Aveva 27 anni il giorno dell’arresto, 30 gennaio 1991, accusato del duplice omicidio di due minorenni a Taranto, la sua città. Pescatore incensurato, famiglia onesta, una fidanzata.

Era un uomo di 42 anni piegato dalla malasorte quando lo fecero uscire: i capelli ingrigiti dalla sofferenza, preda di gravi depressioni, un fisico appesantito di venti chili. Nella promiscuità aveva contratto alcune malattie, tra cui l’epatite b. Inutilmente aveva gridato al vento la sua innocenza. Nessuno gli aveva creduto.

In Italia dal dopoguerra - ha calcolato l’Eurispes - 4 milioni di persone sono state vittime di errori giudiziari o di ingiusta detenzione. L’errore giudiziario si verifica quando, dopo i tre gradi di giudizio un condannato viene riconosciuto innocente solo in seguito a un nuovo processo, detto di revisione.

Due avvocati, Claudio Defilippi e Debora Bosi, raccontano l’inferno delle ingiustizie in Toghe che sbagliano, Aliberti editore. Il caso più reclamizzato è quello di Enzo Tortora. Ma è solo il più noto. Un altro caso limite fu quello di Massimo Carlotto: sei anni di carcere, altrettanti di latitanza. Fu arrestato il 20 gennaio 1976. La grazia del presidente Scalfaro arrivò il 7 aprile 1993. Carlotto, forse non a caso, scrive fortunati noir. Daniele Barillà, condannato per traffico di droga perché con la sua auto si trovò sulla tangenziale sbagliata durante un inseguimento a un carico di 50 chili di cocaina: sette anni, cinque mesi e dieci giorni di galera. Arresto il 13 febbraio 1992. Il verdetto favorevole alla revisione del processo: il 23 luglio 1999. La sua storia è diventata un film. Ora vive all’estero. Lo Stato gli ha riconosciuto un indennizzo di tre milioni di euro.

Massimo Pisano nel ‘93 fu accusato per avere ucciso la moglie, Cinzia Bruno, a Riano, vicino Roma. Cadavere trovato sul greto del Tevere. A condannarlo fu la confessione dell’amante, Silvana Agresta. Movente: voleva liberarsi della moglie per potersi risposare. Il 18 aprile 1996 la Cassazione chiude il caso: ergastolo. Otto anni in carcere. Poi la revisione del processo. Cambia tutto. La mattina del delitto si trovava al catasto. Ci sono ventidue riscontri documentali e testimoniali. Ad uccidere la moglie fu l’amante. Motivo: il rapporto tra i due amanti era in crisi e la donna temeva che Pisano volesse rompere la relazione.

Salvatore Gallo, accusato di aver ucciso il fratello Paolo nel 1954 ad Avola, fu scarcerato dopo sette anni perché Paolo invece che al camposanto viveva sotto mentite spoglie in un casale. Una messinscena tremenda, per far condannare il fratello all’ergastolo. Fu scarcerato, ma non ebbe una lira. All’epoca l’ingiusta detenzione non era contemplata dalla legge.

Il caso Morrone è il più sconcertante di tutti. L’anziana madre è morta un anno dopo la sua liberazione, il 21 aprile 2006. Fa lo spazzino e ha chiesto allo Stato un risarcimento di 12 milioni di euro. La notte si sveglia di soprassalto, sente il rumore delle pesanti chiavi delle guardie carcerarie. Pensa di essere ancora in prigione. La sua storia mette inquietudine. Per due volte la Cassazione annullò le sentenze d’appello, ordinando nuovi processi e per altrettante volte la Corte d’assise di Bari confermò la condanna a 21 anni, una pena relativamente esigua per un delitto così efferato, segno, fanno notare gli autori, uno dei quali è il difensore del pescatore, che i giudici erano tormentati dai dubbi. La mattina del delitto aveva incontrato un amico appuntato, avevano conversato, poi aveva aggiustato l’acquario dei vicini. I vicini avevano confermato. Non bastava come alibi.

I giudici trovarono il movente nel fatto che Morrone aveva denunciato i due ragazzini per un oscuro traffico di motorini, e perciò era stato vittima di un agguato. L’omicidio sarebbe stato una vendetta. Finì in cella accusato da due minorenni semianalfabeti che sostenevano di averlo riconosciuto sul teatro del delitto. Gli fecero l’esame sulla polvere da sparo: negativo. La giustizia fu celere: due anni dopo era già condannato in secondo grado. Fece lo sciopero della fame due volte. Scrisse ad Amnesty International. Interpellò il capo dello Stato. Presentò sei istanze di revisione del processo. Sette gradi di giudizio e quindici anni dopo (quindici!) due pentiti rivelarono che l’omicida era un tale Antonio Boccuni, che si era voluto vendicare dello scippo che i due minorenni avevano compiuto a danni della madre.

Giustizia: Osapp; nelle carceri stato sanitario da terzo mondo

 

Il Velino, 19 novembre 2008

 

Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, con una lettera indirizzata ai vicesegretari, ai segretari nazionali e a tutte le articolazioni regionali del sindacato, ha invitato i propri rappresentati ad intraprendere qualsiasi iniziativa che possa evidenziare, attraverso esposti mirati alle Asl locali, la condizione generale delle carceri italiane.

"È oramai emergenza sanitaria in tutte le carceri del territorio nazionale. La situazione è giunta al punto di non ritorno - ha spiegato Beneduci - ed è necessario che le Asl entrino nelle strutture e facciano tutti gli opportuni accertamenti per ciò che come organizzazione sindacale solo noi denunciamo, e già da troppo tempo (ahinoi!)".

"L’Ufficio che se ne dovrebbe occupare latita - continua l’Osapp -, e per questo non basta che la verità affiori solo su nostra esclusiva iniziativa. "Con l’invito che facciamo - rincara Beneduci - vogliamo coinvolgere quegli organismi, ufficialmente preposti, per misurare uno scandalo che assume sempre più i contorni del dramma nazionale, in un Paese che, sotto questo profilo, definiamo del terzo mondo. Solo per usare un immagine esemplificativa di ciò che unisce Sud e Nord Italia: se Catania è sempre più la Tirana delle carceri italiane, Torino è paragonabile alla Kabul del governo talebano.

A Catania-Piazza Lanza, infatti, la sopportabilità delle celle, intesa come capienza tollerabile, è stata già abbondantemente superata con 407 detenuti su 324 posti letto. Ma qui l’istituto, oltre ai detenuti e agli agenti di Polizia Penitenziaria, vede la presenza di una massiccia colonia di ratti, taluni anche di ragguardevole dimensione, che si sofferma nei locali colloqui, nei cortili prossimi al bar interno, nei luoghi di ristoro ed in quelli di deposito e somministrazione di generi e derrate alimentari".

"A Torino-Le Vallette - prosegue Beneduci - parliamo invece di una presenza detenuti che ha superato di molto la capienza regolamentare di 920 unità, con 1558 reclusi. Come abbiamo accennato, qui la condizione igienica è la stessa che si riscontra nelle carceri afgane, dove i detenuti vengono letteralmente ammassati senza alcuna precauzione dal punto di vista delle condizioni sanitarie e alcun controllo dei contatti tra reclusi. Pare che però il direttore si stia organizzando. E pare che i 35 detenuti, che solo due settimane fa venivano costretti a dormire terra nelle celle di sicurezza, e che adesso sono pressoché raddoppiati, siano stati sistemati nella palestra del carcere. Dormono sempre per terra, non hanno servizi igienici sufficienti (ce ne sono 3, uno ogni 20 persone), ma in compenso si trovano in un ambiente più spazioso e l’amministrazione penitenziaria piemontese si dice soddisfatta della decisione presa.

Il che è tutto dire. Come si può ben comprendere di interventi tempestivi ed efficaci, che mettano la parola fine a questi scempi, il ministro della Giustizia Alfano ne ha promessi fin troppi dall’inizio del suo mandato, ma la vergognosa e quanto mai surreale situazione di invivibilità che intendiamo segnalare continua ancora nella sua estrema inesorabilità. Siamo sempre più convinti che questa Amministrazione non abbia alcuna idea concreta, o forse, al contrario, e a parte iniziative estemporanee di corto respiro, abbia le idee molto chiare su ciò che vuole fare. Ma almeno questo ci sottrarrà dall’aderire alla farsa di chi pensa che si risolva il tutto con una semplice contemplazione dei problemi".

Giustizia: Circolare Dap vieta giornali locali a detenuti 41-bis

 

La Sicilia, 19 novembre 2008

 

Giornali locali vietati ai detenuti al 41 bis per non far controllare ai boss l’attività investigativa operata nei propri territori. Il divieto, inserito in una circolare del Dap emessa nei mesi scorsi, è scattato in seguito a indagini scaturite dalle minacce rivolte da boss detenuti a giornalisti o imprenditori, alcuni dei quali sono adesso sotto scorta. Proprio attraverso i giornali i boss avrebbero appreso notizie e controllato l’attività investigativa nel territorio.

Dalle indagini si è notato che sono molti i mafiosi che risultano abbonati a giornali della propria città che ricevevano ogni giorno in cella prima che entrasse in vigore il divieto.

Il provvedimento è stato impugnato da un boss palermitano, Filippo Guttadauro, al 41 bis da luglio 2006, condannato a 18 anni di reclusione, indicato come favoreggiatore di Bernardo Provenzano, e cognato del boss latitante di Trapani, Matteo Messina Denaro.

Il magistrato di sorveglianza di Cuneo, competente perché Guttadauro è detenuto nel carcere piemontese, ha respinto il ricorso del boss, disponendo il divieto di ricevere e acquistare quotidiani locali dell’area geografica di appartenenza. Il provvedimento del giudice vale fino al 22 aprile 2009. Il magistrato, dopo aver sottolineato lo spessore criminale del boss, ha evidenziato che: "La lettura dei quotidiani locali può favorire a rafforzare un collegamento diretto del detenuto con il sodalizio criminale di appartenenza, tenuto conto del fatto che detti quotidiani offrono una descrizione particolarmente dettagliata degli episodi di cronaca locale e che i detenuti potrebbero avvalersi di tali testate giornalistiche sia per verificare l’avvenuta esecuzione di eventuali ordini veicolati all’esterno, sia per entrare in contatto con personaggi indirettamente coinvolti con l’attività del gruppo di appartenenza".

La libertà di informazione viene ritenuta basilare per il magistrato di sorveglianza, il quale, proprio su questo punto dice: "Viene in ogni caso salvaguardata attraverso l’acquisto di quotidiani nazionali che riportano le più importanti notizia di cronaca, generalmente in modo meno dettagliato e particolareggiato di quanto faccia la stampa locale".

Giustizia: addetti "civili" del Dap chiedono norme e garanzie

 

Vita, 19 novembre 2008

 

Ad oggi, nonostante il Coordinamento Nazionale Penitenziari della Federazione Intesa, abbia chiesto un incontro con i Ministri Alfano e Brunetta e con i vertici del Dap, per illustrare la situazione degli impiegati civili del settore penitenziario, che in centinaia hanno inviato o stanno inviando alle Direzioni Generali del Personale centinaia di domande per chiedere il passaggio alla Polizia Penitenziaria, quale forma di protesta per la grave situazione sia organizzativa che economico-giuridica in cui versano.

La soluzione a tale problematica è l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia Penitenziaria. La rivendicazione non è unicamente tesa ad ottenere miglioramenti stipendiali e previdenziali e va fatta nell’interesse pubblico e per meglio adempiere ai compiti istituzionali che sono assegnati al settore penitenziario. L’istituzione dei ruoli tecnici è una riforma necessaria: per la sicurezza, per l’efficacia delle sanzioni penali, per la riduzione dei rischi di recidiva.

Il riordino del personale, che al momento è suddiviso in troppi comparti (dirigenti Meduri, dirigenti contrattualizzati, polizia penitenziaria, comparto ministeri, appartenenti all’ex corpo agenti di custodia, consulenti, ecc.) è indispensabile .Ci sono persone che fanno lo stesso lavoro, corrono gli stessi rischi, e hanno trattamenti giuridici ed economici diversificati con gravissime disparità di trattamento. Una semplificazione è nell’interesse dell’amministrazione: per una migliore gestione delle risorse, per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, per un miglioramento dell’organizzazione degli uffici e delle relazioni sindacali.

La riforma darà maggiori garanzie per tutti corrispondendo anche ad aumento della produttività, miglioramento dei servizi offerti. Efficacia, efficienza ed economicità del sistema: questa è la prima ragione. La seconda è relativa agli aspetti operativi. Il personale civile incontra gli stessi rischi della polizia penitenziaria; gli operatori accedono quotidianamente ai reparti detentivi e sono costantemente a contatto dei detenuti e dei condannati, attendono al trattamento in collaborazione con la polizia, curano l’esecuzione delle misure alternative, effettuano il controllo sul rispetto delle prescrizioni disposte dal Tribunale di sorveglianza e dei Tribunali ordinari in relazione alle sanzioni alternative, sostitutive e ai lavori di pubblica utilità, riferiscono ai magistrati sul comportamento carcerario e forniscono consulenza per l’applicazione delle misure alternative. Svolgono, in sostanza, compiti rilevanti per garantire la sicurezza della collettività al fianco delle forze dell’ordine e alla magistratura.

L’attuale ordinamento professionale non è più compatibile con tali funzioni che non possono in alcun modo essere assimilate a quelle degli altri ministeriali. Numerosi sono gli episodi di intimidazione e violenza subiti dagli operatori: basta ricordarsi, solo recentemente, l’attentato intimidatorio in Puglia ad un educatore, l’educatrice del carcere di Volterra picchiata violentemente da un detenuto durante un colloquio, ecc.

Molti anni fa un collega educatore è stato ucciso in Lombardia, non dimentichiamolo. Vanno ricordati inoltre i rischi connessi alla salute psico-fisica (burnout) degli operatori: il lavoro è stressante, mal pagato, scarsamente gratificante, e non adeguatamente riconosciuto nella sua importanza. Nei prossimi giorni, se non ci saranno risposte dalla parte politica si adotteranno ulteriori forme di protesta non ultimo lo sciopero.

Veneto: Zanon (An) sta effettuando ricognizione nelle carceri

 

La Tribuna di Treviso, 19 novembre 2008

 

Il consigliere regionale veneto di Alleanza Nazionale Raffaele Zanon era ieri in visita al carcere di Vicenza, dopo essere stato in quello di Padova: nei prossimi giorni sarà in quello di Treviso e poi toccherà agli altri quattro del Veneto.

"Si tratta di una ricognizione delle strutture della regione - spiega -. Sto ricavando due convinzioni: lo Stato deve ampliare la capacità ricettiva degli istituti di pena che sono sovraffollati a dismisura e deve prestare attenzione alla situazione della polizia penitenziaria che, in alcuni casi, viene considerata meno del detenuto. Un esempio: a Vicenza c’è una doccia per ogni cella, mentre gli agenti ne hanno una ogni sei camere". Il carcere vicentino, che grazie a una gestione illuminata è all’avanguardia nelle attività a favore dei detenuti, ha gravi problemi si sovraffollamento e di carenza di organico. Una situazione, questa, diffusa in tutto il Veneto.

"La scarsità di personale costringe a turni stressanti per gli agenti e la retribuzione non è poi adeguata", prosegue Zanon, commentando la realtà regionale. Il consigliere sottolinea l’importanza di creare laboratori per garantire l’inserimento effettivo dei detenuti nel mondo del lavoro: "È l’unico sistema per evitare il loro rientro nella criminalità".

Zanon è uno dei componenti della commissione sanità in Regione e il "tour" degli istituti di pena è finalizzato anche a verificare l’applicazione della nuova normativa secondo cui la gestione delle infermerie spetta ora al Servizio sociosanitario. "Intendo capire come sta funzionando e gli oneri che sono a carico del servizio pubblico - afferma - verificherò come gli istituti della regione utilizzano le risorse pubbliche. Si tratta, per lo stato, si una spesa impegnativa". Zanon sta esaminando, tra l’altro, tipo e quantità di medicinali acquistati e consumati.

Viterbo: nel carcere di "Mammagialla" la tensione è altissima

di Federica Lupino

 

Il Messaggero, 19 novembre 2008

 

Tensione alle stelle al carcere di Mammagialla. Oltre alle condizioni di vita dei detenuti e alle carenze d’organico patite dagli agenti, da venerdì a rendere ancora più agitate le acque è la morte di Emiliano Leonetti. Un episodio ancora avvolto nel mistero. Soprattutto, sulle cause che hanno provocato il decesso del detenuto 35enne.

Ma cerchiamo di ricostruire i suoi ultimi giorni. Il ragazzo, detenuto per reati comuni, aveva un passato di tossicodipendente. Sottoposto al metadone, aveva interrotto la cura qualche giorno fa, perché gli era stato concesso l’ingresso in comunità. Giovedì aveva iniziato lo sciopero della fame perché voleva che lo psicolo gli aumentasse le dosi di farmaco necessarie ad alleviare gli effetti della sospensione del metadone. Alle 16,25 di venerdì, mentre gli altri detenuti usufruivano del momento della socialità, Emiliano è nella sua cella, come verifica l’agente di turno. Che verso le 17, tornato per un nuovo controllo, lo trova a terra. L’agente, che è in possesso di un attestato da infermerie, cerca di rianimarlo. Arriva anche un medico, ma non c’è più niente da fare. La cella viene sigillata in attesa che arrivi la polizia, che fotografa tutto e procede coi prelievi fino alle 23.

La magistratura subito apre un’inchiesta per accertare le cause della morte. Appena conclusa l’indagine esterna sul corpo della vittima, è trapelata l’ipotesi dell’overdose. Un’ipotesi avvalorata dal fatto che sulle braccia del ragazzo erano stati trovati alcuni buchi. Oggi, però, gli inquirenti non confermano, né smentiscono. Limitandosi ad affermare che, per ora, c’è un detenuto morto per arresto cardiaco e che restano tutte da accertare le cause che lo hanno provocato. Un responso che sarà disponibile tra due mesi, tempo in cui il perito ultimerà gli esami autoptici e tossicologici. Va da sé, però, che il sospetto è stato associato alla possibilità che nel carcere possa entrare di tutto, droga compresa. A indebolire l’ipotesi che i buchi sul braccio siano sinonimo di overdose, arriva però la notizia che pochi giorni prima della morte Emiliano si era sottoposto alle analisi del sangue. Anche i sindacati, intanto, fanno muro contro la tesi della droga.

Partiamo dalla Fp-Cgil che, per bocca di Gino Federici e del segretario Sergio Riccardi, preferisce non commentare la vicenda: "Solo una volta che la magistratura avrà compiuto le sue indagini, faremo le nostre valutazioni". Raimondo Fortuna, della Uil-Penitenziari, invece sostiene: "Anche qualora si trattasse di overdose, escludo che qualche agente possa essere in alcun modo coinvolto. Certo è che il personale è sott’organico e durante i colloqui, quando ci sono 80 o 90 famiglie in visita, è difficile controllare. Ma la professionalità a Mammagialla è massima".

Molti i dubbi sollevati anche da Andrea Fiorini della Cisl. "Non credo - sostiene - si tratti di overdose, bensì di un evento naturale. L’apertura di un’inchiesta la ritengo un atto dovuto, anche perché si tratta del terzo decesso in poco tempo. Ma una cosa è certa: l’agente che ha ritrovato il ragazzo ha avuto un comportamento encomiabile. Cercando addirittura di rianimarlo". Ancora più netta la presa di posizione di Gennaro Natale, dell’Osapp. "L’ipotesi dell’overdose - dice - la escludo categoricamente. E vorrei ricordare che la professionalità e l’esperienza degli agenti del Mammagialla, a partire dal collega che è intervenuto, non possono essere messe in dubbio da nessuno: lo dimostriamo tutti i giorni". Infine, Luca Floris del Sappe: "Sono stati garantiti - dice - tutti i mezzi idonei a scongiurare l’evento. Di più non si poteva fare, anche da parte dell’agente intervenuto che, essendo qualificato, ha cercato di salvare la vita di una persona".

Sul caso del detenuto morto nel carcere viterbese, piovono intanto reazioni. A partire dalla deputata radicale del Pd, Rita Bernardini, che sull’accaduto ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Dal 13 settembre - dice la deputata - su sei decessi avvenuti nelle carceri del Lazio, cinque sono per cause ancora da accertare.

Chiedo al ministro se sia a conoscenza della grave emergenza in corso nelle carceri italiane e se non ritiene necessario avviare ispezioni e verifiche". La scelta di portare la questione in Parlamento è stata apprezzata dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che ha commentato: "I dati dimostrano che in carcere si muore più che in passato". Il presidente della Camera penale di Roma, Giandomenico Caiazza, è invece intervenuto, denunciando "l’intollerabile degrado nelle condizioni di vita all’interno delle case circondariali di detenuti, agenti e operatori penitenziari, dovute all’incontrollato incremento della popolazione carceraria".

Foggia: affollamento non più sostenibile, presto uno sgombero

 

Agi, 19 novembre 2008

 

Sovraffollamento come male storico. In una cella di 16 metri quadrati, stipati in quattro. Assistenza sanitaria con visite specialistiche come discorso da impostare. Lo sforzo oscuro, grande e sottopagato del personale e degli agenti di polizia penitenziaria. Questo, dunque, il quadro allarmante della casa Circondariale di Foggia dove si registra una gravissima e non più sostenibile situazione di ultra sovraffollamento con ben oltre 650 persone detenute con grave ripercussione sotto l’aspetto logistico, l’accoglienza, l’igiene e la salubrità.

Una denuncia firmata, in una nota, dal vicesegretario generale dell’organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli, che non esita a definire esplosiva la situazione. Una condizione al collasso riscontrata anche dal neo direttore del carcere foggiano Gianfranco Marcello che ha evidenziato come la capienza, in situazioni di normalità, dovrebbe attestarsi intorno ai 378 detenuti, cifra sforata, attualmente, di 191 unità.

Secondo l’Osapp, la vigilanza nel penitenziario è affidata a solo 330 agenti, di cui 48 in servizio nel settore nucleo traduzioni e scorte e 30 alla sezione femminile. L’organico - continua Mastrulli - è al di sotto delle aspettative e dei parametri di sicurezza; servono urgentemente almeno 70 unità. Intanto il direttore fa sapere di aver inviato una comunicazione al provveditorato regionale e che presto si provvederà ad uno sfollamento delle celle". Va detto, infine, che la situazione foggiana non è altro che la cartina al tornasole delle carceri italiane, in un paese dove vivono 60mila detenuti.

Torino: da Camera Commercio manuale su lavoro ai detenuti

 

Agi, 19 novembre 2008

 

Un manuale per spiegare alle aziende come aprire un’attività all’interno del carcere o accogliere e inserire detenuti e illustrare le opportunità che derivano da una scelta di questo genere. È l’iniziativa di Camera di Commercio, Città e Provincia di Torino, Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, che stamattina hanno presentato, nel capoluogo piemontese, il manuale "Carcere e lavoro: vademecum per le imprese".

La pubblicazione, redatta in collaborazione con tutte le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali, offre informazioni agli imprenditori che vogliono avviare attività produttive all’interno del carcere o accogliere detenuti in sedi lavorative esterne, mettendo a disposizione le esperienze maturate dagli enti ideatori del progetto.

Tra queste, la collaborazione tra il Gruppo Trasporti Torinesi e la cooperativa Ergonauti, cha da circa un anno ha aperto all’interno del carcere un’officina dove quattro detenuti riparano e revisionano le parti meccaniche degli autobus Gtt. Per ogni persona coinvolta nel progetto, la cooperativa elabora un programma d’inserimento lavorativo, valutandone le criticità e i punti di forza individuali. Ergonauti, inoltre, dà, a quanti partecipano all’iniziativa, la possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro, anche al di fuori delle proprie attività.

Fino ad oggi sono sette i detenuti che hanno partecipato al progetto "officina meccanica": quattro sono attualmente impegnati e tre, una volta terminata la condanna, sono stati inseriti in occupazioni che non coinvolgono la cooperativa.

La presentazione del vademecum è stata anche l’occasione per siglare il nuovo protocollo d’intesa per lo Sportello Lavoro per i detenuti che, firmato ad aprile tra casa circondariale "Lorusso e Cutugno" e Provincia di Torino, è stato esteso anche alla Camera di Commercio del capoluogo piemontese. "Il progetto sperimentale avviato dallo Sportello Carcere - ha spiegato il presidente della Provincia, Antonio Saitta - ha dato risultati incoraggianti. Alla fine di ottobre sono stati attivati 15 tirocini e già quattro inserimenti lavorativi. È un risultato molto soddisfacente".

Nel ringraziare la Camera di Commercio "per il prezioso e utile sostegno", Saitta ha concluso auspicando che "la Città di Torino, l’Ufficio Pio ed altri attori istituzionali siano interessati a siglare ulteriori estensioni di tale intesa, dando così vita a un vero e proprio sistema integrato rappresentativo che si faccia carico delle sfide della società civile".

Livorno: Pianosa diventerà Centro formazione per i detenuti

 

Il Tirreno, 19 novembre 2008

 

Salvaguardia del territorio da una parte. Dall’altra reinserimento in società per detenuti che stanno ancora scontando la pena. Obiettivo di tutela ambientale per un’isola, come dire Pianosa (per anni supercarcere), che a buon diritto è considerata fra le maggiori perle dell’arcipelago toscano e non solo. Nei progetti anche finalità, per così dire sociali, come quelle di creare forme di occupazioni o escogitare dei piccoli mestieri da "vendere", un domani, sul mercato del lavoro, appena si tratta di uscire dalla detenzione e affacciarsi nel mondo al di là delle sbarre del carcere. Il tutto legato al reinserimento con un occhio rivolto alla cooperativa San Giacomo di Porto Azzurro.

Questi i temi che saranno affrontati oggi, nella sede del Parco, in occasione della convocazione del consiglio direttivo. All’ordine del giorno un solo e unico argomento: l’ex Isola del Diavolo. O per meglio dire le strategie formulate nel tempo dagli organi di governo che vi hanno facoltà per cercare punti di contatto e stabilire quali piani si possono fare (a breve) e quali invece per la cui realizzazione occorrono tempi più lunghi e programmi più dilazionati nel tempo. E sono diverse le proposte che saranno analizzate dal Direttivo presieduto da Mario Tozzi.

C’è quello della Provincia di Livorno che ha elaborato alcune tesi mirate soprattutto alla conservazione ambientale e alla tutela dei beni naturali e architettonici esistenti sull’Isola. C’è quello che è stato formalizzato dal Provveditore della Toscana degli Istituti di Pena. Si tratta di dare la stura a corsi di formazione indirizzati alla popolazione carceraria per la creazione di mestieri che potranno costituire un primo passo in avanti ai detenuti che, scontata la pena, saranno riammessi in società. Uno spazio a parte lo merita il piano che è stato predisposto dal comune di Campo, sotto la cui giurisdizione ricadono l’intero territorio dell’Isola e gli edifici che qui insistono.

"Sono tutte proposte - dice il vicedirettore del parco nazionale, Milena Briano - che meritano attenzione. Si tratta a questo punto di evidenziare del punti di contatto, per farli convivere senza che l’uno entri in contraddizione con l’altro". Come la proposta che è stata elaborata dallo stesso parco e che riguarda il riutilizzo e la frequentazione dell’ex penitenziario più grande d’Italia.

"Il parco guarda favorevolmente al mondo della scuola - dice ancora Milena Briano - Sono state elaborate alcune soluzioni per permettere alle scolaresche interessate a tematiche ambientali di scendere sull’Isola e visitarla come si conviene". Alla riunione di questo pomeriggio parteciperà anche il presidente della Comunità del parco, Pietro D’Errico: "La nostra assemblea - conclude - è stata fissata per lunedì 24 novembre, quando si discuteranno le bozze del piano di sviluppo economico e sociale".

Palermo: "detenuto per un minuto", la cella virtuale in piazza

 

Comunicato stampa, 19 novembre 2008

 

Palermo. Venerdì 21 novembre 2008 - in via Ruggero Settimo angolo via Magliocco (Rinascente) dalle ore 10 alle 17, "Detenuto per un minuto": una cella virtuale sarà installata per far conoscere ai cittadini le vicissitudini cui soggiacciono i soggetti fermati e poi trasferiti negli istituti di pena.

Il Garante Sen. Fleres: "Detenuto per un minuto" è un progetto di educazione alla legalità e si inserisce nel più vasto programma di tutela e conoscenza dei diritti umani.

Venerdì 21 novembre p.v. avrà luogo a Palermo la manifestazione "Detenuto per un minuto". In pratica attraverso l’allestimento di una struttura prefabbricata (che comprende una cella e gli uffici di polizia giudiziaria e penitenziaria) si intende far conoscere ai cittadini e soprattutto ai giovani, mediante un percorso virtuale, quali sono le vicissitudini cui soggiace una persona quando viene fermata e poi trasferita in un carcere. Con richiami visivi e sonori si determinerà anche, nei confronti dei visitatori, la convinzione di trovarsi davvero davanti agli operatori del carcere e dentro una cella di una qualsiasi prigione siciliana arredata secondo i regolamenti penitenziari vigenti.

Ai cittadini che visiteranno la cella virtuale verrà consegnato il manuale "L’ora d’aria", edito dal Garante dei diritti fondamentali dei detenuti per la Regione Siciliana ed un attestato relativo alla loro partecipazione. Presenzieranno alla manifestazione il Garante Sen. Salvo Fleres, il Segretario Generale della Conferenza Nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti, avv. Lino Buscemi, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dott. Orazio Faramo e le autorità civili e militari della provincia .

A seguire, come conclusione della giornata, alle ore 16,30 una performance teatrale offerta dagli artisti soci dell’associazione "Leggere Palermo".

"Quattro selezionati spettatori" è un testo teatrale di Franco Carollo che attraversa il tema della "restrizione in carcere" e il più complesso tema della "condizione di ostaggi".

La riduzione del testo per una rappresentazione - all’aria aperta - limitata a circa 20 minuti consente di citare i temi caldi indicati dal Garante e dalla scrittura di Carollo: l’integrazione fra il microcosmo carcerario e il "cosmo" oltre le sbarre; gli atteggiamenti personali, dalla volontà di affrontare il quotidiano nell’idea del propositivo reinserimento sociale al mito della vendetta futura; la mutazione culturale da ostaggio ad aguzzino; la mutazione culturale da individui liberi a "ostaggi sempre": il carcere, il lavoro, la televisione, la politica; l’Assenza, ovvero la scelta di una società che con il proprio silenzio determina le condizioni ideali per un mondo popolato di ostaggi e aguzzini. Lo spettacolo, curato dall’autore, vede in scena Sabrina Alesso, Nino Gucciardo, Santo Prospero, Enzo Rinella (attori). Laura Carollo (ballerina), Leonardo Calcagna (percussioni).

Potenza: in carcere secondo incontro sulla cucina multietnica

 

Comunicato stampa, 19 novembre 2008

 

Su invito degli operatori dell’ufficio esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia, la Cooperativa Sociale "Venere" di Potenza in collaborazione con l’assessorato alle politiche sociali del Comune di Potenza e il Club Del Fornello di Potenza organizzano per mercoledì 19 novembre presso la Casa Circondariale di Potenza il secondo incontro della manifestazione denominata "cucina multietnica". L’evento ha lo scopo di avviare un’opera di risocializzazione dei detenuti e di promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società esterna.

Il progetto vuole avviare una comunicazione tra gli ospiti della Casa Circondariale e la società che vive all’esterno, creando tra queste due componenti una rete di scambio culturale di solidarietà e umanità. Il progetto "cucina multietnica" si propone l’obiettivo di far conoscere e nello stesso tempo acquisire la conoscenza di usi, costumi e tradizioni gastronomiche dei diversi territori degli ospiti della casa circondariale. Il programma del secondo incontro previsto per mercoledì 19 novembre prevede: presentazione del progetto agli ospiti; esecuzione di due tipologie di pasta fatta a mano; degustazione delle preparazioni eseguite e dei dolci preparati dalle socie del "Club del fornello".

Volterra: un appello del Pd per il sostegno a teatro in carcere

 

Il Tirreno, 19 novembre 2008

 

"All’attività del teatro nel carcere di Volterra della Compagnia della Fortezza deve essere garantita stabilità e continuità nel tempo perché possa continuare a dare buoni frutti e a gettare semi di speranza all’interno di una realtà aspra come quella delle Case Circondariali".

Con queste parole Severino Saccardi, Consigliere regionale del Pd, presenta, in una nota diffusa dal consiglio regionale, la visita di oggi a Volterra alla quale parteciperanno anche il collega Enzo Brogi e l’assessore regionale alla cultura Paolo Cocchi.

"Con il collega Saccardi - aggiunge nella nota Brogi - ci siamo recati più volte in diversi istituti penali della nostra regione, per prendere conoscenza, oltre che dei problemi e delle contraddizioni di queste realtà, delle iniziative di carattere riabilitativo che sono in corso. Tra queste quella del Teatro in carcere ha un particolare valore. L’esperienza di Volterra, animata da Armando Punzo merita di essere particolarmente sostenuta. Questo vuol essere il significato umano e politico dell’incontro con gli attori-detenuti della Compagnia della Fortezza, cui volentieri partecipiamo".

Pisa: un progetto Uisp per gestire le "ore d’aria" con lo sport

 

Il Tirreno, 19 novembre 2008

 

Se è vero che lo sport può essere inclusione sociale e educazione alle regole, quale migliore sfida per l’Uisp se non la pratica sportiva nel luogo che per antonomasia raccoglie persone allontanate dalla società perché incapaci di rispettarne le regole? Nasce da questa riflessione il progetto di sport nelle carceri promosso dall’Uisp di Pisa che vede la presenza di un istruttore della Lega Calcio per la gestione delle "ore d’aria".

L’obiettivo è insegnare una pratica sportiva più consapevole, per evitare lo sport "fai da te" spesso causa più di disturbi che di benessere, e organizzare piccole competizioni calcistiche per educare al rispetto delle regole e dell’altro. Il progetto va avanti da più di un anno e, superata la diffidenza iniziale, si svolge con regolarità e partecipazione all’interno della Casa Circondariale Don Bosco di Pisa. "Le partite di calcio diventano il modo per conoscersi, divertirsi e socializzare - dichiara Dario Scordo, responsabile Uisp del progetto carceri - superando le barriere linguistiche che in un carcere come quello di Pisa sono all’ordine del giorno".

Così italiani, rumeni, africani si affrontano sul campo di calcio nel più corretto fair play, senza contare il numeroso pubblico che le partite richiamano tra i detenuti. Una partita di calcio può dare gli stimoli necessari a tenere viva la presenza del mondo esterno, perché l’integrazione sociale dei detenuti va costruita all’interno delle carceri. Ma non è tutto.

La scorsa settimana è avvenuta la cerimonia di consegna dei diplomi degli otto detenuti che hanno seguito il corso arbitri della Lega Calcio Uisp. Grazie a questo diploma i detenuti, una volta usciti dal carcere, potranno svolgere l’attività di arbitro di calcio a tutti gli effetti: un piccolo ma importante passo verso la loro integrazione nella società. La cerimonia della consegna dei diplomi si è svolta alla presenza del direttore della casa circondariale Don Bosco Vittorio Cerri, del presidente Uisp di Pisa Lorenzo Bani, della dottoressa Piera Rocchetti dell’area educatori della casa circondariali e referente per il progetto, Dario Scordo, Maria Grazia Bennici e Paris Moni della e responsabili del progetto carceri.

Torino: progetto "Iris" su prostituzione e tratta delle persone

 

Comunicato stampa, 19 novembre 2008

 

Giovedì 20 novembre alle 8.30 nell’Aula del Consiglio regionale (via Alfieri 15 - Torino) si svolgerà il primo incontro pubblico del "Progetto Iris: intervenire, riabilitare, inserire, supportare" sulla prostituzione e la tratta delle persone.

Il progetto, promosso dal Consiglio regionale, Consulta delle Elette del Piemonte, e dal Gruppo Abele, ha lo scopo di fornire maggiori strumenti agli amministratori dei Comuni per affrontare il tema della tratta delle persone e della prostituzione. L’adesione all’iniziativa è andata al di là di tutte le aspettative e, ad oggi, sono oltre 550 gli iscritti totali.

"Nell’anno in cui ricorrono i 50 anni dall’approvazione della legge Merlin, la Consulta delle Elette - afferma la sua presidente Mariangela Cotto - vuole affrontare un problema di grande attualità. Nonostante i risultati ottenuti da quella legge, il Piemonte non può accettare un numero così alto di donne ridotte in schiavitù. Con questo ciclo di incontri vogliamo unire le diverse competenze di istituzioni e operatori, per contrastare con più forza un fenomeno sociale trasversale".

Unico nel suo genere in Italia, il Progetto Iris ha scelto la strada dell’apprendimento e della non semplificazione per affrontare temi così delicati e complessi. E lo fa incrociando competenze, saperi e letture.

Diversi incontri sono stati organizzati anche nelle province di Novara (28 novembre 2008), Cuneo (26 gennaio 2009), Alessandria (26 febbraio 2009) e Biella (25 marzo 2008), aperti a tutte le donne elette in Piemonte, ai sindaci, alle forze dell’ordine, alle associazioni del privato sociale.

L’ascolto delle donne elette in Piemonte sulla loro percezione del fenomeno della prostituzione e della tratta è uno dei punti centrali dell’intero progetto: per questo, dopo aver raccolto esigenze e sollecitazioni sul fenomeno a livello nazionale e territoriale, verrà organizzato un convegno conclusivo nell’autunno 2009.

Durante gli incontri verranno forniti, oltre a un quadro dettagliato del fenomeno e degli strumenti legislativi utilizzabili, diversi materiali informativi e pratiche d’intervento per far fronte al problema. Tutti i partecipanti avranno un tutor di riferimento per l’intero percorso.

La mattinata del convegno del 20 novembre - ad ingresso libero - sarà dedicata a tutti coloro che operano, a diverso titolo, sul territorio. Il pomeriggio invece sarà riservato ad un momento di confronto tra amministratori e relatori per dare voce alle richieste che ognuno vorrà portare a partire dalla realtà del proprio territorio e delle sue specifiche problematiche.

Il progetto Iris si concluderà con un seminario finale, (autunno 2009), rivolto a tutti coloro che hanno partecipato a uno degli incontri territoriali. Durante il seminario, oltre ad affrontare le questioni emerse dagli incontri precedenti, si parlerà anche di gestione del territorio interessato dalla prostituzione e dalla tratta degli esseri umani: la mediazione dei conflitti, il ruolo dei media, i problemi di carattere sanitario, le motivazioni del cliente.

Info ed iscrizioni. Gruppo Abele: Mirta Da Pra Pocchiesa, corso Trapani, 91 - 10141 Torino, tel. 011.3841078. Segreteria del Progetto Iris: Marina Gerli e Valentina Malcotti, tel. 011.3841021 - fax: 011.3841025 e-mail: pagineopp@gruppoabele.org

Libri: "Scarceranda 2009", l'agenda con il gergo delle prigioni

 

Redattore Sociale - Dire, 19 novembre 2008

 

Esce "Scarceranda 2009", realizzata da sette detenuti della Casa Circondariale di Monza. Dalla "bicicletta" a "buttarsi come Berlusconi": ogni giorno una frase o una parola per capire qualcosa di più della vita in cella.

In carcere non possono usarla, ma i detenuti ne parlano comunque. È la bicicletta, che però dietro le sbarre è diversa da quella che immaginiamo. Infatti nel gergo della prigione, la bicicletta è "un fatto o una falsità che s’ingigantisce sempre più all’interno dell’istituto di pena acquistando sempre altri particolari durante la corsa". L’agenda "Scarceranda 2009" ad ogni pagina spiega il significato di parole o frasi del linguaggio dei detenuti. È stata realizzata da sette reclusi del carcere di Monza che lavorano per la cooperativa sociale Teseo. "Siamo alla settima edizione -spiega Stefano Radaelli, coordinatore della cooperativa-.

È uno strumento col quale chi è fuori può conoscere un po’ di più la vita di chi è dentro". Le sorprese dentro "Scarceranda" non mancano. "Buttarsi alla Berlusconi" significa che quando si esce si cerca di fregare tutti senza farsi mai beccare, mentre "Buttarsi alla Rutelli" vuol dire che si è disposti a mangiare "pane e cicoria" pur di non farsi buttare fuori dal gruppo al quale si appartiene.

Con "Scarceranda" i detenuti di Monza compiono anche un gesto di solidarietà. Per ogni copia venduta (il prezzo è 10 euro per quella piccola e 14 euro per la grande), un euro viene destinato a progetti di integrazione socio-lavorativa delle persone rinchiuse nel carcere di Antsirabe in Madagascar.

L’agenda è in vendita nelle botteghe del commercio equo e solidale: gli indirizzi sono sul sito www.scarceranda.135.it. La vendita on-line invece è affidata al sito www.bottegasolidale.com, gestito dalla cooperativa sociale L’Utopia, nata con lo scopo di creare opportunità di lavoro imprenditoriale per le persone disabili della Locride.

Immigrazione: moratoria ad ingressi; tutti contro il Governo

 

www.rassegna.it, 19 novembre 2008

 

Per Sacconi dovrebbero venire in Italia solo badanti e colf, e non lavoratori destinati all’industria o alle costruzioni. Cgil Veneto: "Altro che blocco dei flussi", è tutta la Bossi-Fini che va abrogata, perché "produce soltanto immigrazione irregolare".

Sul decreto flussi il governo non sente ragioni. E insiste sulla moratoria, ossia sul blocco degli (o su una limitazione agli) ingressi di stranieri non comunitari. L’iniziativa lanciata dal ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni, giustificata a suo dire da una crisi economica e industriale che renderebbe inutile e dannoso l’arrivo di nuove persone in cerca di lavoro, è stata appoggiata anche dal responsabile del Lavoro, Maurizio Sacconi. Secondo quest’ultimo sarebbero sufficienti ingressi limitati di stranieri e solo per lavoratori destinati alla cura delle persone (soprattutto dei non autosufficienti) e non alla produzione industriale o all’edilizia.

"Io e il ministro Maroni - ha detto Sacconi - intendiamo disporre un numero limitato di ingressi soltanto per coloro che presentano un contratto di collaborazione familiare, con particolare riguardo alla cura delle persone non autosufficienti oltre, ovviamente, agli infermieri, alle alte professionalità e ai lavoratori stagionali nell’agricoltura e nel turismo. Non entreranno quindi lavoratori destinati alla produzione industriale o alle costruzioni. Per selezionare e contenere gli ingressi in questi termini non occorrono norme di legge ma basta agire nell’ambito degli strumenti amministrativi della legge Bossi-Fini. È necessario - per Sacconi - evitare la disoccupazione, l’esclusione sociale e la conseguente prospettiva di una possibile espulsione dei molti lavoratori immigrati regolari che vivono e lavorano nel rispetto delle leggi nelle nostre comunità prima di ammettere nuovi flussi senza la possibilità di un’occupazione duratura".

 

Cgil Veneto: no a moratorie sui flussi

 

Sacconi avrebbe anche definito coraggiosa la posizione della Cgil di Treviso, il cui segretario generale Paolino Barbiero, secondo un articolo pubblicato da Repubblica, avrebbe chiesto il blocco dei flussi nella Marca. Al riguardo, però, la Cgil Veneto precisa di essere "contraria a ogni forma di moratoria sui flussi". Come spiega Emilio Viafora, segretario generale del sindacato della regione, "in coerenza con la campagna nazionale lanciata dalla Cgil siamo impegnati per l’abrogazione, o comunque una sospensione per il tempo necessario, della legge Bossi Fini, la cui applicazione in tempi di recessione produce effetti socialmente ed eticamente devastanti". "Infatti - prosegue Viafora - migliaia di lavoratori di origine extracomunitaria rischiano oggi di essere ricacciati nella clandestinità e nel lavoro nero o espulsi dal nostro paese, dopo che per anni hanno contribuito alla ricchezza della Marca e dell’intero Veneto".

Osserva il segretario regionale: "La Cgil veneta è contraria a ogni forma di moratoria sui flussi. Infatti la proposta di blocco o moratoria dei flussi per due anni avanzata dalla Lega, con un emendamento presentato al ddl 733 in discussione al Senato e ribadita dal ministro Maroni è sbagliata e propagandistica perché il meccanismo dei flussi così come previsto dalla Bossi-Fini è inceppato e produce soltanto immigrazione irregolare. Lo dicono i dati nazionali: nel 2007 sono state presentate 740.000 domande e a distanza di un anno sono stati consegnati soltanto 110.000 nulla osta. Ancora più chiaramente lo dicono i dati di Treviso, dove sono state presentate 13.000 domande a fronte di 3.000 autorizzate dal decreto flussi e a oggi ne sono state evase soltanto mille".

Quindi, "altro che blocco dei flussi". Per la Cgil Veneto le priorità sono: "regolarizzare i lavoratori immigrati che lavorano in nero; consentire ai lavoratori immigrati regolari che perdono il lavoro di avere parità di accesso agli ammortizzatori sociali e un permesso di soggiorno di due anni che eviti l’espulsione; riformare il meccanismo dei flussi per renderlo più aderente alle necessità del mercato del lavoro, in modo da governare l’immigrazione regolare e ridurre quella irregolare". "In questo senso - conclude Viafora - la Cgil di Treviso, dando voce anche a una richiesta avvenuta dalle associazione dei migranti che nei giorni scorsi hanno dato vita a una manifestazione di protesta contro la Bossi-Fini, ha chiesto alle imprese e alle istituzioni locali di farsi carico di quei lavoratori messi in mobilità, Cigs o licenziati. Sono persone che rischiano di essere come merce usa e getta in un intollerabile ed immorale mercato delle braccia. Non so se la Lega plaude a queste proposte, ma esse mi paiono in assoluta controtendenza rispetto alle scelte che vorrebbe compiere il ministro Maroni e alle roboanti posizioni del ministro Bossi".

 

Piccinini (Cgil): il governo colpisce i migranti, da noi proposte concrete

 

"Il governo sta assumendo provvedimenti nei confronti degli immigrati che colpiscono gravemente le loro condizioni di vita e di lavoro", afferma la segretaria confederale della Cgil Morena Piccinini. "Dietro la foglia di fico della lotta alla clandestinità - aggiunge - in realtà colpisce indiscriminatamente tutti i lavoratori e i cittadini immigrati regolari che lavorano, pagano le tasse e vivono e operano nel rispetto delle nostre leggi".

È il caso, spiega, "delle norme sugli alloggi, sui ricongiungimenti familiari, sull’assegno sociale, sulla tassa per i rinnovi dei permessi e sulla cittadinanza". La Cgil è contraria a questa politica che giudica "di razzismo istituzionale e ha lanciato una campagna contro il razzismo per un’altra idea di convivenza e di uguaglianza di diritti e doveri fra le persone: la campagna Io ci sto. Stesso sangue. Stessi diritti.

Ricordando che "non si può strumentalizzare la Cgil e inventarsi affinità con la Lega che non esistono né a Treviso, né tanto meno a Roma", Piccinini sottolinea come la proposta di blocco o moratoria dei flussi avanzata dalla Lega sia "sbagliata", perché "il meccanismo dei flussi, così come previsto dalla Bossi-Fini, è inceppato e produce soltanto immigrazione irregolare".

 

Rinaldini (Fiom): bloccare i flussi è sbagliato e inaccettabile

 

"Chiunque chieda oggi di bloccare i flussi migratori per fronteggiare la crisi dà una risposta sbagliata, inaccettabile e pericolosa agli enormi problemi prodotti da questa globalizzazione. Chiudendo le frontiere, si alimentano spinte xenofobe e razziste e si scelgono falsi obiettivi". A dirlo è il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini. "Muovendosi in direzione opposta, tanto più di fronte ai licenziamenti - aggiunge il leader della Fiom - bisogna invece cancellare il legame fra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, previsto dalla legge Bossi-Fini. Non possono essere le lavoratrici e i lavoratori migranti a pagare nel modo più duro il prezzo della crisi".

 

Famiglia Cristiana: le misure del governo sono inutili e indegne

 

E in merito al pacchetto sicurezza all’esame del Senato, cui la Lega ha presentato una serie di emendamenti restrittivi, si registra un nuovo, duro attacco del settimanale Famiglia Cristiana, che lo giudica "indegno di uno Stato di diritto". Nell’editoriale politico si legge che le misure previste hanno due caratteristiche: "L’inutilità ai fini a cui sono rivolte e l’estrema difficoltà a metterle in pratica da parte di uno Stato la cui giustizia e la cui burocrazia già faticano a tenere il passo delle normali incombenze".

In più, aggiunge Famiglia Cristiana, "esse scontano le conseguenze di un’esagerata descrizione della realtà, come ha dimostrato il caso suscitato dalla decisione, presa nel giugno scorso da Maroni, sul rilevamento delle impronte digitali ai bambini rom. I nomadi di origine rom e sinti erano molti meno di quelli denunciati, e la loro schedatura è stata effettuata con metodi diversi e più tradizionali, d’intesa con la Croce rossa; anche se questa pratica più civile e più umana, decisa d’accordo con il sindaco Alemanno, è costata la destituzione al prefetto di Roma, Carlo Mosca".

Immigrazione: gli schiavi polacchi tra i pomodori della Puglia

 

Redattore Sociale - Dire, 19 novembre 2008

 

In migliaia sfruttati e violentati per pochi spiccioli. Esce "Uomini e caporali", di Alessandro Leogrande. Dalla sentenza di Bari nel primo processo europeo contro i caporali la radiografia di un fenomeno terribile, ma tollerato.

Il 22 febbraio del 2008 il giudice Lovecchio del tribunale di Bari emette la sentenza di primo grado del primo processo penale in Europa contro un’associazione transnazionale di "caporali". Vengono condannati a 10 anni di reclusione 5 capicellula, per aver ridotto centinaia di braccianti in stato di schiavitù sui campi di pomodori della Capitanata, in Puglia. Vari loro complici, e sottoposti, subiscono pene tra 4 e 5 anni.

È un evento storico nella lotta a questa forma di criminalità, nuova eppure molto antica, maturato oltretutto in un contesto legislativo molto fragile. Ma, in Italia, se ne interessa solo la stampa locale pugliese; su quella nazionale la vicenda compare in genere su trafiletti, come una notizia giudiziaria di routine. Non fa così la stampa polacca, che la segue con grande rilievo da oltre due anni dato che i braccianti schiavizzati erano in maggioranza polacchi, e dato soprattutto che da quelle campagne risultano scomparse quasi 100 persone partite dal paese neocomunitario nella speranza di guadagnare un po' di soldi con la raccolta dell’"oro rosso".

La storia degli schiavi polacchi e delle condizioni selvagge in cui sono tenuti, una storia emersa tra la fine del 2004 e la metà del 2006, viene ora ricostruita da Alessandro Leogrande nel libro "Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nella campagne del sud", appena uscito per la collana "Strade blu" di Mondadori. Scrittore e giornalista, 31 anni, vicedirettore del mensile "Lo straniero", Leogrande è pugliese e discendente di una famiglia proprietaria di una masseria con 240 ettari di terreno a Gioia del Colle (Ba).

È anche questo coinvolgimento "familiare" con l’evoluzione dell’agricoltura nella sua regione che lo ha spinto a compiere lunghe ricerche di archivio, in particolare attorno all’eccidio di 6 braccianti avvenuto l’1 luglio del 1920 da parte dei proprietari terrieri delle Murge tra Gioia e Castellaneta, nota come la strage di Marzagaglia, seguita dalla rappresaglia del giorno dopo in cui vennero uccisi tre possidenti. Il nonno di Leogrande gli confida che il suo bisnonno e il suo trisavolo, che di lì a poco avrebbe acquistato la proprietà, non parteciparono all’uccisione, "per non correre rischi", ma "mandarono un uomo armato di fucile, a pagamento" per sparare su una turba di 50 straccioni che chiedevano di essere pagati.

Il "patto di sangue" tra proprietari per sopprimere le velleità dei contadini, che dopo la guerra provavano ad alzare la testa, diventa così il filo rosso dell’inchiesta di Leogrande. "Facendo luce sul passato mi sono ritrovato nel presente", scrive nell’ultimo capitolo, "e allo stesso tempo barcamenandomi nel presente ho ritrovato più volte le tracce scomposte di quel passato sepolto". "Uomini e caporali" dimostra dunque che dopo un secolo nulla è cambiato: che continua a esistere quella "umanità derelitta" fatta di "uomini e donne che si rotolano nella polvere per raccogliere un pomodoro" e che alla fine della giornata contano "quei pochi spiccioli, dicendosi vivi".

Ma se in Puglia e in tutto il sud lo sfruttamento dei braccianti attuato dai proprietari terrieri tramite i loro intermediari, i caporali appunto, è sempre esistito e continua a esistere, ciò che è successo con i polacchi rappresenta uno spaventoso salto di qualità. Consueto il trattamento economico promesso (3,5 euro per ogni "cassone" da 280 chili riempito di pomodori), ma la differenza con le altre vicende di sfruttamento scoperte fino ad allora è che nemmeno quei soldi vengono quasi mai dati, e che di fatto i braccianti sono tenuti come veri schiavi e di fatto prigionieri in condizioni più che disumane, sottoposti a crudeltà quotidiane spinte in vari casi fino all’omicidio.

Eppure qualcuno riesce a scappare. Come i tre studenti polacchi che dopo un lungo cammino escono da quelle terre "fuori dal tempo e dal mondo" e denunciano i propri aguzzini. Non ci vuole molto a capire che se la loro storia fosse rimasta nella stazione dei carabinieri del paesino raggiunto dai tre avrebbe fatto la fine di tante altre denunce, bloccate da quella tacita accettazione dello sfruttamento dei braccianti da sempre condivisa dalle comunità locali. Di quella "illegalità che non crea alcuna apprensione o allarme sociale". Ma per qualche motivo la storia viene presa in mano dalla Direzione distrettuale antimafia e le indagini affidate ai Ros, fino ad arrivare in un tempo relativamente breve al processo e alla sentenza.

Droghe: Giovanardi; contro le sostanze il "fronte bipartisan"

di Lucia Ritrovato

 

Vita, 19 novembre 2008

 

Il sottosegretario delegato soddisfatto del clima di collaborazione fra gli schieramenti. "Oggi voglio fare un appello a tutte le risorse ed energie che si muovono sui singoli territori e che vogliono combattere il problema della droga: bisogna essere uniti e mandare un messaggio comune, specie ai giovani, contro l’uso e abuso delle sostanze stupefacenti".

Lo ha affermato il senatore Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla droga, concludendo ieri mattina, presso la Sala Capitolare del Senato, la relazione Annuale 2008 dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e Tossicodipendenze (Oedt). "Se - ha continuato il senatore - comunità di recupero, scuole, parrocchie, enti sportivi, forze dell’ordine e istituzioni agiscono nella stessa direzione, si potrà combattere questo nemico e diminuire anche il numero delle vittime. È importante inoltre affermare che il 99,9% degli italiani non fa uso di droga. Si enfatizzano sempre i dati negativi, ma mai quelli positivi. Nel nostro Paese invece la stragrande maggioranza della popolazione ha detto "no" alla droga".

Il sottosegretario Giovanardi ha affermato anche di essere molto soddisfatto della collaborazione politica fra entrambi gli schieramenti: "Questo problema, non ha colore politico, è di tutti. Per fortuna ho verificato che sull’illecito uso delle droghe, sulle terapie di recupero ci sono degli obiettivi comuni e questo permetterà di affrontare meglio il problema".

Tra gli strumenti per combattere il fenomeno Giovanardi ha citato il test antidroga: "Lo stiamo sperimentando in quattro città pilota, ma vogliamo attuarlo ovunque come misura educativa non repressiva, il giovane deve capire che se fa uso di sostanze stupefacenti andrà a piedi, non avrà cioè né il motorino, né la patente per la macchina".

"Geo drugs alert" è invece il nuovo sistema di allerta informatico presentato nel corso dell’evento da Giovanni Serpelloni, Capo del Dipartimento Politiche Antidroga, per far fronte all’emergenza droga e alla crescente offerta sul mercato di sostanza a basso costo e che servirà a creare una sinergia più stretta tra gli enti territoriali e il dipartimento per le Politiche Antidroga.

"Il sistema d’allerta - ha spiegato Serpelloni - ideato assieme all’Istituto Superiore di Sanità, è un sistema informatico molto avanzato che raccoglie, in tempo reale, tutta una serie di segnalazioni dai Sert, dai laboratori e dal territorio su anomalie o sostanze con principi attivi molto alti. In questo modo potremo assegnare ad ogni sostanza un grado di allerta ed eventualmente mobilitare se necessario le regioni competenti e le forze dell’ordine. Anche gli studenti che a scuola notano dei movimenti sospetti potranno fare delle segnalazioni tramite sms, mms o fax".

Droghe: Serpelloni; no ai narco-test fai-da-te sui figli minori

 

Notiziario Aduc, 19 novembre 2008

 

Mamme e papà che si trasformano in emuli di Sherlock Holmes e cercano campioni da analizzare, per fugare il sospetto che qualcosa non va, armati dei kit disponibili in laboratori e farmacie. In alcuni casi - e non senza polemiche - ‘regalatì dall’amministrazione comunale ai genitori.

"La richiesta dei test fai da te è diffusa in tutto il Paese. Ma la diagnosi precoce non può essere lasciata al fai da te o assegnata alla famiglia. Si tratta - sottolinea Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga - di analisi complesse, proprio come le possibili conseguenze di una scoperta di positività. Le ripercussioni per la famiglia possono essere pesanti, dunque occorre garantire un supporto e un counselling".

La gestione di questi test deve essere corretta. "Scoprire presto che il proprio figlio si droga è utile per mettere fine al problema in tempi rapidi. Ma questi test vanno fatti in ambulatorio, filtrati e gestiti da esperti. E soprattutto su base volontaria". Insomma, non funziona affatto il ‘furtò del campione da esaminare. "Il ragazzo deve essere d’accordo, anche perché - conclude Serpelloni - in questi casi un rifiuto è già una risposta".

Usa: 2 membri del Governo incriminati per abusi sui detenuti

 

Ansa, 19 novembre 2008

 

Il vice presidente americano Dick Cheney e l’ex segretario alla Giustizia Alberto Gonzales sono stati incriminati da un Grand Jury in Texas nell’ambito di casi di abusi sui detenuti. Abusi commessi in prigioni federali affidate in gestione ai privati che non avrebbero rispettato i diritti dei detenuti per questioni relative a reati di immigrazione, secondo l’accusa del district attorney della Willacy County.

Cheney è stato accusato - secondo quanto riporta il San Antonio Express - di aver agito per ottenere profitti personali investendo nel Vanguard Group, gruppo che si occupa della gestione privata delle prigioni. Anche Gonzales, insieme ad un senatore repubblicano dello stato, Eddie Lucio, è stato considerato responsabile delle violazioni commesse dalla società a cui era stata affidata la gestione delle prigioni.

"Non avevo alcuna intenzione di perseguire il vice presidente -. ha dichiarato l’attorney generale Juan Guerra, un democratico che ha perso alle ultime elezioni - ho solo seguito i soldi e la corruzione. E quello che è successo è che ci hanno portato dritti a Washington". "Non abbiamo ancora ricevuto nessuna telefonata dall’ufficio del district attorney", ha replicato la portavoce di Cheney, Megan Mitchell, dichiarando che il vice presidente non ha ancora preso visione dell’atto d’accusa.

 

 

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