Rassegna stampa 15 novembre

 

Giustizia: processi durano troppo, diritti umani sono a rischio

di Marco Bellinazzo

 

Il Sole 24 Ore, 15 novembre 2008

 

"L’Italia è fuori dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Se uno Stato di diritto si riconosce in quanto assicura ai cittadini il diritto di accedere a un giudice e di ottenere una risposta in tempi certi, il nostro Paese non può essere più incluso fra gli Stati di diritto".

L’ennesimo e perentorio allarme sulle conseguenze della crisi della giustizia italiana è arrivato ieri dalla voce autorevole di Vladimiro Zagrebelsky, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Una Corte, come ha raccontato Zagrebelsky intervenendo alla conferenza internazionale "La crisi della giustizia civile in Italia: che fare?", promossa dal "Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale" (che si chiude oggi al Palazzo di Giustizia di Milano), sempre più "nervosa" per l’inottemperanza italiana ai principi della Convenzione. I giudici di Strasburgo, infatti, sono sommersi dalle richieste di indennizzo provenienti dall’Italia per l’irragionevole durata dei procedimenti.

"La legge Pinto - sottolinea Zagrebelsky - non funziona più. Anzi, ha prodotto un circolo vizioso. Le istanze presentate in base a questa legge rappresentano ormai il 14% del carico di lavoro delle Corti d’appello. Mentre a Strasburgo pendono già un migliaio di ricorsi di cittadini che lamentano la lentezza dello Stato italiano nel pagare gli indennizzi riconosciuti da sentenze definitive".

Se è vero che la crisi della giustizia in Italia "è figlia anche di una continua e crescente disillusione verso la capacità di risoluzione dei conflitti", come ha sostenuto il presidente del Tribunale di Milano e segretario generale della Fondazione Cnpds, Livia Pomodoro, è anche vero che questa "disillusione" va combattuta con coraggio, perché, come ha spiegato Daniela Marchesi (direttore dell’unità di ricerca "Economia e diritto" dell’Isae) "le disfunzioni dei tribunali hanno ricadute pesanti sul sistema Paese in termini di attrattività degli investimenti e di capacità concorrenziale. L’indeterminatezza dei costi e della durata di una causa si è trasformata in un’arma di ricatto a favore delle imprese più spregiudicate".

Quali rimedi, allora? Franco Mugnai, capogruppo del Pdl in commissione Giustizia del Senato ha individuato nelle modifiche al Codice di procedura civile contenute nel Ddl collegato alla Finanziaria 2009, ora al vaglio di Palazzo Madama (dopo essere stato licenziato dalla Camera), delle buone soluzioni. "Anche se alcune novità vanno messe a punto. Ad esempio - ha precisato Mugnai - la raccolta delle testimonianze scritte sarebbe meglio affidarla agli avvocati, sulla falsariga delle indagini difensive. Più di tutto, però, dovrà essere istituito un filtro per i ricorsi in Cassazione, dove pendono oltre 100mila fascicoli". Anche se, per il consigliere della Suprema corte Renato Rordorf, una griglia di questo tipo, "se pur auspicabile, rischia di confliggere con la Costituzione, che ammette il ricorso per Cassazione avverso qualunque sentenza".

Giustizia: Di Somma (Dap); presto i detenuti saranno 62 mila

 

Redattore Sociale - Dire, 15 novembre 2008

 

Il vicedirettore del Dap al convegno della Conferenza volontariato in carcere: "Personalmente non vedo la possibilità di sbloccare questo continuo ingresso. Ma intanto si potrebbe debellare il fenomeno degli arresti e scarcerazioni in pochi giorni".

"Dai 38 mila detenuti che si registravano subito dopo l’indulto siamo di nuovo ritornati a una presenza di 58 mila detenuti circa nelle carceri italiane e ci avviamo presto verso la cifra dei 62 mila. Io personalmente non vedo la possibilità di sbloccare questo continuo ingresso e credo comunque che sia arrivato il momento di dire che la presenza di detenuti nelle carceri italiane si stabilizzerà sui 60 mila, un po’ come succede in Francia".

Lo ha detto oggi Emilio Di Somma, vicedirettore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), partecipando al convegno organizzato dalla Conferenza nazionale del volontariato penitenziario che ha presentato la sesta rilevazione sulla presenza dei volontari nelle strutture detentive italiane.

Di Somma ha spiegato che ci sono molte cause concomitanti a determinare l’aumento del flusso di detenuti e ha anche confermato il fatto che l’amministrazione penitenziaria deve fare i conti con l’esistente, senza immaginare eventuali bacchette magiche, anche perché, ha spiegato Di Somma "mi sembra altamente improbabile qualsiasi provvedimento di clemenza a breve termine".

Per quanto riguarda le cose possibili da fare il vicedirettore del Dap ha spiegato che, anche se si applicassero le norme del braccialetto elettronico e delle espulsioni, s’intaccherebbe di poco sul numero complessivo perché si tratterebbe tutto sommato di 2 mila unità circa.

Il problema è quindi fare i conti con l’esistente e mettere mano prima di tutto alla riorganizzazione interna dell’Amministrazione Penitenziaria e a un’attenta gestione degli spazi disponili. Si è infatti di fronte al paradosso che i posti disponibili sono spesso anche inferiori a quella capienza minima di 42 mila posti definita.

Di Somma ha spiegato che questo succede perché spesso ci sono in corso lavori di ristrutturazione che diminuiscono gli spazi disponibili. L’altra cosa da fare è quella di tentare una diversa distribuzioni dei detenuti nel territorio anche perché la gran parte della popolazione detenuta non ha bisogno di troppi controlli.

Per quanto riguarda la possibilità di rallentare il flusso delle entrate, è ovvio che questo attiene al livello politico, perché si dovrebbero modificare le leggi esistenti; ma senza arrivare a una modifica normativa sono possibili lievi ritocchi alla procedura penale, cominciando dal debellare quel fenomeno degli arresti e scarcerazioni in pochi giorni. "Ci sono molti casi - ha detto Di Somma - di persone che vengono arrestate e stanno dai 2 ai 10 giorni in carcere e poi vengono fatte uscire. Questo crea un grande scompenso nell’organizzazione e crea anche quegli scandali mediatici di casi di detenuti che dormono per terra. Non ci sono detenuti che dormono per terra, ma è certo che ci sono stati casi in cui sono state inserite nelle strutture carcerarie 100 persone in un giorno, quando i posti disponibili erano 80". Il vicedirettore del Dap ha fatto grandi elogi all’azione del volontariato nelle carceri e ha detto: "Non solo li ringrazio ma considero il loro lavoro a volte come sostitutivo rispetto a quello delle istituzioni. Il corretto apporto del volontariato dovrebbe essere aggiuntivo e non sostituto a quello che fa l’amministrazione".

Giustizia: Osapp; realtà carceri è diversa da come raccontano

 

Il Velino, 15 novembre 2008

 

"La senatrice Casellati riporta dei dati solo all’apparenza confortanti, salvo poi dimenticare quale sia effettivamente la condizione generale delle carceri e della concreta possibilità di dotare nuovi posti letto per i 58mila detenuti presenti attualmente". A sottolinearlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) a proposito dell’intervento del sottosegretario alla Giustizia a Radio Anch’io.

"Sono 6 mesi che quest’amministrazione ci ripete le stesse cose, quando invece la realtà racconta ben altro. Sul fronte della capacità ricettiva quei 1.600 posti letto promessi entro il 2008 sono un triste miraggio. Sappiamo invece che dalle stime di fine ottobre su un totale di 43.285 posti letto (sempre pochi e insufficienti), 2.760 sono quelli attualmente non disponibili, perché soggetti a lavori. Sappiamo inoltre che molti di questi fantomatici lavori hanno un termine al 2099, solo perché l’amministrazione ha convenienza a non perdere lo stanziamento dell’appalto".

"A questo - ha aggiunto - si aggiunga un ulteriore dato che è quello che di quei posti attualmente indisponibili solo 2.416 saranno recuperati. Ovviamente nel calcolo vengono considerate diverse tipologie di cella: del transito, d’isolamento, e le infermerie. Quindi al sottosegretario alla Giustizia diciamo che forse la realtà è un po’ diversa, e non così rosea.

Sempre a proposito della strategia messa a punto dal ministro Alfano, che a suo dire muove su triplice rotta, rimane il problema delle espulsioni, che non decollano perché c’è la riluttanza da parte di certi Paesi a riprendersi i propri connazionali. Il braccialetto elettronico, invece, non è stato finanziato ancora, o quantomeno non esiste alcuno stanziamento che possa indicare l’inizio di una qualche sperimentazione.

L’unica rotta che indichiamo al sottosegretario e al ministro della Giustizia, è quella che riguarda il personale di Polizia penitenziaria. C’è urgenza di dotarlo dei mezzi e delle risorse finanziarie necessarie, in grado di non mortificare ulteriormente il contributo che offre nel mandare avanti un’attività così delicata, dando nuovo lustro così ad una categoria da troppo tempo dilaniata dalle responsabilità, e dal degrado del vivere umano. Come chiesto e sollecitato giorni fa in una lettera ufficiale - ha concluso - auspichiamo un riordino delle nostre carriere all’interno del comparto sicurezza, prima di tutto; una riforma, quindi, che sia in grado di mettere nel giusto conto il ruolo del poliziotto penitenziario alla stregua delle altre forze dell’ordine".

Giustizia: Manganelli; in Italia c’è solo la "certezza d’impunità"

 

L’Unità, 15 novembre 2008

 

Parlare di certezza della pena, secondo il capo della Polizia Antonio Manganelli "è discutere di un tema abusato. Un tema drammatico perché in Italia abbiamo esclusivamente la certezza dell’impunita"‘. Parole che sono state interrotte da un applauso dei partecipanti al convegno dell’Associazione nazionale Funzionari di Polizia, a Verona, con il quale Manganelli era collegato in video conferenza. Secondo il prefetto oggi c’è l’esigenza "di proporre non una promessa di castigo ma applicare una pena vera". Manganelli ha osservato che "la repressione e la prevenzione sono strettamente legate. Un effettiva repressione riesce a prevenire un’azione di offesa al Paese" ha concluso.

Giustizia: ogni detenuto costa 150 € giorno, ma solo 2 per vitto

 

Redattore Sociale - Dire, 15 novembre 2008

 

Nel 2000 "mantenere" un detenuto costava 113 euro al giorno, nel 2006 si è passati a 149. Nonostante questo la voce assistenza sanitaria è stata decurtata.

Alla conta del tre novembre 2008 erano 57.963 i detenuti rinchiusi nelle carceri italiane, poche migliaia in meno rispetto alla situazione registrata prima dell’indulto (60mila presenze). Una situazione allarmante a fronte di una capienza regolamentare di 43.805 posti "anche se il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria porta la soglia della tollerabilità a 63.500 - dice il Garante per i detenuti del Lazio -. Ma non si prende in considerazione il fatto che alcune carceri, come Regina Coeli, hanno alcune sezioni chiuse. Una situazione che aggrava ulteriormente il sovraffollamento". Solo nel Lazio i detenuti sono 5.398, a fronte di una capienza regolamentare che permetterebbe di accogliere poco più di 43mila persone.

C’è poi la questione economica. Nel 2000 "mantenere" un detenuto costava 113 euro al giorno (vitto, pagamento degli agenti, mantenimento delle strutture carcerarie), nel 2006 si è passati a 149 euro al giorno. Malgrado l’aumento però, una voce importante come l’assistenza sanitaria ha subito dei tagli: dai 2.612 euro annui per detenuto del 2000, si è passati ai 2.307 euro del 2006. Il picco più basso però, poco più di 1.900 euro, era stato raggiunto l’anno precedente.

Un’altra spesa che, a breve, potrebbe andare incontro a ridimensionamenti è quella destinata al vitto: "Nel triennio 2000-2002 la diaria giornaliera era di 1,25 euro - spiega Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti - e nel triennio 2006-2008 siamo arrivati a 2,95 euro a testa. Il timore è che con il prossimo bando, previsto per il 2009 con le modalità dell’asta a ribasso, si vada sotto i 2,40 euro".

Giustizia: 41-bis troppo "leggero"? riaprire Pianosa e l’Asinara

 

www.antimafiaduemila.com, 15 novembre 2008

 

La mafia fa notizia solo quando lascia il morto sul marciapiede. In realtà in questi giorni in Commissione Giustizia e Affari Costituzionali sono in discussione, all’interno del pacchetto sicurezza, una serie di emendamenti di grande delicatezza che riguardano la lotta alla criminalità organizzata e in particolare la spinosissima questione del 41bis.

Maggioranza e opposizione hanno dichiarato di essere d’accordo almeno su un punto: il regime di carcere duro va inasprito. Dalle stragi di Capaci e via D’Amelio tutti gli schieramenti politici, a parole, hanno dichiarato di voler usare il pugno di ferro contro gli assassini di Cosa Nostra. Eppure, come dimostra la nostra piccola ricerca di seguito allegata, dal ‘92 in poi modifiche ed emendamenti vari hanno consentito ai grandi boss spazi sufficienti per continuare a gestire i loro mandamenti, coordinare gli affari e disporre i "regolamenti di conto".

Nonostante il solito polverone di polemiche e di strali lanciati dall’uno all’altro capo proprio per nascondere sotto il tappeto le rispettive responsabilità, le falle della detenzione "speciale" tanto acclamata sono più volte emerse nella loro gravità.

In questi giorni per la gioia del ministro Alfano sono stati approvati in assoluto spirito bipartisan alcuni emendamenti proposti anche e soprattutto dall’opposizione. Il più importante è certamente il rovesciamento dell’onere della prova per cui i provvedimenti di restrizione al 41bis sono prorogabili fino a che "non risulti, da concreti elementi, che il detenuto abbia interrotto i rapporti con l’organizzazione o che la stessa abbia cessato di esistere senza confluenze in altre compagini criminali. Il decorso del tempo non può considerarsi elemento di cui desumere l’interruzione o la cessazione".

Finalmente è il criminale a dover dimostrare di aver interrotto il suo legame con la famiglia di origine. Di per sé, una contraddizione in termini, poiché chiunque conosca anche solo un accenno di vicende mafiose sa benissimo che la definitiva fuoriuscita da un’organizzazione criminale avviene solo in due modi: con la collaborazione formale con la giustizia o con la morte. Il sistema sarebbe stato oltremodo efficace se oltre a questa proposta avanzata dall’opposizione su iniziativa del senatore Beppe Lumia e di altri fosse stata accolta anche un’altra delle modifiche presente nel disegno di legge presentato il 31 luglio scorso.

Fino ad oggi le richieste di revoca del regime erano gestite dal Tribunale delle misure di prevenzione che spesso, in base probabilmente ad una applicazione acritica della norma, ha revocato il 41bis a boss mafiosi di primissimo rango come ad esempio Nino Madonia, uscito dalla detenzione speciale proprio alla vigilia dell’anniversario della morte di Rocco Chinnici, per la quale è stato condannato in via definitiva all’ergastolo.

L’opposizione aveva proposto che a valutare i ricorsi fossero i tribunali e le procure distrettuali del luogo di provenienza e quindi di azione criminale del detenuto prima dell’arresto, vale a dire far decidere a chi è specificamente competente in materia, invece si è scelto di spostare tutte le richieste sul tribunale di sorveglianza di Roma. Come al solito un passo avanti e uno indietro, sperando che almeno vengano presi e tenuti in considerazione i pareri di procuratori e magistrati che si sono occupati del detenuto, altrimenti l’importantissimo rovesciamento dell’onere della prova si risolverà in poco più di un nulla di fatto.

Sono state poi introdotte altre misure restrittive sulle ore di socialità, sui colloqui telefonici ammessi solo per chi non ha avuto colloqui personali, quelli con i parenti saranno tutti sottoposti a video registrazione e quelli con gli avvocati ridotti ad un massimo di tre alla settimana. Il nostro codice garantista non consente la registrazione dei colloqui con gli avvocati, ed è anche corretto da un certo punto di vista, se non fosse che più e più volte è stato dimostrato che spesso sono proprio i difensori il veicolo per la diffusione di messaggi con l’esterno.

Si è cercato però di porre rimedio inserendo una fattispecie autonoma di reato che punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque consenta ad un detenuto di comunicare con altri, con un’aggravante nel caso si tratti di un pubblico ufficiale, un incaricato di servizio pubblico o un legale.

Grande soddisfazione è stata espressa dal ministro Alfano e dal presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini che ora auspicano l’approvazione del testo anche da parte dell’aula e rilanciano restrizioni anche sulle norme antiriciclaggio e l’espulsione dei politici "mediatori della mafia" dai partiti.

Dall’opposizione il senatore Lumia, moderatamente soddisfatto per i risultati ottenuti, chiede alla maggioranza di dare dei segnali ancora più chiari e netti nella lotta alla criminalità e al terrorismo riaprendo le carceri di Pianosa e dell’Asinara e consentire così a questi provvedimenti sul 41bis di avere piena realizzazione.

"Viene previsto infatti - si legge nel disegno presentato dall’opposizione - che i detenuti sottoposti al regime speciale debbano essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in regioni insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’Istituto. L’esperienza maturata sul campo dagli operatori insegna che tanto la collocazione geografica degli istituti quanto la loro specializzazione nella gestione di determinate tipologie di detenuti è particolarmente importante per la più efficace applicazione dell’articolo 41 bis".

Sarebbe davvero una grande occasione per la politica tutta di dimostrare una vera volontà, almeno su versante repressivo, di voler combattere le mafie. Tornare a rendere perfettamente funzionali queste carceri, così come lo sono state nel dopo stragi, al loro obiettivo significa non solo riuscire a recidere i legami tra i boss ergastolani e l’associazione mafiosa, ma anche far apparire molto meno attraente per i giovani la carriera criminale e prospettando loro una vita di durissimo isolamento se commettono delitti gravi. Sarebbe la prova definitiva che lo Stato vuole fare sul serio contro chi minaccia la stabilità democratica del Paese attraverso la violenza, l’infiltrazione nella vita pubblica, il riciclaggio di denaro proveniente dai grandi traffici di droga che ammazzano migliaia di giovani, la collusione con la politica e con i poteri più o meno occulti.

La redazione di Antimafia Duemila sostiene con piena convinzione questa richiesta avanzata con il coraggio di sempre dal senatore Lumia e da ben pochi altri per tornare a dare vigore alla guerra alle mafie e per arrivare finalmente al risultato che da 200 anni aspettiamo: eliminarle alla radice e nella loro totalità.

Giustizia: Onu; il 41-bis è sotto accusa per le troppe proroghe

 

Apcom, 15 novembre 2008

 

Mentre il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, promette un "giro di vite" del 41 bis e annuncia che sarà aumentata la durata della prima applicazione della misura, passata da un massimo di due anni a tre anni con proroghe di due anni ciascuna, rappresentanti delle Nazioni Unite in Italia puntano l’indice proprio contro il regime di "carcere duro" esprimendo "preoccupazioni circa le ripetute proroghe di questo provvedimento di anno in anno in molti casi".

L’avvocato cileno Roberto Garreton e il professore russo di diritto Aslan Abashidze, membri del gruppo di esperti dell’Onu sulla detenzione arbitraria, hanno presentato oggi le conclusioni preliminari delle loro visita ufficiale in Italia iniziata il 3 novembre e conclusasi oggi. Oggetto della missione era l’indagine sui casi di privazione della libertà imposta in modo arbitrario e non conforme agli standard internazionali.

Durante queste indagini "abbiamo incontrato un detenuto che ha affermato di essere sottoposo al carcere duro da ormai 14 anni, fatto confermato dalle autorità carcerarie", afferma Garreton. "In Italia ci sono due posizioni: chi vuole il 41 bis a tutti i costi e chi vi si oppone. Non esiste una via di mezzo. Capiamo il desiderio di sicurezza degli italiani - continua l’avvocato cileno - ma ci sono regole che vanno applicate anche per persone che sono state private della libertà personale. Per questo credo che il 41 bis sia al limite di ciò che si può ritenere accettabile".

In 12 giorni Garreton e Abashidze hanno visitato carceri e centri di accoglienza a Roma, Napoli, Catania, Caltanisetta, Cassibile e Milano. Durante le loro visite hanno potuto scegliere i carcerati con cui parlare e chiedere delle loro condizioni di detenzione. Il rapporto definitivo sulla detenzione arbitraria in Italia sarà redatta solamente a marzo, dopo che i due rappresentanti avranno riportato i dati raccolti agli altri tre membri che costituiscono la delegazione Onu.

Giustizia: G8 Genova; dibattito sulla sentenza al processo Diaz

di Massimo Calandri

 

La Repubblica, 15 novembre 2008

 

La sentenza del processo Diaz infiamma il dibattito politico ed accende gli animi anche all’interno della magistratura, mentre il Csm pensa ad avviare una pratica di "tutela" nei confronti del collegio giudicante genovese. Il giorno dopo le assoluzioni per i vertici della polizia coinvolti nel blitz di sette anni fa, alle pesantissime critiche di buona parte della sinistra si contrappone il plauso del governo, che parla di "buon senso" dei giudici del capoluogo ligure. In mezzo finisce Antonio Di Pietro, dopo che in mattinata il suo partito aveva rilanciato la proposta di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare sui fatti del G8: giusto lo scorso anno proprio l’Italia dei Valori aveva votato insieme a Forza Italia, An e Lega, bocciando il progetto.

Era stato il segretario del Prc, Paolo Ferrero, ad aprire ieri le polemiche: "Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una giustizia forte con i deboli e debole con i forti". Di "vergogna" ed "ingiustizia" aveva parlato anche l’Arci, mentre Amnesty accusava le autorità italiane "di non aver mai voluto contribuire in questi sette anni alla ricerca della verità e della giustizia". Fabrizio Cicchitto, portavoce della Pdl alla Camera, replicava che "la responsabilità penale è personale: la decisione di Genova è equilibrata".

Anche per il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, l’altra sera era stata pronunciata "una sentenza che ha dato un responso chiaro". Poi all’improvviso ha fatto capolino Giuseppe Giulietti (Idv) con una dichiarazione a sorpresa: "Ci sono ancora troppe ombre su quella notte. Chiediamo che si provveda all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul G8, sperando che questo strumento possa contribuire alla verità e alla giustizia".

Le risposte non sono tardate. Scontata e secca quella del presidente della Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: "A quanti chiedono una commissione d’inchiesta diciamo fin d’ora che non ci sarà, perché non avrà mai i voti della maggioranza". Ma il tornado della polemica s’è levato da sinistra. Per l’eurodeputato Vittorio Agnoletto, "quelli come Di Pietro sono dei sepolcri imbiancati". "Scandalosi, patetici", ha rincarato la dose Gigi Malabarba, ex senatore e a suo tempo primo firmatario del ddl per l’istituzione della commissione d’inchiesta: "A promuovere il regista della repressione di Genova, Gianni De Gennaro, sottraendolo al giudizio dei magistrati, sono stati proprio loro con totale consenso del centrodestra".

Intanto a Genova il presidente della prima sezione del tribunale, Gabrio Barone, ha risposto a chi sottolineava fischi e proteste del pubblico presente in aula l’altra sera: "Il nostro codice prevede che si possa condannare solo quando la responsabilità è accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Capisco il risentimento di chi è stato picchiato, ma le persone dovrebbero prima leggere gli atti. E vedere le prove che ci sono. Noi possiamo condannare solo in base a quelle. Questa sentenza colpisce le persone sulle quali abbiamo ritenuto ci fossero prove certe di responsabilità". Un consigliere del Csm, Fabio Roia, ha preannunciato che presso l’organo supremo della magistratura sarà chiesta l’apertura di una pratica a tutela dei giudici genovesi a seguito dei "pesanti attacchi che rischiano di diventare denigratori e strumentali".

La sentenza ha però creato obiettivo stupore tra molti magistrati del capoluogo ligure. Alcuni di loro, coinvolti in prima persona nei giudizi preliminari della stessa inchiesta, hanno confessato ai colleghi di essere "preoccupati". Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, i pm che sostenevano l’accusa contro la polizia, attendono le motivazioni della sentenza ma la richiesta d’appello pare inevitabile. Sulla vicenda s’allunga l’ombra nera della prescrizione, alla quale però alcuni imputati - l’ultimo è Michelangelo Fournier, condannato a due anni di reclusione - hanno preannunciato di voler rinunciare.

Giustizia: Stasi e Sollecito, due casi di "indagati" a confronto

di Fabio Lattanzi

 

www.radiocarcere.com, 15 novembre 2008

 

Entrambi giovani, capigliatura bionda, viso pulito, all’apparenza inoffensivi. Entrambi accusati di un crimine orrendo: l’efferato omicidio di una giovane ragazza. Entrambi violentati dai mass media, spogliati della privacy e denudati in pubblico. Entrambi attendono il giudizio di un giudice: il processo. Raffaele Sollecito e Alberto Stasi, storie speculari, una ambientata a Garlasco, l’altra radicata nella Perugia universitaria.

Storie speculari segnate però da un’unica differenza: Alberto prepara la difesa nella sua abitazione, mentre Raffaele attende il processo rinchiuso in un istituto penitenziario. La spiegazione: uno è ritenuto pericoloso, l’altro no. L’unica spiegazione giuridicamente possibile: la pericolosità è infatti la condizione necessaria per il carcere prima del processo. Spiegazione incapibile: risulta difficile da credere che uno sia pericoloso e l’altro no.

Spiegazione errata. Raffaele è stato ritenuto probabilmente colpevole, Alberto no: questa la reale spiegazione. La condanna prima del processo, il carcere prima del processo, a prescindere dalla pericolosità. Stasi arrestato è stato scarcerato a causa della pochezza probatoria. Più prove e ingiustamente Stasi starebbe in carcere. Ingiustamente perché la libertà ha dimostrato che Stasi non è pericoloso. Il dubbio è che anche per Sollecito la libertà potrebbe dimostrare l’assenza di pericolosità e l’ingiustizia del carcere prima del processo.

Sardegna: in carcere cambia l’assistenza sanitaria: ma come?

 

la Nuova Sardegna, 15 novembre 2008

 

Malessere diffuso. Sconcerto. Attesa. Nelle carceri dell’isola sull’assistenza sanitaria regna l’insicurezza. Non ci sono soltanto i guai molto seri del sovraffollamento delle celle e delle carenze di organico della polizia penitenziaria. Manca appena un mese e mezzo ad alcuni appuntamenti cruciali e intanto rimangono aperti troppi interrogativi.

Quale assetto preciso avrà il nuovo modello organizzativo col trasferimento di competenze dal ministero della Giustizia alla Regione? Verranno garantite tutte le prestazioni del passato? Con quali modalità operative? Chi pagherà medici, infermieri e specialisti convenzionati? Tutto sarà regolare già dai primi giorni del prossimo anno, quando il distacco diverrà ufficiale?

In Sardegna gli operatori sanitari lanciano l’allarme: "Vogliamo garanzie - dicono - Prima di tutto per i pazienti reclusi, poi per noi stessi". Dall’assessorato arrivano rassicurazioni: "Abbiamo fatto ciò che rientrava nei nostri compiti, adesso è il governo a dover ottemperare ai suoi". A prescindere dalle differenti interpretazioni, in ogni caso un fatto appare evidente: nella gestione di questo momento, decisivo per la salute di oltre duemila detenuti, si è accumulato un ritardo considerevole. Almeno nell’isola.

Con l’eccezione della sola Sicilia, infatti, altrove la questione si è risolta da mesi. Da noi invece continuano a fioccare interrogazioni e proteste. Un passo indietro consente di capire meglio i motivi di malumore e disagi. Dal 30 maggio la riforma approvata dal Parlamento ha trasferito la sanità penitenziaria alle Asl. Ma, come ha sottolineato nelle scorse settimane il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris, quel che dappertutto si è tramutato in un semplice scambio di consegne nell’isola è diventato un affaire super complesso.

"Partiamo dalle ragioni del trasferimento: il concetto giustissimo che subentra è di considerare i reclusi cittadini uguali a tutti gli altri", afferma Pier Paolo Pani, responsabile del Servizio Integrazione che fa capo alla direzione delle politiche sociali dell’assessorato regionale alla Sanità. Ed è appunto da questa premessa che derivano alcune conseguenze sul piano pratico. Eccole. Nell’isola operano nel delicatissimo settore una quindicina di medici "incaricati" e un’altra cinquantina di professionisti assegnati alle guardie in carcere.

Assieme a loro lavorano una sessantina d’infermieri: di ruolo e "a parcella", cioè a prestazione d’opera. Tutti diventeranno presto operativi nei ranghi del ministero del Welfare. A questo stesso dicastero, e quindi agli assessorati e alle Asl, dovranno fare capo le decine di odontoiatri, oculisti, radiologi, cardiologi, internisti chiamati a fare le visite specialistiche.

Ma pochi tra i rappresentanti di tutte queste categorie in Sardegna sanno quale sarà il futuro delle prestazioni riservate ai detenuti. Tanto che negli ultimi giorni un altro esponente politico, Alessandro Frau, del Pd, presidente della commissione per i diritti civili e le politiche comunitarie, ha fatto un’altra interrogazione: sollecita un rapido intervento della giunta regionale per sbrogliare la matassa.

"In realtà chi chiama in causa noi sbaglia obiettivo - chiarisce Pier Paolo Pani -. La normativa generale che attua il trasferimento nel caso delle Regioni a statuto speciale come la nostra prevede che il passaggio sia realizzato sulla base di un accordo con i poteri centrali. Di qui l’istituzione di un comitato formato da due membri designati dalla Regione e da due indicati dal governo. Spetta però all’esecutivo nazionale convocarlo che finora non ha provveduto. Noi abbiamo messo in atto tutte le procedure che ci chiamavano direttamente in causa. Allora dico chiaramente una cosa: è giusto protestare, ma si deve farlo nella direzione giusta".

Al di là delle responsabilità dei ritardi, gli operatori sanitari chiedono certezze. Dice la consigliera della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria Laura Dettori: "Nell’interesse dei detenuti continueremo a fare il nostro dovere in carcere anche nel 2009: ma è troppo sapere con quali progetti operativi e in quale preciso contesto organizzativo?". Incalza il segretario regionale della stessa Simspe, Marco Puggioni: "Speriamo di mantenere le nostre funzioni e di conservare il rapporto esclusivo che sinora ci ha consentito di far fronte a responsabilità che vanno spesso ben oltre quelle normali attribuibili a un medico.

Nel frattempo attendiamo istruzioni dettagliate". Da tempo aveva manifestato perplessità sull’impasse e sulle difficoltà collegate al trasferimento la Cisl. Specie per la ventilata esiguità delle risorse economiche disponibili. Ma l’intera materia sembra al centro di una vertenza in evoluzione. Così come le questioni legate ai troppi detenuti e alla scarsità di personale per la vigilanza. Così forse nelle prossime settimane si aprirà qualche importante spiraglio anche sul delicato tema della salute carceraria.

 

In arrivo altri 200 detenuti dalla penisola

 

"Nonostante la grave crisi esistente nelle carceri per il sovraffollamento, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha deciso di inviare in Sardegna altri 200 detenuti dalla penisola, stavolta in particolare dalla Lombardia". La denuncia è della consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps), componente della commissione Diritti civili.

"Non si comprende con quale criterio il Dap decida di sottoporre a ulteriore aggravamento le condizioni degli agenti, sottodimensionati rispetto agli organici, e dei detenuti, costretti a subire le conseguenze di un assurdo restringimento degli spazi nelle celle".

"La situazione è veramente preoccupante", sottolinea l’esponente socialista, "se si considera che i limiti regolamentari sono stati abbondantemente superati ovunque mentre quelli di tollerabilità sono stati sforati a Oristano e Lanusei. Situazioni di particolare difficoltà si registrano inoltre a Cagliari, Iglesias e Mamone". "Se si considera che le strutture sono vecchie e inadeguate - precisa Caligaris - il Dap deve tenerne conto nel momento in cui ritiene di alleggerire la situazione di altre regioni. In molti casi i numeri dei posti letti e delle celle sono teorici: per manutenzioni e ristrutturazioni infatti si riducono".

Empoli: primo carcere per transessuali, pronto ad inizio 2009

di Marco Gasperetti

 

Il Corriere della Sera, 15 novembre 2008

 

Sarà il primo carcere italiano per transessuali e nascerà, probabilmente entro i primi mesi del prossimo anno, nella casa di reclusione femminile a regime attenuato di Empoli, ormai semideserta dopo l’indulto.

Il progetto è già stato presentato al ministero ed ha già ottenuto un primo e significativo ok. Adesso siamo passati alla fase numero due e il provveditorato delle carceri della Toscana ha avviato una serie di "incontri istituzionali" con Regioni ed enti locali. "Perché per avviare al meglio il progetto - spiega Maria Pia Giuffrida, provveditore regionali delle carceri toscane - è necessario un percorso comune tra stato ed enti locali ed avviare progetti appositamente studiati".

I detenuti transessuali fino ad oggi sono custoditi in reparti separati all’interno di carceri. Uno dei più importanti si trova a Sollicciano, a Firenze. "È una soluzione che tutela solo in parte questi soggetti - spiegano però educatori ed esperti - che possono avere problemi a vivere con detenuti uomini oppure donne". Il carcere di Empoli potrebbe ospitare una trentina di detenuti transessuali che potrebbero seguire un percorso di reinserimento personalizzato ed essere seguiti da educatori specializzati. La struttura di Empoli, secondo gli esperti ministeriali, è ottima. L’edificio è poco più grande di mille metri quadrati ed ha ventisei celle spaziose collocate su due piani. Non mancano sala ricreativa, biblioteca, laboratorio dentistico, infermeria, campo di calcetto e pure un ettaro di terra annesso con ulivi e una serra con possibilità di produzioni agricole.

Il progetto per un carcere per soli transessuali sta però suscitando perplessità e polemiche. Contrario si dichiara il vice presidente della giunta regionale toscana, Federico Gelli (Pd). "Capisco le buone intenzioni - dice - ma temo che in questo modo si crei un ghetto. Prima di pronunciarmi definitivamente vorrei studiare il progetto nei dettagli, ma le perplessità sono molte".

Catania: carcere invaso dai topi, protestano detenuti e agenti

 

Il Velino, 15 novembre 2008

 

"Se Salvo Fleres, garante dei detenuti della regione Sicilia, per l’appuntamento di Catania, avesse necessità di qualche ratto, in modo da rendere più verosimile il percorso virtuale che vuole allestire per far vivere a studenti e visitatori l’esperienza del carcere, non deve far altro che chiedere al dottor Tortorella, direttore dell’istituto di Catania".

A dirlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria (Osapp) a proposito della manifestazione "Un detenuto per un minuto" che parte oggi a Enna e toccherà Palermo il 21 e Catania il 27. "Anche i topi abitano le carceri, ma qui sono a migliaia. Questa è una situazione di cui il direttore è a conoscenza, e che anche il provveditore regionale Faramo, sollecitato più volte dalla nostra segreteria regionale, conosce perfettamente. Ci appare alquanto ipocrita quindi sostenere iniziative come queste".

L’Osapp spiega: "Per l’istituto in questione, il Piazza Lanza, era stata rappresentata una elevata presenza di ratti all’interno della struttura già qualche tempo fa. Da giorni continuano a giungere numerose lamentale da parte del personale che presta servizio lì dentro, sia per la continuata e rilevante presenza, oltre che per le ragguardevoli dimensioni. Oggi per esempio qualche ospite non desiderato ha anche partecipato ai colloqui con i detenuti. Le proteste da parte dei familiari dei reclusi presenti non si sono fatte attendere e una signora in avanzato stato gravidanza ha anche accusato un malessere".

Verona: in carcere sempre più emarginati e meno delinquenti

 

La Fraternità, 15 novembre 2008

 

Nel carcere di Verona sono attualmente rinchiuse 784 persone: 727 uomini e 57 donne (i dati si riferiscono alla fine di settembre 2008, ndr). Tra queste, 245 devono scontare una pena pari o inferiore a due anni di reclusione. All’incirca un terzo della popolazione reclusa, potrebbe quindi usufruire di misure alternative alla detenzione.

Spiega il direttore del carcere Salvatore Erminio: "naturalmente le misure alternative vanno date a chi meritevole, e non solo per decongestionare il carcere. Più che altro bisognerebbe pensare a delle pene diverse da quella detentiva. Ad esempio, se come vuole il ministro Carfagna, prostitute e loro clienti potranno essere condannabili dai 5 ai 15 giorni di detenzione, è naturale che si parlerà sempre più di sovraffollamento.

È schizofrenico parlare da un lato di braccialetto elettronico come alternativa al problema del sovraffollamento, e dall’altro creare nuove condizioni che vanno ad alimentarlo. In ogni caso - precisa il direttore - noi non facciamo politica, siamo soltanto dei carcerieri e continueremo a detenere chi la legge stabilisce debba essere detenuto. Finché ci sarà possibile, dato che prevediamo che Montorio toccherà il tetto massimo di tollerabilità entro la fine dell’anno".

La casa circondariale è stata progettata per contenere 564 persone, anche se la capienza tollerabile si aggira sulle 876 unità. Al momento sono oltre 180, tra uomini e donne, i detenuti arrestati con condanne inferiori o pari a due anni. In generale - anche se su questo dato è meno preciso per il continuo turnover di detenuti cui si assiste a Montorio - all’incirca il 30% dei detenuti viene arrestato per periodi brevissimi, senza che poi venga applicata la misura cautelare da parte del giudice.

Una media che si aggira attorno a quella comunicata di recente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, secondo cui "dei circa 90 mila ingressi dalla libertà avvenuti nel 2007 in tutta Italia, ben 29 mila (32%) sono stati seguiti da scarcerazione entro tre giorni. Tutte persone che, avendo commesso reati di lieve entità, potrebbero andare direttamente in udienza dal giudice o tenuti in camera di sicurezza: invece finiscono in carcere attivando una macchina organizzativa enorme e costosa".

Secondo il comandante della polizia penitenziaria di Montorio, Paolo Presti: "quando si parla di certezza della pena, bisogna avere chiaro che la pena è certa se viene applicata immediatamente. Maggiore rapidità nel sistema giudiziario potrebbe senz’altro garantire una maggiore applicazione della legge".

Prosegue il direttore: "io ho a che fare con la realtà carceraria da prima dell’introduzione della legge Gozzini dell’86. Ho visto varie fasi di questa realtà e posso dire che oggi in carcere ci sono sempre più emarginati e meno delinquenti. Il carcere non può diventare la discarica della società. Tutti i detenuti ci chiedono lavoro, ma noi non siamo un’agenzia interinale. Alcuni arrivano in condizioni pessime che si fatica a capire come possano essere dalla parte dei colpevoli e molti quando arrivano non hanno altro di quello che indossano. In qualche caso accade anche che qualcuno, al momento della scarcerazione, chieda di non uscire perché non sa come cavarsela fuori".

"A proposito di questo - racconta il comandante - ricordo di un uomo straniero che aveva chiesto udienza per un lavoro in carcere. Siccome lo conoscevo e sapevo che sarebbe uscito di lì a due mesi, gli chiesi il perché di questa richiesta. La risposta fu che non aveva neanche una lira per quando sarebbe stato fuori".

"Il nostro compito è quello di sostenere i detenuti nelle loro buone intenzioni di recupero, non di assisterli - conclude il direttore della casa circondariale. Il che non fa bene né a loro né alle casse dello stato".

Cagliari: un "reparto detenuti" all’Ospedale Santissima Trinità

 

Agi, 15 novembre 2008

 

"Il repartino per detenuti nell’ospedale Santissima Trinità dell’Asl 8 di Cagliari è stato ultimato. Dovrebbe essere aperto entro l’anno nell’ambito della complessiva sistemazione dell’attuale reparto infettivi che dovrebbe accogliere un settore della psichiatria". Ne dà notizia in una nota la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, preoccupata "per il protrarsi dell’avvio del repartino, che in base alla legge avrebbe dovuto essere realizzato da 15 anni, e per le condizioni di diversi detenuti che necessitano di un ricovero ospedaliero".

Composto da tre celle, appositamente attrezzate per la sicurezza, con dodici posti letto, il reparto - ricorda Caligaris - è in grado di far fronte alle numerose emergenze che prima richiedevano il ricovero dei detenuti in reparti ospedalieri con l’impiego per la sorveglianza, in più turni nelle 24 ore, di agenti della polizia penitenziaria.

Con l’entrata in funzione di quello di Cagliari saranno due i reparti per detenuti in Sardegna, dopo quello aperto a Nuoro. In attuazione di un decreto legge del 14 giugno 1993, devono essere realizzati in ogni città sede di Casa Circondariale e in particolare a Sassari e Oristano.

Enna: "detenuto per un minuto", la cella virtuale è in piazza

 

La Sicilia, 15 novembre 2008

 

Un’esperienza, quella di un "Detenuto per un minuto" anche se era virtuale, traumatica quella che ieri mattina presso la facoltà di Scienze Politiche hanno vissuto autorità, rappresentanti politici, docenti universitari, scolaresche il vertice del Garante, che fa capo al senatore Salvo Fleres.

Erano presenti il senatore Mirello Crisafulli, il deputato regionale del PD, Salvatore Termine ed in una delle aule di Scienze Politiche è stata allestita una cella con struttura prefabbricata per far capire che vivere in quell’ambiente ed in quelle condizioni non significa rispettare la dignità del carcere. Ecco perché il senatore Salvo Fleres ha lanciato questo progetto perché si vogliono promuovere delle iniziative ed attivare strumenti di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani delle persone private della libertà personale, del loro recupero sociale, della umanizzazione della pena detentiva.

"Un carcerato costa allo Stato in un anno centomila euro - ha dichiarato il senatore Salvo Fleres - quindi se vi sono dei progetti che consentano di inserire il detenuto in un progetto lavorativo dipendente o autonomo, nonché il suo recupero culturale e sociale sarebbe sicuramente un grosso successo sociale. La Sicilia, in questo campo, è all’avanguardia rispetto alle altre regioni ed i risultati che si sono ottenuti sono veramente eccellenti".

Per Salvo Fleres, che sta portando questo progetto del "detenuto per un minuto", anche a Palermo il 21 novembre ed a Catania il 28, si vuole arrivare a fare scontare la pena in forma alternativa nel territorio siciliano, intervenendo pure a sostegno della famiglia ed in particolare dei figli minorenni. Alcune classi di scuole superiori del capoluogo, accompagnate dalle insegnanti, hanno visitato questa cella virtuale dove c’era praticamente tutto quello che si trova in una cella vera.

Brescia: detenuti in permesso puliscono l'alveo del fiume Mella

 

Giornale di Brescia, 15 novembre 2008

 

Dal carcere alle rive del Mella. Da giornate tutte uguali scandite dallo scattare delle serrature delle celle, ad un impegno finalizzato al recupero ambientale. È l’esperienza che ha accomunato in un progetto l’Amministrazione di Concesio e le carcerari di Canton Mombello e Verziano.

Per tre giornate un gruppo di detenuti, affiancati dai volontari della Protezione civile (quelli del Comune e il gruppo Sevac), hanno pulito l’alveo del Mella.

"I detenuti che hanno partecipato al progetto hanno tenuto un comportamento molto corretto e collaborativo, sia tra di loro che nei confronti dei volontari e del personale degli Enti che hanno condiviso il progetto - spiega soddisfatta Maria Cristina Saiani, referente dell’iniziativa per Concesio -. L’iniziativa ha consentito ai detenuti di impegnarsi, oltre che nei lavori di pulizia, anche alla preparazione dei pasti consumati durante le giornate di lavoro. Sono contentissima che questo progetto sia stato realizzato e mi auguro che possa avere una continuità. Proprio per questo ringrazio sia i detenuti per la ricchezza ce ci hanno saputo dare in quelle giornate, sia la direttrice del carcere Maria Grazia Bregoli per l’iniziativa proposta".

Vigevano: detenuto morì suicida, 2 agenti condannati a 1 anno

 

La Provincia Pavese, 15 novembre 2008

 

Condannati a un anno per la morte di un detenuto. Giovanni Ardizzone, comandante di reparto del carcere dei Piccolini, e Otello Mosetti, coordinatore della sezione detentiva, erano accusati di omicidio colposo. Il 19 luglio 2002, Giuseppe Savini, 36 anni, si era tolto la vita in cella respirando il gas dal fornelletto. Secondo le accuse, il detenuto non sarebbe morto se i due agenti di polizia penitenziaria avessero fatto osservare le disposizioni contenute nell’ordine di servizio. Savini aveva già tentato il suicidio due mesi prima. Lo avevano salvato gli agenti e, dopo un ricovero, era tornato in cella.

Il direttore del carcere aveva firmato un ordine di servizio, per cui Savini non poteva avere un fornelletto a gas in cella raccomandando inoltre la massima vigilanza. Ardizzone e Mosetti non erano al lavoro quando era stato emesso l’ordine. Ma, sempre secondo le accuse, sarebbero stati comunque responsabili della mancata esecuzione degli ordini. La sentenza del giudice Cesare Bonamartini è giunta ieri al termine di un processo cominciato nel gennaio dello scorso anno.

Nella sua requisitoria, il pubblico ministero Claudio Michelucci aveva distinto le posizioni dei due imputati chiedendo la condanna a un anno per Mosetti e l’assoluzione per Ardizzone, sia pure perché non erano emerse prove sufficienti di responsabilità. Il giudice ha invece condannato entrambi a un anno e all’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Ardizzone e Mosetti continueranno tuttavia a rimanere in servizio perché la condanna è stata accompagnata dalla sospensione condizionale della pena.

"Sono raggelato - afferma l’avvocato Fabio Santopietro, difensore di Ardizzone (Mosetti era assistito dall’avvocato Spiaggi). Non vi era infatti alcuna possibilità che Ardizzone, ma anche Mosetti, potessero essere a conoscenza di un ordine emesso quando non erano in servizio. Quando il detenuto è tornato in cella, dopo il ricovero, era accompagnato solo da un provvedimento sanitario e non da un documento che vietava l’uso del fornello. Va inoltre detto che gli agenti penitenziari sono drammaticamente sotto organico rispetto al numero di detenuti. E aggiungo che, per un fatto identico, accaduto a Ravenna, ho difeso e ottenuto l’assoluzione di un comandante di polizia penitenziaria".

Vigevano: Azouz Marzouk in sciopero fame contro espulsione

 

Adnkronos, 15 novembre 2008

 

Da due settimane Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef, due delle vittime della strage di Erba, sta facendo lo sciopero della fame per protestare contro l’espulsione dall’Italia. Il tunisino è detenuto nel carcere di Vigevano per scontare una condanna a 13 mesi per spaccio di droga. Lo scrive oggi il quotidiano la Provincia. "Azouz - ha spiegato l’avvocato Roberto Tropenscovino - sta scrivendo una lettera, che io leggerò in aula lunedì, nella quale motiverà il suo gesto. Da due settimane in carcere a Vigevano si limita a bere acqua e si nutre solo con pane azzimo: l’ho visto provato fisicamente ma comunque molto determinato".

Volterra: le "Cene Galeotte", il 28 novembre e il 19 dicembre

 

Asca, 15 novembre 2008

 

È ancora possibile partecipare a una delle originali ed emozionanti Cene Galeotte! Sono infatti ancora 2 le date fino alla fine dell’anno in cui è possibile prendere parte alle cene solidali organizzate all’interno del carcere di Volterra, dove 27 carcerati vestiranno i panni di chef e camerieri: venerdì 28 novembre e 19 dicembre. Ogni sera i detenuti saranno aiutati e guidati da uno chef di fama (in allegato i nomi). Le serate sono aperte al pubblico (su prenotazione) al prezzo di 35 euro a testa; il ricavato sarà devoluto alla campagna internazionale Il cuore si scioglie, che si occupa di progetti di solidarietà nel Sud del mondo (in allegato maggiori dettagli). Per ogni approfondimento sul tema (partecipazioni alle cene, interviste, immagini). 349.3235790 s_panzarin@yahoo.com.

Immigrazione: Onu contro la Lega; impossibile bloccare i flussi

 

Apcom, 15 novembre 2008

 

Gli emendamenti presentati dalla Lega al ddl sicurezza del governo in cui viene proposto il blocco dei flussi migratori in Italia appartengono a un linguaggio di scarsa comprensione per i diplomatici delle nazioni Unite. "Come si fa a bloccare i flussi migratori? Si mettono reti metalliche a metà del Mediterraneo per impedire l’arrivo dei barconi?": quasi non crede alle proprie orecchie Roberto Garreton, avvocato cileno, che si trova in Italia su mandato delle Nazioni Unite in quanto rappresentante del gruppo di lavoro Onu sulla detenzione arbitraria. Garreton ha appena concluso due settimane di ricerche e ispezioni nelle carceri italiane insieme ad Aslan Abashidze, professore russo di diritto dell’università di Mosca, altro rappresentante del gruppo di lavoro che si compone in tutto di cinque esperti indipendenti.

"Non ne sapevo nulla - ammette Garreton riferendosi alla proposta della Lega -. Ma la cosa mi preoccupa e vi pregherei, se ci sono altre informazioni, di farcele pervenire. Mi sentirei a disagio se presentassimo un rapporto che non tiene conto di questa proposta", ha detto l’avvocato cileno in occasione della conferenza in cui, insieme ad Abashide, ha presentato i risultati della loro missione in Italia.

E forti dubbi, a proposito del sistema carcerario italiano, li ha sollevati proprio il trattamento degli stranieri illegali in Italia. A richiamare l’attenzione degli esperti Onu sono stati, in particolare, l’arresto obbligatorio e il giudizio per direttissima per gli stranieri che rimangono in Italia nonostante siano oggetto di provvedimento di espulsione e la modifica al Codice Penale in base alla quale la presenza irregolare di un straniero costituisce circostanza aggravante per qualsiasi reato. "Notiamo invece con sollievo che la proposta di punire con il carcere l’ingresso illegale è stata ritirata", ha detto Garreton. Per quanto riguarda i centri di Identificazione ed Espulsione, gli esperti hanno notato che i richiedenti asilo che si trovano in questi centri sono di fatto "in stato di detenzione".

"Zone d’ombra" rimangono anche nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale a proposito degli stranieri irregolari che vengono rispediti in paesi dove rischiano torture o maltrattamenti. "Tali espulsioni vengono eseguite senza una reale sorveglianza giurisdizionale. Pertanto - hanno detto i due rappresentanti Onu - facciamo appello al governo italiano affinché si rivalutino tali pratiche".

Immigrazione: Onu; "forte preoccupazione" per condizioni Cie

 

Apcom, 15 novembre 2008

 

Le condizioni di vita di migranti e richiedenti asilo nei centri di accoglienza e quelle degli stranieri espulsi nei Centri di identificazione hanno destato "forte preoccupazione" nella delegazione degli esperti del gruppo di lavoro Onu sulla detenzione che hanno appena concluso una missione di 12 giorni in Italia. L’avvocato cileno Roberto Garreton e il professore di diritto internazionale dell’università di Mosca Aslan Abashidze, due dei cinque esperti che fanno capo al cosiddetto Wgad hanno incontrato i giornalisti per anticipare loro le conclusioni della visita che presenteranno a Ginevra nella sessione di marzo della commissione Onu dei diritti umani.

Dopo aver visitato carceri, centri di accoglienza ed espulsione dei migranti, istituti penali minorili e un ospedale psichiatrico giudiziario a Roma, Napoli, Catania, Caltanissetta, Cassibile e Milano gli esperti si sono fatti un’idea chiara delle situazioni considerate "inquietanti" e "preoccupanti" della situazione italiana.

Le riserve degli esperti Onu riguardano principalmente l’arresto obbligatorio e il giudizio per direttissima per gli stranieri colpiti da provvedimenti di espulsione che rimangono in Italia; l’aggravante della clandestinità per qualsiasi reato e le espulsioni di "sospetti terroristi" nei paesi d’origine in cui rischiano processi viziati e, in casi estremi, di essere sottoposti a tortura. "Tali espulsioni vengono eseguite senza una reale sorveglianza giurisdizionale", ha sottolineato l’avvocato cileno, "e in alcuni casi stranieri che erano stati processati e assolti dall’imputazione di terrorismo in Italia sono stati in un secondo momento espulsi verso un paese in cui sono stati immediatamente incarcerati".

Droghe: guerra alle "smart drugs", arrestati dieci negozianti

 

Ansa, 15 novembre 2008

 

Dieci responsabili di "smart drugs" arrestati per produzione e detenzione di hashish, marijuana e allucinogeni vari, eseguite oltre 240 perquisizioni e centinaia di migliaia di semi di canapa sequestrati. Questo il bilancio della maxioperazione messa a segno dalla Guardia di Finanza di Ferrara in diverse province italiane. Le indagini, partite con il sequestro, a Ferrara, di un distributore automatico per la vendita di semi e di strumenti per la produzione artigianale della marijuana e dell’hashish, si sono estese sull’intera catena degli oltre 80 smart drugs e dei 19 siti internet specializzati nella vendita degli stessi materiali su 108 città italiane.

Nell’operazione, denominata smart drugs sono stati sequestrati duecentomila semi di canapa, 18.260 attrezzature per la coltivazione della canapa e per la produzione di hashish e marijuana, 25.000 strumenti per l’assunzione di droga, 384 flaconi di allucinogeni, 11.821 supporti video e cartacei contenenti istruzioni per coltivazione delle piante di canapa e produzione di marijuana e hashish. Sessantaquattro titolari di smart drugs e siti internet sono stati indagati per il reato di istigazione al consumo illecito di sostanze stupefacenti, 12 laboratori per la produzione di marijuana e hashish sono stati scoperti e uno era interamente nascosto all’interno di un armadio.

Le province interessate dall’operazione sono state Genova, Savona, Torino, Novara, Milano, Bergamo, Brescia, Varese, Trento, Venezia, Padova, Treviso, Verona, Pordenone, Bologna, Forlì , Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Firenze, Livorno, Lucca, Pesaro, Cagliari, Sassari, Terni, Roma, Pescara, Napoli, Salerno, Bari, Lecce, Taranto, Palermo, Caltanissetta, Catania, Enna, Trapani.

Messico: in "guerra" per narcotraffico, più morti che in Iraq

di Katia Moscano

 

Ansa, 15 novembre 2008

 

Nel 2008, sono stati oltre quattromila i morti per crimini connessi alle droghe, numero che supera i decessi tra le truppe Usa in Iraq da quando la guerra è iniziata nel marzo 2003. Nelle prime due settimane di ottobre, gli atti di violenza in cui sono stati coinvolti soldati, poliziotti e criminali sono stati 387, e solamente il 3 novembre sono state uccise 58 persone. Due poliziotti sono morti in un agguato in cui sono state utilizzate granate e fucili.

In Messico, gli atti di violenza sono giornalieri. La scorsa settimana, il vice ministro degli Interni Juan Camilo Mourino è stato una delle 14 vittime di un incidente aereo. Secondo molti osservatori, l’incidente è stato provocato per colpire i passeggeri, tutti impegnati nella lotta al crimine, incluso il vice ministro per la sicurezza Josè Luis Santiago Vasconcelos, ma per il Governo messicano non ci sono prove. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Milenio, il 56% dei messicani non crede alla versione ufficiale.

Questa settimana, due poliziotti della squadra speciale per aiutare i disabili, e anch’essi disabili, sono stati uccisi sul confine texano. Nella prima settimana di novembre, sono stati uccisi dodici poliziotti. La violenza è aumentata. La scorsa settimana, una banda di criminali è entrata nella prigione di Mazatlan, uccidendo cinque persone.

Secondo la Reuters, droghe ed armi sono comuni nelle prigioni messicane perché la maggioranza dei detenuti è condannata per droga e armi. In risposta alla violenza, la polizia recentemente ha arrestato un pericoloso boss, Jaime "The Hummer" Gonzales, e ha sequestrato sul confine con gli Stati Uniti, il più grande quantitativo di armi mai realizzato: 540 fucili, 165 granate, 500 mila componenti per munizioni, e tritolo. Il dipartimento di Stato americano ha recentemente ammonito i propri cittadini a non recarsi in Messico, o ad essere molto prudenti, per via degli episodi di violenza registrati contro i turisti.

 

 

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