Rassegna stampa 13 novembre

 

Giustizia: 58mila detenuti e il Governo taglia 133 mln di euro!

 

Comunicato stampa, 13 novembre 2008

 

"La mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto ha riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili. Oggi nei penitenziari italiani c’è un numero di detenuti pressoché uguale a quello per il quale, due anni fa, il Parlamento decise di approvare il provvedimento di clemenza. Il perdurare del silenzio della politica su questa grave criticità del Paese ci sconcerta, al di là delle dichiarazioni di intenti che però ancora non si traducono in provvedimenti concreti.

Anzi, è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, un taglio netto da 133 milioni di euro - un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia - ai fondi riservati all’Amministrazione penitenziaria! Governo e Parlamento devono affrontare concretamente questa grave situazione, prevedendo lo stanziamento di fondi ad hoc in Finanziaria per assunzioni di personale di Polizia ed amministrativo, realizzazione di nuove carceri, adeguamento strutture, infrastrutture ed automezzi del Corpo.

Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti, analizzando i dati penitenziari riferiti al 31 ottobre scorso.

I dati indicano che a fronte di una presenza di quasi 58mila persone (delle quali circa 2.600 sono le donne) gli istituti di pena nel nostro Paese potranno ospitare ancora circa 5mila detenuti, "limite tollerabile" rispetto alla capienza regolamentare degli istituti già abbondantemente superata pari a 43mila posti. Dei 58mila detenuti, ben 32mila sono gli imputati e quasi 22 mila gli stranieri (di questi in prevalenza albanesi, algerini, marocchini, tunisini e romeni. Si pensi che alla data del 31 luglio 2006, prima cioè dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti. Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità. E si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila e 500, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori.

"Il confronto tra queste cifre" spiega Capece "dimostra l’occasione persa dalla classe governativa e politica quando, approvato l’indulto, non ha raccolto l’auspicio del Sappe di ripensare, allora, il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Parlammo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna e di incremento degli organici di Polizia Penitenziaria (cui mancano più di 4mila unita rispetto all’organico previsto) cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale.

Il perdurare del silenzio della politica su questa grave criticità del Paese ci sconcerta, al di là delle dichiarazioni di intenti che però ancora non si traducono in provvedimenti concreti. Anzi, è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, un taglio netto da 133 milioni di euro - un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia - ai fondi riservati all’Amministrazione penitenziaria! Governo e Parlamento devono affrontare concretamente questa grave situazione, prevedendo lo stanziamento di fondi ad hoc in Finanziaria per assunzioni di personale di Polizia ed amministrativo, realizzazione di nuove carceri, adeguamento strutture, infrastrutture ed automezzi del Corpo.

Il Sappe, l’Organizzazione sindacale più rappresentativa della Polizia Penitenziaria, auspica che vengano al più presto adottate dal Parlamento delle modifiche del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, anche avvalendosi di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico). Ma soprattutto prevedendo lo stanziamento di fondi ad hoc in Finanziaria per assunzioni di personale di Polizia ed amministrativo, realizzazione di nuove carceri, adeguamento strutture, infrastrutture ed automezzi del Corpo.

 

Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

Giustizia: sul reato di tortura il "rischio bacchettate" dall'Onu

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 13 novembre 2008

 

Termina domani una visita di due settimane organizzata dalle Nazioni Unite in Italia per accertare lo stato dei diritti umani delle persone private della libertà. Il Gruppo di lavoro dell’Onu sulla detenzione arbitraria ha dato il via il 3 novembre a una visita ufficiale nel nostro paese. La visita ha previsto tappe negli istituti carcerari di Roma (in particolare al femminile di Rebibbia e alla sezione dove sono reclusi i detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis, secondo comma, dell’ordinamento penitenziario) e Napoli (sia a Poggioreale sia a Secondigliano, dove oggi sono provvisoriamente detenuti gli ex internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Sant’Eframo chiuso da qualche mese per le cattive condizioni igienico-sanitarie in cui versava).

La delegazione si è anche recata nel carcere di San Vittore a Milano e in Sicilia orientale (precisamente nei centri di identificazione per immigrati e nelle stazioni di polizia e dei carabinieri di Caltanissetta, Cassibile, Pozzallo). Composto da esperti indipendenti, il Gruppo di lavoro è un meccanismo indipendente di controllo che risponde del suo operato al Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani. Obiettivo della visita, come hanno affermato i componenti della delegazione, è stato quello di "dialogare con le autorità italiane, nonché con la società civile e i detenuti stessi" al fine di accertare se vi sono casi specifici di detenzione arbitraria.

Come hanno ammesso i componenti della delegazione dell’Onu, essi hanno interpretato il loro mandato estensivamente, informandosi più in generale delle difficili condizioni di detenzione nelle carceri italiane determinate dal sovraffollamento. In particolare, dopo aver incontrato le associazioni che si occupano di diritti umani, i componenti del gruppo si sono definiti particolarmente sorpresi e preoccupati per l’assenza di un reato specifico di tortura nel codice penale italiano. Proprio su questo tema va ricordato che i senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti hanno presentato un emendamento al disegno di legge sulla sicurezza attualmente in discussione a Palazzo Madama diretto a introdurre il delitto di tortura all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Sono infatti oramai 21 anni che permane questa lacuna nel nostro sistema penale, nonostante l’Italia abbia firmato e ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984. La delegazione era guidata dagli esperti Roberto Garreton (Cile) e Aslan Abashidze (Russia). Recentemente, il Gruppo di lavoro ha compiuto visite in Angola, Colombia, Guinea Equatoriale, Mauritania, Norvegia e Ucraina. Domani renderà pubbliche le sue osservazioni e raccomandazioni al governo italiano. Arriverà l’ennesimo rimprovero internazionale all’Italia? Un rimprovero pare arrivi da un altro organismo internazionale, ossia dalla Corte europea dei diritti umani. Lo scorso 5 novembre, infatti, per la prima volta la Grande Camera della Corte di Strasburgo è intervenuta sul tema discusso della legittimità dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario.

Il caso è quello Enea contro Italia. Salvatore Enea è attualmente detenuto proprio a Secondigliano (Napoli), dove si è recata la delegazione delle Nazioni Unite. Dal 1994 al 2005 è stato ininterrottamente sottoposto al regime duro a seguito di ben 19 decreti ministeriali. Dal 1° marzo 2005 è stato declassificato e assoggettato al regime Eiv (acronimo di Elevato indice di vigilanza). Il ricorrente ha lamentato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani del 1950 che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. La Grande Camera (a cui è stata delegata la decisione per la sua estrema delicatezza) si è chiusa in camera di consiglio. Presieduta dal francese Jean-Paul Costa, renderà pubblica la decisione, che potrebbe essere di condanna, a breve. Del collegio fa parte anche il giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky. Si tratterebbe di una decisione storica i cui contenuti metterebbero fortemente in discussione la decisione politica bipartisan di rendere il regime del 41-bis ancora più duro rispetto a quello oggi in vigore.

Giustizia: Osapp; la camorra non si combatte solo con il 41-bis

 

Il Velino, 13 novembre 2008

 

"L’articolo apparso oggi sulle colonne de "La Stampa" conferma come il fenomeno della Camorra, e della criminalità organizzata in genere, si combatta non solo con una nuova modulazione del regime restrittivo del 41 bis, ma riducendo anche piccole distorsioni apparentemente innocue".

A dirlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) a proposito del servizio che il giornale ha pubblicato oggi sulla situazione penitenziaria di Poggioreale. "Alla Camorra preme mantenere il proprio esercito di piccoli soldati, e alimentarlo in carcere anche attraverso gli strumenti che la legge consente, come quello del cosiddetto "sopravitto".

Attraverso cioè quella possibilità, data a ciascuno, di vivere oltre quelle condizioni minime che il sistema dovrebbe assicurare, e di farlo quindi con fondi extra il più delle volte provenienti dai familiari. Questo per i detenuti ordinari, ma anche per quelli sottoposti a regime restrittivo del 41bis. Spezzare questa catena di piccole grandi elemosine - ha spiegato - pericolose oltretutto, per chi come agente penitenziario è incaricato per giunta di gestire quei fondi (e si parla anche di cifre quasi milionarie), è un via parallela e pur sempre efficace a quella dell’inasprimento del regime per i mafiosi, così come proposto nell’emendamento al decreto sicurezza che sarà discusso dall’aula del Senato la settimana prossima".

"Il giornalista infatti - ha aggiunto Beneduci - qui ha messo in evidenza due cose: che non esiste una distinzione di trattamento per chi sta in cella ed è costretto a scontare la pena; che il sistema penitenziario attuale offre, al criminale che non è sottoposto a quelle ristrettezze, la possibilità di reclutare nuovi adepti proprio attraverso uno strumento innocuo come quello concesso a ciascun condannato. Chiediamo a questo punto al ministro della Giustizia Alfano, sperando che sia sensibile ai temi della criminalità organizzata, e al nuovo presidente della commissione Antimafia, senatore Pisanu, se il carcere, come sola misura contenitiva, sia sufficiente a considerarsi unico modus per combattere questo tipo di fenomeni.

E se non si debba invece operare sul fronte dell’ordinaria gestione del detenuto, e del suo comportamento. Se basti soltanto una legge - ha concluso - a far sì che certe cose non accadano più, con quegli aspetti e quegli effetti che la Camorra prevede, ma che per invece non si debba iniziare ad isolare tutti quei comportamenti che appaiono pericolosi (la cosiddetta differenziazione del detenuto più volte chiesta), provenienti anche da chi pericoloso non è secondo i canoni del 41 bis".

Giustizia: Antigone; Governo vuole riaprire Pianosa e Asinara

 

Redattore Sociale - Dire, 13 novembre 2008

 

Con le nuove norme che inaspriscono il 41-bis, inserite con un emendamento ‘bipartisan’ nel ddl sicurezza all’esame del Senato, "c’è il rischio che vengano riaperte le supercarceri di Pianosa e dell’Asinara" che erano state chiuse nel 1996 sotto il governo Prodi. È l’allarme lanciato dal presidente nazionale di Antigone, Patrizio Gonnella, nel corso di una conferenza stampa dei Radicali a Palazzo Madama sul ddl sicurezza. A destare preoccupazione nell’associazione che si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, è la parte dell’articolo 34 del ddl che inasprisce il 41-bis, che prevede che "i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari o all’interno di sezioni speciali logisticamente separate dal resto dell’istituto" carcerario. Per Gonnella "così si riapre la possibilità di portare i detenuti sulle isole e di riaprire gli istituti di Pianosa e l’Asinara con costi altissimi per l’amministrazione penitenziaria". La radicale Donatella Poretti (eletta la Senato tra le fila del Pd) spiega che le supercarceri di Pianosa e dell’Asinara sono state "chiuse da un governo di centrosinistra" ed ora "con un emendamento che porta anche la firma del Pd si rischia di riaprirle".

Giustizia: nuovi criteri per valutare produttività dei Tribunali

di Marzia Paolucci

 

Italia Oggi, 13 novembre 2008

 

Magistrati e magistrati: per chi lavora troppo poco, ci rimette chi lavora troppo. È la perequazione dei ruoli che fa sì che gli efficienti siano soggetti a criteri discrezionali e gli altri all’assegnazione automatica delle cause come da tabelle, rinvii e reclami che finiscono conteggiati con le sentenze e tripla assegnazione di sentenza, una per ogni magistrato, quando invece il collegio è uno solo. Succede anche questo nell’attuale statistica degli uffici giudiziari e sarà anche per questo che gli efficienti iniziano a spingere per statistiche ad personam.

Ed ecco spiegata l’urgenza di nuovi criteri per la statistica e un’iniezione di risorse umane giovani in forza a un sistema giudiziario con pendenze di oltre 5 milioni di cause civili e oltre 4 al penale. Secondo quanto risulta a Italia Oggi sono allo studio del ministero della giustizia nuovi criteri statistici per la verifica di andamento e rendimento dei singoli uffici, magari collegati al singolo magistrato e non più all’ufficio com’è accaduto finora.

Per migliorare l’organizzazione della macchina giudiziaria sarà migliorato il sistema di rilevazione statistica del ministero che non è soddisfacente. In effetti dalle statistiche semestrali attuali si capisce poco e ancora meno se le si volesse prendere a strumento di verifica del lavoro del magistrato, segno che servono criteri che uniformino il monitoraggio del lavoro e la capacità di smaltimento su tutta Italia. Novità anche sul fronte risorse umane.

Un testo che prevede l’inserimento di praticanti avvocati negli uffici giudiziari è stato presentato in questi giorni all’ufficio legislativo del ministero con l’obiettivo di inserirlo nella ddl 1441-bis in discussione al senato sulla riforma del processo civile. "Ma non si tratta solo del civile perché questi giovani danno una mano anche al penale come già avviene a Milano e a Venezia", dichiara la dottoressa Vincenza Lanteri, giudice del tribunale di Padova, che in un’ottica di collaborazione tra avvocatura e magistratura, ha redatto e consegnato al ministero l’articolo di legge che molti magistrati come lei sperano possa entrare a pieno titolo nella riforma.

La possibilità c’è già nella realtà ed è scritta nella delibera del Csm del 19 luglio 2007: una delibera che esprime una facoltà con ancora poco seguito tra gli uffici. Il testo "consente al primo presidente della Corte di cassazione, presidenti delle Corti di appello, presidenti dei tribunali, procuratore generale di Cassazione, procuratori generali presso le corti di appello e procuratori della repubblica presso i tribunali, di stipulare convenzioni con il Cnf a livello nazionale e ordini e scuole di specializzazione forense a livello locale per affiancare ai singoli magistrati degli uffici giudicanti e requirenti i praticanti nell’espletamento di specifici compiti".

Se infatti, è vietato al praticante anche solo ascoltare quel che si dice in camera di consiglio, ci sono invece molte altre occasioni in cui il loro intervento è utile e il testo lo dice chiaramente: "Ricerche giurisprudenziali, preparazione e redazione delle minute di provvedimenti giudiziari e cura delle banche dati e dell’informatizzazione". Unica condizione richiesta: l’aver svolto almeno sei mesi di pratica presso gli studi legali e dedicarsi esclusivamente a questa attività per il tempo restante della pratica forense con la possibilità per il tirocinante di ottenere una borsa di studio o un rimborso spese.

Quella appena conclusa a Milano la racconta a Italia Oggi il presidente della Corte d’appello Giuseppe Grechi: "Un’esperienza positiva sia per le reazioni dei ragazzi che da parte dei giudici aiutati nella loro attività, un esperimento che speriamo di poter ripetere. I 50 praticanti inseriti negli uffici della Corte, più al civile che al penale, si sono occupati di attività di ricerca e stesura della motivazione: più utili del tirocinio che possono fare presso gli avvocati, senza perdite di tempo e con il solo obiettivo dell’attività di studio. Peccato però non dare loro un rimborso spese.

Giustizia: la Cassazione dice no al "diritto di essere felici"…

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 13 novembre 2008

 

La Cassazione abbatte i risarcimenti civili facendo tirare un grosso respiro di sollievo alle assicurazioni, le più preoccupate di dover pagare tanti tipi di danno. Infatti quello esistenziale non esiste come figura autonoma e quindi tutte le voci di danno morale, alla vita familiare, alla sessualità e in genere ai diritti costituzionalmente garantiti, rientreranno in quello non patrimoniale.

A questo punto, quindi, stop anche a tutti i "fantasiosi" risarcimenti accordati dai giudici di pace a chi si sente stressato, per esempio, per il black out elettrico che gli ha impedito di vedere la partita o alla sposa che ha perso un tacco. Sono parolone quelle scritte dalle sezioni unite civili della Cassazione nella sentenza n. 26972 (e in altre tre dello stesso giorno, la n. 26973, n. 26974 e n. 26975) dell’11 novembre, con la quale è stata spazzata via per sempre una categoria di danno creata all’inizio degli anni 90 dalla dottrina con lo scopo di far risarcire tutti i patimenti legati alla vita di relazione oltre a quelli strettamente morali.

Resta fermo, tuttavia, che per i diritti costituzionalmente garantiti non sarà necessario, per ottenere il ristoro, essere stati vittima di un reato oltreché di un illecito. E poi ancora. Un altro importante approdo giurisprudenziale raggiunto dal Collegio esteso nelle 59 pagine di motivazioni, è quello per cui il danno non patrimoniale va risarcito anche nell’ambito della responsabilità contrattuale. Quindi, il braccio di ferro andato avanti per 18 anni fra dottrina e giurisprudenza si chiude con un preciso principio di diritto: "Il danno non patrimoniale", si legge a pagina 38, "è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione".

È ovvio che, d’ora in poi, i risarcimenti saranno più contenuti. Un conto è risarcire voci di danno autonome e un conto è farle rientrare in un’unica categoria. E, come se questo non bastasse, non verranno più pagati neppure tutti i danni minori, quelli da stress, liquidati in questi ultimi anni dai giudici di pace. Il rovescio della medaglia è che, nonostante questa decisione di segno restrittivo, saranno ancora risarcibili i danni, non proprio morali, ma che in qualche modo cambiano pesantemente la vita delle persone compromettendo diritti primari, garantiti dalla Carta fondamentale. Fra questi c’è senz’altro il diritto alla famiglia, alla vita sessuale.

In altri termini, la Cassazione dice no "al diritto di essere felici", che, scrive, è "del tutto immaginario" ma trova una collocazione, forse parte della dottrina la considererà un una soluzione di serie B, ai diritti importanti. Ecco perché, insistono i giudici, diventano palesemente "non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela giustizia di prossimità".

Giustizia: il tribunale di Nicosia funziona, con pochi magistrati

di Giuseppe Sepe (Giudice del Tribunale di Nicosia)

 

www.radiocarcere.com, 13 novembre 2008

 

Tra i piccoli uffici giudiziari italiani figura il Tribunale di Nicosia, cittadina al centro della Sicilia. È un ufficio composto da soli sette giudici e un presidente. Di fatto sotto organico, come molte sedi periferiche, è tradizionalmente occupato da magistrati di prima nomina provenienti spesso da diverse realtà geografiche.

Date le ridotte dimensioni, a Nicosia non è attuabile alcuna specializzazione delle funzioni e i giudici, pur svolgendo il proprio ruolo prevalentemente in un determinato settore, si occupano sia della materia civile che di quella penale. Questo, sebbene favorisca una formazione interdisciplinare dei magistrati più giovani, non agevola però la fase decisionale che si presenta, com’è facile intuire, più laboriosa data la necessità di approfondire questioni sempre nuove. Del resto il limitato numero di magistrati non si concilia bene neppure con il sistema di incompatibilità previsto dal codice di procedura penale che, spesso, rende complicata persino la formazione del collegio penale.

Eppure, a dispetto di tali premesse, a Nicosia la produttività media di ciascun magistrato non è bassa come si potrebbe pensare. Nel settore penale, ad esempio, il giudice monocratico negli ultimi anni ha esaurito oltre duecento procedimenti l’anno. Un dato in linea con uffici di maggiori dimensioni, e con un numero di prescrizioni dichiarate nel dibattimento assai ridotto, pari a poche unità.

A volte, grazie anche alla collaborazione della Procura della Repubblica e del foro, sono state possibili esperienze virtuose, come, a titolo di esempio, quella relativa alla celebrazione di un processo collegiale per un grave reato di violenza sessuale di gruppo. Processo definito con sentenza in soli ventotto giorni dalla prima udienza, evitando, anche mediante udienze protrattesi sino a sera, la rinnovazione degli atti istruttori che sarebbe stata imposta dall’imminente trasferimento ad altra sede di uno dei componenti del collegio. Ed ancora: un processo con circa cento imputati, qui per reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ha impegnato il collegio per circa sette mesi, tempo forse inferiore a quello che un tale processo avrebbe richiesto altrove.

Tra le molte difficoltà connesse alla vita lavorativa a Nicosia vi è poi quella legata alla impossibilità di spostarsi con facilità, essendo il Tribunale isolato dalle principali città siciliane per mancanza di moderne vie di comunicazione. Infatti per raggiungere Enna, il capoluogo di provincia, oppure Catania o Caltanissetta sede di corte d’appello, è necessario percorrere una strada provinciale con un tracciato impervio per buoni tre quarti d’ora, sino a raggiungere l’autostrada che collega Palermo a Catania e percorrere l’ulteriore tratto.

Così, il gruppo di giudici, ognuno dei quali dispone di una propria stanza dove lavorare, bene attrezzata, non di rado si trattiene in ufficio, dopo le udienze per la stesura dei provvedimenti, fino a sera tanto è vero che le camere di consiglio, nel civile, vengono tenute, spesso, tra le 19.00 e le 20.00, orario in cui normalmente non ci si aspetterebbe di trovare qualcuno in Tribunale.

Queste difficoltà logistiche, peraltro, renderebbero assai difficile un eventuale accorpamento di quest’ufficio con altri più grandi, onde ricavare opportune economie di scala, dovendosi tenere conto del grave disagio che si creerebbe alla comunità del circondario con la soppressione del tribunale.

Un cenno fa poi fatto alla situazione della Procura, con il 75% dell’organico attualmente scoperto: l’unico Sostituto presente deve assicurare, infatti, una costante reperibilità per il disbrigo degli affari urgenti e per le udienze. Senza opportuni correttivi al divieto, di recente introduzione, di destinazione dei magistrati di nuova nomina alle funzioni requirenti, è prevedibile che, al prossimo trasferimento, la Procura di Nicosia rimarrà del tutto scoperta.

Giustizia: Pd; concorsi educatori carcerari, Governo risponda

 

Ansa, 13 novembre 2008

 

"Le carceri hanno bisogno degli educatori affinché la pena sia effettivamente rieducativa" - lo ha ricordato oggi la Senatrice del Pd Emanuela Baio intervenendo nell’Aula del Senato. "È inammissibile che servano cinque anni per espletare un concorso, quando mancano più di 800 educatori." La senatrice del Pd ha chiesto al Presidente del Senato Renato Schifani di sollecitare il Ministro Alfano affinché risponda quanto prima all’interrogazione presentata con il collega Carofiglio. "Il Presidente si è impegnato a trasmettere questa richiesta al Governo e mi ha pregata di portare il suo sostegno e il suo saluto agli educatori che oggi manifestano prima alla Camera e poi al Senato. È un segnale importante - conclude Baio- al quale si spera giungano fatti. Mi impegno nelle prossime settimane a fare nuovi solleciti, qualora il ministro non venisse in aula per affrontare l’argomento".

Giustizia: Anci; in 6 mesi 315 ordinanze sulla sicurezza urbana

 

Redattore Sociale - Dire, 13 novembre 2008

 

Sono 315 le Ordinanze sulla sicurezza urbana raccolte in 152 diversi comuni, registrate nel primo monitoraggio semestrale. La maggior parte emesse al nord e nord-est. Il 64% riguarda città di medie dimensioni.

Divieto di bivaccare e di imbrattare i muri, misure anti lavavetri, ambulanti e parcheggiatori abusivi, ingiunzione di non dare cibo ai cani randagi. C’è di tutto tra le 315 ordinanze dei sindaci in materia sicurezza urbana raccolte nella banca dati realizzata dall’Anci in 152 diversi comuni italiani, anche se i divieti più ricorrenti riguardano la vendita di bevande alcoliche (13,8%), la prostituzione su strada (11,7%) e l’abbandono dei rifiuti ingombranti (10,7%). Questi alcuni dei risultati principali del primo monitoraggio semestrale condotto dall’Anci sulle ordinanze emanate dai sindaci italiani. E anche se il totale potrebbe superare le 315 raccolte dall’Anci, per il sindaco di Padova Flavio Zanonato, "tende a essere comunque un campione esaustivo".

La maggior parte delle ordinanze presenti nella banca dati sono state emesse nei comuni del Nord e del Nord Est (rispettivamente per il 36% e il 33% del totale). Per il resto il 15% delle ordinanze sono state emesse nel Centro e il 16% nel Sud, isole comprese. A darsi maggiormente da fare non sono state le grandi città, bensì i comuni di medie dimensioni. Infatti, il 64% delle ordinanze riguarda comuni con una popolazione compresa tra i 15 mila e i 50 mila abitanti (esattamente il 33,6%) e tra i 50.001 e i 100 mila residenti (30,4%). I Comuni con oltre 100mila residenti, invece, hanno emanato soltanto il 20% del totale delle ordinanze.

Altre informazioni raccolte riguardano i destinatari delle ordinanze, che nel 61% dei casi sono rivolte all’intera collettività, nel 16% dei casi interessano esclusivamente esercenti di attività commerciali, associazioni, centri ricreativi e culturali e per il restante 21% colpiscono privati, enti o società proprietarie di immobili. Inoltre, poco meno delle metà delle ordinanze raccolte dalla banca dati dell’Anci sono finalizzate a contrastare situazioni che si verificano sull’intero territorio comunale (49%), mentre le altre interessano specifiche aree del comune come vie, quartieri e piazze (29%) o specifiche aree del territorio, quali ad esempio parchi e scuole (22%). Infine, poco meno di tre ordinanze su quattro trova applicazione tutti i giorni senza una specifica previsione oraria (72%), il 16% si applica su una specifica fascia oraria e il 12% in particolari giornate, soprattutto in occasione di ricorrenze e festività.

Giustizia: il dl sui rifiuti va all’esame della Corte Costituzionale

 

Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2008

 

Nel giorno in cui sono state emesse le prime condanne con rito direttissimo per alcuni degli arresti operati nei giorni scorsi in Campania, per abbandono dei rifiuti in strada, e mentre la magistratura solleva il primo quesito di costituzionalità sul di 172/08 rifiuti, con l’ordinanza firmata ieri dal giudice monocratico di Torre Annunziata, il Governo prende in considerazione modifiche al provvedimento purché non si tocchino le sanzioni penali.

Nella rincorsa per convertire il decreto prima del 5 gennaio - le vacanze natalizie non aiutano - l’esecutivo dovrà tener conto anche dei dubbi di conformità costituzionale sollevati dalla procura campana, formalizzati dal giudice Claudio Marcopido. "Di fatto - spiega il procuratore della Repubblica, Diego Marno - viene introdotta una disparità di trattamento sanzionatorio tra i cittadini campani e tutti gli altri italiani: un episodio punito con il carcere a Castel Volturno non è più tale pochi chilometri più a nord, nel Lazio: eppure ha la stessa offensività". Nell’ordinanza, il giudice ritiene che "seppure in astratto non inconciliabile con i principi della possibilità di emanare, anche in ambito penale, leggi eccezionali o temporanee, occorre osservare che ben può sussistere, in virtù della contemporanea limitazione territoriale della sanzione penale, la violazione del principio di ragionevolezza della norma". Secondo il giudice c’è poi contrasto fra l’articolo 6 del decreto e il 25 della Costituzione circa la "assoluta riserva di legge primaria quale fonte di sanzione penale".

Quanto ai requisiti di necessità e urgenza, il tribunale ravvisa che nella stessa premessa il governo, che giustifica il decreto con la "straordinaria necessità ed urgenza" scrive poi di voler così consolidare i risultati positivi già ottenuti "facendo ritenere - sostiene il giudice - che la fase acuta dell’emergenza sarebbe da considerarsi già superata al momento dell’entrata in vigore della norma".

Il Governo, comunque, fa sapere attraverso il sottosegretario Guido Bertolaso di non voler mettere mano alle sanzioni. Gli altri punti intoccabili, secondo il capo della Protezione civile, riguardano la possibilità di commissariare gli enti territoriali campani (i Comuni in prima fila) che hanno dimostrato incapacità o inefficienza nella raccolta dei rifiuti urbani. Altra norma immodificabile, a parere di Bertolaso, riguarda l’articolo 2 con il quale si dettano disposizioni volte a fronteggiare la tendenza ad abbandonare rifiuti solidi ingombranti in luoghi non autorizzati. Per il sottosegretario tale fenomeno va contrastato individuando stoccaggi provvisori adibiti alla prima selezione e caratterizzando i rifiuti prima del relativo smaltimento.

Nel dibattito iniziato in Commissione Ambiente alla Camera spuntano i primi segnali dell’opposizione, che mira a precisare i territori sottoposti a sanzioni e a escludere gli incentivi ai termovalorizzatori. Ma non prima di martedì 18 novembre si conosceranno le modifiche al testo, quando cade il termine per la presentazione degli emendamenti. E, intanto sorgono preoccupazioni per il varo definitivo del decreto-legge entro il 5 gennaio considerato che, nel frattempo, ci sono le festività natalizie. Sicché se non si consentirà ai senatori di concordare con i deputati le eventuali modifiche, il Governo sarà costretto a "blindare" il testo.

Lettere: la Fp - Cgil ha scritto al Ministro della Giustizia Alfano

 

Ristretti Orizzonti, 13 novembre 2008

 

Egr. Ministro, L’indomani la Sua nomina abbiamo accolto favorevolmente la convocazione sindacale che ha fissato il 24 giugno u.s. realizzando, forse con troppa immediatezza, che l’oggetto della discussione sarebbe stato esteso anche alle OO.SS. rappresentanti il personale afferente il Comparto Ministeri. Così non è stato, in quanto l’incontro ha visto al tavolo le OO.SS. rappresentative del personale del Corpo della Polizia Penitenziaria e, la settimana scorsa, quelle rappresentanti la Dirigenza penitenziaria. A tutt’oggi questa mancanza "razionale" non è stata rettificata.

L’incontro, sig. Ministro, oltre il valore etico, Le avrebbe rappresentato in tutta la sua globalità ed interezza la drammatica situazione in cui versa il sistema penitenziario, a ridosso del collasso, dedotto sia dalle condizioni detentive vicino all’implosione in ragione del sovraffollamento degli istituti di pena (siamo ritornati, più o meno, alla situazione del pre-indulto), sia dalle difficili condizioni operative nell’ambito dell’esecuzione penale interna ed esterna per le carenti risorse economiche e di personale.

È evidente una situazione critica, dove il disagio trova il suo significato nell’operare quotidiano verso il quale occorrerebbe prestare una attenzione seria e pragmatica, in virtù di una pericolosa idiosincrasia nei confronti della popolazione detenuta, da una parte di addetti ai lavori oltre di una fetta del mondo politico sociale.

Come sopra accennato emerge dalla disamina dei dati oggettivi una perniciosa carenza dell’organico del personale Comparto Ministeri, in difetto di circa 2000 unità, così come si può evincere dal seguente schema: 715 educatori presenti a fronte dei 1.376 previsti; 942 contabili presenti a fronte dei 1.243 previsti; 1.154 assistenti sociali a fronte dei 1.630 previsti; 1.945 collaboratori amministrativi a fronte dei 2.365 previsti.

La matematica, Sig. Ministro, non è una opinione e Lei ne è consapevole. I numeri sono questi e da questi numeri reali riteniamo necessario avviare una discussione che apra un confronto nel merito, e si renderà conto che la situazione attuale rasenta una pesante drammaticità che diverrà intollerabile con il previsto taglio del 10% delle dotazioni organiche.

È intollerabile, altresì, che le risorse economiche siano talmente insufficienti da rendere sempre più difficile garantire ai lavoratori diritti derivanti da prestazioni lavorative effettuate oltre l’orario di lavoro e/o da compiti attinenti la specificità professionale, come la retribuzione del lavoro straordinario ed il rimborso delle spese di viaggio derivanti dal servizio di missione che alcune professionalità esplicano in una o più sedi per far fronte alla sopra indicata carenza di organico.

Ma non è tutto. In tale ottica si colloca, altresì, il grido di allarme degli Uffici dell’esecuzione penale esterna dove la mancanza di risorse economiche rischia di bloccare l’attività operativa degli assistenti sociali che si esplica essenzialmente sul territorio inficiandone il mandato istituzionale.

E le prospettive, come vede, non sono certamente ottimistiche.

Infatti, nel settore penitenziario risulta assolutamente devastante l’effetto del Dl 112/2008 convertito nella legge 133/08 che, oltre ad offendere la professionalità e la dignità dei lavoratori, prevede solo per il Dap un taglio netto di circa 133 milioni di euro per il solo 2009, la fetta più alta di riduzione delle risorse imposta dalla manovra finanziaria all’intera amministrazione della Giustizia. Taglio, Sig. Ministro che mette a serio rischio l’intero sistema penitenziario in tutte le sue componenti, nonché l’attuazione di quelle iniziative contrattuali mirate a valorizzare tutte le professionalità ad esso afferenti, mortificate dalle scarse prospettive di crescita e dal mancato riconoscimento del servizio che offrono al paese nel garantire una esecuzione delle pene conforme al dettato costituzionale, un servizio per il quale avremmo auspicato maggior interesse e più impegno da parte delle istituzioni. Queste, Sig. Ministro, alcune delle ragioni per le quali avremmo voluto incontrarla. La Fp-Cgil nel manifestarle la propria disponibilità al confronto, resta in attesa di riscontro e le porge distinti saluti.

 

Fp-Cgil Penitenziari - Ministeri

La coordinatrice nazionale, Lina Lamonica

Lazio: 20enne algerino, il sedicesimo detenuto morto in 2008

 

Il Velino, 13 novembre 2008

 

"È stato trovato privo di vita dai compagni, nel letto della sua cella nella settima sezione del carcere romano di Regina Coeli, dove era arrivato solo dodici ore prima. Sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso di Zakaria Brevi, algerino di 20 anni, sedicesima vittima nelle carceri del Lazio in questo 2008". Lo rende noto un comunicato dell’ufficio del Garante dei detenuti.

"La notizia del suo decesso - prosegue - è stata diffusa dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, cui era stato segnalato dalla direzione del carcere. Secondo quanto appreso dal Garante, l’algerino è stato arrestato intorno alle 4 di martedì mattina per furto aggravato. Subito trasferito a Regina Coeli è morto solo poche ore dopo.

Chi ha avuto modo di vederlo in questo lasso di tempo lo ha descritto come confuso, disorientato, in stato soporoso, forse a causa delle multidipendenze (non solo droga ma anche alcool) da cui era affetto. Visitato da uno psichiatra e successivamente preso in carico dal Sert, che gli ha somministrato del metadone, Zakaria - aggiunge l’ufficio del Garante dei detenuti - ha mangiato qualcosa intorno alle 17, poi alle 18 non ha risposto alla conta degli agenti di Polizia penitenziaria. È stato trovato poco dopo morto nel suo letto. Sul suo corpo il medico legale non ha trovato tracce di violenza, solo i segni di tante punture".

"Zakaria - spiega l’ufficio del Garante dei detenuti - è il sedicesimo morto accertato (15 detenuti e un agente di Polizia Penitenziaria) nelle carceri del Lazio dall’inizio del 2008 contro gli 11 del 2007 e i dieci del 2006. Quelli deceduti quest’anno sono tutti uomini: sei sono i suicidi (compreso l’agente di Polizia penitenziaria), quattro i decessi per malattia, sei quelli da accertare o non accertati. I decessi sono avvenuti a Regina Coeli (cinque), Rebibbia(cinque), Viterbo (tre), Velletri e Frosinone. Oltre a commentare con preoccupazione questo dato - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - io credo che nel caso di Zakaria ci sono delle circostanze da approfondire. Mi chiedo se, per un ragazzo che arriva in carcere nelle condizioni pietose che mi sono state descritte, sia stato fatto tutto il possibile dal punto di vista medico fin dal momento del suo arrivo. Spero si faccia celermente luce su questo aspetto, anche per scacciare la sgradevole immagine di un detenuto morto, in una cella, in compagnia dei suoi fantasmi".

Lazio: Pd; contro il sovraffollamento, intervenga il Governo

 

Apcom, 13 novembre 2008

 

"Il governo intervenga urgentemente sulla emergenza delle carceri italiane che sono super affollate e con personale sottodimensionato". Lo chiedono i deputati Marilena Samperi e Guido Melis, esponenti del Pd in commissione Giustizia. "Questa mattina abbiamo visitato Regina Coeli dove martedì è deceduto un detenuto algerino di 20 anni - proseguono i deputati democratici - ed è stata l’occasione per raccogliere elementi importanti sulla elevata mortalità determinatasi negli ultimi mesi nelle carceri romane e laziali".

"Solo nel carcere romano - si legge in una nota - da gennaio sono morti 5 detenuti. Dalla visita è emerso anche lo stato di super affollamento del carcere Regina Coeli il quale, a fronte di una capienza di 650 persone, ne ospita 950 per di più ristretti in sei sezioni per la impraticabilità di due delle otto previste. Il personale di custodia risulta inferiore all’organico di 189 unità".

"Durante la visita - proseguono i due deputati - abbiamo avuto un incontro con il commissario capo Menichini il quale ci ha informati che il giovane aveva assunto droghe e che le cause della morte sembrano naturali anche se si attende la perizia medica. La situazione di Regina Coeli si collega alla drammatica situazione delle carceri in Italia. Solo nel Lazio da gennaio si sono registrati 15 decessi. Questi dati allarmanti - concludono i due esponenti dell’opposizione - pongono seri interrogativi sulla idoneità delle strutture attuali ad accogliere persone portatrici di patologie e disagi molto spesso legati alla tossicodipendenza. In questo senso il Pd ha chiesto al governo specifiche misure senza trovare adeguate risposte".

Pesaro: muore detenuta di 40 anni, probabili "cause naturali"

 

Il Messaggero, 13 novembre 2008

 

È deceduta accanto alla compagna con cui divideva la cella. La scorsa notte nella Casa Circondariale di Villa Fastiggi è morta una detenuta italiana di 40 anni. Era dentro per motivi di spaccio di sostanze stupefacenti. Martedì notte il malore improvviso, l’allarme dato agli agenti di polizia penitenziaria di turno e la disperata corsa dell’ambulanza fino all’istituto penitenziario.

Ogni tentativo di soccorso però è stato vano, così i sanitari del 118 non hanno potuto che constatarne il decesso. Le indagini ora sono state affidate al pubblico ministero della Procura di Pesaro, Valeria Cigliola, che ha immediatamente disposto l’autopsia, come da prassi. Secondo le prime ricostruzioni sembra che la morte della detenuta sia dovuta a cause naturali, probabile arresto cardiocircolatorio. Ma, e questo potrebbe aver insospettito il pm, alla direzione del carcere non risulta che la donna avesse mai sofferto di particolari problemi di cuore.

Roma: sit-in di educatori penitenziari, in attesa di assunzione

 

Ansa, 13 novembre 2008

 

Il Comitato "I nuovi educatori penitenziari" ha organizzato sit-in di protesta a piazza Montecitorio e davanti al Senato per denunciare lo status di precarietà lavorativa di 397 vincitori e 500 idonei che hanno partecipato al concorso indetto dal ministero della Giustizia per educatori penitenziari durato ben 5 anni, dal 2003 al 2008.

In una nota del comitato si legge che gli educatori penitenziari chiedono "a gran voce unicamente di trovarsi dietro le sbarre per poter essere liberi di esercitare il loro prezioso lavoro all’interno delle carceri italiane".

Allo stato attuale sia i vincitori che gli idonei al concorso sanno che potranno essere inseriti a ruolo a scaglioni non prima del 2010, in quanto i fondi per le assunzioni sono rimasti quelli stanziati dal precedente governo e sono da suddividere con altri profili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in un periodo, tra l’altro, di forte carenza di educatori penitenziari.

Il Comitato, in una nota del presidente Lina Marra, sostiene: "La presenza nelle casse statali dei fondi per assumerli tutti in blocco già nel 2009. Infatti, secondo il calcolo della Corte dei Conti il saldo contabile della cassa ammende al 30 aprile scorso è di oltre 139 milioni di euro, quanto necessario per regolarizzare la personale vincitore e idoneo".

Il comitato conclude che la protesta servirà anche a far conoscere la figura dell’educatore penitenziario e il suo ruolo fondamentale negli istituti penitenziari. Il fine è sensibilizzare governo e opinione pubblica su un problema, sottolinea Marra, che "riguarda tutti in quanto l’immissione in servizio dei nuovi educatori permetterà di mettere in atto una politica penitenziaria in maggiore coerenza con il disposto costituzionale".

Napoli: la camorra e la "mesata" per i detenuti di Poggioreale

 

La Stampa, 13 novembre 2008

 

Boss, mezzo-boss o soldato, il messaggio della Camorra non cambia: se stai carcerato non ti deve mancare nulla. Lo Stato fissa in 520 euro al mese il massimo dei soldi che un detenuto può ricevere da fuori per il cosiddetto sopravvitto? Non c’è problema. Per chi è al "41 bis", il carcere duro per i capi, la "mesata" non sgarra di un centesimo. Stessa musica per chi è rinchiuso nel circuito dell’alta sicurezza e fin qui, se vogliamo, nulla di strano.

Ma la vera potenza della Camorra si vede da un altro dato, scovato spulciando la contabilità interna di Poggioreale. Qui, anche l’ultimo dei soldati mischiato ai detenuti comuni riceve almeno 312 euro al mese. Per forza di cose è una media di Trilussa, ma serve a fare i paragoni con i penitenziari dove la Camorra è poco presente: perché quei 312 euro sono il quintuplo di quanto arriva a un detenuto di Bergamo, Como o Monza e il triplo della media registrata a San Vittore. Insomma, è il segno che alle spalle di chi è rinchiuso a Napoli c’è un’organizzazione che ammazza, ma ha un suo senso del welfare. E se ci si sposta a Secondigliano le proporzioni non cambiano: ogni giorno di colloqui, entrano mediamente 75 euro a testa, contro i 15 di un carcere veneto.

L’altra faccia di Gomorra, quella che assiste i suoi figli privati della libertà, è proprio questa. Fatta di soldi per le sigarette, la carne buona, il sugo da cucinare come si deve e le bombolette di gas per i fornelli. È una faccia da buon samaritano che affiora dal documento contabile redatto ogni mese da un agente penitenziario che guadagna 1.400 euro al mese, senza indennità di cassa, e deve maneggiare con precisione oltre 900 mila euro. Nel prospetto di settembre, ad esempio, l’ufficio conti correnti di Poggioreale registra alla voce "fondi disponibili" 981.843 euro e 85 centesimi, mentre alla voce "uscite" riporta 623.566 euro e 77 centesimi. Se si tolgono i circa 300 tossicodipendenti (che di soldi in più non ne vedono proprio) e si dividono quei 623 mila euro tra i duemila detenuti comuni, si ottiene una media di 312 euro a testa di spesa.

A questo punto, chiunque non sia mai entrato a Poggioreale si fa un’altra domanda: ma questi 2000 detenuti sono tutti camorristi? Ecco, il punto nodale è questo: formalmente magari non lo sono (spesso sono tenuti lì per reati comuni, in attesa che un pentito li incastri), ma anche chi è dentro per aver investito un passante rischia di essere ben presto arruolato. Ed è proprio il meccanismo della "spesuccia" a tradire il sistema. Quando si entra a Poggioreale, la miglior fortuna che possa capitare è quella di finire nella cella di un camorrista. Anche se il nuovo entrato non riceve un euro dai colloqui, il capo-cella pensa al suo vitto: raccoglie i soldi da tutti gli occupanti, fa l’ordinazione e riceve la spesa dal mercatino interno (spesa che qui, curiosamente, viene consegnata alla "stanza" e non al singolo).

Per dare un’idea dei consumi, ogni mese si spendono 200 mila euro in sigarette e il resto va in prodotti alimentari o per l’igiene personale. Spesso quel "nuovo entrante" è uno che ha fatto una rapinetta da "sminchiato", come si dice in gergo, ovvero un’impresa da dilettante. In cella viene però accolto come un fratello. Se è povero gli si regalano cibo e sigarette, e anch’egli inizierà fin da subito a rimandare indietro il vitto dell’Amministrazione penitenziaria. Del resto, per chi fa parte della Camorra, snobbare il simbolo di quei 400 euro al giorno che lo Stato spende per ogni detenuto è una pubblicità magnifica. Se poi il "nuovo entrante " accetta di sdebitarsi con la stanza, magari facendo uscire un pizzino o accollandosi qualche reatuccio altrui, come per magia comincerà a ricevere pure lui parecchi soldi dai familiari. Alla fine il risultato è quello che si ricava dalle cifre pazzesche scritte in fondo alla contabilità mensile di Poggioreale.

I soldi vengono da fuori, già. E da dove arrivino è tutta un’altra storia. Basta sostare un po’ sul marciapiede davanti al carcere all’alba di un qualunque giovedì per vedere la fila di mogli, fidanzate e parenti vari in attesa di entrare. Prima d’incontrare i loro cari, passeranno all’Ufficio conti correnti per versare il loro obolo, dopo aver fatto una nuova lunghissima coda. In realtà, ci sarebbe un altro sistema molto più efficiente per trasmettere quei soldi a gente che è tutta ammessa al gratuito patrocinio perché "indigente" (boss a parte, noblesse obblige): andare alla posta e fare un bel vaglia. Funziona così in gran parte d’Italia, ma qui non più.

Perché in certi uffici postali del napoletano ci andavano ogni tanto anche i poliziotti per capire chi manda realmente tutti quei soldi a Poggioreale. È bastata qualche domanda di troppo e ora "la paghetta" della camorra viene affidata direttamente alle famiglie. Se vogliamo, dal punto di vista della gestione delle risorse umane, è anche un sistema più amichevole.

Empoli: sul futuro dell’Icatt, incontro Sindaco - Provveditore 

 

Comunicato stampa, 13 novembre 2008

 

Ieri mattina il Sindaco di Empoli Luciana Cappelli ha incontrato in Comune il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Pia Giuffrida. Un incontro incentrato sul futuro della casa di custodia attenuata di Empoli, che attualmente ospita soltanto tre detenute.

"A seguito delle sollecitazioni nostre e della Regione, quando ponemmo il problema di una struttura sottoutilizzata - ha detto Luciana Cappelli - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si era impegnato ad effettuare un "interpello" nazionale per individuare donne che avessero i requisiti per l’accesso alla struttura empolese, ma come era prevedibile i numeri sono ancora troppo bassi per consentire al carcere di mantenere la destinazione attuale. Il provveditore - ha proseguito il Sindaco - ha confermato che il Dipartimento sta pensando a nuove ipotesi, sulle quali comunque abbiamo chiesto di discutere il prossimo 25 novembre al tavolo convocato dalla Regione Toscana".

 

È svanito il sogno di un carcere al femminile (Il Tirreno)

 

La Casa Circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli non sarà più un progetto per attenuare la detenzione delle donne, che sono anche madri di bambini ancora costretti a vivere in regime detentivo, nonostante ci sia una legge non applicata. Non ci saranno più donne tossiche, non tossiche, straniere, rom, trafficanti. Sì, perché il carcere diventerà specifico per soli detenuti "transgender", niente più "progetto al femminile".

Per quattro detenute si è polemizzato fino alla stregua che gli agenti erano troppi, uno spreco di soldi e basta; mentre per 13 trans che arriveranno da Sollicciano, verranno raddoppiati e quindi è tutto nella norma. Lo dice il ministro della Giustizia, lo dice la nuova Provveditora. Ma non dicono perché non si è voluto mantenere una struttura specifica per sole donne, perché se il problema è stato il bacino di utenza, si poteva fare qualcosa per mandarci comunque le detenute di Firenze, Pisa, Livorno, dove alle tre del pomeriggio sei chiusa in cella e fino al giorno dopo non esci per la tua ora d’aria o per recarti al lavoro, sempre che ti tocchi.

Mi dispiace per le bugie che sono state dette. E per quelle quattro donne che ancora sono lì ad aspettare, a non sperare più, che spero che possano uscire da Empoli e che non vengano ritrasferite nel carcere di provenienza, da dove usciranno sicuramente peggio. E a quanti credono nella giusta causa delle custodie attenuate, dico di non dimenticare mai che cosa recita la Costituzione e che si lavori sul reinserimento e l’integrazione della persona, credendo che possa cambiare.

 

Patrizia Tellini

Pavia: 2 medici rinviati a giudizio per morte detenuto 27enne

 

La Provincia Pavese, 13 novembre 2008

 

Per la morte di Tomas Libiati, il giovane di 27 anni deceduto in circostanze da chiarire un anno fa a Torre del Gallo, gli indagati sono due. Oltre a Paolo Caparello, 39 anni, risulta coinvolto nell’inchiesta anche Pasquale Alecci, 42 anni. Entrambi sono medici, ma all’interno del carcere ricoprono ruoli diversi. Per loro la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo.

Gli sviluppi sono emersi come indiscrezione durante l’udienza preliminare, che era stata fissata per ieri mattina. Il giudice ha rinviato la decisione al 20 gennaio, per impedimento di uno degli avvocati difensori. È in quella data che potrebbe chiudersi il primo, importante atto di una vicenda che va avanti da circa un anno.

Tanto sono durate le indagini, condotte a colpi di consulenze, e scaturite dalla denuncia dei familiari di Tomas Libiati, un giovane detenuto che era stato trasferito nel carcere di Torre del Gallo, da San Vittore, appena tre giorni prima del decesso. La morte di Tomas era avvenuta nella notte tra il 31 luglio e il primo agosto, nella cella dell’infermeria del carcere. Qui il giovane venne trovato, al mattino, privo di vita, sdraiato in posizione fetale sul lettino.

Tanti i dubbi, a cominciare dall’orario del decesso. Sulle cause, invece, c’è qualche certezza in più, fornita dai risultati degli esami tossicologici. Tomas Libiati sarebbe morto per due iniezioni di metadone. Un farmaco con cui il ragazzo, tossicodipendente, era stato curato in passato, ma a cui aveva rinunciato definitivamente a partire dal mese di marzo del 2006.

Sulla somministrazione del farmaco come causa del decesso coincidono le due perizie, quella di parte - eseguita dai professori Raffaele Lodi e Fausto Gigli di Milano - e quella disposta dal magistrato Maura Ripamonti. Va detto, tuttavia, che la quasi certezza sulle cause della morte del giovane non si traduce anche in una precisa individuazione delle responsabilità. Perché colpa ci sia, si dovrà dimostrare, "oltre ogni ragionevole dubbio", il nesso tra assunzione del farmaco e decesso.

E, in secondo luogo, bisognerà fare luce sul perché il medicinale sia stato somministrato e soprattutto da chi. Ma dovrà essere anche chiarita la motivazione della diagnosi con cui il giovane venne dimesso dal pronto soccorso del San Matteo, dove il giovane era stato portato d’urgenza per un malore.

Malore forse provocato proprio dalla somministrazione del metadone, come sembra dimostrare il fatto che al paziente viene dato il Narcan, utilizzato come antidoto all’eroina. Tanti dubbi, e solo due nomi emersi dall’inchiesta. Due medici del carcere, con compiti diversi all’interno della struttura. La difesa è pronta a dare battaglia per dimostrare la loro estraneità ai fatti. Paolo Caparello è difeso dall’avvocato Maria Grazia Stigliano, Pasquale Alecci è invece difeso dagli avvocati Girolamo De Rada e Giacomo Pitrelli. Il 20 gennaio il giudice deciderà se proscioglierli o avviare il processo.

Reggio Emilia: semiliberi assistono anziani, scoppia polemica

 

La Gazzetta di Reggio, 13 novembre 2008

 

Da oltre dieci anni i carcerati della Pulce sono ammessi a compiere tirocini lavorativi nelle Case di riposo della Rete Reggio Emilia terza età. Il fatto che siano direttamente impegnati nell’assistenza agli anziani suscita la protesta dei consiglieri comunali di Alleanza Nazionale, che ne chiedono conto al sindaco con un’interrogazione firmata da Marco Eboli, Tommaso Lombardini e Angelo Ammaturo.

"Pare - si legge - che, al posto di operatori qualificati, vengano utilizzati detenuti in semilibertà, condannati per reati gravissimi. Sembra che i parenti degli anziani non ne siano stati messi al corrente e che Rete faccia ciò per ottenere un ritorno di carattere economico, a scapito della qualità del servizio nonostante le rette salatissime".

I consiglieri di An chiedono quindi di conoscere il contenuto del progetto, le mansioni specifiche affidate ai carcerati e il motivo per cui non venga impiegato personale qualificato. "Il progetto di inserimento lavorativo dei detenuti nelle case di riposo - risponde il presidente di Rete, Renzo Boni - è operativo da più di dieci anni. Finora non si sono mai verificati problemi, né sono intervenute lamentele. È un programma valido, una iniziativa di reinserimento, che offre ai carcerati l’opportunità di una formazione e la possibilità di trovare un lavoro".

Boni chiarisce, inoltre, che i detenuti vengono ammessi a questa attività solo dopo avere seguito un corso triennale di formazione per operatori e tecnici dei servizi sociali, attivato dall’istituto professionale "Don Zeffirino Jodi".

I docenti dello Jodi tengono le loro lezioni all’interno della Pulce per una quarantina di reclusi, dei quali una decina sta praticando il tirocinio lavorativo finale, della durata di cinque mesi, che si concluderà in dicembre. "L’iniziativa - spiega Boni - è svolta di concerto con il Comune e l’amministrazione penitenziaria attraverso una convenzione nella quale è prevista, a favore dei detenuti, la corresponsione di una borsa-lavoro, i cui costi sono a carico di Rete". Peraltro sono accolti come stagisti anche gli altri studenti delle scuole convenzionate. "Da anni - precisa Boni - Rete collabora con lo Jodi, con il Filippo Re e con istituti di altre regioni".

I consiglieri di An lanciano poi un’altra accusa: "Per mancanza di risorse economiche è peggiorata la qualità della vita degli ospiti di Rete, a causa del taglio dei generi di prima necessità e del ritardo con cui si provvede a manutenzioni come la riparazione dei letti rotti". "Si assicura - risponde Boni - che non sono mai state effettuate riduzioni sui generi alimentari. Al contrario, Rete si è fatta carico dei rincari con revisione degli appalti, né sono state disposte riduzioni sulle tradizionali attività natalizie, che si svolgeranno come di consueto. Familiari e cittadini saranno sempre graditi ospiti delle nostre iniziative".

Sanremo: Sappe; interventi concreti contro sovraffollamento

 

Sanremo News, 13 novembre 2008

 

"Siamo certi che il numero dei detenuti sarà destinato ad aumentare ed il disagio del detenuto si riverserà sul poliziotto di turno. Per questo è necessario che la Direzione proponga valide correzioni necessarie per fronteggiare tale emergenza".

A pochi giorni dall’interrogazione a risposta scritta presentata al Ministro della Giustizia Alfano dal sen. Giorgio Bornacin (Pdl), interrogazione preceduta da una mozione presentata in Consiglio regionale della Liguria da Gianni Plinio ed Alessio Saso (An), finalizzata a far chiarezza sull’elevata carenza di Poliziotti penitenziari in Liguria e dopo ripetute nostre segnalazioni afferenti il crescente numero di detenuti presenti nelle carceri liguri, la segreteria regionale ligure del SAPPe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, ha partecipato ad un incontro sindacale con la Direzione della Casa Circondariale di Sanremo per rivedere l’assetto dell’organizzazione del lavoro della Polizia Penitenziaria.

Il segretario regionale Michele Lorenzo ed il suo Vice Cosimo Galluzzo, dichiarano: "L’incontro è stato necessario per rivedere l’organizzazione della polizia penitenziaria a fronte dell’elevato carico di lavoro determinato da un esagerato aumento della popolazione detenuta del carcere di Valle Armea".

I detenuti a San remo hanno raggiunto le 316 unità. Questa è emergenza perché la capienza dell’istituto è di soli 209 posti, l’eccedenza delle 107 unità richiede maggiore attenzione ed un impegno superiore per garantire sicurezza ed incolumità. Questa emergenza è fronteggiata dai 165 appartenenti alla Polizia Penitenziaria, in carenza di 85 unità. Più volte sono stati segnalate incresciose situazioni di violenza da parte della popolazione detenuta che sono state contenute grazie all’intervento della Polizia Penitenziaria. Non ultimo l’odierno principio d’incendio innescato da due gruppi di continuità, domato dal tempestivo intervento del personale di servizio in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco.

Questo episodio è la riprova della preparazione del nostro personale che opera su tutti i campi e che, per forza, è necessaria una maggiore presenza di poliziotti in servizio. Quanto rappresentato non fa che consolidare la nostra ipotesi: cioè che l’affollamento della struttura carceraria di San remo produce negative ricadute su tutto il sistema penitenziario ma in modo particolare la sullo stress lavorativo che la polizia penitenziaria di San remo e di tutta la Liguria, quotidianamente sopporta. Segnaliamo il "tutto esaurito" non ci sono più posti, mancano coperte, piatti, bicchieri, lenzuola. "Siamo certi - continua la segreteria del Sappe - che il numero dei detenuti sarà destinato ad aumentare ed il disagio del detenuto si riverserà sul poliziotto di turno. Per questo è necessario che la Direzione proponga valide correzioni necessarie per fronteggiare tale emergenza.

Campobasso: scrittrice Antonella Cilento incontra i detenuti

 

Il Tempo, 13 novembre 2008

 

Per il ciclo Liberi di leggere, percorsi di lettura e incontri con l’autore negli istituti carcerari, l’Uli, in collaborazione con il carcere e la Provincia di Campobasso, ha organizzato per oggi (16.30), presso la casa di reclusione del capoluogo, un incontro di lettura con la partecipazione della scrittrice Antonella Cilento.

L’iniziativa rientra in un discorso più ampio. Ormai da anni, infatti, all’interno della casa circondariale, esiste un gruppo di lettura, guidato e aiutato dal lavoro e dalla devozione di una volontaria. La collaborazione tra l’Uli e l’Istituto Carcerario di Campobasso ha avuto inizio un paio di anni fa e ha portato alla realizzazione di diverse iniziative, una fra tutte, l’incontro con Pino Roveredo. In un luogo di restrizione come il carcere, dove tutto è scelto da altri, la scelta di un libro da leggere è un elemento importante. La lettura diventa così un momento "di evasione e di libertà" ma anche un utile strumento per tenere viva l’intelligenza e per elaborare un nuovo senso della vita.

Firenze: confronto nazionale sulle esperienze di teatro-carcere

 

Asca, 13 novembre 2008

 

Quando il palcoscenico sta dietro le sbarre. In Toscana una rete con 15 realtà di teatro in carcere: spettacoli e laboratori incontro nazionale al Teatro della Pergola di Firenze lunedì 24 novembre.

Un confronto nazionale sulle esperienze di teatro in carcere. Lo organizza a Firenze la Regione Toscana per lunedì 24 novembre nel Saloncino del Teatro della Pergola. "A scene chiuse?" - questo il titolo - sarà aperto (ore 10) da Paolo Cocchi, Onofrio Cutaia, Maria Pia Giuffrida e Siro Ferrone, rispettivamente assessore regionale alla Cultura, direttore generale Eti, provveditore toscano dell’amministrazione penitenziaria, docente in discipline dello spettacolo all’Università di Firenze.

L’appuntamento si colloca alla vigilia del decimo anniversario della nascita, in Toscana, di una specifica "rete" fra le attività di spettacolo all’interno degli istituti penitenziari: dalle 7 realtà coinvolte nel 1999, all’inizio del progetto, con il tempo la "rete" si è allargata fino a comprenderne, oggi, 15.

Vengono realizzati laboratori musicali, di scrittura e di scenografia: per tutte valga l’esperienza pilota di Volterra che ha raggiunto negli anni una rilevanza anche a livello internazionale. "Un vero e proprio ponte comunicativo - sottolinea Paolo Cocchi - tra culture e comunità diverse, tra liberi e non liberi, un importante spazio di comunicazione fra carcere e città".

E alla Pergola, lunedì 24 novembre, si cercherà di capire se esiste la possibilità, e quali possono essere le metodologie, per mettere a confronto le diversificate esperienze nazionali con l’obiettivo di ipotizzare relazioni e scambi partendo dai risultati, sociali ed artistici, raggiunti.

Il programma prevede anche la presentazione di una mostra fotografica ("A scene chiuse"), di un volume che raccoglie le immagini di Maurizio Buscarino dedicati e all’esperienza del teatro in carcere nonché approfondimenti tematici e, nel pomeriggio, una tavola rotonda con un confronto fra esperienze di Toscana, Lazio, Emilia, Lombardia, Puglia.

Libri: "Un carcere nel pallone" di Francesco Ceniti (ed. Laruffa)

 

Asca, 13 novembre 2008

 

È di prossima uscita il libro "Un carcere nel pallone" del giornalista Francesco Ceniti, con prefazione di Candido Cannavò, per Laruffa Editore.

Dall’esperienza esaltante del campionato vissuta dai detenuti-calciatori del "Free Opera" - la squadra di calcio composta da detenuti del carcere di Opera (Mi) e iscritta, dal 2003 al 2005, a un regolare campionato dilettantistico, caso unico in Europa - è nato un reportage che analizza con sensibilità e rispetto l’universo oscuro delle carceri e la spinta vitale che pure è possibile ritrovare dietro le sbarre.

Attraverso questa particolare squadra di calcio e le passioni che, dentro e fuori dalle mura blindate del carcere, animano il mondo del pallone, Ceniti ha raccolto storie di vite bruciate, di scelte sbagliate, di errori personali e, a volte, pure giudiziari. E ha raccontato i campionati di quella improbabile squadra, su cui nessuno avrebbe scommesso, e che poi ha catturato l’attenzione dei media e del mondo esterno per i suoi successi.

Una vicenda straordinaria per i detenuti-calciatori e pure una visuale diversa sulle troppe ombre della reclusione. Gli allenamenti, le dinamiche dello spogliatoio, le vittorie e le sconfitte, tutto come in un qualunque campionato dalle divisioni minori alla Serie A, tutto come per qualunque squadra. Ma tutto dentro un carcere. Dentro le emozioni e i rimpianti degli uomini che attraverso la squadra hanno ritrovato una ragione di vita.

"Nella costruzione del lavoro di Ceniti c’è un tramite singolare, prodigioso, magico: il pallone. Mister Ball, questa sorta di tesoro d’infanzia, di divinità pagana, di collettore universale di passioni, lui il Signor Pallone è stato il mezzo prezioso di collegamento, ma forse anche una finzione, un alibi per raggiungere un luogo proibito e raccontare qualcosa di diverso. Sul traguardo c’era, in realtà, una dolorosa, struggente, edificante antologia di vita. Il mosaico umano di questo libro" (dalla prefazione di C. Cannavò).

Hanno dato sostegno e appoggio all’iniziativa e assicurato la presenza per la presentazione del libro, che si terrà entro l’anno, i campioni del mondo Renato Gattuso, Marco Materazzi e Josè Altafini.

Nota biografica autore - Francesco Ceniti, nato a Roma nel 1969, è cresciuto in Calabria, dove si è laureato in Lettere Moderne con una tesi in Storia contemporanea sul Vietnam (filmando nel Paese asiatico un reportage a vent’anni esatti dalla fine della guerra). Dopo l’università (e lasciati i campi di calcio "frequentati" con alterne fortune fino alla serie C2) ha perfezionato i suoi studi alla Luiss con un master in Giornalismo e Comunicazione d’impresa. Giornalista professionista, è stato redattore presso numerose testate nazionali e regionali. Dal 2000 vive a Milano e dal 2003 lavora per la "Gazzetta dello sport". Nel 2004 ha pubblicato (sempre per Laruffa Editore) il romanzo "I cassetti perduti".

Immigrazione: Lega chiede chiusura delle frontiere per 2 anni

di Liana Milella

 

La Repubblica, 13 novembre 2008

 

Norme blocca-immigrati, in versione Lega. In scena al Senato, dove governo e maggioranza si preparano, con le ultime modifiche, alla battaglia della prossima settimana per approvare il ddl sicurezza, ormai un testo monstre di 55 articoli che ingloba stretta sulla mafia (41 bis e sequestri) e durissime misure contro gli stranieri a partire dal reato di clandestinità. Il Carroccio sfrutta ogni passaggio per rendere vieppiù aspri i divieti.

Ecco le ultime integrazioni. Blocco dei decreti flussi per due anni e nascita d’una commissione che rilegga le migrazioni con una stringente analisi costi/benefici. Permesso a punti recepito anche dal governo (Mantovano-Caliendo) con accordo di integrazione a firma obbligatoria pure per chi è in Italia. Non basta, perché il leghista Mazzatorta, con un ordine del giorno, chiede che l’immigrato dimostri di conoscere lingua e nozioni d’ordinamento giuridico. A ciò si aggiunge l’insistenza sulle ronde, che il Pd con Casson, cerca di dichiarare incostituzionali e rischiose soprattutto nei paesi ad alta criminalità (ma la pregiudiziale viene respinta), e sui clochard.

L’ultima infornata di aggiunte della pattuglia leghista è di ieri mattina. Rigorosamente firmate dal capogruppo Bricolo seguito da Mauro, Bodega, Mazzatorta, Vallardi. Un paio di eccezioni: l’emendamento anti-flussi raccoglie la sottoscrizione dell’intero drappello bossiano, mentre il "lodo Lampedusa" viene siglato anche dalla senatrice Angela Maraventano, evidentemente nella veste di vice sindaco dell’isola. Prevede un bonus da due milioni di euro per i centri che hanno subito più di alti l’ondata migratoria. I ministri ombra del Pd Tenaglia e Minniti (Giustizia e Interni) dichiarano "guerra" a norme "irrazionali e odiose", per molte Casson annuncia la richiesta del voto segreto nella speranza di dividere la maggioranza. Ma i leghisti non demordono: ripropongono, nonostante gli alleati l’abbiano già respinta, la norma che obbliga i medici a denunciare un clandestino che richiede assistenza; pretendono che gli stessi immigrati paghino per le cure sanitarie. Ostacolano l’accesso degli stranieri alle case popolari e pretendono che per concorrere si debba essere residenti in Italia da dieci anni o almeno da cinque nella stessa regione. Stringono ulteriormente sui ricongiungimenti familiari e pretendono che il matrimonio avvenuto all’estero rispetti le regole italiane. Vietano assolutamente il burka e comunque l’uso di qualsiasi abito che celi l’identità.

La scure leghista si abbatte sui senza fissa dimora. Accanto al registro dei clochard c’è l’obbligo di fornire un domicilio. Inutilmente l’ex pm di Venezia Casson lancia uno warning sulle ronde ("Al Sud enti locali magari commissariati per mafia potrebbero legalizzare bande malavitose"). Inascoltato, in aula, l’ex procuratore D’Ambrosio: "Arrestando una zingarella che chiede l’elemosina o fruga nella spazzatura spingerete tutti a diventare delinquenti". Lega e Pdl vanno avanti. Non ascoltano neppure i funzionari di polizia che sugli spray urticanti gridano: "Fermatevi, li useranno contro di noi".

 

Bocchino (Pdl): "Stop ai flussi? Ci sono esigenze di famiglie e industria"

 

Roma - Stop agli immigrati per due anni? Italo Bocchino prende le distanze dalla Lega, perché se è vero che le frontiere vanno chiuse per chi entra illegalmente, è anche vero che "bisogna tenere conto- avverte il capogruppo del Pdl alla Camera- delle esigenze di avere lavoratori sia per ragioni sociali, penso a colf e baby-sitter, sia per ragioni industriali".

 

Turco (Pd): "Dalla Lega proposte ciniche e barbare"

 

"Le proposte della Lega Nord sull’immigrazione sono ciniche e barbare. Sospendere per due anni gli ingressi nel nostro Paese farà solo aumentare la clandestinità contro la quale la maggioranza non sta facendo niente". Lo afferma Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. "Lo sbarco di 300 clandestini a Lampedusa questa mattina lo dimostra drammaticamente. Oltre ad essere del tutto irrealizzabili- conclude- le proposte del Carroccio alimentano intolleranza e avversione per chi viene nel nostro Paese in cerca di una vita migliore".

 

Minniti: "Le proposte della Lega favoriscono la clandestinità"

 

"Le ulteriori proposte emendative presentate dalla Lega Nord al ddl sicurezza peggiorano, se ciò è possibile, un testo già pessimo. Di fatto, tutte queste proposte hanno un’unica finalità: rendere impossibile una qualsiasi politica di integrazione nel nostro Paese". È quanto afferma il ministro degli Interni Ombra del Governo del Pd, Marco Minniti, commentando gli emendamenti presentati dal carroccio nel ddl sicurezza. Per Minniti "si gioca col fuoco, perché questo tipo di misure, irrazionali ed odiose (il blocco dei flussi, lo stop all’accesso alla sanità pubblica, il pagamento dei permessi di soggiorno) produce un unico effetto, quello di spingere alla clandestinità. Vengono spacciati come provvedimenti per la sicurezza, ma produrranno esattamente il risultato opposto".

Secondo il ministro Ombra, invece, l’immigrazione "va governata, sapendo distinguere tra coloro che hanno una casa e un lavoro (vorrei ricordare che il 6% del Pil nazionale proviene dal lavoro degli immigrati) da coloro che, invece, attraverso la clandestinità entrano in rapporto con la criminalità. Bloccare i flussi significa mettere in ginocchio interi settori dell’economia e colpire la vita reale di moltissime famiglie italiane". "Fare di tutta l’erba un fascio - conclude Minniti - costituisce un drammatico errore dagli esiti assolutamente imprevedibili, così come fare della politica di sicurezza una bandiera di propaganda politica rischia di lacerare un pezzo fondamentale del tessuto connettivo del nostro Paese".

Droghe: indagine Ipsos-San Patrignano; genitori terrorizzati

 

Notiziario Aduc, 13 novembre 2008

 

Padri e madri incerti, insicuri, in difficoltà, incapaci di lottare contro una società che sembra proporre ai loro ragazzi modelli negativi. È questo l’esito dell’indagine Ipsos "Genitori e figli allo specchio", condotta per San Patrignano e presentata stamani a Roma. Dai tre campioni di 840 genitori di ragazzi tra 12 e 18 anni, 202 giovani e 239 giovani che frequentano i centri 2you attivati da San Patrignano per rispondere a fenomeni di ispezione scolastica e emarginazione e uso di droghe, emerge infatti che padri e madri sono deboli nel loro ruolo educativo: cedono immediatamente alla richiesta di un acquisto da parte dei figli (30%) o cercano di legare l’acquisto a un merito (66%) e sono terrorizzati dalla droga che ritengono il "male principale" per i ragazzi senza distinzione tra sostanze (85%).

I genitori più giovani sembrano avere un rapporto migliore con il proprio figlio mentre gli over 45 appaiono disorientati e timorosi: percepiscono i figli lontani. I ragazzi sono lo specchio di questa separazione: i figli tra i 12 e 13 anni risultano per il 63% protetti da una famiglia tranquilla, attiva nella vita sociale, quelli tra 14 e 18 anni sono per il 37% isolati e sfiduciati, condividono poco con i loro familiari e non si confidano.

Genitori e figli concordano sul fatto che la droga sia diffusa tra i giovani per la paura di affrontare una realtà difficile, ma le loro risposte divergono quando si parla di mancanza di sostegno familiare: la motivazione è accolta dal 35,2% dei genitori contro una percentuale del 43,1 dei giovani in generale e del 46 dei giovani che frequentano 2you. Rispetto ai valori della vita i genitori dicono di voler trasmettere ai figli soprattutto la solidarietà e il rispetto (76,3%), ma a loro avviso la società propone prevalentemente successo e potere (76%) che finiscono per predominare nelle aspirazioni dei giovani (82,2%). Gli stessi genitori, però, ammettono di proporre ai figli la posizione economica e l’immagine (59%). Riguardo alla scuola, infine, genitori e figli concordano sul fatto che il suo ruolo debba essere quello di educare i sentimenti oltre che istruire.

Svizzera: comitato antitortura; polizia non sempre esemplare

 

Swiss Info, 13 novembre 2008

 

Pubblicazione del rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e della risposta del Consiglio federale.

La maggior parte dei detenuti in Svizzera non subisce maltrattamenti. In seguito all’ultima visita di una delegazione del Comitato, le autorità svizzere hanno comunque già attuato diverse raccomandazioni al fine di rafforzare ulteriormente la protezione di chi si trova in carcere preventivo, centri di allontanamento, penitenziari e istituti di educazione. Questo è quanto emerge dal rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura e dalla risposta del Consiglio federale, che sono stati resi noti oggi.

Una delegazione del "Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti" ha visitato tra il 25 settembre e il 5 ottobre 2007 diversi penitenziari nei Cantoni di Argovia, Berna, Ginevra, Soletta, Vallese e Zurigo. In occasione della sua quinta visita in Svizzera, l’interesse della delegazione si è concentrato in particolare sulla situazione delle persone arrestate dalla polizia o sottoposte a una misura terapeutica stazionaria o all’internamento, nonché sulle condizioni di carcerazione nei reparti di massima sicurezza. La delegazione si è anche interessata della situazione di adolescenti e giovani adulti collocati in istituti di educazione.

Già al termine della sua visita, la delegazione aveva fatto sapere ai rappresentanti della Confederazione e dei Cantoni visitati di non aver riscontrato alcun tipo di tortura o maltrattamento grave. Nel rapporto del 27 marzo 2008 trasmesso al Consiglio federale, il Comitato ha descritto dettagliatamente la sua visita e ha sottoposto alle autorità svizzere una serie di raccomandazioni, commenti e domande.

 

Clima costruttivo

 

Come il Consiglio federale ha potuto constatare con soddisfazione, la maggior parte delle persone intervistate dalla delegazione ha affermato di essere stata trattata correttamente durante l’arresto, gli interrogatori e la carcerazione. Nella sua risposta, redatta d’intesa con i Cantoni, il Consiglio federale elenca le misure adottate per rafforzare la protezione delle persone in carcere preventivo, centri di allontanamento, penitenziari e istituti di educazione e sottolinea l’importanza della prevenzione da torture e trattamenti disumani o denigranti o da punizioni. Ringrazia inoltre il Comitato per il clima costruttivo nel quale si è svolta la collaborazione.

 

Le condizioni di carcerazione possono essere migliorate

 

Sebbene il Comitato riconosca che le condizioni di carcerazione in Svizzera sono generalmente buone, propone una lista di misure che potrebbero migliorare la situazione dei detenuti. In particolare ricorda che la polizia, al momento dell’arresto, deve limitare l’uso della violenza al minimo indispensabile e che, dal momento che l’indiziato è sotto controllo, qualsiasi altro tipo di violenza non è giustificato. Secondo il parere del Comitato, le condizioni di carcerazione degli stranieri nei centri di allontanamento dovrebbero avvicinarsi quanto più possibile alle condizioni di libertà. Inoltre le autorità della Confederazione e dei Cantoni dovrebbero garantire ai detenuti con problemi psichici condizioni di carcerazione e cure mediche adeguate. Infine i detenuti minorenni e gli adolescenti dovrebbero sistematicamente avere la possibilità di seguire un percorso formativo.

Nella sua risposta, il Consiglio federale illustra dettagliatamente le misure adottate per migliorare le condizioni generali di detenzione e le cure mediche nei diversi penitenziari. Il Consiglio federale ricorda poi che i collaboratori della polizia cantonale di Ginevra, già prima della visita della delegazione, avevano ricevuto due lettere da parte delle autorità competenti che condannavano qualsiasi forma di maltrattamento dei detenuti. Inoltre, già da tre anni, sia presso le accademie di polizia sia durante i corsi di aggiornamento professionale, viene ricordato che è vietata la presa al collo con l’avambraccio.

Il Comitato si basa sulla "Convenzione europea contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti", ratificata da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Dal 1991 ha visitato la Svizzera cinque volte. Il suo obiettivo non è quello di formulare accuse, ma piuttosto di dare spazio al dialogo con le autorità competenti del Paese visitato al fine di migliorare le condizioni detentive.

 

Tortura: polizia svizzera non sempre esemplare

 

Le forze dell’ordine di alcuni cantoni, in particolare quelle ginevrine, non sono esenti da critiche. È quanto emerge dal rapporto del Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa.

In Svizzera la maggioranza dei detenuti è trattata in modo corretto. Tuttavia la situazione non è esemplare dappertutto, stando ai membri del Comitato di prevenzione della tortura, che hanno effettuato una visita in Svizzera dal 24 settembre al 5 ottobre 2007.

Nel Cantone di Ginevra "la situazione appare assai preoccupante", si legge nel rapporto pubblicato giovedì. Le allegazioni raccolte dal comitato vanno dallo schiaffo isolato a "sevizie più gravi, come calci, pugni, manganellate o l’uso abusivo di gas lacrimogeni". Nel rapporto viene pure denunciato il ricorso a "tecniche di strangolamento", segnatamente per far rigurgitare degli stupefacenti.

In alcune carceri svizzere, inoltre, le condizioni di detenzioni sono lungi dall’essere ottimali (celle troppo piccole, pessimi sistemi d’aerazione). Nella sua presa di posizione, il governo svizzero sottolinea che parte delle raccomandazioni espresse dal Consiglio d’Europa sono già state messe in pratica e fornisce informazioni dettagliate sulle misure prese nei penitenziari.

 

 

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