Rassegna stampa 28 marzo

 

Giustizia: fabbrica (elettorale) della paura, nuova barbarie

di Franco Giordano (Sinistra l’Arcobaleno)

 

Liberazione, 28 marzo 2008

 

È possibile, anche nel pieno della campagna elettorale e nel fuoco della contrapposizione, lanciare un appello a tutte le donne e gli uomini che un tempo si sarebbero definiti "di buona volontà" e, aggiungerei, di sana ragionevolezza?

È lecito chiedere a tutti, ai politici come agli opinionisti, di fermarsi un attimo a riflettere sui rischi che si corrono, in termini politici, etici e persino di igiene mentale collettiva, continuando a inseguire e blandire le peggiori pulsioni che circolano nell’opinione pubblica sul tema delicatissimo e nevralgico della sicurezza?

Noi non abbiamo mai affermato, nonostante l’immensa distanza che ci divide, che il programma del Pd sia identico a quello della destra berlusconiana. E tuttavia è un fatto, e forse il più preoccupante registrato in queste settimane di campagna elettorale, che sui fronti delle politiche economico-sociali e della sicurezza i discorsi di Walter Veltroni nel nord del paese non si siano distinti in nulla da quelli della Lega e del Pdl, a partire da una forsennata campagna securitaria.

Tutte le forze politiche, a eccezione della Sinistra Arcobaleno, gareggiano nel fomentare e rinfocolare una richiesta di sicurezza declinata in termini di pura militarizzazione del territorio. Accreditano una visione dell’altro da sé, sia esso il povero o l’immigrato, come potenziale minaccia, pericolo latente per definizione. Spalleggiano il miraggio, tanto diffuso quanto bugiardo; di poter lenire i morsi dell’insicurezza dilagante ricorrendo solo a un immaginario repressivo sempre più esasperato.

È un rimedio inefficace e devastante, destinato ad acuire il male che si propone di guarire. A rendere il paese, e in particolare le sue aree del nord e del nord-est, sempre più insicure. Senza una drastica sterzata culturale queste aree sono destinate a alimentarsi di un bisogno permanente e crescente di controllo sociale. Una spirale perversa e infinita. Un vicolo cieco che ci condurrà inevitabilmente in una situazione simile a quella in cui versano oggi gli Usa: un carcerato ogni cento abitanti e nessun risultato in termini di sicurezza.

L’insicurezza che grava come un’ombra cupa in particolare sui cittadini del nord non deriva da una impennata della criminalità. Non riflette un problema reale ma la presenza pervasiva di uno spettro, tanto più inquietante perché sfuggente e impalpabile: quello di un’esistenza diventata precaria a tutti i livelli, dal lavoro alla pace alla sopravvivenza stessa del pianeta.

Questa paura onnipresente e immateriale "liquida" (direbbe Baumann), diventa almeno più sopportabile se la si attribuisce a qualche minaccia tangibile come gli immigrati o gli scippatori. Il meccanismo classico della "fabbrica ella paura".

L’intera Italia vive oggi in una situazione collettiva che somiglia a quella del "Grande Fratello": si può essere esclusi dalla "casa comune" senza un motivo preciso, casualmente. L’insicurezza si afferma come vera e propria dimensione esistenziale. Una "insicurezza ontologica primaria" avrebbe detto lo psichiatra inglese Ronald Laing, che proprio in questa condizione di sofferenza esistenziale rintracciava le radici della schizofrenia.

Trasferita però a livello di massa e non più solo di singolo individuo. La feroce metafora simbolica del "Grande Fratello" illustra anche la contraddizione di fondo che rende la situazione irresolubile. Lo schema stesso di quella competizione impone infatti la rinuncia prioritaria a ogni solidarietà tra gli abitanti-vittime, la cancellazione di ogni spazio di vera e sostanziale socialità.

Viene così eliminato il solo elemento in grado di contrastare con successo il senso di solitudine, precarietà e insicurezza esistenziale: un saldo vincolo solidale e sociale. Si diffonde, di conseguenza, una sensazione di minaccia latente e indefinita. E come ci raccontano le cronache quotidiane, questa minaccia non assedia le case inutilmente blindate dall’esterno, ma penetra al loro interno.

Esplode nella proliferazione di casi traumatici di violenza e di follia o nella perenne ansia esistenziale. Non è filosofia da anime belle. Sono le nude statistiche, che registrano nelle violenze in famiglia (e nel vicinato) la principale causa di morte violenta in Italia. Questa condizione di insicurezza permanente, questa diffusione di disagio psichico, questo quadro che non è esagerato definire "dissociazione di massa" costituisce, alla lunga, una minaccia per il vivere civile, e per la democrazia stessa.

Non credo lo si possa dire meglio di come ha fatto Enzo Mazzi alcuni giorni fa: "Uno degli elementi che emergono con prepotenza nella società attuale è certamente l’insicurezza e la paura. E la paura, come si sa, ci fa regredire, ci rende bambini, ci induce a affidarci figure mitiche di salvatori, abdicando alla propria responsabilità e autonomia e svuotando la rete delle relazioni".

La sola terapia per l’insicurezza di massa, per la crisi profonda che da anni si registra nel nord del paese, è invece proprio la ricostruzione di quella rete di relazioni. Uno spazio pubblico capace di restituire per intero una dimensione di comunità in cui ricostruire il vincolo sociale smarrito. Cancellato dall’imporsi di una logica puramente competitiva, fondata sulla contrapposizione con altri territori nello scenario globale. Il nodo della sicurezza e quello della costruzione di un sistema economico-sociale diverso, a conti fatti, sono facce del medesimo prisma, non problemi distinti.

È l’imporsi di un preciso sistema produttivo diffuso nel territorio, fondato sulla massima competitività, che ha desertificato le relazioni sociali ed umane in quelle regioni. Il percorso che dobbiamo intraprendere è dunque opposto a quello del leghismo, che precisamente sull’esaltazione di quel modello produttivo, dell’identità territoriale e dell’isteria securitaria fonda da sempre le proprie fortune. Eppure in Italia un enorme problema di sicurezza esiste. Condiziona e imprigiona le energie di tanti giovani nella società meridionale.

Parlo della criminalità organizzata, che sposa la modernizzazione capitalistica ed investe in controllo del territorio e valorizzazione economica e finanziaria dei propri interessi. Parlo della violenza bestiale di cui sono tornate a essere vittime le donne, non per colpa dei "diversi", ma dei loro padri e mariti. Di una dimensione del lavoro che sempre più somiglia a un fronte bellico: nelle fabbriche e nei cantieri italiani, negli ultimi anni, sono morti più lavoratori dei soldati americani periti in Iraq.

E ancora delle devastazioni ambientali che si traducono con crescente puntualità in vere e proprie catastrofi. Sono questi i temi che una politica responsabile e interessata alla costrizione di una società alternativa mette in testa al capitolo dedicato alla sicurezza: non la costruzione di muri inutili, non una insensata militarizzazione del territorio.

Per riannodare i fili spezzati dell’intima insicurezza esistenziale occorre dunque una grande e molecolare battaglia politico-culturale. Serve una vera e propria mobilitazione democratica. Non si può inseguire la destra sul suo terreno cercando di ereditarne le parole d’ordine. È totalmente sbagliato, come si è visto, dire che il tema della sicurezza non è né di destra né di sinistra.

Per quella via non si può che finire, come hanno fatto i sindaci del Pd con la campagna contro i lavavetri, per scatenare un bestiale conflitto tra gli ultimi e i penultimi, non si può che scambiare la guerra contro la povertà per una guerra contro i poveri. Altro che problema "né di destra né di sinistra"! Al contrario, sembra oggi proprio questa la frontiera che separa la più moderna e schizofrenica tra le barbarie o un nuova civiltà fondata su relazioni umane più ricche.

Giustizia: Ferrara (Dap); 60.000 detenuti entro fine anno…

 

Ansa, 28 marzo 2008

 

"L’effetto indulto si avvia ad essere oramai esaurito". È quanto ha affermato Ettore Ferrara, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ospite a Salerno di un convegno sul diritto Penitenziario Italiano, alla luce delle nuove prospettive europee. Ecco perché, dice Ferrara, bisogna fare in fretta per trovare soluzioni.

"Aver avuto questi due anni di tregua - ha detto Ferrara - é stato un effetto positivo per l’amministrazione penitenziaria perché ha consentito anche al personale di tirare un po’ il fiato e di riorganizzare i propri servizi all’interno, preparandosi ad una nuova emergenza che ormai è più meno alle porte". Il sovraffollamento resta l’emergenza principale del sistema carcerario italiano. "Da questo problema - ha detto Ferrara - derivano gli altri. Dal sovraffollamento deriva la difficoltà di offrire occasioni di lavoro e di formazione ai detenuti, una sanità maggiormente adeguata, l’offerta formativa e d’istruzione.

Quando si è costretti a combattere con numeri estremamente elevati, le risorse disponibili si frantumano fra le molteplici esigenze". Gli istituti penitenziari italiani oggi accolgono più di 51mila detenuti, a fronte di una capienza regolamentare per circa 43mila unità. Quella tollerabile invece e di circa 63mila presenze. Il trend di crescita si aggira intorno alle 1.000 unità mensili. "Anche prima di un anno - ha detto il responsabile del Dap - raggiungeremo la capienza tollerabile".

Giustizia: "Progetto Indulto"... 950 tirocini e 75 assunzioni

di Daniele Biella

 

Vita, 28 marzo 2008

 

Al 17 marzo 2008, 75 assunti, quasi 20 in più del mese precedente. I tirocini avviati, 952, spalmati su 14 città di 12 regioni italiane. Questi i risultati di un anno e mezzo di "Progetto Indulto", il programma di reinserimento a cui il ministero dell’Interno ha destinato ben 11,5 milioni di Euro del suo bilancio. Una macchina, quella del ministero, che dopo i primi difficili e lenti passi sta finalmente vedendo crescere i propri numeri, dando man forte ai beneficiari dell’indulto nel trovare un paracadute sociale una volta fuori dalle mura carcerarie.

Delle 75 assunzioni, ecco la divisione regionale: capofila il Veneto, a quota 24. Poi Piemonte 17, Toscana 12, Emilia Romagna 7, Lazio 5, Sardegna e Sicilia 3 a testa. In coda, Puglia e Lombardia, con soli 2 nuovi posti di lavoro assegnati. Per quanto riguarda i tirocini attivati, il primato spetta alla Sicilia, con 192, seguita da Puglia con 175 e Lazio 137.

In coda, anche questa volta, la Lombardia con 24. "Ogni regione ha dinamiche proprie", spiega Giovanna Gorini, coordinatrice nazionale di Progetto Indulto, "ad esempio, in Veneto il passaggio da tirocinio ad assunzione ha avuto un’incidenza molto alta, vicina al 50%: 24 assunti su 51 tirocini avviati. In Sicilia, invece, siamo partiti più tardi ma la quota di tirocini è sempre più elevata, segno del forte interessamento di aziende e cooperazione sociale".

Perché tali discrepanze? "Al nord, abbiamo avuto più difficoltà a intercettare i detenuti, e i motivi possono essere vari", continua la coordinatrice, "tra questi la maggior offerta di lavoro in generale, e il fatto che molte carceri sono per detenuti "di passaggio", ovvero che non vivono direttamente lì e, una volta liberi, sono tornati al loro luogo d’origine. Un ulteriore motivo, ad esempio in Lombardia, è che altri enti istituzionali hanno promosso propri progetti di reinserimento lavorativo".

In totale, oggi quasi il 10% dei tirocini non rimane unicamente un’esperienza in più che "fa curriculum" ma si trasforma in un lavoro vero. "Dei 75, il 50% è assunto a tempo indeterminato, l’altra metà a tempo determinato di minimo un anno, e l’azienda che li assume riceve un bonus una tantum di mille euro", precisa Gorini.

"La quota di assunzione compresa tra il 10 e il 3’% e quella che ci siamo prefissati come obiettivo interno di Italia Lavoro, mentre per i tirocini da attivare siamo a metà, avendone previsti ufficialmente 2mila". Le mansioni? "Manutenzione del verde, pulizie industriali, riciclaggio per rifiuti sono le attività che vanno per la maggiore".

Tra i datori di lavoro, il profit fa la sua parte: "Sia come tirocini avviati che come assunzioni, siamo al 40% di aziende e 60% di cooperazione sociale". Un dato quasi a sorpresa. vista l’attuale timidezza nell’avvicinarsi al mondo carcerario da parte delle imprese. "La fiducia c’è e viene ricambiata. La quota di interruzioni di tirocini è del 15%, inferiore a quella nazionale generale. Quando succede, si punta a trovare un’altra occasione per l’ex detenuto". Un altro obiettivo iniziale del progetto era attivare reti territoriali. "Tramite collegamenti di vari attori sociali e non, la persona non è mai lasciata a sé stessa da quando viene intercettata".

Gran parte dei beneficiari del progetto è di sesso maschile, "circa il 91%, mentre l’età media è attorno ai 40 anni, con un picco del 20% tra i 40 e i 50", aggiunge la coordinatrice. Pochi, infine, gli stranieri, meno dell’uno per cento. Iniziato il 10 ottobre 2006, la conclusione del progetto ministeriale era inizialmente prevista per il 9 aprile 2008. "Ma è già arrivato il rinnovo per sei mesi, a cui sicuramente se ne aggiungeranno altri sei, fino ad arrivare, quindi, al 9 aprile 2009. Tempo in più per raggiungere gli obiettivi prefissati".

Giustizia: Francesco Caruso auto-recluso a Secondigliano

 

Dire, 28 marzo 2008

 

"Dopo estenuanti battaglie e denunce contro il degrado in cui riversavano i malati ricoverati nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Napoli, stipati a decine nelle celle del monastero francescano di Sant’Eframo del XVI secolo, arriva la beffa dal ministero della giustizia: 3 milioni di euro per ristrutturare l’Opg, mantenendo quindi la destinazione d’uso per un monastero che dovrebbe avere tutt’altra vocazione, e deportazione di massa verso il carcere di Secondigliano per i pazienti attualmente ricoverati".

Lo denuncia Francesco Caruso, che ha deciso perciò di estremizzare la sua protesta: "Mi ritengo moralmente e politicamente responsabile della detenzione illegale degli 80 malati nel carcere di Secondigliano e per questo ho varcato stamane i cancelli del carcere di Secondigliano, nel quale resterò auto-recluso".

I malati dell’Opg, spiega Caruso, "sono stati deportati diversi giorni fa, presi dai letti e caricati sui pullman, e finiti dentro un carcere, malgrado per legge dovrebbero essere assistiti in strutture di cura e riabilitazione, non certo in uno degli istituti penitenziari più grandi della Campania". Inoltre, l’approvazione in conferenza Stato-Regioni dello schema di Dpcm per il trasferimento al Ssn della sanità penitenziaria non prevede la chiusura dell’Opg di Napoli, "come inizialmente previsto in sede di commissione interministeriale giustizia-salute".

Mentre "si delinea un processo di regionalizzazione degli Opg che, lasciando in piedi i 6 ospedali esistenti, legittima ancora una carcerizzazione del disagio mentale del tutto irrazionale e anche illegale". Caruso annuncia che a Secondigliano resterà "fino a quando non avrò un minimo di garanzie sul futuro di questi 80 poveri cristi, malati, senza una famiglia, dimenticati da tutti e incarcerati in questo luogo di sofferenza".

Giustizia: Finocchiaro (Pd); l'azione penale indebolita in fatti

 

Dire, 28 marzo 2008

 

"Da anni si discute di limitare l’area di intervento del giudice penale, che dovrebbe essere messo nelle condizioni di occuparsi a fondo delle questioni davvero importanti, quelle che mutano l’ordine della civile convenienza, a partire dai reati di criminalità organizzata. E poi bisogna intervenire sui tempi del processo, la vera emergenza della giustizia italiana.

Le priorità sono queste: un’area più ristretta di azione per il giudice e un processo penale più snello. Abbiamo gli armadi pieni di proposte: passiamo ai fatti". Ad affermarlo in un’intervista a "L’Espresso" in edicola domani è Anna Finocchiaro, ex capogruppo del Pd a palazzo Madama e candidata alla presidenza della Regione Siciliana e al Senato in Emilia-Romagna. Secondo Finocchiaro, "dobbiamo trovare una strada salvaguardando il nucleo del principio costituzionale" sull’obbligatorietà dell’azione penale, un principio "che difende l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge di fronte alle tante posizioni di forza e ai poteri che esistono in questo paese".

"Guardiamo la realtà - aggiunge - già ora l’azione penale è indebolita nei fatti, si fanno prima i processi più importanti o quelli a rischio prescrizione. A me sembra che ci siano due strade: una, più difficile da percorrere, richiede un passaggio di riforma costituzionale. Un’altra, più prudente e senz’altro più moderna, intende spostare in alcuni campi i controlli e le sanzioni dalla giurisdizione penale ad altre forme di giustizia non meno efficaci e più tempestive". E se qualcuno intendesse riscrivere la Costituzione su questo punto, conclude Finocchiaro, "rischierebbe di aprire una guerra civile...".

Giustizia: Cassazione; demenza non compatibile col carcere

 

Adnkronos, 28 marzo 2008

 

La demenza senile non sempre è compatibile con il regime penitenziario. Per questo la Cassazione (prima sezione penale, sentenza 12716) ha accolto il ricorso di un indagato di Palermo, Antonino P., che chiedeva di sostituire la custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari presso la propria abitazione o in una clinica neuropsichiatrica a causa della grave patologia di demenza senile da cui era affetto. La Suprema Corte, che ha disposto un nuovo processo per riesaminare il caso di questo detenuto ultra 70enne, scrive che "la demenza necessita di una valutazione particolare onde verificare se il detenuto possa rendersi conto di ciò che accade e della sua condizione di costrizione fisica, anche ai fini di valutarne la pericolosità ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari".

Di diverso avviso era stato il Tribunale della libertà di Palermo, che nell’agosto 2007, aveva detto no alla sostituzione della custodia in carcere sulla base del fatto che la patologia poteva essere curata tranquillamente in carcere attraverso "cure farmacologiche e interventi terapeutici all’interno della struttura".

Contro questa decisione la difesa di Antonino P. ha fatto ricorso con successo in Cassazione sostenendo che il carcere non era adatto per il detenuto affetto da demenza, considerando anche che "nessun intervento in concreto era stato predisposto dalle strutture carcerarie per fronteggiare la malattia". La Cassazione ha accolto il ricorso sottolineando ancora che "la possibilità di sottoporlo ad adeguate cure deve essere esaminata anche in concreto, al fine di verificare se le doglianze della difesa sull’inerzia della struttura carceraria siano effettive e quale ne sia il motivo".

Giustizia: torture a Bolzaneto e atteggiamento della politica

di Stefano Rodotà

 

La Repubblica, 28 marzo 2008

 

Quando a Bruxelles si scriveva la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, qualcuno osservò che torse non era il caso di fare un riferimento esplicito alla tortura. La prima dichiarazione dei diritti del nuovo millennio, si diceva, doveva guardare al futuro, non attardarsi su anacronismi, certamente nobili, ma che l’Occidente civilizzato si era ormai lasciati alle spalle.

Saggiamente si decise di resistere a questa tentazione, e così il divieto, già con forza ribadito dalla Convenzione dell’Onu del 1984, è stato mantenuto nell’articolo 4 della Carta: "Nessuno può essere sottoposto a tortura, ne a trattamenti inumani o degradanti". Si era alla fine del 2000. Di lì a poco sarebbero venuti Guantanamo e Abu Ghraib, le deportazioni verso compiacenti paesi torturatori, i suggerimenti del professor Dershowitz per una tortura "legalizzata" e il veto del presidente Bush contro una sia pur limitata legge antitortura.

E Bolzaneto, Italia. L’Occidente ha dovuto di nuovo fare i conti con il suo lato più oscuro, rimosso non cancellato. In Italia tutti sapevano, o comunque si era di fronte ad una vicenda per la quale davvero l’ignoranza non scusa. Voci diverse si erano levate, le testimonianze si moltiplicavano, ricordo tra le tante la narrazione di un noto giornalista sportivo che, con una straordinaria freddezza di cronista, riferiva lo stato in cui aveva ritrovato suo figlio.

Mai fatti della Diaz e di Bolzaneto venivano progressivamente respinti sullo sfondo, sopraffatti dalle violenze dei black block e dall’uccisione di Carlo Giuliani. Sembrava quasi che le violenze dei manifestanti e la reazione mortale d’un carabiniere appartenessero ad una normalità perversa, ma governata da una sorta d’invincibile fatalità; e descrivessero comunque qualcosa che può accadere quando pulsioni e paure si fanno troppo forti. Bolzaneto no. Da lì si voleva distogliere lo sguardo.

In quelle stanze s’era manifestata all’estremo la "degradazione dell’individuo" tante volte ritenuta inammissibile dalla Corte costituzionale. Ufficialità, perbenismo, cattiva coscienza rifiutavano di specchiarsi nella negazione dell’umano. Proprio quella negazione è svelata dal tremendo catalogo compilato dai magistrati genovesi, e squadernato davanti all’opinione pubblica dall’iniziativa di questo giornale, dagli implacabili reportage di Giuseppe D’Avanzo. Il silenzio istituzionale è stato rotto, la stampa ha ritrovato la sua funzione di ombudsman diffuso, l’opinione pubblica non può più trincerarsi dietro il "non sapevo".

E tuttavia la reazione già appare attutita, inadeguata. Non è venuta un’attenzione corale del sistema dell’informazione: rispetto della regola gelosa per cui non si riprendono le notizie lanciate dagli altri? Non è venuta un’attenzione vera e intensa dall’intero sistema politico: l’eterno gioco delle convenienze, l’eterna vocazione a minimizzare?

Sta di fatto che, dopo i fuochi dei primi giorni, è tutto un troncare, sopire... le norme non ci sono - si dice. Al massimo ci saranno stati comportamenti "devianti" di qualche sconsiderato. E ci si acquieta. Ma i Paesi davvero civili, le democrazie non ancora perdute dietro riti televisivi insensati reagiscono quando scoprono i loro vuoti, le loro inadeguatezze. S’interrogano sulle ragioni, si mettono in discussione.

Proprio il trovarsi nel cuore d’una campagna elettorale avrebbe dovuto favorire il parlar chiaro, gli impegni netti, la sfida alle proprie pigrizie. Perché non dire subito che la prima proposta di legge (o la seconda o la terza, non importa) sarebbe stata proprio quella volta a colmare la vergognosa lacuna dell’assenza di una norma sulla tortura, che rende inadempiente l’Italia non di fronte a un trattato tra i tanti, ma di fronte all’umanità intera?

Perché, tra le varie iniziative e commissioni annunciate con fragore di trombe, non ne è stata inclusa una incaricata di preparare proprio quel testo? Perché tra gli impegni bipartisan su temi di grande e comune interesse, che dovrebbero vedere dopo le elezioni gli sforzi congiunti di maggioranza e opposizione, non compare la questione della tortura, l’impegno a rendere finalmente operante in Italia la Convenzione dell’Onu dopo un quarto di secolo di disattenzioni e di ritardi?

Non basta tornare sulla proposta di una commissione parlamentare d’inchiesta. Conosciamo, purtroppo, il degrado di questo strumento: non sono più i tempi della Commissione De Martino sul caso Sindona o della Commissione Anselmi sulla P2. E, comunque, si tratta di qualcosa di là da venire, che può assumere il sapore del rinvio. Mentre già oggi, pur con le lacune della legislazione penale, sono possibili impegni istituzionali e politici, vincolanti almeno per il futuro ministro dell’Interno: ricorso a tutti gli strumenti amministrativi disponibili per emarginare chi è stato protagonista di quelle vicende; pubblica condanna, senza troppi distinguo, nel momento stesso dell’assunzione dell’incarico.

Una difesa della polizia in quanto tale può essere intesa come una promessa di copertura, la bana-lizzazione degli atti di violenza assomiglia ad una sorta di annuncio di una loro inevitabile ripetizione. Che cosa dire di fronte all’affermazione di un ex-ministro della Giustizia che, parlando di persone obbligate tra l’altro a stare in piedi per ore, si sente autorizzato a fare battute di pessimo gusto sui metalmeccanici che sono in questa condizione ogni giorno per otto ore?

Ma l’irresponsabilità politica viene da lontano. Ricordo un sottosegretario alla Giustizia, poi transitato nelle schiere garantiste quando le inchieste giudiziarie cominciarono a riguardare il ceto politico, che venne alla Camera dei Deputati a parlare di violenze carcerarie sostenendo che, avvertiti di un trasferimento, alcuni detenuti si erano "sporcati il viso con vernice rossa". Giuliano Amato ha sottolineato che "si è strillato molto più per Guantanamo che non per Genova. Siamo più sensibili ai diritti umani nel mondo che al loro rispetto in casa nostra".

Chiediamoci perché, allora. E la risposta va cercata proprio nell’eclissi sempre più totale della cultura dei diritti, sopraffatta da un’enfasi sproporzionata e strumentale sul bisogno di sicurezza. I diritti disturbano, possono essere sospesi, com’è appunto accaduto a Bolzaneto.

La fabbrica della paura è divenuta parte integrante della fabbrica del consenso. Basta girare per il centro di Roma, dove si circola senza particolari problemi, invaso da manifesti davvero bipartisan che ossessivamente promettono sicurezza, e solo sicurezza. Quale enorme responsabilità assume in questo modo la politica, creando un clima che induce a ritenere giustificata qualsiasi reazione.

E non si insiste, come sarebbe doveroso, sul fatto che la magistratura, una volta di più, è stata l’unica istituzione capace di vera e civile reazione. Si colgono, anzi, atteggiamenti stizziti, dietro i quali non è difficile scorgere il disagio di chi avverte che l’inchiesta di Genova non rivela soltanto comportamenti inqualificabili, ma mette a nudo i limiti della politica. Si celebrano i giudici lontani, com’è giustamente accaduto quando la Corte Suprema degli Stati Uniti condannò le violazioni dei diritti a Guantanamo. Troppi dimenticano di dire che la vergogna di Genova può cominciare ad essere riscattata solo contrapponendo la civiltà giuridica e la lealtà istituzionale dei magistrati genovesi alla violenza contro l’umano e la legalità consumata a Bolzaneto.

Giustizia: psicologi carcere; concorso ma nessuna assunzione

 

Dire, 28 marzo 2008

 

"Nonostante abbiano vinto un concorso pubblico indetto dal Ministero della Giustizia, 39 colleghi non sono stati assunti. Una situazione che peggiora ulteriormente le condizioni lavorative dei professionisti psicologi che operano all’interno degli Istituti di pena". A lanciare l’allarme è il consigliere dell’Ordine degli psicologi del Lazio, Gisella Gasparini, in occasione della presentazione, avvenuta questa mattina a Regina Coeli, dell’opuscolo "Conoscere per prevenire" promosso dal Garante regionale per i diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, con l’obiettivo di diffondere tra i reclusi la conoscenza delle principali malattie infettive presenti in carcere.

"Queste decisioni - afferma Gasparini - nonostante gli appelli e la lettera inviata al ministro della Giustizia, rischiano di minare nelle fondamenta la possibilità di assicurare un aiuto psicologico efficace a chi è sottoposto a misure restrittive". Sottolineando, poi, che la salute psicologica dei detenuti rappresenta "una vera e propria emergenza nella realtà carceraria", la rappresentante della categoria professionale ricorda che gli immigrati costituiscono il 44% dei reclusi e che, per questo, "come Ordine abbiamo proposto alle due facoltà di Psicologia l’istituzione di un corso di Etnopsicologia, con l’obiettivo di fornire le competenze necessarie per affrontare il fenomeno immigrazione".

Roma: caso Contrada; dalla Cassazione no a scarcerazione

 

Ansa, 28 marzo 2008

 

Resta in carcere Bruno Contrada, l’ex numero tre del Sisde condannato a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e detenuto nel penitenziario militare di Santa Maria Capua Vetere. Lo ha deciso la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Severo Chieffi, rigettando il ricorso presentato dalla difesa di Contrada contro l’ordinanza con cui, il 10 gennaio scorso, il tribunale di Sorveglianza di Napoli aveva respinto l’istanza di differimento di esecuzione della pena per gravi motivi di salute del detenuto. Il sostituto procuratore generale della Suprema Corte, Tindari Baglione, con una requisitoria scritta, aveva invece sollecitato l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.

Sassari: un detenuto tenta di sgozzarsi davanti al giudice…

di Daniela Scano

 

La Nuova Sardegna, 28 marzo 2008

 

Si disperava, cercando lo sguardo della ex moglie che si stava costituendo parte civile. Piangeva e implorava: "Perché non mi guardi? Non farmi questo". All’improvviso ha urlato "guarda" e ha fatto un gesto di traverso sul collo. Per un istante i presenti hanno pensato a una minaccia, poi dalla ferita ha cominciato a sgorgare il sangue. Sei agenti si sono lanciati su Pietro Paolo Carboni, 39 anni, per strappargli la lama che chissà come era riuscito a portare fin dentro l’aula del tribunale.

Momenti di panico nell’aula delle udienze preliminari dove ieri mattina un detenuto, imputato di maltrattamenti in famiglia, ha tentato di togliersi la vita tagliandosi la gola con una lametta o con pezzetto di lamiera. Saranno le indagini ad accertare come l’uomo si sia procurato r"arma". Chi ha assistito alla scena, verificatasi durante una udienza in camera di consiglio, ha escluso che Carboni volesse compiere un gesto dimostrativo.

L’uomo, che era riuscito non si sa come a eludere i controlli in carcere, è stato salvato dalla polizia penitenziaria e ora è ricoverato nella infermeria della casa circondariale. Le ferite al collo sono numerose, almeno una decina, ma per fortuna poco profonde. Al momento del tentato suicidio in aula c’erano il Gup Massimo Zaniboni, il pm Roberta Pischedda, la moglie del detenuto con il suo legale Paolo Spano, l’avvocato difensore Nicola Satta, una praticante legale e gli agenti della scorta che avevano tradotto il detenuto da San Sebastiano.

Pietro Paolo Carboni era imputato di avere trasformato in un incubo la vita della sua compagna. Gravi episodi di violenza domestica che a ottobre avevano fatto finire l’uomo dietro le sbarre, n difensore e il pm si erano accordati per due anni di reclusione che Carboni, che ha precedenti penali, avrebbe scontato in carcere. Una scelta consapevole, quella del patteggiamento, e pochi minuti di udienza per metterla in atto. Niente faceva prevedere ciò che è accaduto anche se la dinamica dei fatti dimostra che Carboni, già autore di gesti di autolesionismo, aveva pianificato tutto.

L’uomo ha cominciato a piangere fin dal momento dell’ingresso in aula. La presenza della moglie, arrivata per costituirsi parte civile, ha peggiorato il suo stato d’animo. Mentre il giudice scriveva il dispositivo di sentenza c’è stata la drammatica escalation. Carboni si è rivolto alla donna, che si era seduta in modo da non incrociare il suo sguardo, e le ha chiesto per tre volte "perché mi fai questo?".

È successo tutto in un attimo. Pietro Paolo Carboni, al quale erano state tolte le manette dubito dopo l’ingresso in aula, ha cominciato a tagliarsi il collo e a grondare sangue. Il primo a tentare di strappare di mano la lama all’uomo è stato il suo difensore. L’avvocato Nicola Satta è stato spinto di lato dal cliente che, dicono i presenti, con una forza straordinaria si è scrollato di dosso anche tre agenti. L’udienza è stata sospesa e la moglie di Carboni è scappata fuori dall’aula in stato di choc. Pietro Paolo Carboni è stato placcato da sei poliziotti penitenziari che a fatica lo hanno ammanettato e riportato in carcere, dove l’uomo è stato medicato in infermeria.

La scena ha scosso tutti i presenti. Il giudice ha sospeso l’udienza e ha rinviato al 24 la lettura del dispositivo della sentenza. Dal Gup Zaniboni e dal segretario del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, sono arrivate parole di elogio per il coraggio e la prontezza di riflessi degli uomini della scorta.

L’episodio ripropone il problema della sicurezza a palazzo di giustizia. Nell’aula delle udienze preliminari non ci sono sistemi di isolamento dei detenuti dal pubblico.

Ferrara: carcere finisce sotto esame per il sovraffollamento

 

www.estense.com, 28 marzo 2008

 

Carcere sotto esame questa mattina, con la visita in via Arginone di Eugenio Sarno. Il segretario generale della Uilpa-Penitenziari verrà per rendersi personalmente conto dello stato in cui versa la Casa Circondariale di Ferrara.

"Siamo molto preoccupati per il trend al rialzo degli ingressi in carcere che in Emilia fa toccare le punte più alte - afferma Sarno -, tanto da essere quasi tornati ai livelli di sovrappopolamento di prima dell’indulto. Ciò, inevitabilmente, alimenta tensioni e criticità all’interno degli istituti con dirette ripercussioni sul personale operante, sui servizi erogati e sulla stessa sicurezza pubblica". Il segretario della Uil-Penitenziari sarà accompagnato dal segretario regionale Giuseppe Crescenza e dal segretario provinciale Francesco Marcolin.

"Cercheremo di verificare lo stato dei luoghi e le condizioni di lavoro . Gli esiti della visita saranno trasferiti , per competenza, al provveditore regionale e al dipartimento - conclude il segretario generale - ma non mancheremo di offrire anche all’opinione pubblica e alla stampa le nostre considerazioni".

Sanremo: sovraffollamento, la presa di posizione del Sappe

 

www.sanremonews.it, 28 marzo 2008

 

La segreteria regionale del Sappe, l’organo sindacale maggiormente rappresentativo sul territorio nazionale, con circa 12.000 iscritti, segnala nuovamente l’attuale situazione in cui versa il penitenziario di Valle Armea, a meno di due anni dalla legge dell’indulto carcerario. Il numero dei detenuti all’interno del carcere risulta essere salito repentinamente negli ultimi tre mesi e, al momento, sono circa 300 i detenuti ospiti del penitenziario sanremese: "Una soglia veramente preoccupante - scrive il Sappe - un dato letto con dubbiosità in quanto supererebbe la portata tollerabile dell’istituto compromettendo notevolmente la sicurezza interna. A pagarne le spese sono i poliziotti penitenziari, in particolare quelli cosiddetti di prima linea.

Ci vengono riportate molteplici lamentele: in pratica in celle da quattro vivono in otto, e in celle da uno vivono in tre, lasciando immaginare il disordine interno e la incontrollabilità da parte della polizia preposta alla sicurezza del carcere e di conseguenza della società esterna. I poliziotti di Valle Armea - denuncia il Sappe - si trovano da tempo notevolmente sotto organico a fronteggiare carichi di lavoro abnormi e non sempre alla portata

dell’essere umano, tra tutto questo dobbiamo registrare comunque che la Polizia Penitenziaria opera con la massima abnegazione da una parte e con la buona sorte dall’altra, portando avanti gli obiettivi primari del servizio. Il personale inizia ad accusare il colpo e, in qualche caso abbiamo assistito di recente, all’abbandono anticipato del servizio per stress psico-fisico di qualche unità esperta e matura, fattore questo molto diffuso a livello nazionale.

Il Sappe non ci sta e chiede che la direzione della Casa Circondariale di Sanremo e il vertice regionale, analizzino e concretizzino in tempi brevi, la risoluzione del pesante sovraffollamento dell’istituto: "Questo termina il sindacato - tornerebbe utile a restituire la giusta e idonea condizione lavorativa di tutta la Polizia Penitenziaria". La problematica sarà evidenziata durante la manifestazione di Genova del 4 aprile prossimo.

Immigrazione: detenuti trasferiti nelle città con loro Consolati

 

Asca, 28 marzo 2008

 

Verranno portati negli istituti delle città in cui si trovano i loro consolati. Espulsioni più veloci, senza passare per i Cpt. I detenuti extracomunitari verranno trasferiti nelle carceri delle città dove si trovano i consolati dei loro Paesi d’origine. In questo modo sarà più facile identificarli e acquisire i documenti necessari per il rimpatrio, senza doverli portare nei Centri di Permanenza Temporanea. È l’impegno preso ieri, al termine di un tavolo di lavoro con Viminale e Farnesina, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

In una prima fase sperimentale, parte dei detenuti extracomunitari che si trovano nelle 205 carceri italiane (in tutto sono 18mila) verrà trasferita negli istituti penitenziari delle città con i consolati di primo livello, quelli cioè più importanti. All’interno di queste strutture verranno messi a disposizione locali per lo svolgimento dell’intervista consolare indispensabile per l’identificazione. Trasferimenti in vista anche per i detenuti stranieri già identificati da rimpatriare, che verranno portati in istituti vicini a porti o aeroporti da dove avverrà l’espulsione. Le carceri verranno inoltre dotate di locali l’udienza di convalida dell’ espulsione amministrativa da parte del giudice di pace.

Si vuole evitare, spiega una nota del Dap, "che i detenuti e gli internati extracomunitari, una volta terminato il periodo di detenzione, debbano essere trattenuti per l’identificazione presso i centri di permanenza temporanea, subendo un ulteriore protrazione della durata della limitazione della libertà personale". Nessun potenziamento, per ora, agli organici di polizia penitenziaria, ma durante la sperimentazione verranno valutati gli sforzi che comporterà questa nuova procedura.

L’impegno del Dap anticipa di fatto uno dei punti della riforma dell’immigrazione. La bozza del ddl Amato Ferrero prevede infatti "nuove procedure per identificare gli stranieri durante l’esecuzione di misure restrittive della libertà personale, idonee ad escludere la necessità di un successivo trattenimento".

Droghe: Sinistra Arcobaleno; depenalizzare sostanze leggere

 

Notiziario Aduc, 28 marzo 2008

 

Gratuità nell’accesso ai metodi contraccettivi e depenalizzazione di tutte le condotte legate al consumo personale di droghe leggere come l’auto coltivazione della cannabis. Sono alcuni temi sui quali si concentrerà l’attenzione dei Giovani della Sinistra Arcobaleno con iniziative che si svolgeranno nelle ultime settimane di campagna elettorale.

Si comincia sabato 29 marzo, spiega una nota, con la distribuzione gratuita di birre dopo la mezzanotte per protestare contro le ordinanze comunali proibizionistiche che vietano la vendita di alcolici dopo un certo orario. Da oggi fino al voto, saranno organizzati banchetti informativi presso le sedi universitarie e in tutti i luoghi di aggregazione giovanile e verranno distribuiti i preservativi e le cartine "arcobaleno".

Una presa di posizione contro chi promuove la moratoria per modificare la 194 e contro la legge Fini-Giovanardi che criminalizza migliaia di giovani che fanno uso di droghe leggere, e alimenta il traffico illecito con cui prosperano le organizzazioni criminali organizzate. Il 2 aprile invece, è prevista un’iniziativa sugli autobus, per rivendicare la gratuità del trasporto pubblico per studenti e lavoratori precari.

I Giovani della Sinistra L’Arcobaleno, prosegue la nota, propongono l’abolizione delle norme previste nella legge 30 che favorisce l’abuso dei contratti a termine e, sulla scorta dell’esperienza maturata in diversi paesi d’Europa, l’istituzione per legge della Retribuzione Sociale da riservare ai giovani disoccupati di lunga durata, che consista di reddito e servizi sociali gratuiti. Inoltre, è in programma un’azione simbolica per protestare contro il copyright e le eccessive restrizioni della Siae, che a causa dei prezzi eccessivi di accesso alla cultura, strozzano non solo le possibilità di acquisto degli utenti, ma anche la possibilità di emergere di qualsiasi nuovo artista. Per questo è prevista la distribuzione di 500 cd masterizzati con materiale pirata (data e luogo ancora da definire). Infine, sono previste due feste per il 5 e il 9 aprile, la prima all’insegna del reggae a Scandicci. La festa del 9 sarà invece la serata conclusiva della campagna dei Giovani de La Sinistra l’Arcobaleno.

Olanda: divieto di fumo nei locali, ma non per la marijuana

 

La Stampa, 28 marzo 2008

 

L’Olanda dice basta al fumo nei locali, ma solo quello delle sigarette. Hashish e marijuana si potranno ancora fumare liberamente, purché puri. A partire dal prossimo primo di luglio anche ad Amsterdam scatterà la legge già in vigore nella maggior parte dei paesi europei che costringe i tabagisti più incalliti ad uscire dai ristoranti tra un pasto e l’altro, a bere una birra al freddo e a flirtare fuori dai pub pur di non rinunciare all’amata sigaretta.

Ma gli affezionati alle droghe leggere hanno scampato il pericolo, perché "il divieto riguarda soltanto il tabacco, e non si applicherà ai prodotti che non lo contengono". A ribadirlo è stato oggi il ministro alla Salute olandese Ab Klink, che ha voluto fare chiarezza un’ennesima volta sull’applicazione della legge nei Paesi Bassi - dove il consumo di droghe leggere è legale per i maggiorenni - ed escludere la possibilità di estendere il divieto anche ai cannabinoidi.

I clienti dei coffee-shop, i locali dove si possono fumare liberamente hashish e marijuana, potranno continuare a fumare i cosiddetti "purini", ovvero gli spinelli fatti con sostanze stupefacenti senza l’aggiunta di tabacco, mentre dovranno astenersi dal consumare le canne che contengono un misto di tabacco e droga: "i dipendenti dei coffee shop - ha sottolineato oggi il ministro - devono poter godere dello stesso diritto di chi lavora in qualunque luogo pubblico, e lavorare in un ambiente libero dal tabacco".

Stati Uniti: Mumia sfugge al boia, ora avrà un nuovo processo

 

Associated Press, 28 marzo 2008

 

Ex Pantera Nera, ex giornalista in prima linea per i diritti civili dei neri, detenuto-simbolo della lotta alla pena di morte, Mumia Abu-Jamal, 53 anni, accusato di avere ucciso un poliziotto nel 1981, ha visto ieri la condanna capitale annullata, per la seconda volta, da un tribunale federale, che ne ha però confermato la colpevolezza.

In realtà la notizia non è buona come sembra. Abu-Jamal, che da sempre si dice innocente, puntava ad un nuovo processo, sostenendo di esser stato condannato da una giuria in sostanza razzista. L’uomo - al secolo Wesley Cook - ha invece solo ottenuto la possibilità di una nuova sentenza, da parte di una nuova giuria. Sentenza che potrà solo essere l’ergastolo o la pena di morte, visto che la procura intende fare appello (ha sei mesi per farlo).

Che la vittoria degli anti-pena di morte sia relativa, lo conferma la prima reazione del comitato di sostegno al condannato, secondo cui "la decisione è devastante", chiamando a manifestare a New York (oggi) e a Filadelfia (in aprile). La corte di appello federale di Filadelfia ha confermato, con due voti a favore e uno contro, la sentenza del 2001, quando un giudice annullò una prima volta la sentenza di morte, chiedendo una nuova udienza entro 180 giorni per evitare che la pena venisse automaticamente commutata in ergastolo.

La giuria che condannò Abu-Jamal era composta da 10 bianchi e due neri. Ma la corte d’appello non ha preso in esame le accuse di razzismo visto che i due terzi dei giurati ricusati erano neri. Piuttosto ha considerato errate le istruzioni date alla giuria nel processo del 1982.

Definito negli anni Ottanta "la voce dei senza voce", presidente dei giornalisti neri americani al momento dell’arresto, Abu-Jamal era in prima linea nella denuncia delle violenze della polizia di Filadelfia, spesso a carattere razzista.

Di notte, per arrotondare, faceva il tassista. La notte tra l’8 e dicembre 1981, la polizia lo trovò in strada privo di sensi ferito da un’arma da fuoco, accanto al cadavere di un poliziotto, Daniel Faulkner. L’anno dopo, fu condannato a morte. Il boia è inattivo negli Usa dal 25 dicembre 2007: la Corte suprema, decidendo di esaminare la costituzionalità delle esecuzioni mediante iniezioni letali, il metodo usato in quasi tutti gli stati americani, ha in pratica ha fatto scattare una moratoria sulle esecuzioni.

 

 

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