Rassegna stampa 27 marzo

 

Opera (Mi): uccise la fidanzata, detenuto s’impicca in cella

di Davide Carlucci

 

La Repubblica, 27 marzo 2008

 

In mattinata aveva avuto un colloquio con la madre. Qualche ora dopo, devastato dalla depressione e dai sensi di colpa, si è tolto la vita. Davide Folli, 27 anni, era detenuto nel carcere di Opera dove stava scontando dodici anni per omicidio: il 7 dicembre del 2006 uccise a coltellate la fidanzata, Valentina Colangelo. Alla polizia disse: "Ho dovuto ucciderla, lei era il diavolo". Deliri frutto di un consumo esagerato di cocaina e anfetamine. Per questo l’8 ottobre il giudice dell’udienza preliminare Piero Gamacchio gli riconobbe la seminfermità mentale e la possibilità di trascorrere tre anni in una casa di cura e di custodia.

Folli ha approfittato dell’assenza del suo compagno di cella per impiccarsi annodando delle lenzuola. L’agente di custodia che lo sorvegliava è arrivato pochi secondi dopo, lo ha trovato agonizzante e ha tentato di soccorrerlo: ma i massaggi cardiaci degli operatori sanitari del carcere prima e del 118 poi non sono bastati. "La madre è distrutta - dice Roberto Pasella, l’avvocato che assisteva Folli - lui non riusciva a darsi pace, quell’omicidio gli è rimasto dentro, ne era ossessionato. Sebbene soffrisse già da prima di problemi psichici, finito l’effetto dell’anfetamina si era reso conto della follia commessa e non è riuscito a uscirne".

Non è la prima volta che nelle carceri milanesi si fa i conti con la morte di detenuti. A novembre del 2006, per esempio, il ventiseienne Samir Akar si è tolto la vita a Bollate, dove altri precedenti si erano già registrati mesi prima. A Opera è il secondo suicidio nel giro di pochi mesi: a fine agosto si è tolto la vita Giuseppe Spera, 69 anni, sostenitore del boss mafioso Bernardo Provenzano.

Nessuno, però, accusa di scarsa vigilanza il personale dell’istituto penitenziario. Non lo fa Pasella - "era un soggetto a rischio e veniva seguito ma non si immaginava che potesse compiere un gesto del genere" - e nemmeno Francesco Morelli, del Centro Studi di "Ristretti Orizzonti", che si occupa da anni delle morti in carcere.

"Gli agenti - spiega Morelli - di solito fanno tutto il possibile per prevenire i suicidi. Il problema è che manca un trattamento adeguato da parte di professionisti del trattamento. E i soggetti più deboli sono proprio quelli che hanno commesso violenze o omicidi nei confronti di persone alle quali erano legate. In un carcere di Opera, che ospita 1.200 detenuti, servirebbero 20 educatori e invece ce ne sono soltanto 3".

Anche Francesco Di Dio, del Sappe, il sindacato di Polizia Penitenziaria, concorda con l’insufficienza di figure professionali. "In questi anni c’è stato un sovraffollamento incredibile di detenuti, il carico di lavoro è aumentato per tutti. E aumenterà ancora con il completamento della nuova sezione del 41 bis".

Da maggio l’edificio che già ospita Totò Riina e Salvatore Lo Piccolo potrebbe popolarsi di nuovi boss e rischia di scoppiare. Un possibile nuovo capitolo del "mal di carcere" milanese che ha suscitato a Pasqua l’indignazione del cardinale Dionigi Tettamanzi, raccolta ieri dal presidente della corte d’Appello Giuseppe Grechi durante la presentazione di un libro: "Il carcere milanese di San Vittore è un’autentica vergogna. Me ne vergogno da magistrato e da cittadino".

Giustizia: corpi reclusi, corpi ancora oggi senza un Garante

di Luigi Manconi (Sottosegretario alla Giustizia)

 

L’Unità, 27 marzo 2008

 

Si parla da tempo di istituire un controllo dei luoghi di detenzione. Forse il racconto delle condizioni di vita a cura di Antigone può riproporre la questione. Un protagonista indiscusso ha solcato le scene della politica negli ultimi anni. Da un trentennio in qua, gli spazi formali di relazione sociale si sono andati via via riempiendo di un’immediata materialità: il corpo umano, con il suo carico di concretezza e individualità, è stato l’oggetto principe della nostra riflessione, del radicarsi degli schieramenti, della produzione normativa, dell’iniziativa politica. 11 corpo che ci identifica, il corpo che si riproduce, che è potenziale donatore di organi o potenziale malato terminale.

Un anno fa fu Piergiorgio Welby a rappresentare il momento più alto di partecipazione collettiva a una pubblica riflessione, un uomo che chiedeva di poter sospendere la vita artificiale del proprio corpo malato. Oggi le Nazioni Unite votano la moratoria della pena capitale. La pena di morte non è soltanto la pena estrema, la massima punizione che sia dato immaginare, ma è anche e soprattutto l’estremo dominio sul corpo, il potere sommo di uno Stato che decide della fine di una esistenza umana.

E poi c’è il corpo recluso, privato della sua libertà di movimento, esposto a tutti i rischi della sua condizione. Del corpo recluso ci parla Diritti e castigo. Il rapporto sulle istituzioni totali italiane del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, a cura di Susanna Manetti e Gennaro Santoro dell’Associazione Antigone, uscito recentemente per le edizioni Carta. Il libro rende disponibili in lingua italiana i rapporti del Comitato relativi alle sue due ultime visite all’Italia, quella periodica del 2.004 e quella ad hoc di due anni successiva.

Il Cpt è un organismo del Consiglio d’Europa istituito per monitorare le condizioni di vita all’interno di tutti quei luoghi nei quali una pubblica autorità priva chiunque della propria libertà personale, perché condannato a scontare una pena (carceri), perché forse lo sarà (carceri o caserme o camere di sicurezza), perché privo di qualche requisito amministrativo (centri di permanenza temporanea e assistenza per stranieri), perché incapace di intendere e di volere (ospedali psichiatrici o luoghi dove si attuano trattamenti sanitari obbligatori) e via dicendo. Il Comitato controlla che le persone private della libertà non vengano assoggettali a pratiche di tortura, né sottoposti a trattamenti o pene inumane e degradanti.

Ben 47 Stati hanno deciso di rinunciare a una parte considerevole della propria sovranità - da un punto di vista simbolico quanto effettuale -, permettendo agli ispettori europei di accedere senza preavviso al luoghi di privazione della libertà, di parlare privatamente con chiunque, di visionare ogni documento rilevante. L’Italia è ovviamente tra questi.

Il Comitato per la Prevenzione della Tortura visita i luoghi di detenzione e li descrive in rapporti, che presentano rilievi e raccomandazioni. Eppure, come tutti gli organismi sovranazionali che si occupano di diritti umani, non buca gli schermi e non riscalda i cuori. In pochi sanno della loro esistenza, perfino tra gli addetti ai lavori (recentemente, proprio in Italia, gli ispettori del Cpt rischiarono di finire in manette ad opera di un agente di polizia troppo zelante e ignaro della loro funzione e del loro status diplomatico riconosciuto dalle convenzioni internazionali).

Ciò rende ancora più urgente la diffusione di una cultura dei diritti umani: e, in quest’ottica si inserisce la previsione di un’autorità nazionale indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. E dal lontano 1997 che se ne parla, di un Garante delle persone private della libertà, e ancora una volta lo scioglimento anticipato della legislatura ne ha lasciato a metà del guado il disegno di legge istitutivo, mentre crescono e si diffondono le sperimentazioni ali- vello regionale e locale.

Diritti e castigo ci dà conto, contribuisce a riproporre nella prossima legislatura due proposte di legge: la prima è quella, appunto, istitutiva del Garante dei diritti dei detenuti; la seconda è la previsione del reato di tortura nel nostro codice penale, adempiendo così a un ventennale obbligo internazionale. La parola "tortura" e il concetto che le corrisponde sono da utilizzarsi in modo aperto. Il potere dello Stato sul corpo dell’individuo può trasformarsi in quanto di più crudele e pericoloso per la democrazia. Tanto più oggi, quando urla di emergenza vorrebbero relegare in secondo piano i diritti umani.

Come dice Zygmunt Barman, nell’intervista che si può leggere nell’ampio apparato introduttivo di Diritti e castigo (che contiene anche contributi di Loic Wacquant e del presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura, l’italiano Mauro Palma), gli Stati contemporanei sembrano costruire la loro autorità sulla vulnerabilità personale, piuttosto che sulla protezione sociale. I rapporti del Cpt e iniziative editoriali come questa ci indicano una via per sottrarre la vita umana all’arbitrio del potere e per restituire alla politica la responsabilità del bene comune e della libertà individuale.

Giustizia: basta con le Commissioni… adesso serve il Garante

di Gennaro Santoro (Coordinatore Associazione Antigone)

 

Aprile on-line, 27 marzo 2008

 

Dopo l’istituzione e il lavoro di tante Commissioni per la riforma del Codice penale è necessario che nella prossima legislatura non vi sia l’ennesimo gruppo di studio. Il ‘75 e il ‘98 hanno segnato alcune conquiste che hanno posto al centro del carcere la persona ristretta, ma il nostro codice penale è ancora quello fascista, che per i fatti di Genova ha prodotto una disuguaglianza mostruosa

Diritti umani, diritti sociali, giustizia ed eguaglianza. Sessanta anni fa i nostri costituenti consegnavano ad un paese uscito da due guerre mondiali le fondamenta dello Stato sociale di diritto. Dopo 60 anni è il Ministro Amato ad ammettere su Repubblica che "Bolzaneto è una gran brutta storia", e ad aggiungere che è dura da accettare che ancora oggi ci siano servitori dello Stato che hanno dimostrato di disprezzare la disciplina costituzionale della libertà personale.

Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, ha posto un chiaro quesito: "Quale messaggio ci invia su noi stessi e sul nostro sistema sociale un ordine di priorità che penalizza più un danneggiamento o un furto che non una giovane spinta con la testa nel water da un agente?".

Il codice penale, scritto in periodo fascista, tutela principalmente i beni materiali piuttosto che la dignità delle persone, la loro incolumità. I costituenti avevano ben chiaro tale limite e auspicavano un’immediata riforma del sistema delle pene alla luce del nuovo dettato costituzionale incentrato sul rispetto della persona come pre-regola del vivere democratico.

Un codice, quello fascista ancora vigente, che per i fatti di Genova ha prodotto una disuguaglianza mostruosa: 5 anni e 8 mesi la pena massima richiesta per le torture inflitte dalle forze dell’ordine per un totale di 76 anni di pena contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio; 11 anni di pena massima inflitti per le devastazioni e i danneggiamenti dei manifestanti per un totale di oltre 102 anni di pena disposti in sentenza.

Forze dell’ordine, preme evidenziare, che, al contrario dei manifestanti condannati, non solo non sconteranno pene grazie alla prescrizione rivista dalla legge Cirielli (la stessa che introduce la tolleranza zero contro i recidivi). Vieppiù, sono stati promossi e non sospesi dai loro incarichi in quanto, come spiega il Ministro Amato "Prima della sentenza penale è possibile sospendere un funzionario dal servizio soltanto se accusato di alcuni gravi reati, come la collusione con un’associazione mafiosa. Qui, però, davanti a reati trattati come abuso d’ufficio o violenza privata ciò è impossibile. Altro sarebbe il discorso se esistesse una norma che punisse espressamente gli atti di tortura o i comportamenti crudeli e disumani, che ritengo possano essere parificati, per gravità, alla collusione mafiosa".

Dopo l’istituzione e il lavoro di tante commissioni per la riforma del codice penale, vorremmo che nella prossima legislatura non vi sia l’ennesimo gruppo di studio. Il lavoro della commissione Pisapia restituirebbe agli italiani un sistema più efficace ed equilibrato. La riduzione del numero complessivo di reati, infatti, permetterebbe ai magistrati di poter concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia. Assicurerebbe, dunque, alle vittime un conforto nella giustizia, agli imputati di non scontare in attesa di giudizio (attualmente, il 60% della popolazione carceraria) le lungaggini processuali, ai condannati di non vivere in celle sovraffollate e disumane.

Nel 1948 è entrata in vigore la Costituzione che all’art. 27 sancisce che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Grazie ad un emendamento dell’onorevole Aldo Moro fu chiarito una volte per tutte che la privazione della libertà personale, le varie carceri non possono costituire un "non luogo" dove la legalità possa essere derogata in nome di "valori" superiori, come avviene nella "cura Ludovico"‘nel film Arancia meccanica, dove in nome della sicurezza e del reinserimento sociale si legittima la lesione istituzionale dell’incolumità fisica e della dignità della persona umana. Il ‘68, le lotte per l’eguaglianza, capolavori denuncia come Detenuto in attesa di giudizio hanno portato poi all’approvazione dell’ordinamento penitenziario del ‘75 che ha posto al centro del pianeta carcere la persona ristretta. Nel 1998 la legge Simeone - Saraceni perfezionava la legge Gozzini sulle misure alternative, quella che realmente ha permesso (e permette) di sconfiggere la recidiva dei condannati, abbattendola in 8 casi su 10 tra chi ha usufruito di misure alternative (contro la media dei 3 su 10 tra chi ha espiato la sola restrizione in carcere).

Poi, si sono susseguite le politiche demagogiche ed inefficaci dei pacchetti sicurezza e le sospensioni dello stato di diritto targate Napoli e Genova 2001. Il 2008 potrebbe essere l’anno della introduzione del Garante delle persone private della libertà personale, dell’introduzione del reato di tortura e, soprattutto, dell’entrata in vigore del nuovo codice penale. I costituenti e i cittadini ne sarebbero grati.

Giustizia: risorse per sicurezza, programmi Pd e Pdl distanti

di Antonella Autero

 

Il Denaro, 27 marzo 2008

 

Obiettivo: sicurezza. È uno dei punti cardine dei programmi di Pd e Pdl, che pongono il ripristino della legalità in testa ai propri impegni elettorali. "La sicurezza, prima di tutto" recita il vademecum di Walter Veltroni. "Subito azioni di contrasto alla criminalità organizzata e un piano di emergenza per la legalità" replica Silvio Berlusconi in una delle sue "sette missioni". Ma è sull’impiego di risorse, sia finanziarie sia logistiche, che i due poli risultano distanti. Il Popolo della libertà punta su un aumento progressivo delle risorse per la sicurezza e su una maggiore presenza di poliziotti e carabinieri di quartiere. Si impegna, invece, per la "qualità" e la riorganizzazione delle forze in campo il Pd, per il quale la sicurezza non è solo "questione di entità delle risorse pubbliche ", ma anche di migliore impiego di quelle umane e finanziarie.

Maggiore presenza o migliore organizzazione delle forze armate sul territorio, un freno all’immigrazione clandestina, certezza della pena, incentivi all’utilizzo di sistemi avanzati di videosorveglianza. In apparenza, la ricetta per la sicurezza ha gli stessi ingredienti per Pd e Pdl. Ma è sul ruolo e l’utilizzo delle risorse che i poli divergono.

Si impegna per un aumento progressivo delle risorse il leader del Pdl Silvio Berlusconi. Che propone una sorta di decalogo della sicurezza: aumento di poliziotti e carabinieri di quartiere per rafforzare la prevenzione dei "reati diffusi"; incentivi per istallazione di sistemi di sicurezza nei pubblici esercizi; lotta al terrorismo interno ed internazionale. E ancora: tutela dell’ordine pubblico dagli attacchi dei "disobbedienti" e aumento delle pene per reati contro forze dell’ordine.

 

Più organizzazione

 

La sicurezza non è solo questione di entità delle risorse pubbliche dedicate, ma anche di migliore impiego delle risorse umane e finanziarie disponibili. La pensa così, invece, il Pd di Walter Veltroni, secondo il quale "se si vogliono più agenti in divisa a presidio dl territorio, di giorno e di notte, in centro e in periferia, nelle città e nelle campagne, si impone l’adozione di un vero e proprio nuovo modello di sicurezza". Il Pd pensa, in particolare a un’azione di riordino strutturale e organizzativo. L’obiettivo è eliminare ogni duplicazione funzionale tra quelle a competenza generale e quelle a competenza specialistica.

 

Clandestini

 

Capitolo a sé quello che riguarda i rapporti con gli immigrati. Il Pdl si dichiara contrario a qualsiasi sanatoria per i clandestini, ma pronto ad aprire nuovi Centri di permanenza temporanea. Nel programma si annuncia una corsia preferenziale per l’immigrazione regolare ai lavoratori dei paesi che garantiscono la reciprocità dei diritti, impediscono la partenza di clandestini dal proprio territorio e accettano programmi comuni di formazione professionale nei loro paesi. C’è, inoltre, la conferma del collegamento stabilito nella Legge Bossi-Fini fra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Lotta alla clandestinità anche dal fronte Pd, che si propone di favorire la regolarità dell’ingresso e della permanenza nel Paese e contrastare duramente la criminalità. A tale scopo Veltroni propone di dare "migliore efficacia ed effettività" ai provvedimenti di espulsione e di organizzare un sistema di contrasto della clandestinità in cui siano presenti i Centri di Identificazione e Garanzia per la determinazione dell’identità degli irregolari.

 

Certezza della pena

 

La certezza della pena è un altro comune denominatore dei programmi di Pd e Pdl. Una garanzia che per Berlusconi deve concretizzarsi con la previsione che i condannati con sentenza definitiva scontino effettivamente la pena inflitta ed esclusione degli sconti di pena per i recidivi e per chi abbia commesso reati di particolare gravità e di allarme sociale. E non solo: il Popolo delle libertà punta anche sull’inasprimento delle pene per i reati di violenza sui minori e sulle donne; il gratuito patrocinio a favore delle vittime; la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle esistenti. La certezza della pena, per il Pd, passa invece attraverso l’approvazione di quella parte del "Pacchetto Sicurezza" che ha ampliato il numero dei reati di particolare allarme sociale, prevedendo la cosiddetta custodia cautelare obbligatoria; il giudizio immediato per gli imputati detenuti; l’applicazione d’ufficio (e non più a richiesta del Pm) della custodia cautelare in carcere già con la sentenza di primo grado (e non più con quella d’appello); l’immediata esecuzione della sentenza di condanna definitiva senza meccanismi di sospensione.

Giustizia: perché la politica non tollera più la magistratura?

di Francesco Bretone (Procuratore della Repubblica)

 

www.radiocarcere.com, 27 marzo 2008

 

Sono entrato in magistratura quando l’asfalto delle strade siciliane si imbeveva del sangue dei mai dimenticati Falcone e Borsellino; seguì la stagione di mani pulite, magistrati come eroi nazionali e monetine sulla testa dei potenti. Ero allora un magistrato giovane e pieno di entusiasmo.

Oggi mi guardo e non mi riconosco, triste e piegato sotto il peso di una sconfitta che ogni giorno si manifesta in udienza nei processi che non si fanno o aprendo la porta del mio ufficio: una scrivania piena di carte che già so che non riuscirò a vedere tutte; dietro ogni carta non vista un cittadino che non avrà giustizia. Forse era così anche prima, o è davvero cambiato qualcosa?

Bisogna prima di tutto sfatare un mito: Mani Pulite non è esistita solo per il merito di magistrati bravi e preparati; essa ha rappresentato soprattutto una rivoluzione civile di cittadini che non ne potevano più di quella classe politica e che trovavano sponda nella forza dirompente della lega nord. Senza questo appoggio politico mani pulite non sarebbe esistita o comunque non con quella portata.

Finita la rivoluzione, la politica rivoluzionaria, ora forza di governo, non aveva più bisogno di una magistratura forte usata come un grimaldello per scardinare il vecchio sistema; al contrario, questa rappresentava ora un problema perché la politica, tutta e di ogni paese, ama avere mani libere e mal tollera chi la controlla.

La classe politica si è così trovata unita sul come limitare il potere dei magistrati; non potendo attaccarli direttamente per la loro popolarità, ha iniziato a produrre una serie di leggi che da un alto paralizzavano il sistema giustizia (da ultimo l’indulto senza amnistia) al fine di scaricare sul magistrato l’inefficienza del sistema, e dall’altro rendevano il magistrato vulnerabile sotto il profilo disciplinare e contabile.

La magistratura non ha capito, o voluto capire, che il clima politico ormai era profondamente mutato. Forte del passato ha continuato a picconare la politica che ormai mal tollerava queste ingerenze.

La custodia cautelare, che prima era accettata o comunque subita in silenzio, ora non lo era più e ogni volta scatenava le più feroci reazioni. Una magistratura più accorta avrebbe dovuto comprendere il mutato quadro politico e limitare il ricorso alla custodia cautelare demandando al processo l’accertamento della verità; tanti conflitti dilanianti per lo Stato democratico sarebbero stati evitati.

Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti: i magistrati sono mal visti e i processi non si fanno più, ma non per questo la politica ha recuperato forza e prestigio. Ora bisogna voltare pagina, ma per davvero, perché nessuno stato democratico può reggere uno scontro fra politica e magistratura così ampio e per così lungo tempo.

Bisogna ridare efficienza al sistema giustizia perché uno Stato democratico ha bisogno di una magistratura credibile e il magistrato è credibile se il sistema funziona; ma non con false soluzioni quali potrebbero essere la fissazione di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale che di fatto si trasformerebbero in una amnistia anticipata; non riducendo la possibilità di intercettare nascondendo dietro la tutela della privacy dei terzi le paure della politica.

Ma volando alto, restituendo agli uffici giudiziari la possibilità di lavorare con efficienza dotandole di organici proporzionati al bacino di utenza e restituendo ai cittadini il coraggio di testimoniare (se si fanno i processi, ci saranno i testimoni, se ci sono i testimoni diminuiranno le intercettazioni). Volando alto soprattutto recuperando la moralità di questo paese; perché prima di ogni riforma c’è un uomo e se l’uomo è corrotto non c’è sistema che funzioni. Se la politica sarà trasparente la magistratura ritornerà automaticamente fra i suoi ranghi senza sforzi e senza traumi.

Vorrei riavere la speranza ogni giorno di chiudere la porta della mia stanza con un sorriso, sapendo, pur nel dolore che ogni caso porta con sé, di aver contribuito sia pure in minima parte al funzionamento di questo disastrato, ma tanto amato Paese.

Giustizia: 17% dei detenuti affetto da malattie virali croniche

 

Comunicato stampa, 27 marzo 2008

 

Hiv, epatiti virali e tubercolosi fra le malattie più diffuse in carcere, oltre a quelle psichiatriche. In tutta Italia il 17% dei reclusi è affetto da malattie virali croniche, fra cui l’epatite c. E nel Lazio il 3,33% dei detenuti ha l’Hiv. Il Garante Regionale dei detenuti Angiolo Marroni edita un vademecum in sei lingue per i reclusi intitolato "conoscere per prevenire".

Il 3,33% dei detenuti reclusi nelle carceri del Lazio ha il virus dell’Hiv. Si tratta della più alta percentuale d’Italia dove, in base ai dati risalenti a novembre 2007, la media è dell’1,98%. Solo nelle carceri di Regina Coeli, Rebibbia e Civitavecchia, circa 3 mila persone sono seguite dal reparto di malattie infettive dell’Ospedale "Spallanzani" e di queste, il 6% è affetto dall’Hiv. La maggior causa dell’infezione resta la tossicodipendenza.

Hiv, Tubercolosi ed Epatiti Virali sono fra le malattie più diffuse e più pericolose in carcere ed è per questi motivi che il Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha edito una Guida Informativa in Sei lingue (oltre all’Italiano, Arabo, Spagnolo, Romeno, Francese e Inglese), intitolata "Conoscere e Prevenire".

La guida - che contiene anche un capitolo introduttivo intitolato "Vademecum del Nuovo Giunto" - è stata redatta in collaborazione con le Asl RmB e Viterbo, con l’Ordine degli Psicologi del Lazio, la Sims e l’Ospedale San Gallicano di Roma e a partire dalle prossime settimane sarà distribuita gratuitamente ai detenuti di tutte le carceri del Lazio.

La guida "Conoscere e Prevenire" è stata presentata nella Prima Rotonda del carcere di Regina Coeli dallo stesso Garante Angiolo Marroni, dal Direttore del Carcere di Regina Coeli Mauro Mariani e dal Consigliere Regionale Donato Robilotta. Un recente rapporto della Società Italiana di Medicina e Sanità penitenziaria (Simspe) ha evidenziato che, su un campione di 1.300 detenuti su scala nazionale, più della metà della popolazione carceraria italiana è affetta da varie patologie. Tra le patologie oltre all’Hiv, la cifra più allarmante è che un 17% di detenuti è affetto da patologie virali croniche fra cui l’epatite C.

Inoltre, la necessità di predisporre un vademecum in più lingue è giustificata dai numeri: il 44% dei detenuti del Lazio sono stranieri. Dei 4.908 reclusi, infatti, 2.157 sono stranieri, di cui 1.344 extracomunitari e 813 comunitari. La comunità più rappresentata in carcere è quella romena (653 detenuti) seguita da quella marocchina (190), da quella albanese (155) e da quella algerina (146). L’opuscolo "Conoscere per Prevenire" è composto da quattro capitoli, per un totale di circa 100 pagine. Il primo capitolo è un "Vademecum del nuovo giunto", gli altri tre capitoli sono dedicati alla "Malattia da Hiv in carcere", alla "Tubercolosi" e alle "Epatiti Virali".

Per ognuna delle malattie sono indicate le informazioni di base, come ci si ammala, come si trasmette, come si manifesta, come si cura e come si previene. Infine, una indicazione sui Centri specialistici cui rivolgersi. "Al di là di illustrare gli aspetti di malattie di cui sono affetti tanti detenuti - ha detto il Garante Regionale dei Detenuti Angiolo Marroni - questi opuscoli hanno un ulteriore, intrinseco valore consistente nel segnalare che i detenuti non sono un problema solo penale, ma una realtà che nasce da problemi prevalentemente sociali e che impone, a tutti noi, di guardarli e conoscerli ai fini della prevenzione e del reinserimento".

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 27 marzo 2008

 

Angelo, dal carcere di Carinola

Caro Arena, da quando sono qui, ovvero dall’aprile del 2006, io non ho potuto più incontrare i miei figlie e soprattutto il più piccolo che ha 11 anni. Un bambino che, come puoi leggere dal documento del tribunale dei minori di Taranto, si è ammalato psicologicamente proprio a causa della mia lontananza. Io ho fatto mille istanze al Dap per essere trasferito nel carcere di Taranto, dove risiede la mia famiglia, ma la verità è che se ne fregano. È questo un fatto grave. Perché non solo violano le leggi che prevedono che un detenuto possa stare in un carcere vicino alla famiglia, ma in più si rendono corresponsabili dello stato di disagio di un bambino.

La mia famiglia ha dato incarico a due avvocati di agire contro il ministero della giustizia per chiedere il risarcimento dei danni causati a mio figlio proprio per la mia lontana detenzione.

Infatti non si capisce perché io non possa essere detenuto nel carcere di Taranto anziché in quello di Carinola. Io non chiedo la libertà. Chiedo solo si poter stare in un carcere che mi consenta di vedere mio figlio. Chiedo di poterlo incontrare con regolarità e così cercare di fare qualcosa per lui. Io ho sbagliato e devo pagare. Ma non è giusto che ci rimetta la salute di mio figlio. Ti chiedo anche di pubblicare questa mia lettera sulla pagina di Radio Carcere del Riformista, giornale che non possiamo leggere perché dicono l’edicolante ne è sprovvisto.

 

Vincenzo, dal carcere Pagliarelli di Palermo

Caro Riccardo, ti scrivo anche se è tanto, tanto tempo che sono detenuto. Sono stato arrestato il 19 novembre del 1997, ovvero quasi 11 anni fa. E ti assicuro che dopo tanti anni di galera smetti di credere e di sperare. Ora, grazie a voi, ho preso coraggio leggendo i temi che si affrontano nella pagina di Radio Carcere ed anche alla Radio. Non solo i diritti dei detenuti. Diritti scritti, ma dimenticati dal nostri politici. Può sembrare strano che proprio un detenuto prenda coraggio pensando alla Giustizia. Ma è la verità.

Così ad esempio, qualche settimana ho letto che avete scritto che la giustizia è la più grande emergenza del nostro paese. Quanto avete ragione! Tra l’altro condivido anche una riforma che miri a dare maggior responsabilità ai magistrati. I giudici svolgono un importante lavoro ed è oggi inconcepibile che chi tra loro sbaglia non venga chiamato a rispondere dell’errore fatto. Non è possibile che se un giudice mette per sbaglio uno in galera, magari gli rovina la vita, si veda di fronte una promozione e non un’azione disciplinare.

Lo so che ci vorrà tempo per avere una politica che capisca tutto questo. Ma è importante chiedere, oltre alla certezza della pena, anche certezza nella responsabilità di un magistrato che sbaglia. Per quanto mi riguarda sai che da tempo sto aspettando che il Magistrato di Sorveglianza di Palermo mi conceda la liberazione anticipata. Sono mesi che dalla mia cella aspetto e ti assicuro che non ce la faccio più. Grazie per avermi dato voce e che Dio ti benedica.

 

Grazia, da Sassari

Caro Arena, il mio compagno si trova, dal oltre 5 mesi, nel carcere di Sassari perché sottoposto a misura cautelare. A settembre è stato arrestato perché coltivava 6 piante di marijuana. Per questo reato è già stato condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione oltre ad una multa salata. Le devo anche dire che il mio compagno è stato già condannato a giugno per un fatto simile alla stessa pena. Io, chiaramente non le scrivo per lamentarmi delle condanne, che comunque mi sembrano un po’ alte, ma per il fatto che non ritengo che sia giusto che il mio compagno stia in carcere mentre la sua condanna non è ancora definitiva.

Il giudice rigetta le istanze dell’avvocato, dicendo che c’è il pericolo di reiterazione del reato.

Secondo lei è corretto? Poi c’è il fatto che il giudice crede che le piante di erba servissero allo spaccio, quando in effetti erano coltivate solo per uso personale. Non dico che il mio compagno abbia fatto bene, ma non le sembra una pena eccessiva la sua?

Parma: detenuti impegnati in attività di recupero ambientale

 

www.marketpress.info, 27 marzo 2008

 

L’ambiente? Un’opportunità. Un’opportunità di reinserimento per chi è temporaneamente privato della libertà personale. Dopo l’esperienza condotta positivamente nel 2007, la Provincia (Assessorati alle Politiche sociali, alla Formazione professionale, ai Parchi) insieme agli Istituti penitenziari di Parma ripropone un progetto del quale saranno protagonisti i detenuti impegnati in percorsi lavorativi nei parchi del territorio parmense, all’interno di una o più cooperative sociali.

L’iniziativa è realizzata con il Consorzio di Solidarietà Sociale, Forma Futuro, Parco Fluviale Regionale del Taro, Oasi di Torrile, Parco Regionale dei Boschi di Carrega, Comune di Parma e Uepe Reggio Emilia, e con il sostegno della Fondazione Cariparma. Il progetto prosegue la linea tracciata da Mario Tommasini una trentina di anni fa, grazie alla quale Parma e il suo territorio si sono qualificati come punto di riferimento di esperienze legate alla giustizia ripartiva. Il progetto inoltre dimostra concretamente come il carcere possa essere vissuto come una risorsa.

Due le finalità: offrire ai detenuti l’opportunità di costruire un percorso futuro all’esterno del carcere e contribuire a rendere più bello l’ambiente. I tirocinanti saranno impegnati per tre mesi (50 giorni di tirocinio formativo più 10 giorni di "volontariato" non retribuito) per 30 ore settimanali, compreso un percorso formativo in aula di 10 ore, nel periodo tra il 26 marzo e il 25 giugno. I tirocini formativi sono finanziati con risorse del Fondo sociale europeo, grazie al quale dal 2005 al 2007 la Provincia ha investito per i carcerati 457.000 euro coinvolgendo 175 detenuti in attività formative.

"Con questo progetto, che si muove sulla scia delle idee di Mario Tommasini, noi vogliamo offrire un’opportunità concreta in vista del futuro a persone che oggi sono in carcere – ha spiegato stamattina a Forma Futuro, nella conferenza stampa di presentazione, l’assessore provinciale alle Politiche sociali Tiziana Mozzoni, che così si è rivolta ai futuri tirocinanti: "Noi in questa iniziativa abbiamo messo molto: risorse, certo, ma anche il cuore, anche la nostra sensibilità e la nostra voglia di essere utili.

Si tratta di un progetto speciale, anche rischioso per un’amministrazione pubblica: ovviamente ci auguriamo che i rischi siano calcolati o si rivelino inesistenti, e che voi possiate metterlo a frutto al meglio". Auspicio condiviso anche dall’assessore alle Politiche sociali del Comune di Parma Paolo Zoni: "Mi auguro che questa iniziativa, che per noi è anche un rischio, sia per tutti voi una reale opportunità, e che vi aiuti affinché una volta terminata la pena per voi ci sia una possibilità in più".

"Il fatto che ci siano tante realtà coinvolte dimostra che si sta davvero creando una rete per costruire progetti personalizzati per il recupero dei nostri detenuti", ha osservato il direttore degli Istituti penitenziari Silvio Di Gregorio, che ha aggiunto: "Carcere vuol dire anche reinserire e recuperare persone che hanno sbagliato e sono state condannate. Se noi facciamo questo, vuol dire che facciamo sicurezza". Piena soddisfazione anche da parte di Hassan Bassi del Consorzio di solidarietà sociale, della presidente del Parco dei Boschi di Carrega Cristina Merusi, intervenuta in rappresentanza dei parchi coinvolti, e dell’assessore provinciale alla Formazione professionale, alle Politiche del lavoro e alle Pari opportunità Manuela Amoretti: "Io sono davvero molto contenta che questo progetto abbia trovato un bel posto nel piano della formazione professionale per il 2008 - ha commentato l’assessore Amoretti - .

Questo è il nostro contributo. Avere reso possibili questi tirocini, finanziati dal fondo sociale europeo, rappresenta un pezzo del lavoro che la Provincia svolge per la formazione delle persone detenute". Convito l’appoggio della Fondazione Cariparma, rappresentata da Giorgio Delsante: "Credo che si tratti di un progetto bellissimo. Bellissimo innanzitutto perché fondato sulle persone: ha al centro le persone e la loro attività - ha detto -. Io auguro che possa davvero far crescere il concetto della speranza, e che diventi anche per noi, istituzioni e singoli, un’occasione per riflettere su quello che siamo chiamati a fare perché la società sia migliore e perché ognuno trovi il bene che ha dentro e può manifestare".

 

Le attività dei tirocinanti

 

All’interno dei Parchi i detenuti (che saranno seguiti da tutor) saranno chiamati a eseguire diverse opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. In sintesi: Oasi di Torrile - gestione faunistica costruzione ed apposizione di nidi artificiali per piccoli uccelli, attività di gestione ambientale per il controllo della vegetazione acquatica - sentieristica e capanni di osservazione sfalcio e manutenzione dei sentieri in terra battuta, manutenzione straordinaria della passerella in legno, verniciatura degli arredi in legno dei capanni di osservazione e successiva manutenzione e pulizia - parcheggio e centro visite pulizia e manutenzione ordinaria della struttura del centro visite, sfalcio e manutenzione del parcheggio, verniciatura della recinzione in legno del parcheggio.

Parco regionale fluviale del Taro - sentieristica sfalcio e allargamento dei sentieri, taglio piante secche pericolanti, verniciatura arredi in legno, messa in sicurezza delle passerelle, ponti e staccionate. Posa di cartellonistica e segnaletica. - forestazione messa a dimora di alberi, arbusti ed essenze di interesse conservazionistico. Eliminazione delle essenze vegetali infestanti in zone di elevato pregio naturalistico del parco. - gestione faunistica costruzione di osservatori e schermature per la fauna, costruzione e messa in opera di zattere galleggianti per la nidificazione dell’avifauna, costruzione di nidi artificiali. - manutenzione sede del parco pulizia e recupero dei magazzini situati nel lato nord della corte di Giarola.

Como: la Polizia Penitenziaria proclama lo stato di agitazione

 

Agi, 27 marzo 2008

 

Stato di agitazione al carcere Bassone di Como. Lo hanno proclamato i sindacati di categoria al termine dell’assemblea unitaria svoltasi stamani con tutto il personale della casa circondariale per discutere sulla nuova ubicazione dei detenuti protetti presso la III Sezione e la contestuale riapertura della Sezione IV.

"Tale cambio di destinazione d’uso della III Sezione da comune a protetta - spiega una nota dei sindacati - non trova logisticamente adeguatezza per garantire ordine e sicurezza, ponendo ulteriormente l’incolumità del personale a rischio ogni volta sia necessario lo spostamento di un soggetto protetto negli spazi collettivi come infermeria, colloqui, sala magistrati, matricola".

"Questo nuovo progetto - si legge ancora nella nota dei sindacati - stravolge l’attuale organizzazione del lavoro, non tenendo conto del binomio tipologia detenuti e struttura, della carenza cronica di Personale di almeno 80 unità che costringe quotidianamente lavorare al di sotto dei livelli minimi di sicurezza". Sindacati e personale proclamano, così, "lo stato di agitazione con uno sciopero bianco ad oltranza da oggi con astensione della mensa obbligatoria di servizio nei giorni 28 e 31 marzo".

Immigrazione: alimenta la criminalità per il 61% degli italiani

 

www.stranieriinitalia.it, 27 marzo 2008

 

Sei italiani su dieci sono convinti che gli immigrati aumentano il tasso di criminalità nel nostro Paese. Il 61,2% degli italiani, soprattutto quelli del Nord-Est ha questa percezione del rapporto immigrazione-criminalità.

Lo evidenzia il recente studio di "Transcrime", il Centro Interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università degli Studi di Trento e della "Cattolica" di Milano. Nel dossier si suddivide la popolazione italiana in base alle zone di residenza, dal Nord-Ovest al Sud, al titolo di studio, al tipo di lavoro svolto. L’opinione sull’equivalenza immigrati-criminalità prevale al Nord-Est (63,6%); subito a seguire ci sono il Sud e le Isole (63,1%), il Nord-Ovest (62%) e il Centro (54,4%).

In media il 18% degli intervistati su tutto il territorio nazionale non ha saputo dare una risposta all’interrogativo: "Gli immigrati aumentano la criminalità?". Tra uomini e donne, il sesso maschile ha prevalso (64,2%) nella convinzione che gli stranieri abbiano aumentato i crimini nel Nostro Paese, rispetto alla componente femminile (58,5%). Riguardo la suddivisione per titolo di studio, l’opinione che gli stranieri abbiano reso più pericolose le nostre città ha prevalso nelle persone con la sola licenza elementare (72,8%), seguiti dai diplomati (58,3%), da quelli con la licenza media (56,4%) e dai laureati (54,3%).

Sono i pensionati (il 74,4% sul totale) quelli ad avere più diffidenza negli immigrati, e che ritengono che i crimini con il loro arrivo in Italia siano aumentati notevolmente. Alta anche la percentuale delle casalinghe (67,9%), seguite dai dirigenti, dagli impiegati e dagli insegnanti (62,5%) e dagli imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi (59,1%). Più basse invece le percentuali degli operai (52,9%), dei disoccupati (50,2%) e degli studenti (39,5%) che invece nel 44,9 % dei casi ritiene che lo straniero non abbia portato maggiore criminalità nel Paese.

Ma lo studio di "Transcrime" mette a confronto le opinioni dei cittadini con le cifre dei detenuti e dei condannati stranieri in Italia. Gli ultimi dati sono quelli di fine 2006 inizio 2007, quando gli stranieri detenuti rappresentavano il 33,7% della popolazione carceraria (di questi il 5,9 per cento era donna); cifre che salgono sensibilmente se si monitorano le carceri venete e lombarde: in Veneto gli stranieri rispetto alla popolazione detenuta sono il 55,1%, mentre in Lombardia raggiungono il 47,5%.

Una media altissima rispetto a tutte le altre Regioni che sembra indicare un maggior tasso di criminalità dovuto a reati commessi da immigrati. La situazione del Veneto e della Lombardia è stata sempre quella di avere una maggior popolazione detenuta straniera rispetto alle altre regioni e alla media nazionale.

Stesso discorso vale per quanto riguarda i denunciati per cui è iniziata l’azione penale e i condannati. Gli ultimi dati analizzati sono quelli relativi al 2005, quando su oltre 550mila denunciati in tutta Italia gli stranieri rappresentavano il 23,6%; una percentuale che saliva in Veneto, dove gli immigrati denunciati erano il 38,5% sul totale e la Lombardia (34,1%). Le donne straniere denunciate rispetto al totale nazionale sono state invece il 13,4%. Una media che, confrontando l’arco degli anni dal 2000 al 2005, si è sempre mantenuta stabile anche se di anno in anno in sensibile crescita. Anche per quanto riguarda le condanne riportate lo studio evidenzia la particolare situazione degli stranieri nelle regioni del Veneto e della Lombardia, sempre in un intervallo di tempo di cinque anni a partire dal 2000.

Su oltre 221mila condannati nel 2005, gli stranieri erano 48.525, il 21,9%. Mentre per quanto riguarda il Veneto, la media si alzava al 35,3% e la Lombardia al 39,5%. E la media in queste due regioni italiane era stata ancora più alta l’anno precedente: il 38,6% in Veneto e il 44% in Lombardia. A differenza degli anni precedenti a partire dal 2000, in cui le medie sono state leggermente inferiori.

Immigrazione: niente più cure ai migranti… e il governo tace

di Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)

 

Liberazione, 27 marzo 2008

 

Le cure sanitarie per gli immigrati in condizioni di irregolarità, stanno diventando un optional. Il caso è esploso con la vicenda di una donna nigeriana, per cui la Prefettura di Palermo ha emesso un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale nonostante questa risultasse affetta da infezione Hiv, stesso provvedimento sempre nella stessa città si stava per adottare giorni or sono ai danni di un cittadino montenegrino affetto dalla stessa patologia.

Sulla base di non meglio precisate "disposizioni ministeriali impartite in risposta a quesiti posti dagli uffici periferici", e "alla luce di una più attenta ed analitica lettura del dettato normativo, coordinato con le istruzioni ministeriali" alcune questure hanno emesso circolari nelle quali, dopo il dovuto richiamo all’art 35 del Testo Unico sull’Immigrazione, si ribadiva che gli Uffici non avrebbero più rilasciato permessi di soggiorno per cure mediche a stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello stato, ad eccezione delle donne in stato di gravidanza e fino a sei mesi di vita del bambino, così come espressamente previsto dall’art. 28 c. 1 lett. c del citato Dpr 349/99 così come modificato dal Dpr n. 304/04, in relazione all’art. 19 del D.L.vo n.286/98.

I risultati concreti di questa "più attenta ed analitica lettura del dettato normativo italiano" sono stati numerosi provvedimenti di espulsione nei confronti di persone già da tempo in cura presso strutture pubbliche italiane, e in molti casi già titolari di un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche, con l’avvertenza "che si provvederà alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento, in presenza di certificazione medica attestante la gravità della patologia e la necessità della erogazione di prestazioni sanitarie urgenti e comunque essenziali".

Non si comprende quale principio di sana, imparziale e trasparente amministrazione possa invitare le Questure ad emettere provvedimenti che producono effetti che possono essere immediatamente sospesi, sulla base di una certificazione medica di cui sono o potrebbero essere già in possesso, con l’unica conseguenza di instaurare situazioni di contenzioso, o di allontanamento nella clandestinità dei destinatari, e con grave nocumento della salute loro, oltre che di quella di tutti i cittadini, trattandosi spesso di patologie altamente infettive.

Se poi i provvedimenti non dovessero essere sospesi si tratterebbe di una vera e propria condanna a morte disposta per via amministrativa, in quanto è noto che le possibilità effettive di cura dell’Aids e di altre patologie altrettanto gravi, in paesi come gli stati della ex Jugoslavia o la Nigeria, sono praticamente vicine allo zero, soprattutto per chi viene rimpatriato senza mezzi economici a seguito di una espulsione con accompagnamento.

Il tutto appare ancora più assurdo se si confronta tale situazione con quanto accadeva nel 2003, quando il governo di allora si impegnava a garantire la permanenza sul territorio italiano degli stranieri privi di permesso di soggiorno affetti da patologie gravi. Il sottosegretario agli Interni Mantovano, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, assicurava che nel decreto di attuazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione sarebbero state introdotte nuove tipologie di permesso di soggiorno per motivi umanitari a favore delle persone affette da problemi di salute.

Queste dichiarazioni erano accolte con favore dalle associazioni non governative che tutelano il diritto alla salute dei migranti. Venivano assicurate non solo la corretta applicazione della legge - e quindi il divieto di allontanare gli irregolari bisognosi di cure - ma anche l’introduzione di un ulteriore strumento di tutela: la concessione di permessi di soggiorno straordinari per gli stranieri che scoprono in Italia di essere gravemente ammalati.

Alle dichiarazioni del governo di allora non seguiva un espresso riconoscimento del diritto degli stranieri irregolari già presenti in Italia ad un permesso di soggiorno per cure mediche. Si registrava invece una prassi consolidata delle Questure che concedevano agli immigrati affetti da grave patologie, aventi carattere anche continuativo, un permesso per cure mediche, analogo a quello previsto per le donne in stato di gravidanza.

I provvedimenti presi non potranno essere eseguiti per ora, ma chi subisce le espulsioni sarà condannato a una clandestinità eterna o alla discrezionalità delle autorità. Testo unico e convenzioni internazionali parlano chiaro, ma forse sono subentrate altre ragioni: voglia di accaparrarsi consensi e tendenza delle Regioni a voler risparmiare in questa maniera sulla spesa sanitaria. Dovrebbe rispondere il governo ancora in carica, ma finora ha prevalso il silenzio.

Immigrazione: integrare chi lavora, allontanare chi delinque

 

Corriere del Veneto, 27 marzo 2008

 

Padova. Il nuovo prefetto e la città: sì alla moschea, vigileremo che sia solo luogo di preghiera. Rispetto della legalità e percorsi di inclusione per gli immigrati. Sono i due cardini dell’azione di rappresentante del governo per la provincia di Padova che caratterizzeranno l’azione del prefetto Michele Lepri Gallerano, napoletano di 62 anni, alla sua prima esperienza come prefetto di una città dopo una lunga carriera al ministero dell’Interno.

"La mia carriera è iniziata in Veneto a Venezia e sono contento di tornare in questa regione - spiegava ieri incontrando la stampa padovana a palazzo Santo Stefano -. Il mio predecessore Paolo Padoin mi ha detto che questa è una città vivace e che non ci sarà tempo di annoiarsi".

 

Qual è la priorità per Padova secondo quanto ha avuto modo di appurare prima della sua nomina a capo dell’ufficio territoriale del Governo?

"Il rispetto della legalità da parte di tutti i cittadini intesa come rispetto dell’altro: la coesione sociale non può che basarsi su questo.

È un obiettivo che si raggiunge con il concorso di tutti. In primis come è chiaro attraverso il lavoro delle forze dell’ordine, ma allo stesso tempo e sullo stesso livello anche con l’apporto dei sindaci e delle altre istituzioni del territorio. Sullo stesso livello, ma con ruoli nettamente separati. Ci sono funzioni che sono prerogativa esclusiva dello Stato".

 

Tra queste quella dell’ordine pubblico. Non le piacciono i "sindaci sceriffo"?

"Al di là delle definizioni e delle etichette della stampa ognuno può incidere per la propria responsabilità sul progetto di rendere migliore e più sicura la nostra società. Incontrerò presto i sindaci del territorio in maniera da rendermi personalmente conto delle diverse esigenze della provincia padovana".

 

Ad una prima impressione come le appare Padova?

"Una città molto bella, con una tradizione culturale e politica di primissimo livello. Ho incontrato i responsabili delle forze dell’ordine ed il sindaco. Come immaginavo il mio predecessore ha fatto un ottimo lavoro: posso percepire uno spirito di squadra ed un coordinamento che funziona tra chi ha il governo della cosa pubblica".

 

Nonostante il lavoro di squadra, i problemi non mancano. Spesso sono stati usati muri e barriere. Sono una soluzione?

"I problemi si possono risolvere solo guardandoli nel loro contesto ed agendo anche sul contorno delle questioni. Via Anelli è stata sgomberata, altrove si stanno tenendo sotto controllo le zone calde cercando i giusti correttivi. La via da percorrere è quella dell’inclusione di chi lavora e vuole crearsi un futuro in Italia e l’allontanamento di chi delinque. So che il Comune ha deciso di concedere uno stabile per la realizzazione di una nuova moschea: mi sembra un buon provvedimento per garantire che sia salvaguardato il diritto al culto della popolazione straniera. Vigileremo perché si tratti solo di un luogo di preghiera".

 

Da più parti si invoca la realizzazione di un Cpt (Centro di Permanenza Temporanea per clandestini) a Padova. Una ipotesi elettorale o una esigenza concreta?

"Esistono già dei Centri di Permanenza Temporanea a Modena, Bologna e Gradisca d’Isonzo. Non spetta a me dire se farne uno anche a Padova: va valutata a livello nazionale l’eventuale esigenza di un Cpt in questo territorio".

Droghe: Zaia (Lega); basta tolleranza, serve solo repressione

 

Ansa, 27 marzo 2008

 

Cani antidroga davanti alle scuole, test per studenti, insegnanti, amministratori e politici, palloncino e prelievo dei capelli per chi guida. Dopo i recenti fatti di cronaca, il Vicegovernatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, è un fiume in piena contro "l’emergenza droga e alcol" e spiega all’Ansa il suo pacchetto di proposte, di parte del quale si occupa oggi Il Gazzettino.

Zaia si dice pronto a fare la sua parte sottoponendosi per primo al test: "Se vogliamo salvare i nostri ragazzi, gli amministratori e gli insegnanti devono dare il buon esempio -. Io sono pronto a farlo. È incredibile che il test sia un tabù: chi ha un ruolo pubblico deve farlo. In tempi di emergenza come questi devono cadere tutte le barriere, a cominciare dalla privacy. Il nuovo governo deve eliminare questi tabu".

A dare lo spunto a Zaia per il suo pacchetto di proposte, sono stati gli ultimi avvenimenti di cronaca, dal caso dello spaccio attraverso sms scambiati fra gli studenti delle scuole trevigiane e i loro fornitori, a quello del ragazzo morto dopo essersi sentito male al rave party di Segrate, fino alle tragedie della strada provocate da ubriachi al volante.

"Un’auto può diventare un’arma e la patente non è un diritto - sostiene Zaia -. Se uno non ha i requisiti non deve averla, anche per tutta la vita. Non si può dare la patente a una persona inaffidabile. Perché la patente sì e il porto d’armi no? I giudici applicano le leggi, ma le leggi non le fanno i giudici".

Secondo il vice di Giancarlo Galan, la battaglia contro chi beve e si droga deve partire dalla scuola anche attraverso il test per gli studenti: "Voglio vedere quale famiglia è contraria: è bene sapere con chi va a scuola tuo figlio.L’obiettivo è il benessere dei nostri ragazzi. Così salviamo la vita non solo a chi si droga, ma anche ai tanti che muoiono nelle strade per colpa di chi beve e si droga". E a sostegno della sua proposta, Zaia cita l’esempio della Marca: "La provincia di Treviso era la prima in Italia per numero di incidenti stradali, ma grazie all’attività di educazione e prevenzione nelle scuole è passata dai 187 del 1998 alla settantina dell’anno scorso. Adesso il problema è risolvibile solo con la repressione".

Macedonia: 14 milioni di euro per modernizzazione di carceri

 

www.portalino.it, 27 marzo 2008

 

Le sovrappopolate prigioni macedoni, dove le condizioni di vita non rispettano gli standard stabiliti dal Comitato di Helsinki per i Diritti Umani, dovranno essere migliorate entro il maggio 2010. Circa 4 milioni di euro in fondi governativi e 10 milioni in crediti del Consiglio Europeo verranno utilizzati per ristrutturare radicalmente i cinque maggiori penitenziari macedoni.

L’obiettivo del progetto è l’adeguamento agli standard europei attraverso la ristrutturazione delle prigioni di Prilep, Ohrid e Stip, della prigione centrale di Stato di Idrizovo e del carcere di Sutka. Il direttore del Direttorato per l’Applicazione delle Pene del Ministero della Giustizia Jordan Kihajlovski ha annunciato la costruzione a Idrizovo di un ospedale penitenziario per i tossicodipendenti e i malati cronici di un edificio per i condannati a detenzioni più lunghe e di uno per i detenuti anziani, aggiungendo che il Consiglio Europeo, nel considerare la candidatura macedone all’Ue, ha esortato le autorità ad accrescere gli standard complessivi del sistema carcerario. L’obbiettivo è di rendere le condizioni di vita nelle prigioni in linea coi diritti umani.

Circa 1,8 milioni di euro del progetto Cards 2006 verranno utilizzati per la ricostruzione delle prigioni di Stip e Prilep e per la prigione centrale di Stato di Idrizovo. In particolare, Stip diverrà un carcere di dimensione regionale, e la sua capienza verrà portata a 400 posti, alleggerendo così anche la sovrappopolazione di Idrizovo.

Il rappresentante del Consiglio Europeo Eric Shivanidze ha sottolineato come molte delle carenze delle prigioni macedoni monitorare nel corso del 2004 siano state eliminate: le condizioni di vita hanno subito qualche miglioramento, ma restano lacune nella sicurezza e una carenza di personale amministrativo.

Il vice-ombudsman Dragi Celevski dopo le visite nelle carceri nel 2006 e 2007 ha sottolineato che le principali richieste di aiuto da parte dei detenuti riguardano le condizioni di vita e le procedure per i permessi, le visite e altri "premi". Il problema maggiore, comunque, sembra essere il fatto che i detenuti non conoscono i propri diritti, e a questo si è cercato di provvedere, ha affermato Celevski.

I carcerati affermano che le celle sono sature, ospitando dalle sei alle otto persone nello spazio previsto per quattro; alcuni sono costretti a dormire sul pavimento, con aria viziata, e circondati da pareti e soffitti coperti di muffa. A volte, i detenuti condannati a pene più brevi sono tenuti insieme a quelli con pene più lunghe; le droghe sono reperibili più facilmente che in strada, il loro prezzo qualche volta è decuplicato.

Attualmente la popolazione carceraria macedone è di 2.200 persone: di queste, 1.350 si trovano a Idrizovo, superandone la capacità di 400 unità. Anche il penitenziario di Sutka è saturo. Allarmi sulle condizioni di vita nelle carceri macedoni sono stati ripetutamente lanciati negli ultimi 17 anni dalla sezione macedone del Comitato per i Diritti Umani di Helsinki e da altre Ong dedite al rispetto dei diritti umani, così come dai parenti e dagli avvocati dei detenuti.

 

 

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