Rassegna stampa 6 maggio

 

Giustizia: così si muore in silenzio nelle carceri del Belpaese

di Barbara Carcone

 

www.peacereporter.net, 6 aprile 2008

 

Dall’inizio dell’anno più di trenta detenuti sono morti nei penitenziari italiani. Di questi, undici si sono suicidati. Sono i dati raccolti nell’ambito del monitoraggio "Morire di carcere", consultabile sul sito internet www.ristretti.it. Aggiornate al mese di aprile, queste stime si basano su informazioni raccolte dai giornali e agenzie di stampa, ma più spesso da comunicazioni di volontari e parenti dei detenuti. Informazioni faticosamente costruite, non ufficiali, né certamente complete. I decessi dei detenuti tendono a sfuggire all’attenzione pubblica e, non di rado, vengono trascurate più o meno distrattamente dalle autorità competenti.

Sandro di Niso è morto in cella all’età di 35 anni, secondo il medico legale, per "errore" mentre si drogava. È svenuto con la testa in un sacchetto di plastica senza riuscire a riprendersi dopo aver sniffato gas da un fornelletto per riscaldare le vivande. Una pratica usuale tra i tossicodipendenti internati. Orazio I. è morto nel reparto di isolamento del carcere di Frosinone per arresto cardiaco. Lo stesso è accaduto nel carcere di Regina Coeli a Stefano M. , deceduto nella notte tra il 22 e il 23 aprile. Entrambi erano in condizioni di invalidità psichica grave. Aldo Bianzino è stato trovato morto nella sua cella di isolamento del carcere di Perugia: un’inchiesta in corso sta verificando le responsabilità della morte, che pare essere stata causata da un pestaggio da parte dei carcerieri.

Overdose, scioperi della fame, violenze, pestaggi, malattie curate male o non curate affatto, stati di degenza mentale e fisica: così si muore nelle prigioni italiane per "cause naturali". Oppure ci si impicca con un lenzuolo. I decessi in carcere sono per buona parte suicidi, quelli che Adriano Sofri ha descritto come la "forma di evasione più diffusa e subdola": un terzo dei 1.200 casi di decesso rilevati dal dossier "Morire di carcere" dal 2000 ad oggi.

L’apparato medico sanitario e le strutture assistenziali che si occupano dei detenuti lasciano molto a desiderare, così come le indagini giudiziarie che dovrebbero chiarire le circostanze di morte nelle prigioni. Spesso messi a tacere o soffocati dall’indifferenza dei media, questi decessi rivelano la presenza di realtà taciute e responsabilità mancate, di chi è colpevole direttamente o comunque non fa abbastanza per impedirle.

In base al Decreto Legislativo 230/99, i diritti di assistenza sanitaria e cure mediche dei detenuti avrebbero dovuto essere equiparati a quelli dei cittadini in stato di libertà, passando dalla responsabilità del ministero di Giustizia a quello della Sanità. Tuttavia in nove anni poco è cambiato e il numero dei decessi per cause di salute sono aumentati progressivamente. "I cittadini privati della libertà sono sotto la responsabilità e la tutela dello Stato ancora di più dei cittadini in libertà", spiega il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Luigi Manconi.

Le morti classificate per "cause naturali", spesso per arresto cardiaco, sottintendono situazioni in cui i soggetti in questione verserebbero in condizioni psico-fisiche tali, da concludere che il carcere forse non è il luogo dove dovrebbero trovarsi: "il numero dei soggetti che teoricamente sarebbero adatti alla vita in carcere è ridottissimo: si tratta dei soggetti di comprovata pericolosità sociale.

Tutti gli altri, che soffrono di squilibri psichici o patologie fisico mentali più o meno gravi, e più in generale tutti coloro che non recherebbero danno alla società, non dovrebbero essere internati in istituti di detenzione. Nei fatti il sistema penitenziario accoglie molte più persone di quante possa prendersi cura."

Manconi smentisce tuttavia la trascuratezza nelle indagini giudiziarie per chiarire le morti in circostanze controverse, rilevando una volontà precisa delle autorità in tal senso. A tal proposito porta in esempio la vicenda di Bianzino: "in questo caso specifico, che ho seguito personalmente, le indagini non sono state né frettolose né superficiali. Anche se l’esito non è prevedibile, e le responsabilità penali sono ancora da definire, si evidenziano una serie di comportamenti superficiali e sbrigativi. Questi sono dati di fatto, per fare luce sui quali, gli uffici amministrativi e giudiziari competenti hanno avviato una inchiesta seria".

Giustizia: in Italia 485 mila poliziotti... uno ogni 120 abitanti

di Piero Laporta

 

Italia Oggi, 6 maggio 2008

 

Troppi addetti, mezzi e risorse che non servono a tutelare i cittadini, perché gestiti male: 334.245 uomini delle tre Polizie principali, più 150.000 fra locali e privati, portano a 484.245 le persone che badano alla nostra sicurezza; ogni 120 italiani (compresi 60 fra lattanti e vegliardi) c’è un addetto alla sicurezza!

I candidati dell’una e dell’altra sponda alle ultime elezioni hanno promesso più sicurezza ai cittadini, additando il medesimo rimedio: più soldi, più mezzi, più uomini. Andando indietro con la memoria sin dagli anni del terrorismo, non c’è mai stata un’emergenza di ordine pubblico per la quale tanto i politici responsabili come le organizzazioni sindacali di polizia non abbiano invocato sempre più mezzi, più soldi, più uomini sembrando sempre insufficienti le risorse portate dall’emergenza precedente.

Così si è registrato un costante aumento del personale delle tre Polizie principali, cioè Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, le quali d’ora in avanti chiameremo più semplicemente Polizia. Oggi ammontano, secondo il ministero dell’economia, a 334.245 unità. Secondo l’Istat, gli italiani sono 58.462.375. Da queste due cifre sappiamo di avere un poliziotto ogni 175 abitanti. Siamo quindi il paese che ha in assoluto più polizia sia rispetto al numero di cittadini sia rispetto all’estensione territoriale. In Germania, per fare un esempio, ad ogni poliziotto sono affidati poco meno di 400 cittadini.

La situazione è tuttavia ancora peggiore. Trascuriamo, per ora, la Polizia Penitenziaria e il Corpo Forestale dello Stato, i cui organici sono praticamente raddoppiati negli ultimi anni. Meritano più attenzione due ulteriori Polizie i cui costi ricadono sui cittadini in maniera diretta e indiretta. La prima di queste categorie è rappresentata dalle polizie locali, cioè comunali e provinciali. Per brevità omettiamo di parlare delle Polizie a carattere regionale.

Lo Stato non sa quanto si spende per le polizie locali poiché non sa quanti siano i poliziotti degli enti locali. Si ipotizza che siano non meno di 80.000 e forse non più di 100.000, tenendo conto che il limite inferiore è certamente superato quello superiore è invece solo una stima. A questa Polizia si affianca spesso la figura dell’ausiliare. Questi ha solo il compito di rilevare specifiche infrazioni e, dunque, non è assimilabile a un vigile vero e proprio. Non di meno il suo costo grava sull’assetto complessivo di sicurezza, specie quando la Polizia Locale è utilizzata male.

Un ulteriore gravame deriva dalle polizie private. Le varie emergenze, come la violenza negli stadi o gli assalti alle abitazioni isolate, hanno irradiato la privatizzazione della sicurezza. Il cittadino, pressato da situazioni che lo stato non sa fronteggiare, adotta rimedi che vanno dalle "ronde", il fai-da-te della sicurezza, alla sorveglianza privata. Tali costi non gravano sullo Stato, ma sui cittadini, che offrono tempo e denaro per la sicurezza, alla quale avrebbero diritto, grazie alle tasse.

Nel Meridione la vigilanza privata assume spesso forme inquietanti di ambiguità. Al calar della sera vasti territori sono affidati alla vigilanza privata, mentre le Polizie statali arretrano. Se avete una casa isolata, sarete bersagliati da furti e danneggiamenti, finché non ricorrete alla locale polizia privata. Pagato il canone dei vigilantes, i furti e i danneggiamenti cessano. Sono almeno 50.000 i poliziotti privati; sommati alle polizie locali, abbiamo 150.000 uomini.

Ricapitoliamo: 334.245 uomini delle Polizie, più 150.000 fra locali e privati, portano a 484.245 le persone che badano alla nostra sicurezza; ogni 120 italiani (compresi 60 fra lattanti e vegliardi) c’è un addetto alla sicurezza. Non basta. Nelle tre principali Polizie imperversano ridondanze e sovrapposizioni. Almeno due polizie scientifiche, tre reparti a cavallo e una quantità interminabile di bande musicali e gruppi sportivi.

Migliaia di elicotteri, aerei, battelli, oltre che navi vere e proprie; necessari per la sorveglianza in mare, dicono. Peccato che ci sia un’altra specifica Polizia per questo, la Guardia Costiera, la quale con 5 pattugliatori della classe 900, 28 unità d’altura a grande autonomia della classe 200, 43 motovedette classe 800 per la ricerca e soccorso in mare, 26 motovedette classe 2000 e 32 unità navali classe 500 e 9 elicotteri Agusta AB 412 CP non ha nulla da invidiare alla Coast Guard degli Stati Uniti d’America, che ha due coste oceaniche da sorvegliare e la frastagliatissima e lontanissima Alaska. La situazione è ancora peggiore ma ci fermiamo qui, per ora. Chi in Italia voglia fare qualcosa per la sicurezza deve ridurre, unificare e risparmiare uomini, mezzi e soldi.

Giustizia: suicidi in polizia penitenziaria, è colpa dello stress

di Maurizio Minnucci

 

www.rassegna.it, 6 maggio 2008

 

Dal 1997 al 2007 ben 64 casi, quattro nei primi mesi di quest’anno. Lavoratori oggetto di aggressioni, costretti a turni spesso massacranti e a uno stress che risulta insopportabile.

Sessantaquattro suicidi dal 1997 al 2007, quattro nei primi mesi di quest’anno. Gli ultimi due casi risalgono al 3 aprile scorso, quando, nel giro di poche ore, si sono tolti la vita un assistente capo di 46 anni, in servizio presso la casa circondariale di Biella, e un viceispettore che lavorava nell’istituto di pena di Matera. Quella dei suicidi tra le guardie carcerarie è una questione annosa, difficile risalire al motivo scatenante. Di certo, l’ambito lavorativo è una componente che può influire su un quadro generale già compromesso. A lanciare l’allarme è la Fp Cgil, di fronte alle drammatiche condizioni in cui operano gli addetti della polizia penitenziaria, sempre più spesso oggetto di aggressioni e violenze, costretti dal sovraffollamento delle carceri a turni massacranti e a uno stress che a volte diventa insopportabile.

I problemi del settore nascono da una popolazione carceraria di gran lunga superiore a quella regolamentare, nonostante l’indulto di due anni fa. Le nuove case di reclusione, costruite con 25 celle singole per ogni sezione, allo stato attuale ospitano fino 150 detenuti. Situazione aggravata da una forte carenza d’organico. Solo in Liguria, lo scorso anno, si è fatto ricorso a quasi 120.000 ore di straordinario, che equivalgono a circa 20.000 giornate lavorative in più. Non bastasse, lamenta il sindacato, il personale è male utilizzato. "C’è una gestione francamente inaccettabile - afferma Francesco Quinti, coordinatore nazionale della Fp per la polizia penitenziaria -. Troppi agenti lavorano al di fuori degli istituti di pena grazie a clientelismi e a rimetterci sono quelli che stanno tutti i giorni nelle sezioni". Altra questione è quella del sistema disciplinare, secondo il sindacato di categoria da rivedere, "perché viene usato come strumento di governo del personale attraverso intimidazioni e minacce". In particolare, aggiunge Quinti, "va cambiato il giudizio di fine anno, che incide sul fascicolo del dipendente e a volte è usato per colpire coloro che non si allineano. Tutti fattori che aumentano lo stress. Abbiamo attivato una raccolta di firme per proporre la modifica del regolamento, la presenteremo nella prossima legislatura".

A volte basta un piantonamento in ospedale per mandare la struttura in crisi. I turni sono di 10 ore, mentre nei contratti è sancito che al massimo possono essere di 6. In traduzione, addirittura, capita di lavorare fino a 20-22 ore consecutive senza smontare, con il detenuto in carico e nessuno a dare il cambio. Una tensione difficile da sopportare. Lo dimostra il fatto che ogni anno circa 250 agenti sono costretti dal giudizio delle commissioni mediche a passare a ruoli civili, perché non più idonei. "Il disagio - riprende Quinti - esce dalla cella per mostrarsi nella vita quotidiana, a partire dalla denigrazione nel linguaggio, quando si viene chiamati secondini. E pensare che è un mestiere che non rientra tra i cosiddetti usuranti". "C’è un’effettiva difficoltà da parte dell’amministrazione nella gestione degli addetti - conferma Domenico Arena, direttore dell’istituto di pena di Saluzzo (Cuneo) -. Ma parte del problema è nelle strutture obsolete.

Ci sono carceri in cui si sta al freddo, all’umido, in condizioni igieniche fatiscenti, aspetti che contano nella psicologia e nello stress. Servono investimenti per rendere questi luoghi più confortevoli, a partire da tecnologie per evitare agli operatori una serie di azioni ripetute, come aprire un cancello 200 volte al giorno". Secondo il direttore, "bisogna puntare sul benessere degli agenti, creando occasioni socializzanti e di raccordo con il territorio al di fuori dell’istituto, specie per i tanti che vengono dal Sud e vivono lontani dalle famiglie".

Qualche passo avanti a favore della condizione degli agenti si è fatto nella riunione del 9 aprile al Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap), che gestisce il settore per conto del ministero della Giustizia. I sindacati hanno chiesto un piano straordinario di sostegno, investimenti nella prevenzione e nella riabilitazione, l’implementazione del ricorso a misure alternative alla detenzione, un piano alloggi. "È certo che non possiamo restare inerti di fronte al drammatico fenomeno dei suicidi", ha affermato il Capo del Dap Ettore Ferrara, rispondendo alle sollecitazioni delle sigle di categoria in merito all’esistenza nel settore del burn-out, la sindrome che colpisce chi esercita "professioni d’aiuto" in condizioni disagiate e con carichi eccessivi di stress. Annunciando lo stanziamento di nuove risorse economiche, il Dap ha avviato l’istituzione di un forum di comunicazione telematica tra il centro e la periferia dell’amministrazione penitenziaria e la creazione di un osservatorio esterno permanente di studio. Da subito, la richiesta agli istituti di pena di realizzare un presidio psicologico per tutte le guardie carcerarie.

Giustizia: su Verona e Torino parole e polemiche di troppo

di Stefano Folli

 

Il Sole 24 Ore, 6 maggio 2008

 

A pochi giorni dalla nascita del governo Berlusconi che dovrebbe giurare entro sabato, quasi un mese dopo il voto di aprile, si respira un clima malsano. Si avverte una tensione crescente nelle piazze e la polemica politica, invece di affrontare i temi delle riforme, finisce per mostrare un lato assurdo.

Si discute se sia più grave l’omicidio di Verona, ad opera di un gruppo di giovani "naziskin" contro uno sventurato coetaneo, o le violente manifestazioni di Torino contro la Fiera del Libro che rende omaggio a Israele. Il Presidente della Camera ha dato l’impressione di considerare le bandiere israeliane bruciate a Torino un evento più grave della tragica aggressione di Verona. Fini ha commesso un errore, perché è sempre pericoloso stabilire una priorità nelle disgrazie: soprattutto quando si parla in televisione e una singola frase può essere mal interpretata. Tuttavia la questione non riguarda tanto le parole di Fini, il cui pensiero nella sostanza è chiaro, quanto l’uso strumentale che se ne sta facendo.

C’è la tentazione, a sinistra, di indicare un nesso fra la vittoria della destra nelle elezioni del 13 aprile e il pestaggio di Verona. È un nesso subdolo, perché lo si lascia intendere senza affermarlo esplicitamente. Ma poi, ieri sera, alcuni esponenti dell’estrema sinistra rimasta esclusa dal Parlamento hanno sostenuto senza mezzi termini che il presidente della Camera "ha giustificato gli aggressori". Addirittura ha "assolto" gli assassini.

È così? Certo che no. A Fini si può al massimo imputare, come detto, una certa leggerezza verbale (per inciso, sarebbe preferibile che i due Presidenti delle Camere evitassero di esporsi troppo alle telecamere della tv). Ma è grave - e anche molto pericoloso insinuare nell’opinione pubblica il dubbio che ci sia una contiguità fra i "naziskin" e il governo Berlusconi - Bossi. O che gli estremisti abbiano rialzato la testa perché si sentono "coperti" dal nuovo clima politico.

Se poi questi argomenti vengono agitati da fazioni della sinistra comunista (ad esempio il Pdci) che sperano di ritrovare per questa via un rapporto con il Paese e dunque un motivo di esistere, c’è da restare sconcertati.

Perché si tratta degli stessi gruppi che incoraggiano la campagna anti-israeliana di Torino e plaudono alle più gravi manifestazioni di intolleranza. Al punto di guardare con malcelata diffidenza anche alla visita del Presidente della Repubblica alla Fiera del Libro. Ed è bene sottolineare che Napolitano ha dovuto difendersi da solo dai vergognosi attacchi di Tareq Ramadan, ambiguo intellettuale in prima fila nel boicottaggio.

Su questi punti sarebbe il caso che il Partito Democratico facesse sentire la sua voce: come ha fatto Fassino sul "Riformista" a proposito della fiera di Torino. Di certo non conviene al Pd abbandonare il centro della scena all’estrema sinistra. Il silenzio e le mezze frasi darebbero l’idea che il partito ha lasciato, almeno in parte, una sorta di iniziativa proprio a quei gruppi contro i quali ha consumato la rottura pre-elettorale. Veltroni ha parlato di "ondata neofascista" e ha chiesto alla destra di essere severa. Ma il fenomeno dei naziskin ("di buona famiglia", come ha scritto Ilvo Diamanti su "Repubblica") non è nuovo e si fonde da anni con quello degli "ultras" da stadio o con il bullismo da discoteca. È una piaga del nostro tempo e finora non è stato estirpato. Non può essere una scorciatoia pseudo-politica per nascondere la crisi del centro-sinistra.

Giustizia: Fini; tolleranza zero, anche per i delinquenti italiani

 

Dire, 6 maggio 2008

 

 

Si tratta "di episodi gratuiti, fenomeno diffuso non solo in Italia ma anche in altri Paesi e non solo colorati da una ideologia funesta. Sono giovani che presi uno per uno, nove volte su dieci sono dei vili". Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, durante la registrazione di "Porta a porta", sulla vicenda di Verona. Per Fini in questi casi, "l’unione non fa la forza, ma la violenza" e si tratta di "giovani spesso pini di alcol o droghe" e, in ogni caso, "la società si deve interrogare sul perché questi giovani cattivi danno vita a questi comportamenti".

Ma, osserva ancora il presidente della Camera, "c’è anche un problema legato alla famiglia, alla scuola, alla tv e al cinema. Spesso vediamo filmati che danno il cattivo esempio". Poi rileva che "dare sempre la colpa alla società", come fanno "i cultori dell’ideologia marxista è sbagliato", visto anche che uno "degli assassini fa parte di una agiata famiglia veronese". Infine, Fini sottolinea che in questi casi occorre tolleranza zero. "Non è che uno è delinquente se è immigrato e non lo è se nasce sotto i portici di casa nostra".

Giustizia: Di Pietro; la violenza? deriva dalla non punibilità

 

Dire, 6 maggio 2008

 

 

Dopo il decesso del ragazzo pestato a Verona, "i partiti stanno già strumentalizzando la sua morte: è una morte di destra, come la morte della signora Reggiani per mano di un rom era una morte di sinistra". È quanto scrive Antonio Di Pietro sul suo blog, dopo aver fatto "le condoglianze ai genitori" ed espresso l’auspicio "che i colpevoli paghino per i loro crimini". Per il leader dell’Idv "la violenza sta diventando un alibi per orientare l’opinione pubblica e creare sempre nuovi mostri" e il problema della violenza "deriva dalla non punibilità della maggior parte dei reati, da una destabilizzazione della magistratura avvenuta durante i governi degli ultimi quindici anni".

La magistratura, aggiunge l’ex ministro, "non ha mezzi materiali, né giuridici per intervenire effettivamente". E allora è necessario "cancellare le leggi vergogna, semplificare e accorciare l’iter processuale per ristabilire un corretto rapporto tra i cittadini e la giustizia". Bisogna, insiste, "discutere delle ragioni per le quali la giustizia è diventata inapplicabile e di chi sono i responsabili di questa situazione. I cittadini - chiude - non possono più essere presi in giro, da una parte si invoca la sicurezza, dall’altra si rende impossibile l’applicazione della pena".

Giustizia: Uil; Governo affronti emergenza sovraffollamento

 

Ansa, 6 maggio 2008

 

 

Un "appello al Presidente Berlusconi affinché l’oramai prossima emergenza carceri trovi adeguata attenzione nell’agenda del governo. Sovraffollamento, strutture e dotazioni organiche sono le criticità da risolvere, pena il ritorno a stagioni di proteste difficilmente gestibili. A meno che non si voglia ricorrere ad un nuovo indulto". A chiedere l’intervento del nuovo premier è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Penitenziari, che annuncia anche la costituzione del Co.Di.Pe (Comitato Dirigenti Penitenziari), nuovo organismo in seno al sindacato. L’assemblea costituente è fissata per il prossimo 20 maggio ad Ostia, nell’ambito di una riunione della direzione nazionale.

"Dopo l’approvazione della legge Meduri - sottolinea Sarno - i dirigenti penitenziari attendono la formalizzazione dell’avvio delle procedure per la definizione del contratto di lavoro. Noi garantiremo, attraverso il Codipe, la diretta partecipazione al confronto e alla trattativa dei dirigenti penitenziari". Tra gli obiettivi programmatici del Codipe la contrattualizzazione della categoria e una nuova organizzazione dell’Amministrazione Penitenziaria.

Il Codipe lavorerà in stretta sinergia con il Cofupp (Comitato Funzionari Polizia Penitenziaria). In attesa dell’insediamento del nuovo governo il sindacato sottolinea che le modifiche legislative ai Decreti Legislativi 443 e 449 del 1992 (ordinamento e sanzioni disciplinari per la polizia penitenziaria) sono già pronte per l’invio al Parlamento. "Intendiamo - conclude Sarno - dare un nostro competente contributo alla necessaria modernizzazione del Corpo. Analogamente sarà posta allo studio una modifica all’ordinamento.

Giustizia: detenuti domiciliari e visite mediche d’emergenza

 

Associazione Italiana Psichiatri, 6 maggio 2008

 

Molto spesso riceviamo richieste di certificazioni da utenti agli arresti domiciliari. A questi rispondiamo che ci vogliono le dovute autorizzazioni dei giudici competenti. Quando arriva, invece, la chiamata in emergenza per tali detenuti, spesso i colleghi si precipitano, temendo di essere accusati di omissione di soccorso.

Ma il regime degli arresti domiciliari è ancora più restrittivo della custodia cautelare in carcere, tant’è che l’evasione dagli arresti domiciliari è punita più severamente dell’evasione dal carcere. Quindi non dobbiamo recarci presso il domicilio di persone agli arresti, perché potremmo essere accusati di favoreggiamento, dal momento che in emergenza, il detenuto deve rivolgersi ai Carabinieri o alla Polizia e farsi accompagnare da loro in Ospedale, o dove necessario. Non per niente un individuo agli arresti domiciliari ha una restrizione della propria libertà e non può comportarsi come un qualunque cittadino. Quindi non solo non siamo tenuti a recarci in emergenza, ma addirittura saremmo passibili di reato.

Milano: De Corato (Pdl); legge vieti la prostituzione in strada

 

Dire, 6 maggio 2008

 

 

"Solo una legge che imponga il divieto di esercizio della prostituzione per le strade consentirebbe una vera svolta". Riccardo De Corato, vice sindaco di Milano e deputato del Pdl, in una nota, ricorda che "gli accompagnamenti in Questura sono uno degli strumenti a disposizione della Polizia per contrastare la prostituzione. E che vengano attuati ci conforta e di questo va dato atto al questore. Ma, come per le multe ai clienti inflitte dai vigili - prosegue - si tratta di semplici deterrenti". De Corato dopo che la Polizia ha accompagnato in Questura nove "lucciole", di cui sei romene, a seguito di controlli in zona Niguarda, a Milano, dichiara che solo nei primi tre mesi del 2008, a seguito di 3354 persone e 3483 veicoli controllati, la Polizia Municipale ha inflitto ben 1048 multe ai clienti che hanno adescato le "lucciole" per strada.

"Ora - prosegue De Corato - è tempo di dar corso alla revisione della legge Merlin che è vecchia di mezzo secolo. Nell’ambito della firma dei Patti per la sicurezza, il Comune di Milano aveva fatto una proposta chiara al ministro Amato: vietare la prostituzione per le strade. Un’idea che non ha avuto seguito e che oggi è sostenuta dal nuovo sindaco di Roma, Gianni Alemanno". "A sostegno di questa riforma - sottolinea l’esponente del Pdl -, come parlamentare ho ripresentato lo scorso 29 aprile un progetto di legge che va nella stessa direzione. E che, nello specifico, prevede una sanzione amministrativa fino a 5.000 euro per chi è colto nell’atto di praticare la prostituzione in luogo pubblico e l’arresto fino a 15 giorni, oltre a un’ammenda fino a 2.000 euro, in casi di reiterazione del reato. Per contrastare il fenomeno la proposta contempla anche una multa di 2.000 euro per il cliente, che sale a 5.000 euro in caso di recidiva. Il provvedimento - conclude De Corato - stabilisce, inoltre, pene più dure per favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione".

Roma: Zingaretti; tolleranza zero… ma "prevenzione mille"

 

Dire, 6 maggio 2008

 

 

Un "Tavolo della legalità" per vivere sicuri, che affronti il tema della sicurezza in tutti i suoi aspetti. Questa l’idea che il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, lancia nel corso della visita alla "Bottega dei sapori della legalità", gestita dall’Associazione Libera di Don Ciotti.

"Porterò questa idea al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza - spiega Zingaretti - perché abbiamo l’ambizione di liberare dal crimine il territorio con una Provincia di Roma attore protagonista: reprimere il crimine con la collaborazione delle forze dell’ordine va bene, ma prevenire è indispensabile. Quindi lo slogan è "prevenzione mille, tolleranza zero".

Per Zingaretti "il Tavolo della legalità dovrà essere un luogo dove confrontare le azioni che un ente come la Provincia può fare perché si rendano più sicuri i luoghi insicuri attraverso, per esempio, la video sorveglianza, l’illuminazione, la messa a punto delle colonnine SOS.

Adotteremo, e domani ne discuterò con il presidente Marrazzo, la sua bellissima idea di acquisire e rivoluzionare le stazioni ferroviarie e trasformarli luoghi vivi, commerciali, dando spazio ad associazioni di volontariato".

Zingaretti precisa che sul tavolo confluiranno "varie filiere di governo. Sarà un tavolo trasversale che affronterà in maniera organica il problema dell’insicurezza". Al vaglio anche l’ipotesi di istituire "un numero verde contro il crimine per avere e sollecitare denunce che spesso non emergono. Bisogna mettere in campo tutte quelle azioni indispensabili a debellare il cancro del racket e dell’usura ed evitare che vi sia collusione tra criminalità organizzata, politica e poteri pubblici. È qui che cresce il brodo del malaffare. Del resto il tema della sicurezza è delicatissimo e va coordinato in una area vasta e in modo trasversale, partendo dalla scuola per arrivare alla realizzazione di infrastrutture idonee a garantire sicurezza ai cittadini e non solo repressione con più polizia".

Per quanto riguarda il problema dei campi nomadi, Zingaretti si dice "convinto che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, non abbia l’idea di sgomberare i campi nomadi a Roma per metterli in provincia. Occorre un governo collegiale e collettivo che affronti questo tema delicato e vasto. Come abbiamo visto a Verona, il problema non riguarda solo l’insicurezza provocata da un nomadismo non controllato, ma ci sono anche altri aspetti che vanno affrontati".

Bologna: sei "ronde" per la sicurezza, ogni partito ha la sua!

di Francesco Battistini

 

Il Corriere della Sera, 6 maggio 2008

 

Prima delle elezioni passavano dalle parti del Villaggio Ina quelli del Gruppo Primavera, pensionati del Pd col telefonino chiama polizia e la loro brava pettorina (e fa uno). Dopo il voto, dovevano cominciare i padani che in fondo detengono il copyright di queste cose (e fa due), ma all’ultimo hanno deciso la ritirata perché intanto si sono annunciati i baschi blu dei City Angels, professionisti del ramo. Sei uomini e quattro donne, Angels che già venerdì prenderanno a circolare alla Montagnola, in stazione e in piazza Verdi (e fa tre).

Per fregare tutti sul tempo, però, gli aennini si sono preparati al debutto per questa sera, "armati solo di macchina fotografica e block notes", pattuglie finiane al parco di via Vizzani e a Porta Saragozza (e fa quattro), giusto un attimo prima che scenda in strada anche qualche Amico di Beppe Grillo (e fa cinque).

E Libero Mancuso? Non bastassero tutti quegli altri, ecco l’idea del magistrato-assessore che per conto del sindaco-sceriffo cura la sicurezza: si faranno bandi con l’università e dopo l’estate saranno mobilitati pure gli studenti... (e fa sei!).

"Ronda verde… perlustrare informati". Prima o poi ci vorrà un servizio così, per cavarsela nell’intenso traffico d’archibugieri della notte che marcia su Bologna l’Atterrita, neanche fosse l’Amsterdam di Rembrandt. Più ronde che bande, più guardie che ladri. Anche se la sicurezza è un tema serio, che ormai rimescola posizioni e spinge a scavalcamenti: in consiglio comunale salta il voto sull’ordine del giorno - dare o no spray urticanti e manganelli ai vigili urbani? -, perché i moderati dell’Udc all’ultimo non se la sentono e ritirano il sostegno, col sindaco Cofferati che li sbeffeggia ("hanno preso paura, hanno paura delle novità in politica, se in Parlamento faranno l’opposizione così..."); con An che nel frattempo sfotte gli alleati leghisti ("hanno fatto marcia indietro anche loro, si sono affidati ai City Angels perché le loro Guardie padane sono un flop!") e con la Lega che risponde ("ma se abbiamo bloccato noi la mega moschea!..."); coi comunisti Pdci che temono la "militarizzazione" ma alla fine perfino loro si rassegnano ad avere ronde che perlomeno siano "rigorosamente inquadrate" dal sindaco; col compagno Mancuso che nel suo discorso si fa prendere da foga lumbarda e a un certo punto gli scappa la paroletta borgheziana su certi immigrati, "rifiuti", sì, perché "non ci possono mandare qui dei rifiuti..." .

Ronda su ronda, il mal ci ha portato qui, canterebbe Conte. Ai manganelli, agli spray, alle pattuglie. Che notte buia che c’è, povero me, povero me... Ma Bologna non sta esagerando, adesso? "C’è una grande strumentalizzazione su questo tema", ammette il leghista Manes Bernardini: "Per questo noi abbiamo rinunciato alle nostre guardie". "Niente ronde private o di partito", avverte la Cgil, che più o meno la pensa come gli azzurri berlusconiani.

"Tutti questi gagliardetti sono cose folcloristiche - sostiene Mancuso -, prive di qualunque cittadinanza politica e, credo, anche legale. Sono cose che servono soltanto a disturbare l’amministrazione civica". Amministrazione che per prima... "Alt. Voi continuate a chiamarle ronde, ma le nostre sono l’esatto opposto. Noi abbiamo ingaggiato assistenti civici per l’inclusione, non guardiani della notte". E se da questa settimana vi trovate in strada An, i grillini, i City Angels e tutti gli altri? "Semplice. Non lo possono fare. E lo sanno anche loro".

Troppa sicurezza, nessuna sicurezza. La città che vuole legalità inizia a dubitare di tutti questi giustizieri? "C’è una sovraesposizione", riconosce Maurizio Degli Esposti, presidente di Borgo Panigale, il quartiere ovest che un mese fa ha cominciato a sorvegliare i negozi con la benedizione della giunta: "Qui ormai si fa la corsa al titolo di giornale. Piombano sulla città gruppi come i City Angels che non hanno niente a che fare col territorio, corpi estranei che vengono a dirci cos’è la vivibilità, e magari poi sono loro ad avere bisogno della scorta, per andare in certe zone che nemmeno conoscono...".

Mario Furlan, il fondatore dei baschi blu, non raccoglie. Perché anche lui odia essere mischiato: "Noi non siamo ronde. Selezioniamo gente coraggiosa ma equilibrata, ci addestriamo tre mesi, abbiamo un 30% per cento d’immigrati fra i nostri, gestiamo case accoglienza. E infatti non siamo spariti come quelli di Borghezio o di Forza Nuova. Duriamo da 14 anni: a Milano, Roma, Torino, fra un mese a Salerno... Anche a Bologna impareranno a conoscerci e ad apprezzarci".

E se vi trovate gli altri fra i piedi? "Sono proprio le ronde fatte da gente impreparata, la cosa più inutile e dannosa. Ricordo tre signori in Brianza che volevano fare da sé: andarono da uno spacciatore, lo cacciarono via. Si sentivano forti. Poi tornarono gli amici dello spacciatore e bastò mezza parola... Non c’è problema, stia certo: fra un mese, questi dilettanti saranno spariti tutti".

 

Il Prefetto frena sulle ronde "di parte"

 

Piano con le ronde, specie quelle "di parte" che possono essere "non in grado di dare sicurezza a tutti, o, peggio, costituire problema tale da distogliere le Forze di Polizia dal loro prioritario impegno Istituzionale del controllo del territorio". La frenata, in questi giorni di iperattivismo civico sulla sicurezza urbana a Bologna, viene da una nota diffusa dal prefetto Angelo Tranfaglia. Il numero uno di piazza Roosevelt ribadisce che "il controllo del territorio è funzione esclusiva delle forze di Polizia che sono le uniche ad avere professionalità e competenza adeguate per svolgere tale compito, rilevando, comunque- prosegue- che sono legittime, ancor più auspicabili, tutte quelle forme di sicurezza partecipata che vedono coinvolti i cittadini, come generalità o come singoli, e comunque in stretto raccordo con il momento pubblico nel concorrere a realizzare sempre migliori condizioni di sicurezza".

Ma è su quelle che definisce "forme diverse", cioè non intermediate dal Comune, dai quartieri e comunque dalle istituzioni, che si concentra lo stop di Tranfaglia. "Al dl là delle valutazioni in ordine alla legittimità o meno delle loro modalità di attuazione, occorre grande prudenza, attenzione e senso di responsabilità per evitare che le stesse possano apparire iniziative di parte e come tali non in grado di dare sicurezza a tutti, o, peggio, costituire problema tale da distogliere le Forze di Polizia dal loro prioritario impegno Istituzionale dl controllo del territorio".

Torino: e Chiamparino cita l’esempio di Rudolph Giuliani…

di Alessandro Mondo

 

La Stampa, 6 maggio 2008

 

Il sindaco è per la linea dura, come a New York. Il vertice dopo le ultime aggressioni: destinare parte degli incassi delle multe per potenziare gli ausiliari del traffico e delegare loro le funzioni tradizionalmente svolte dai vigili urbani - dalla viabilità all’applicazione dei regolamenti comunali -, permettendo a questi ultimi di contrastare la microcriminalità.

Il sindaco è per la linea dura, Parola del Prefetto Paolo Padoin, che ieri ha partecipato al tavolo sulla sicurezza riconvocato in Comune. Presenti Chiamparino, l’assessore Borgogno (Polizia Municipale), i capigruppo e i parlamentari (assenti quelli del Pdl). All’ordine del giorno la questione-sicurezza, riproposta dai disordini scoppiati tra i nomadi di via Germagnano e dall’aggressione subita sabato notte da una pattuglia di vigili urbani nella centralissima piazza Vittorio.

Un pessimo segnale, secondo il Prefetto, che rimanda alle peggiori performance da stadio e archivia i distinguo tra insicurezza effettiva e insicurezza percepita: il nuovo ruolo degli ausiliari del traffico è una delle risposte possibili. Perplesso Borgogno: "Proposta da valutare, anche se credo che il trasferimento di funzioni implichi una modifica della legge Bassanini". Controreplica di Padoin: "Per modificare la legge basta cambiare un articolo. In alternativa, si può valutare un’interpretazione estensiva del testo attuale".

Condivisa la richiesta, avanzata dal sindaco, di derogare alle procedure della legge Merloni e ai vincoli imposti dal Patto di stabilità per risanare le aree critiche. Ma questo è il futuro. Nel presente si impone una risposta immediata all’ultima aggressione contro i vigili che sabato notte si trovavano in piazza Vittorio per sanzionare auto parcheggiate in modo tale da compromettere la sicurezza stradale: Borgogno ha annunciato controlli coordinati con le forze dell’ordine.

Sul punto il sindaco, che ieri ha citato la "teoria dei vetri rotti" elaborata da Rudolph Giuliani, è tassativo: come l’ex-sindaco di New York aveva invitato a sostituire i vetri rotti delle case per contrastare il degrado, così Chiamparino vede nella lotta ai parcheggi illegali un punto di partenza per garantire il controllo del territorio. "Nessuna pregiudiziale ideologica sui mezzi di autodifesa dei vigili - ha detto Borgogno -, già dotati di giubbotti antiproiettile, guanti antitaglio e ora di spray al peperoncino".

Restano perplessità sull’utilizzo dei manganelli o "distanziatori", previsti nel regolamento della legge regionale sulla sicurezza (non ancora approvato) ma impiegati a discrezione del comandante della Polizia municipale. Oggi l’armamento dei vigili, fissato per decreto, prevede pistola, sciabola e carabina, a seconda delle mansioni.

Lucera: un corso di cucina, 15 mesi "tra sbarre e fornelli"…

 

Luceraweb, 6 maggio 2008

 

Sono partiti in 15 sei mesi fa e sono rimasti in 9, per gli altri la libertà è arrivata prima della fine del corso di cucina organizzato all’interno della casa circondariale di Lucera in cui i detenuti si sono cimentati dietro i fornelli, acquisendo capacità di preparazione di cibi e alimenti, guidati dai docenti Curci e Di Paolo dell’Ipssar annesso al Convitto Bonghi.

L’iniziativa è stata finanziata dal Ministero della Giustizia e si chiamava proprio "Tra sbarre e fornelli" con cui i corsisti hanno ricevuto una prima formazione per aiuto cuoco, pizzaiolo o pasticcere. La conclusione del progetto è arrivata con una piccola cerimonia organizzata la settimana scorsa e la relativa consegna degli attestati di partecipazione agli allievi che nell’occasione hanno anche allestito un buffet con cui sono stati accolti gli ospiti esterni.

Oltre al direttore della struttura Davide Di Florio e al personale interno con in testa l’educatrice Lina D’Aloia e il comandante della polizia penitenziaria Mario Zammetta, sono infatti interventi anche il vescovo della diocesi Domenico Cornacchia, il vice sindaco Antonio Di Matto, il magistrato di sorveglianza Domenico Mascolo, e Carlo Rubino, il presidente del Consorzio Opus che ha materialmente realizzato il corso di circa 150 ore.

"Questa della cucina è un’occasione in cui non sono state messe barriere fisiche tra la società civile e voi che avete frequentato il corso - ha detto il giudice barese ai detenuti presenti alla piccola cerimonia - e costituisce una opportunità per il vostro futuro al di fuori di questa struttura". Il corso era infatti indirizzato a reclusi le cui pene detentive non prevedono tempi lunghi ed è quindi "spendibile" in funzione di una prospettiva di lavoro esterno e quindi di un reinserimento nella società.

Droghe: Ue; informazione allarmistica può indurre consumo

 

Notiziario Aduc, 6 maggio 2008

 

E se le campagne per evitare il consumo di droghe tra i giovani non fossero efficaci? E se l’informazione sui loro effetti fosse controproducente e inducesse al consumo? Gregori Burkhart, responsabile dell’Area di Prevenzione dell’Osservatorio Europeo sulle droghe, intervistato dal quotidiano spagnolo La Nueva España risponde perentorio: "Il mero provvedimento d’informare gli alunni è inefficace.

Nessuno cambia il proprio comportamento solo per essere stato informato". Anzi, l’informazione può essere negativa se si riferisce solo al consumo e ai suoi effetti, e se lo si fa in modo allarmistico. Si rischia di suscitare curiosità morbose e d’indurre al consumo proprio i ragazzi che non ci pensavano affatto. A questo proposito ha citato Cipro, dove è proibito parlare di droga senza un’esplicita autorizzazione, proprio per non suscitare interesse.

Burkhart, che partecipa al V Congresso Internazionale di Psicologia ed Educazione in corso a Oviedo, ha affermato che i dati sul consumo spesso danno una percezione sbagliata giacché normalmente si riferiscono a dati di consumo saltuario, e quindi le cifre sono più alte di quelle reali, ciò che ha un effetto negativo sulla prevenzione. Succede infatti che "i minorenni, spesso sovrastimino il consumo dei loro coetanei, e pensino che se tutti lo fanno, loro sono strani, quando in realtà, il 90% di una classe normalmente non consuma". Cita un’eccellente campagna olandese imperniata sul messaggio: "Tu non consumi, nemmeno l’80% lo fa".

L’Europa, il cui piano antidroga 2005-2008 sarà valutato prossimamente, non ha fatto un grande sforzo, secondo Burkhart, per evitare campagne inefficaci. La Spagna è stata esemplare in questo senso, ma dovrebbe estenderle a tutte le Comunità. "Un buon programma non insiste tanto sulle sostanze, bensì sui comportamenti", spiega. "E se è ben fatto, è efficace". Consiglia di condurre una "prevenzione selettiva per gruppi o individui particolarmente vulnerabili", che possono facilmente arrivare a picchi alti di consumo una volta iniziato. In quanto ai piani contro alcol e tabacco, benché abbiano un effetto a lungo termine, "il solo fatto di ritardare l’età di inizio del consumo è già positivo: il cervello sarà più stabile e anche la persona".

Riguardo alla Spagna, l’esperto ricorda che è al primo posto nell’Ue per consumo di cannabis -molto legato al tabacco- insieme a Italia e Gran Bretagna. Ed è il Paese dove il "consumo di sostanze come l’alcol è il meno regolamentato e la cui legge contro il tabacco è confusa e permissiva". Rispetto al fenomeno bing drinking, ossia l’assunzione d’alcol in grandi quantità, così come l’uso di droghe sintetiche, Burkhart li associa all’industria del tempo libero. "Si tratta di epidemie industriali", commenta. Tuttavia, altri Stati s’impongono con norme di polizia o ambientali, incluse iniziative positive come quella di favorire i trasporti pubblici notturni dalle zone del divertimento.

Droghe: Canada; stanza consumo non causa alcun problema

 

Notiziario Aduc, 6 maggio 2008

 

Per il criminologo, assunto dal Governo conservatore per studiare l’efficacia delle stanze del buco (Insite), sarebbe il caso di estendere questo progetto in altre città canadesi, nei quartieri più toccati dallo spaccio.

Neil Boyd, professore della Simon Fraser University, ha dichiarato che la clinica Insite di Vancouver non contribuisce allo spaccio nelle strade, né al compimento di atti criminali e che, al contrario, nelle strade cittadine si è registrata una riduzione del consumo di droghe. "Per quanto riguarda l’ordine pubblico, non ci sono prove che indichino che l’Insite abbia un impatto negativo sulla comunità", ha detto Boyd nella conferenza stampa, in cui ha invitato il Governo a tenere conto delle ricerche, nonostante l’ideologia politica di appartenenza, prima di prendere decisioni sul futuro del centro. Inoltre, l’80% dei cittadini, degli operatori commerciali e dei poliziotti intervistati si sono dichiarati favorevoli al centro. Il Governo conservatore di Harper è sempre stato "freddo" nei confronti dell’Insite, centro che ha iniziato il suo programma pilota nel 2003.

Boyd ha ricevuto dal Governo l’incarico di studiare le conseguenze dell’Insite sull’ordine pubblico, ossia per verificare se il luogo sia una calamita per il crimine, lo spaccio o provochi maggiori atti criminali nella zona. La parlamentare progressista Libby Davies ha dichiarato che così molte ricerche hanno dimostrato l’efficacia di Insite che sarà difficile per il Governo federale chiuderlo. Insite gode dell’esenzione a rispettare le leggi sulle droghe e il Governo l’ha già rinnovata per due volte; la prossima scadenza è il prossimo 30 giugno.

Il ministro della salute Tony Clement ha dichiarato che nel prendere la decisione il Governo non avrà pregiudizi, anche se ha invitato per l’ennesima volta a fare ulteriori ricerche. Al contrario per gli scienziati le ricerche sono già ampiamente sufficienti per espandere il progetto, ma Clement ha spiegato che la scienza e la dimostrata efficacia non saranno gli unici metri di giudizio.

Droghe: Olanda; tasse per 400 mln, grazie a vendita cannabis

 

Notiziario Aduc, 6 maggio 2008

 

Pomodori, cetrioli, marijuana. Sono i tre prodotti agricoli d’esportazione olandesi di maggior successo, e hanno una cosa in comune: vengono coltivati quasi esclusivamente nelle serre. Pomodori e cetrioli in maniera del tutto legale, le piantine di canapa per la marijuana no. L’anno scorso l’industria nazionale della cosiddetta droga leggera ha conseguito un fatturato di due miliardi di euro. Anche lo Stato ha incassato una bella cifra: i 700 coffee shop legali hanno versato al Fisco circa 400 milioni di euro. Solo di imposte sulle entrate, sia ben chiaro, giacché non devono pagare l’Iva, come ha rivelato il programma "Reporter" dell’emittente televisiva KRO. "Nederweit" - in gergo la cannabis da spinello - è il principe dei prodotti d’esportazione, alla stregua appunto di pomodori e cetrioli.

I primi Paesi importatori sono Germania e Gran Bretagna, ha constatato il commissario di polizia Max Daniel. Secondo le sue stime, la maggior parte del "Nederweit" prodotto in Olanda, in pratica il 60%, viene venduto e consumato fuori dai confini nazionali, mentre il resto è destinato ai consumatori olandesi attraverso i coffee shop. I prezzi variano in base alla qualità. Ad Amsterdam, dove la richiesta dei turisti stranieri è maggiore, la marijuana costa più che a Rotterdam o a Utrecht. Da molte parti, la sostanza è venduta a partire già da 6 euro al grammo e quella di qualità inferiore anche a 4 euro. Per gli spacciatori tollerati nei coffee shop è un affare lucrativo, in quanto possono contare su margini di guadagno del 150-200%, una quota che il singolo venditore normale si sogna, con il suo 2-4%.

Nessuna meraviglia, dunque, se i maggiori proprietari dei coffee shop viaggiano in auto di lusso e si possono permettere grandi ville. Ma la loro è una vita rischiosa. Devono garantirsi scorte di marijuana che vendono legalmente, ma che comprano illegalmente. È il paradosso della trentennale politica olandese sulle droghe. Come dice la vulgata, la sostanza passa dalla porta principale al momento d’essere venduta, ma entra da quella di servizio quando viene comprata. In base alla legge attuale, nei coffee shop una persona può acquistare al massimo 5 grammi di sostanza purché si identifichi e dimostri d’aver compiuto 16 anni.

La coltivazione massiccia di canapa è proibita. Ma è talmente vantaggiosa che sono sempre più numerose le abitazioni dei quartieri "bene" trasformate in spazi coltivati a canapa. Sono dei nascondigli perfetti. Questa politica sostanzialmente schizofrenica ha fatto sì che negli ultimi decenni in Olanda sia cresciuta una mafia della droga, e ogni anno si registrano almeno cinque omicidi tra bande rivali. La resa dei conti per il possesso del territorio avviene spesso per strada, proprio come succede con la mafia in Italia: gli esecutori arrivano in motocicletta, sparano e scappano.

Si valuta che nei coffee shop le vendite di marijuana arrivino a 265.000 chili l’anno. L’anno scorso la polizia ha distrutto quindici grosse piantagioni illegali di canapa coltivata in serra. Ogni volta che accade si produce un’impasse, ossia i coffee shop restano sguarniti e i prezzi aumentano perché la domanda supera l’offerta. Ma il pendolo torna presto a oscillare nell’altra direzione, grazie a chi procura in breve tempo gli innesti per le nuove piantine.

Sei anni fa, quando venne eletto per la prima volta capo del Governo, il cristianodemocratico Jan Peter Balkenende disse che avrebbe voluto chiudere tutti i coffee shop. Ma finora non è riuscito nel suo intento perché in Olanda esiste un’agguerrita lobby a sostegno della vendita legale di marijuana. Tuttavia, nel frattempo l’approccio della politica dell’Aja e dei Comuni riguardo ai coffee shop si è irrigidito. Per esempio, questi locali devono trovarsi a una certa distanza dalle scuole, e vengono chiusi per decreto se c’è la prova che vendono anche droghe pesanti come cocaina o eroina. E in effetti, negli ultimi anni il loro numero è sceso da 1000 agli attuali 700.

Iran: 12 detenuti impiccati, una condanna eseguita in piazza

 

Associated Press, 6 maggio 2008

 

Dodici persone sono state impiccate in Iran, di cui una sulla pubblica piazza. Lo riferiscono oggi fonti di stampa di Teheran. Il quotidiano Keyhan scrive che nove trafficanti di stupefacenti sono saliti sul patibolo a Bojnurd, nell’ovest del Paese, di cui uno in pubblico. Non è precisato quando siano avvenute le esecuzioni. Il giornale Qods aggiunge che nel carcere di Ahwaz, nel sud-est, sono stati impiccati ieri tre giovani che erano stati riconosciuti colpevoli di avere rapito, violentato e rapinato 11 ragazze. Lo scorso anno, secondo Amnesty International, sono state almeno 317 le esecuzioni capitali nella Repubblica islamica, che si è così situata al secondo posto al mondo per numero di persone messe a morte dopo la Cina. In Iran la pena di morte è prevista per diversi reati, tra i quali l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l’apostasia, l’adulterio e la sodomia. Fino all’anno scorso le esecuzioni sulla pubblica piazza erano comuni, ma dal gennaio scorso il capo dell’apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, ha disposto che esse possano avvenire solo con la sua esplicita autorizzazione.

 

 

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