Rassegna stampa 5 maggio

 

Giustizia: mercato della sicurezza… un business "da paura"

 

La Repubblica, 5 maggio 2008

 

Porte blindate per 1,5 miliardi; 2,4 miliardi per vigilantes e guardie giurate. E siamo ancora indietro nella telesorveglianza. Le Fs investiranno 12 miliardi nelle stazioni.

La brochure si trova nel sito di Assosicurezza, che raggruppa una cinquantina di società del settore. Pubblicizza un agile manuale destinato alla messa in sicurezza dei beni ecclesiastici. Perché quando le preghiere non bastano, i sistemi di allarme e le telecamere possono fare molto di più, visto che la pubblicazione assicura di essere "molto utile ai parroci, poiché fornisce tutte le indicazioni legali per trattare secondo la legge opere d’arte, prevenendo i furti o creando i presupposti per perseguirne gli autori e recuperare i reperti".

Un caso molto particolare, ma che la dice lunga di quanto sia ormai variegato, ma soprattutto organizzato ed economicamente avanzato il business che comprende telecamere, porte blindate, videosorveglianza e tutto ciò che riguarda la sicurezza sia degli edifici privati che delle grandi aree urbane. Un tema diventato di moda perché al centro dei primi dibattiti del dopo voto, sia nazionale che amministrativo. Ma, in realtà, sarebbe bastato guardare i numeri per capire - soprattutto in alcune zone del nord - come le preoccupazioni sia dei singoli cittadini sia delle amministrazioni pubbliche si fossero già tramutate in investimenti miliardari.

E che il problema fosse particolarmente sentito nelle regioni settentrionali lo dicono, tanto per cominciare, il numero di telecamere installate dai comuni più grandi. Non siamo ancora a livelli di Londra - non a caso - definita "The Big Brother": oltremanica è attivo il 20% delle telecamere di tutto il mondo, con 4,2 milioni di apparecchi, uno ogni 14 cittadini, grazie ai quali ogni abitante viene ripreso in media almeno 300 volte al giorno.

Nonostante anche in Italia si stia andando sempre di più in questa direzione, a numero siamo ancora lontani anni luce: in una classifica per grandi centri, in testa c’è Milano con la sue 700 telecamere elettroniche, con a ruota Bologna (290) e Firenze (100). A Roma, invece, siamo ancora fermi a non più di una settantina. Andranno addirittura oltre le Ferrovie dello Stato. Uno dei provvedimenti del governo uscente è stato quello di finanziare i bandi delle gare Fs e, non appena ci sarà il via libera del Cipe, partirà un piano di video sorveglianza tutte le principali stazione ferroviarie.

Ma nel computo delle spese pubbliche per la sicurezza delle città, non si può non citare la vigilanza urbana. Secondo le ultime statistiche, alla Polizia Municipale è destinato in media l’8% delle spese correnti dei comuni italiani, cifre importanti, che diventano il 9 e l’11% a Milano e a Roma. Nel totale dei soli capoluoghi di regione la cifra complessiva supera il miliardo di euro. Ma da soli non basterebbero a garantire la sicurezza nei quartieri, visto che almeno la metà dei vigili delle città medio - grandi passa il suo tempo in ufficio. Ecco allora in azione gli agenti di prossimità: ne sono stati calcolati quasi 4mila (divisi a metà tra poliziotti e carabinieri), di cui più della metà occupati nei capoluoghi di regione. Di questi 900 nella sola Roma, mentre a Milano 350 agenti di prossimità sono affiancati da 400 vigili di quartiere.

Fino a qui il ruolo degli enti pubblici. Ma anche i privati, in questi ultimi anni non si sono sottratti a spese dedicate alla sicurezza. A cominciare dalle abitazioni. Nell’ultima edizione dal Saie di Bologna, Fiera dedicata all’edilizia, è stata presentata una statistica secondo cui il 75% degli italiani teme furti e aggressioni in casa. Da qui, l’aumento delle spese per casseforti, porte blindate, infissi anti-intrusione, il cui fatturato supera oramai il miliardo e mezzo di euro all’anno. Ma non solo: l’ultima tendenza riguarda i condomini, che in numero sempre maggiore si stanno dotando ai portoni di telecamere collegate a una centrale di sorveglianza. La tendenza, segnalano gli esperti, non potrà che essere all’aumento degli investimenti per questo tipo di strumenti, visto che secondo dati Eurispes solo il 7,4% degli italiani è dotato di sistemi di video sorveglianza mentre gli antifurti sono presenti solo nel 27,8% delle abitazioni.

C’è poi il capitolo supermercati. L’anno scorso il valore dei furti dagli scaffali ha superato in Italia i 3 miliardi di euro, pari all’1,23 delle cosiddette "differenze inventariali" della grande distribuzione organizzata, che ci pone al quarto posto della classifica europea, anche se il primato per il più alto valore di merce rubata va alla Gran Bretagna con quasi 5,6 miliardi di euro (e una differenza inventariale dell’1,34%).

Anche in questo caso, la reazione ha portato a investire in tecnologia anti-taccheggio: nel 2007, gli investimenti hanno superato i 900 milioni di euro. In questo modo, sul mercato italiano si è arrivati a proteggere fino a 15milioni di articoli.

Ma quali sono i prodotti più rubati in Italia? Il maggiore incremento è stato registrato dai superalcolici, cresciuti di 21,8 punti percentuali in un anno, seguiti dai prodotti cosmetici (+12,4%) e dai capi d’abbigliamento (+12,2%).

Sicurezza privata significa anche vigilantes e guardie giurate. Un tempo attive soprattutto nelle grandi città e ora diventate una presenza comune anche nei piccoli centri. Si tratta di un mercato talmente in espansione e dai risultati economici convenienti al punto da aver attirato i fondi di private equity.

Solo pochi anni fa le imprese del settore erano 200 con 20 mila addetti. Ora sono diventate 965 e i dipendenti 50 mila. E sono solo quelle iscritte a Federsicurezza che copre il 75% di un mercato che a livello italiano ha raggiunto un fatturato di 2,4 miliardi di euro all’anno. Non a caso il 50% delle società è nato dopo il 2001, dopo il boom della richiesta di sicurezza in tutto il mondo in seguito all’attentato alle Torri Gemelle. Si diceva dei private equity: il fondo Sterling Square Capitals ha da poco rilevato la Sicurglobal di Gallarate (164 milioni di ricavi) da Bs Private Equity, mentre Capitolotre di Milano è finita sotto il controllo di 21 Partners Sgr e Banca Leonardo.

Un piccolo aiuto ai privati è arrivato dal governo uscente che nel 2007 ha stanziato 30 milioni in tre anni destinati a una categoria colpita dalla malavita: i commercianti. Fondi sotto forma di credito di imposta destinati in particolare a ristoratori, farmacisti, benzinai, oltre che ai tabaccai (cui sono toccati altri 15 milioni). Ma l’opzione non è piaciuta un granché. Per esempio: la Fit (Federazione Italiana Tabaccai) pur guardando con favore "al riconoscimento del disagio della categoria" ha fatto capire che i soldi messi a disposizione sono pochi: in effetti 15 milioni per una categoria che vede 56 mila iscritti, di cui almeno 47 mila interessati, finiscono per non essere tantissimi. In ogni caso, il Governo prevede che ogni destinatario non possa comunque avere un credito superiore ai 3mila euro. Non molto, ma è comunque un inizio. E ora tutti in attesa di capire gli orientamenti del prossimo esecutivo che della sicurezza ha fatto il suo cavallo elettorale vincente.

Giustizia: Variati (Pd); sono cattolico, ma niente "buonismi"

di Beatrice Bertuccioli

 

Il Giorno, 5 maggio 2008

 

Lo aveva promesso in campagna elettorale: "Tolleranza zero". E intende mantenere la parola ora che, espugnando una roccaforte del centrodestra e della Lega, è diventato sindaco di Vicenza. Da cattolico, precisa Achille Variati, non da sceriffo.

 

Variati, "tolleranza zero"?

"Parlo di tolleranza zero per indicare un patto ideale tra il sindaco, l’amministrazione, e ciascun cittadino al fine di combattere qualsiasi forma di illegalità: dalla criminalità e microcriminalità, all’abusivismo edilizio e commerciale. Nella prospettiva di una città più sicura, più pulita".

 

Prima di tutto lotta alla prostituzione?

"Chi abita nelle strade frequentate dalle prostitute fa una vita d’inferno. Voglio liberare quei quartieri e si interverrà con mano durissima. Ma ci saranno controlli anche nei locali notturni perché, accanto a tante persone perbene, ci sono anche immigrati irregolari".

 

Lotta anche a loro?

"È possibile che in Germania un immigrato irregolare abbia paura di circolare perché teme di essere individuato, mentre da noi, una volta che uno è entrato, può fare ciò che vuole? A Vicenza ci sono ottantamila immigrati regolari. Ma si tratta di permessi di soggiorno dati, in molti casi, sulla base di autocertificazioni. Nessuno controlla niente in questo Paese".

 

La situazione è cambiata da quando era stato sindaco dal 1990 al 1995?

"È peggiorata, perché sono arrivati in tanti. E la giunta precedente, quella di centrodestra, ha chiacchierato molto, ma se guardiamo ai risultati di concreto ha fatto ben poco".

 

Una battaglia da combattere solo con azioni di forza?

"Illegalità e degrado non si combattono solo con le forze di polizia ma anche facendo rivivere alcuni luoghi. Ci sono aree dove i vicentini non vanno più. Sono in mano a extracomunitari, spacciatori e loschi figuri vari. Voglio restituirle agli abitanti di questa città".

 

Fa discorsi sulla sicurezza, gli stessi che in altre città hanno fatto vincere la destra.

"Io sono andato per i quartieri, occupandomi di problemi come le strade non illuminate e i marciapiedi rotti. Il sindaco non è il rappresentante di un partito né di un’ideologia, ma un primo cittadino, cioè si occupa di cose concrete".

 

Per Giorgio Guazzaloca, ex primo cittadino di Bologna, i sindaci di sinistra che fanno gli "sceriffi di ritorno" non sono credibili…

"Io non voglio essere uno sceriffo, ma un sindaco che affronta i problemi della propria comunità".

 

Le dà fastidio che si parli di "sceriffi"?

"Il fatto è, che c’è stato troppo buonismo nel nostro Paese e con il buonismo non si va da nessuna parte. Un bravo sindaco, dal mio punto di vista, deve essere uno che si muove sempre con le due mani: la mano della solidarietà, con l’attenzione verso i poveri ma senza confondersi con i professionisti del pianto che cercano solo assistenzialismo, e la mano della fermezza. Se si usa una mano sola, si sbaglia".

 

Una battaglia sicuramente dura, ma che secondo lei si può vincere?

"Io ce la metto tutta, da cattolico. Cristo disse: avevo fame e mi hanno dato da mangiare, avevo sete e mi hanno dato da bere, ero straniero e mi hanno accolto. Queste parole sono scolpite nel mio cuore. Ma questo non significa buonismo. Significa aiutare chi ha bisogno, ma anche fare rispettare le nostre regole. Perché questo è un grande aiuto anche per tutti quei cittadini perbene che vengono in Italia e vivono e lavorano onestamente. Anche per loro, il rispetto delle regole deve essere fermissimo".

Giustizia: teste rasate e antisemiti… è allarme nel Nord - Est

di Alberto Custodero

 

La Repubblica, 5 maggio 2008

 

Il Nord Est, secondo i Servizi Segreti Italiani (l’Aisi), è "la zona a più alta densità di militanti naziskin del Paese".

Secondo il rapporto dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna, proprio nel bacino fra Verona (la città dove è stato aggredito Nicola Tommasoni), Vicenza, Padova e Treviso, il "Fronte Skinheads-Vfs, costituito a Vicenza negli anni Ottanta e ispirato al modello britannico, conta su alcune centinaia di giovani attivisti". Il loro è il look del "guerriero metropolitano".

Fanno pugilato, thai box e sollevamento pesi, e si riconoscono nei valori fondanti dello skin style individuati nell’appartenenza di classe e nel sentimento nazionalista". La dimensione ideologica, come il richiamarsi ai legionari romani, c’entra poco, ma è utile "per saldare gli atteggiamenti improntati alla forza fisica ad un ruolo socio politico".

"Quando perquisiamo le loro case - racconta un alto funzionario della Digos - nelle stanze, sulla testata del letto, troviamo bandiere con la svastica o la croce celtica. Ma il loro livello culturale, molto basso, ci porta a parlare di bullismo con la testa rasata". Il credo naziskin è infatti - secondo gli esperti dell’intelligence - una sorta di sottocultura violenta, teppistica, xenofoba, razzista e antisemita, che si manifesta in scala crescente, dalla strada al quartiere, fino alla curva dello stadio. E trova proseliti soprattutto fra le "fasce di giovani culturalmente meno preparate che eleggono a loro passatempo preferito del sabato sera il boot party", come vengono sarcasticamente chiamate le aggressioni fini a se stesse.

Il violento pestaggio di Verona non ne è che l’ultimo, tragico, esempio. Le teste rasate sono giovani dalla doppia militanza: nell’antagonismo il sabato per "fare casino in piazza", e fra le tifoserie la domenica dove il campo di battaglia diventa la curva. I richiami politici - osservano i servizi segreti - sono poco più che simbolici.

Nel mucchio degli ottantamila ultrà d’Italia, il grumo eversivo, secondo il ministero dell’Interno, è di circa ventimila tifosi, e proprio negli ultimi anni la gran parte sono diventati di destra (63 gruppi, circa 15 mila sostenitori), mentre la componente di sinistra, molto forte negli anni Settanta, è oggi ormai una minoranza, 35 associazioni per circa 5 mila persone.

Sono state proprio le curve degli stadi - osserva l’intelligence - i luoghi nei quali la "tifoseria oltranzista ha assorbito l’esperienza di lotta della "cellula politica" con l’acquisizione di schemi organizzativi, slogan ossessivi, strategie di militarizzazione". È così che negli stadi sono comparsi, ad esempio, striscioni antisemiti o xenofobi (ora vietati dopo le norme sulla sicurezza negli stadi del ministro Amato). Al di là dei divieti di esporre bandiere o slogan dal contenuto ideologico, gli ultrà-naziskin si sono organizzati in "strutture stabili e complesse", con tanto di gadget, tesseramento. E sono capaci, pur appartenendo a squadre diverse divise da rivalità secolari (come Roma e Lazio), di allearsi per assaltare le caserma della polizia e la sede del Coni, come avvenuto nella Capitale nel novembre scorso qualche ora dopo la morte del tifoso laziale, Gabriele Sandri.

Ma l’allarme naziskin non riguarda solo le aggressioni boot party, le violenze negli stadi e le guerre fra tifoserie durante le trasferte. L’allarme del Viminale riguarda anche il risveglio dell’antisemitismo in Italia, con profanazione di tombe ebraiche e la comparsa sui muri di tutta Italia di scritte inneggianti il Duce, Hitler e i forni crematori. Su questo fronte dell’intolleranza razziale, si assiste ad un fenomeno del tutto nuovo: gli slogan antisemiti sono di moda non solo fra i naziskin e gli ultrà, ma anche fra i movimenti antagonisti dell’estrema sinistra e in alcuni ambienti di studenti leghisti "antagonisti padani".

Giustizia: Contrada; richiesta di eutanasia non è ammissibile

 

Apcom, 5 maggio 2008

 

È stata dichiarata inammissibile l’istanza con la quale Anna Contrada, sorella di Bruno, l’ex numero 3 del Sisde detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per scontare una condanna definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, chiedeva "formale autorizzazione per uccidere legalmente il fratello Bruno".

Niente eutanasia dunque per Contrada, ha deciso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta da Ida D’Onofrio. Secondo il giudice l’istanza è "finalizzata ad ottenere un’autorizzazione alla commissione di una fattispecie di reato in considerazione del fatto che nell’ordinamento giuridico vigente nello Stato italiano non è prevista l’autorizzazione alla morte legale". Il Giudice inoltre rileva che qualsiasi ulteriore istanza relativa a Bruno Contrada, che è interdetto, dovrà essere presentata al Giudice Tutelare di Palermo.

Roma: Alemanno; via gli ambulanti, ma rispetto per le persone

di Maurizio Piccirilli

 

Il Tempo, 5 maggio 2008

 

Un rullo compressore. Il neosindaco di Roma non perde tempo e porta avanti il suo programma. E ogni occasione è buona per informarsi e dettare la linea del suo modo di governare. Per iniziare da subito a "cambiare Roma". Incontra i rappresentati delle forze dell’ordine e improvvisa un vertice per la sicurezza e precisa la sua strategia di "tolleranza zero" con loro. La prima occasione per fare il punto della situazione è stata ieri: anniversario della strage brigatista di piazza Nicosia, Alemanno, prima volta di un sindaco di Roma, ha voluto partecipare alle cerimonie di commemorazione degli agenti uccisi quel 3 maggio 1979.

Il primo cittadino s’è ritrovato i vertici delle forze dell’ordine e ha organizzato, così su due piedi, un mini vertice informale del Comitato per l’ordine e la sicurezza. Infatti, dopo la deposizione della corona d’alloro in piazza Nicosia, tutte le autorità si sono trasferite a piazza del Collegio Romano nella sede del Commissariato Trevi - Campo Marzio a cui appartenevano i poliziotti uccisi dai brigatisti.

Al primo piano, nella stanza del dirigente Marcello Cardona, si sono ritrovati Alemanno, il prefetto di Roma Carlo Mosca, il questore Marcello Fulvi, il comandante provinciale dei carabinieri Vittorio Tomasone, il comandante regionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi. Un caffè, qualche pasticcino per rompere il ghiaccio. Ma nel mini vertice mancava un rappresentante dei vigili urbani.

"Ho visto il vicecomandante qua sotto. Una signora se non vado errato", si informa Alemanno. Subito un funzionario scende a precipizio le scale e arrivato in piazza va a cercare la vicecomandante e la signora Donatella Scafati conquista il primo piano e la stanza del mini vertice. Poche cordialità e subito al dunque.

Alemanno mette subito il dito nella piaga dell’abusivismo commerciale. "Dobbiamo agire. Si può iniziare da Cola di Rienzo e dintorni", sostiene il sindaco. Gli ambulanti abusivi e non, sono un problema di sicurezza e rispetto della città. Il commercio illegale porta il discorso sugli immigrati e la loro situazione. Alemanno è chiaro: "Tolleranza zero ma massimo rispetto per le persone". Un imperativo che il sindaco intende affrontare anche con la Caritas: "Ho intenzione di incontrarli al più presto" informa i suoi interlocutori.

"La solidarietà verso le categorie deboli è importante", spiega il neo sindaco. Si parla anche di campi nomadi, poliziotti e carabinieri spiegano che va tutto bene ma "mancano le risorse". Uomini e mezzi e forse, questore e comandanti sembra parlino in coro, è il caso che il sindaco si faccia parte dirigente con il nuovo governo di questa che rischia di diventare un’emergenza non più eludibile.

Gli impegni a Roma per le forze dell’ordine sono davvero tanti. Troppi, con le risorse a disposizione. "Mercoledì metteremo a fuoco tutto", si accordano i presenti. Il punto di tutto il comparto sicurezza verrà quindi fatto la settimana prossima in Prefettura, sede deputata ai vertici del Comitato provinciale. "Voglio arrivare molto ben preparato all’insediamento del ministro dell’Interno per focalizzare e presentare chiaramente i problemi e le necessità di Roma, anche dal punto di vista legislativo", così Alemanno tranquillizza i suoi interlocutori.

Il gruppetto poggia le tazzine del caffè, e lascia gli uffici del commissariato. "Siamo d’accordo, mercoledì ci rivediamo. Ma importante è partire", saluta Alemanno, sindaco decisionista.

Parma: ex carabinieri diventano i "volontari della sicurezza"

 

Corriere della Sera, 5 maggio 2008

 

Debutto ieri a Parma dei volontari della sicurezza: 28 tra ex carabinieri e finanzieri che presidieranno i parchi e le zone più a rischio della città. Il progetto sperimentale porta la firma dal Comune di Parma (che di recente ha firmato la "Carta della sicurezza" con i sindaci di altre città del Nord), dell’associazione dei carabinieri in congedo e dell’associazione nazionale finanzieri d’Italia. I volontari hanno seguito un corso della polizia municipale. Non saranno armati ma avranno un telefono palmare con cui si metteranno in contatto con la centrale operativa. "I volontari - ha detto il sindaco Vignali - sono dei professionisti nel campo della sicurezza e non sono ronde improvvisate. Dovranno raccordarsi con le forze dell’ordine, essere di supporto a queste, ma soprattutto ai cittadini".

Salerno: il sindaco dà il pitbull ai vigili, anche per difendersi

 

Corriere della Sera, 5 maggio 2008

 

I manganelli e gli spray al peperoncino di Bologna? Armi vecchie, si può passare a quelle non convenzionali. Dopo un anno di dibattiti e soprattutto di addestramenti, da questa mattina i vigili urbani di Cava dei Tirreni (SA) si presenteranno per le strade con i pitbull al seguito. Si comincia fuori dalle scuole, per dare la caccia agli spacciatori, ma per i nuovi tutori dell’ordine a quattro zampe è previsto anche il servizio notturno: il debutto nelle ronde è solo questione di giorni. Giusto il tempo di ambientarsi un po’ con i nuovi colleghi.

Per la verità il pitbull è uno soltanto e, per la precisione, si tratta di un "Amstaff", ovvero una razza che, per quanto di aspetto e prestanza decisamente simili, non è proprio la stessa del meno socievole tra i migliori amici dell’uomo. Gli altri due sono dei più rassicuranti pastori tedeschi. Resta il fatto che grazie a Diana, Kim e Johnny - questi, nell’ordine, i nomi dei cani poliziotto - la corsa alla sicurezza della città fa un passo ulteriore:’ E stavolta grazie a una giunta di centrosinistra.

L’artefice dell’iniziativa è Alfonso Senatore, energico assessore alla Sicurezza con un passato da missino e un presente nell’Udeur. Il suo sindaco, con il quale assicura di andare d’accordissimo - l’ex Pc e ora Pd Luigi Gravagnuolo -, si è lasciato convincere non senza qualche resistenza. La domanda viene infatti spontanea: ma sarà davvero il caso di difendere i cittadini proprio con un pitbull?

"È un cane vittima di false dicerie che io intendo sfatare - dice serafico Senatore -. Se gli animali vengono allevati con amore fin da piccolissimi non possono dare nessun problema. E poi Diana è la più cucciolona del gruppo, durante il corso è stata l’ultima a superare il test dell’aggressività. E pensare che ha una forza mascellare pari a quella di una tigre...". Di fronte al dispiegamento di un simile cane, ci si potrebbe aspettare che nella cittadina salernitana quello della sicurezza sia un problema da bollino rosso. E invece niente: "È il posto più tranquillo d’Italia - continua l’assessore -.

Ho già buttato fuori gli zingari, ho tolto i bambini ai rom, ho cacciato via i vù cumprà". Ecco, e allora perché i cani? "Sono convinto che anche un piccolo centro come il nostro debba dotarsi di unità cinofile: per impedire che la droga circoli nelle scuole, per individuare immediatamente i dispersi in caso di alluvioni, per cercare un bambino smarrito. E poi certo, anche per proteggere i nostri vigili e i volontari quando pattugliano le ville durante la notte".

Dopo sei mesi di addestramento nel centro di Marano i tre neo arruolati sono stati assegnati alle rispettive "compagnie": Kim "il bello" (è nipote di un campione internazionale) affiancherà i vigili urbani; Johnny "il secchione" (tanto bravo a scuola da meritarsi un master supplementare a Roma in tecniche di salvataggio) la Protezione Civile; Diana "la buona" (si spera) le pattuglie dei Rangers, un corpo di volontari che prende ordini dalla polizia municipale.

E i cittadini? L’assessore Senatore assicura di averli convinti con i risultati. E pazienza se i suoi metodi lo fanno passare da leghista: "Se scegliere la sicurezza come priorità è leghismo, perfetto, mi va benissimo". Chissà se anche su questo è riuscito a convincere il sindaco.

Bollate: una giornata-tipo nella prigione migliore d’Italia…

di Chiara Beria Di Argentine

 

La Stampa, 5 maggio 2008

 

Un detenuto sta spazzando il posteggio per visitatori del carcere di Bollate, uno dei luoghi più puliti dell’hinterland milanese; nel resto nella prigione i 582 detenuti e i 372 agenti di polizia penitenziaria fanno la raccolta differenziata. Dal carcere di Opera, a fine febbraio, quando sono arrivate a Bollate le prime 35 donne ognuna ha trovato un fiore in cella e, dopo tanto tempo, uno specchio. Solo dettagli?

"Anche l’attenzione alla qualità della vita fa parte del progetto Bollate", spiega Lucia Castellano, la bella signora napoletana che, dal 2002, dirige la Casa di reclusione di Milano-Bollate per il recupero socio-lavorativo dei detenuti. Il progetto più innovativo e ambizioso nell’ignobile panorama delle nostre carceri (nei 211 istituti di pena solo 4.765 celle sono in regola con la normativa europea).

Prigioni degradate e vetuste dove la maggioranza dei 40 mila detenuti passano le giornate a oziare. Ma invece d’investire nell’edilizia carceraria (per le ristrutturazioni nel 2000 erano stati previsti 400 milioni di euro) e puntare su una politica non solo segregativa - assistenzialistica nell’estate 2006, visto il sovraffollamento, il Parlamento ha varato l’indulto per 22 mila detenuti. Con mille nuovi ingressi al mese (in media) entro Natale si sarà tornati ai livelli del 2006. "La vera risposta alla domanda di sicurezza dei cittadini? Lavorare sul recupero e il reinserimento delle persone", sostiene Castellano dalla trincea di Bollate, il carcere più moderno e bipartisan d’Italia, inaugurato nel 2000 dall’allora ministro della Giustizia, il ds Piero Fassino; reinaugurato nel 2002 dal suo successore, il leghista Roberto Castelli che, più volte, l’ha citato come modello assai "lumbard".

 

Cultura del lavoro

 

Personalizzazione della pena, auto responsabilizzazione del detenuto, nuovo concetto di "sicurezza integrata" e, soprattutto, cultura del lavoro. Luigi Pagano, provveditore regionale degli Istituti di pena, ebbe l’intuizione di creare un circuito metropolitano di carceri da San Vittore (detenuti in attesa di giudizio) Opera, dove sono rinchiusi pericolosi boss come Riina e Bollate, carcere a "custodia attenuata", per detenuti con pene definitive (dai 4 ai 10 anni) che accettano di provare a costruirsi una via di legalità. Pusher e rapinatori (30% gli stranieri; marocchini, albanesi, romeni), 58 giovani-adulti arrivati dal carcere minorile Beccaria e un reparto di "sex offenders" (stupratori, pedofili). Sarà un caso ma il pioneristico carcere è affidato a tutte donne, Lucia Castellano, la vice Cosima Buccoliero (in maternità è sostituita da Gabriella Lusi) e Alessandra Uscidda, laurea in legge alla Cattolica, comandante della polizia penitenziaria.

"Abbiamo agenti straordinari", dice Castellano che comunica via mail con i capi reparto. Chiudere le sbarre è certo più facile ma Bollate, carcere aperto al territorio ("Regione, Provincia, Comune e in più da Assolombarda, molte imprese e la Fondazione Cariplo ci aiutano"), prigione da dove ogni giorno escono 54 detenuti ammessi al lavoro esterno e dove entrano - in un flusso controcorrente - educatori, psicologi e decine di volontari (chi tiene la biblioteca, chi insegna italiano, chi fa teatro o corsi di poesia.

Un ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, dirige lo Sportello giuridico) è l’immagine consolante di un’Italia non buonista ma solidale. Il muro di cinta (lungo un chilometro) che circonda il carcere più grande d’Europa e fors’anche il più sicuro (in sei anni soltanto due fughe con gli evasi ripresi dopo poche ore) non è sorvegliato; oltre i cancelli nei cortili tra i reparti è un rifiorire di gerani, piante e orti coltivati dai detenuti di "Cascine Bollate", la coop presieduta da Susanna Magistretti figlia del famoso architetto, Vico.

 

La stanza degli affetti

 

Quelli del sesto reparto, i venticinque "sex offenders" (li segue il criminologo, Paolo Giulini) sono i meno integrati nella frenetica vita di un carcere dove le celle restano aperte dalle 8 alle 20 e ogni detenuto, munito di un badge, si può muovere per seguire il programma concordato con l’equipe multidisciplinare del suo reparto.

C’è chi si guadagna la giornata nel call center appaltato da una ditta esterna e chi lavora nella coop "Abc" di catering (pasti per detenuti, servizio di pizza express in cella e anche eventi in città). Cento detenuti, in maggioranza stranieri, seguono le scuole elementari e medie; nel 2007 i primi cinque diplomati del carcere; nove sono studenti universitari: Bodgan è al secondo anno della facoltà di Comunicazione digitale alla Statale, Mohamed, al terzo di Giurisprudenza. I colloqui si tengono nella "Stanza dell’affettività" (sono stati i detenuti a dipingerla e arredarla): un locale dove, sorvegliati da telecamere, i detenuti incontrano moglie e figli. D’estate i colloqui avvengono all’aperto; i detenuti-falegnami hanno fatto un grande scivolo per i bambini.

L’agente Francesco Mondello ci apre il cancello del quarto reparto a "trattamento avanzato". Pareti colorate dai detenuti, piante verdi. Dietro una porta la redazione del giornale "Carte Bollate"; poi la palestra e la sala musica (insonorizzata con contenitori di uova) dove provano gli "Ariadura", la band del carcere. Memorabile esibizione, giugno 2007, al concerto "Sing Sing". "Ai detenuti che si costituiscono in coop affidiamo la gestione dei servizi, dalla mensa alla manutenzione degli impianti elettrici", spiega Castellano che, per il business plan, si avvale della consulenza di un ingegnere Pirelli in pensione. "Questo carcere deve essere una risorsa anche economica; alle aziende spieghiamo che qui si trasmette la cultura del lavoro. Business non assistenzialismo". Coraggio, una rete di competenze e creatività femminile.

Ma Bollate è un modello replicabile? Lucia Castellano ammette: "Non è facile convincere a lavorare per 700 euro al mese chi, in un solo giorno di spaccio, ne guadagnava 1000. Ma la vera sfida è nostra: la cultura del carcere è ancora troppo autoreferenziale". 110 detenuti di Bollate, tutti privati del diritto al voto, il 15 marzo hanno simulato le elezioni: Berlusconi con il 29,2% ha vinto nel carcere di Bollate prima che nel resto d’Italia. "La nostra speranza", hanno commentato il risultato i detenuti sul loro giornale, "è che i vari schieramenti tengano conto che abbiamo bisogno di politici che si prendano a cuore la disastrosa situazione delle carceri e della giustizia e vogliano metterci mano in modo serio".

Genova: il direttore; 700 detenuti, Marassi sta scoppiando...

di Stefano Origone e Fabrizio Dentini

 

La Repubblica, 5 maggio 2008

 

Il direttore: "Qui dentro ci sono 700 persone siamo tornati alle cifre prima dell’indulto".

"Ci aspetta un’estate calda, anzi terribile: abbiamo superato il tetto dei 700 detenuti e la gestione è diventata impossibile. Non si può più andare avanti così, se dobbiamo affrontare un’emergenza, non potendo fare un’azione preventiva perché manca il personale, rischiamo la tragedia". Salvatore Mazzeo è più che preoccupato, è sull’orlo di una crisi di nervi.

Il direttore del carcere in questi ultimi mesi ha dovuto affrontare una montagna di problemi che si aggiungono alla penuria di personale e al numero impressionante di detenuti, costretti a convivere in nove nelle celle. L’elenco delle magagne inizia con due evasioni fallite, il pestaggio di un detenuto, una mega rissa, il tentativo di far entrare nelle celle dei cellulari. La settimana scorsa un cileno infuriato perché la moglie aveva rifiutato il colloquio ha gettato un fornello scaldavivande sul materasso ignifugo, provocando molto fumo e l’intossicazione di quattro agenti.

 

Direttore, il carcere è in emergenza?

"Di più, scoppia. Il 49% dei detenuti è straniero e per svuotare le celle c’è solo una soluzione: far scontare le pene nei loro paesi".

 

Non ci sono altre soluzioni?

"Progettarne altri o recuperare quelli dismessi. Certo che se si bloccano i lavori come a Savona, allora non ci muoviamo più: le celle saranno sempre sovraffollate e gli agenti costretti a un super lavoro".

 

Ha chiesto aiuto al Provveditorato per aver agenti e contenere questa criticità?

"Non ci sono risorse. Il messaggio è: arrangiarsi"

 

Può descrivere l’attuale situazione dell’istituto?

"Quando sono arrivato, i detenuti erano 850 a fronte di una capienza massima di 456 persone. Ora sono 700, siamo tornati alle cifre prima dell’indulto. In una situazione di sovraffollamento difficilmente si può garantire la sicurezza e di conseguenza le attività. La situazione si ripercuote sul personale che vede vanificare gli sforzi per migliorare la vita carceraria. In aggiunta, il sovraffollamento espropria il detenuto della propria dignità e questo determina una serie di conseguenze: rapporti sociali imposti, prevaricazione del più forte sul più debole, promiscuità, perdita della riservatezza.

Quando si vive in una cella in nove persone anche la scelta di un canale televisivo diventa un problema. Ecco perché ho detto che i detenuti stranieri vanno rimandati a casa. Perché gli istituti devono essere concepiti per contenere un limitato numero di detenuti e non devono diventare un girone infernale. Purtroppo il carcere è diventato contenitore dei problemi che la nostra società non è in grado di risolvere. In primis, tossicodipendenti ed immigrati che costituiscono i due terzi della popolazione carceraria. Il tossicodipendente va curato, l’immigrato che delinque espulso. Se a questi dati aggiungiamo che solo 150 detenuti sono definitivi e il resto è in attesa di giudizio, ecco spiegato perché il carcere è sovraffollato".

 

Le strutture detentive dell’istituto sono a norma?

"Non del tutto, mancano le docce nelle celle ed i refettori. I termosifoni ci sono, ma per questioni di budget spesso siamo costretti a regolamentare gli orari. E questo è un altro limite".

Roma: 25 bambini, record di presenze nel "nido" di Rebibbia

 

Il Velino, 5 maggio 2008

 

Nuovo picco record di presenze di minori nel nido del carcere di Rebibbia femminile. Sono, infatti, 25 i bambini e le bambine che attualmente vivono in carcere con le mamme detenute. La segnalazione è del Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni che più volte, scrive in una nota, "nei mesi scorsi, aveva lanciato l’allarme su questa emergenza: quasi la metà dei minori, 11 su 25, ha meno di otto mesi di vita".

"Attualmente - continua la nota del Garante - la legislazione prevede che i bambini da zero a tre anni possano stare con le mamme detenute. Al compimento del terzo anno di età è obbligatoria la scarcerazione dei minori, indipendentemente dalla pena che sta scontando la madre, con l’affidamento ai parenti, a case famiglia o istituti.

Dei venticinque bambini attualmente presenti a Rebibbia femminile, due sono figli di italiane, uno di una romena, il resto di giovani nomadi. La prima conseguenza dell’alto numero di bambini presenti è il sovraffollamento: la sezione riservata alle mamme con bambini ha, infatti, solo 14 letti a disposizione".

"Inoltre - si legge nella nota del Garante regionale dei diritti dei detenuti -, operatori e volontari lavorano per intrattenere i piccoli durante il giorno, evitando che su di loro pesi il carcere. I bambini trascorrono il tempo nella stanza dei giochi o nella zona di verde attrezzato. Alcuni di loro - fra le difficoltà legate alla diffidenza delle mamme straniere - frequentano un nido esterno.

"Nonostante l’impegno di chi lavora in carcere e del volontariato - sottolinea Marroni -, è indubbio che questi bambini vivono una situazione difficile basti pensare che sono costretti a passare una fase importante della loro vita, quella del primo apprendimento, in un carcere cella e con un limitato spazio intorno. Io credo che sia prioritario studiare, per le madri detenute, misure alternative alla detenzione prevedendo l’obbligo del carcere solo per i reati gravi".

Sulmona: progetto città pulita, in arrivo i detenuti-spazzini

 

www.primadanoi.it, 5 maggio 2008

 

In attesa del vertice di partito di oggi che dovrà chiarire i criteri per designare la prossima giunta di Palazzo San Francesco, Fabio Federico ha messo già mano al suo taccuino di progetti con una proposta tra solidarietà ed utilità sociale.

Per la verità, l’idea era nei pensieri di Federico in tempi non sospetti e, con la nomina a primo cittadino, avrà la possibilità di avere ora una corsia preferenziale di attenzione.

Si tratta dell’opportunità di coinvolgere i detenuti del carcere di Via Lamaccio come volontari per rendere più pulita la città, attivandoli direttamente nelle attività di spezzamento e raccolta rifiuti. "Insieme al direttore Sergio Romice - ha spiegato Federico - stiamo pensando, nel rispetto delle norme vigenti, di coinvolgere i detenuti del carcere in permesso premio , a titolo di volontariato, a tenere più pulita la città. Magari, cominciando dal Parco Fluviale".

Una collaborazione a doppio filo tra Casa Circondariale di Sulmona, di cui Federico è da anni direttore sanitario, e Comune, che dovrà comunque avere prima l’avvallo del Ministero della Difesa, con la sigla di un protocollo d’intesa tra tutti i soggetti interessati. Progetto, dunque, che avrà il suo iter burocratico da fare, prima di partire concretamente.

E pensando ai problemi di igiene e pulizia urbane, unendoci pure le già note carenze di personale nel servizio nettezza urbana, forse bisognerà pensare a soluzioni più tempestive per restituire agli occhi dei cittadini e dei turisti un’immagine più decorosa della città.

Bari: una soluzione per gli "indultati" dell’Asm di Molfetta?

 

www.barilive.it, 5 maggio 2008

 

Promessa mantenuta. Questa mattina i quattro "indultati" in servizio all’Azienda Servizi Municipalizzati di Molfetta e che venerdì scorso avevano attuato una protesta al comune contro la possibilità di perdere il lavoro, sono stati ricevuti dal sindaco Antonio Azzollini. I quattro uomini (cui si aggiungono altri 3 operatori tutt’ora in servizio) sono stati ricevuti dal primo cittadino nella Sala Gialla di Palazzo Giovene ed hanno esposto le loro preoccupazioni riguardo la situazione lavorativa.

Il sindaco, alla presenza del comandante della Stazione Carabinieri di Molfetta, maresciallo Nicola Patruno, dopo aver sottolineato che non tollererà più in futuro azioni di protesta "rumorose" nelle sedi comunali, ha promesso ai quattro uomini un interessamento per consentire loro di poter continuare ad operare all’interno dell’Azienda.

"Nessuna promessa - ha detto il Sindaco - dato che il progetto cui loro erano assegnati è in via di esaurimento. Solo l’impegno di verificare la possibilità di trovare dei fondi per avviare un nuovo progetto che possa riguardare opere di pulizia straordinaria della città e del litorale". La situazione dovrebbe quindi sbloccarsi entro un paio di settimane consentendo ai sette operatori ed alle loro famiglie di poter continuare a vivere con serenità ed onestà e nel frattempo di predisporre le soluzioni migliori per risolvere il problema in via definitiva.

Cagliari: l’arte dei writers per il muro di cinta di Quartucciu

 

www.diregiovani.it, 5 maggio 2008

 

Non più pareti grigie, ma un arcobaleno che riempirà di colori le mura del carcere minorile di Quartucciu. Restano le sbarre e le guardie penitenziarie, ma il progetto organizzato dall’Associazione Domus de Luna sta coinvolgendo tutti i ragazzi ospitati nel centro e permetterà di cambiare il look all’intero edificio. Al centro dell’iniziativa ci sono i graffiti, l’arte di disegnare e scrivere nei muri con le bombolette di vernice spray. Insegnanti ed educatori, ma anche i più bravi writers dell’Isola, sono stati chiamati ad affiancare i giovanissimi detenuti per illustrare le tecniche più raffinate, diffondendo anche la cultura e il rispetto dell’ambiente.

Difficilmente, infatti, un disegnatore professionista utilizzerebbe la parete di un monumento o un palazzo storico come tela per un graffito, mentre nelle grandi città ormai lo "street style" è sempre più utilizzato per decorare, legalmente, sia le serrande dei negozi che persino autobus o metropolitane. L’iniziativa culminerà il 24 maggio con una grande festa nella piazza dei Centomila a Cagliari: alle spalle del palco, un monitor gigante trasmetterà invece le immagini in diretta dal carcere minorile di Quartucciu, dove i ragazzi completeranno i disegni nel grande muraglione che circonda il penitenziario.

Verona: Associazione "La Fraternità!, 40 anni di volontariato

 

Comunicato stampa, 5 maggio 2008

 

Conferenza Stampa, martedì 6 maggio, alle 11, nella sede provvisoria della Fraternità in Stradone Provolo 27, a Verona. La Fraternità spegne le sue prime 40 candeline. Da 40 anni segue i detenuti, le loro storie, i loro tormenti e cerca di aprire loro un orizzonte senza sbarre. In occasione del suo quarantesimo compleanno l’associazione propone una serie di importanti iniziative che verranno presentate in una Conferenza Stampa, martedì 6 maggio, alle 11, nella sede provvisoria della Fraternità in Stradone Provolo, 27.

Tema della conferenza la Tavola Rotonda che si terrà l’8 maggio alle 17.30 nella sala conferenze della Banca popolare in via San Cosimo 10 a Verona, per ripercorrere la storia dell’associazione con i protagonisti di questi 40 anni: da fra Beppe a don Sergio Pighi e Giuseppe Malizia, ex cappellani del carcere.

Verranno inoltre presentati gli ultimi dati sulla presenza dei detenuti in carcere a Verona e altre cifre a livello nazionale con il nuovo fenomeno del sovraffollamento, e sarà proposta una breve riflessione sul detenuto suicidatosi pochi giorni fa. In ultimo, si parlerà del convegno di tre giorni che si svolgerà all’isola d’Elba proprio per festeggiare questi 40 anni di attività. Alla conferenza stampa, oltre a fra Beppe, saranno presenti i responsabili dell’associazione, tutti disponibili a rispondere alle domande dei giornalisti. Per ulteriori informazioni: Chiara Bazzanella, cell. 393.5641003.

Droghe: Roma; la "Million Marijuana March" per Aldo Bianzino

 

Dire, 5 maggio 2008

 

È stata dedicata ad Aldo Bianzino (il falegname quarantenne umbro arrestato lo scorso inverno perché aveva piante di marijuana nel suo casolare e morto in carcere il giorno dopo) l’ottava edizione della Million Marijuana March, che alle 16 è partita da piazza della Repubblica a Roma. La marcia fa parte di un’iniziativa mondiale che, partita dalle poche decine di città del 1999, coinvolge ormai più di 220 città su tre punti rivendicativi: fine delle persecuzioni per i consumatori; diritto all’uso terapeutico della Cannabis per i pazienti; diritto a coltivare liberamente una pianta che è parte del patrimonio botanico del pianeta.

"Quest’anno la dedicheremo ad Aldo Bianzino - afferma Alberto Sciolari, uno degli organizzatori - perché la sua vicenda è davvero inquietante: lo arrestarono nel suo casolare in campagna perché aveva qualche pianta di marijuana e il giorno dopo morì in cella. Dissero che si trattava di un malore, ma dall’autopsia risultò la frattura di alcune costole e danni al fegato, come se avesse subito un pestaggio fatto ad arte per non lasciare tracce evidenti".

Un pensiero Sciolari lo rivolge però anche al nuovo sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Ora ci si può aspettare di tutto, perché in teoria, a differenza di Veltroni che aveva cercato di mantenere una pace sociale, Alemanno potrebbe decidere di far applicare rigorosamente la legge Fini-Giovanardi, usandola come grimaldello. Da parte nostra cercheremo di mantenere dei paletti, soprattutto sul diritto dei malati a curarsi con la cannabis, perché se il peggio inizia poi non si ferma più".

Honduras: scontri tra bande in carcere, almeno 18 i morti

 

Ansa, 5 maggio 2008

 

La polizia ha ripreso il controllo della situazione nella più grande prigione dell’Honduras, dopo aver represso disordini nei quali almeno 18 detenuti sono morti. La rivolta nel Penitenziario Nazionale nella zona nord della capitale era cominciata venerdì ed è il secondo grave episodio che si verifica in una settimana in una delle sovraffollate prigioni del paese. "I detenuti sono stati uccisi con coltelli e machete. Erano tutti coperti di sangue e diversi cadaveri erano senza testa", ha detto il portavoce. Nelle 25 prigioni dell’Honduras sono rinchiusi circa 12.000 carcerati e sanguinosi scontri tra gruppi rivali sono frequenti.

Il ministero per la Sicurezza ha confermato il bilancio delle vittime e indicato che ancora non sono chiari i motivi che la notte scorsa hanno portato alla rivolta dei detenuti. Una settimana fa c’erano stati altri incidenti nel carcere di San Pedro, nel nord del Paese, dove alla fine si sono contate 9 vittime. Otto appartenevano a bande di strada, le cosiddette maras. A quanto sembra tutto è iniziato quando uno dei detenuti ha aggredito un altro recluso in un corridoio. Nel carcere di San Pedro i detenuti sono 3.000 in sovrannumero e di molto sui posti previsti. Le vecchie e malandate carceri dell’Honduras sono scenario frequente di risse tra bande criminali rivali, soprattutto delle bande di strada, fenomeno diffuso in Guatemala, Honduras e Salvador.

 

 

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