Rassegna stampa 7 maggio

 

Giustizia: Scotti; è un ministero difficile… ma non è jellato!

 

Il Mattino, 7 maggio 2008

 

È proprio vero che la difficoltà a individuare il nuovo ministro della Giustizia sta nel fatto che nessuno vuole quel dicastero perché, come sostiene l’ex Guardasigilli Clemente Mastella, è fonte di guai? "Ma no, porta jella solo a tutti quelli il cui nome comincia per Ma... Martelli, Mancuso, Mastella...". Da napoletano verace, il ministro della Giustizia uscente, Luigi Scotti, non risparmia la battuta sarcastica, ma ammette che il dicastero di via Arenula è "un ministero difficile, soprattutto perché convergono cinque categorie professionali: magistrati, funzionari, avvocati, personale dell’amministrazione penitenziaria e delle libere professioni. È un coacervo di interessi - dice - in senso istituzionale".

Un ministero importante, ma difficile e un po’ temuto: se Clemente Mastella ha parlato di "maledizione", l’ex Guardasigilli Roberto Castelli suggerisce a Berlusconi di scegliere per la Giustizia "una persona esperta" e un altro ex ministro Giuliano Vassalli, conferma spiegando che "è vero, il ministero della Giustizia è molto difficile". Luigi Scotti, napoletano verace, parla di jella, ma solo per quelli che il cui nome comincia per "Ma", come Martelli, Mancuso, Mastella.

Su un punto, comunque, gli ex concordano: quel dicastero è difficile anche perché lì ci sono i magistrati. Vassalli, per esempio, osserva: "La Giustizia è l’unico dicastero che ha come dipendenti degli antagonisti, i magistrati". Ma a chi gli chiede se concordi con il giudizio amaro dell’ex ministro Mastella ("Il ministero della Giustizia è una maledizione"), Vassalli va cauto: "Se non ricordo male Mastella, quando venne eletto ministro della Giustizia, ringraziò sant’Antonio...".

Al di là delle battute, Scotti avverte che il ministero di Via Arenula è "un ministero difficile, soprattutto perché convergono quantomeno cinque categorie professionali: magistrati, funzionari, avvocati, personale dell’amministrazione penitenziaria e delle libere professioni. È un coacervo di interessi, in senso istituzionale, che non sempre trovano un assestamento adeguato e una compenetrazione". E le tensioni tra toghe e politica? "Il rapporto politica e giustizia - risponde Scotti - è un fronte aperto che speriamo si chiuda al più presto".

Roberto Castelli - ministro della Giustizia assai contestato dalle toghe - avverte: "Do un consiglio non richiesto a Berlusconi: per la Giustizia scelga una persona esperta, perché per questo settore serve un intervento immediato", altrimenti il rischio è quello di "perdere molti mesi che non sarebbero più recuperabili". Il senatore leghista riconosce che quello di via Arenula è "un ministero che nessuno vuole perché è difficile gestirlo". E ammonisce: "Ci sono delle emergenze e, in particolare per quanto riguarda la questione carceraria, ho calcolato che ci sono al massimo 10-12 mesi, oltre i quali non si può andare per un intervento".

Giustizia: Osapp; Coordinamento su carceri a Palazzo Chigi

 

Il Velino, 7 maggio 2008

 

Le emergenze indicate dal senatore Castelli a proposito della crisi del sistema penitenziario, e l’opportunità di designare una persona esperta al dicastero di Via Arenula ci sembrano degne di considerazione". Lo dice Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria. "Con una capacità detentiva che è arrivata ormai alla soglia della tollerabilità - spiega - il complesso dei 207 istituti penitenziari italiani presenta situazioni di grave bisogno in termini di vivibilità, in termini di servizi carenti, in termini di efficienza organizzativa per quelle che sono le forze di polizia impiegate sul campo".

Secondo Beneduci "parlare di emergenza penitenziaria però, visto che se ne parla ormai da 10 anni, rischia di sminuire il senso di una riforma che mai come adesso consideriamo necessaria". Come già manifestato giorni fa, con una lettera aperta al presidente Berlusconi, il leader dell’Osapp dà un consiglio non richiesto al futuro premier. "Fermo restando la designazione di un Capo del Dap diverso dall’attuale - afferma - mediante una figura che contemperi esperienza e capacità professionali, chiediamo che il governo affronti con modalità nuove le problematiche che manifestiamo, anche e soprattutto attraverso un coordinamento delle attività, di interesse di più dicasteri, affidato alle dirette dipendenze della presidenza del Consiglio dei Ministri". Solo così, "una volta per tutte - conclude - si potrà guardare al sistema Giustizia, e più specificamente al problema delle carceri, come argomento da affrontare non marginalmente, e dal punto di vista dell’impatto sociale, come questione di Ordine Pubblico

Giustizia: Istat; calano gli omicidi, 10 ogni milione di abitanti

 

Dire, 7 maggio 2008

 

Nel 2005, in Italia si sono commessi circa 10 omicidi per milione di abitanti, un valore sensibilmente inferiore della media europea. Il fenomeno è in forte diminuzione (rispetto ai 13 omicidi del 2000). Dunque, dal 2000 ad oggi si assiste, nella Penisola, ad una progressiva riduzione dei delitti, che passano da 13,1 al 10,3 per milione di abitanti. È quanto si legge nelle "100 statistiche per il Paese - Indicatori per conoscere e valutare" diffuse oggi dall’Istat.

Secondo l’Istituto di statistica, nel contesto europeo, l’Italia, per numero di omicidi commessi è uno dei paesi più sicuri: si colloca, infatti, al di sotto della media europea (pari a 14 omicidi per milione di abitanti), in ottava posizione dopo Austria, Lussemburgo, Svezia, Germania, Malta, Slovenia e Repubblica ceca.

La maglia nera degli omicidi la detengono le ex repubbliche sovietiche del Baltico, Lituania, Estonia e Lettonia, con indici pari a 118,3 - 83,9 - 55,2 per milione di abitanti. Per ciò che concerne il nostro Paese, la gran parte degli omicidi si registra nel Mezzogiorno, in particolare in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna e, in modo minore, la Basilicata; anche in queste regioni, però, si assiste ad un andamento decrescente del fenomeno.

Secondo l’Istat, si può supporre che la riduzione degli omicidi sia strettamente legata alla diminuzione dei delitti della criminalità organizzata al Sud e nelle Isole. La riduzione, pertanto, è imputabile per lo più ai quozienti decrescenti di Puglia e Calabria, nonostante in questa ultima regione si rilevino ancora valori superiori a tutte le altre: insieme alla Campania (22,1) rimane, infatti, la regione con i valori dell’indice più elevati (34,4).

Ad oggi, dunque, queste due regioni sono anche quelle definibili più a rischio per la presenza di organizzazioni criminali (camorra e ‘ndrangheta), che utilizzano ancora frequentemente lo strumento dell’omicidio. In particolare, la "guerra di camorra" che si è consumata a Napoli nel 2004, ha influenzato il dato campano. Con qualche oscillazione, gli omicidi risultano in diminuzione anche al Centro Nord.

Giustizia: Dominioni (Ucpi); priorità carriere separate e Csm

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2008

 

"Il Governo deve riformare l’ordinamento giudiziario per mettere il Paese al passo con l’Europa. Non penso solo alla separazione delle carriere ma anche al Csm". Oreste Dominioni, presidente delle Camere penali, indica le priorità degli avvocati e rivendica pari dignità con i magistrati, ai quali chiede di "non interferire" su scelte politiche, come la nomina del ministro della Giustizia. Presidente, l’Anm ha smentito di aver esercitato interferenze e anche di aver dato giudizi sui candidati.

 

Perché insiste su questa polemica?

Un autorevole quotidiano ha riferito di una "rivolta silenziosa in Forza Italia e nell’Anm" contro la nomina di Elio Vito. La smentita dell’Anm era doverosa. Ma, o si prende posizione netta su ciò che viene detto o ci si fa carico del fatto che ci sono state interferenze se non dei responsabili dell’Anm, quanto meno dalle sue file interne. Qualcuno avrà espresso un’opinione personale. Qualcuno che aveva peso politico. È inammissibile porre veti sulle persone.

 

Marcello Pera, artefice della riforma sul giusto processo, è il ministro giusto per la separazione delle carriere?

Non esprimiamo giudizi sui singoli candidati. Sembra che magistratura e politica non abbiano voglia di scontri, ma di dialogo. Non si può dire altrettanto per magistrati e avvocati. Vogliamo il dialogo. Ma siamo assolutamente reattivi rispetto a rapporti anomali tra magistratura e politica, tanto più se, come nell’ultima legislatura, c’è subalternità della politica alla magistratura. Noi siamo per un dialogo costruttivo e leale, che rispetti le regole del gioco. La politica ha il dovere di aprire subito il cantiere delle riforme e ha il diritto di decidere. Purché al cantiere partecipino tutti gli operatori, paritariamente.

 

L’Anm auspica una riforma della giustizia e non dei giudici. È d’accordo?

La crisi della giustizia deriva Sia da meccanismi processuali sia Da un ordinamento giudiziario anchilosato, che non consente una gestione moderna della giustizia.

 

È stato appena riformato...

La legge Castelli - Mastella contiene modifiche settoriali. È prioritario riformare l’ordinamento giudiziario e metterlo al passo con l’Europa. Cominciando a separare le carriere.

 

La "tolleranza zero" sulla sicurezza non vi piace. Ma mentre sulla separazione delle carriere avete scioperato a raffica, qui siete più cauti. Perché?

A dicembre abbiamo scioperato contro il decreto Amato. Allora come oggi riteniamo che le misure per garantire la sicurezza non possano essere incostituzionali. La sicurezza richiede interventi efficaci,non di mera facciata. Bisogna attrezzare il territorio in funzione preventiva di una criminalità diffusa. È pura demagogia pensare che la sicurezza si ottenga modificando il processo penale.

 

Chi chiede la "certezza della pena", a questo pensa…

Si dice che chi viene arrestato e condannato in primo grado non sarà rimesso in libertà. Oggi, il 65% dei detenuti è in attesa di giudizio: c’è già un ricorso preoccupante alla custodia cautelare. Non si può continuare su questa strada. Anzi, la rotta va invertita.

 

Dunque, la ricetta per la sicurezza non è "più carcere"…

I dati dicono che il carcere non produce rieducazione, ma un alto tasso di recidiva, mentre le misure alternative alla detenzione hanno un forte effetto rieducativo, tant’è che la recidiva è dello 0,6%. È su queste che bisogna puntare per la sicurezza. E per risolvere la crisi del carcere.

Giustizia: "approcciatori globali" e "carabinieri consolatori"

di Francesco Battistini

 

Il Corriere della Sera, 7 maggio 2008

 

Caramba, che sorpresa. Siccome in Italia le rivoluzioni si fanno coi Carabinieri, come diceva Leo Longanesi, la rivoluzione della sicurezza è Benemerita, soprattutto a sinistra. Quelli della Spezia si sono inventati il Carabiniere Consolatore. Gli hanno dato un nome un po’ We Can stile Obama, "Approcciatore Globale di Community Safety", e funziona così: l’appuntato suona alla porta del vecchietto, gliela conta su fra pianerottolo e anticamera, cinque minuti finché il consolatore ha la pazienza d’ascoltare il consolato (e viceversa), magari di bere un caffè. "Tutto bene?". "Eh, si tira avanti...". Una virile stretta di mano. Uno schiocco di tacchi. E la mission è compiuta, la community più safe.

Adesso sì che si può fare. C’è una sinistra di botte e di governo che sembrava non aspettasse altro: assoldare ronde, sfoderare sfollagente, spruzzare urticanti. Mani che prudono. Ordinanze da servizio d’ordine. Lo disse per primo Sergio Cofferati a Bologna nel 2005, "la sicurezza non è di destra né di sinistra", lo ripeté lo stesso Cinese a chi gli dava dello sceriffo: "Ma gli sceriffi non erano i buoni, una volta?".

L’ha riconosciuto qualche giorno fa Piero Fassino: "Anche un vigile urbano deve essere messo in grado di difendersi...". E allora vai, sindaco rosso. Novità di giornata: Roberto Pucci, il sindaco arcobaleno di Massa, che arma i loro vigili. E Massimo Cacciari che si prepara a chiudere il centro storico di Venezia e quello di Mestre agli accattoni. Con la fantasia Pd che ormai batte perfino la strategia leghista. I bossiani di Montegrotto Terme arruolano fra i vigili anche tre manichini, da piazzare con divisa e paletta lungo la provinciale per Padova e dissuadere gli automobilisti-pirata un po’ gonzi? Bassolino s’è studiato di meglio: poiché a Napoli lo scippo è fisiologico, i turisti lascino pure il Rolex in albergo e casomai lo rimpiazzino con un orologino di plastica, grazioso omaggio della Regione.

Sicurezza, cosa non si fa per te. Dopo la batosta elettorale, è il nuovo Frontismo della sinistra. Nel senso che s’ispira al lumbard Gigi Fronti, oggi assessore del Carroccio a Voghera, unanimemente riconosciuto l’inventore delle prime ronde, anno 1996, ben prima che arrivassero i Gentilini a levare le panchine sotto il sedere degli immigrati di Treviso o le famose ordinanze anti-burqa del Pordenonese. Una volta lo sfottevano, il Fronti, oggi gli darebbero il Nobel della Ronda: i bassaioli di Cremona e di Rovigo ci stanno arrivando dodici anni dopo e anche lassù sulle montagne, a Trento, si stanno organizzando coi pacifici alpini in congedo.

Con l’aria che tira nelle città, sono poche le giunte Pd che la tolleranza non la moltiplicano per zero: a Bari c’è Michele Emiliano, che faceva il magistrato, conosce i delinquenti veri e non ha molta voglia di prendersela coi poveracci ai semafori. In un paesino della Bergamasca, Chiuduno, tutte le sere la Lega pianta un gazebo per contestare il sindaco: loro dicono che la situazione è insostenibile, lui risponde che sono tutte balle. Il rigore, un po’ dappertutto, è d’ordinanza: a Cava dei Tirreni, dove da due giorni i vigili girano con pitbull e cani lupo antidroga, il telefono scotta e l’assessore udeurrino Alfonso Senatore gongola, "mi chiamano da tutt’Italia, vogliono importare tutti la nostra idea".

Tutti chi? Chiunque sappia che oltre il 50 per cento degli amministrati (sondaggio Mannheimer di qualche mese fa) vuole ronde e pugno di ferro. C’erano una volta il muro di Padova e la sbarra anti Rom dei veneziani di Ceggia? A Cosenza hanno cominciato a censirli, i Rom, e prima o poi decideranno anche lì il da farsi. E Ceggia ha rilanciato pochi giorni fa con il divieto totale di sosta ai nomadi. "Disturbare per non essere disturbati" è lo slogan di Variati, borgomastro rosso di Vicenza, dove disturbare sta per sorvegliare a turno i clienti delle prostitute, chi spaccia ai giardini, chi vende alcol troppo e male. Con una novità: l’annuncio dell’espulsione immediata "dello straniero che delinque".

La Bologna delle mille ronde ne sforna una al giorno: ora si sta pensando a un braccialetto antistupro per le studentesse universitarie, tipo quello che proponeva Rutelli a Roma, mentre Genova sta testandolo sugli anziani. E ricordate l’estate scorsa, le polemiche sulle centro sinistre Firenze e Pavia che multavano i lavavetri e sgombravano gli squatter? A Venezia è in sintonia Cacciari e da un pezzo lo sono a Viareggio, ora anche a Ravenna, e insomma ormai si può... Per non dire della ridotta bertinottiana di Massa, coi purissimi e durissimi che si sono decisi perfino loro: e va bene, armiamo la polizia urbana e mandiamola a caccia di lucciole sul lungomare.

Poco lontano del resto c’è Carrara, dove i vigili hanno già le armi, e lì sulle cave di marmo bianco la giunta rossa fa volare addirittura un dirigibile che tutto monitora.

Occhio, dunque. Le videocamere coi nastri conservati 24 ore, roba vecchia di dieci anni nei municipi leghisti, stanno diventando un must a Rimini, nelle Marche, a Pisa, a Pescara, a Catanzaro, a Lamezia Terme, mentre a Genova le hanno piazzate addirittura sugli autobus urbani. Da Modena ad Ancona, passando naturalmente per Bologna, tra i vigili vanno di gran moda anche i baton, che poi sono i manganelli estensibili, oltre agli spray al peperoncino antiaggressione. Sergio Chiamparino ha già ordinato gli uni e gli altri, dopo l’aggressione di sabato ai vigili torinesi che facevano multe, e ha pure trovato una cornice ideologica che li spieghi. Né Obama né Hillary, dice. La teoria è quella dei vetri rotti che applicava a New York il repubblicano Giuliani: "Lui indicava le finestre rotte nelle case: sostituitele, e contrasterete il degrado. Io guardo alla sosta selvaggia: multe e nessuna tolleranza. La legalità comincia da lì".

Giustizia: diventiamo "rondisti", e l’ordine regnerà sovrano!

Roberto Cotroneo

 

L’Unità, 7 maggio 2008

 

Alla fine sempre in tondo ci tocca girare. Dal paese dei girotondi al paese delle ronde. Va detto, erano meglio i girotondi, almeno c’era un po’ di piacere gioioso in quelle catene di mani che si tenevano assieme. Ora con le ronde il vento di destra soffia come non mai. Cittadini volenterosi, cittadini seri, cittadini emotivi, cittadini di An, e cittadini persino del Partito Democratico, e poi cittadini che diventano City Angels. Tutti in strada, disarmati, è ovvio, a difenderci dalle aggressioni, dai pericoli della strada. Gente che controlla che tutto sia a posto, e che utilizza taccuino e macchina fotografica, oltre naturalmente al cellulare.

Loro ci sono, le forze dell’ordine anche, quattro occhi sono meglio di due. Ma il clima comincia a suonare drammatico, persino grottesco: "Ci puoi riconoscere dal basco o berretto blu", dice il sito dei City Angels, "simbolo delle forze Onu portatrici di pace, e dalla giubba o maglietta rossa con sopra il nostro logo, un’aquila che protegge la città". Il basco, certo, copricapo per eccellenza di tutti gli eserciti di tutto il mondo, dei partigiani, di Che Guevara. Loro li riconosci dal basco, e le ronde padane le riconoscerai dal verde scintillante, e quelle di An da che cosa le riconosci? Avranno un basco bordeaux come quello dei para della Tuscania? E le ronde democratiche e di sinistra, invece? Basco nero come il Che. Ma non è che poi alla fine si confondono una con l’altra. La ronda padana litiga con la ronda di Alleanza Nazionale per il controllo delle strade e del territorio. E con le ronde di sinistra come facciamo?

Applichiamo le percentuali delle elezioni, semplice. Il 30 per cento o poco più del territorio di una città va a loro. Possibilmente le zone centrali, quelle un po’ snob, dove si potrebbe vigilare su barboni, alcolisti disperati, con una certa attenzione al decoro urbano. Mentre nelle periferie ci mandiamo quelli che hanno una predisposizione quasi genetica al rondismo. Veri militari, armati di buona volontà e muscoli saldi (riguardo ai nervi, lasciamo perdere, è una pretesa eccessiva), pronti immobilizzare immigrati molesti, ladri di appartamento, Rom con predisposizione al furto, e tutto quanto desta sospetto. Cammineranno allineati in mezzo alle strade, genere "intoccabili" e desteranno ammirazione in tutti. Le ronde si potranno ufficializzare creando un registro delle ronde. Con una normativa su divise, colori di appartenenza e zone di influenza. Si potrebbe anche tirare a sorte, e persino spostarle, da una città all’altra, se ce ne è bisogno, e per riunire il paese, dargli di nuovo un’identità nuova, mandare i rondisti padani a Catania, e i rondisti siciliani a Varese. Che sarebbe persino una bella cosa. I nostri ragazzi di ronda si potrebbero conoscere tra loro, e capirsi, e stare assieme.

Con il tempo la ronda, da fenomeno occasionale e spontaneo, oltre che emotivo, potrebbe diventare organico. E visto che molti giovani sono senza un lavoro fisso, si potrebbe decidere per la ronda di leva. Vieni chiamato per due mesi, una volta all’anno, a girare in tondo per quartieri a rischio, luoghi malfamati, e periferie povere e difficili. Senza armi, certo. Ma consapevole di un compito che ormai si potrebbe definire storico. Si potrebbe creare un comando generale delle ronde. E organizzare anche la sfilata dei rondisti nel giorno della ronda, che verrà stabilito dal Parlamento, con i loro baschi, i loro colori e le loro divise.

Finalmente si potrà anche cominciare a pensare che la ronda possa diventare anche un’occasione di guadagno. Con Tremonti e Berlusconi al governo si potrebbe studiare un canone per le ronde, da pagare come l’Ici, e che permetterebbe ai comuni di finanziarle. I cittadini danno qualche euro e le ronde vengono stipendiate. Con il tempo anche sponsorizzate. Sulla camicia da rondista potremmo metterci un bel marchio, una griffe, e di sicuro gli stilisti potrebbero disegnare divise e stemmi, perché noi italiani siamo eleganti. E non è che mandiamo le ronde in giro come fossero degli straccioni. Sarebbe opportuno, essendo ronde, decidere se ruotano in senso orario, o in senso antiorario. Sarebbe meglio il primo caso, ovvero da sinistra verso destra, vista la tendenza elettorale degli ultimi tempi, ma in Toscana e in Emilia, e certamente nella Bologna del sindaco Cofferati, è auspicabile il ruotare da destra verso sinistra.

Ma accanto alla guardie padane, alla ronda di notte di quelli di destra, alle ronde di sinistra, tanto politicamente corrette, ci sono anche quelli che vorrebbero farsi una ronda tutta loro e non sanno come iniziare, quali moduli compilare, e se c’è qualche agevolazione fiscale. A parte che ci sono scuole di ronde che cominciano a nascere per l’Italia. Dove uno si iscrive, e comincia a girare in tondo per un po’, passeggia per la città con un istruttore, e ogni tanto fa il 113 e dice, individuo sospetto all’incrocio tra Via Garibaldi e Piazza Manzini. Ma si potrebbe devolvere l’8 per mille della dichiarazione dei redditi alla propria ronda preferita. Ronde cattoliche, ronde comuniste, ronde progressiste e riformiste, ronde mistiche e pacifiste, ronde gandhiane.

Anche ronde ambientaliste, certo, specializzate nel controllare che non si sporchino le spiagge o che i padroni dei cani puliscano come si deve il marciapiede. Ci saranno ronde di cielo, ronde di mare e ronde di terra. Le ronde in pedalò e le ronde di montagna, perché i sentieri alpini mica sono

più quelli di una volta, e ronde multinazionali e multietniche, ovviamente. Arriverà il giorno che i nostri nipoti potranno finalmente dire: se lei non se ne va, chiamo la ronda, anziché i carabinieri e la polizia. Perché tutti saranno rondisti, e l’ordine regnerà sovrano per l’intera penisola. E tutto sarà sotto controllo. E saremo finalmente un popolo ordinato e felice.

Giustizia: 450 i minorenni in carcere, uno su due è straniero

di Andrea Galli

 

Corriere della Sera, 7 maggio 2008

 

Pochi soldi, continui colpi di forbice, spese enormi per rimettere in sesto strutture secolari e, come già denunciato dalla Corte dei Conti, non "conformi alle norme di sicurezza", nelle carceri minorili capita che manchi perfino il carburante per le auto che trasportano i detenuti ai processi. Eppure, dei 18 istituti, ne è stato chiuso soltanto uno - a Lecce, per una storiaccia di botte e agenti indagati -, nonostante alcuni abbiano una presenza media di carcerati risibile (4 a Caltanissetta, 6 a Catania, 11 a Treviso, 16 a Palermo) e nonostante il personale sia perennemente sott’organico: servirebbero 24 dirigenti e ce ne sono 17, ci vorrebbero mille poliziotti e ce ne sono 827.

Dipendenti, a sentire i sindacati, "stanchi, demotivata costretti a straordinari". Per dire: alle "attività formative partecipa solo il 31% degli aventi diritto". Gli altri o se ne fregano oppure sono assenti perché, appunto, devono tappare i buchi. I cattivi ragazzi di casa nostra Gli Stati Uniti, consapevoli che "tenere i ragazzi in carcere costa di più e rende meno" puntano sul lancio di programmi sociali e sulla modifica della normativa vigente: "Un giovanissimo inserito in un centro di detenzione ne esce spesso trasformato in peggio".

In Germania si sono inventati le punizioni esemplari, con le gite-lager all’estero, come insegna il 16enne recidivo spedito in Siberia per un programma di recupero a 30 gradi sotto zero senz’acqua corrente, con la toilette fattagli scavare all’esterno, al gelo. Sì, americani e tedeschi, in un senso e nell’altro, sono assai netti. Meglio che niente, diranno alcuni, almeno se ne parla: da noi, in Italia, eccetto le sparute prese di posizione batte per "centri di orientamento per i giovani usciti di cella") ed eccetto le proteste sindacali ("Siamo al collasso" è una delle più frequenti), il dibattito sulle carceri minorili è quasi azzerato.

Peccato: le carceri raccontano l’Italia sotto i diciotto anni. E dicono che le orde straniere calate dall’Est Europa, le bande dei latinos sulle quali tanto - "esagerando", si lamentano gli inquirenti - s’è romanzato, gli imprendibili maghrebini, insomma gli stranieri, non fanno troppa paura. E, più che altro, sono la metà della popolazione. L’altra metà la fanno gli italiani (nel meridione sono tre su quattro) che hanno un rapporto quasi morboso con la droga.

A leggere le presenze negli istituti al 31 dicembre 2007 (ultimo dato disponibile del Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero), 231 erano immigrati e 215 italiani, e tra i minorenni con problemi di stupefacenti presi a carico nel 2007 dalla giustizia minorile gli italiani erano 746 su 997. Con il 77% assuntore di marijuana e il 9% di cocaina e/o oppiacei; con una frequenza nel drogarsi settimanalmente nel 41% dei casi e quotidianamente nel 31; con un periodo di assunzione che, per uno su tre, "dura da almeno due anni".

Certo, poi, bisogna vedere dove uno vuoi fermare gli occhi. Dovesse per caso prendersela con i romeni, ne troverebbe, di materiale. I romeni in cella, da soli, pareggiano il totale di Africa, Sudamerica e Asia. Dal 2001 sono aumentati di cinque volte. I romeni sono specialisti in rapine e farti, due reati che numericamente hanno contribuito a innalzare, tanto da farli diventare i primi due nella classifica generale delle statistiche. Prendiamo ancora la rilevazione al 31 dicembre scorso. Bene, prima dei 20 detenuti dentro per omicidio, altrettanti per tentato omicidio e dei 78 per violazione sulla legge degli stupefacenti, c’erano i 150 accusati di rapina e gli 81 di furto. E fin qui parliamo di detenzione. A marzo, il Dipartimento della Giustizia Minorile ha diffuso la cifra dei denunciati annui: 40 mila, no al giorno, il 71% dei quali italiani.

Eppure Carmela Cavallo, a Capo del Dipartimento, s’è soffermata sugli stranieri: c’è "una mancanza di misure specifiche dirette ai minori immigrati. D nostro è un sistema penale sostanzialmente pensato per i nostri connazionali". E comunque, in generale, il sistema della giustizia minorile è "inadeguato" ha detto il sottosegretario agli Interni Marcella Lucidi, inadeguato a partire dalle fondamenta: quei dati di marzo, erano aggiornati al 2004. Anche i computer, nelle carceri italiane, segnano il passo e recuperano dati con un ritardo biblico. Figurarsi, allora, il recupero sodale dei detenuti. Che infatti, scarcerati, tornano in prigione - certe volte anche dopo nemmeno un mese - "nel 20 - 30% dei casi".

Non che per gli altri cominci un’esistenza tranquilla. C’è una stima che rimbalza dagli istituti: "Alla fine, riusciamo a salvarne sul serio, e dunque a recuperarne, appena uno su cinque". Eppure, c’è chi invoca l’abbassamento dell’età della punibilità a 12 anni. L’ha proposto Giuseppe Consolo, di quell’Alleanza Nazionale che a Milano, con il vicesindaco Riccardo De Corato, tanto insiste sull’introduzione di pene più severe per i minori di 14 anni, con riferimento ai bimbi zingari specializzati in furti e borseggi lungo una ecografia articolata e in movimento (Stazione Centrale, Stazione Cadoma, Metrò Gobba).

A oggi, per gli under 14 sorpresi a delinquere, al massimo ci sono le comunità protette. Da dove scappano nel giro d’un attimo, sempre ammesso che di comunità se ne trovi una. Prima di Natale, la polizia aveva sgominato una banda di aguzzini rom che, con base in una cascina dell’hinterland, costringevano 34 piccoli connazionali a rubare in piazze e metrò. Dei 34, nove vennero individuati. Per un giorno intero, rimasero in Questura. Solo a sera, dopo una fatica immane fatta di telefonate e mediazioni, i piccoli trovarono una sistemazione. L’indomani, s’intende, erano già scappati. Associazioni vicine ai nomadi raccontano che oggi sono di nuovo nella cascina. Liberi d’agire. Certo, tanto non sono punibili. Questione di (poco) tempo, però. Racconta un maresciallo dei carabinieri: "Le organizzazioni li tengono fino a tre mesi prima del compimento del quattordicesimo anno. Dopodiché, li abbandonano. Temono che, con un arresto la detenzione, sotto pressione spifferino ai poliziotti nomi e cognomi dei capi". Ma lasciati da soli, i rom una sola cosa sanno fare: rubare. "E privi di un’organizzazione che li protegge, non ancora pronti ad agire da cani sciolti, vengono subito presi".

Giustizia: Contrada; per la Cassazione può curarsi in carcere

 

Ansa, 7 maggio 2008

 

"Il differimento dell’esecuzione della pena può essere disposto solo in grado di un’evoluzione fortemente negativa del soggetto tale da implicare un serio pericolo di vita, non curabile in regime di detenzione". Lo afferma la prima sezione della Cassazione nelle motivazioni con le quali ha respinto la richiesta di scarcerazione per gravi motivi di salute di Bruno Contrada, detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per scontare una condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa.

Per i giudici della Suprema Corte, che hanno respinto il ricorso dei legali dello studio Lipera di Catania, il tribunale di sorveglianza di Napoli "ha giustificato la decisione" di non concedere il differimento pena "in modo esauriente", evidenziando "in modo esauriente come non sussista una "prognosi infausta quod vitam o che renda il trattamento carcerario contrario al senso di umanità". "Il Tribunale - scrivono i giudici della Cassazione - dopo ampia e analitica

disamina della documentazione clinica, ha rilevato che nessuna patologia di cui Contrada è affetto presentava allo stato caratteri di rilevante gravità e che tutte erano efficacemente fronteggiabili in ambiente carcerario con la possibilità, già attuata, di ricovero esterno". La Suprema corte, nella sentenza, sottolinea inoltre che a Contrada, che ha 77 anni, poiché condannato per reati di mafia, "non è applicabile la disposizione di legge che consente agli ultrasettantenni l’espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare".

Durante l’udienza davanti la prima sezione penale della Cassazione il sostituto procuratore generale Tindari Baglione aveva chiesto l’annullamento con rinvio della decisione del Tribunale di sorveglianza di Napoli che aveva rigettato la richiesta di differimento della pena sollecitata dai legali di Contrada. Nel suo intervento il sostituto Pg aveva motivato la sua richiesta osservando che, a suo parere, "una valutazione di sintesi e complessiva dello stato di salute del ricorrente non risulta essere stata compiuta dal Tribunale di sorveglianza" di Napoli.

Secondo Tindari Baglione l’annullamento con rinvio si rendeva necessario "anche perché le conclusioni dell’ordine giudicante divergono dalle conclusioni mediche sia delle strutture sanitarie carcerarie e ospedaliere sia dei consulenti di parte, che ritengono versare il Contrada in condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario". "Il vizio di motivazione - aveva rilevato il sostituto Pg della Cassazione - risulta ancora più evidente se si tiene conto che nel provvedimento impugnato non si fa alcun riferimento alla attuale pericolosità sociale del ricorrente, valutato il percorso di reinserimento sociale all’interno della struttura carceraria e tenuto conto dell’età avanzata del ricorrente: Bruno Contrada è nato nel 1931".

Il difensore dell’ex funzionario del Sisde, l’avvocato Giuseppe Lipera, sottolinea "la differenza che c’é tra i due atti". "Nella decisione non si fa alcun cenno, se non nel frontespizio e solo per le conclusioni finali - aggiunge il legale - alle argomentazioni del sostituto procuratore generale che aveva chiesto l’accoglimento del ricorso della difesa. Non abbiamo parole: è ovvio che per noi le motivazioni della Corte Suprema non sono affatto condivisibili. La battaglia continua almeno finché Bruno Contrada rimarrà in vita". Domani intanto davanti alla terza sezione penale della Corte di appello di Napoli si discuterà la ricusazione, da parte dei legali di Contrada, del magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra.

Giustizia: Cassazione; per Totò Riina rimane regime di 41-bis

 

Ansa, 7 maggio 2008

 

Resta sottoposto al regime di carcere duro il capo di Cosa Nostra, Salvatore Riina. Lo ha stabilito la prima sezione penale della Cassazione rigettando il ricorso presentato dal boss, detenuto nel carcere di Opera, contro l’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza di Milano aveva respinto il suo reclamo contro il decreto di proroga del regime di 41 bis, nonché l’istanza di differimento della pena o di detenzione domiciliare in un luogo di cura per motivi di salute.

Il tribunale di sorveglianza, infatti, aveva motivato la sua decisione rilevando che Riina "condannato per reati di gravità rilevantissima" rivestisse ancora "una posizione di vertice assoluto della stessa organizzazione mafiosa" e che fosse "ancora in grado di mantenere contatti con gli appartenenti" a questa. Inoltre, i giudici di sorveglianza osservavano che, di certo, il boss è portatore di gravi patologie ma che queste fossero "tutte ben controllate dalla struttura sanitaria carceraria e non incompatibili con la stessa, né il regime differenziato in atto".

Riina, dunque, aveva presentato ricorso in Cassazione: per il suo difensore era mancata un’indicazione specifica degli elementi in base ai quali ritenere la persistenza dei contatti con l’associazione mafiosa: in tal senso, secondo la difesa, "non potevano ritenersi idonei i pizzini trovati nel covo di Provenzano, perché riferiti a direttive date da Riina in precedenza, mentre doveva essere considerata l’età avanzata (78 anni) come indice di cessata pericolosità". Inoltre, l’infarto che aveva colpito Riina nel 2003, si esponeva ancora nel ricorso, era "di natura tale da indurre grave rischio di recidiva" e vi erano esami clinici "indicativi di un probabile tumore alla prostata".

Per la Suprema corte il ricorso va dichiarato inammissibile: il tribunale di sorveglianza di Milano, si spiega nella sentenza numero 18390, "ha congruamente e specificatamente motivato sia in ordine alla perdurante operatività del sodalizio di appartenenza, sia con riferimento all’impressionante biografia penale del ricorrente, sia ancora in relazione all’attualità del pericolo interno ed esterno". I giudici milanesi hanno giustamente rilevato "un elevatissimo grado di rilevanza criminale del soggetto", sottolineano gli ermellini secondo cui giustamente sono state disattese anche i rilievi difensivi sull’età avanzata e lo stato di salute del detenuto, data "la loro sostanziale e dimostrata irrilevanza a fronte di siffatta pericolosità sociale".

Venezia: muore detenuta di 33anni, era incinta al sesto mese

 

Il Gazzettino, 7 maggio 2008

 

Il pubblico ministero Roberto Terzo ha disposto l’autopsia sul corpo della venezuelana, al sesto mese di gravidanza, colta da malore domenica nel carcere della Giudecca.

Il sostituto procuratore Roberto Terzo vuole fare piena luce sulla morte di Flor Castillo, la venezuelana in carcere dallo scorso marzo con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti dopo essere stata fermata all’aeroporto di Tessera con oltre mezzo chilogrammo di cocaina trasportata in un centinaio di ovuli che aveva ingerito. La donna, 33 anni, era incinta al sesto mese e domenica si è sentita improvvisamente male: all’arrivo in ospedale, a Venezia, il bimbo che portava in grembo era già morto e lei è entrata in coma. Trasportata all’Umberto I di Mestre, è morta nel pomeriggio di ieri, nonostante i tentativi dei sanitari di salvarla.

Secondo i primi accertamenti medici pare che il decesso sia da mettere in relazione a complicazioni connesse alla gravidanza. Il magistrato, però, considerato che la donna si trovava detenuta nel carcere della Giudecca, ha deciso in ogni caso di nominare alcuni esperti medico-legali, affidando loro l’incarico di eseguire l’autopsia sul corpo della vittima al fine di accertare con precisione le cause della morte. Flor Castillo era stata arrestata dalla Guardia di Finanza subito dopo essere scena da un volo proveniente da Madrid. Al giudice raccontò di essersi prestata a fare il "corriere" della droga perché aveva bisogno di soldi per mantenere i due figli di 2 e 3 anni, e per prendersi cura del terzo in arrivo: era stata compensata con 1.400 euro. Per alcuni giorni la venezuelana era rimasta ricoverata all’ospedale Umberto I di Mestre in attesa di espellere tutti gli ovuli contenenti la cocaina. Poi era stata trasferita al carcere di Santa Maria Maggiore, in attesa del processo.

Pescara: 9 detenuti parteciperanno a cura di riserve naturali

 

www.primadanoi.it, 7 maggio 2008

 

Nove detenuti della Casa Circondariale di Pescara parteciperanno ad un progetto di educazione ambientale relativo alla cura di alcune riserve naturali. L’iniziativa è resa possibile grazie ad un protocollo d’intesa tra la Casa Circondariale, il Comune di Pescara e la società che gestisce la raccolta dei rifiuti cittadini, insieme con i Comuni e le riserve naturali di Penne e Popoli.

I detenuti oltre alle due riserve naturali del pescarese saranno impegnati, il 29 e il 30 maggio, a Pescara, per il secondo anno consecutivo, in servizi di pubblica utilità attraverso il rimboschimento e la pulizia del Parco di San Donato e Pietro Nenni. Per quanto riguarda le riserve naturali i detenuti saranno impegnati a Penne il 14, il 15 e il 23 maggio, a Popoli dal 10 al 12 giugno. Il direttore del carcere pescarese, Franco Pettinelli, nel sottolineare l’importanza del progetto, ha detto che in futuro si punta a fare in modo che si possa arrivare ad un inserimento lavorativo vero e proprio. Dello stesso avviso il futuro assessore all’anagrafe del comunale di Pescara, Roberto De Camillis e il presidente della società Attiva, Giancarlo Liberati. Da parte sua l’assessore regionale all’ambiente Franco Caramanico, ha parlato di un’iniziativa di "forte valenza sociale".

Roma: Alemanno; solidarietà? solo a chi smette di delinquere

 

Dire, 7 maggio 2008

 

Il sindaco di Roma, al primo vertice del Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico con il presidente della Provincia, annuncia un decreto legge già dalla prossima settimana.

Il nuovo sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, hanno partecipato al primo vertice del Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico, convocato questa mattina dal prefetto di Roma Carlo Mosca. Alla riunione hanno partecipato anche tutti i vertici delle forze di polizia. Alla fine dell’incontro, il prefetto si è detto soddisfatto del clima di collaborazione che si è instaurata tra i diversi livelli di governo del territorio e ha detto che le misure di polizia e sicurezza si dovranno abbinare alle politiche di solidarietà. Il prefetto ha parlato di un vero e proprio piano di lavoro per allontanare dal territorio chi delinque e avviare politiche di integrazione di chi rispetta le regole.

Secondo il sindaco Alemanno, "è necessario combattere la criminalità di strada insieme al degrado che genera una illegalità diffusa". Il primo obiettivo per il neo sindaco sarà quello di rendere più efficaci le normative, soprattutto per chi, come le forze di polizia, è impegnato in prima linea. Alemanno ha annunciato un decreto legge sui temi della sicurezza e un incontro, probabilmente già dalla prossima settimana, con il nuovo ministro dell’Interno. In ogni caso, per Alemanno, "è necessario dare ai romani un messaggio di svolta. Ci dovranno essere operazioni di polizia molto incisive contro il commercio abusivo, il caporalato e il lavoro nero, l’accattonaggio molesto e minorile, la prostituzione di strada".

Sempre secondo il sindaco di Roma, è necessaria una revisione totale del precedente patto sulla sicurezza che era stato siglato dal ministro Amato e dal sindaco Veltroni. In particolare, per Alemanno, si tratta di "ridefinire il patto sui quattro villaggi della solidarietà". Il sindaco ha annunciato interventi sull’illuminazione delle strade e sulle stazioni ferroviarie ma ha voluto sottolineare il ruolo importante che dovrà svolgere il Cpt di Roma, che serve sia per le espulsioni degli immigrati irregolari, sia per gli allontanamenti. Il sindaco Alemanno ha concluso il suo intervento durante la conferenza stampa annunciando che non ci potrà essere solidarietà per chi delinque. "Per accedere alle politiche di solidarietà bisognerà uscire dall’illegalità", ha aggiunto.

 

Monitorare l’efficienza dei Cpt

 

"I Centri di permanenza temporanea servono soltanto per coloro che sono soggetti a operazioni di allontanamento e di espulsione. Non sono sostitutivi dei campi sosta". Lo dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, al temine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza di Roma, appena concluso in prefettura. "I Cpt - prosegue Alemanno - sono uno strumento necessario per rendere effettivi gli allontanamenti, ma bisogna monitararne l’efficacia".

Napoli: "sparate agli spacciatori", clan voleva "pulire" le vie

di Marco Di Caterino

 

Il Mattino, 7 maggio 2008

 

"In città non si deve vendere nemmeno un grammo di droga". E il clan, dopo il primo e solo avvertimento a voce, mandava una squadra a punire con il piombo chi aveva continuato a spacciare anche solo una sigaretta di marijuana. E nella sola Afragola, tra la fine del 2006 e il 2007, sono stati gambizzate una trentina di persone, finite nella lista nera della cosca per aver disubbidito all’ordine di non spacciare droga. E ieri mattina, dopo una lunga e difficile indagine, sono scattate le manette per tre componenti del gruppo di fuoco, tutti affiliati al clan Moccia, che la notte del sei settembre di due anni fa, gambizzarono Luigi Maiello, all’interno del suo salone di barbiere, in via Milano ad Afragola.

Gli agenti del commissariato di Afragola, diretto dal vicequestore Pietropaolo Auriemma e i poliziotti della squadra mobile di Napoli, hanno arrestato Francesco Favella, 44 anni, pregiudicato, meglio noto con il nomignolo di "o cecce", Anselmo Vitucci, 45 anni, soprannominato nell’ambiente della camorra afragolese "o muscio" e Nicola Luca, 44 anni, più conosciuto ad Afragola con l’appellativo di "Tonino o riccio".

Gli agenti hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso in lesioni gravissime e porto e detenzione di arma da fuoco e spari in luogo pubblico, disposta dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Francesco Favella, considerato dagli inquirenti il referente diretto del clan Moccia ad Afragola, e Anselmo Vitucci, sono stati bloccati e arrestati all’alba nelle loro rispettive abitazioni, mentre a Nicola Luca, il dispositivo è stato notificato in carcere, perché già detenuto per un altro reato.

Nell’abitazione del capo zona di Afragola, gli agenti hanno trovato e sequestrato circa 23 mila euro, che per gli inquirenti sono il provento delle attività illecite di Francesco Favella. Le indagini hanno appurato anche il ruolo ricoperto dai tre esponenti del clan Moccia incaricati delle punizioni. Francesco Favella decideva chi, come e quando gambizzare lo spacciatore disubbidiente. Anselmo Vitucci era quello dei tre che materialmente eseguiva la punizione, mentre il ruolo di Nicola Lucci, era quello dell’autista che guidava lo scooter o la moto utilizzata per portare sul luogo dell’agguato Vitucci.

E, come hanno accertato le indagini, il ferimento del barbiere, fu deciso da Francesco Favella, imbestialito dal fatto che Luigi Maiello, nonostante l’avvertimento aveva continuato a piazzare dosi di cocaina nel centro storico di Afragola. "Questi pezzi di ..., la devono finire di vendere la droga" - dice in una delle intercettazioni telefoniche, Francesco Favella parlando con Anselmo Vitucci - Qui tutti devono capire che la signora non vuole tossici in giro per Afragola. Questi disgraziati si tirano dietro polizia e carabinieri e noi finiamo di fare quello che dobbiamo fare".

Poi quando Anselmo Vitucci gli dice: "Ma io non voglio più sparare a nessuno. La vicenda si sta facendo troppo pericolosa e grossa. Mò basta sparare", il capo zona con tono rassicurante gli risponde: "È una cosa che finirà presto. Ancora un po’ di tempo.

Appena inizia a girare la voce che chi vende la droga viene punito, tutto lo spaccio finisce". E invece le punizioni sono durate un anno e mezzo. Negli ultimo quattro mesi del 2006, nove spacciatori sono stati gambizzati. Gli altri fino al 12 dicembre del 2007, quando fu ferito alle gambe uno spacciatore di Caivano che aveva osato sconfinare. Da allora ad Afragola non gira più un grammo di droga e nemmeno i ragazzi si fanno più gli spinelli.

Udine: sei detenuti lavoreranno per la sistemazione di boschi

 

Il Gazzettino, 7 maggio 2008

 

Avranno la possibilità di lasciare le loro celle per entrare in cantiere, prendere in mano vanghe e cazzuole e cimentarsi come in un normale turno di lavoro, nella manutenzione di sentieri, torrenti e boschi. Attività lavorative professionalizzanti ed allo stesso tempo utili per il territorio, proposte come chance di reinserimento lavorativo post-detenzione. I futuri protagonisti di questa nuova esperienza saranno sei detenuti della Casa Circondariale di Tolmezzo che grazie al Progetto Pilota regionale in tema di disadattamento, devianza e criminalità saranno chiamati nelle prossime settimane, sentito il parere del giudice di sorveglianza, a partecipare ad un’iniziativa singolare suddivisa in due parti: un’attività formativa preliminare a livello teorico ed un successivo tirocinio pratico nel settore delle manutenzioni ambientali e del ripristino idraulico-forestale.

Nel dettaglio i sei reclusi, scelti tra i più prossimi a scontare definitivamente la rispettiva pena, verranno interessati per una durata totale di 32 ore, da corsi teorici specifici dedicati all’apprendimento delle mansioni alle quali saranno chiamati ad operare, lezioni tenute dai tutor del Cesfam, il Centro servizi per le foreste e le attività della montagna di Paluzza all’interno della struttura penitenziaria. A ciò seguiranno poi tre settimane di stage operativo vero e proprio in tre cantieri scelti sul territorio carnico, Tolmezzo, Socchieve ed Arta Terme.

Qui i detenuti, dotati di tutte le necessarie misure di sicurezza, affiancati e coordinati dal personale del Servizio territoriale montano e manutenzioni della Regione oltre che dai dipendenti del servizio manutentivo comunale della Conca tolmezzina, sotto il controllo e la supervisione degli agenti di Polizia Penitenziaria, incominceranno a rimboccarsi le maniche per collaborare alla sistemazione attraverso opere di ricostruzione e manutenzione idraulico-forestali, dei vari sentieri, piste forestali, argini di torrenti, manufatti in pietra o legno che si troveranno di fronte, il tutto durante le classiche 8 ore di lavoro giornaliere, per cinque giorni alla settimana, dal lunedì al venerdì. Sui cantieri giungeranno attraverso pullman messi a disposizione dal comune di Tolmezzo che avrà anche in carico l’onere delle spese di copertura assicurativa, fornitura dei dispositivi di prevenzione e sicurezza per lo stage e l’esercitazione finale, oltre che la distribuzione dei buoni pasto durante lo stage esterno al carcere.

 

L’Assessore: per i detenuti 470 euro di stipendio

 

"Credendo molto nel lavoro quale forma migliore per il reinserimento in società dei detenuti prossimi all’uscita dal carcere, abbiamo aderito convinti a questo progetto"- spiega l’assessore alle politiche sociali del comune di Tolmezzo Mario Cuder. "Quella del progetto Pilota Devianza è un’iniziativa concreta, diversa dalle solite perché mirata alla costruzione di una figura professionale solida per il detenuto, destinata a poter essere spesa in una futura nuova vita, messa in piedi grazie ad una rete coordinata di soggetti ed istituzioni che contiamo prosegua negli anni".

Molti come detto i partner coinvolti, dalla Regione attraverso la Direzione Centrale Risorse Agricole Naturali Forestali e Montagna, Servizio territorio montano e manutenzioni, al Cesfam di Paluzza impegnato nella didattica, dalla Direzione Centrale regionale Salute e Protezione Sociale, Area Adulti all’Amministrazione penitenziaria del carcere carnico guidato dalla dottoressa Silvia Dalla Branca, l’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe) di Udine sino al Comune di Tolmezzo attraverso l’Assessorato ai servizi sociali e l’Ufficio Manutentivo. "Non sarà un percorso fine a se stesso - conclude Cuder - ma potrà proporre in seguito agli "indultati" anche la possibilità di essere assunti in cooperative presenti sul territorio per esempio impegnate nella cura del verde pubblico, percependo un vero stipendio quantificato all’incirca in 470 euro".

Torino: iniziano riprese del film "Libertà", di Davide Ferrario

 

Ansa, 7 maggio 2008

 

Sono iniziate ieri le riprese del nuovo film di Davide Ferrario, "Libertà", una "commedia con musica" ambientata su un set a dir poco "particolare": il carcere delle Vallette a Torino. Protagonisti del film Kasia Smutniak e Fabio Troiano, che durante le riprese saranno affiancati da venti detenuti-attori, anche se, come precisa Ferrario, "questo è un film nel carcere, non sul carcere". Scritto, diretto e prodotto da Davide Ferrario, e distribuito in Italia dalla Warner Bros, il lungometraggio si avvale anche della partecipazione straordinaria di Luciana Littizzetto. Con "Libertà" Ferrario riconferma la sua vocazione per i progetti innovativi: il regista girerà il film con la telecamera ad Alta Definizione "Genesis", di recente utilizzata da Sidney Lumet in "Onora il padre e la madre". Le riprese dovrebbero durare intorno alle cinque settimane.

Immigrazione: dall’Ue una direttiva che peggiora la Bossi-Fini

di Patrizio Gonnella (Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 7 maggio 2008

 

L’accordo raggiunto in ambito Unione Europea in materia di rimpatrio di extracomunitari clandestini è un pessimo e grave compromesso tra le supposte esigenze di sicurezza nazionale e la tutela dei diritti fondamentali delle persone extracomunitarie. L’Unione Europea ha previsto che la permanenza nei centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpt) possa estendersi sino a sei mesi prorogabili fino a un anno e mezzo.

Chi lo avrebbe mai detto che la legge Bossi-Fini sull’immigrazione sarebbe diventata la frontiera da difendere? L’accordo raggiunto in ambito Unione Europea in materia di rimpatrio di extracomunitari clandestini è un pessimo e grave compromesso tra le supposte esigenze di sicurezza nazionale e la tutela dei diritti fondamentali delle persone extracomunitarie. Gli estenuanti negoziati con il Consiglio Europeo, l’Europarlamento e la Commissione hanno prodotto un accordo da brividi. Il voto finale del 4 giugno pare abbia numeri certi.

Ci appelliamo al senso di responsabilità, di umanità e di misura politica delle componenti socialiste, liberali, cattoliche, verdi e di sinistra affinché rivedano quell’accordo. In Italia la legge Bossi-Fini sull’immigrazione prevede che il periodo massimo di reclusione in attesa di rimpatrio sia di trenta giorni prorogabile fino a sessanta.

L’Unione Europea ha previsto che la permanenza nei centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpt) possa estendersi sino a sei mesi prorogabili fino a un anno e mezzo. La Ue in materia di immigrazione ha optato per il modello punitivo/dissuasivo. Una scelta al ribasso. Diciotto mesi in una galera senza le regole, i diritti e i controlli tipici della galera, sono una enormità per chi non è un criminale ma solo un clandestino. Contro questa enormità che contrasta con un’altra storia europea, quella del dialogo interreligioso, dei diritti umani, del welfare universale, va innalzata una diga sociale, politica e culturale.

Gli ultimi mesi sono stati duri. Gli analisti della comunicazione politica hanno sostenuto che l’indulto e il dibattito sulla sicurezza hanno favorito la vittoria di Berlusconi e Alemanno. Di fronte a questo va ribadito che è meglio perdere piuttosto che tracimare verso la disumanità e il proibizionismo punitivo. È una sconfitta provvisoria. Quella definitiva sarà la loro, quando si ritroveranno a vivere in un mondo privo di solidarietà tra umani. Il punto, però, oggi non è quello di urlare a squarciagola contro fascisti e razzisti ma di avere chiaro quale debba essere il modello sociale e politico di governo della complessità.

L’immigrazione è il tema politico per eccellenza. La questione sicurezza è in realtà una questione immigrazione. Le violenze, gli stupri, gli omicidi di italiani su italiani non allarmano quanto quelli commessi da stranieri. Si mischiano paure vere a paure inventate, insicurezze vere a insicurezze artefatte. È difficile dare risposte democratiche a queste paure. Una cosa è certa: va ripreso un lento e faticoso lavoro culturale capace di costruire ponti tra il sottoproletariato marocchino e rumeno e i proletari, i deboli, gli sfruttati e i potenziali sfruttati italiani.

In attesa che questo lavoro culturale dia i suoi frutti - ci vorranno forse decenni - va mantenuta ferma la barra dei valori nel nome dei diritti inalienabili della persona. L’esistenza dell’Europa ha un senso se quest’ultima diventa esportatrice di politiche di pace, di integrazione, di diritti umani. Una Europa trasformata in una piccola e chiusa America è qualcosa che ci allarma e rattrista. Si è molto discusso di radici cristiane da inserire nel Trattato della Ue. I sostenitori di quelle radici dovrebbero ora ricordare a se stessi e a tutti che Cristo è morto in croce tra due ladroni e che lui stesso era uno straniero in terra.

Immigrazione: e l’Unione Europea alza i muri contro i deboli

di Gennaro Santoro

 

L’Inkontro, 7 maggio 2008

 

Il 7 maggio sarà un giorno di mobilitazione europea per gridare un secco no all’Europa del filo spinato e dei corpi reclusi nei centri di detenzione per cittadini extra Ue. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento dell’Unione hanno raggiunto un accordo per l’adozione di una direttiva sulla detenzione amministrativa e l’espulsione dei cittadini stranieri, la cosiddetta "direttiva rimpatri", che fornirà regole omogenee in tutti gli Stati membri. Il testo legislativo approderà all’Europarlamento per il voto finale il 4 giugno prossimo.

La nuova direttiva nasce da una proposta approvata il 12 settembre 2007 dalla Commissione Libertà Civili, Giustizia ed Affari Interni (LIBE) del Parlamento Ue con il voto favorevole di tutti i gruppi politici ad esclusione della Sinistra unitaria.

A destare preoccupazione è soprattutto la durata della detenzione amministrativa che potrà arrivare fino a 6 mesi prorogabili, in determinate ipotesi, fino ai 18. Al momento attuale in Italia la detenzione nei Cpt può durare 1 mese (prorogabili fino ad un massimo di 2), mentre in Francia questo tipo di detenzione dura 32 giorni.

Le nuove previsioni affiderebbero ai legislatori nazionali piena discrezionalità per stabilire quando prorogare la detenzione fino ai 18 mesi in quanto ricorrono "rischi di fuga" o una "minaccia per l’ordine pubblico". Tale discrezionalità e la maggiore durata della detenzione amministrativa legittimeranno la utilizzazione dei centri di detenzione per stranieri come strutture destinate a sanzionare la presenza irregolare, piuttosto che come luoghi nei quali si rimane il tempo strettamente necessario per la esecuzione dell’espulsione.

L’Europa dunque, un tempo culla del diritto e dell’ospitalità per i richiedenti asilo, si appresta a potenziare il suo arsenale legislativo contro i sans papiers, sferrando un attacco senza precedenti al diritto di emigrare. Diritto spesso agito in nome della fame e della povertà, che caratterizzano il nostro mondo globalizzato. Ancora una volta, dunque, solo gli aspetti più repressivi e securitari determinano le politiche europee.

I principi codificati in norme internazionali - come, ad esempio, il non refoulement dei richiedenti asilo (Convenzione di Ginevra del 1951) e l’interesse superiore dell’infanzia (Convenzione Internazionale sui Diritti dell’infanzia 1990) - non sono garantiti da nessuna disposizione specifica della direttiva. Rimane altresì elusa la garanzia del principio sospensivo del ricorso contro la decisione di allontanamento forzato. Così come non sono previste indicazioni soddisfacenti per impedire il trattenimento di minori non accompagnati e per adempiere al principio del non refoulement verso determinati Paesi, come ad esempio la Libia, che sono ben lontani dal rispetto dei diritti fondamentali della persona, e che neppure hanno ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

L’Europa non può e non deve criminalizzare degli esseri umani la cui sola colpa è quella di avere esercitato "il diritto di lasciare il proprio paese", diritto esplicitamente enunciato dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Politiche liberticide, di contenimento di corpi reclusi in attesa di espulsioni. Politiche che mirano a costruire un’Europa fortezza, esacerbano le tensioni alimentando il razzismo e la xenofobia. Politiche inefficaci, dispendiose e irriverenti dei diritti minimi della persona. Per queste ragioni non resta che aderire alla mobilitazione che la Federazione francese delle associazioni di Solidarietà con i lavoratori immigrati (Fasti) ha organizzato contro la c.d. direttiva rimpatri per il 7 maggio a Bruxelles (alle 12.30, Place Schuman) e nei 27 paesi UE (davanti alle prefetture e ai centri di detenzione).

Immigrazione: solo ad aprile 101 morti alle porte dell'Europa

 

Adnkronos, 7 maggio 2008

 

Sono 101 i migranti e rifugiati morti alle porte d’Europa nel mese di aprile, in Marocco, Spagna, Tunisia, Italia, Turchia e Egitto. Dal Marocco arriva una agghiacciante testimonianza, raccolta in esclusiva da Fortress Europe, l’Osservatorio sulle vittime dell’immigrazione che pubblica i dati di aprile, tra i migranti sub-sahariani deportati a Oujda. Sono i superstiti del naufragio del 28 aprile, costato la vita a 36 persone tra cui quattro donne e due bambini, e accusano senza mezzi termini gli agenti della marina reale marocchina di avere deliberatamente tagliato il loro gommone con dei coltelli per poi ritornare con i soccorsi soltanto dopo un’ora. In Egitto, intanto, si legge nel rapporto pubblicato da Fortress, la polizia continua a sparare sul confine e uccide di nuovo, stavolta un rifugiato eritreo. In Turchia, quattro iraniani sono morti annegati in un fiume alla frontiera con l’Iraq, dove erano stati gettati dalla polizia turca durante un’espulsione alla frontiera. Sul fronte della Libia, l’Italia ha accolto altri 30 rifugiati eritrei da Misratah, dove però in 700 rimangono detenuti, molti da ormai due anni, in condizioni degradanti. Record di arrivi in Sicilia ad aprile. Complice il bel tempo e il ritardo della missione Nautilus III di Frontex.

Usa: prima condanna a morte dopo stop da Corte Suprema

 

Reuters, 7 maggio 2008

 

È stata eseguita negli Stati Uniti la condanna a morte di William Earl Lynd, il primo detenuto a essere giustiziato dopo che la Corte Suprema ha posto fine nelle settimane scorse alla moratoria di fatto sulla pena capitale. Lynd è stato ucciso da un’iniezione letale in una prigione di Jackson, in Georgia, alle 19.51 di ieri, l’1.51 di oggi in Italia. L’uomo, 53 anni, era stato condannato per aver ucciso la sua fidanzata nel 1988. "Per ordine della corte, l’esecuzione di William Earl Lynd è stata compiuta", ha detto Paul Czachowski, responsabile degli affari pubblici presso il Dipartimento Carcerario della Georgia. "Il condannato non ha voluto fare dichiarazioni o pregare", ha detto Czachowski, spiegando che l’esecuzione ha avuto inizio alle 7.34.

Nelle ore precedenti, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva respinto l’appello finale presentato dai suoi legali. L’esecuzione di Lynd è la prima da quando, il 16 aprile scorso, la Corte ha respinto il ricorso contro l’uso di un cocktail di tre farmaci utilizzati nelle maggior parte delle pene capitali negli Usa, che secondo i ricorrenti provocano atroci quanto inutili sofferenze. La questione aveva provocato una moratoria delle esecuzioni dal settembre 2007. L’anno scorso sono stati 42 i condannati a morte giustiziati, il numero più basso dal 1994, quando furono 31. Ma sulla riduzione ha pesato la decisione dei giudici supremi.

Gran Bretagna: a Londra vietati gli alcolici sui mezzi pubblici

 

Notiziario Aduc, 7 maggio 2008

 

Basta consumo di alcolici sulla rete di mezzi pubblici londinesi. Ecco il primo provvedimento, che entrerà in vigore il primo giugno, preso dal neoeletto sindaco conservatore della capitale britannica Boris Johnson - che in campagna elettorale aveva promesso un giro di vite sulla microcriminalità e maggiore sicurezza su autobus e metropolitane.

"Sono determinato a migliorare la sicurezza dei trasporti pubblici londinesi e a creare migliori condizioni di viaggio per quei milioni di cittadini che li usano tutti i giorni", ha detto oggi Johnson. "Credo inoltre che liberarci dei così detti crimini minori permetterà di concentrarsi su questioni ben più serie". Il cambio di passo verrà ora notificato affiggendo poster informativi su tutta le rete dei mezzi pubblici della capitale. La mossa di Boris vuole essere un segnale forte che simbolicamente dia forma al proprio mandato fin dagli esordi. Al primo posto dell’agenda di governo, infatti, Johnson ha segnato la lotta alla criminalità giovanile e al proliferare della "cultura della gang" - un fenomeno che, negli ultimi due anni, ha visto più di una trentina di adolescenti morti ammazzati. "Il consumo di alcolici in luoghi pubblici", sottolinea Don Shenker, direttore della Ong Alcohol Concern, "e i comportamenti che ne conseguono, può limitare, e in effetti spesso limita, la libertà degli altri di godere degli spazi pubblici. Questa decisione esprime un forte messaggio: l’ubriachezza molesta non è più un comportamento accettabile".

Johnson ha nei giorni scorsi proposto anche l’istituzione di boot camp estivi - una sorta di corsi intensivi - dedicati alla rieducazione di ragazzi dal passato e dal presente problematico - usando un mix di discipline diverse, tra cui gli sport di gruppo. L’idea - che lo stesso Johnson sa essere inusuale - vuole sradicare quella particolare cultura giovanile della violenza e dell’appartenenza al gruppo diffusasi negli ultimi anni a Londra.

San Marino: in carcere 1 detenuto, con 6 agenti e 1 psicologo

 

Dire, 7 maggio 2008

 

Un solo detenuto in carcere. La Repubblica di San Marino conquista il primato di Paese con meno galeotti al mondo, ultima su 218 nazioni per numero di detenuti nella classifica del Centro internazionale per gli studi sulle prigioni del King’s college di Londra. Ed è finita, per questo motivo, sulla prima pagina del New York Times, che confronta (in positivo) lo Stato del Titano alla realtà degli Stati Uniti, al primo posto della lista, con 2,3 milioni di persone dietro le sbarre. Il riconoscimento del Centro londinese segue quello del rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammamberg, che dà una valutazione positiva della realtà sammarinese per quanto concerne il rispetto dei diritti umani.

"Forse è la prima volta - sottolinea il Segretario di Stato per gli Affari esteri e politici, Fiorenzo Stolfi - che mi capita di valutare positivamente il fatto di essere all’ultimo posto in una classifica. Chiaramente questo è l’effetto delle dimensioni della Repubblica, ma è un risultato che non va dato per scontato. Questo record ci gratifica particolarmente perché conforta le politiche che sono state perseguite negli anni, di grande attenzione alla sicurezza, all’ordine pubblico e al controllo del territorio". Credo, aggiunge Stolfi, "che in parte questo risultato si debba anche al tipo di educazione che c’è nel sistema scolastico e familiare sammarinese, che consente un’educazione e un controllo delle giovani generazioni che ci porta ad avere un livello di delinquenza fortunatamente basso". Ma per mantenere la situazione attuale, la Repubblica di San Marino si deve "proteggere dall’esterno", non deve, cioè, "allentare l’attenzione". Per Stolfi, Segretario di Stato per gli Affari esteri del Titano, "bisogna mantenere un livello di guardia molto alto perché San Marino è guardato con molto interesse dalla malavita per il livello di benessere che c’è". Ma come vive l’unico detenuto nel carcere sammarinese? "In una delle sei celle della struttura carceraria, nutrito con pasti che arrivano direttamente dal ristorante, perché non c’è mensa interna, assistito - chiude Stolfi - da sei operatori penitenziari e da uno psicologo".

Israele: virus contagioso tra i detenuti del carcere di Ramleh

 

Infopal, 7 maggio 2008

 

Uno strano e temibile virus si sarebbe diffuso tra i prigionieri di Hamas rinchiusi nel carcere israeliano di Ramleh. I detenuti, allarmati, hanno invitato le associazioni sanitarie, le organizzazioni internazionali e "Medici Senza Frontiere", a far visita alla prigione. In una lettera uscita dal centro di detenzione nel deserto del Negev, i prigionieri affermano che "i malati provenienti dall’ospedale della prigione di Ramleh confermano la diffusione di una strana malattia virale che si sta trasmettendo nelle celle. La direzione del carcere non sta prendendo alcun tipo di provvedimento per impedire il contagio". I detenuti chiedono l’intervento delle organizzazioni sanitarie e internazionali affinché sia salvata loro la vita.

 

 

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