Rassegna stampa 19 maggio

 

Giustizia: la Gozzini resta, ma sarà più difficile avere benefici

di Mario Coffaro

 

Il Messaggero, 19 maggio 2008

 

Intervista al Sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano. "Nessun veto di An sull’ipotesi di reato per l’immigrazione clandestina".

 

L’ingresso clandestino in Italia diventerà reato o no?

"Non c’è nessuna preclusione di ordine giuridica a realizzarlo. È uno dei punti oggetto di approfondimento nel confronto sia politico che tecnico di questi giorni all’interno del governo. In ogni caso l’esigenza di un maggior rigore nei confronti di chi entra clandestinamente o non ottempera a un ordine di allontanamento o a un decreto di espulsione, avrà una risposta più concreta di quanto avvenuto sinora. Che ciò avvenga con la nuova figura di reato o con una aggravante che equipari lo stato di clandestino a quello di latitante, è oggetto di riflessione".

 

Esiste aggravante senza reato?

"L’aggravante di cui si sta discutendo come ipotesi alternativa al reato di ingresso clandestino riguarda altri reati".

 

Quali?

"Qualunque tipo di reati commessi da chi entra clandestinamente o permane nella clandestinità. Questa aggravante farebbe aumentare la pena nei confronti del clandestino, così come avviene nei confronti del latitante".

 

Non sarebbe una misura eccessiva l’arresto di chi arriva senza permesso?

"La norma è ancora oggetto di studio e sicuramente non si tradurrà in una misura indiscriminata che non tenga conto delle condizioni soggettive della persona. Gli allarmi avrebbero ragione di esistere se fossero fondati su un testo. Ma non c’è neppure una bozza, che sarà pronta immagino martedì. Prima di criticare, bisognerebbe leggere il testo della nuova normativa che il governo approverà".

 

Cosa farete quando fossero cittadini comunitari a creare problemi di sicurezza?

"Il meccanismo tutto sommato è semplice ed è già contenuto nella direttiva. Che già prevede l’obbligo di dichiarare la propria presenza sul territorio dello Stato nel quale ci si reca e l’obbligo, per non pesare sulle risorse dello Stato ospitante, di avere un reddito minimo. Lo scopo dell’intervento è quello di collegare l’omessa dichiarazione e l’assenza di qualsiasi reddito apprezzabile a motivi di sicurezza che legittimano l’allontanamento immediato. Perché l’allontanamento in mancanza di dichiarazione, ovvero in mancanza di reddito, è già previsto dalla direttiva. Se, ad esempio, il comunitario non si dichiara, va a vivere ai margini, in una baracca vicino al fiume, e impiega le proprie giornate a scippare a spacciare e così via, a questo punto l’omessa dichiarazione e l’assenza di un reddito certo sono indici più che concreti per legittimare anche l’esecuzione dell’allontanamento non semplicemente l’intimazione ad allontanarsi. In questo senso si sta lavorando nel rispetto dei principi della direttiva Ue".

 

Come conciliare il rigore contro chi delinque e l’accoglienza verso le badanti irregolari, ma non certo delinquenti?

"Non bisogna pensare che gli irregolari siano tutti delinquenti o pericolosi. Un conto è chi viene per delinquere ai margini della società, un altro chi viene a svolgere un lavoro socialmente apprezzato, con un contratto, ma non ha potuto regolarizzare la propria posizione a causa dell’incapacità dell’amministrazione precedente. Si applicheranno le norme in modo più rigoroso sia sui comunitari che sugli extracomunitari, con l’attenzione rivolta a espellere i delinquenti, non certo a fare rastrellamenti massicci e a mandar via chi ha un lavoro onesto".

 

Volete abolire la legge Gozzini?

"No, ma innalzare le sanzioni penali ha una efficacia limitata se poi continuano a operare sempre i benefici della Gozzini. Il principio su cui si sta lavorando è questo: tanto più un soggetto delinque, tanto meno potrà fruire dei benefici. A una maggiore recidiva corrisponderà una minore entità di benefici".

 

Come rendere effettiva la pena?

"Facendo in modo che il momento in cui la condanna diventa definitiva non coincida come avviene in troppi casi col momento in cui le porte del carcere si aprono per fare uscire chi è stato condannato. Dovrebbe funzionare al contrario, perciò vale il discorso fatto prima".

 

Quale sarà il nuovo ruolo dei sindaci?

"I cittadini votano il sindaco e si aspettano da lui risposte su tutti i problemi anche sulla sicurezza. Il sindaco fa parte del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza e ha un ruolo attivo di collaborazione con il ministro dell’Interno e quindi con il prefetto. Alcuni compiti potrebbero essere esclusivi della polizia municipale, penso la violazione del codice stradale, l’antiabusivismo commerciale, e la lotta alla contraffazione. È un passo in avanti, individua compiti specifici per la sicurezza di cui possono essere liberate le forze di polizia".

 

Una curiosità: il veto di Maroni…

"Io non l’ho capito. Se mai c’è stata una questione del genere non era ad personam, tant’è che in assoluto non è stato nominato nessun viceministro. Per quel che mi riguarda da quando ho ricevuto l’incarico dal Consiglio dei ministri è iniziata una collaborazione strettissima col ministro Maroni che ha portato al conferimento in tempi record della delega alla pubblica sicurezza, la Presidenza della commissione sui pentiti, la competenza sul lavoro dei Commissari racket e usura, vittime della mafia e persone scomparse".

Giustizia: Colombo; le pene severe sono inutili senza recupero

 

Apcom, 19 maggio 2008

 

"Dal punto di vista scientifico oggi sappiamo che l’inasprimento delle pene, e a volte le stesse pene, non danno risultati apprezzabili se pensiamo che nel nostro Paese due persone su tre che escono dal carcere tornano a delinquere. Vogliamo pensare che esistono anche altre strade, come ad esempio la mediazione penale, che consentono il recupero di chi delinque, convincendole a rispettare le regole, piuttosto che mandarle in un luogo dove molto frequentemente imparano a delinquere ancora meglio?".

È quanto ha affermato l’ex magistrato Gherardo Colombo parlando in merito al problema "sicurezza" a margine dell’iniziativa milanese "Buon compleanno Costituzione" per il 60° anniversario della Carta costituzionale organizzato dal Comitato provinciale di Milano della Croce Rossa Italiana in collaborazione con l’assessorato provinciale alle Politiche Giovanili.

Nell’attuale dibattito su sicurezza e repressione quella di Colombo suona come una voce fuori dal coro: "Abbiamo l’immagine che i detenuti, che costano alla società 150 euro al giorno, sia reclusi per reati gravi come omicidi, stupri o traffico di grandi quantità di droga, mentre questi sono un’assoluta minoranza".

Sul giro di vite nei confronti degli extracomunitari Colombo dichiara che "forse ogni tanto ci si dimentica dell’art. 2 della Costituzione che garantisce i diritti fondamentali a ciascuno, italiani e stranieri", mentre sull’ipotesi dell’intervento dell’esercito nel pattugliamento delle nostre metropoli, l’ex magistrato invita "tutti a guardare le statistiche" e poi si domanda retoricamente "ci metteremo poi a pattugliare anche l’interno delle abitazioni, dove forse si verificano più delitti che all’esterno?".

Colombo faceva parte della giuria che oggi allo Spazio Oberdan di Milano ha premiato 60 disegni realizzati da 200 alunni delle scuole elementari e medie di Milano e provincia, inviati per il concorso "L’isola dai 2000 colori" giunta quest’anno all’ottava edizione. "È necessario che le Istituzione affermino quei valori di democrazia, uguaglianza, pace e solidarietà che sono scritti nella nostra Costituzione - ha affermato nel suo intervento l’assessore provinciale Irma Dioli - perché senza questi valori non c’è possibilità di convivenza e di pensare a un mondo migliore".

L’obbiettivo di questa iniziativa è quello di sensibilizzare i giovanissimi sui temi che più interessano la nostra società - ha dichiarato Alberto Bruno, presidente del Comitato milanese della Cri - in un’azione di educazione civica che stimoli nelle nuove generazioni una riflessione sui fondamenti costituzionali del nostro Paese".

Nato nel 1999, questo concorso ha ricevuto oltre 7mila elaborati per i quali sono stati premiati più di 400 ragazzi.

Giustizia: Radicali; il "pacchetto sicurezza"? è un boomerang

 

Dire, 19 maggio 2008

 

Allarme carceri in Italia. Ad appena 2 anni dall’indulto "data la mancanza di interventi strutturali, che avrebbero dovuto accompagnare il provvedimento di clemenza rischiamo di tornare alla situazione precedente, raggiungendo di nuovo la quota di 60 mila detenuti". È l’allarme lanciato oggi dai Radicali italiani, nel corso del convegno "Emergenza carceri come conseguenza dello sfascio della giustizia" che si è svolto a Roma nella sede del partito.

A parlare, tra gli altri, è la segretaria dei Radicali e deputata del Pd, Rita Bernardini: "Il pacchetto sicurezza che questo governo intende varare - spiega - si potrebbe trasformare in un vero e proprio boomerang. Pensare di rendere la clandestinità un reato è come dire che ci prepariamo a ricevere nelle nostre carceri circa 1 milione di nuovi detenuti". È probabile, prosegue Bernardini, che "la quota pre-indulto di 62 mila detenuti possa essere toccata addirittura entro la fine dell’anno", circostanza "che renderebbe quasi necessario un nuovo indulto".

Il sistema carcerario, spiega Walter Vecellio, direttore di Notizie Radicali, "rischia seriamente di esplodere e non c’è da essere ottimisti in vista delle nuove misure annunciate da questo governo". Vecellio attacca poi i mezzi di informazione: "Credo che ci sia un problema serio, dovuto al modo in cui il servizio radiotelevisivo pubblico fa informazione su questo tema. Certe notizia non vengono proprio date, e questo è inaccettabile".

Giustizia: riaprire carceri di Pianosa e Asinara per clandestini

di Alessandra Ziniti

 

La Repubblica, 19 maggio 2008

 

Intervista a Ignazio De Francisci, Procuratore della Repubblica di Agrigento. Di clandestini nell’ultimo anno ne ha visti sbarcare più di cinquemila. E la sola idea di doverli arrestare e processare tutti se l’immigrazione clandestina dovesse diventare reato penale fa rabbrividire Ignazio De Francisci, capo della Procura più in prima linea nel contrasto ai mercanti di uomini.

 

Procuratore De Francisci, non concorda con l’idea del governo?

"Per carità, nessuna polemica. È chiaro che la linea politica la dà il legislatore, io dico solo che trattare penalmente l’immigrazione clandestina è una strada tecnicamente impraticabile. Tanto per essere chiari, questo significherebbe che ogni barcone che arriva, come quello dell’altra notte, con quattrocento persone a bordo, io dovrei mettere in piedi un maxiprocesso. E questo è materialmente impossibile. Solo per gli adempimenti preliminari, come il decreto di citazione a giudizio, ad esempio, io dovrei avere a disposizione interpreti ed impiegati che non ho. E poi, mi chiedo, se devo arrestarli, dove li metto?".

 

Le carceri non ci sono e poi, secondo la direttiva europea, dovrebbero essere reclusi in luoghi di detenzione a parte?

"Le carceri già scoppiano così come sono se è vero che il Parlamento ha dovuto fare un indulto. Per questo voglio lanciare una proposta: riapriamo penitenziari dismessi come Pianosa e l’Asinara, facciamone delle case-lavoro dove mandare i clandestini, che lavorino durante la detenzione. Anche perché costruire nuove carceri costa, ci vogliono tanti soldi. E lo Stato deve decidere, deve fare una valutazione costi-benefici e decidere se conviene tenere gli immigrati in galera o piuttosto rispedirli a casa loro prevedendo il carcere solo se dovessero tornare".

 

Quello delle espulsioni, però, è un altro tasto dolente. Le statistiche dicono che la maggior parte dei decreti di espulsione sono carta straccia…

"Purtroppo, è vero anche questo. Noi riusciamo a rispedire realmente nei loro paesi una percentuale minima di clandestini, per lo più egiziani, tunisini e marocchini. Intanto bisogna riuscire ad identificarli con certezza, loro ormai provano tutti a spacciarsi per palestinesi, e per appurare la vera nazionalità ci vogliono ancora una volta interpreti e rappresentanti di consolati o ambasciate che li riconoscano. Quindi, anche per questo, l’unica strada è quella di stringere accordi che non restino solo sulla carta con i paesi di provenienza".

 

E gli scafisti, quelli riuscite a metterli dentro?

"Pochi, pochissimi e in cella ci restano molto poco. Intanto è difficile individuarli con certezza, il più delle volte le imbarcazioni vengono affidate a quelli che pagano. Ma quando li becchiamo, li arrestiamo e li processiamo, scelgono tutti di patteggiare e quindi dopo pochi mesi tornano liberi".

Giustizia: i piccoli grandi errori di una "macchina" disastrata

di Vittorio Grevi (Ordinario di diritto penale all’Università di Pavia)

 

Corriere della Sera, 19 maggio 2008

 

Come se la disastrata macchina della giustizia avesse cominciato a fare acqua in un settore in cui - almeno nel recente passato - le disfunzioni si erano sempre caratterizzate per la loro eccezionalità statistica, nelle ultime settimane abbiamo dovuto registrare una sconcertante sequenza di vicende di scarcerazione automatica di imputati detenuti anche per gravissimi reati. Elemento comune a tali vicende è stata la scadenza dei termini di custodia cautelare in carcere relativi alle diverse fasi del procedimento penale, per non essere stati i suddetti imputati ancora giudicati con sentenza definitiva, e talora addirittura per non essere stati nemmeno rinviati a giudizio.

Una sequenza sconcertante, che nei giorni scorsi ha sollevato la severa censura del presidente Napolitano - in occasione dell’incontro con i giovani uditori giudiziari - dinanzi agli "episodi di ritardo" cui obiettivamente risalgono simili disfunzioni. Episodi che possono risultare di volta in volta riconducibili a cause diverse, e a differenti livelli di responsabilità, ma che non perciò provocano minori inquietudini presso una opinione pubblica

comprensibilmente preoccupata anzitutto sul terreno delle esigenze di sicurezza collettiva. Tanto più quando finiscono per uscire in questo modo dal carcere anche soggetti arrestati nella flagranza di delitti di violenza, o comunque gravati da evidenti prove di colpevolezza per tali delitti, ovvero da altri elementi idonei ad attestarne la pericolosità sociale.

All’origine delle più clamorose scarcerazioni automatiche degli ultimi tempi vi sono, a quanto risulta, comportamenti di negligenza o di neghittosità da parte di singoli magistrati ovvero situazioni prodotte da errori procedurali addebitabili agli stessi magistrati procedenti o ai loro ausiliari, che certamente possono dare luogo (e in alcuni casi vi sono davvero poche incertezze) a illeciti disciplinari: per i quali, in realtà, sono già state avviate le necessarie inchieste.

Così, ad esempio, quando un giudice abbia ritardato oltre misura il deposito delle motivazioni di una sentenza; oppure quando un pubblico ministero si sia dimenticato di chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare, nel caso di indagini particolarmente complesse; o ancora quando la scadenza dei medesimi termini sia dovuta ai rallentamenti subiti dal processo per un errore nella notificazione di determinati atti al difensore dell’imputato.

In tutte queste e in altre analoghe ipotesi non c’è dubbio che le negligenze e gli errori dei magistrati (nonché gli eventuali difetti di vigilanza dei capi degli uffici), tra l’altro spesso fortemente lesivi del prestigio dell’intera magistratura, debbano essere accertati e sanzionati sul terreno disciplinare. Tuttavia occorre nel contempo tener conto che, sullo sfondo dello scandalo di molte scarcerazioni automatiche, vi è anche il problema della eccessiva lunghezza dei processi, che ancora una volta lo stesso presidente Napolitano ha indicato come "la più grave anomalia" del nostro ordinamento, tanto più a fronte del principio costituzionale che ne assicura la "ragionevole durata".

È questo, dunque, uno degli aspetti su cui dovrà concentrarsi l’attenzione del nuovo ministro guardasigilli (al di là dei necessari interventi sul piano organizzativo e strutturale), specialmente quando si tratti di processi verso imputati detenuti: in particolare incoraggiando l’impiego del giudizio immediato, quando non sia possibile procedere con rito direttissimo, che a sua volta potrebbe essere esteso nei suoi presupposti.

E, in questa prospettiva, sembra davvero giunto anche il momento di rivedere l’intera disciplina delle notificazioni, avendo di mira soprattutto la garanzia sostanziale della concreta conoscenza dell’atto da parte della difesa dell’imputato. È davvero tollerabile, ad esempio (come pure è accaduto, per legge) che l’imputato di un gravissimo delitto debba essere scarcerato per decorrenza dei termini, solo perché l’avviso di conclusione delle indagini era stato notificato per errore a uno soltanto dei suoi due difensori, e non ad entrambi?

Giustizia: Ucpi; sicurezza, ma rispettare garanzie costituzionali

 

Comunicato Ucpi, 19 maggio 2008

 

L’Unione delle Camere Penali Italiane esprime il proprio apprezzamento per la disponibilità al dialogo dimostrata dal Ministro degli Interni, Roberto Maroni, durante l’incontro svoltosi oggi al Viminale. Il Ministro, nell’ambito delle consultazioni con le parti sociali, ha esposto all’Ucpi le misure contenute nel pacchetto Sicurezza, attualmente ancora in corso di elaborazione. Preliminarmente, la delegazione dell’Ucpi ha rimarcato la necessità che tutti i provvedimenti da assumere rispettino i principi costituzionali.

Nel corso del colloquio, Ucpi ha auspicato che il tema della sicurezza venga affrontato con misure efficaci, e non di mero annuncio: "è opportuno potenziare la prevenzione dei reati - ha sottolineato il Presidente Ucpi Oreste Dominioni - potenziare le norme di organizzazione e controllo del territorio, che creano un ambiente di sicurezza. L’introduzione di nuovi reati e l’aumento delle pene non sono mai stati efficaci deterrenti". Inoltre, la creazione di reati nuovi graverebbe ulteriormente sul sistema giudiziario italiano, già particolarmente congestionato.

Ucpi ha ricordato inoltre al Ministro che il carcere non si è rivelato uno strumento capace di promuovere un effettivo reinserimento sociale del detenuto; la legge Gozzini, che prevede pene alternative al carcere, si è dimostrata invece efficace nel limitare la recidiva, risultata appena dello 0.6%.

Infine, con riferimento alle espulsioni, l’Ucpi ha evidenziato la necessità che esse avvengano nel rispetto della costituzione: "non è possibile immaginare espulsioni con accompagnamento coattivo alla frontiera - ha spiegato Dominioni - senza che vi sia una convalida da parte di un giudice, perché sarebbe una lesione delle libertà personali". Ucpi si riserva chiaramente una valutazione definitiva del provvedimento al momento della lettura del testo definitivo.

Giustizia: Cassazione; 41-bis compatibile con "equo processo"

 

Diritto & Giustizia, 19 maggio 2008

 

Il cosiddetto "carcere duro", previsto dall’art. 41 bis della legge 354/75, è stato oggetto, nel corso degli anni, di aspri contrasti giuridici e dottrinali risolti dalla recente sentenza della Cass. Sez. I Pen. n. 14010/08.

Un detenuto considerato pericoloso, poiché ricopriva una posizione di spicco all’interno della Sacra Corona Unita, impugnava la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Ancona che aveva respinto il suo reclamo avverso il decreto del Ministero della Giustizia, col quale gli veniva prorogato tale regime penitenziario. Proponeva, poi, gravame presso la S.C. per "[...] violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza in ordine ai presupposti di applicazione del regime detentivo differenziato [...]".

Il ricorso era dichiarato inammissibile con un’articolata motivazione, nella quale si ricostruiscono dettagliatamente tutte le tappe storiche, giurisprudenziali e legislative che hanno portato l’art. 41 bis, comma 2 e ss O.P., alla sua attuale "morfologia" ed a risolvere le sopra citate divergenze interpretative.

Il dibattito, invero, si è sempre concentrato sulla circostanza se questo stato detentivo fosse compatibile con la Convenzione Europea dei Diritti Umani (Cedu), con quelle internazionali sulla garanzia della libertà personale e con i principi fondamentali della nostra Costituzione. Nello specifico la Corte adita si poneva il problema se l’art. 41 bis O.P. fosse ammesso dagli artt. 6 Cedu (diritto ad un equo processo), 24 e 111 Cost.

Si noti che, anche se non espressamente richiamato dalla pronuncia in esame, si potrebbe ricavare un riferimento alla "Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale" (siglata a Strasburgo il 20/04/59), recepita dalla L. 216/61 (G.U. n. 92/61).

Il reo, infatti, contestava l’inosservanza delle summenzionate norme circa la mancata previsione dell’udienza pubblica per la trattazione del suo ricorso contro l’ordinanza del tribunale di sorveglianza.

Questa ultima decisione escludeva la necessità della discussione "a porte aperte" in sede di giudizio di legittimità ed evidenziava come questo istituto non possa essere "[...] esteso, per via analogica, ad altre procedure per le quali la legge processuale stabilisce differenti forme processuali[...]". Nel nostro caso il cosiddetto "carcere duro" prevede l’attuazione di "[...] misure di prevenzione personali e patrimoniali[...]" apparentemente inconciliabili con l’art. 6 Cedu.

Con un ragionamento inverso, però, viene dimostrata la piena compatibilità tra questi provvedimenti. Infatti, se vi fosse contrasto tra tale disposizione di legge e l’art. 4 L.1493/56, nella parte in cui esclude questa forma di udienza, il giudice adito non sarebbe autorizzato a disapplicare la normativa nazionale (Recenti sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e 349/07). Queste delibere evidenziano come l’art. 117 Cost. vincoli la libertà legislativa dello Stato e delle regioni al rispetto degli obblighi internazionali e, di conseguenza, anche ai principi sanciti dalla Cedu, così come interpretati dalla Corte Europea. In realtà, però, queste regole non sono un limite alla potestà del legislatore nazionale, bensì "[...] costituiscono una fonte integrativa al parametro di costituzionalità introdotto dal citato art. 117 Cost. e la loro violazione da parte di una legge statale o regionale comporta [...]" la declaratoria di incostituzionalità, salvo che le norme Cedu non siano contrastanti col nostro ordinamento.

In ogni caso nel procedimento di prevenzione ex art. 41 bis, comma 2 ss (e successive modifiche, v. art. 2 L. 279/02) si garantisce la partecipazione personale del detenuto all’udienza e la sua difesa tecnica. Inoltre, dal combinato disposto di queste regole e degli artt. 125, 666 e 678 c.p.p., si ricava l’iter di tale processo che si svolge presso il tribunale di sorveglianza, deciso in camera di consiglio. Si evincono anche "[...] la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze [...]" del regime penitenziario differenziato, nonché il "[...] collegamento strumentale tra le limitazioni imposte al detenuto e la salvaguardia delle esigenze di ordine e sicurezza[...]". Da ciò si desume che la relativa ordinanza, di accoglimento o rigetto, potrà essere impugnata solo per carenza ed/od illogicità della motivazione.

Al termine di queste sussunzioni la S.C., sanando questo aspro ed annoso contrasto, si auspica definitivamente, afferma la piena compatibilità tra l’art. 41 bis O.P., le norme nazionali e le convenzioni internazionali sul cosiddetto equo processo.

Giustizia: le ronde nelle città sono "utili" per il 70% dei cittadini

 

La Repubblica, 19 maggio 2008

 

Il 70% dei partecipanti al sondaggio quotidiano di Sky Tg24 ritiene che le ronde di cittadini siano utili per arginare criminalità e degrado. Al contrario, il 22% pensa che siano dannose, mentre l’8% giudica ininfluente questa iniziativa.

Partiva a mezzanotte, la "ronda del piacere". "Noi invece a quell’ora siamo già a letto, o comunque a casa. E se piove non usciamo nemmeno perché a mandare via dalla strada i tunisini che spacciano, bevono, bivaccano, urinano e fanno tutto il resto sui marciapiedi ci pensa già l’acqua che cade dal cielo. Sì, noi facciamo le ronde, ma per favore non usi questa parola. Scriva: passeggiate notturne per la legalità e il recupero del territorio".

Paolo Manfrin, capo del comitato Stanga a Padova (nel 2005 eletto consigliere comunale con lo Sdi nel centro sinistra e oggi "per quanto possibile lontano dalla politica") in fondo è un uomo fortunato. "Sì, l’altra sera con la nostra ronda, insomma, con la nostra passeggiata abbiamo preso uno che stava scappando. L’abbiamo consegnato subito alla polizia".

Il racconto ricorda le vecchie barzellette con un italiano, un americano... "Siamo lì vicino alla stazione - racconta Paolo Manfrin - e mentre ancora ci stiamo preparando vediamo tre persone che scappano da un bar. Dietro, a inseguirli, due cinesi, proprietari del locale. I primi due sono fuggiti, il terzo è caduto e uno della nostra ronda, un bravo senegalese, lo ha fermato. Poi è stato bloccato dai vigili urbani - erano lì anche loro - e consegnato alla polizia della stazione. Era un italiano, come gli altri due non aveva pagato il conto".

C’era anche Mohamed Lamine, senegalese, quella sera in ronda. "E tornerò a fare servizio - dice - perché la sicurezza è importante per gli italiani ma ancor di più per noi stranieri. Non a caso, in ronda, ci sono romeni, amici del Camerun, nigeriani, egiziani e noi senegalesi. La ronda serve a fare stare tranquilli, e dunque meglio, i cittadini. Fra i cittadini ci sono anche quelli arrivati come me da Paesi lontani. Allora anche noi ci dobbiamo impegnare per questa sicurezza che fa bene a tutti".

Basterebbe una fotografia della situazione padovana, per raccontare il gran bailamme delle ronde che stanno percorrendo l’Italia. Nel comitato della Stanga - è il quartiere con via Anelli, la strada del muro - ci sono anche i sottocomitati di Pescarotto ("sono lì gli anziani che abitano nelle villette e non escono mai perché la strada è occupata dai tunisini", racconta il capo Manfrin) e di Piovego, "dove ormai da anni gli abitanti si chiudono nei loro appartamenti per paura degli spacciatori".

Oltre al comitato della Stanga nella città patavina c’è poi il ComRes, comitato di commercianti e residenti del centro storico. Questo gruppo ha fatto un passo in più: ha assunto due vigilantes armati, con "basco, occhiali da elicotteristi, giubbotto antiproiettile e pistole". Il loro capo, Massimiliano Pellizzari, dichiara: "È la gente che li vuole. Siamo tutti stanchi dello spaccio di droga, della criminalità, e dei delinquenti di ogni risma che stanno abbassando la qualità della vita in città. È per questo che abbiamo organizzato il piantonamento del territorio".

Anche in questo comitato ci sono alcuni stranieri. "Più saremo - dice l’egiziano Mohamed Ahmed - meglio sarà per tutti, integrarci non vuol dire solo lavorare ma fare parte della società". Le guardie armate non sono piaciute però a chi tutela - e non da ieri l’altro - l’ordine pubblico. Il questore Alessandro Marangoni, alla festa della polizia, ha detto che la sicurezza fai - da - te "propone ricette intossicate di personalismo". Il prefetto Michele Lepri Gallerano non ha digerito la presenza di guardie giurate armate nelle ronde. "Compito degli istituti di vigilanza è il controllo di beni immobili e mobili di proprietà. Non possono sostituirsi alle forze dell’ordine nel controllo del territorio".

Ma la ronda fai - da - te impazza sull’intera penisola e non è difficile prevedere che, con tanti che si appuntano da soli la stella da sceriffo sul petto, presto arriveranno guai seri. A Pignataro Interamna, presso Prosinone, l’altra mattina all’alba è stato bloccato un albanese di 25 che stava tentando un furto in un appartamento.

"Abbiamo chiamato i carabinieri - hanno detto "i ragazzi della ronda" - per farlo arrestare, ma qualcuno avrebbe voluto "divertirsi" un po’ prima di consegnarlo alla giustizia. Se le forze dell’ordine non riescono a tutelarci, allora faremo da soli". A Bari sotto la lente delle ronde ci sono i ragazzini. Genitori in scooter - la prima uscita c’è stata sabato sera - alla ricerca di bulletti. Primo risultato: due tredicenni che si stavano prendendo a pugni sono stati accompagnati in questura. Mentre la ronda era in missione, qualcuno è entrato nella sede dei genitori-vigilantes e ha rubato 500 euro.

A Firenze sta per partire la ronda di Alleanza Nazionale, subito giudicata "una puttanata" dall’assessore - sceriffo Graziano Cioni, quello dell’ordinanza anti accattoni in sosta sui marciapiede. Critiche anche da Forza Italia. Inutile - dice il segretario Alessio Bonciani - istituire le ronde: un telefonino per chiamare la polizia ce l’abbiamo tutti".

Ma i ragazzi di Azione Giovani (900 i tesserati fiorentini) già fremono. Nel loro circolo, con i manifesti del Duce, per salutare non stringono la mano ma afferrano l’avambraccio. "Come facevano i legionari romani: la mano può scivolare". Ci sono anche le ragazze. "Gli zingari non ci piacciono, ci impauriscono. Come i molestatori di donne". Aspettano di poter indossare la pettorina e andare in giro "a sorvegliare la città".

Le ronde affascinano anche la sinistra. A Bologna la prima idea di costruire gruppi di volontari-vigilantes di quartiere e in zona universitaria (con bando comunale per la selezione e la formazione) è venuta all’assessore alla sicurezza Libero Mancuso, della giunta di centro sinistra. Ma nelle strade si è creato un vero e proprio ingorgo, con ronde partite o annunciate di An, Lega nord e City Angels.

Poi la Lega si è ritirata per lasciare spazio ai City Angels ma anche questi ultimi hanno rinviato le loro ronde "per colpa della politica che rischia di invadere il campo e creare sovrapposizioni che possono confondere la gente". A Reggio Emilia c’è un sindaco, Graziano Delrio, che è fra i pochi a non volere i pattugliami da strada. "Per presidiare il territorio basta coinvolgere il mondo dell’associazionismo volontario". Ma intanto ha creato la figura del "Security manager" per il Comune ed ha assunto Antonio Marturano, generale dei carabinieri in pensione. Il deputato della Lega Nord Angelo Alessandri si è arrabbiato. "La sinistra ci copia sempre le idee".

Giustizia: caso Contrada; per il legale siamo a epilogo vicenda

 

Asca, 19 maggio 2008

 

"È triste dirlo ma per Bruno Contrada in pratica siamo all’epilogo di una tragedia annunciata". Lo ha affermato l’avvocato Giuseppe Lipera dopo un incontro durato cinque ore con il suo assistito nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove l’ex funzionario del Sisde è detenuto per scontare una condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa.

A parte dell’incontro, rende noto il penalista, ha assistito Giancarlo Lehner, giornalista e scrittore e deputato nazionale. "Le condizioni fisiche di Contrada - osserva l’avv. Lipera - rimangono quelle note: anzi è ancora più smagrito e pallido. Mi ha confermato che non vuole che presenti più istanze di liberazione per motivi di salute". "Mi vogliono morto", mi ha detto Contrada - rivela il penalista - e ha aggiunto: "continui la battaglia per il riconoscimento della mia innocenza anche da morto, ma per il resto basta. Si tenga pronto per l’istanza di nulla osta per la traslazione della salma a Palermo". E io dovuto rispondere: "obbedisco".

"Comunque poiché non rientra nel mio Dna arrendermi all’ingiustizia - aggiunge l’avv. Lipera - sto studiando, con i miei sostituti, come andare avanti e aggirare adesso anche il nuovo ostacolo di Contrada che ha deciso di lasciarsi morire".

Lombardia: psicologi penitenziari, l’orario "tagliato" del 57%

 

Ansa, 19 maggio 2008

 

Circolare del Provveditorato regionale. Gli esperti: violata la Costituzione. Ridotte le ore di consulenza di psicologi e criminologi: per ogni detenuto, restano 5 minuti al mese. "Improponibile il recupero".

Ha suscitato impressione e preoccupazione una circolare con cui il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha deciso di ridurre del 57% le ore di consulenza degli esperti penitenziari: psicologi e criminologi. L’iniziativa arriva a modificare una convenzione annuale firmata solo tre mesi prima con l’amministrazione penitenziaria e sarebbe in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione che stabilisce i criteri da adottare per la rieducazione dei detenuti allo scopo di impedire che gli stessi, scontata la pena, tornino a commettere reati.

Il taglio, che ha valore per tutti gli istituti di pena della Lombardia, riduce sostanzialmente i tempi operativi di psicologi e criminologi per l’osservazione dei detenuti, a soli 5 minuti al mese per ogni singolo carcerato, rendendo improponibile quello che dovrebbe essere il piano di recupero visto anche come elemento di sicurezza sociale. "Il tutto - dice la criminologa di San Vittore, Leila Giacomelli - considerato che i nostri compensi sono di 17 euro all’ora".

Ad oggi l’attività di osservazione e trattamento viene svolta da psicologi e criminologi che lavorano in carcere come specialisti consulenti. "Questo provvedimento - lamentano gli psicologi - crea disagi non solo agli esperti, ma anche a tutti gli attori del sistema della giustizia che vedono venire meno il contributo e l’esperienza professionale specifica di chi è da anni impegnato con costanza in questo settore, proprio mentre la collettività avanza quotidianamente richieste di maggiore sicurezza sociale".

Nuoro: detenuto chiede da 9 anni carcerazione vicino a famiglia

 

Prima, 19 maggio 2008

 

"Un detenuto barese, ristretto da nove anni a Nuoro, chiede il trasferimento a Taranto per poter essere il più vicino possibile al figlio affetto dalla sindrome di Marfan una malattia rara, poco conosciuta, e da altri gravi disturbi. Nonostante le istanze presentate e l’interessamento del Garante dei detenuti di Nuoro, non ha ancora ricevuto alcuna risposta dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Giustizia".

Ne da notizia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, che ha ricevuto il disperato appello di Giandonato Sciacovelli che sta scontando una pena definitiva a 30 anni di carcere. "È un caso palese - sottolinea la consigliera socialista - di violazione della normativa che prevede la territorializzazione della pena per consentire al detenuto di poter espiare la condanna in istituto il più vicino possibile al luogo di residenza della famiglia in modo che gli possano essere garantiti i colloqui con la moglie e i due figli, in particolare con quello ammalato. Giandonato Sciacovelli peraltro non ha alcun motivo per subire una pena aggiuntiva - la lontananza dalla famiglia e dai figli. È insomma una situazione che si configura come un assurdo accanimento".

"Nei dieci anni di reclusione - afferma l’esponente socialista - il detenuto ha mantenuto un comportamento irreprensibile senza alcun richiamo o provvedimento disciplinare. Correttezza riconosciutagli dal magistrato di sorveglianza di Taranto che, quest’anno, in occasione di un processo, gli ha concesso due giorni di permesso da trascorrere in famiglia. Nonostante ciò, e il rinvio del dibattimento di poco più di due mesi, per disposizione del Dap, è stato nuovamente trasferito a Nuoro".

"Il detenuto, che ha corredato le istanze e gli appelli per il trasferimento con una dettagliata documentazione sanitaria sulla sindrome di Marfan e sulle altre patologie di cui è affetto il figlio, non riesce a rendersi conto - prosegue Caligaris - del perché debba continuare la detenzione a Nuoro, località pressoché irraggiungibile, anche per i disagi ed il costo del viaggio, dalla moglie e dai due figli ritenendo peraltro che avendo scontato un terzo della pena, siano venuti meno i motivi legati alla pericolosità che l’avevano motivata".

"I funzionari responsabili del Dap devono esaminare la posizione di ciascun detenuto con riferimento alle diverse condizioni familiari in modo da attuare quanto previsto dalla Legge e dall’Ordinamento penitenziari. Soltanto così - ha concluso la consigliere socialista - la dislocazione nei diversi istituti risponderebbe alla volontà del legislatore che ha riconosciuto, a chi sconta il proprio debito con la giustizia, il diritto all’affettività nel rispetto del principio della rieducazione della pena riconosciuto dalla Costituzione. Si otterrebbero, inoltre, consistenti risparmi per le casse dello Stato riducendo, almeno le distanze delle continue traduzioni da una città all’altra. Senza questa umanizzazione dei rapporti, la detenzione risulta improntata a una visione punitiva e burocratica controproducente".

Milano: Garante; Expo diventi opportunità per il reinserimento

 

Comunicato stampa, 19 maggio 2008

 

Il Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà presso la Provincia di Milano, Giorgio Bertazzini, si unisce alle voci che hanno avanzato la proposta di fare dell’Expo 2015 una opportunità per promuovere l’impiego di persone detenute o in misura alternativa alla detenzione presenti sul territorio provinciale.

Il Garante esprime l’auspicio che vengano avviate tempestivamente le intese utili a valorizzare sia le competenze già esistenti sia l’acquisizione di nuove competenze, attraverso programmi di formazione professionale miranti a soddisfare il fabbisogno derivante dalle attività da promuovere. In tal modo, l’Expo 2015 potrebbe configurarsi, in prospettiva, come il volano di una serie di iniziative i cui effetti non si esauriscano col termine dell’evento, innescando esperienze che si inseriscano stabilmente nel quadro delle politiche di settore.

Il Garante rende noto di aver inviato a Filippo Penati, Presidente della Provincia con delega ai Grandi Eventi ed Expo 2015, una lettera contenente la richiesta di promuovere un coinvolgimento in tal senso di tutte le articolazioni della Provincia cointeressabili affinché l’Expo 2015 possa tradursi anche in una opportunità di reinserimento sociale per le persone limitate nella libertà, nel solco dell’impegno che da tempo caratterizza la Provincia di Milano.

 

Il Garante, Dr. Giorgio Bertazzini

Padova: detenuti-pasticceri premiati dall'Accademia di Cucina

 

www.ilsussidiario.net, 19 maggio 2008

 

A Padova sono i detenuti del Carcere Due Palazzi a preparare il catering della festa della Polizia. E non è tutto: i nuovi pasticceri vantano il Piatto d’Argento dell’Accademia Italiana della Cucina. E sempre dal Due Palazzi, a poca distanza dal laboratorio di dolci, escono le valigie Roncato. L’ultimo arrivato le mura del penitenziario è la Diesel. Renzo Rosso, l’imprenditore-stilista padovano il cui marchio è noto in tutto il mondo, è venuto qui per realizzare le mani giganti che arrederanno i suoi negozi in 80 paesi.

Nessuno se lo aspetterebbe, da un carcere di massima sicurezza. Sorpresi anche il vicepresidente del Parlamento Europeo Mario Mauro, e il responsabile dei progetti di sviluppo sostenibile del Dipartimento Droga e Crimine delle Onu, Jorge Rios, in visita ieri al Due Palazzi. Qui hanno potuto vedere il laboratorio di pasticceria coordinato da Giotto, la cooperativa capofila del Consorzio Rebus che attua progetti di avviamento al lavoro e di reinserimento sociale di detenuti. Per il secondo anno consecutivo i dolci prodotti al Due Palazzi saranno a Squisito, la rassegna enogastronomica internazionale promossa dalla comunità di San Patrignano dal 30 Maggio al 2 Giugno. E che ieri ha fatto il suo "ingresso" in carcere.

Nicola Boscoletto, presidente di Rebus, ha parlato di una vera e propria "filiera della sicurezza": "chi delinque, certamente, va arrestato in fretta e processato in fretta - ha dichiarato Boscoletto - come anche ci vuole la certezza della pena. Altrettanto certo, però, deve essere il recupero. Se non si riesce a recuperare alla società il detenuto che ha scontato la sua pena, le prime due azioni vengono vanificate, perché il detenuto quando esce torna a delinquere peggio di prima".

I numeri gli danno ragione. I dati della recidiva, infatti, sono impressionanti: a livello nazionale, i detenuti che non seguono percorsi di reinserimento una volta fuori tornano a delinquere nel 90% dei casi, mentre per coloro che, prima dentro il carcere, poi con misure alternative, sono riaccompagnati al lavoro, la recidiva è dell’1%. E ancor più sorprendente è il dato economico: oggi in Italia i detenuti sono circa 53.000; di essi quelli che lavorano impiegati in un lavoro autentico, cioè classificabile secondo le regole del mercato del lavoro, sono appena 700. Se consideriamo che il costo annuo di un detenuto supera i 100mila euro l’anno, aggirandosi sui 300 euro al giorno, ne viene che i contribuenti pagano il fattore recidiva sui 6 miliardi di euro l’anno.

"Puntare alla rieducazione dei detenuti - ha continuato Boscoletto - non è questione di buonismo, noi non siamo dei filantropi. Crediamo che sia una via percorribile ed economicamente e socialmente conveniente per stabilire un patto di libertà con i detenuti. Oggi molti di loro si rendono conto che dal loro esempio dipende anche parte del futuro degli altri detenuti, in Italia, in Europa e nel mondo".

Non si tratta, quindi, di elaborare best practices per alleviare la spesa sociale, anche se questo è un risvolto importante; ma per dare una ragione di speranza in più, con cui affrontare la vita una volta fuori. "È l’intera Europa ad avere un problema di giustizia, in tutta Europa esiste il problema di una recidiva che sfiora il 90%. È necessario attingere a progetti positivi, come questo del carcere di Padova. Chiederò alle cooperative del consorzio Rebus che gestiscono il progetto di partecipare alle audizioni al Parlamento Europeo in vista del dibattito sulla nuova normativa in tema di sussidiarietà" - ha confermato Mario Mauro al termine della visita. Un giudizio positivo che ha confermato anche Jorge Rios: "In tutto il mondo il privato chiede e propone soluzioni. Qui il privato non si limita a parlare, ma interviene direttamente nel problema. Un modello esemplare che potremmo applicare in molti angoli di mondo dove si sta tentando la strada del recupero dei detenuti, dal Perù all’Afghanistan".

Ferrara: in carcere laboratori di nonviolenza con Pat Patfoort

 

www.estense.com, 19 maggio 2008

 

Da alcuni anni il Comune e la Provincia di Ferrara dedicano la primavera alla "Memoria e il Dialogo", una iniziativa che caratterizza l’attività del Comune nell’ambito del progetto "Ferrara Città per la Pace". L’edizione 2008 è dedicata al tema della mediazione dei conflitti e della formazione alla nonviolenza. Dal 3 al 5 giugno sarà ospite nella nostra città Pat Patfoort, una delle più grandi conflittologhe a livello internazionale. L’evento, che rientra nel programma della Scuola della Nonviolenza 2008, sarà un’occasione unica e interessante per approfondire le tematiche della nonviolenza e del dialogo fra popoli. L’incontro del 3 giugno è aperto a tutti mentre il laboratorio è gratuito ma è a numero chiuso. Per informazioni e iscrizioni inviare una e-mail a: "e.buccoliero@comune.fe.it" oppure "mdeltorto1@alice.it"

Questo il programma dettagliato degli incontri: Ferrara, 3 giugno 2008 - ore 9.30-12.30 sede Casa Circondariale (via Arginone). Laboratori di nonviolenza in carcere.

Pat Patfoort incontra gli operatori del carcere, dei servizi territoriali e i volontari impegnati a far sì che la pena non consista in "trattamenti contrari al senso di umanità" e tenda invece alla "rieducazione del condannato". Da oltre 15 anni Pat Patfoort lavora con gruppi di detenuti nelle carceri belghe proponendo percorsi di formazione basati sul suo modello MmE, un impianto d’analisi e trasformazione applicabile al conflitto nei suoi diversi livelli, interpersonale, sociale o nazionale-internazionale. L’incontro è a invito. In collaborazione con il Gruppo Carcere.

Ferrara, 3 giugno 2008 - ore 17.30 Cafè de la Paix, P.tta Corelli. Tra generazioni e diverse identità. Molte sono le facce del conflitto che può sorgere tra adulti e ragazzi, tra italiani e stranieri, nella realtà ferrarese. Pat Patfoort a questi temi ha dedicato e dedica gran parte della sua attività, dalla mediazione familiare a quella interculturale, fino alla mediazione dei conflitti massimi tra "identità etniche" in Caucaso, Kossovo, Irlanda del Nord, Rwanda, Congo, Senegal. L’incontro è aperto ai cittadini. Al termine Pat Patfoort si ferma a cena al Cafè de la Paix.

In collaborazione con Nuova-Mente Cooperativa Sociale. Ferrara, 4 giugno 2008 - ore 9-17 e 5 giugno 2008 - ore 9-13. Centro Servizi per il Volontariato, viale IV Novembre, 9. Agire la sicurezza. Il progetto "Agire la sicurezza"già in passato ha previsto una formazione comune per operatori dei servizi, del Terzo Settore e delle Forze dell’Ordine, come risposta corale a situazioni di insicurezza avvertite nella nostra città. L’incontro ha carattere laboratoriale e si presenta come momento di particolare qualità, per quegli operatori e per altri che volessero aggregarsi. È richiesta la partecipazione ad entrambe le giornate. La partecipazione è gratuita ma occorre iscriversi entro il 25 maggio inviando una mail a mdeltorto1@alice.it.

In collaborazione con l’Assessorato alla Sicurezza del Comune di Ferrara, progetto "Ferrara Città Solidale e Sicura". Portomaggiore, Sala del Teatro Concordia, via Vittorio Emanuele II. 4 giugno 2008 - ore 20 con rinfresco etnico per tutti. PortAmico.

Per la forte presenza di immigrati e in particolare della comunità pakistana, Portomaggiore rappresenta un laboratorio di convivenza tra culture diverse. Si segnala per la presenza di varie iniziative e in particolare di PortAmico, una associazione a forte connotazione interetnica. Su questo Pat Patfoort porterà la ricca esperienza maturata nei più diversi scenari internazionali e nel suo stesso Paese, il Belgio, dove l’immigrazione è una realtà consolidata e imponente e dove i problemi di convivenza sono acuti anche tra valloni e fiamminghi. L’incontro è aperto ai cittadini. In collaborazione con PortAmico e Le Contrade. Con il patrocinio del Comune di Portomaggiore.

Pat Patfoort, antropologa e biologa fiamminga (Belgio 1949), è nota in tutto il mondo per il suo lavoro come docente, trainer e mediatrice nella Trasformazione e nella Gestione Nonviolenta del Conflitto.

Ha sperimentato il suo modello in ambito sociale ed educativo, e in situazioni più vaste e complesse di conflitto etnico ed internazionale. In Belgio dirige il Centro per la gestione nonviolenta del conflitto "De Vuurbloem" ("Il fiore di fuoco") a Brugge-Bruges, di cui è anche cofondatrice. http://www.devuurbloem.be/

Tiene lezioni nelle principali Università del mondo (in Belgio, Italia, Olanda, Svezia, Spagna, Stati Uniti, Russia, ecc.), così come in associazione con varie realtà pacifiste e nonviolente, religiose (Quaccheri, Pax Christi) o istituzionali (Osce, Consiglio d’Europa, Nazioni Unite). Il suo ultimo libro tradotto in italiano è "Difendersi senza aggredire", Ega Torino 2006.

Immigrazione: i clandestini saranno trattati come dei mafiosi?

di Donatella Stasio

 

Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2008

 

I clandestini - comunitari ed extracomunitari - equiparati ai mafiosi e ai terroristi. Così come a questi ultimi viene applicato un aggravamento della pena che non può essere bilanciato (cioè, annullato o ridimensionato) da circostanze attenuanti, altrettanto avverrà per gli stranieri (comunitari e extracomunitari) che commettono reati gravi, per il solo fatto di essere clandestini, e cioè per essere entrati in Italia violando le regole o per esserci rimasti nonostante l’ordine di espulsione.

L’aggravante che il Governo vuole introdurre con il "pacchetto sicurezza" per i clandestini che delinquono ha, infatti, le stesse caratteristiche di quella oggi prevista per mafiosi e terroristi: non può essere vanificata da eventuali circostanze attenuanti e, quindi, da diminuzioni della pena. Entrambe sono "aggravanti di stato", legate, cioè, al maggior disvalore sociale e alla maggiore pericolosità che il legislatore attribuisce a una determinata condizione.

"Non può che essere così", spiegano in ambienti governativi. I giudici, quindi, avranno meno spazi di discrezionalità nel determinare la pena di un clandestino, che sarà comunque superiore a quella inflitta, nelle medesime circostanze oggettive e soggettive, a un cittadino italiano. Un italiano e uno straniero irregolare che fanno insieme una rapina avranno un trattamento sanzionatorio diverso anche se hanno avuto lo stesso comportamento prima, durante e dopo il "colpo".

Chi entra o resta in Italia illegalmente viene infatti considerato più pericoloso. E quindi meritevole di una condanna più severa. E la conferma della linea dura scelta per contrastare la clandestinità. Abbandonata l’ipotesi di introdurre il reato di ingresso clandestino - che, tra l’altro, avrebbe ingolfato Tribunali e carceri senza garantire risultati efficaci - si è scelta la strada di equiparare il clandestino al latitante, prevedendo l’aggravamento di un terzo della pena per il reato commesso. Dalla badante al vù comprà, dalla zingara al lavavetri, chiunque venga processato e condannato per un furto, una rapina, una violenza, uno scippo, la pagherà più cara se è anche clandestino.

Immigrazione: reato di "ingresso illegale", esiste in 4 paesi Ue

di Carlo Giorgi

 

Il Sole 24 Ore, 19 maggio 2008

 

Ammende, immediata espulsione e reclusione per l’ingresso illegale nel Paese. Sono queste le misure adottate dai quattro Paesi Ue - Germania, Grecia, Regno Unito e Francia - che negli anni hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina.

Mentre in Italia si discute sull’inasprimento delle misure, nel Regno Unito uno straniero irregolare rischia fino a sei mesi di carcere; in Grecia come minimo tre mesi; in Germania e in Francia è previsto un anno di reclusione. Nonostante la medesima scelta di fermezza, tuttavia, i risultati raggiunti dai Paesi Ue - e sintetizzati a fianco - sono assai diversi soprattutto per quanto riguarda le altre percentuali di detenuti stranieri sul totale.

Il reato di immigrazione clandestina infatti coinvolge in un "sistema Paese" almeno quattro distinte aree d’azione: la gestione dei flussi di ingresso; l’efficienza del sistema giudiziario; la disponibilità delle strutture di reclusione; la possibilità di effettuare rapide espulsioni. Se le quattro aree lavorano in sistema, il reato viene applicato con efficacia.

"Una norma contro l’immigrazione clandestina ha una grande risonanza dal punto di vista dei media - osserva Marzio Barbagli, esperto di immigrazione e criminalità ed autore del Primo rapporto sugli immigrati in Italia del ministero dell’Interno -. Ma se si definiscono immigrati clandestini tutti quelli che sono in Italia senza permesso di soggiorno, il provvedimento diventa inefficace: nel nostro Paese l’irregolarità deriva anche dall’incapacità del legislatore di gestire i flussi di ingresso. Mandare in carcere mezzo milione di persone per una mancanza di cui non sono immediatamente responsabili è ingiusto oltre che ovviamente ingestibile. Altra cosa è pensare provvedimenti per chi crea problemi di criminalità ed è, per questo, indesiderabile. Lo Stato italiano ha diritto di agire nei loro riguardi in modo deciso".

L’introduzione del reato di immigrazione clandestina implicherebbe un coinvolgimento del sistema giudiziario: "Oggi l’Italia è il Paese europeo in cui, tra i detenuti stranieri, è più alta la percentuale di persone in attesa di giudizio - spiega Andrea Di Nicola, criminologo dell’Università di Trento -.

Il 68,2% degli stranieri infatti attende una sentenza in cella, contro il 49% degli italiani. Nei Paesi con il reato di immigrazione clandestina la percentuale degli stranieri in attesa di giudizio è decisamente più bassa: si va dal 30,5% della Germania, al 24 della Grecia fino al 14% del Regno Unito. Il sistema penitenziario italiano è già saturo: il 38% dei detenuti è immigrato". "L’introduzione di un reato di immigrazione clandestina e un sistema giudiziario più lento della media europea - continua Di Nicola -, porterebbe un ulteriore accrescimento del numero dei reclusi e una maggiore difficoltà di gestione del sistema carcerario".

Introdurre un reato di immigrazione clandestina non sembra poi essere un deterrente miracoloso contro la criminalità straniera: "Nonostante la differenza di legislazione, le percentuali di denunciati stranieri in Italia, Francia e Germania infatti si avvicinano tutte al 20% - spiega Di Nicola - segno che una eventuale norma di legge non eliminerà il problema".

L’ultimo anello utile perché sia gestibile un reato di immigrazione clandestina è il sistema delle espulsioni. "Solo il 25% degli immigrati oggi presenti nei Cpt viene espulso, con un enorme sforzo di tempo e denaro", spiega Barbagli. Il problema in Italia è più diplomatico che penale: le diplomazie di alcune nazionalità fortemente presenti nel nostro Paese, come il Marocco, faticano a collaborare per l’identificazione di eventuali persone segnalate. E così, non sapendo verso quale Paese eventualmente espellere lo straniero, dopo i 60 giorni di permanenza nei Cpt previsti per legge, consegnato un foglio di via, le porte del centro si aprono". E il 20% degli immigrati reclusi in Italia sono stranieri reclusi per "violazione delle norme sull’immigrazione": in gran parte arrestati perché non si sono allontanati spontaneamente dal territorio nazionale, dopo la permanenza in un Cpt.

Immigrazione: Casini; sì a "pacchetto", no al reato d’ingresso

 

Dire, 19 maggio 2008

 

L’Udc è pronta a votare con la maggioranza il pacchetto sicurezza, ma ad alcune condizioni: la non previsione del reato di immigrazione clandestina, la regolarizzazione di alcune categorie come quella delle badanti, l’utilizzazione "mirata e limitata" dell’esercito e, infine, la non messa in discussione di Schengen.

Il leader del partito, Pier Ferdinando Casini, in una conferenza stampa sul tema a Montecitorio con il neo-deputato Roberto Rao, ha spiegato come una prima concretizzazione di quella "opposizione repubblicana" che l’Udc ha promesso, sarà appunto dare il suo appoggio all’azione del governo sulla "sicurezza, che è un bisogno avvertito da tutti i cittadini". Anche se, precisa Casini, sarebbe sbagliato "fare tutto per decreto" anziché attraverso disegni di legge. Se questi allora verranno discussi in Parlamento "noi - ha sottolineato il capogruppo dell’Udc - saremo favorevoli legheremo il nostro voto ad alcune condizioni". Il reato di immigrazione clandestina è, secondo Casini "solo una trovata demagogica che renderebbe più difficile la pratica delle espulsioni intasando tribunali e carceri".

Alcune categorie poi, aggiunge "vanno regolarizzate. Le badanti sono un esempio. Si può introdurre la figura di un garante che dovrebbe essere lo stesso datore di lavoro che, appunto, si fa garante della permanenza in Italia del lavoratore e lo regolarizza". Misure come quelle dell’esercito o della sospensione di Schengen sarebbero invece inutili secondo i centristi: "L’esercito - spiega Casini - deve essere usato in modo circoscritto. Prevedere la sospensione di Schengen invece è solo folklore. Non c’è questa possibilità". Infine, al governo spagnolo, che su questi temi ha polemizzato con l’esecutivo, risponde: "I governanti spagnoli hanno perso l’occasione per stare zitti. In casa altrui dare lezioni è stucchevole".

Ue: 20mila immigrati nei Cpt, condizioni peggiori delle carceri

 

Apcom, 19 maggio 2008

 

Circa 20mila immigrati restano nei Cpt europei per lungo periodo e in condizioni a volte peggiori che nelle carceri. Un rapporto meticoloso commissionato dall’Europarlamento definisce "patogena" la situazione in cui vivono i clandestini, soprattutto quelli più vulnerabili come anziani, minori o donne incinte.

Gli autori dello studio, i cui contenuti vengono pubblicati dal quotidiano El Pais, descrivono la realtà di 132 centri dell’Unione Europea (sul totale di 174), visitati nel 2007. Nel documento si raccomanda soprattutto di ridurre la durata massima di detenzione in tutti i paesi, persino in quelli più "miti", come il Belgio (5 mesi) e l’Ungheria (sei mesi).

Questa settimana si discute della nuova direttiva Ue che mira ad armonizzare le norme sul rimpatrio degli immigrati in situazione illegale che vengono espulsi dai paesi Ue, e le condizioni della loro eventuale detenzione nei "centri d’accoglienza" in attesa dell’identificazione: la proposta contenuta nel testo è di un periodo massimo di 18 mesi.

Attualmente, ci sono nove paesi membri che non hanno nessun limite di detenzione per i clandestini: Regno Unito, Olanda, Polonia, Finlandia, Cipro, Danimarca, Lituania, Estonia e Svezia. Gli effetti sulla salute di lunghi periodi di permanenza nei Cpt rappresentano uno dei punti più critici, che emergono dal rapporto. "I casi di detenzione prolungata - scrivono gli esperti - sono difficilmente sopportabili e costituiscono situazioni patogene accentuate dalle condizioni dei luoghi, la sporcizia delle stanze, l’incomprensione dei procedimenti e l’incertezza sulla durata della carcerazione".

I ricercatori hanno incontrato immigrati che sono stati detenuti per oltre tre anni a Cipro e in Estonia. Sara Prestianni, politologa e coordinatrice dell’associazione Migreurop, afferma che in Italia, che ha attualmente un limite di 60 giorni di detenzione, "ci sono persone che sono state rinchiuse nei Cpt fino a sette-otto volte di seguito". "Maggiore è il tempo di detenzione, maggiore è il rischio di esporre i detenuti a situazioni patogene" aggiunge l’esperta.

Le condizioni di igiene dei vari Cpt ispezionati, comunque, sono decisamente diverse. "Da quelle in generale corrette, ad altre considerate inaccettabili" scrivono gli autori del rapporto, che citano, come particolarmente disumane e degradanti quelle di alcuni paesi, fra cui Cipro, Malta, Spagna, Grecia e Italia. Per il geografo Olivier Clochard, responsabile della cartografia dello studio, è "difficile precisare il numero di detenuti per mancanza di documenti nell’intera Unione Europea". Perciò la cifra di 20mila-25mila clandestini menzionata nel rapporto deve essere considerata come "limite minimo".

Droghe: Giovanardi; entro fine 2008 conferenza con operatori

 

Ansa, 19 maggio 2008

 

Una "conferenza a fine anno o al massimo all’inizio del prossimo" che coinvolga "gli operatori pubblici e del privato sociale" per portare avanti "l’impegno comune contro questo flagello". È il primo impegno di Carlo Giovanardi per riprendere la lotta alle droghe, come prevede la sua nuova delega da sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

A margine di un incontro della sua formazione politica, i Popolari liberali, Giovanardi ha confermato che il percorso sarà guidato da un concetto semplice, "se non è lecito inquinare l’ambiente, meno che mai può esserlo inquinare se stessi dentro". A partire da questo principio, "accetteremo tutti i suggerimenti che possono venire per rendere più efficace questo contrasto". Nessuna intenzione, però, di modificare lo status del consumatore di stupefacenti: "Il fatto che con la Fini-Giovanardi siano finiti in carcere migliaia di ragazzi perché fumavano uno spinello è una balla enorme, perché noi abbiamo fatto una legge che distingue fra spacciatore e consumatore, che va recuperato e a cui non si applicano sanzioni penali".

Afganistan: progetto per nuovo maxi-carcere da 60 milioni di $

 

Liberazione, 19 maggio 2008

 

"Più umano e moderno": così, nelle intenzioni della Difesa statunitense sarà il nuovo maxi-carcere di Bagram. Secondo quanto rivela il New York Times il Pentagono si sta preparando a costruire una enorme struttura detentiva in grado di ospitare fino a 1.100 detenuti presso la propria base militare in Afghanistan. Secondo il quotidiano statunitense, la notizia confermerebbe l’intenzione dell’amministrazione Bush "di continuare a mantenere prigionieri all’estero nei prossimi anni", anche se si parla della chiusura del centro di Guantanamo a Cuba nel quale al momento sono detenuti circa 270 prigionieri.

Il centro d’internamento di Bagram, ricavato da un grande hangar per la riparazione degli aerei risalente all’era dell’occupazione sovietica del Paese nel 1980, è operativo dal 2002. All’interno di Bagram è successo di tutto: pestaggi durante gli interrogatori, privazione del sonno e altri metodi coercitivi per ottenere intelligence definiti dagli standard internazionali "tortura". Nel dicembre del primo anno morirono due detenuti per le dure percosse dei soldati che li interrogavano.

Le condizioni sono da allora migliorate, scrive il giornale, anche se i 630 prigionieri si trovano ancora in strutture di rete metallica, con spazi comuni, cucine e bagni insufficienti. Alcuni di loro sono detenuti da più di 5 anni senza essere stati formalmente incriminati di alcunché. Nessuno ha accesso ad un avvocato e secondo dati di aprile fra i detenuti vi sono dieci minorenni.

Più volte l’amministrazione Bush recentemente aveva dato modo di intendere che ci sarebbe stato un progressivo ritiro e l’abbandono di queste detenzioni al limite (e spesso oltre) della legalità per trasferire gradualmente i prigionieri sotto la custodia delle autorità afghane. Appare del tutto evidente ora che il Pentagono si prepara, anche con il cambio di presidenza, a perseguire questa politica di carcerazione "straordinaria" e mantenere sui detenuti ritenuti più pericolosi (anche se spesso non sono imputati di niente) un controllo diretto. La popolazione carceraria di Bagram continua difatti a crescere in seguito all’intensificarsi dei combattimenti con talebani e alla fiorente attività di al-Qaeda e al fatto che nessuno viene più trasferito nel tristemente noto carcere di Guantanamo.

Il piano per l’"aggiornamento" di Bagram ha iniziato a prendere forma circa sei mesi fa, quando al Pentagono hanno cominciato a pensare che l’attuale struttura non poteva reggere a lungo. Il progetto per un carcere "più umano e moderno" costerà 60 milioni di dollari e prevede la costruzione di 6-10 capannoni, ciascuno grande come un campo da calcio e dotato di un’area ricreativa.

L’obiettivo è di ospitare 600 detenuti che potranno diventare fino a 1100 in momenti di maggior affollamento che difficilmente si può pensare che non si verificheranno. Ci sarà una mezza dozzina di altre costruzioni per l’amministrazione, l’infermeria e altro. Saranno previste aule per corsi di formazione professionale e discussione religiosa, oltre a spazi per gli incontri con i famigliari. Una lezione che le teste d’uovo di Washington dichiarano al New York Times di avere appreso dall’esperienza Iraq.

L’operazione, dal costo non indifferente, servirà oltre che a migliorare le condizioni di prigionieri e "secondini" anche a migliorare l’immagine degli Stati Uniti alla quale gli episodi di Bagram, Guantanamo o Abu Ghraib non hanno di certo dato un contributo in positivo. Se da una parte non si può che essere lieti della trasformazione di Bagram in una struttura più decente, quello che desta preoccupazione è il messaggio sottinteso, ovvero che la Guerra Infinita va avanti.

 

 

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