Rassegna stampa 3 luglio

 

Giustizia: il "principe senza legge", la Costituzione a rischio

di Stefano Rodotà

 

La Repubblica, 3 luglio 2008

 

Un’amara estate per chi contempla il panorama costituzionale, sconvolto da iniziative, mosse, parole che ne stanno alterando la fisionomia. La riforma del sistema politico, con il risultato delle elezioni, è stata compiuta senza atti formali, senza bisogno di cambiamenti della legge elettorale. E mentre si discute di un dialogo bipartisan come condizione indispensabile della riforma costituzionale, questa viene implacabilmente realizzata da un quotidiano e unilaterale esercizio del potere.

La forza delle cose si impone, gli equilibri democratici vacillano. Stanno cambiando gli assetti al vertice dello Stato, con una lotta tra poteri costituzionali che non ha precedenti nella storia della Repubblica. Vengono travolti principi fondativi come quelli dell’eguaglianza e della solidarietà.

Cambia così l’assetto della società, non più fatta di liberi ed eguali, rispettati nella loro autonomia e nella loro dignità, ma di nuovo ordinata gerarchicamente, con gli ultimi, con i dannati della terra posti in fondo alla scala sociale: immigrati, rom, poveri.

Non è un fulmine a ciel sereno. Da anni, molte forze lavoravano per questo risultato, molti apprendisti stregoni davano il loro contributo. Si pubblicavano libelli contro la solidarietà; si ridimensionava, fin quasi ad azzerarla, la portata del principio di eguaglianza; si accettava senza batter ciglio che la Costituzione fosse definita "ferrovecchio" o "minestra riscaldata"; la difesa dei principi si faceva sempre più tiepida; si diffondeva in ambienti altrimenti insospettabili la convinzione che la logica del mercato imponesse la riscrittura dell’articolo 41 della Costituzione, apparendo evidentemente eccessivo che la libertà dell’iniziativa economica avesse un limite invalicabile addirittura nel rispetto della sicurezza (e le morti sul lavoro?), della libertà, della dignità umana.; si accettava che le commissioni bicamerali mettessero allegramente le mani sulla delicatissima materia della giustizia. Gli anticorpi democratici si indebolivano e i difensori della logica complessiva della Costituzione venivano definiti "nobilmente conservatori", con una formula apparentemente rispettosa, ma in realtà liquidatoria. É una storia che comincia ai tempi della "Grande riforma" craxiana, e che oggi sembra giungere a compimento.

E come se si fosse aperta una voragine nella quale precipitano masse di detriti accumulate negli anni. Tutta la Costituzione è sotto scacco, a cominciare proprio dalla sua prima parte, quella dei principi e dei diritti, che pure, a parole, si dichiara intoccabile.

Tutto è rimesso in discussione. La dignità sociale e l’eguaglianza tra le persone, a cominciare da ogni forma di discriminazione fondata sulla razza e sulla condizione personale. La libertà d’informazione, considerata non solo sul versante dei giornalisti, ma in primo luogo dalla parte dei cittadini, titolari del fondamentale diritto di controllare in modo capillare e diffuso tutti i detentori di poteri: "la luce del sole è il miglior disinfettante", diceva un grande giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, riferendosi non solo alla corruzione, ma a tutti gli usi distorti del potere pubblico e privato.

La libertà personale e quella di circolazione, sulle quali incidono fortemente le diverse tecniche di sorveglianza. La libertà di comunicazione, colpita non solo e non tanto dalle intercettazioni, per la cui diffusione lo scandalo è massimo, ma dalla implacabile, continua raccolta e conservazione per anni dei dati riguardanti telefonate, sms, accessi a internet, che davvero configurano una società del controllo e di cui nessuno sembra preoccuparsi.

Può una democrazia sopravvivere bordeggiando sempre più ai margini estremi della legalità costituzionale, sempre alla ricerca di qualche aggiustamento che non la maltratti troppo, e così perdendo progressivamente il senso stesso di quella legalità che dovrebbe da tutti essere vissuta come limite invalicabile?

Chi si prende cura di questa democrazia che, di giorno in giorno, si presenta con i tratti delle sue pericolose degenerazioni, che la fanno definire come autoritaria o plebiscitaria, che conosce quegli intrecci perversi tra politica e uso delle tecnologie della comunicazione che sono la versione più aggiornata del populismo?

Se facciamo un piccolo, e confortante, esercizio di memoria e riandiamo a due anni fa, al giugno del 2006, ci imbattiamo nel referendum con il quale i cittadini italiani respinsero una riforma costituzionale che andava proprio in quella direzione. Rilegittimata dal voto popolare, la Costituzione del 1948 sembrava avviata al più ragionevole destino di una sua buona "manutenzione".

Ma, da allora, sembra passato un secolo. La Costituzione è stata messa in un angolo, le file dei suoi difensori si assottigliano e sono in difficoltà. La legalità, costituzionale e ordinaria, non è più un valore in sé. Viene ormai presentata come una variabile dipendente dal voto. Le elezioni non sono più un esercizio di democrazia.

Diventano un lavacro, l’unto dal voto popolare deve essere considerato intoccabile. Torna tra noi il principe sciolto dall’osservanza delle leggi, e quindi legittimato a liberarsi di quelle che contraddicono questa sua ritrovata natura. E qui il vero senso del cambiamento: non nel fastidio per questo o quel tipo di controllo, ma nel radicale rifiuto di correre i rischi della democrazia.

Delle telefonate del Presidente del Consiglio mi inquietano molte cose, ma soprattutto il fatto di essersi posto al centro di un sistema di feudalità dal quale nasce, quasi come una conseguenza inevitabile, la pretesa dell’immunità. Un corteo lo accompagna nel tradurre in fatti questa sua pretesa. Scompare il Governo, integralmente sostituito dagli scatti d’umore del suo Presidente, che ne muta le deliberazioni a suo piacimento, che lo vede come puro luogo di registrazione. La tanto pubblicizzata approvazione in soli 9 minuti dell’intera manovra economico-finanziaria del prossimo triennio è stata presentata come un miracolo di efficienza, mentre era la prova della scomparsa della collegialità della decisione, della discussione come sale della democrazia: non un segno di vitalità, ma di morte, come i 21 grammi che si perdono appunto nel morire, raccontati nel film di Alejandro Gonzalez Inarritu. Il Parlamento ha clamorosamente rinunciato ad esercitare la sua funzione di controllo e di filtro, sembra ignorare il fatto che il procedimento legislativo non è cosa di cui il Presidente del Consiglio possa disporre secondo la sua volontà.

I controlli scompaiono. Vecchia aspirazione d’ogni potere. La magistratura non deve essere liberata dai suoi problemi, responsabilizzata nel modo giusto. Deve essere presentata come il vero demone che attenta alla democrazia, aggressiva e inefficiente, quasi che i suoi molti limiti non dipendessero da una lunghissima disattenzione del potere politico che l’ha fatta marcire nelle sue obiettive difficoltà, che ha progressivamente azzerato la propria responsabilità appunto politica e ha preteso di sciogliersi dal controllo di legalità in quanto tale. Gli anni di Mani pulite sono rappresentati come un golpe, azzerando la memoria degli abissi di illegalità che furono disvelati. E la totale normalizzazione della magistratura diventa la via attraverso la quale passa, con la minacciata disciplina autoritaria della diffusione delle intercettazioni, anche la normalizzazione del sistema della comunicazione.

Poco e male informati, i cittadini sono pronti ad essere usati come docile "carne da sondaggio", per applaudire le decisioni del principe secondo la più classica delle tecniche plebiscitarie. A custodire Costituzione e legalità rimangono il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Ma questo non è un residuo segno di buona salute, è anch’esso il sintomo d’una patologia. La democrazia non può ritirarsi dal sistema in generale, rifugiandosi in alcuni luoghi soltanto. Ma da qui si può e si deve comunque ripartire, soprattutto se la voce dei cittadini e dell’opposizione riuscirà a trovare i toni forti e giusti di cui abbiamo bisogno.

Giustizia: intercettazioni; dove sono l’urgenza e la necessità?

di Luciano Violante

 

Il Riformista, 3 luglio 2008

 

Gentile direttore, avevo intenzione di proporle qualche breve considerazione sull’interessante articolo di Giuseppe Di Federico relativo ai criteri per l’esercizio dell’azione penale. Nel frattempo è intervenuta la lettera del presidente Napolitano al Csm, la decisione del Csm, con relative polemiche, l’annuncio di un possibile decreto legge sulle intercettazioni. Approfitto perciò della sua cortesia ed estendo i miei iniziali propositi.

1) Il parere del Csm è richiesto dalla legge sui progetti relativi alla giustizia proprio per le specifiche competenze di quell’organo. Il parere va dato ed è utile se attiene agli effetti delle singole proposte sul funzionamento della giustizia. Peraltro, in questo caso il parere del Csm segnala molte incongruenze tecniche del dl sicurezza, che la Camera farebbe bene ad approfondire per evitare irragionevoli ingiustizie. L’intervento del Csm diventerebbe invece un fuor d’opera se si spingesse su terreni per i quali quell’organismo non avrebbe specifiche funzioni come appunto il vaglio di costituzionalità delle leggi Questo vaglio spetta al Parlamento in sede pregiudiziale all’esame del progetto, attraverso il voto su apposito documento. Dopo l’approvazione della legge l’esame spetta alla Corte Costituzionale Impeccabile, quindi, la lettera del capo dello Stato e vergognose, per ignoranza e faziosità le dichiarazioni di Flores D’Arcais.

2) Forse il Consiglio dei Ministri tenterà un decreto legge sulle intercettazioni. Il 30 giugno, tre giorni fa, il governo ha presentato alla Camera un disegno di legge, n. 1415, proprio sulle intercettazioni. Che cosa è cambiato in una settimana, da far diventare "necessario e urgente" un decreto legge sulla stessa materia? Difficile rispondere; sarebbe invece necessario che la Commissione competente iniziasse con rapidità l’esame del disegno di legge.

3) Di Federico sembra dimenticare che il decreto sicurezza è criticato non per la fissazione da parte del Parlamento dei criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale, che è legittima ed è stata praticata altre due volte nel passato. Ciò che è nuovo, e probabilmente illegittimo, è l’articolo che dispone la sospensione per legge di molte migliaia di procedimenti, anche per delitti gravissimi come la corruzione e lo stupro. Il tema è quello della obbligatorietà dell’azione penale. Il principio non attiene all’ordinamento giudiziario, ma al sistema politico. I costituenti, memori dell’uso politico della giustizia durante il regime liberale e quello fascista, decisero che il pm dovesse essere indipendente dal governo; ma a questo punto, essendo il pm non responsabile per le sue scelte discrezionali, la Costituzione non gli riconobbe quella discrezionalità che per necessità egli poi applica in pratica. Il contrasto tra norma astratta e realtà concreta è diventato stridente.

Sarebbe necessario perciò riformare la materia conciliando la indipendenza del Pm dal Governo con la trasparenza dei criteri per l’esercizio dell’azione penale, anche attraverso una verifica del Parlamento. Ma il tema non può essere certamente affrontato con un emendamento a un decreto legge.

4) Di Federico si chiede, con simpatica malizia per quali motivi avrei taciuto per decenni sulla materia e perché ne parlerei proprio adesso. Lo tranquillizzo. Ne ho discusso nel lontano passato in molte sedi specialistiche. Sui mezzi di informazione a partire dal 1998, quando il governo Prodi fissò per la prima volta con un decreto legislativo i criteri di priorità (Corsera, Messaggero, Repubblica, Unità). Segnalai il problema nella introduzione al volume della Storia d’Italia di Einaudi da me curato su "Legge, Diritto, Giustizia" (1998). Ne parlai infine al Congresso Nazionale degli avvocati (3 luglio 1998): "Ciò che non va - dissi - è l’assoluta arbitrarietà della scelta delle priorità nella trattazione degli affari penali, aspetto primario della politica criminale di un Paese E un tema che va posto non per ragioni polemiche, ma per ragioni di garanzia perché il cittadino, imputato o vittima, ha diritto di sapere perché il suo affare non viene trattato con priorità oppure perché viene trattato con priorità".

Giustizia: Bonino; no a obbligo azione penale, cambiare Csm

 

Apcom, 3 luglio 2008

 

"Lo scontro di questi giorni dimostra che sulla giustizia è ora di affrontare quelle riforme di fondo che noi radicali chiediamo da tempo". Così la vicepresidente del Senato, Emma Bonino, afferma in una intervista al "Giornale". L’ex ministro del governo Prodi, eletta nel Pd, lancia alcune proposte per cambiare il sistema della giustizia. Perché lo scontro di questi giorni dimostra che "è ora di affrontare quelle riforme di fondo che noi chiediamo da tempo", spiega la leader dei Radicali.

"Non si può parlare di giustizia - spiega anche al "Messaggero" - in un paese dove ci sono nove milioni di processi pendenti", che si concludono mediamente dopo dieci anni. Ma abbattere il "tabù" dell’obbligo dell’azione penale è solo il primo passo: per "tutelare e risarcire integralmente" i cittadini ingiustamente danneggiati, andrebbe introdotta, sempre secondo la Bonino, "un’assicurazione obbligatoria per i danni da responsabilità professionale" e la possibilità di "citare direttamente il magistrato e non lo Stato".

 

Quali riforme, onorevole Bonino?

"Le direttrici sono note: abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere, responsabilità civile e professionale dei magistrati, riforma del sistema elettorale del Csm, ulteriore depenalizzazione dei reati minori, riforma del sistema penitenziario". E la separazione delle carriere perché è necessaria?, chiede ancora il Giornale. "Perché si ottiene maggiore imparzialità, indipendenza e terzietà separando le funzioni del giudice da quelle del pubblico ministero. Per esempio, è paradossale che chi ha combattuto il crimine da una parte della barricata si trasformi improvvisamente nel garante imparziale di chi criminale potrebbe non essere, pur essendo indagato o imputato da un ex collega di funzioni".

 

Esiste un’anomalia italiana nell’uso delle intercettazioni telefoniche?

"Un conto sono le intercettazione come utile, e direi unico, strumento d’indagine, altro è la pubblicazione indiscriminata di materiale che spesso, tra l’altro, non riguarda persone indagate. D’altra parte, le intercettazioni non devono rimanere nella disponibilità solo di alcuni, diventando così strumento di ricatto politico. Sono anni che cerchiamo un punto di equilibrio tra queste diverse esigenze".

 

I radicali sono sempre stati estremamente critici sul ruolo svolto dal Csm…

"A parte il protagonismo di questi giorni, è da tempo che proponiamo una riforma del sistema elettorale del Csm. Oggi l’organo di autogoverno è come un parlamentino, diviso in correnti partitiche, che poco ha a che vedere con un esercizio indipendente e imparziale delle sue funzioni. Il referendum del 2000, promosso dai radicali, sul sistema di elezione del Csm, pur non raggiungendo il quorum, ha spinto il Parlamento ad introdurre il sistema maggioritario. Ma neanche questo mi sembra abbia intaccato il sistema partitico ancora fiorente".

Giustizia: Franco Ionta verso nomina a nuovo Capo del Dap

 

Ansa, 3 luglio 2008

 

Il ministro Alfano ha firmato la richiesta di un fuori ruolo per il procuratore aggiunto di Roma Franco Ionta, candidato a nuovo capo del Dap. La nomina quindi al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria dovrebbe essere formalizzata a giorni. Nato 57 anni fa a Casale Monferrato, Ionta ha coordinato importanti inchieste nella lotta al terrorismo di matrice brigatista, internazionale e islamica. Tra le ultime, in particolare, quelle sull’omicidio di Calipari e sul delitto D’Antona.

Giustizia: Alfano; i magistrati lavoreranno di più (e meglio)

di Gianluca Ferraris

 

Panorama Economy, 3 luglio 2008

 

Il ministro Angelino Alfano annuncia: le toghe faranno un terzo di ferie in meno, i giudici di pace avranno più competenze, nel civile saranno introdotte procedure snelle per le istruttorie poco importanti. E per fare fronte ai tagli di bilancio spera molto nella riduzione delle intercettazioni.

Di questi tempi, non è facile inseguire il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Soprattutto oggi, con la questione nuovamente alla ribalta grazie al nuovo pacchetto-sicurezza, al disegno di legge 1 sulle intercettazioni e al ritorno di fiamma della polemica tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e "l’altra casta", quella dei giudici. Ma Alfano, che a soli 37 anni è l’inquilino più giovane nella storia del ministero, preferisce parlare di problemi concreti. Come la lentezza dei processi civili, che alle nostre imprese costa 3 miliardi di euro l’anno: "Negli ultimi tempi l’attenzione si è concentrata sul penale" dice il ministro a Economy "ma so bene che la giustizia-lumaca è anche un costo enorme per le aziende italiane. Costo che incide in modo sensibile sulla loro competitività. È da qui che vorrei cominciare".

 

Cominciamo da qui, allora: 4 anni di attesa per una sentenza di primo grado, i quasi 5 per l’appello e 3 per avere un responso dal Tribunale del lavoro. Come sene esce una volta per tutte?

I processi vanno accelerati e la burocrazia relativa va snellita, non c’è dubbio. Qualcosa, in questa direzione, è già stato fatto: abbiamo approvato un decreto legge sul contenzioso che introduce le notifiche on-line e velocizza i meccanismi preventivi. Se passerà in aula il disegno di legge che abbiamo appena approvato, poi, anche la testimonianza scritta e le sanzioni per comportamento scorretto delle parti diventeranno realtà.

 

E per quanto riguarda i giudici?

Nello stesso disegno di legge è previsto l’innalzamento delle competenze dei giudici di pace. In questo modo i magistrati "togati" dovrebbero trovarsi sulla scrivania meno procedimenti. Lavoreranno di più, ma anche meglio. È un buon inizio.

 

Non basterà: i magistrati italiani sono pochi e i tribunali non brillano per produttività. Su questo fronte cosa farete?

Il recupero di efficienza della magistratura è stato uno dei cavalli di battaglia del centrodestra in campagna elettorale: anche per me resta un obiettivo prioritario. Nessuno era mai riuscito a tagliare di un terzo il periodo feriale dei tribunali: beh, noi lo abbiamo fatto. Anche in questo caso siamo venuti incontro a una specifica richiesta delle imprese.

 

Rispedirete in aula anche i magistrati fuori ruolo in servizio al ministero della Giustizia, nelle commissioni tecniche e altrove?

Per quanto riguarda il mio ministero, il contributo dei magistrati è essenziale e comunque è già stato ridotto al minimo indispensabile. Le altre assegnazioni le valuteremo, caso per caso. Nel frattempo, un piccolo aiuto verrà anche dai giudici militari, che con la soppressione di molti dei tribunali specializzati entreranno nei ruoli ordinari.

 

Anche perché difficilmente potrete assumerne di nuovi: con 900 milioni in meno nel triennio, il suo ministero è tra i più colpiti dal decreto "taglia spese". Su quali aree pensate di diminuire la spesa?

Questi tagli sono dolorosi, inutile nasconderlo. Ma cercheremo di gestirli in maniera costruttiva: da un lato dovremo gestire le risorse a disposizione in maniera accorta ed elastica. I risparmi più grandi, comunque, arriveranno dal comparto intercettazioni.

 

Allora il disegno di legge del governo qualche lato buono ce l’ha...

Non si tratta solo di questo. Dalla legge che prevede sia una riduzione del ricorso a questo strumento che del suo tempo di utilizzo, mi aspetto risparmi notevoli. Ma a farci tagliare i costi sarà soprattutto il nuovo "Sistema unico".

 

Di cosa si tratta?

In realtà è l’uovo di Colombo, e per correttezza devo dire che a lanciarlo è stato il precedente governo, con la Legge finanziaria 2008: si tratta di accorpare e coordinare in un centro di costo tutte le operazioni tecniche e contabili che riguardano le intercettazioni sul territorio nazionale.

 

E così si risparmierà molto?

Moltissimo. Non posso ancora dare dati precisi, ma oggi tra noleggi e acquisti di attrezzature si muovono 166 diversi centri di costo e non tutti, naturalmente, sono dotati dello stesso potere contrattuale. Ecco perché negli ultimi anni ci siamo trovati di fronte a note spese anche molto diverse da procura a procura.

 

Passiamo alla prevenzione dei reati, in particolare quelli in campo finanziario. Anche qui le polemiche non mancano...

E invece io dico e confermo che sul fronte del riciclaggio e del contrasto alla criminalità organizzata il nostro pacchetto-sicurezza è uno dei più dettagliati.

 

Può fare qualche esempio?

Il Pacchetto prevede controlli più duri sui circuiti di money transfer. L’estensione delle restrizioni patrimoniali per gli imputati di alcuni reati particolarmente gravi. La facilità di confisca dei beni anche per familiari e prestanome degli imputati. I poteri d’iniziativa per la Direzione nazionale antimafia e una maggiore facilità di accesso alle informazioni per le singole direzioni distrettuali. E abbiamo previsto anche la "confisca dell’equivalente": adesso a un condannato si può sottrarre una parte del patrimonio anche diversa dal bene che sia frutto specifico di un illecito.

 

Gli effetti dell’indulto del 2006 sono finiti e i centri di accoglienza sono pieni. È emergenza carceri: come farete, ora che è più facile arrestare i clandestini?

È fin troppo ovvio rispondere che servono più strutture, e che se queste mancano è perché negli anni è mancata una programmazione efficace. Ma entro il 2008 contiamo di recuperare oltre 2.300 posti letto in più con ampliamenti di strutture già attive, ai quali dovrebbero aggiungersene altri 2.400 entro il 2011.

 

E per quanto riguarda la costruzione di nuove carceri, come si muoverà?

Il programma che ho ereditato prevede 25 nuovi penitenziari: dieci sono già in fase di realizzazione. A regime, cioè quando questi ultimi saranno completati, avremo una capienza aggiuntiva di 2.855 posti.

 

Intanto languono decine di istituti già parzialmente realizzati e finanziati, ma mai entrati in funzione. Che ne farete?

Purtroppo in molti casi si tratta di strutture ormai superate. La loro gestione, a questo punto, sarebbe antieconomica. Meglio scegliere altre vie.

 

Pensa di riaprire le case di massima sicurezza di Pianosa e dell’Asinara, come ha proposto il 16 giugno il Procuratore di Agrigento, Ignazio De Francisci?

In linea di principio quella di De Francisci sarebbe una buona idea. Ma si tratta di strutture già restituite tempo fa alle amministrazioni locali, e sulle quali pesano anche vincoli ambientali. Valuteremo anche questa ipotesi, ma non nell’immediato.

Giustizia: blocca-processi, prezzo pesantissimo per sicurezza

 

Asca, 3 luglio 2008

 

"Gli effetti del decreto blocca-processi rappresentano un prezzo pesantissimo da pagare per il nostro sistema giustizia". Lo ha detto nel suo intervento in aula alla Camera per illustrare la pregiudiziale di costituzionalità, Gianclaudio Bressa, vice presidente del gruppo Pd.

"Un esempio - ha aggiunto - spiega meglio di ogni richiamo alla dottrina e alla giurisprudenza. Un soggetto qualsiasi ha sequestrato una persona, ha compiuto un furto in appartamento, uno scippo, uno stupro, ha praticato l’usura, ha sfruttato la prostituzione, ha corrotto un giudice, ha truffato o è incorso in bancarotta fraudolenta, ha detenuto materiale pedopornografico, ha maltrattato o molestato un familiare, ha realizzato un traffico di rifiuti, incendiato un bosco, adulterato sostanze alimentari (e si potrebbe continuare...): se ha fatto tutto questo prima del 30 giugno 2002 non è una cosa tanto grave, visto che prevedete l’immediata sospensione del processo. Sono 100 mila i processi che si fermeranno con buona pace dei diritti delle vittime e delle ragioni delle parti civili. State votando un disegno di legge che consentirà queste nefandezze. Ed è chiaro che la vostra scelta è tutta e solo politica".

Giustizia: per evitare le "scarcerazioni facili" cambiare c.p.p.

 

Asca, 3 luglio 2008

 

Per evitare che gli imputati già sottoposti a giudizio davanti al Tribunale escano per la decorrenza dei termini di custodia cautelare a causa dei frequenti mutamenti della composizione dei collegi giudicanti, è necessario abolire la norma dell’art. 525 del codice di procedura penale. È la norma che prevede "l’immutabilità del giudice". È questo l’auspicio del presidente del Tribunale di Roma Paolo De Fiore per il quale "la norma in questione è demagogica".

C’è poi da tener presente che gli avvocati della difesa, difficilmente quando si tratta di rinvii del processo dovuti al mutamento dei componenti del collegio giudicante, prestano il consenso a non interrompere l’iter processuale consentendo la lettura degli atti già compiuti. Secondo il Presidente del Tribunale il legislatore, anziché occuparsi della riforma riguardante la sospensione dei processi, dovrebbe intervenire per abolire, appunto, la norma dell’art. 525 sull’immutabilità del giudice, evitando così che il processo si diluisca nel tempo.

Lo spunto per auspicare l’abolizione dell’art. 525 del codice di procedura penale è stato fornito al presidente De Fiore da una notizia pubblicata nei giorni scorsi da un quotidiano e riguardante la scarcerazione, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, di un imputato extracomunitario accusato di essere a capo di una banda di sfruttatori di minorenni, dopo che per 14 udienze il processo che lo vede imputato non è decollato proprio per le diverse composizioni del collegio.

Giustizia: intercettazioni; Fini e la Lega frenano Berlusconi

 

Il Corriere della Sera, 3 luglio 2008

 

"Concordia istituzionale, no al decreto o lite con il Colle". Berlusconi anti giudici in tv: non mi farete fuori Pranzo tra il Cavaliere e il presidente della Camera. Si allontana l’idea del dl: tra le ipotesi, limitarlo al divieto di pubblicazione.

Si deciderà solo domani, in Consiglio dei ministri, se il governo affronterà il caso intercettazioni con un decreto, ma gli alleati hanno fatto sapere al premier che considerano quella strada difficilmente percorribile. È la conclusione di un’ennesima giornata tesa e caotica che ha visto Silvio Berlusconi - sempre più irato contro quei magistrati che lo "perseguitano" e pronto a sfogarsi a tutto campo sul tema stasera a Matrix - incontrare prima il ministro della Giustizia Alfano e poi, a pranzo, il Presidente della Camera.

Un colloquio a tratti anche teso quello con Gianfranco Fini, che ha ribadito al premier la sua irritazione per quel commento pronunciato sulla lettera inviata dal capo dello Stato al presidente del Csm Mancino ("Napolitano ha accolto le argomentazioni di Fini e Schifani") che ha rischiato di far saltare il fragile equilibrio istituzionale che si sta cercando in questi giorni sul tema giustizia.

Ma c’è di più: al Cavaliere - che continua a dire che sulla giustizia non farà marce indietro, che delle sue parole non si pente e che è pronto anche a scendere lui stesso in piazza e a portarci milioni di persone perché "la gente è con me" - Fini ha fatto notare che "al di là del merito", un decreto sulle intercettazioni sarebbe praticamente impossibile da varare perché troppi provvedimenti sono già incardinati alle Camere, e dunque non ci sarebbero i tempi tecnici per convertirlo, mettendo in conto anche il possibile ostruzionismo. Dubbio questo, peraltro, diffuso anche in via Arenula, dove sulla possibilità di ricorrere a un decreto c’è grande cautela, anche se Alfano assicura che i requisiti di "necessità e urgenza" ci sono tutti.

Ma Fini ha soprattutto cercato di convincere Berlusconi a non tirare troppo la corda del dialogo istituzionale, mettendo in difficoltà il Quirinale: "Non possiamo andare verso uno scontro tra poteri dello Stato che coinvolge anche il presidente della Repubblica. Non possiamo permettercelo. Bisogna ricostruire un clima di concordia istituzionale".

Un dubbio identico ha la Lega: no al decreto, perché Napolitano non lo firmerebbe mai. Già Maroni nei giorni scorsi aveva detto di non volere uno scontro con il Colle su questi temi. E oggi i parlamentari leghisti si riuniranno per discutere delle intercettazioni.

Il risultato? Che se il decreto sembra effettivamente più lontano, non è ancora definitivamente uscito dalle ipotesi possibili, tra le quali, seppur improbabile, quella di limitare il decreto al solo divieto di pubblicazione. Si decide "di ora in ora", dicono da Palazzo Chigi, mentre Berlusconi prepara la sua controffensiva mediatica di stasera, carte alle mano, e con una convinzione: "Mi vogliono fare fuori, ma io non glielo permetterò".

Giustizia: Polizia; tagli Dpef, è allarme rosso sulla sicurezza

 

Comunicato stampa, 3 luglio 2008

 

Sicurezza: è allarme rosso. Documento congiunto delle Organizzazioni Sindacali delle Forze di Polizia. Il recente Decreto Legge n. 112 emanato dal Governo il 25 giugno scorso riguardante la manovra correttiva del bilancio dello Stato per il triennio 2009/2011, costringe le organizzazioni sindacali delle forze di polizia a lanciare l’allarme sullo stato della sicurezza del Paese. Con il provvedimento legislativo in discussione, infatti, sono state assunte decisioni che pongono a rischio la possibilità di continuare a mantenere livelli accettabili di tutela per i cittadini.

Sono stati previsti per il prossimo triennio tagli per oltre un miliardo di euro al capitolo di bilancio del Ministero dell’Interno impedendo l’acquisto di autovetture, mezzi, strumenti utili per garantire la sicurezza dei cittadini. È stata altresì prevista la riduzione netta nel triennio dell’organico per la sola Polizia di Stato, dovuta al mancato turnover, di circa 7.000 unità, ed alla stessa maniera il taglio dell’organico riguarda indistintamente tutte le forze dell’ordine, ed un ulteriore riduzione del 10% del capitolo di spesa per lavoro straordinario. Infine registriamo l’assenza di stanziamenti per l’edilizia penitenziaria ed il taglio dei fondi attualmente previsti per la manutenzione degli istituti di pena.

Questi interventi produrranno inevitabilmente una riduzione dei servizi e della capacità operativa e d’intervento sul territorio delle forze dell’ordine, con conseguente riduzione dei livelli e della capacità di risposta alle richieste continue di sicurezza da parte dei cittadini. Per un verso si tagliano le risorse per le forze di polizia a competenza generale e nazionale e contestualmente si annunciano iniziative legislative tendenti a modificare sensibilmente gli attuali assetti istituzionali ed i livelli funzionali e di responsabilità in materia di gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Si tenderebbe, in sostanza a far passare il taglio delle risorse agli apparati preposti alla sicurezza solo come un risparmio di spesa, quando, invece, potrebbe nascondere una diversa collocazione della stessa a livello territoriale e/o verso soggetti privati a cui eventualmente demandare alcuni servizi che richiedono una professionalità specifica. Se ciò fosse confermato, non potrebbe che destare particolare preoccupazione per il metodo utilizzato e per i rischi connessi ad una disomogeneità organizzativa che renderebbe vulnerabile tutto il sistema sicurezza del Paese.

In questa situazione, il taglio ai bilanci relativi alle forze di polizia, provocherebbe un collasso funzionale dei diversi sistemi operativi, ed il Governo dimostrerebbe concretamente di voler procedere nella direzione opposta rispetto al raggiungimento dell’obbiettivo dichiarato in campagna elettorale di collocare la sicurezza in cima alle priorità della propria azione, quale indispensabile premessa della possibilità di sviluppo di questo Paese.

Respingiamo, altresì, ogni tentativo contenuto nella manovra finanziaria di disconoscere l’impegno ed il sacrificio delle forze di polizia offerto ogni giorno per la tutela dei cittadini, attraverso previsioni che vorrebbero, ad esempio, togliere fondamentali riconoscimenti specifici a operatori che svolgono funzioni strutturalmente rischiose rispetto alla incolumità personale.

In questo contesto riteniamo, invece, essenziale: il riconoscimento reale per legge della "specificità" degli appartenenti alle forze dell’ordine; un idoneo stanziamento di risorse per l’ammodernamento dell’apparato per renderlo più efficiente ed efficace anche attraverso investimenti per la formazione ed una riforma ordinamentale del personale; la copertura totale del turnover nelle forze di polizia; la detassazione della retribuzione accessoria che possa incentivare le attività di controllo del territorio. Per le ragioni esposte proclamiamo lo stato di agitazione della categoria e se, entro tempi brevissimi, non giungessero risposte positive di merito, saranno organizzate specifiche iniziative di protesta.

Giustizia: Osapp; tagli Dpef metteranno carceri in ginocchio

 

Apcom, 3 luglio 2008

 

"Perderemo 900 agenti in tre anni e con i tagli che si preannunciano c’è il rischio che servizi essenziali come le traduzioni dei detenuti non possano più essere garantiti". Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (Osapp) commenta così il decreto fiscale presentato dal governo alla Camera che riguarda anche il comparto Giustizia. "Ancora non abbiamo le cifre esatte sui cui ragionare - dichiara il segretario - ma quello che abbiamo letto non ci rassicura affatto, ed è giusto che si sappia: già le previsioni di bilancio per il 2008, quelle operate dal Governo Prodi tagliavano più del 30% ed indistintamente su tutti i capitoli di spesa".

Per Beneduci "la manovra finanziaria che l’esecutivo anticipa con questo decreto legge non fa altro che mettere in ginocchio l’intero sistema, con risvolti imprevisti sul versante delle udienze, che saranno rallentate, come peraltro sta già avvenendo in Piemonte, per la difficoltà di scortare in aula i detenuti che devono sottoporsi ai processi".

"Dalle schede che leggiamo, e che accompagnano il provvedimento, solo in due anni le riduzioni supereranno i 300 milioni di euro: un dato sconcertante - prosegue il sindacato - soprattutto quando il ministro Alfano, nelle sue innumerevoli uscite di stampa s’affretta a rassicurarci comunque dell’indispensabilità di costruire nuove carceri". "Ci domandiamo a questo punto - conclude Beneduci - con quali soldi, e se basterà l’operazione promessa dal Ministro di spostare i fondi dal capitolo destinato alle intercettazioni a quello per gli istituti penitenziari".

Giustizia: dopo legge Basaglia quasi mezzo secolo di disastri

di Ugo Catola (Vicedirettore Opg di Montelupo Fiorentino)

 

Il Tirreno, 3 luglio 2008

 

È passato quasi mezzo secolo da quando Franco Basaglia mosse i primi passi per negare l’esistenza delle malattie mentali e dimettere selvaggiamente i pazienti psichiatrici, rovinando la loro esistenza e quella delle loro famiglie. L’epopea si concluse con la legge "180" del 1978 detta legge Basaglia. Nel frattempo il legislatore aveva scisso la psichiatria, nata come ramo delle neuroscienze, dalla neurologia, rendendola terra di nessuno e dando così via libera a persone incompetenti, ammantate di pseudo scientificità, che scorazzavano, e ancora scorazzano, in questo ambito, col pretesto di riportare tutto a cause psico-sociali o a scelte politiche. Molti medici di allora, soprattutto i meno preparati, approfittarono dell’onda di piena per avere facili sistemazioni.

Passata la piena, scemata la febbre ideologica e la furia iconoclastica, lo spettacolo fu, e rimane, desolante: gli ospedali psichiatrici pubblici in rovina sotto il profilo strutturale e organizzativo, i pazienti ivi contenuti chiamati e trattati come residuo, parola che evoca espulsione ed eliminazione e non più come persone ricoverate perché bisognose di cure. Strutture private tipo case di riposo, sovraffollate di malati di mente, con intuibili problemi di convivenza. Aumento di reati contro persona, proprietà e pubblica morale.

Aumento vertiginoso della criminalizzazione dei malati di mente, e della loro carcerizzazione. Aumento dei suicidi. Aumento dei delitti in ambito familiare per la forzata convivenza dei pazienti nelle famiglie. Aumento dei disturbi da farmaci neurolettici, con compromissione della qualità ed aspettativa di vita dei pazienti essendo usati a dosi massicce come farmaci anti rigetto sociale. A quel tempo i "novatori", così chiamati dal grande scrittore e psichiatra Mario Tobino, di fronte ai primi fallimenti della loro ideologia che si schiantava contro la realtà, si giustificavano con: "È un prezzo che dobbiamo pagare".

Mi chiedo: "Chi ha pagato? Voi che avete fatto carriera o le famiglie, i pazienti e in generale la società? E, in cambio del prezzo cosa è stato acquistato e da chi? Avete liberato il malato di mente come continuate a dire (vedi congressi dal titolo "Matti da slegare" e simili) oppure avete reso più netto e più cocente il rifiuto sociale e avete "risolto" molti casi col suicidio, l’accattonaggio e la carcerizzazione? Perché con la legge Basaglia sono stati abrogati tutti quegli articoli del codice penale che punivano chi non denunciava malati di mente pericolosi e chi ometteva la custodia di malati di mente prima che commettessero reati?

Ma - risponderebbero - la psichiatria prima era usata in maniera mistificatoria per eliminare persone scomode. Ma adesso cosa succede? Non è più l’autorità medica, ma quella politica, cioè il sindaco, che emette il provvedimento di "trattamento sanitario obbligatorio" indipendentemente da cause psichiatriche invece del "ricovero coatto psichiatrico" della vecchia normativa. Non è questo un sistema che si presta più facilmente agli abusi, come è successo recentemente a Sesto dove è stato fatto un "TSO" a un proprietario che non voleva lasciare la sua villetta, espropriata, in quanto la casa che gli era stata offerta in cambio non aveva il giardino, né lo spazio per i suoi pianoforti?

È un caso che nell’attuale normativa sia scomparso il criterio di "pericolosità psichiatrica", sostituito da una generica "urgente ed inderogabile necessità"? Ebbene: a pochi giorni dal passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario regionale viene indetto un convegno organizzato dal centro "Basaglia" di Arezzo col patrocinio della Provincia di Firenze, Regione e Asl di Arezzo, trasmesso agli operatori carcerari dal ministero "con l’invito a darne la massima diffusione" dal titolo: "La salute mentale dei detenuti e degli internati in Toscana: presente e futuro". Sorge un’ultima e perturbante domanda: quale futuro può essere prospettato da chi non sa cogliere la lezione dalle passate esperienze ed è prigioniero del delirio ideologico?

Marche: Consigliere Romagnoli prepara dossier sulle carceri

 

Corriere Adriatico, 3 luglio 2008

 

Una serie di sopralluoghi per capire, per studiare da vicino, magari anche grazie alle testimonianze dei diretti interessati, una realtà di cui molti parlano ma che pochi conoscono veramente. Franca Romagnoli ha iniziato con questo spirito il suo giro nelle carceri marchigiane. Ha già fatto tappa a Marino del Tronto. Una prerogativa, quella di effettuare sopralluoghi nelle case circondariali, dei consiglieri regionali che la Romagnoli ha deciso di sfruttare.

"Da tempo mi ero ripromessa di fare un giro nelle carceri che non mi sono del tutto estranee visto che anche per questioni di lavoro (la Romagnoli è avvocato e si occupa in particolare di penale, ndr.) lo ho frequentate e le frequento. E anche nella passata legislatura ho approfittato di questa possibilità che viene data ai consiglieri regionali per visitare le strutture. Intendo alla fine redigere un dossier sullo stato delle carceri marchigiane e sulla condizione dei detenuti. È mia convinzione, personale, professionale e politica, che il principio di certezza ed effettività della pena e della detenzione, il giusto rigore, vadano assolutamente coniugati con quello di una espiazione attenta alla tutela dei diritti civili del detenuto e alla sua correzione e reintegrazione.

Da cattolica aggiungo che non si può prescindere mai dalla carità cristiana. Non deriverebbe alcun vantaggio per la società da una restrizione che non tenda al miglioramento della persona detenuta o addirittura ne violi diritti e personalità: il rispetto della legge, la tanto richiamata legalità deve valere fuori come dentro l’istituto di pena e non devono esistere zone "franche".

È un cardine di civiltà giuridica. Ebbene, l’immagine di celle sovraffollate e bollenti sarà, spero, immagine temporanea e passeggera legata all’ondata di calore e non voglio limitarmi alla non buona impressione d’impatto, ma è mia intenzione rielaborare tutti i dati acquisiti, in particolare sulle attività trattamentali e sulla situazione socio-sanitaria, per fornire uno studio adeguato e soprattutto utile ad ottenere dalla Direzione, dalla Regione e dal Ministero migliorative risposte anche in vista della prossima discussione in consiglio di una proposta di legge che istituisce un osservatorio sulla detenzione nelle marche e assume altre iniziative sociali a mio avviso ideologiche e non risolutive".

Parma: presentato "Fra carcere e società, la terra di mezzo"

 

www.romagnaoggi.it, 3 luglio 2008

 

"Non finire più in carcere e un futuro bello prospero". È ciò che si augura Ciro, uno dei nove detenuti che per 3 mesi hanno lavorato nel parco del Taro, in quello dei Boschi di Carrega e nel’Oasi Lipu di Torrile. Per lui, cinque mesi ancora da scontare, che ha accettato di raccontare in un filmato la sua esperienza, è stato possibile svolgere lavori socialmente utili grazie a un progetto promosso dalla Provincia di Parma e dalla Direzione degli Istituti penitenziari di Parma realizzato con il sostegno di Fondazione Cariparma.

Mercoledì in Provincia durante la consegna degli attestati di partecipazione al tirocinio e la presentazione del corto "Fra carcere e società: la terra di mezzo", prodotto dall’ente di Piazzale della Pace sul progetto realizzato, sono arrivate due buone notizie: la delibera di Fondazione Cariparma che rinnova anche per l’anno prossimo il proprio sostegno e il nuovo lavoro che Ciro ha ottenuto da un imprenditore privato impegnato nel settore della cura del verde. Ma per tutti e nove questi detenuti c’è aperta una opportunità di impiego o con le cooperative sociali o con le borse lavoro del Comune, finanziate anche dalla Regione.

Dunque è un bilancio positivo quello che chiude il progetto "Un’opportunità: l’ambiente": l’opportunità di riparare ciò che si è rotto nei Parchi e nelle Oasi, come le staccionate, parapetti, capanni osservatorio, tavoli e panche. Ma anche l’opportunità di mettere in relazione carcere e società, di usare la leva della formazione come occasione di riscatto sociale.

"Questo progetto ha visto una collaborazione e partecipazione attiva di tante realtà istituzionali, della formazione professionale e del privato sociale - ha spiegato l’assessore provinciale Tiziana Mozzoni - Abbiamo seguito il metodo e la finalità che ci ha insegnato Mario Tommasini quando quasi trenta anni fa sperimentò la prima iniziativa del genere. Con questo modo di lavorare siamo convinti di fare prevenzione rispetto al fatto che queste persone possano commettere ancora dei reati. Questo è il nostro contributo alla sicurezza sociale delle nostre comunità"

"Opportunità di questo tipo ci danno modo di adempiere al mandato della Costituzione secondo il quale il carcere deve avere una finalità preventiva - ha sottolineato il direttore degli Istituti penitenziari di Parma Silvio Di Gregorio - Il progetto dà a queste persone uno sbocco e la possibilità di spendersi in favore della collettività, cercando di riparare al male fatto e una volta finita la pena di avere un attestato che li metta in regola e con i titoli giusti per esser impiegati in attività lavorative, contribuendo al benessere del paese".

"Sono pochi anni che abbiamo scelto di intervenire in questo ambito consapevoli della necessità di una seria riflessione su questi temi. Per arrivare a concepire davvero la detenzione non solo come una punizione occorre l’impegno di tutta la collettività. Se l’obiettivo dall’azione che si promuove è, come in questo caso, legato ai contenuti e a uno stile che fa del lavoro un’attività collegata alla pena, credo che possiamo comunicare agli altri che questa è la strada per combattere la recidiva" ha osservato la vicepresidente di Fondazione Cariparma Marcella Saccani, citando l’esperienza condotta a Parma dove ci sono realtà, come la coop Sirio, in cui persone che hanno vissuto il carcere, hanno poi trovato lavoro e hanno visto crescere le loro responsabilità in quegli ambiti e nella società.

"Il concetto di pena deve comprendere non solo l’espiazione ma anche la redenzione, che non può essere un’idea astratta ma ha bisogno di luoghi adatti e di un contesto favorevole. Questa iniziativa offre un’occasione interessante in ambienti bellissimi, che si prestano alla riflessione. Il Comune di Parma - ha ricordato l’assessore alle Politiche sociali Paolo Zoni - attraverso l’opportunità delle borse lavoro, si impegna per il reinserimento in una modalità che è parte integrante di un percorso verso l’ingresso nel mondo del lavoro e quindi nella società".

A consegnare gli attestati anche le assessore provinciali ai Parchi e Biodiversità Gabriella Meo, e al Lavoro e Formazione professionale Manuela Amoretti. Presente insieme ai rappresentanti degli enti e soggetti che hanno collaborato all’iniziativa, la presidente del Parco Boschi di Carrega Cristina Merusi.

Il progetto realizzato a Parma è stato possibile grazie alla collaborazione di Provincia di Parma, Istituti penitenziari di Parma, Fondazione Cariparma, Consorzio di Solidarietà Sociale, Consorzio di Formazione professionale Forma Futuro, Parco fluviale regionale del Taro, Parco regionale dei Boschi di Carrega, Oasi Lipu di Torrile, Uepe di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, Comune di Parma.

 

Il progetto

 

La storia di questo progetto comincia il 13 maggio 2006 con una giornata sperimentale a Polesine dove una ventina di detenuti puliscono un’ansa del Po. Poi nell’autunno vengono attivati dieci tirocini e si lavora sull’argine del torrente Parma e nel Parco del Taro. A un anno di distanza si procede con la stesura di un percorso più strutturato per portare in avanti in modo più concreto e continuativo azioni di recupero ambientale da parte di detenuti degli IIPP di Parma. L’obiettivo su cui si sono impegnate le istituzioni è stato quello di attivare percorsi di reinserimento delle persone private della libertà personale all’interno del tessuto produttivo e sociale, preparandole così adeguatamente all’uscita dal carcere.

Il lavoro dei detenuti all’interno dei Parchi e dell’Oasi ha richiesto il supporto di tutor di cooperative sociali specializzate in ambito ambientale che li hanno seguiti durante le ore di lavoro fornendo ogni supporto necessario e rapportandosi con il Consorzio di solidarietà sociale. Il coordinamento dell’intero progetto è stato svolto dall’assessorato alle Politiche sociali e sanitarie della Provincia di Parma.

Spoleto: "In-out", per il reinserimento lavorativo dei detenuti

 

Asca, 3 luglio 2008

 

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia - Cassa delle Ammende - ha recentemente approvato e finanziato il progetto "In-Out: Il dentro fuori della condizione di privazione della libertà, dei processi d’integrazione sociale e inclusione lavorativa" per la somma di 354.558 euro. Elaborato dalla direzione della Casa di Reclusione di Spoleto e dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna del Ministero della Giustizia in stretta collaborazione con il Comune di Spoleto-Assessorati alla Formazione Lavoro e alle Politiche Sociali, si prefigge di sviluppare progettualità a favore dell’inclusione lavorativa dei detenuti della struttura di massima sicurezza di Maiano, capace di raccordarsi con i piani di sviluppo del territorio. Il progetto mira a facilitare e realizzare l’inserimento lavorativo dei detenuti sia all’interno dei laboratori potenziati presenti nella struttura penitenziaria, prevedendo forme possibili di auto impresa, sia all’esterno nelle aziende.

Ferrara: svanito l’effetto indulto, ci sono 150 detenuti in più

 

Il Resto del Carlino, 3 luglio 2008

 

Gianluca Borghi, Consigliere Regionale Pd, ha visitato la Casa Circondariale: "È sovraffollata e con carenze di personale. La collaborazione con gli enti locali è positiva, ma non può supplire all’emergenza".

Le condizioni poco rassicuranti delle carceri stanno imperversando in tutta Italia come uno dei problemi imminenti da risolvere per la sicurezza cittadina. Il consigliere regionale dell’Emilia-Romagna Gianluca Borghi (Pd) si è recato alla Casa Circondariale di Ferrara, accompagnato dal Garante dei detenuti Federica Berti e il bilancio della sua visita è preoccupante. "Finito l’effetto indulto - afferma Borghi - a Ferrara, come in quasi tutte le carceri dell’Emilia-Romagna, la situazione è tornata ad essere insostenibile".

"Oltre al sovraffollamento (374 detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 224) - prosegue il consigliere - si registra anche una grave carenza di personale: mancano 50 dei 230 agenti teoricamente assegnati all’istituto ferrarese. La buona collaborazione con gli enti locali è un dato sicuramente positivo, che però non può supplire alla cronica emergenza che sono costretti ad affrontare operatori e volontari. È necessario allora pensare ad un sistema capace di offrire ai detenuti vere occasioni di recupero: solo in questo modo sarà possibile favorire il reinserimento sociale e garantire la sicurezza dei cittadini. Perché occuparsi di carcere è occuparsi di una dimensione importante della sicurezza della comunità".

"In Regione - spiega Borghi - abbiamo voluto dare il nostro contributo proponendo e approvando lo scorso febbraio la nuova legge 3/2008 - Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari delle regione Emilia-Romagna. Gli 11 articoli della legge vanno ad interessare settori come la tutela della salute, le attività socio educative, il sostegno alle donne detenute, l’istruzione e la formazione professionale dei detenuti e degli operatori penitenziari e la prestazione di attività lavorativa da parte dei detenuti. Saranno inoltre promossi nuovi percorsi formativi e progetti di inclusione sociale che coinvolgeranno ancora di più il volontariato presente nelle carceri".

Livorno: dopo 5 anni "Verità e Giustizia" per Marcello Lonzi

 

Comunicato stampa, 3 luglio 2008

 

A 5 anni dalla morte violenta di Marcello Lonzi nel carcere "Le Sughere" di Livorno, tra silenzi ed omertà, anche il sostituto procuratore di Livorno, dott. Antonio Giaconi, paventa la possibilità di un pestaggio quale concausa della morte. Dopo una prima archiviazione e la riapertura dell’inchiesta, si sono aggiunte nuove testimonianze di ex detenuti, mai ascoltati nelle precedenti indagini, archiviate frettolosamente dall’ex procuratore Pennisi.

La riapertura dell’inchiesta nel 2007 è stata ottenuta solo grazie alla caparbietà della madre, Maria Ciuffi. Infatti, nonostante l’indigenza in cui vive dopo la perdita dell’unico figlio, attraverso scioperi della fame, presidi davanti la procura e davanti al carcere e continue interpellanze, ha infine ottenuto nel 2006 la riesumazione della salma di Marcello. Conseguentemente ad essa nuove perizie hanno evidenziato numerose fratture costali, la frattura dello sterno ed altri inequivocabili indizi "stranamente" omessi nella precedente perizia. Tutto ciò ha portato alla riapertura dell’inchiesta ancora in corso.

Da segnalare anche il "tentato suicidio", avvenuto pochi giorni dopo la sua deposizione davanti al procuratore, dell’infermiera che era in servizio la notte in cui morì Marcello e che per prima lo soccorse.

Nel 5° anniversario della morte di Marcello, sabato 12 luglio ci ritroveremo insieme alla madre davanti all’ingresso del carcere "Le Sughere" di Livorno a partire dalle ore 18.00 per ricordare Marcello, avere verità e giustizia, squarciare il velo di omertà e impunità, evitare che altri detenuti subiscano in futuro il "trattamento" che ha ucciso Marcello.

 

Comitato Verità e Giustizia per Marcello Lonzi

Napoli: rassegna di teatro "Il carcere possibile", pochi i fondi

 

Redattore Sociale, 3 luglio 2008

 

I detenuti di 6 penitenziari campani, tra cui l’istituto Minorile di Airola, gli istituti di Lauro e Pozzuoli, l’Opg di Aversa, per 5 giorni vestiranno i panni di attori professionisti. Rinunce pesanti a causa della mancanza di risorse.

Parte da Napoli la IV Rassegna di teatro "Il carcere possibile", che si terrà dal 3 al 9 luglio al Maschio Angioino (Piazza Municipio). I detenuti di sei istituti penitenziari campani, tra cui l’istituto Minorile di Airola, gli istituti di Lauro e Pozzuoli, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, per cinque giorni vestiranno i panni di attori teatrali professionisti.

Si tratta solo del momento finale dei laboratori teatrali, svolti a scopo rieducativo e riabilitativo, all’interno delle mura del carcere, in cui l’impegno di detenuti, educatori, registi ed operatori, è confluito, in questi anni, in un’alternativa alle interminabili giornate in cella. L’iniziativa, giunta alla sua quarta edizione quest’anno, è organizzata dall’associazione "Il carcere possibile onlus", con la collaborazione del Teatro Mercadante (Teatro Stabile di innovazione) e dell’assessorato al Turismo, Pari Opportunità e Grandi Eventi del Comune di Napoli.

"Il carcere possibile onlus", nata nel 2003 da un progetto avviato dalla Camera Penale di Napoli, oltre alle attività laboratoriali all’interno degli istituti di pena, tra cui quelle di teatro e cucina, svolge anche attività di denuncia delle condizioni di vita all’interno delle carceri. "Il problema principale - sottolinea Riccardo Polidoro, presidente dell’associazione di avvocati - è un vecchio problema, quello del sovraffollamento, che non si è certo risolto con l’indulto". "Si pensi che ancora oggi nelle nostre carceri parliamo di un rapporto di 50mila detenuti su una tolleranza massima di 40mila - aggiunge Polidoro - per non parlare poi degli istituti, la maggioranza, che non sono a norma di legge". Ma la denuncia dell’avvocato non si ferma qui: "Un altro problema è quello della mancanza di fondi - spiega - la stessa che ha fatto sì che istituti come quello di Nisida, che negli anni passati è stato il nostro fiore all’occhiello o come quello di Poggioreale, non abbiano partecipato alla nostra Rassegna quest’anno". La rassegna, infatti, non gode di finanziamenti pubblici: si tratta di un’iniziativa di volontariato, cui contribuisce, oltre all’associazione Il carcere possibile, solo in piccola parte l’Ordine degli avvocati di Napoli.

La rassegna, che resta l’unica nel suo genere in Italia, dimostra, invece, che il teatro in carcere, se guidato da una certa metodologia artistica, è capace di coinvolgere e arricchire la persona che vi partecipa, la sua salute mentale e corporea, la sua sensibilità, nell’applicazione, al contempo, del principio costituzionale della rieducazione del condannato.

"Si tratta di un’esperienza - sostiene Anna Gesualdi, regista e conduttrice dei laboratori per TeatrInGestAzione all’interno dell’Opg di Aversa, in cui non solo i detenuti, ma anche gli attori e registi, danno il meglio di sé". "Una delle rarissime occasioni - continua - in cui i detenuti vengono trattati come persone e possono sperimentare la dimensione di un rapporto umano". "Ora stiamo lavorando con un gruppo di 10 persone - aggiunge la regista - potremmo fare molto di più, ma siamo limitati dalla carenza di fondi e di personale penitenziario". "Il nostro obiettivo - annuncia la Gesualdi - è quello di creare una cooperativa sociale che punti sull’integrazione tra il dentro e il fuori. Sappiamo che è un’impresa difficile, soprattutto per la burocrazia italiana, ma non impossibile". Un’ultima nota sullo spettacolo di cui è curatrice: "L’eccezione è la regola", un testo di Bertolt Brecht. "Una storia che parla di sfruttati e sfruttatori - spiega la regista - nulla di più calzante, dal momento che molti nell’Opg ci sono finiti per non aver commesso nessun reato, se non quello di essere persone con gravi disturbi psichici di cui le famiglie non potevano farsi carico".

Bologna: "Felix al Pratello", in mostra le opere dei detenuti

 

Redattore Sociale, 3 luglio 2008

 

Inaugurata stamattina l’esposizione all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Bologna. Il filo conduttore: sensibilizzare i ragazzi a prendersi cura degli animali e stimolare le capacità artistiche. Per il pubblico mostra visitabile on-line.

Una mostra fotografica all’interno del carcere del Pratello. È l’ultima iniziativa portata avanti dall’istituto minorile di Bologna, in collaborazione con il Comune e con l’Unità operativa tutela e diritti degli animali. Si chiama "Felix al Pratello" ed è una rassegna di foto, inaugurata questa mattina, che ha per tema i gatti: non sarà aperta al pubblico, ma sarà visibile fino al 9 luglio ai ragazzi detenuti. Le immagini sono state scattate da cittadini bolognesi, nell’ambito del concorso annuale dedicato agli animali "Felix in festa", ma alla mostra si aggiungono alcune opere dei ragazzi detenuti: una storia a fumetti ideata da loro e disegnata da Fra Maurizio Piazza, artista-fumettista, e un bassorilievo realizzato con le tecniche del decoupage e della cartapesta. I lavori sono il frutto di laboratori organizzati all’interno del carcere per sensibilizzare i ragazzi all’amore a alla cura per gli animali e per stimolare le loro capacità artistiche.

Un’iniziativa a costo zero che si inserisce all’interno di una serie di attività che hanno l’obiettivo di alleggerire il senso di isolamento dei minorenni chiusi nella struttura del Pratello. A breve, infatti, sarà pronta la rappresentazione teatrale che, come ogni anno, verrà messa in scena all’interno del carcere a dicembre e sulla quale i ragazzi lavorano già da giugno. Una rappresentativa del Pratello, inoltre, parteciperà agli incontri di calcio della prossima edizione dei Mondiali antirazzisti, permettendo così ad alcuni ragazzi di uscire dalla struttura in occasione delle partite. Tra le iniziative future, anche un laboratorio fotografico che permetterà ai giovani di partecipare con i loro scatti alla prossima edizione del concorso sui felini. I cittadini possono vedere le foto della mostra su internet, sul sito www.comune.bologna.it/animali, mentre i lavori dei ragazzi del Pratello saranno visibili in occasione dell’edizione 2008 di "Felix in Festa", in programma a dicembre prossimo a Palazzo D’Accursio.

Cagliari: tournèe clown di Bucarest per i detenuti minorenni

 

Redattore Sociale, 3 luglio 2008

 

Appuntamenti dal 6 al 12 luglio con i giocolieri e i clown romeni, anche nel carcere minorile di Quartucciu e nella comunità di recupero per tossicodipendenti "La Collina" di Sediana.

Può un naso rosso sconfiggere l’indifferenza nei confronti della realtà dell’abbandono dei ragazzi di strada della Romania e di tutto il mondo? È l’interrogativo che propongono sei ragazzi che da ormai setta anni portano in giro per l’Italia lo spettacolo di clownerie e giochi e che nelle prossime settimane approderà in Sardegna per alcuni appuntamenti all’insegna della solidarietà.

"I Ragazzi di Bucarest", questo il nome della compagnia, farà tappa nell’Isola dal 6 al 12 luglio, girando per le piazze di vari comuni grazie a un progetto messo in campo dalla provincia di Cagliari. Esibendosi in divertenti gag, numeri di magia, giocoleria e acrobatica danno testimonianza del loro passato di miseria e abbandono, da cui sono usciti grazie all’impegno del clown Miloud Oukili. Spettacoli a Villaputzu e Quartucciu (in collaborazione con l’Arci), ma anche appuntamenti sulla spiaggia del Poetto, in occasione della manifestazione "La piazza della Solidarietà" in programma domenica 6 luglio alle 18.

Organizzato dall’associazione Parada, la tournèe sarda dei "Ragazzi di Bucarest" punta a far conoscere il dramma di tanti giovanissimi che abitano il capoluogo rumeno, costretti a vivere in strada e spesso sprofondati nella droga già dall’adolescenza. Da qui l’impegno dei volontari che, nelle ore notturne, distribuiscono pasti caldi e garantiscono l’assistenza medica a centinaia di senzatetto. Rivolta in modo particolare ai giovani, l’associazione nasce con l’obbiettivo di dare visibilità, sostegno e strumenti agli interventi in favore dei bambini e giovani soli per le strade delle grandi città europee per arrivare poi a garantire un futuro alle migliaia di bambini e giovani che vivono nelle strade. Oltre all’appuntamento di domenica nel lungomare Poetto, l’associazione e i clown si esibiranno lunedì 7 a Villaputzu, martedì 8 nel quartiere "La Marina" a Cagliari, mercoledì 9 alla comunità per tossicodipendenti "La Collina" di Perdiana e giovedì, infine, nel carcere minorile di Quartucciu.

Libro: "Indulto: il danno e l’inganno", di Federico Palomba

 

La Nuova Sardegna, 3 luglio 2008

 

Sono trascorsi due anni dalla sua approvazione, eppure la contestatissima legge sull’indulto, votata dai 4/5 del Parlamento e considerata dannosa da 2/3 dei cittadini, continua a far parlare di sé. Chi ha sempre dichiarato la propria contrarietà alla legge 241 del 31 luglio 2006 è il deputato dell’Italia dei valori ed ex presidente della Regione Federico Palomba, autore del libro "Indulto: il danno e l’inganno. Patto politico per uno scambio di prigionieri".

Il libro è stato presentato avantieri alla biblioteca Satta di Nuoro in un partecipato dibattito organizzato dall’editore Carlo Delfino, che recentemente ha aperto un punto vendita in città, nella centrale via Carducci, nonché dalla Scuola di formazione forense e dalla Camera penale della Sardegna. Una legge approvata a larghissima maggioranza e che, a distanza di due anni, è disconosciuta da quasi tutti i politici. Lo stesso Peppino Balia, consigliere regionale dello Sdi, partito che a suo tempo aveva sostenuto il provvedimento, nel suo intervento dell’altro ieri ha fatto capire di avere più di un ripensamento.

"A distanza di tempo e rileggendo il libro di Palomba mi chiedo: l’indulto era condiviso dall’opinione pubblica? Ma soprattutto, la domanda che forse andava fatta prima dell’approvazione, qual è il rapporto costi-benefici della legge?". Oggi, insomma, anche Balia si è detto più attento e critico. Anche Elias Vacca, avvocato penalista allora deputato per i Comunisti italiani, che non avevano votato la legge, ha ammesso di non essere contrario all’indulto in sé, ma di essere sempre stato contrario a quel provvedimento.

"Un indulto serio, accompagnato dall’amnistia, andava fatto dopo la correzione delle leggi carcerogene: la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la ex Cirielli". Federico Palomba, dal canto suo, ha fatto un excursus della legge, dalla visita di Mastella ai detenuti osannanti di Regina Coeli fino all’approvazione. "Parafrasando Francesco Caruso, il discusso leader no-global, si è trattato di un onesto scambio di prigionieri. Lo scambio è avvenuto tra Mastella, Bertinotti, che tra i prigionieri aveva proprio i no-global e la sinistra antagonista, e Forza Italia, che aveva in Cesare Previti il suo prigioniero eccellente".

Libro: "Rieducare il condannato straniero", di C. Cavalieri

 

La Nuova Venezia, 3 luglio 2008

 

Parte da un tema di grande attualità, "Immigrazione e regole per l’ingresso e la permanenza dello straniero nel nostro paese" Claudio Cavalieri in "La rieducazione del condannato straniero nelle istituzioni carcerarie della città di Venezia" (Edizioni Scientifiche Italiane, p. 112 11 euro).

È una premessa indispensabile per scendere, poi, nel dettaglio di una documentata analisi mirata a verificare se e come il principio della rieducazione del condannato, enunciato nel 30 comma dell’art. 27 della Costituzione ("Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"), trovi attuazione anche nei confronti dello straniero carcerato in Italia e a Venezia, dove oltre il 50% dei detenuti sono extracomunitari. Cavalieri passa in rassegna le diverse tipologie degli istituti penitenziari lagunari, approfondisce la nozione di rieducazione nel vigente ordinamento penitenziario.

La parte più interessante, e legata alla realtà veneziana, è sicuramente quella dedicata al reinserimento nel tessuto sociale del condannato straniero: vengono analizzati sia l’andamento dei corsi scolastici che il ruolo che effettivamente riveste il lavoro, nella prospettiva del reinserimento. Accanto ai lavori classici pagati dall’amministrazione penitenziaria, nella realtà veneziana ha assunto rilievo il lavoro cooperativo: nelle pubblicazione sono illustrate in maniera organica tutte le attività promosse dalla cooperativa Rio Terà dei Pensieri. Testimonianze dei detenuti e un’analisi delle modalità di applicazione delle misure alternative alla pena completano l’indagine.

Immigrazione: "colpevolezza etnica", una retorica disumana

di Marco Revelli

 

Il Manifesto, 3 luglio 2008

 

Dunque, le cose stanno così. C’è un piccolo numero di persone, quelle che stanno in alto, più in alto di tutti, dichiarate per legge al di sopra di ogni giudizio. Investite, in quanto tali, per ciò che sono non per ciò che possono aver fatto, del privilegio dell’impunità. E ce ne sono altre, più numerose, ma razzialmente delimitate, separate dai buoni cittadini da un confine etnico - quelle che stanno in basso, più in basso di tutti, considerate invece, per legge, in quanto tali, per ciò che sono, non per ciò che possono aver fatto, colpevoli. Almeno potenzialmente. Pre-giudicate.

Alle prime non si guarderà mai in tasca, anche se fossero colte, per un accesso di cleptomania, in furto flagrante; alle seconde si prendono fin da bambini le impronte digitali, le si fotografano, perquisiscono, spostano, schedano e controllano senza limiti, come appunto con i delinquenti abituali, o per natura.

Questa è oggi, sotto il profilo giuridico e politico, l’Italia. In un solo consiglio dei ministri i due estremi che definiscono i nuovi confini sociali e morali della costituzione materiale della "terza repubblica" sono stati mostrati a tutti, come in un’istantanea. In pochi mesi, in nome dell’ammodernamento e dell’innovazione nell’arte del governo, abbiamo abbattuto ad uno ad uno alcuni dei pilastri fondamentali della modernità, a cominciare dall’universalismo dei diritti. Dal principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Dal carattere personale della responsabilità giuridica. L’immagine che offre oggi il Paese è quella di un ritorno brutale, rapido, in buona misura inconsapevole, ma devastante, alle logiche di una società di caste: universi sociali separati e gerarchicamente sovrapposti. Signori, e servi. Eletti, e paria. Uomini, e topi.

È un’immagine inguardabile. Dovrebbe produrre un moto istintivo di disgusto, repulsione, vergogna, in chiunque si sia formato nell’orizzonte di valori di una sia pur debole e moderata democrazia. Invece non è così. Inutile nascondercelo: lo scandalo è tale solo per pochi. Tace miseramente - miserabilmente - quell’ombra di opposizione che non rinuncia a credersi e a fingersi governo senza più esserlo. Tacciono pressoché tutti gli opinion leaders (quelli che magari si commuovono per Obama, ma lasciano correre sulla schedatura del popolo rom). Con poche, nobili per questo, ma limitatissime eccezioni. Tace, e in qualche misura acconsente, anche quell’opinione pubblica fino a ieri considerabile "di sinistra", socialmente sensibile, "politicamente corretta"... Tace, magari soffre, ma tace. Per varie ragioni.

Perché questo ritorno in buona misura irrazionale al pre-moderno, all’imbarbarimento dello stato di natura, è argomentato con ragioni "pragmatiche", tecniche, efficientistiche, in qualche misura a loro volta "moderne": perché "serve". Perché "funziona". Perché bisogna "fare". Maroni non è Goebbels (non ne possiede né il fanatismo né la cultura): non tratta i rom come untermenschen - sottouomini - per ragioni "genetiche", ma per ragioni "pratiche".

Non perché sono razzialmente "inferiori", ma perché razzialmente disturbano i suoi elettori. La nuova segregazione razziale ha il volto dell’imprenditore brianzolo dai metodi spicci ma efficaci, non più quello dell’ideologo berlinese della razza ariana. E d’altra parte in un universo sociale sempre più complesso e indecifrabile, pagano le semplificazioni estreme: la logica atroce del "capro espiatorio".

Ma soprattutto la proposta indecente che viene dall’alto trova consenso nella società che sta in mezzo - nel grande ventre molle di quelli che cercano faticosamente di restare a galla nella crisi che cresce senza affondare sotto la soglia di povertà - perché in tempi di deprivazione le "retoriche del disumano" hanno un devastante potenziale di contagio. Chiamo con questo nome le forme del discorso che negano un tratto comune di umanità a una parte dell’umanità. Che con espedienti retorici pongono un pezzo di umanità al di fuori dell’umanità.

Che appunto, in forma diretta o indiretta, tracciano un confine tra uomini e non-uomini, producendo un dispositivo di esclusione e segregazione. Che separano le persone da trattare "come persone" e quelle da trattare "come cose". E in alcune circostanze è drammaticamente gratificante, o comunque rassicurante - per chi è sempre più incerto sulla propria identità e sulla propria condizione sociale, per chi teme di "scendere" o di "cadere" -, essere riconosciuti "come persone" per differenza da chi tale non è. Godere del privilegio di appartenere alla categoria degli "uomini" per differenza da altri, da questa esclusa. Si troverà sempre un imprenditore politico spregiudicato, pronto a quotare alla propria borsa questa risorsa velenosa, ma potente. Questo acido sociale, che scioglie il timore sul proprio futuro in rancore e in consenso.

Questo accade oggi in Italia. La deprivazione economica e sociale che colpisce una fascia crescente di popolazione, si converte in deprivazione morale, in un quadro sociale ed economico che vede diventare sempre più intoccabile chi sta in alto (sempre meno redistribuibili le grandi ricchezze), e sotto la spinta di una retorica politica non più contrastata. Di un ordine patologico del discorso che non trova più anticorpi, perché le culture democratiche di fine novecento si sono consumate, nell’agire sconsiderato di un ceto politico a sua volta impegnato prevalentemente a salvare se stesso dal naufragio.

Per chi non ci sta, si apre un periodo di sofferenza e responsabilità. Di secessione culturale. Una condizione da esuli in patria. Da apolidi. Per questo la tentazione di mettersi in coda, davanti alle Prefetture, per pretendere che siano rilevate anche a noi le impronte digitali, è grande. Non tanto per solidarietà. Ma perché siamo noi più che loro - i quali in grande misura sono cittadini italiani a tutti gli effetti e risiedono stabilmente sul territorio da decenni - i veri nomadi.

Immigrazione: Ue; non si può discriminare in base alla razza

 

Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2008

 

"Disponibili fondi per condizioni sociali migliori, ma i Paesi non li sfruttano appieno". L’Ue si oppone alle impronte digitali ai rom. Ad intervenire sul tema è il Commissario europeo per l’Occupazione e gli Affari Sociali Vladimir Spidia, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’agenda sociale europea rinnovata.

"È impossibile discriminare i cittadini europei in base alla razza", ha ribadito il commissario Ue sottolineando come il suo giudizio non miri a entrare nel merito del provvedimento previsto nel pacchetto sicurezza presentato dal ministro dell’Interno Roberto Maroni poiché la Commissione è chiamata a intervenire solo di fronte a una situazione reale. Il rilevamento delle impronte digitali non è ancora un caso concreto ma "è un problema teorico molto grave", ha ribadito Spidia.

L’Ue si era già espressa nei giorni scorsi sulla questione sottolineando, nelle parole del suo portavoce Pietro Petrucci, che quanto accaduto in Italia fosse un "caso mai successo prima in Europa". Tuttavia sulla questione italiana Spidia ha ribadito di non avere elementi specifici per intervenire e che al momento non ci sono stati contatti diretti.

Allo stesso tempo ha evocato la possibilità di richiedere spiegazioni qualora si rivelassero necessario. Il Commissario ha poi ricordato come la comunità rom rappresenti una delle più grandi minoranze etniche in Europa, ancora oggi fortemente discriminata e ha sottolineato come il Fondo Sociale Europeo potrebbe essere usato per la loro integrazione ma viene spesso dimenticato dai Paesi. "Troppo spesso i rom sono cittadini dimenticati d’Europa", ha rincarato.

Per questo motivo l’Ue non tollererà il razzismo in quanto "l’eguaglianza è un valore primordiale, la non discriminazione e le pari opportunità sono la cosa più importante". L’attuale intervento fa riferimento alla direttiva del 2000 in materia di immigrazione secondo cui "tutte le persone, inclusi i rom, sono protetti contro la discriminazione sulla base della razza o dell’origine etnica".

Immigrazione: il ministro Maroni, alias "sua improntitudine"

 

Il Manifesto, 3 luglio 2008

 

Sulla ricetta italiana anti-rom l’Europa continua a storcere la bocca. Anche se ancora non c’è nessuna presa di posizione ufficiale nei confronti del nostro paese. L’Ue ribadisce, infatti, che si pronuncia solo su "fatti concreti", come se le intenzioni del ministro degli Interni Maroni di prendere le impronte ai piccoli nomadi non fossero già abbastanza gravi e "concreti" per gridare allo scandalo. E così da Bruxelles arrivano ammonimenti random, prese di posizioni in ordine sparso. Ogni giorno che passa la lista si allunga.

Ieri è toccato al Commissario europeo responsabile delle pari opportunità, Vladimir Spidia, affermare un concetto basilare, ma che di questi tempi è sempre meglio ribadire: "Non tollereremo nessun tipo di razzismo". Nessun giudizio nel merito al provvedimento previsto nel pacchetto sicurezza firmato da Berlusconi ci tiene a precisare, perché "la Commissione può reagire solo di fronte a una situazione reale ed ora non è il caso".

Ma ha comunque tutta l’aria di essere un monito contro il Belpaese: "La direttiva - ha ricordato Spidia - dice chiaramente che non è possibile riservare un trattamento diverso su base etnica". Il commissario Ue ha ricordato che "i rom sono una delle più grandi minoranze etniche nell’Ue, ma troppo spesso essi sono anche i cittadini dimenticati dell’Europa".

Un’Europa dove "l’eguaglianza è il valore primordiale, la non discriminazione e le pari opportunità sono la cosa più importante". A Roma, delle critiche di Bruxelles, non sembrano curarsi più di tanto. Maroni per primo, che tira dritto per la sua strada senza cedere di un millimetro: "Non c’è nessuna violazione delle norme europee, delle Carte dei diritti dei minori, nessuna violazione di nessuna norma". Va ripetendo ossessivamente da giorni. E lo ha ribadito anche ieri durante il question time alla Camera. È un semplice "censimento", ha detto in aula, non c’è "nessuna schedatura".

Dubbi sul nome da dare all’operazione ma non sui tempi e le modalità. L’identificazione nei campi nomadi, compresa quella di "tutti i minori che ci vivono" ma anche di tutti coloro che vivono nei campi, italiani e extracomunitari, dovrà concludersi entro il prossimo 15 ottobre. C’è già una tabella di marcia che i prefetti di Roma, Napoli e Milano dovranno rispettare: luglio e agosto saranno utilizzati per la raccolta delle impronte; a settembre verrà avviato il programma di scolarizzazione, che ora, ha detto Maroni, "è in studio con il ministro della Pubblica istruzione"; entro la prima metà del prossimo anno partirà l’azione del governo decidendo chi ha il diritto di rimanere in Italia e chi no, in quel caso cominceranno le espulsioni e i rimpatri.

A Milano e Napoli le identificazioni sono già cominciate da un paio di settimane, a Roma partiranno il 10 luglio. Il prefetto Carlo Mosca dovrà farsene una ragione: le impronte digitali verranno prese anche i bimbi rom dei campi della Capitale. E lunedì prossimo, durante un consiglio comunale straordinario in Campidoglio anche il sindaco Alemanno lo ribadirà. Ma a mettere i bastoni fra le ruote al ministro del Carroccio non è solo Mosca, c’è un’altra grana: quella del gip di Verona, Giorgio Piziali.

Reo di non aver convalidato il fermo di quattro degli otto rom croati fermati con l’accusa di sfruttamento di minori. "Sono rammaricato", ha detto Maroni per un’ordinanza che "ha vanificato un’operazione di polizia" contro un reato così odioso. "Controlleremo - ha aggiunto - ma di più non possiamo fare, siamo nelle mani della giustizia".

Intanto, dopo la discussa motivazione ("Il delicato istituto del fermo è stato piegato ad altri fini, tutti gravemente lesivi delle regole, anche costituzionali, che presiedono la libertà personale") del magistrato veronese, sono arrivate ieri, da parte dei giudici di Torino, Vicenza e Alessandria, le conferme alle richieste di fermo per gli altri rom implicati nella vicenda. L’ordinanza ha colpito anche due donne alle quali sono stati tolti i figli, di sei e otto mesi.

Droghe: Telefono Antiplagio; le i-doser virtuali? sono bufale

 

Redattore Sociale, 3 luglio 2008

 

Per l’associazione cagliaritana che da anni combatte maghi e creduloni, la notizia sulla droga virtuale i-doser diffusa attraverso i file audio, scaricabili da internet a pagamento, è una bufala. Nessuno sballo, solo fracasso.

"Una bufala". Non ci girano attorno i volontari di Telefono Antplagio, l’associazione cagliaritana fondata da Giovanni Panunzio che, ormai da oltre un decennio, combatte contro maghi e imbonitori, ma anche contro le truffe telematiche che girano nel web. In un comunicato diffuso dall’associazione, gli esperti di Antiplagio smontano la notizia dei file musicali scaricabili da internet che avrebbero l’effetto di vere e proprie droghe.

"È una bufala - taglia corto Antiplagio - abbiamo scaricato gratuitamente e fatto ascoltare a dei volontari alcuni file i-doser che, a parte una forte irritazione causata dal rumore, non hanno prodotto effetti sui soggetti testati: chi ha diramato la notizia non li ha provati o non ha cercato letteratura medica a supporto. Le dosi virtuali, tra l’altro, sono utilizzabili più volte; quindi, quale speculazione criminale può esistere? E se sono file scaricabili gratis dalle piattaforme P2P, che senso ha dire che sono a pagamento?". Una vera e propria crociata contro la notizia pubblicata da un gran numero di giornali, ma che secondo i volontari dell’associazione non avrebbe alcun supporto scientifico. Non avrebbe dunque effetti orgasmici, come riportato da alcuni giornali, né capacità di "sballare" come le normali droghe o gli acidi che circolano anche tra i giovanissimi.

"In realtà non esiste alcun tipo di suono" prosegue Antiplagio che ha fatto ascoltare i file ai volontari, "né da 7 a 13 hertz, come pubblicato in un primo momento, né da 3 a 30 hertz, come rettificato in seguito, né altri suoni alpha, beta, gamma, delta o theta che dir si voglia che possano provocare gli stessi effetti delle droghe.

Al limite possono generare emicrania, nausea e ronzio auricolare, ma passare dal mal di testa all’estasi o alla trance, ascoltando un mp3, è assurdo. Di fatto non esistono studi scientifici che dimostrino che determinati suoni sviluppano fenomeni neurobiologici come quelli prodotti dalle sostanze stupefacenti". Dopo la divulgazione su scala nazionale della notizia, i volontari dell’associazione puntano il dito sui colossi dell’informatica, ipotizzando un disegno di creazione di nuove mode "sfruttando la credulità e la voglia di sballo dei più ingenui".

"È sufficiente leggere i prezzi e la modalità di pagamento dei file e dei cd "bufala" - chiarisce Antiplagio - Lsd 4,50 dollari, peyote e marijuana 4,25, cocaina 3,75, ecstasy 3,25 e compilation da 13,64 a 16,06 euro. Si tratta di un business tramite banche on-line virtuali". Gli esperti dell’associazione hanno anche passato gli mp3 in analizzatori di spettri digitali e altri software di analisi del suono. "È vero che esistono dei battimenti - conclude la nota - ma da qui a sostenere che nel segnale globale si riescano a creare realmente frequenze così basse ce ne corre assai. Vi è un miscuglio sonoro armonico sommato con rumore bianco o rumore rosa in cui, soltanto in alcune porzioni temporali, si riscontrano dei battimenti per differenza di frequenza; per il resto trattasi unicamente di suoni new age con rumori ad ampio spettro sonoro".

Usa: detenuti non più divisi su base etnica, si temono scontri

 

Apcom, 3 luglio 2008

 

La California ha iniziato la desegregazione delle proprie carceri, in base ad una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha imposto di cambiare il criterio con cui i prigionieri vengono raggruppati in cella. Fino ad oggi infatti questo Stato ha suddiviso la popolazione carceraria in base alla razza, cercando in particolare di dividere neri e ispanici, due gruppi tradizionalmente rivali, per evitare violenze tra gang. La nuova normativa sta pertanto suscitando preoccupazione all’interno di alcuni penitenziari.

"Ci saranno molti omicidi" ha detto al Wall Street Journal Randy Torrez, un ex membro della gang Mexican Mafia ora detenuto nel carcere di Mule Creek "Queste persone hanno combattuto per la maggior parte della loro vita, e in prigione le cose peggiorano solo". Un portavoce del penitenziario ha detto di non aspettarsi un’ondata di azioni disciplinari, ma che la violenza crescerà in altre carceri dove l’attività delle gang è maggiore. "I prigionieri non sono felici di questa normativa" ha detto. La California è uno dei pochi Stati ad ammettere l’uso sistematico della segregazione in cella. Texas e Oklahoma applicavano un tempo pratiche simili ma le hanno abolite da anni. Alcuni centri di detenzione probabilmente usano la razza come un criterio di scelta nella suddivisione dei detenuti ma senza dichiararlo pubblicamente.

In California, i prigionieri appartenenti a minoranze razziali sono da sempre favorevoli alla segregazione. Oltre 10.000 infatti appartengono ad una vasta rete di gang, che con nomi come Nuestra Familia e Black Guerrilla Family, sono principalmente suddivise secondo le linee razziali. Nel 1995 tuttavia un detenuto Garrison Johnson, fece causa contro la pratica, sostenendo lo costringeva ad affiliarsi ad una diversa gang afroamericana ogni volta che cambiava carcere. Alla fine il caso approdò di fronte alla Corte Suprema, che nel 2005 bandì la segregazione salvo per casi estremamente rari.

Usa: detenuto nero strozzato in cella, uccise poliziotto bianco

 

Apcom, 3 luglio 2008

 

È polemica negli Stati Uniti per quello che le associazioni per i diritti civili definiscono l’ultimo caso di "giustizia fai da te" e che è destinato ad alimentare scontri razziali in una contea (la Prince George) a maggioranza nera con poliziotti bianchi che in passato sono stati protagonisti di altri abusi su detenuti neri. Questi i fatti.

Un giovane afroamericano di 19 anni, Ronnie White, ladro d’auto di Washington, fermato in Maryland per aver ucciso un poliziotto bianco, Richard Findley, in uno scontro in strada, a 36 ore dall’arresto è stato trovato morto nella sua cella di massima sicurezza. Le indagini volute dai responsabili del carcere di Upper Marlboro hanno accertato che il ragazzo è morto strangolato (l’autopsia ha riscontrato fratture alle ossa del collo).

Ma da chi, visto che era in isolamento? Secondo i legali della famiglia, non ci sono dubbi: l’uomo sarebbe stato vittima di una vendetta della stessa polizia. Sarebbero stati cioè i colleghi del caporale ucciso per strada a volere morto quel ladro d’auto-assassino senza attendere i tempi lunghi della giustizia. Interrogate le sette guardie carcerarie e i supervisori del carcere che avevano accesso alla sua cella. Al momento nessuno è sospettato. Non solo.

Il Washington Post riporta la notizia che le autorità carcerarie non escludono che il detenuto possa essersi suicidato. Ronnie White era stato arrestato la scorsa settimana con l’accusa di omicidio. Dodici ore prima, a bordo di un pick-up rubato, aveva forzato un posto di blocco della polizia. Gli agenti avevano ordinato a lui e al suo complice di fermarsi, ma invece di rallentare White, che era alla guida, aveva accelerato investendo il caporale Richard Findley, 39 anni.

Il poliziotto, gravemente ferito, era morto subito dopo il ricovero in ospedale. White, fermato 12 ore dopo in Virginia, era stato accusato non più di furto d’auto, ma di omicidio. Il ladro-omicida era stato portato nel carcere di Upper Marlboro, in Maryland, nella giornata di sabato e rinchiuso in isolamento in una cella di massima sicurezza, controllata dalle guardie carcerarie ogni 20 minuti, come prevede il regolamento.

Ma - come risulta dall’inchiesta interna - mentre alle 10.15 del mattino di lunedì White era "seduto sul pavimento della cella, sveglio", alle 10.35 era "seduto sul pavimento della cella, morto". Dal rapporto risulta anche che tra le 10.15 e le 10.35 nessuna guardia sia entrata nella cella. L’autopsia, invece, ha verificato che il detenuto è stato strangolato. Il rapporto del medico legale parla di abrasioni evidenti e della frattura di due ossa, e conclude che la morte è avvenuta per asfissia. Il legale della famiglia di White, Bobby Henry chiede giustizia: "C’è qualcosa di mortalmente sbagliato nel nostro sistema, non si può decidere di diventare accusa, giudice e boia nello stesso tempo". Uno dei responsabili della Prince George County, Jack Johnson, ha aggiunto: "Se sono le guardie a farsi giustizia, la nostra società è destinata a crollare". Sul caso c’è ora anche l’Fbi, che indaga per omicidio. Anche lo Stato del Maryland ha aperto una sua inchiesta. Previste misure di sicurezza per prevenire possibili scontri razziali.

 

 

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